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(english / italiano)

L'Ucraina che resiste ai fascisti e all'aggressione imperialista

1) BABIJ JAR. 1941: l’occupazione nazista di Kiev (Zambon Editore)
2) L'Ucraina che resiste ai fascisti e all'aggressione imperialista (Flavio Pettinari)
3) Ukraine and the pro-imperialist intellectuals (Alex Lantier)


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Da: < zambon @zambon.net>
Oggetto: L'Ucraina.doc
Data: 05 febbraio 2014 11:00:02 CET

L’Ucraina è attualmente sconvolta da una marea montante di “ribellione popolare” che sembra mobilitare l’intera popolazione della parte occidentale del Paese che, come già ai tempi della Rivoluzione arancione, segue le “indicazioni” delle centrali di potere europee, cioè tedesche. Alcuni personaggi si sono posti alla testa della rivolta; tra essi primeggia la figura di Vitali Klitschko, l’uomo di fiducia della Fondazione Konrad Adenauer (la stessa che, nel tentativo di stroncare i movimenti di indipendenza dell’Africa nera, aveva a suo tempo finanziato squadre di tagliatori di teste addestrate nella repubblica razzista del Sudafrica per seminare il terrore tra la popolazione dei territori liberati del Mozambico).
Allo scopo di rendere comprensibili le radici profonde dei fatti che si stanno oggi svolgendo, potrà essere utile leggere il libro Babij Jar (di Anatolik Kuznetsov, ed. Zambon 2011), un libro che descrive il comportamento della popolazione ucraina all’indomani dell’invasione nazista del 1941 e che in particolare analizza i contrasti che si verificano all’interno di una famiglia dove convivono il vecchio padre anticomunista da un lato, che esulta per l’arrivo dei tedeschi “che metteranno ordine e faranno giustizia premiando chi vive del proprio lavoro”, e la figlia dall’altro lato, il cui marito si dà alla macchia e combatte con i partigiani dell’Armata Rossa.
Anche oggi c’è a Kiev identificazione con l’Occidente e opposizione al mondo slavo, di cui gli stessi Ucraini sono parte, ammirazione per i Tedeschi e incondizionata disponibilità a credere – esattamente come allora – alla loro propaganda “convincente”, anche perché supportata, ieri, dalla violenza armata e, oggi sostenuta soltanto, per il momento, da generosi finanziamenti agli intrepidi “patrioti”. La storia si ripete: da un lato l’Ucraina occidentale agricola, cattolica, sottomessa già dai tempi dell’Impero austro-ungarico ai valori della “civiltà” europea; dall’altro lato l’Ucraina orientale industrializzata, ortodossa e bolscevica.

Anatolij Kuznetsov
BABIJ JAR
1941: l’occupazione nazista di Kiev

A cura della redazione italiana della Casa editrice Zambon
Introduzione di Adriana Chiaia
Formato: cm 13x21
Pagg. 240
Prezzo: 12.00 euro
isbn 978-88-7826-65-4

Nel quadro dell’occupazione nazista di Kiev, durata più di due anni, la testimonianza dell’autore, a quei tempi un ragazzo di dodici anni, descrive il massacro di decine di migliaia di ebrei, di combattenti dell’Armata Rossa, di comunisti, di cittadini ucraini e di altre nazionalità, catturati nei rastrellamenti o presi in ostaggio, i cui corpi venivano gettati nell’enorme burrone di Babij Jar, nei pressi della città.
L’autore offre inoltre uno straordinario e contraddittorio panorama di personaggi positivi e negativi: partigiani e collaborazionisti, resistenti e delatori, solidali e profittatori, generosi e gretti, uomini, donne e bambini, strappati alla quotidianità del passato e costretti ad arrabattarsi per sopravvivere alla guerra con la sua sequela di atrocità, bombardamenti, distruzioni, saccheggi, fame e miseria materiale e morale.
Il libro è stato arricchito dalla sezione “Lineamenti di storia” composta di due schede. La prima tratta del diritto all’autodecisione dei popoli nella concezione del Partito comunista (b) e nella prassi del potere sovietico.
La seconda ripercorre le vicissitudini dell’Ucraina, dalla rivendicazione dell’autonomia al patto costitutivo dell’Unione delle repubbliche socialiste sovietiche, inserendole nel loro contesto storico.
In appendice uno scritto di Il’ja Erenburg e stralci di un documento della Commissione governativa sulle distruzioni e le atrocità commesse dagli invasori tedeschi nella città di Kiev. (Processo di Norimberga).

INFO: zambon @zambon.net - www.zambon.net


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L'Ucraina che resiste ai fascisti e all'aggressione imperialista

4 Febbraio 2014 

di Flavio Pettinari per Marx21.it


Nelle ultime due settimane abbiamo assistito ad un’escalation significativa dell’impegno internazionale dei tre capibastone dell’opposizione ucraina - Klichko, Tjagnibok e Jacenjuk: la presenza alla recente conferenza di Monaco, gli incontri con il senatore repubblicano statunitense John McCain (e, per par condicio, con il segretario di Stato USA, il democratico John Kerry), alcune delegazioni occidentali a Kiev. Il tutto mentre la piazza di Kiev, assieme a quella delle altre città, va perdendo il tenore di “manifestazione di massa” lasciando spazio agli sparuti gruppi dell’ultradestra - coloro che non si riconoscono neanche in Svoboda (e infatti non sono mancati scontri e tafferugli tra quest’ultimo partito e gruppi come il Pravyj Sektor). Lo stesso Klichko, il 31 gennaio, attraverso l’ufficio stampa del suo partito, Udar, ha dichiarato che questi gruppi estremisti “operano per screditare l’opposizione” e “saranno identificati e condannati”. (sic!).1

L’impressione è quella che i tre leader dell’opposizione si siano resi conto del loro calo di popolarità e vogliano tentare un pericoloso colpo di coda, coinvolgendo apertamente (anche perché l’ingerenza straniera in Ucraina è ormai un segreto di Pulcinella) gli sponsor europei e statunitensi: recentemente la stampa ucraina ha fornito i primi risultati di alcune inchieste sui finanziamenti alle organizzazioni d’opposizione, con tanto di numeri di conto corrente e intestatari. Torneremo sopra questo argomento, per il momento accenniamo solo che si tratta di decine di milioni di dollari incassati settimanalmente dai nazionalisti.2

Il crollo di partecipazione alle manifestazioni è ben raffigurato in questa mappa, aggiornata al 27 gennaio:
http://www.marx21.it/images/mappe/ucraina_map.jpg
Oltre all’area metropolitana di Kiev, dove i partecipanti alle manifestazioni superano mediamente le 5mila unità, è evidenziata la regione di Ivano-Frankivsk, l’oblast’ tristemente nota dove l’estrema destra di Svoboda e il resto dell’opposizione hanno occupato i palazzi dell’amministrazione statale varando delle norme per la messa fuorilegge del Partito Comunista d’Ucraina e del Partito delle Regioni (il partito di appartenenza del Presidente Yanukovich). Altre regioni in cui si registra una significativa presenza media di manifestanti sono quelle di Lvov, Chernihiv e Chmelnyckij (dai 500 ai duemila) mentre il resto dei capoluoghi del paese vede scendere in piazza meno di 500 persone - pochi, ma spesso bene organizzati militarmente.

La diminuzione generalizzata del numero dei partecipanti ai “majdan locali” non ha però tranquillizzato né i partiti della sinistra (Partito Comunista in testa), né il Partito delle Regioni (forte prevalentemente nell’est del paese), né l’opinione pubblica, che temono, oltre un colpo di stato spalleggiato dall’estero, anche le incursioni dei fascisti nei capoluoghi locali: esemplare è il caso di Zaporozhie, dove il 26 gennaio i fascisti (provenienti prevalentemente da fuori regione) hanno tentato di assaltare la sede regionale del Governo, per essere poi respinti dalla popolazione. Proprio Zaporozhie è diventata celebre negli ultimi due giorni perché su iniziativa del comitato regionale del PCU è stata organizzata la Milizia, annunciata nelle sedute del consiglio comunale del capoluogo e del consiglio dell’oblast’, rispettivamente dal segretario regionale Vitalij Mishuk e dal consigliere Elena Semenenko.

Riportiamo estratti dalla Dichiarazione del gruppo consiliare del Partito Comunista di Ucraina alla sessione del Consiglio Comunale di Zaporozhie (31 gennaio 2014):

[...] A causa della situazione politica estremamente tesa in Ucraina, ai tentativi dei gruppi radicali filo-fascisti di impadronirsi con la violenza del potere statale, all’occupazione degli edifici delle amministrazioni statali regionali, dei ministeri e dei dipartimenti, alle sommosse, agli atti di vandalismo contro i monumenti ai dirigenti di governo del periodo sovietico, contro le tombe dei soldati della Grande Guerra Patriottica - il paese è sull'orlo dello scontro civile.

Le manifestazioni di massa sotto gli edifici dell’amministrazione statale regionale di Zaporozhie e i tentativi di occuparli con l'assalto del 26 gennaio 2014 da parte di militanti provenienti dalle regioni occidentali dell’Ucraina ci dicono che tutta questa infezione è strisciata fino alla regione di Zaporozhie. Le persone non capiscono - perché il Presidente non agisce? Perché il garante della Costituzione ha cessato di essere il garante della pace e della tranquillità civili? Perché il governo non vuole proteggere se stesso e il suo popolo?


