Informazione



2 AGOSTO 2013 / 2. AVGUST 2013

80 anni fa la proibizione
Ob 80-letnici prepovedi


Ottant’anni fa, nei giorni precedenti la solennità dell’Assunta (Rožinca), ai sacerdoti della forania di San Pietro al Natisone fu notificato il decreto governativo che proibiva l’uso della lingua slovena nelle celebrazioni liturgiche e nell’insegnamento del catechismo, mettendo fine a una prassi millenaria della Chiesa locale. L’ordinanza, voluta e firmata dallo stesso duce Benito Mussolini, fu l’apice della politica snazionalizzatrice ed etnocida intrapresa dall’Italia fin dall’annessione della Slavia al regno sabaudo e spinta al massimo dal regime fascista. «Un popolo mettetegli la catena, spogliatelo, tappategli la bocca: è ancora libero. Toglietegli il lavoro, il passaporto, la tavola dove mangia, il letto dove dorme: è ancora ricco. Un popolo diventa povero e servo quando gli rubano la lingua adottata dai padri. È perso per sempre, diventa povero e servo!», ha efficacemente scritto il poeta sciliano Ignazio Buttitta. Era il 15 agosto del 1933 quando il parroco don Giuseppe Gorenszach diede l’annuncio ai fedeli di San Leonardo: «Oggi il parroco alla prima messa lesse in italiano quanto segue. Ieri sera sono stato chiamato nella caserma dei RR.CC. (Reali Carabinieri, ndr) di S. Leonardo dal sig. Tenente di detta arma e da esso ebbi ordine – a nome di S. E. il prefetto di Udine di parlarvi da oggi in poi in lingua italiana. In italiano le prediche, i catechismi e la Dottrina Cristiana ai fanciulli. È data facoltà, fino a nuovo ordine, di riassumere in lingua vernacola, quanto prima si dice in lingua italiana. Devo dirvi, infine, che tutti i Catechismi Sloveni sono stati sequestrati…».

Numerose sono le testimonianze tramandate dai sacerdoti dell’epoca. Nel libro storico parrocchiale, il cappellano di Lasiz, Antonio Cuffolo, afferma che prima di arrivare alla proibizione della lingua slovena, ci fu una campagna di calunnie nei confronti dei sacerdoti locali. Scrive così Cuffolo nella Cronaca della cappellania di Lasiz: «Cominciarono le calunnie ora a carico di uno, ora a carico dell’altro sacerdote. […] Quando ai nemici sembrò che l’ambiente fosse già impressionato il tenente dei RR. CC. invitò i più terribili sacerdoti della zona e cioè i cappellani di Lasiz, Antro, Mersino e Vernasso (rispettivamente don Cuffolo, don Cramaro, don Simiz e don Qualizza, ndr) per il giorno 16 agosto nella caserma dei Carabinieri di S. Pietro. Il tenente presentò ai quattro sacerdoti per la firma una imposizione per la quale da quel giorno non avrebbero più usato la lingua locale nelle preghiere, nella predicazione e nella dottrina cristiana. I sacerdoti protestarono contro l’arbitraria imposizione contraria alle leggi naturali, ecclesiastiche ecc. Ne nacque una violenta discussione che minacciava serie conseguenze. In conclusione i quattro sacerdoti alla dichiarazione preparata dal tenente aggiunsero di proprio pugno: “I sottoscritti accetteranno soltanto se l’ordine verrà dato dall’Autorità Ecclesiastica od almeno attraverso la stessa”. Detta dichiarazione fece andare su tutte le furie il tenente, ma i sacerdoti non si fecero impressionare». I sacerdoti si rivolsero allora all’arcivescovo di Udine mons. Giuseppe Nogara per chiedere quale fosse l’atteggiamento da tenere in questa situazione. L’arcivescovo raccomandò di accettare tutte le disposizioni per evitare sanzioni ancora più severe, o addirittura il confino. L’ultimo discorso ufficiale in sloveno fu quello del cappellano di Tercimonte in occasione della festa dell’Assunzione nella Chiesa di Vernasso. Le ripercussioni della proibizione furono immediate e tragiche. Oltre alla perdita delle tradizioni locali, del ricchissimo repertorio dei canti popolari, furono profondamente danneggiati anche l’associazionismo e la vita religiosa. «Dopo oltre mille anni – scrive Cuffolo – contro tutte le tradizioni, contro tutte le leggi della Chiesa, con danno evidentissimo per le anime solo perché il detto “il duce lo vuole” aveva impedito all’autorità ecclesiastica di prendere francamente una posizione, è avvenuto un cambiamento nella cura d’anime. Per le strade, osterie, municipi, botteghe, esattorie si parlerà, si farà i propri interessi adoperando la lingua materna, solo in chiesa sarà proibita. Proibiti i canti tradizionali e preghiere che non saranno più sostituiti. Il nemico della Chiesa ha raggiunto lo scopo, “il duce lo vuole”»! Del resto Mussolini e i suoi seguaci avevano ben compreso che solo sradicandola dalla religione, avrebbero potuto infliggere un colpo mortale alla lingua slovena. In ottant’anni tante cose sono cambiate e gli sloveni della provincia di Udine si sono visti riconosciuti dall’Italia i propri diritti linguistici, ma dalla violenza perpetrata dal regime fascista nel 1933 le valli del Natisone e del Torre, Resia e Valcanale non si sono mai completamente riprese. Lo testimonia l’attuale drammatica condizione, non solo linguistica.

 

Avgusta 1933 je fašistični režim prepovedal uporabo slovenskega jezika v farah videnske nadškofije. To je imelo hude posledice, ki se še danes vidijo.




(Sulla pulizia etnica delle Krajine e della Slavonia si vedano anche:

La cancellazione della Repubblica Serba di Krajina: crimini di guerra e desaparecidos 
https://www.cnj.it/documentazione/index.htm#rsk

Pulizia etnica in Croazia
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7679 )


La festa dei generali croati assolti dall'Aja 

Dario Saftich

"la Voce del Popolo", 6 agosto 2013

La Croazia ha festeggiato ieri solennemente la Giornata della Vittoria e del Ringraziamento patriottico, con una serie di cerimonie svoltesi in tutto il Paese. Ma la manifestazione centrale a Knin, l’ex caposaldo della ribellione serba espugnato dalle truppe di Zagabria il 5 agosto di diciotto anni fa, è trascorsa soprattutto nel segno della sentenza di appello del Tribunale internazionale dell’Aja, con la quale i generali croati Ante Gotovina e Mladen Markač sono stati assolti dall’accusa di crimini di guerra commessi durante e dopo l’operazione “Tempesta”, che portò nell’estate del 1995 alla liberazione dei territori fino a quel momento in mano alle formazioni paramilitari serbe.

Ovazioni per Gotovina e Markač

I due generali, presenti per la prima volta alle celebrazioni a Knin, assieme a Ivan Čermak assolto dalla Corte dell’Aja già in primo grado, sono stati accolti dalla folla con autentiche ovazioni. Alla vigilia della celebrazione il generale Gotovina è stato proclamato cittadino onorario di Sinj e anche socio onorario della Società cavalleresca dell’Alka.

Salve di fischi per Milanović

Al contrario dei generali, il premier Zoran Milanović è stato salutato con salve di fischi, non appena è stato annunciato il suo intervento. E grida e fischi non sono mancati nemmeno durante il suo discorso. Zoran Milanović ha sottolineato che a Knin è stata difesa la Croazia, non con i crimini, ma con il cuore e l’ingegno. Il premier ha ricordato che il percorso croato verso l’Unione europea è stato lungo e travagliato, sicuramente il più difficile mai avuto da un Paese comunitario. Da rilevare che i fischi a Milanović sono stati duramente condannati anche dall’ex premier Jadranka Kosor.