[...]

(le organizzazioni aderenti alla Milizia, NdT) hanno avviato la costituzione nella nostra città del Consiglio della Milizia (in seguito, Consiglio) il cui obiettivo principale sarà il controllo dell'ordine pubblico nella città, la creazione di squadre di intervento rapido contro le rivolte di massa, il contrasto all’occupazione degli edifici amministrativi, agli atti vandalici e così via.

Il Consiglio intende opporsi a qualsiasi forma di restauro del fascismo e di giustificazione dei crimini commessi dai terroristi dell’OUN-UPA (Organizzazione dei nazionalisti ucraini – Esercito Insurrezionalista Ucraino, collaborazionisti dei nazisti, NdT) e simili. Il Consiglio sarà un’organizzazione pubblica non paramilitare e indipendente da tutte le forze politiche. Può essere membro dell’organizzazione qualsiasi cittadino o ente pubblico su base volontaria.

Facciamo appello al popolo della regione di Zaporozhie, alla direzione della città e della regione a sostenere l'iniziativa per la creazione di questa formazione pubblica. Invitiamo tutti i cittadini interessati della regione di Zaporozhie a unirsi alle schiere della Milizia.
[...] 3

Il 30 gennaio, la Milizia, in maniera analoga a quanto fatto a Zaporozhie, ovvero durante una seduta del Consiglio comunale, era stata presentata a Stahanov, città operaia di circa 90mila abitanti nella regione di Lugansk. Il primo segretario della locale organizzazione del Partito Comunista e consigliere comunale Viktor Sinjaev ha chiesto la messa fuori legge dei partiti fascisti, primo fra tutti Svoboda, e ha delineato la struttura organizzativa della Milizia che raccoglie operai, giovani e cosacchi.4

Il 31 gennaio, anche nel capoluogo Lugansk è stata presentata (da Maksim Chalenko, primo segretario cittadino del PCU) la Milizia locale. Chalenko ha spiegato che la Milizia ha la sua base presso la sede regionale del PCU e conta su 200 militanti, coordinati in modo da poter rispondere e respingere in breve tempo eventuali attacchi fascisti, inclusi gli assalti agli edifici della pubblica amministrazione. Chalenko ha informato che in ogni angolo della città vivono dei comunisti, che hanno il compito di monitorare la situazione e sono preparati ad agire in caso di necessità.5

Torneremo in articoli successivi a seguire l’evoluzione delle Milizie che si stanno costituendo su iniziativa dei comunisti, anche in occasione della marcia antifascista che si terrà a Zaporozhie, come anche in altre località, l’8 febbraio.

Il 1 febbraio, a Kharkov, su iniziativa del popolare governatore della regione, Mihail Dobkin e del Partito delle Regioni, è stato fondato il movimento “Fronte Ucraino”, alla presenza di oltre 6mila persone. Gli obiettivi del movimento, il cui nome richiama le gesta della resistenza contro i nazifascisti durante la seconda Guerra Mondiale, sono “sbloccare l’isolamento informativo dei cittadini dell’Ucraina occidentale”, “sgomberare senza condizioni tutti gli edifici amministrativi e i luoghi occupati”, “indire il referendum per cancellare l’immunità dei parlamentari” ecc.

Il Fronte Ucraino ha adottato dei colori che sono ormai il segno distintivo di tutto il movimento “antimajdan”, ovvero il nero e l’arancio (accompagnati dalla stella rossa) originari del nastro dell’Ordine di San Giorgio ma arrivati alle nuove generazioni poiché adottati dall’URSS di Stalin a simboleggiare la vittoria contro la Germania nazista.

Lo scontro con il Majdan è infatti non solo uno scontro politico, ma anche uno scontro a colpi di contrapposti riferimenti storici6: da una parte il collaborazionista Bandera e l’OUN-UPA, dall’altra parte i partigiani, l’Armata Rossa, e gli stessi Lenin e Stalin, e questi anche per i non comunisti: a Lutsk, Ucraina occidentale, il 3 febbraio, per celebrare i 70 anni dalla liberazione della città, è stato inaugurato proprio un busto di Stalin.7

Con l’eccezione di Odessa dunque, dove la popolazione è scesa in piazza in massa contro i fascisti già il 25 gennaio (un compagno del luogo mi riferisce che i cittadini di Odessa erano 5mila, i banderovcy al massimo 200), nel resto del paese si sono generalmente seguite fino allo scorso fine settimana le raccomandazione delle forze dell’ordine, ovvero evitare le provocazioni ed evitare di “mettere in difficoltà” le forze speciali del Berkut.

Volendo tratteggiare l’evoluzione della situazione delle ultime settimane, dal punto di vista della reazione popolare alle violenze del Majdan e della nascente mobilitazione popolare, ciò che risalta è il fatto che i comunisti abbiano saputo interpretare la volontà della popolazione progressista, stanca dell’attendismo del Presidente Yanukovich, e come essi siano riconosciuti, assieme ad alcuni esponenti del Partito delle Regioni (che però ha una certa connotazione filo-russa, anche di carattere “etnico”) come una forza credibile politicamente e capace di contrastare i fascisti anche sul piano del confronto diretto, nelle piazze. Non è un caso, quindi, che le sedi del Partito Comunista d’Ucraina siano colpite da frequenti attentati (la sede di Sinferopoli è stata vandalizzata il 29 gennaio, ultima in ordine di tempo) e che vi siano reiterati tentativi da parte di Svoboda per metterlo fuorilegge.

Da comunisti, e conseguentemente internazionalisti, non possiamo non ammirare il coraggio dei compagni ucraini e, con esso, la lungimiranza e la concretezza della loro battaglia politica, condotta nel Parlamento come nelle cittadine periferiche. 

Da comunisti, non possiamo non sostenere la loro lotta che è una lotta anche contro le ingerenze di carattere imperialista dell’Unione Europea - ingerenze che sono la proiezione esterna della politiche antioperaie attuate entro i confini comunitari.

NOTE

1 http://ei.com.ua/news/397137-klichko-poobeshhal-privlech-k-otvetstvennosti-aktivistov-pravogo-sektora.html
2 http://vremia.ua/rubrics/zakulisa/5321.php
3 http://www.kpu.ua/zaporozhskie-kommunisty-sozdayut-narodnoe-opolchenie/
4 http://www.kpu.ua/luganshhina-kommunisty-staxanova-sozdayut-narodnuyu-druzhinu-i-trebuyut-zapretit-vo-svoboda/
5 http://www.kpu.ua/luganskie-kommunisty-sformirovali-narodnoe-opolchenie-dlya-otpora-boevikam/
6 A gennaio tra l’altro è stata celebrata una ricorrenza estremamente significativa: i 360 anni del Trattato di Perejaslav che sancì la fine del dominio della Confederazione Polacco-Lituana sui territori polacchi e l’inizio del protettorato russo su di essi. Bohdan Chmelnyckij, atamano dei cosacchi ucraini, fu il condottiero della rivolta contro la Rzeczpospolita.
7 http://lenta.ru/news/2014/02/03/monument/


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Ukraine and the pro-imperialist intellectuals

5 February 2014

The “Open letter on the future of Ukraine” issued by a group of Western academics and foreign policy operatives is a vile defense of the ongoing far-right protests in Ukraine supported by Washington and the European Union (EU). It peddles the old lie, repeated over nearly a quarter century of imperialist wars and interventions in Eastern Europe since the dissolution of the USSR in 1991, that US and EU policy is driven only by a disinterested love of democracy and human rights.
It states, “The future of Ukrainians depends most of all on Ukrainians themselves. They defended democracy and their future 10 years ago, during the Orange Revolution, and they are standing up for those values today. As Europeans grow disenchanted with the idea of a common Europe, people in Ukraine are fighting for that idea and for their country’s place in Europe. Defending Ukraine from the authoritarian temptations of its corrupt leaders is in the interests of the democratic world.”
The identity of the imperialist powers’ local proxies demolishes the open letter’s pretense that the imperialist powers are fighting for democracy. They are relying on a core of a few thousand fascistic thugs from the Right Sector organization and the Svoboda Party to topple the Ukrainian regime in a series of street protests, replace it with a pro-EU government hostile to Moscow, and impose savage austerity measures. Washington and the EU are not fighting for democracy, but organizing a social counterrevolution.
In November, Ukrainian President Viktor Yanukovych backed away from plans to integrate Ukraine into the EU and push through tens of billions of dollars in social cuts against workers to pay back Ukraine’s debts to the major banks. Fearing an explosion of mass protests, he accepted a bailout from Russia instead. The far-right opposition redoubled its efforts, as dueling anti-government and anti-opposition protests spread in Ukrainian- and Russian-speaking parts of the country, respectively.
While EU intervention threatens Ukraine with social collapse and civil war, the open letter stands reality on its head, presenting the developments in Ukraine as a threat to the EU: “It is not too late for us to change things for the better and prevent Ukraine from being a dictatorship. Passivity in the face of the authoritarian turn in Ukraine and the country’s reintegration into a newly expanding Russian imperial sphere of interests pose a threat to the European Union’s integrity.”
In fact, neither Ukraine nor Russia has threatened to attack the EU. It is Ukraine—with its energy pipeline network, strategic military bases, and heavy industry—that is emerging as a major prize in an aggressive thrust by US and European imperialism to plunder the region and target Russia. While US and European imperialism threaten to attack Moscow’s main Middle East allies, Syria and Iran, they are threatening Russia’s main Eastern European ally, Ukraine, with regime change or partition.
The drive to impose untrammeled imperialist domination of Eastern Europe, which began after the restoration of capitalism with escalating NATO interventions and wars in Yugoslavia in the 1990s, is at a very advanced stage. It is setting into motion the next campaign, for regime change and ethnic partition in Russia, where Washington is studying a variety of ethnic groups—from Chechens, to Tatars or Circassians—whose grievances can be mobilized against Moscow.
This is raised quite directly in leading sections of the Western press. TheFinancial Times of London wrote Sunday, “Mr. Yanukovych and Mr. Putin are leaders of a similar type and with a similar governing model. If Ukrainians push the man in Kiev out of power, Russians might wonder why they should not do the same to the man in the Kremlin.”
By aligning themselves with the US-EU drive to dominate Eastern Europe, the signatories of the open letter are embracing what historically have been the aims of German imperialism. Berlin twice invaded Ukraine in the 20th century, in 1918 and 1941. Significantly, imperialism’s proxies in Ukraine today are the political descendants of Ukrainian fascists who helped carry out the Ukrainian Holocaust as allies of the Nazis—whose policy was to depopulate Ukraine and prepare its colonization by German settlers through mass extermination.
Now, at this year’s Munich Security Conference, top German officials stated that Berlin plans to abandon restrictions on the use of military force that it has obeyed since the end of World War II.
The disastrous consequences of the Soviet bureaucracy’s self-destructive policies and the light-minded approach of Mikhail Gorbachev as he moved to dissolve the USSR—believing that the concept of imperialism was a fiction invented by Marxism—are emerging fully into view.
Trotsky warned that the dissolution of the USSR would not only restore capitalism, but also transform Russia into a semi-colonial fiefdom of the imperialist powers: “A capitalist Russia could not now occupy even the third-rate position to which czarist Russia was predestined by the course of the world war. Russian capitalism today would be a dependent, semi-colonial capitalism without any prospects. Russia Number 2 would occupy a position somewhere between Russia Number 1 and India. The Soviet system with its nationalized industry and monopoly of foreign trade, in spite of all its contradictions and difficulties, is a protective system for the economic and cultural independence of the country.”
This is the agenda being laid out by imperialism and its fascist proxies: to return Russia and Ukraine to semi-colonial status through internal subversion, civil war, or external military intervention. Processes are being set into motion that threaten the deaths of millions.
Mobilizing the working class in struggle against imperialist war and neocolonial exploitation is the central task in Eastern Europe. Due warnings must be made. In the absence of such a struggle, given the bankruptcy and unpopularity of the region’s oligarchic regimes, there is every reason to think that determined fascist gangs—supported by imperialist governments and given political cover by pro-imperialist academics and diplomatic operatives—will succeed in toppling existing regimes.
This underscores the reactionary role of the signatories of the open letter. Some are top diplomats or “non-governmental” imperialist operatives—such as former foreign ministers Ana Palacio of Spain and Bernard Kouchner of France, or Chris Stone and Aryeh Neier of the US State Department-linked Open Society Institute of billionaire George Soros. Most, however, are academics and intellectuals who are lending their names to give credibility to far-right reaction in Ukraine, through a foul combination of learned ignorance and historic blindness.
Some of the names on the list of signatories evoke regret—such as Fritz Stern, a historian who was once capable of writing seriously on historical questions.
Others, like that of postmodernist charlatan Slavoj Zizek, come as no surprise. They only confirm the alignment of affluent sections of the middle class with imperialist brigandage, and the reactionary role of pseudo-left thought in training mouthpieces for imperialism.
After decades of intellectual war on Marxism in universities and the media, cultural life is in a disastrous state. Hostile to the Marxist conceptions of imperialism and of material interests driving its policies, these layers are left unmoved by imperialist crimes—the destruction of Fallujah during the US occupation of Iraq, or the drone murder campaign in Afghanistan. Their pens spring into action, however, when EU politicians excite their moral glands by denouncing regimes targeted for imperialist intervention. They can be led by the nose, even behind fascists, with a few empty invocations of human rights.

Alex Lantier




Arezzo 12 febbraio 2014

FOIBE
IO RICORDO... TUTTO!!

La verità contro il revisionismo storico


mercoledì 12 febbraio 2014
Ore 21:30, presso Centro Giovani “Onda d'urto”
via F. Redi - Arezzo

visione del film:

OCCUPAZIONE IN 26 IMMAGINI
di Lordan Zafranović


Il film analizza l’occupazione italiana e tedesca della città di Dubrovnik in
Dalmazia, scandagliando mentalità e comportamenti delle varie componenti del
nazifascismo: gli italiani tra prepotenza e vigliaccheria, i tedeschi spietati, i
collaborazionisti croati accecati dal nazionalismo...


organizzano:
ANPI                   CAAT              CNJ onlus






Protiv revisionizma u Srbiji

0) Stenografske beleške i dokumenta suđenja Draži Mihailoviću
1) Beograd 7/2: ПРОТЕСТ ПРОТИВ РЕХАБИЛИТАЦИЈЕ ДРАЖЕ МИХАИЛОВИЋА 
2) САМО  БРАНИМО ВЕЋ  ОДАВНО ДОКАЗАНО (SUBNOR 11. јул 2013)
3) LAŽLJIVA REZOLUCIJA I REHABILITACIJA IZDAJNIKA DRAŽE NEĆE PROĆI (NKPJ 20. jul 2013.) 


O istom temu procitaj:

Рехабилитација Драже Михаиловића:
ОТВОРЕНО ПИСМО СУБНОР СРБИЈЕ ДОМАЋОЈ И СВЕТСКОЈ ЈАВНОСТИ
SUBNOR, 19. март 2012.
http://www.subnor.org.rs/rehabilitacija-draze-mihailovica/#more-1209

DRAŽA ZLIKOVAC!
SKOJ, 23. mart 2012. godine



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Segnaliamo che sono disponibili presso CNJ-onlus alcune copie del volume

IZDAJNIK I RATNI ZLOČINAC DRAŽA MIHAILOVIĆ PRED SUDOM
Stenografske beleške i dokumenta sa suđenja Dragoljubu-Draži Mihailoviću

(atti del processo contro Draza Mihajilovic, Belgrado 1946)

trascrizione in caratteri latini effettuata a cura della Fondazione "August Cesarec" di Zagabria, 2011
(original na čirilici: Beograd, Savez Udruzenja Novinara FNRJ-e 1946).

Prezzo di copertina: 140 kune / 20 euro incluse le spese di spedizione per chi si rivolge a CNJ-onlus


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Petak, 7 februara 2014. - 10:00 sati
Виши суд, Београд, Тимочка 15 (Црвени крст, испод Београдског драмског позоришта) 

ПРОТЕСТ ПРОТИВ РЕХАБИЛИТАЦИЈЕ ДРАЖЕ МИХАИЛОВИЋА 

Драге другарице и другови, 
наставља се процес рехабилитације народног издајника, по злу чувеног четничког вође - Драгољуба Драже Михаиловића. 
НКПЈ - СКОЈ вас позивају да дођете да заједно поручимо буржоаским властима да прекрајање/фалсификовање историје неће проћи. 
РЕХАБИЛИТАЦИЈА НЕЋЕ ПРОЋИ! 

Savez Komunističke Omladine Jugoslavije 



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САМО  БРАНИМО ВЕЋ  ОДАВНО ДОКАЗАНО


Пре неки дан је, како смо вас већ, уважени читаоци, обавестили на овом порталу, Председник Републике Томислав Николић примио, на своју иницијативу, делегацију СУБНОР-а Србије на челу са председником проф.др Миодрагом Зечевићем.

Председник Републике је предложио и да СУБНОР своје иницијативе и гледања стави, како се то каже, на папир.

СУБНОР сматра, такође, да је и за ширу јавност, а посебно за преко 100.000 чланова организације, корисно и потребно да има увид.

 Текст који је пред вама упућен је Председнику Републике Томиславу Николићу, затим председнику Народне скупштине Небојши Стефановићу, премијеру Ивици Дачићу, првом потпредседнику Владе Александру Вучићу, потпредседнику Владе и ресорном министру Јовану Кркобабићу, министрима Млађану Динкићу и Николи Селаковићу.

Текст СУБНОР-а Србије у целости овако гласи.