Tendere la mano ai serbi

Qualche breve fischio ha accompagnato pure l’intervento del presidente della Repubblica, Ivo Josipović, il quale si è congratulato con il generale Gotovina per la brillante vittoria nell’operazione “Tempesta”. Siamo orgogliosi del successo in guerra, ma apprezziamo soprattutto la pace, ha rilevato ancora il Capo dello Stato, esortando a tendere la mano a coloro che durante il conflitto erano schierati dall’altra parte e a riconoscere il fatto che a voler bene alla Croazia sono anche gli appartenenti alle minoranze nazionali.

Il presidente del Sabor, Josip Leko, ha sottolineato nel suo discorso che la Croazia con la vittoria di diciotto anni fa si è garantita il suo futuro. “I difensori hanno gettato le basi per tutti i nostri attuali valori”, ha concluso Josip Leko.

Alzabandiera e sfilata

La cerimonia a Knin è cominciata, come di consueto, con l’alzabandiera sulla fortezza che sovrasta la città. La rocca è stata poi sorvolata da un MIG dell’aeronautica militare croata, mentre i cannoni hanno sparato a salve. Poi ha avuto luogo la sfilata degli appartenenti alle Forze armate, alla Polizia e alle associazioni dei reduci di guerra verso il monumento che ricorda l’operazione “Tempesta”.




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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
http://www.facebook.com/cnj.onlus/

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(francais / english / italiano)

UE e USA sempre complici del regime mafioso in Montenegro

0) LINKS
1) FLASHBACK: 1999, USAID IN MONTENEGRO (M. Andolina, 13 maggio 2013)
2) Montenegro: stallo presidenziale (24 aprile 2013)
3) Official opposition protests Montenegro presidential election result (24 April 2013)
4) Monténégro : capitalisme, économie rentière et État de droit (Klaus-Gerd Giesen, 9 février 2011)
5) FLASHBACK: 2006, EU BACKS ELECTORAL FRAUDS TO GAIN MONTENEGRO (IN)DEPENDENCE / LA UE "COPRE" LE FRODI ELETTORALI PER OTTENERE LA (IN)DIPENDENZA DEL MONTENEGRO

Sulla complicità della UE con la creazione dello Stato-mafia in Montenegro si vedano anche gli altri testi raccolti al nostro sito:
https://www.cnj.it/documentazione/cetnici.htm#montenegro


=== 0: LINKS ===

Dall'archivio di OBC:
- Inchiesta speciale: il caso Nacional 
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Croazia/Inchiesta-speciale-il-caso-Nacional
- Djukanovic indagato per mafia: un anno di sospetti 
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Djukanovic-indagato-per-mafia-un-anno-di-sospetti
- Djukanovic nel mirino della Procura di Napoli
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Djukanovic-nel-mirino-della-Procura-di-Napoli
- Le sigarette di Djukanovic e l'indipendenza del Montenegro
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Le-sigarette-di-Djukanovic-e-l-indipendenza-del-Montenegro
- Bruciatura di sigaretta
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Bruciatura-di-sigaretta
- Sotto il segno della mafia
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Sotto-il-segno-della-mafia

Ðukanović e il processo a Bari
Mustafa Canka | Ulcinj 15 febbraio 2011
Dopo che lo scorso dicembre il premier montenegrino Milo Ðukanović ha dato le dimissioni, i media ipotizzano la riapertura del processo a suo carico, per contrabbando di sigarette, avviato dalla procura di Bari. Possibilità che l'ex premier e il suo legale escludono categoricamente
http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Dukanovic-e-il-processo-a-Bari-88919 
Trafic de cigarettes : Milo Ðukanović bientôt jugé à Bari ?
OBC, 15 février 2011
La justice italienne a mis en cause Milo Ðukanović dès 2003 dans le vaste trafic de cigarettes transitant par le Monténégro qui a inondé l’Italie entre 1994 et 2002. En tant que Premier ministre, Ðukanović bénéficiait jusqu’à présent de l’immunité diplomatique mais, après sa démission en décembre 2010, le parquet de Bari pourrait rouvrir son procès. Explications.
http://balkans.courriers.info/article16948.html