 

СУБНОР – ЗАШТО  И  КАКО

СУБНОР Србије је нестраначка, антифашистичка и хуманитарна организација, усмерена према држави, а не политичким партијама;

СУБНОР се идентификује са народноослободилачким покретом и Народноослободилачком борбом народа Србије 1941-1945. године, њеним антифашистичким, моралним, идеолошким, политичким и националним вредностима и доприноси победи над фашизмом. Ту почиње и завршава се СУБНОР. Не бранимо, не својатамо, нити заступамо новостворену послератну државу, нити присвајамо њене резултате;

СУБНОР има организацију у свим општинама и градовима Србије, повезане у окружне и покрајинске организације, које чине јединствену организацију на нивоу Србије. Према евиденцији, има око 100.000 чланова;

У оквиру општинских удружења налазе се месне организације у оквиру највећег броја насеља  и секције бораца ратних јединица;

На нивоу организовања, поред индивидуалног постоји и колективно чланство. На нивоу Републике, колективни чланови су одређене инвалидске организације, Београдски форум за свет равноправних, Клуб генерала и адмирала, Удружење пилота и падобранаца, Удружење акцијаша, Резервне војне старешине, Извиђачи и други. Многи чланови ових удружења имају и индивидуално чланство у СУБНОР-у;

Чланови СУБНОР-а су и, поред учесника НОР 1941-1945. и учесника у одбрани земље од агресије 1999. и њихових потомака, припадници ЈНА из ратних сукоба 1990-1992. у одбрани СФРЈ и припадници  ратних сукоба 1992-1995, и њихови потомци, сви људи антифашистички и патриотски опредељени и поштоваоци НОБ, под условом да прихватају Статут СУБНОР-а, чувају углед и достојанство организације и раде на остваривању  циљева удруживања;

Традиција, социјално-здравствена заштита бораца и инвалида, међународна сарадња, информативно-издавачка и научна делатност, правно-организациона и кадровска изградња организације и поверена јавна овлашћења су оквир и  послови којим се бави организација.


Шире апсолвирање питања које је СУБНОР покренуо у разговору са Председником Републикe Томиславом Николићем 5. јула 2013.године

 

1. Дан устанка народа Србије

Седми јул, по оцени СУБНОР-а, није само датум, није ни село Бела Црква, то је историја, датум који представља историјско одређење народа  Србије, кључни датум ратне историје Србије 1941-1945.  Почетак је оног што се догађало и догодило у ратној Србији. Он је истовремено и ослобођење Србије од фашистичке окупације и победа, јер без њега не би било ослобођења, били бисмо од другог ослобођени. Тог дана није пуцао брат на брата, већ борац за слободу на окупатора, јер да су браћа не би пуцали један на другог.

Непризнавање овог датума је непризнавање почетка догођене ратне историје Србије. Постоји покушај групе квази-историчара да изнађу други датум за дан почетка оружане борбе устаничког народа Србије и тиме омаловаже ту борбу и фалсификују историјску истину за рачун одређених наручилаца.

По мишљењу СУБНОР-а, власт мора да смогне снаге да сазна и призна ко се за време четворогодишњег рата борио против окупатора и домаћих сарадника, ко је ослободио Београд, ко се борио у Пријепољу, на Кадињачи, Сутјесци, Неретви, Сремском фронту, ко је ратовао четири године по Београду, Шумадији, Србији, ко је зауставио немачку армаду из Грчке да се пробије кроз Србију и споји са немачким снагама у одбрани Немачке 1944. године, ко су 305 хиљада партизана који су погинули у борби против окупатора и њихових сарадника у Југославији и 437 хиљада рањених, коме су савезници признали треће место у Европи и четврто у свету за допринос победи против  фашизма и да то јавно призна и каже.

Због Србије и света садашња власт треба да се поноси партизанском борбом и њеним доприносом победи над фашизмом. Треба 7.јулу да врати статус државног празника, сачува сећање на оне који су гинули по градовима, селима и пољима Србије борећи се за слободу, убијани по казаматима од окупатора и његових сарадника из српских редова и терани на присилни рад у земљи и Европи. На тај начин и сама власт добија поштовање, јер се поистовећује са онима који су отишли у народну легенду, историју и сећање, а свет признао допринос те борбе.

Било би непријатно за Србију и њену власт да се понови случај претходног Председника Републике да на обележавању годишњице ослобођења Београда „не зна“ ко је 1944. године ослободио тај град, ко се четири године у Србији и Југославији борио против фашистичких окупатора и његових сарадника да му  чак двапут то треба да каже председник стране државе који је дошао на обележавање годишњице ослобођења Београда. После смо били –  што би рекао хумориста – „много изненађени и увређени“ кад антифашистички свет Србију сматра државом која рехабилитује фашистичку прошлост и због тога је не позива на обележавање славних годишњица победе над фашизмом.

 

2. Рехабилитација ген.Михаиловића и колаборације

По мишљењу СУБНОР-а, оцена једног покрета, државе, институције и личности заснива се на основу општих показатеља а не детаља. Детаљи служе да се изврши корекција или појасне неке опште оцене. Из тих разлога оцена четничког, односно Равогорског покрета и ген.Драгољуба Михаиловића, мора се створити на основу општих чињеница и њиховог доприноса или одмагања борбе против фашистичког окупатора и у ослобођењу окупиране земље.

Чињеница да статус антифашиста четници нису од бивше актуелне власти добили због отпора према окупатору и борби за ослобођење земље, већ због односа избегличке Владе Краљевине Југославије, коју су били прихватили савезници, а она их преименовала у Војску Краљевине Југославије у отаџбини. Та војска, изузев кратко време 1941. године, није се борила против окупатора, већ се све време рата у сарадњи са окупаторима и квислиншким формацијама или самостални борила против ослободилачког покрета. На састанку са Немцима, новембра 1941.године, тада још пук. Михаиловић је рекао „да је борба против њих дело његових непослушних команданата и да он не стоји иза тога“. Фактички то је био колаборацонистички покрет а формално имао је до 12.септембра 1944. године легитимитет војске избегличке Владе Краљевине Југославије у отаџбини.

Сарадња четника са италијанским окупатором је од првог дана, са Немцима већ од новембра 1941. године, а са квислинзима од самог почетка у Србији, а у НДХ  од почетка 1942. године. То је била политика и понашање четника за све време окупације. Искакања неких четничких команданата, супротна општој политици четника, строго су кажњавана.

Равногорски покрет никад није позвао народ на устанак и борбу против фашистичких окупатора и домаћих квислинга. „Устанка се треба чувати као живе ватре“, речи су Васића, заменика ген.Михаиловића. Девиза је била „устанак кад дође време“, али то време никада није дошло. Четници (Војске Краљевине Југославије) завршили су војнички са окупатором и квислинзима у планинама Босне.

Злочини чињени народу који се борио против окупатора и његових сарадника по монструозношћу су исти  као они који су правиле усташе према Србима, Ромима и Јеврејима. Допринос четника одржавању окупације и економске пљачке Србије је огроман – то доказују и бројна немачка документа.

Одрицање савезника од четника није било политичка игра неких личности, већ чињеница да четници нису хтели да се боре против фашистичких окупатора и њихових сарадника, а сарађивали су са окупаторима и квислинзима, борили се против оних који се боре на страни савезника и што су чинили злочине над својим народом  у корист окупатора.

Бивша власт је донела Закон о рехабилитацији оних које су казнили победници (партизани), али и савезници, које се остварује као рехабилитација квислиништва и колаборације и ратне фашистичке прошлости у Србији. До сада су рехабилитоване у Србији све политичке личности из Србије које су биле против партизана који су се борили за ослобођење земље од окупатора и бројни они који су, као припадници колаборационистичких и квислиншких формација, чинили злочине према свом народу, а оспорена је покренута правна рехабилитација жртава и злочина које су они чинили.  За последњих 12 година деловањем бивше тзв. демократске власти оспорени су антифашизам и антифашистичка борба народа Србије и Србија сврстана у ред поражених у антифашистичкој борби народа у Другом светском рату.

СУБНОР сматра да би рехабилитација ген.Михаиловића, команданта четника (Војске Краљевине Југославије у отаџбини) и вође Равногорског покрета, која је у току, имала несагледиве негативне последице по односе унутар Србије и односе са новонасталим државама сецесијом СФРЈ, јер четнички није био српски, већ југословенски покрет. Имао би и велике међународне импликације јер би представило Србију у свету као противника антифашистичке борбе и антифашистичке опције. То би изазвало жесток отпор свих на подручју бивше Југославије и велике импликације и у Србији и у свету.

Не видимо ни један разлог да се Србија тако понаша и негира свој допринос победи над фашизмом коју јој је свет признао и подигао је на пиједестал антифашистичке борбе у Другом светском рату. Не треба заборавити да су ген. Михаиловић и четнички покрет били најкориснији сарадници немачког окупатора у Србији.

 

3. Враћање  Титовог споменика у Ужицу и однос према Титу

КПЈ је била илегална и ван закона партија у Краљевини Југославији. Окупацијом Краљевине Југославије престале су да постоје и делују све политичке партије, а Љотићев покрет претворио се у војну формацију у саставу Гестапоа. Ни једна партија није подржала устанак и борбу народа против окупатора, позвала народ на устанак, нити као партија била део устанка и НОП.

Та пасивност грађанских партија према борби народа претворена је у мржњу изавист према КПЈ која је позвала народ на устанак и водила народноослободилачку борбу до победе. После завршетка рата обновљене су грађанске партије, постале су део Народног фронта, а касније се утопиле у Социјалистички савез, али се њихов стварни политички однос није никад објективно променио према НОП-у и тековинама народноослободилачке борбе.

Три су пароле пласиране од КПЈ на почетку устанка које су биле и остале кључне за све време рата: „Братство-јединство“, „Борба против окупатора и његових и помагача“ и „Равоправост народа“, касније и борбене пароле „Борба за достојанственији и срећнији живот људи“ и „Равоправност народности, односно националних мањина“.