Trafic de cigarettes au Montenegro : l’UE ouvre quatre enquêtes
B92, 3 octobre 2012
L’Office européen de lutte anti-fraude a ouvert quatre enquêtes sur des affaires de contrefaçon et de contrebande de tabac. Dans les années 1990, le Monténégro était la plaque tournante d’un vaste trafic international de cigarettes dont le principal organisateur ne serait autre que Milo Ðukanovic, ancien Premier ministre et tête de liste de la majorité aux prochaines législatives.
http://balkans.courriers.info/article20821.html

Le Monténégro après les présidentielles : un vol « professionnel et efficace »
Monitor, 16 avril 2013
Plus d’une semaine après les élections du 7 avril, les résultats définitifs n’ont toujours pas été confirmés, même si le sortant Filip Vujanović s’est proclamé vainqueur. Alors que ses recours ont été rejetés, Miodrag Lekić, décidé à ne pas se laisser voler la victoire, appelle à des manifestations. En visite lundi à Podgorica, la Haute représentante européenne Catherine Ashton n’a même pas jugé bon de rencontrer l’opposition...
http://balkans.courriers.info/article22265.html

Monténégro : au carrefour des routes de la drogue et du blanchiment d’argent 
B92, 18 avril 2013
Le dernier rapport d’Europol tacle le Monténégro, soulignant que le petit pays se trouve toujours au carrefour des routes du trafic de drogue et du blanchiment d’argent. Les oligarques russes investissent notamment des sommes d’origine douteuse qui irriguent la spéculation immobilière et l’économie légale.
http://balkans.courriers.info/article22271.html

Monténégro : des milliers de manifestants dénoncent la « fraude électorale »
Vijesti, 20 avril 2013
Environ 10.000 personnes selon les journalistes – mais 5000 selon la police – ont manifesté aujourd’hui dans le centre de Podgorica à l’initiative des partis de l’opposition pour demander l’annulation du résultat des élections présidentielles du 7 avril, qu’ils qualifient de « fraude électorale », et la tenue d’un nouveau scrutin.
http://balkans.courriers.info/article22312.html

Monténégro : la Commission électorale entérine la victoire de Filip Vujanović
Par Milica Bogdanović - Vijesti, 22 avril 2013
Filip Vujanović restera Président de la République. La Commission électorale d’État (DIK) a confirmé lundi l’élection du candidat du Parti démocratique des socialistes (DPS), malgré les recours déposés par l’opposition, qui dénonce des fraudes massives.
http://balkans.courriers.info/article22323.html

Monténégro : vers un dépeçage en règle de l’université publique
Par Predrag Nikolić - Monitor, 17 mai 2013
Le projet de loi sur la réforme de l’enseignement supérieur présenté par le ministre de l’Education menace l’autonomie de l’Université d’Etat, et place celle-ci en position de faiblesse face à sa concurrente privée, soutenue et financée par le Premier ministre Milo Đukanović.
http://balkans.courriers.info/article22529.html

Monténégro : sept ans après l’indépendance, un pays plombé par la crise
Vijesti, 21 mai 2013
Le 21 mai, le Monténégro a célébré le septième anniversaire de l’indépendance dans la division. L’opposition dénonce toujours la réélection frauduleuse du Président Vujanović. Au pouvoir depuis 1989, la majorité DPS de Milo Đukanović apparaît fragilisée par la crise. Alors que tous les indicateurs économiques sont au rouge, elle continue de jouer la carte des tensions identitaires pour rester au pouvoir. Une erreur fatale ?
http://balkans.courriers.info/article22536.html