Победом над фашизмом остварена је једна од ових парола, а остале су оствариване за све време постојања социјалистичке Југославије. Данашње време  показује да ни једна од постојећих политичких партија у Србији не прихвата званично ове пароле и све имају према КПЈ и Титу као генералном секретару КПЈ однос које су имале грађанске партије у Краљевини Југославији. Ни једна постојећа партија не признаје оно што је постигла после рата Југославија под вођством КПЈ (СКЈ) и Тита у изградњи земље, стварању достојанственог живота људи, очувању самосталности и независности земље и заједничког суживота југословенских народа и народности и стварању несврстане међународне политике. Признање антифашистичких савезника доприносу победи над фашизмом и улога Тита и КПЈ у борби југословенских народа у тој победи ни једна партија, нити тзв. демократска власт, није признала и испоштовала, све су то оспоравале.

Према мишљењу СУБНОР-а, Тито је историјска личност, признат у свету као један од великана борбе против фашизма и државник светских размера у ХХ веку. СУБНОР не оспорава политичке грешке и потезе настале у изградњи суживота народа и народности у периоду постојања социјалистичке Југославије, али историјска оцена се не ствара по детаљима већ на основу општих чињеница и резултата. Ако се оцењује целина, борба за ослобођење земље била је успешна и у свету призната. Друштвени систем, достигнут живот и слобода људи у њој и статус земље у свету био је жеља и сан многих европских, азијских, афричких и јужноамеричких држава и народа који су то оправдано  везивали за Тита и КПЈ.

СУБНОР сматра да однос према Титу Србија треба да промени, не само зашто што друге новонастале државе бивше СФРЈ то нису никада ни спориле, већ због себе, мишљења грађана и међународних односа. Тито се не мора глорификовати али се мора уважавати, не може се игнорисати личност коју је свет признао и признаје. Нужно је због Србије вратити споменик, дати улицу, не представљати га у уџбеницима и свести људи као негативну личност и антисрбина, нека то историја оцени. Србија треба да покаже поштовање према човеку кога је светска историја уврстила у великане ХХ века.

У том смислу је и предлог СУБНОР-а да се споменик Титу у Ужицу, који се налази у запећку музеја, врати на Трг где му је и било место, тада Титовом Ужицу.

Мислимо да је немогуће Тита одвојити од признавања антифашизма, четворогодишње народноослободилачке борбе, доприноса који је дат победи над фашизмом и створеног угледа у свету. Нужна је његова, по гестовима, тиха рехабилиација у Србији.

 

4. Помирење зараћених страна у Србвији из Другог светског рата

СУБНОР сматра да је ово изузетно сложено питање и да захтева веома одговоран прилаз. Мора се знати разлог, потреба, сврха, могућност и последице. Ко се мири, шта се мири, ко су миротворци, да ли је то промена  историјске стварности, може ли неко да се мири у име и без одобрења другог. То су само нека питања која се постављају.

Једно је помирење међу државама, које има резултат само ако је реципрочно, друго је помирење између покрета, племена и појединаца унутар једне државе. Треће је амнестија и помиловање које је израз воље државне, политичке и војне моћи победника.

Помирење међу државама, посебно суседних, по мишљењу СУБНОР-а, је потреба и нужно везано за нормализацију односа у интересу обе земље. Државе не мењају оно што је било, то препуштају историји, али обећавају да то што је било неће оптерећивати савремени живот и бити препрека за остваривање сарадње и разумевању у садашњости и будућности. Ово помирење може да се манифестује политчким изјавама (декларације), уговорима о пријатељству или понашањем које прошлост ставља у други план – то је државна потреба и политика у стварању добросуседних односа. Не оспорава се оно што је било, нити мења, само се, обећава да оно што је било у историјској прошлости неће оптерећивати међусобне односе и текући живот држава.

Други облик помирења је опраштање за учињено. То је унутрашња потреба суживота, политика државе и израз њене моћи. Изражава се кроз амнестију (општи акт) и помиловање (појединачни акт). Амнестија је општи акт који се односи на понашање које је било супротно националном интересу неодређеног броја лица. То је истовремено акт опраштања и помирења.

Држава Југославија створена или обновљена у току и после победе над фашистичким окупатором, амнестирала је све грађане Југославије за учешће за време рата у војним квислиншким и колаборационистичким јединицама што су се борили против НОВ и ПОЈ; све који су били припадници управног и судског апарата окупатора; и сва лица која су сарађивала са окупатором и квислиншким и колаборационистичким формацијама, осим лица која су чинила ратне злочине и припаднике усташког и љотићевог покрета. То су акти које су доносили највиши органи власти између новембра 1944. до августа 1945. године и значила  су опраштање,  помирење и рехабилитација.

По мишљењу СУБНОР-а, помирење ратних страна у Србији 1941-1945. године могуће је само мењањем историјске улоге ратних страна и променом односа окупатора према тим странама. То би значило да није било квислинштва и колаборације, да ту окупатор није имамо никакву улогу и да сада те две стране треба помирити и признати им исти допринос у ослобођењу земље од окупатора. Држава у том случају, супротно историјским мерилима, мења историјску стварност. Тај акт нема правну вредност. Било би исто као кад би власт донела одлуку да река Морава не протиче кроз Србију. Она својом одлуком не може да промени оно што је било.

Нова генерација може да има позитиван или негативан однос према претходној генерацији и њеном делу, али не може да мења односе унутар те генерације и оно што се унутар ње догодило, поготово да мири зараћене стране у тој генерацији, јер то није њено природно право. Покушај мењање односа унутар страна претходне генерације и њихово помирење је историјска бесмислица јер се то догодило и прошло. Прошлост треба оставити историји. То није потреба историје и те генерације, већ потомака и поштовалаца српског квислинштва и колаборације из веома видљивих разлога, пре свега због моралног терета историје за издају, а и из лукративних разлога.

Помирење које се налази у интересу друге генерације не може да помири  партизане са четницима, балистима, недићевцима, муслиманском милицијом и љотићевцима. Живи партизани немају мандат јер су га искористили 1944-1945. године, а ово што се данас ради нема никаквог историјског ефекта и значаја за ту генерацију. Савремена генерација треба да решава проблеме садашњег живота и да отвара простор младој генерацији и остави на миру оно што је прошлост створила.

То је покушај потомака колаборације да издају претворе у патриотизам и изједначе по националној вредности и доприносу дело једне и друге стране. Циљ је анулирање одговорности за злочине учињене у корист окупатора против свог народа и изједначи антифашизам и фашизам по друштвеном вредновању. У таквој релацији нема одговорности за Бањицу, клање, казамате специјалне полиције, сарадњу са окупатором, злочине учињене у корист окупатора против свог народа,  борбу против покрета који се бори за ослобођење земље, итд. Одговорност таквих и те стране не постоји. Њихово кажњавање проглашено је за злочин, а они који су их казнили – злочинцима.

 

5. Дан Републике

СУБНОР је, полазећи од односа власти према републиканском облику владавине и државном уређењу, покренуо поступак пред Владом Србије да Скупштина  установи Дан Републике као значајан државни празник.

По мишљењу СУБНОР-а, у Србији – поред уставно легално изабраног Председника Републике – постоји у државно-политичком животу монарх, престонаследник не зна се којег престола, његово краљевско височанство и величанство, краљевски савет и други органи као и отворена и организована противуставна активност, посебно неких партија и конефсија, за повратак монархије. На жалост, све то се обавља уз обилату апанажу државе за одржавање активности краљевске куће, породице и организације.

Такво својеврсно представничко двовлашће у републиканском облику владавине ствара неповољну слику о Србији и у земљи и у свету и  чини је недефинисаном па и неозбиљном и у националним и међународним односима.

Садашњи политички естаблишмент ако има амозитет према 29.новембру, датуму кад је 1945. године проглашена Република као облик владавине у Југославији, нека узме датум кад је Србија 1946. године донела Устав и декларисала се као Република. СУБНОР мисли да би се на тај начин разрешила  монархистичка шарада и отклониле оправдане примедбе за непоштовање постојећег Устава и кршење на које не реагује држава. Испада да се подржава политички и правно такво стање, поготово што држава финансира такву противуставну делатност.

 

6. Однос према СУБНОР-у

Однос према једној организацији опредељује се према ономе што она ради и њеном друштвеном и политичком профилисаности и значају.

У периоду од распада СФРЈ деведесетих до данас, СУБНОР је пролазио кроз разне фазе односа са државним и политичким партијама. У периоду деведесетих и доминације СПС, СУБНОР је политички био некритички везан за СПС што се негативно одразило на укупни друштвени и политички однос према СУБНОР-у.

Променама извршеним 2000.године настоје свеопшти обрачун – политички, друштвени и правни са СУБНОР-ом. Припадници НОП-а се криминализују, антифашизам негира и омаловажава, допринос победи над фашизмом се не признаје, рехабилитују се квислинштво и колаборација са фашистичким окупатором, лица кажњена за злочине против народа у корист окупатора рехабилитују се и правно и политички и проглашавају за часне националне посленике, а припадници НОП (партизани) криминализују, проглашавају злочинцима и окривљују за све и свашта. Законска заштита бораца се умањује, а материјална законска обавеза према СУБНОР-у као организацији се ускраћује и умањује у односу на друге организације.