=== 1: FLASHBACK ===

USAID IN MONTENEGRO

Da: MARINO ANDOLINA 

Oggetto: R: [JUGOINFO] USAID sotto accusa

Data: 13 maggio 2013 10.07.57 GMT+02.00

A: Coord. Naz. per la Jugoslavia 

A proposito di USAID e interferenze USA in Sud America, ricordo il 1999 quando la Yugoslavia veniva bombardata dalla NATO. Mentre le bombe cadevano su Podgorica (Montenegro) un collaboratore del presidente Djukanovic era a Washington presso la sede dell'USAID e riceveva un contributo di 10 milioni di dollari per il "sostegno ai pensionati montenegrini". Il versamento avveniva su di un conto cifrato di una banca svizzera.
Io feci la cattiveria di pubblicare quel numero di conto su di un articolo del  giornale GLAS di Banja Luka. Scrivevo: pensionati montenegrini, volete ritirare la vostra pensione? Andate in Svizzera e citate questo numero segreto.
Tutte le copie del giornale furono acquistate immediatamente dal governo montenegrino.
Marino Andolina  


=== 2 ===

http://www.balcanicaucaso.org/aree/Montenegro/Montenegro-stallo-presidenziale-134602/

Montenegro: stallo presidenziale

Mustafa Canka - Ulcinj 24 aprile 2013

Dopo le elezioni presidenziali il Montenegro è entrato in una profonda crisi politica. L’opposizione contesta l'esito elettorale mentre il governo invita a risolvere tutti i problemi all’interno del quadro istituzionale. Probabili elezioni anticipate in autunno

Il Montenegro è nuovamente in stallo. Nonostante la Commissione elettorale statale, a due settimane dalla fine delle elezioni, abbia proclamato come vincitore il candidato del Partito democratico dei socialisti (DPS) Filip Vujanović, l’opposizione ritiene abbia invece trionfato Miodrag Lekić, il candidato indipendente che hanno sostenuto. E si è detta pronta a lottare con tutti i mezzi democratici, incluse le proteste di piazza.


10 giorni

La prima di queste proteste si è tenuta sabato scorso, davanti al palazzo della Presidenza del Montenegro a Podgorica. Migliaia di persone hanno dato al governo la scadenza di dieci giorni per  “adottare una legge speciale, con la quale verrebbero annullati i risultati delle elezioni presidenziali, dopo di che il presidente del Parlamento dovrebbe indire nuove elezioni”. In caso contrario hanno annunciato nuove proteste. “Non abbiamo intenzione di accettare la frode elettorale e la violazione della Costituzione”, ha detto Lekić ai manifestanti.
Ma, anche se in linea di massima il governo si dichiara pronto a raggiungere un compromesso, non sembra abbia intenzione di soddisfare le richieste dell’opposizione. Il vicepresidente del DPS Svetozar Marović ha dichiarato che lo scopo dell’opposizione è la destabilizzazione del Montenegro e frenarne il percorso euro-atlantico. “Si tratta di forze politiche contrarie all’ingresso del Montenegro nell’UE e nella Nato”, ha chiarito Marović.
L’opposizione, guidata dal Fronte democratico (DF) di Lekić, ha annunciato che boicotterà anche i lavori del parlamento. In un momento in cui il paese sta affrontando una situazione economica sempre più grave - con la chiusura certa della più grande azienda del paese, il Kombinat di alluminio di Podgorica (KAP), l’aumento dell’IVA, e le richieste di Bruxelles di riformare il sistema giudiziario - la decisione dell’opposizione farà crollare ulteriormente la legittimità del governo del premier Milo Đukanović.  