Доносе се закони којим се четници признају за антифашисте и о рехабилитацији којим се произвољно рехабилитују на хиљаде сарадника окупатора и његових домаћих сарадника између којих и лица која су чинила ратне злочине. Измишљају се чињенице о морбидним  масовним злочинима и неделима партизана и тврдње од текућих историчара да је у бројним местима Србије од партизана стрељано више лица него што су та места имала становника. Средства јавног информисања су у функцији и ударна снага у пласирању те политике.

Власт у Србији између 2000-2012.године све је учинила да рехабилитује фашистичку прошлост у Србији, што је довело да светска јавност индентификује Србију као земљу у којој се рехабилитује фашизам и оспорава антифашизам. У том периоду претвара се један колаборационистички покрет (четници) у антифашистички, а са њим обухвата све квислиништво и колаборацију, јер су њихове јединице биле у задњој години рата стављени под четничку команду.

Променом власти 2012. политичка клима према антифашизму, антифашистичкој борби, НОП и партизанима, вредновање нашег доприноса победи над фашизмом тихо се и постепено мења. Што је позитивнији однос према антифашизму, то је толерантнији однос према СУБНОР-у, мада то није до краја међусобно повезано када су у питању услови рада СУБНОР-а који су неповољни и не постоји потребно разумевање. Највећи домет промене је одлука да се од ове године 7.јули обележава у државној режији.

Органи државе имају коректан однос када је у питању  надлежно борачко министарство. Коректан однос имамо и са службама Министарства одбране. Имамо протоколарне односе  са још неким министарствима, али без неког стварног ефекта. Имамо коректан однос са Преседником Републике и његовим кабинетом.

Дискутабилан је однос са Министарством правде, које је у протеклом периоду било носилац негативне државне политике према антифашистичкој борби, партизанима и НОП-у. То Министарство, на челу са Хоменом и Маловићком, ангажовало је један број идеолошки острашћених историчара и било носилац и аниматор рехабилитовања колаборације и фашистичке прошлости у Србији.



Verso il 10 Febbraio tra censure, intimidazioni, scomuniche

1) MILANO: Attacco frontale PD / La Repubblica contro la storica Claudia Cernigoi per "lesa mitologia delle foibe"
2) COMO: Il sindaco PD si allinea ai nazisti e si oppone alla iniziativa dell'ANPI / Il Corriere della Sera rincara e attacca anche il sito Diecifebbraio.info
3) COMO: Lager italiani, un successo l'incontro con Alessandra Kersevan / Una grande lezione di storia / Intervista


Sulle censure imposte dalla lobby istriano-dalmata si veda anche:

“NON FATELI PARLARE”

Giorno del Ricordo 2013 a Montebelluna

Verona 12/2/2013: Gli squadristi schierati con il Rettore contro la iniziativa FOIBE TRA MITO E REALTA’


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Da La Repubblica - sez. Milano

autore: Franco Vanni
4 febbraio 2014

Rifondazione invita una revisionista 

il Ricordo delle foibe diventa un caso


NEL giorno del Ricordo, in cui si commemorano le vittime delle foibe e l’esodo giuliano-dalmata, Rifondazione comunista organizza un incontro con la storica Claudia Cernigoi, nota per le posizioni revisioniste sui massacri di italiani in Venezia Giulia e Dalmazia a partire dal 1943. E lo fa in una sede istituzionale: l’iniziativa si terrà infatti lunedì prossimo, 10 febbraio, nell’aula del consiglio di Zona 3 in via Sansovino 9. «Nessuna provocazione — assicura Renato Sacristani, dirigente di Rifondazione e presidente del parlamentino di quartiere, eletto nelle liste di Sinistra per Pisapia — abbiamo deciso di organizzare l’incontro con Cernigoi, studiosa che stimiamo, per bilanciare la faziosità dell’iniziativa che simultaneamente si svolgerà allo spazio Oberdan». Nella sala di Porta Venezia è prevista la lettura di “La Foiba dei Colombacci”, testimonianza autobiografica in forma di racconto della diaspora e dell’esilio in patria di Luigia Matarrelli, maestra elementare presso il Provveditorato di Pola.
La decisione di invitare Cernigoi — che riduce i massacri delle foibe a «mistificazione storica, trasmessa dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo» — solleva polemiche e critiche. Per Riccardo De Corato, consigliere comunale di Fratelli d’Italia, «fare parlare Cernigoi proprio nel giorno del Ricordo, per di più senza contraddittorio, è una provocazione inaccettabile. Destra e sinistra non c’entrano: nelle foibe morirono migliaia di persone, non 400 come Cernigoi va ripetendo, con la sola colpa di essere italiane». Il Partito democratico, che in consiglio di Zona si è opposto alla concessione della sala, da giorni preme sull’alleato di giunta perché il convegno sia spostato in un’altra sede. Lo staff del sindaco fa sapere che Giuliano Pisapia non intende commentare l’iniziativa, e che come ogni anno da quando è stato eletto, il 10 febbraio parteciperà alla cerimonia ufficiale di commemorazione delle vittime dei massacri delle foibe.
Nel convocare l’incontro su Facebook, Rifondazione comunista scrive: «Il 10 febbraio è il Giorno del Ricordo. Da quando è stata istituita questa ricorrenza, il tema certamente drammatico degli “infoibati” è utilizzato in maniera strumentale dalla destra come strumento di revisionismo storico sulla Resistenza». Il giorno del Ricordo è solennità civile nazionale istituita per legge nel 2004, e dal 2005 viene celebrata ogni anno il 10 febbraio. Nel 2007 il presidente della Repubblica Giorgio Napolitano, nel ribadire «il valore fondante della Resistenza e le responsabilità fasciste nella Seconda guerra mondiale», invitò tutte le amministrazioni pubbliche a celebrare il giorno del Ricordo, «per non dimenticare quello che fu un moto di odio e di furia sanguinaria, e un disegno annessionistico slavo che assunse i sinistri contorni di una “pulizia etnica”». Nello stesso anno fu l’Unione europea a criticare formalmente il presidente croato Stipe Mesic, che in polemica con Napolitano sosteneva posizioni del tutto simili a quelle della storica Cernigoi.

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LA RISPOSTA DI CLAUDIA CERNIGOI:

Egregio signor Direttore, ho letto l’articolo di Franco Vanni su La Repubblica di oggi, e sono rimasta letteralmente basita del tono con il quale sono stata descritta.
“La storica (…) che definisce “mistificazione” i “massacri tra il 1943 ed il 1945”; poi sono definita “revisionista” (che di per se stesso sarebbe anche un termine corretto, dato che ho rivisto buona parte delle affermazioni prive di riscontro storico che da decenni vengono ribadite come se fossero oro colato, ma nel contesto dell’articolo assume un significato negativo dei miei lavori di ricerca), “riduzionista”, come se mi fossi limitata a “ridurre” qualcosa invece di analizzarlo criticamente.
Così inoltre nel testo si legge che Cernigoi “riduce i massacri delle foibe” a “mistificazione storica, trasmessa dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo”.
Mi domando: il giornalista ha letto qualcosa di quanto ho scritto oppure si è limitato a copiare (non correttamente, tra l’altro) il sottotitolo del mio primo studio sulle foibe, risalente ancora al 1997, “Operazione foibe a Trieste”, il cui sottotitolo esatto era “come si crea una mistificazione storica: dalla propaganda nazifascista attraverso la guerra fredda fino al neoirredentismo”.
La mistificazione storica riguarda la propaganda creata intorno a questo periodo storico, non le “foibe” in quanto tali, come si comprende benissimo leggendo quanto ho scritto, ed ancora meglio è spiegato nello studio successivo “Operazione foibe tra storia e mito”, pubblicato nel 2005. Viene riferito come dato di fatto incontrovertibile l’intervento di Riccardo De Corato (è uno storico? un ricercatore?) che “nelle foibe” sarebbero morte migliaia di persone “con la sola colpa di essere italiane”, e non le 400 che avrei detto io. A parte che io non “vado ripetendo” che gli infoibati sarebbero stati 400 (nei miei studi ho spiegato i termini della questione, che non sto qui a ripetere per motivi di spazio) ma non comprendo perché il giornalista abbia pubblicato quanto detto da altre persone e non mi abbia contattata per chiarimenti, come era rimasto d’accordo con gli organizzatori dell’incontro, prima di scrivere frasi che presentano negativamente il mio lavoro, che è frutto di decennali ricerche negli archivi italiani ed esteri, di analisi accurata di quanto pubblicato in precedenza e di interviste con testimoni dei fatti.
Chiedo pertanto che il quotidiano da Lei diretto mi dia l’opportunità di chiarire quanto su di me pubblicato in modo non corretto e sminuente del mio lavoro, che sembra finalizzato a giustificare la negazione dell’uso della sala per un’iniziativa culturale, come se io fossi una persona non degna di parlare di determinati argomenti.

Ringraziando per la cortese attenzione, attendo riscontro

Cordiali saluti

Claudia Cernigoi
Iscrizione n. 262 d.d. 2/6/1981 albo giornalisti Friuli Venezia Giulia.