Decisivo il ruolo dei socialdemocratici

Ecco perché gli occhi dell’opinione pubblica sono tutti rivolti verso il Partito socialdemocratico (SDP) di Ranko Krivokapić, partner minore di governo del DPS. Sono stati proprio i socialdemocratici la causa dello scarso risultato del candidato del DPS: non hanno infatti dato il loro sostegno a Vujanović, argomentando che la sua candidatura era anticostituzionale. Da come si comporterà questo partito dipenderanno i prossimi sviluppi politici in Montenegro.
Secondo la direttrice del settimanale indipendente di Podgorica Monitor Milka Tadić-Mijović, oggi il Montenegro si trova nella situazione in cui si trovava la Serbia il 5 ottobre del 2000 [anno della caduta di Slobodan Milošević, ndt]. La direttrice di Monitor sottolinea che le istituzioni stesse sono in pericolo e che quindi su Lekić e sull’opposizione pesa una grande responsabilità. “In molti si erano chiesti se fosse il caso di partecipare comunque alle elezioni visto tutti i meccanismi di manipolazione e le frodi rivelate dallo ‘scandalo Snimak’. Io credo che adesso l’opposizione, che ha in mano una vittoria di fatto, lotterà per la legittimità delle elezioni e per i cambiamenti democratici in Montenegro”, ha aggiunto Milka Tadić-Mijović.


Primavera in arrivo?

Alcuni esponenti dell’opposizione prevedono che, a causa di tutti problemi accumulati relativi a frodi elettorali, corruzione, criminalità e nepotismo, potrebbe nascere una “primavera montenegrina”, in particolare se il governo rimarrà fermo sulla sua posizione. “La formazione di un governo di transizione è l’unico modo per superare questa difficile situazione”, ritiene Miodrag Lekić.
Ad ogni modo, in Montenegro ormai c’è sempre meno tempo, spazio e risorse per sostenere questo dramma post-elettorale. Anche se non dovesse esserci un accordo fra il governo e l’opposizione in primavera, non c’è alcun dubbio che in autunno, in questo piccolo stato balcanico, si andrà ad elezioni politiche anticipate.


=== 3 ===



Official opposition protests Montenegro presidential election result


By Ognjen Markovic 
24 April 2013


Following the very narrow result in the presidential elections held on April 7 in Montenegro, the official opposition has lodged protests claiming voting irregularities and fraud. At a protest rally on April 20, the losing candidate called for the invalidation of the ballot and new elections. Politically, the almost evenly split vote reflects both widespread hostility to the ruling party and the incapacity of the opposition to successfully capitalize on public opposition.

In the two-candidate presidential race, the incumbent Filip Vujanovic from the ruling Democratic Party of Socialists (DPS) faced off against Miodrag Lekic, leader of the opposition Democratic Front (DF), who ran as an independent in an attempt to broaden his support.

The official result showed Vujanovic winning by 51.21 percent against Lekics 48.79 percent, about an 8,000-vote margin. Voter turnout was 63.9 percent, down from 70.5 percent at the last election.

Lekic immediately claimed various irregularities, ranging from pre-election intimidation and vote buying, to suspicious voting through the mail. On this basis, the opposition decided not to accept the results and appealed to the election commission and courts. The appeal by the opposition was dismissed and it then organized a protest rally, claiming that “the most brutal electoral theft” had taken place in what was nothing less than an “obvious and devastating coup”.

Up to 10,000 people gathered for the protest last week, a relatively significant number for Montenegro with a population of just 650,000. At the protest Lekic and his supporters called upon the prime minister, the president of parliament and the heads of political parties to annul the elections and call a new vote within 10 days. Otherwise, they threatened, they would organise even larger demonstrations.

The protest was ended by playing “Ode to Joy”, the anthem of the European Union. This was in line with the opposition’s policy of promoting illusions in the EU and appealing for support from the “international community” and “European institutions”.

Speaking of behalf of the EU, Petar Stano, spokesman for the EU Enlargement Commission, was forced to concede that “mistrust in public institutions and the judiciary diminished public confidence in the electoral process,” and instructed “all political parties in Montenegro to work constructively within Montenegrin institutions and undertake measures which increase public trust in them.” He then gave an official seal of approval to the result of the vote, overseen by international observers from the Organization for Security and Cooperation in Europe’s (OSCE) Office for Democratic Institutions and Human Rights, declaring that the elections were “professionally and efficiently run”.

The EU statement stands in stark contrast to the reactions of various Western institutions to similar claims of electoral irregularities in many countries where imperialism has a stake in destabilizing the ruling regime, as was most recently shown in Venezuela. The explanation is obvious: the DPS regime has long served imperialist interests in the region and still has a role to play—for the time being.