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Sulla conferenza di Alessandra Kersevan sabato 1° febbraio a Como si veda anche:


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http://www.contropiano.org/politica/item/21921-como-il-sindaco-pd-obbedisce-ai-fascisti-di-militia-e-sfratta-l-anpi

Como: il sindaco Pd obbedisce ai fascisti di Militia e sfratta l’Anpi

•  Lunedì, 03 Febbraio 2014
•  Marco Santopadre

La notizia è di quelle gravi, gravissime. E la dice lunga sulla degenerazione di un partito che solo in campagna elettorale continua a predicare un antifascismo strumentale che poi nega ogni giorno.

Sabato pomeriggio la locale sezione dell’Anpi di Como e l’Istituto di Storia contemporanea “Pier Amato Perretta” avevano organizzato un incontro pubblico con la storica Alessandra Kersevan all’interno della sala delle conferenze della Circoscrizione 1. Un incontro all’insegna di quel recupero della memoria storica che lo stato italiano afferma di promuovere e difendere addirittura attraverso l’istituzione di giornate ad hoc. L’incontro mirava a ricordare che “Tra il 1941 e l’8 settembre del 1943, il regime fascista e l’esercito italiano misero in atto un sistema di campi di concentramento in cui furono internati decine di migliaia di jugoslavi: donne, uomini, vecchi, bambini, rastrellati nei villaggi bruciati con i lanciafiamme. Lo scopo di Mussolini e del generale Roatta, l’ideatore di questo sistema concentrazionario, era quello di eliminare qualsiasi appoggio della popolazione alla Resistenza jugoslava e di eseguire una vera e propria pulizia etnica, sostituendo le popolazioni locali con italiani”.
Ma ai fascisti di Militia l’iniziativa volta a ricordare le responsabilità del regime fascista italiano nelle persecuzioni dei popoli della Yugoslavia occupati ed aggrediti durante l’invasione italiana e tedesca non è piaciuta. Niente di nuovo, si dirà. Senonché il sindaco di Como Mario Lucini, espressione di una giunta di coalizione tra Partito Democratico, Sel (!) e alcune liste civiche ha deciso di obbedire al diktat di quelli di Militia – che accusano Kersevan di “spiccato negazionismo sul dramma delle foibe” – e quindi decide di sfrattare l’iniziativa negando il salone della circoscrizione.
L’amministrazione di Como si è nascosta dietro una sorta di par condicio tra associazioni partigiane e antifasciste ed organizzazioni di estrema destra. Siccome nei giorni scorsi il salone della circoscrizione era stato negato ad una iniziativa di celebrazione di un esponente del regime nazista allora non lo si può concedere neanche alla “parte avversa”.
Di qui il forzato trasloco della conferenza, che alla fine si è tenuta nel salone Bertolio con qualche elemento in più di consapevolezza sull’attualità dei valori dell’antifascismo. 

Sul loro sito quelli dell'Associazione Culturale Militia cantano vittoria. 

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Perché le parole della Kersevan sono inaccettabili

MERCOLEDÌ 05 FEBBRAIO 2014

Fa ancora discutere il caso scoppiato lo scorso fine settimana
La lettera di un docente del Volta e quelle morti oltraggiate dalla ricercatrice


Gentilissimi, non so se faccio bene a scrivervi, ma se non lo avessi fatto sentirei di aver mancato a un mio dovere professionale. 
Sono un insegnante di storia e filosofia del Liceo classico Alessandro Volta di Como, cultore di storia e autore di alcuni testi divulgativi. La conferenza di Alessandra Kersevan non era sulle foibe e il libro che ha scritto non parla di foibe, dunque come si spiegano le pagine di notizie polemiche di ieri e oggi? Come mai sul giornale di oggi non c’è la cronaca della conferenza ma solo la foto? Ho assistito alla conferenza come faccio sempre quando arriva a Como qualcuno che parla di storia, soprattutto del Novecento, e ho anche registrato col mio Ipod l’intero intervento della Kersevan, perciò sono in grado di provare quello che affermo. Sarei grato di avere spiegazioni, citazioni o fonti in cui si possa leggere che la Kersevan, apparentemente una persona pacata e obiettiva (nel senso dell’obiettività storica), neghi le foibe, le riduca a fenomeno marginale o offenda i caduti sotto i colpi della violenza titina.
Cordialmente,
Paolo Ceccoli


Gentile professore, ha fatto benissimo a scriverci, tanto che la sua lettera merita la dovuta attenzione. E qualche risposta.
La prima è relativa all’oggetto della conferenza organizzata da Anpi e Istituto Perretta. Come potrà accertare rileggendo l’articolo pubblicato sul “Corriere di Como” di sabato scorso, nessuno ha mai scritto che Alessandra Kersevan avrebbe parlato delle foibe. Al contrario, era specificato in maniera inequivocabile che il titolo, e dunque il contenuto dell’intervento, avrebbero riguardato altro argomento. Per questo motivo, ossia per il fatto che l’evento in sé esulava dai dati di cronaca, centrati sull’aspra polemica che la figura stessa della Kersevan suscita in una notevole parte dell’opinione pubblica sul tema specifico delle foibe, non è stato dato resoconto puntuale della conferenza in sé. 
Chiariti questi due punti, veniamo alle “tesi” di Alessandra Kersevan sulle foibe. 
Chi scrive, legge per esempio in questa frase dell’autrice - “Commemorare i morti nelle foibe significa sostanzialmente commemorare rastrellatori fascisti e collaborazionisti del nazismo. Per gli altri morti, quelli vittime di rese dei conti o vendette personali, c’è il 2 Novembre” - un oltraggio indegno alle centinaia di civili italiani e non (ma se fossero decine non cambierebbe nulla) gettati nelle fosse carsiche dai soldati comunisti di Tito. Di più: in quelle parole si coglie una disumana e inaccettabile divisione tra morti di serie A e morti di serie B, che va ben al di là dei torti e delle ragioni che pure la Storia ha già affermato. E che, invece, insinua nemmeno velatamente il concetto che un cadavere, o persino un prigioniero di guerra in vita, possa tutto sommato “meritare” o meno ogni oltraggio a seconda della divisa che indossava. 
Aggiungo. Sul sito “diecifebbraio.it” è riportato il titolo di un’intervista concessa il primo febbraio scorso dalla Kersevan all’emittente radiofonica “Radiazione” (con contenuto scaricabile). Ebbene, il titolo - riferito alla ricorrenza del 10 Febbraio - è questo: “Il giorno della menzogna”. Proprio come la peggiore propaganda negazionista della Shoah titola molti dei suoi più ignobili scritti. Ecco, chi scrive pensa che - al di là di un revisionismo storico legittimo, quando serio - coloro che aderiscono senza battere ciglio a una qualunque iniziativa che bolli in maniera apodittica e preconcetta i drammi delle foibe o della Shoah con la parola “menzogna” possano fare una cosa sola: vergognarsi.
Emanuele Caso


Nella foto:
La ricercatrice storica Alessandra Kersevan, contestata da più parti perché ritenuta revisionista, quando non proprio negazionista, delle foibe


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Sulla conferenza di Alessandra Kersevan sabato 1° febbraio a Como si veda anche:

VIDEO 
prima parte: http://www.youtube.com/watch?v=iYJJGyiDdV4#t=55
seconda parte: http://www.youtube.com/watch?v=V4exkreWJ8w
terza parte: http://www.youtube.com/watch?v=pgrBvSFP4rw

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Nonostante un'allucinante campagna mediatica ampiamente disinformativa e nonostante l'incompresibile negazione all'ultimo momento da parte del sindaco di Como della sala della Circoscrizione n. 1, oltre centoventi persone hanno assistito con attenzione ed interesse alla conferenza con la storica Alessandra Kersevan di sabato 1 febbraio dal titolo: Lager italiani - pulizia etnica e campi di concentramento fascisti per civili jugoslavi 1941-1943

Ringraziamo la relatrice prof.essa Kersevan, l'Istituto di Storia P.A. Perretta per la collaborazione e il comitato soci Coop per aver messo a disposizione la sala.

Mentre a Cantù si è data ospitalità ad un gruppo di nazifascisti a Como si vieta uno spazio pubblico per un' iniziativa dal contenuto informativo e culturale voluta dall'Istituto di Storia nella pienezza del suo compito e dall'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia nella legittima funzione rivolta a tenere viva la memoria. Chi non è venuto all'incontro ha perso una lezione sulla storia che riguarda noi italiani.

I contenuti di questa conferenza sono apparsi culturalmente interessanti e didatticamente formativi. La storia del confine orientale con la ex Jugoslavia si rivela, nei saggi della Kerseveran, complessa e piena di dettagli inediti e documentati.

Si dovrebbero incentivare iniziative come questa in modo da contrastare l'ipocrito atteggiamento di nascondere i crimini fascisti e lasciare, i più, nell'ignoranza di credere che "Mussolini aveva bonificato l'Agro Pontino" e "Costruito pochi chilometri di autostrada", sottacendo le atrocità commesse nei confronti di altri popoli per una assurda voglia di conquista mai, per altro, realizzata e mai giudicata sino in fondo.

Anpi sezione di Como "Perugino Perugini"


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Kersevan / Una grande lezione di storia

Nel salone Bertolio della Cooperativa di via Lissi a Rebbio la storica Alessandra Kersevan ha ricostruito in un’approfondita conferenza nel pomeriggio di sabato 1 febbraio le vicende connesse all’occupazione fascista delle regioni della ex Yugoslavia, legate soprattutto all’internamento di un numero grandissimo di civili, uomini e donne, vecchi e bambini, in campi di concentramento italiani tra 1941 e 1943.