The DPS is the successor party to the Stalinist League of Communists of Montenegro and has constantly ruled the tiny country for more than two decades. Its rule is best personified in the figure of Milo Djukanovic, the current prime minister. Once a leading member of the Stalinist youth organization, in the early 1990s he evolved into a Serbian chauvinist and supported Slobodan Milosevic.

However, in the late 1990s he made an abrupt turn to the West, lining up behind the NATO bombing of Serbia and unilaterally introducing the German deutsch mark and later the euro as currencies in Montenegro, to circumvent Serbia in the selloff of state assets on the international market.

One privatization in particular stands out as a vivid example of the lawless, predatory character of the whole process—that of Prva Banka. A BBC investigation revealed last year how the Djukanovic family bought a controlling stake and “treated the bank like an ATM machine. A wonderful source of cash”. The audit papers unearthed by the BBC showed “that most of the money deposited at the bank came from public funds, while two thirds of the loans it made went to the Djukanovics and their close associates.”

Montenegro was hit hard by the global financial crisis in 2008. Gross domestic product dropped 5.7 percent in 2009, and has recorded insignificant growth since. The DPS-led regime has worked to impose the burden of the crisis on the working class, most recently through a special levy of €1 per month on every mobile phone, electric power or cable TV connection. Also, under pressure from the IMF and the EU, the regime has repeatedly signalled its readiness to raise the sales tax, waiting merely for the best political opportunity.

Wages in the country are falling, while prices are constantly rising. The dailyVijesti reported last month that the average wage has fallen from €518 (US$673) in January 2011 to €490 ($637) in January 2013, with around half of the employed earning between €300 and €480. The average consumer basket, on the other hand, has risen in price from €751 to €799 in the same period. An average electricity bill is around €50, and rent about €200 per month.

The DPS has a long history of manipulating election results. In February, a scandal broke out when a recording was leaked in which Employment Bureau Director Zoran Jelic was recorded saying: “Through these projects, we will mainly employ DPS members ... we want primarily to employ our own people.” He claimed that every job represented five votes for DPS, since they pressure the persons employed to ensure their family members also vote DPS. It has been reported that any successful career is dependent on DPS membership, which is as high as 100,000—or more than one fifth of the electorate.

Cronyism, corruption and falling living standards have produced widespread hostility towards the DPS. In the general elections of October 2012, the DPS-led coalition failed to win the absolute majority for the first time, but stayed in power through the setting up of a post-election coalition with small ethnic minority parties. Notwithstanding its huge blackmailing apparatus, the DPS was barely able to stay in power last October but has now been able to secure the presidency.

This is due in large part to the nature of the opposition. It speaks only for upper middle class layers dissatisfied with the current distribution of wealth, which favours the richest 10 to 15 percent. Opposition candidate Lekic embodies this layer—a former diplomat who has spent the last decade in Italy as a university professor, and was largely unknown in Montenegro until recently. Media reports reveal his monthly household income to be around €4,000, over eight times the average wage in the country, and on a par with Vujanovic’s €3,700.

A significant part of Lekic’s DF comes from split-offs from the DPS. For a long time the main opposition party in Montenegro was the Socialist People’s Party (SNP), which broke off from the DPS in the late 1990s, on the basis of retaining strong ties with Serbia. After Montenegro’s independence from Serbia in 2006, the SNP adopted a secular, pro-European orientation, though it is still tainted by its nationalist past in the eyes of many voters. Now one faction of SNP has split and officially joined the DF, while the other is openly supportive, but chooses not to join just yet.

The DF remains committed to EU membership, and therefore to the austerity policies dictated by the EU. The DF’s economic program reads like any IMF manual, calling for “structural changes,” a “strong and competitive economic sector,” a law to regulate “fiscal responsibility” and the removal of numerous limitations and barriers” for investment. At pains to differentiate themselves from the DPS, the DF has been critical of some of the worst excesses in the privatization process and official corruption, but is in complete agreement with the basic premise that the working class must pay for the crisis of the profit system. That is why they were largely unable to mobilize wider layers of the working class and capitalize on the widespread hostility to DPS.