L’incontro, organizzato dalla Sezione di Como dell’Anpi e dall’Istituto di Storia Contemporanea Pier Amato Perretta, avrebbe dovuto tenersi – com’è noto – alla Circoscrizione n. 1 di Albate se il Comune non avesse ritirato all’ultimo momento la concessione della sala. Il trasferimento non ha nuociuto alla partecipazione, anzi: oltre cento persone hanno affollato il salone Bertolio. Un pubblico attento e partecipe, intenzionato a capire.

E se alle persone presenti si fosse aggiunto anche qualcuno di quelli che in questi giorni hanno accusato la studiosa di “negazionismo” riguardo alla vicenda delle foibe, avrebbe avuto la misura di quanto si è sbagliato.

Dopo le parole di premessa di Nicola Tirapelle della Sezione di Como dell’Anpi e l’attenta introduzione di Elisabetta Lombi, dell’Istituto di Storia Contemporanea, che ha fornito i dati essenziali del volume Lager italiani – recentemente pubblicato appunto dalla studiosa -, Alessandra Kersevan ha ricostruito la storia dell’area intorno al “confine orientale” dalla prima guerra mondiale fino a tutta la vera e propria occupazione fascista. Una regione estremamente complessa, in cui era evidente una realtà plurinazionale (italiana, slovena, croata, ma anche tedesca e rumena) e che l’annessione all’Italia cercò subito di omologare a una pretesa italianità. Su queste vicende ha operato una profonda rimozione, quando non una vera e propria censura: Alessandra Kersevan ha ricordato solo due esempi, ma estremamente significativi: il documentario della Bbc Fascist legacy, realizzato alla fine degli anni Ottanta, acquistato e tradotto dalla Rai ma mai trasmesso, e poi soprattutto il documento finale della commissione storica italo-slovena istituita dai governi dei due Paesi e che avrebbe dovuto essere ratificato dai rispettivi governi, cosa che è avvenuta per la Slovenia ma non per l’Italia.

La data cardine per le specifiche vicende legate ai campi di internamento italiani è il 6 aprile 1941, con l’inizio della aggressione al regno di Yugoslavia e la seguente occupazione, che fu gestita con ossessiva attenzione alla repressione delle vere e presunte forme di resistenza da parte degli abitanti. L’intera città di Lubiana, per esempio, venne trasformata nella notta tra 22 e 23 febbraio 1942 in un immenso campo di concentramento con la costruzione di un reticolato tutt’intorno all’abitato, lungo ben 32 kilometri, e la suddivisione del territorio urbano in zone divise da filo spinato. Si procedette quindi all’internamento dei maschi adulti che vennero “selezionati” per categorie, a cominciare dagli studenti, evidentemente ritenuti i più pericolosi. A seguito di questa vera e propria pulizia etnico-politica i luoghi di detenzione sul posto si dimostrarono rapidamente insufficienti e vennero quindi allestiti veri e propri campi di concentramento in Italia (in Friuli – in primo luogo a Gonars -, in Veneto, ma poi anche in Liguria, in Umbria, in Toscana, in Lazio) e sulle isole dalmate. Alla fine, in condizioni disumane, furono circa 120 mila le persone slovene, croate, montenegrine deportate e internate, di queste non meno di 4500 (secondo le stime più prudenti), ma forse almeno 7000, morirono.

Alessandra Kersevan ha raccontato questi accadimenti in una narrazione pacata, ma implacabile: ha citato cifre, mostrato immagini provenienti dagli archivi militari italiani, smontato false attribuzioni e interpretazioni, letto messaggi inviati dall’interno dei campi e documentati dalle commissioni provinciali della censura fascista, ricostruito un contesto storico che dovrebbe essere noto e che invece è stato artatamente occultato dall’ufficialità.

Ha poi risposto alle domande del pubblico, attento e partecipe, come si è detto. Non si è sottratta nemmeno al pretesto delle polemiche che purtroppo l’accompagnano da tempo e che l’hanno accolta anche a Como: il tema delle foibe. A proposito del quale, ha allargato il contesto di spiegazione, sottolineando che in quella regione la guerra è stata particolarmente dura, fin dal primo conflitto mondiale, e che la guerra non può lasciare che strascichi di guerra e violenza (come è stato sottolineato anche dall’intervento di Celeste Grossi). Lungi dal ridimensionare la drammaticità delle vicende legate alle foibe, ha chiesto uno sforzo di approfondimento, di studio, un impegno anche da parte delle istituzioni per chiarire le reali dimensioni del fenomeno, tuttora oggetto di forzature polemiche, per riuscire a sottrarlo definitivamente a istanze nazionalistiche (e di nuovo ha richiamato la paradossale vicenda della commissione di storici italo-slovena istituita e poi “abbandonata” dal governo italiano) e soprattutto per riuscire a inquadrarlo in una prospettiva storica che non può essere chiusa sul solo periodo seguente alla seconda guerra mondiale e alla fine del fascismo.

Alla fine, tra tutte le persone presenti, è stata forte la consapevolezza di aver imparato molte cose. [Fabio Cani, ecoinformazioni]


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Kersevan/ Intervista


Abbiamo chiesto alla storica Alessandra Kersevan di ribattere alle accuse e agli oltraggi alla sua professionalità di ricercatrice che sono derivati dalla paradossale vicenda della conferenza per la quale il sindaco di Como ha negato a Anpi e Istituto Perretta una sala comunale. Leggi nel seguito del post l’intervista rilasciata, prima della conferenza di sabato 1 febbraio, dalla Kerservan  a Jlenia Luraschi.

C’è chi la accusa di revisionismo, cosa risponde? Credo che la storia, quando è ricerca storica, debba sempre fare un opera di revisionismo rispetto ai risultati precedenti, altrimenti la ricerca non avrebbe senso, e detta in questo senso la parola revisionista non mi darebbe fastidio. Il problema è che negli ultimi decenni la parola revisionismo è stata usata in un modo politico e di solito veniva usata dalla storiografia resistenziale nei confronti della storiografia di destra che tendeva a reinterpretare la storia della seconda guerra mondiale con la tendenza  a rivalutare il fascismo e a trovare responsabilità a carico dei partigiani. Io in questo senso revisionista non posso essere.

Solo che la storiografia di destra e i politici di destra sono esperti e bravi nel ribaltare il significato delle parole. Hanno fatto delle affermazioni sulla storia del confine  orientale, affermazioni esagerate e non corrispondenti alla verità storica ed alla documentazione. Coloro che invece sono stati attivi sul piano della ricerca e hanno scoperto che i dati che venivano dati sulle Foibe erano sbagliati vengono adesso definiti revisionisti. Evidentemente l’essere revisionisti deriva dal fatto che altri prima sono stati “affermazionisti” senza essersi adeguatamente documentati.

Il problema è poi che i giornalisti travisano a loro volta queste parole affiancando un significato morale  o moralistico e fanno credere che la parola revisionista sia una parola offensiva. Credo che su tutto questo bisogna fare una grande chiarezza

Sulle vicende del confine orientale di cui io mi occupo sono state in questi anni, in particolare dagli anni 90 in poi, fatte ricostruzioni tendenti alla negazione delle responsabilità che il fascismo ha avuto nell’aggressione alla Jugoslavia, nel razzismo verso gli slavi e nei campi di concentramento creati per la popolazione. Quindi si tratta di ristabilire la verità.

Ho smesso di preoccuparmi delle definizioni che mi vengono date e preferisco andare alla sostanza delle cose. Certo che quando i giornali mi attribuiscono frasi che non ho mai pronunciato diventa preoccupante.

Cosa risponde a chi vorrebbe rappresentarla come un’esponente politica e non come una storica? Questa accusa è ingiusta e deriva da esponenti di destra e di estrema destra che sostanzialmente attribuiscono agli altri quello che invece fanno loro. Ho dimostrato con i miei libri, quelli che ho scritto personalmente e quelli che ho pubblicato e quelli del gruppo di ricerca di resistenza storica di cui faccio parte, volumi documentati, basati su una rigorosa e approfondita ricerca, quello che sono. Naturalmente, come tutti gli storici ci assumiamo la responsabilità dell’interpretazione dei dati e dei documenti. Il problema è che da parte dei miei detrattori non viene fatto un necessario e legittimo confronto storiografico, ma viene attuata una vera e propria persecuzione e censura. A me il confronto piace, e mi sono trovata a confrontarmi con chi ha un’altra visione e interpretazione dei documenti, e in questo caso è anche interessante discuterne. Se venissero presentati documenti che mettono in discussione le mie affermazioni, non avrei problemi ad ammetterlo, il fatto è che in tutti questi anni non è mai successo e non è mai stato presentato nulla di nuovo, non sono state fatte reinterpretazione, è stata solo attuata nei nostri confronti una vera persecuzione.

Purtroppo in questa azione di censura nei confronti di una ricostruzione storica seria come quella del confine orientale non sono solo coinvolte espressioni della destra, ma anche una parte della sinistra che, soprattutto negli ultimi anni, ha accettato le versioni che nazisti e fascisti avevano già dato nel 43 e nel 45. [Jlenia Luraschi, ecoinformazioni].