The working class in Montenegro does not need a new middle rank manager in the form of the DF, which would implement the EU austerity, but rather a decisive break with the whole framework of austerity represented on the European continent, above all by the reactionary EU and its institutions. Such a break is possible only on the basis of the internationalist and socialist program of the International Committee of the Fourth International.


=== 4 ===


Le Courrier des Balkans

Monténégro : capitalisme, économie rentière et État de droit


Mise en ligne : mercredi 9 février 2011
Le nouveau gouvernement monténégrin, dirigé par un jeune technocrate formé à l’école néolibérale, annonce-t-il la fin du « système Đukanović » en vigueur depuis 1991 ? Rien n’est moins sûr. Klaus-Gerd Giesen analyse les structures fondamentales de l’économie monténégrine : économie rentière et monopolisation du pouvoir économico-politique par une poignée d’oligarques, des caractéristiques incompatibles aussi bien avec un « véritable » capitalisme qu’avec un État de droit.

Par Klaus-Gerd Giesen [1]


L’abandon fin décembre 2010 de ses fonctions publiques par Milo Đukanović, outre que cette décision satisfaisait une exigence formulée par plusieurs pays occidentaux et la Commission européenne en échange de l’attribution au Monténégro du statut de candidat à l’adhésion à l’Union européenne, donne l’impression – du moins vis-à-vis de l’extérieur – que le système politique monténégrin correspond désormais parfaitement à l’idéal de la démocratie parlementaire et de l’État de droit. Le nouveau gouvernement, épuré de plusieurs poids lourds de la politique et dirigé par un jeune technocrate formé à l’école néolibérale, annonce-t-il la fin du « système Đukanović » en vigueur depuis 1991 ? Disposera-t-il d’une réelle marge de manœuvre pour moderniser le Monténégro ?

Afin de pouvoir apporter des réponses à ces questions il convient de laisser de côté la trame événementielle et d’analyser la structure du système de pouvoir tel qu’il existe au-delà du seul Etat. En s’inspirant des travaux précurseurs de Joseph Schumpeter et d’Anthony Downs [2], on peut conceptualiser la démocratie libérale en analogie avec le marché : les partis politiques correspondent aux entreprises qui mobilisent d’importantes ressources (financières, argumentatives, de marketing, etc.) pour attirer et fidéliser des clients (les électeurs). En principe, le meilleur produit (le meilleur argument électoral) doit l’emporter sur ce « marché politique », à condition toutefois que la concurrence entre « marchands de vote » s’exerce librement, c’est-à-dire sans entraves ni déformations. Dans ce modèle, la principale différence entre les deux marchés, économique et politique, réside dans le fait que l’activité de l’entrepreneur du secteur privé est motivée par l’appât du gain pécuniaire, tandis que le politicien vise, selon Schumpeter, à s’emparer du pouvoir sur l’administration pour des raisons narcissiques de prestige. Il n’en reste pas moins que la libre et permanente compétition entre entrepreneurs égoïstes et entre politiciens avides de pouvoir peut spontanément créer un ordre qui, paradoxalement, favorise l’intérêt général.

Cela suppose toutefois que de nouvelles entreprises et de nouveaux partis politiques puissent facilement entrer sur les marchés respectifs (absence de monopole, de duopole ou d’oligopole) et offrir de nouveaux produits (respectivement des biens et services, ou des arguments électoraux et des idéologies) aux clients (électeurs), et que ceux-ci soient pleinement et impartialement informés par des médias libres et indépendants, tentent de maximiser leurs intérêts particuliers bien compris et jouissent des garanties de l’Etat de droit (l’ensemble des pouvoirs publics – et pas seulement l’administration - se soumettent au droit et, en outre, respecte les droits fondamentaux tels que la propriété privée, les libertés publiques, etc.). En d’autres termes, la démocratie libérale est d’abord le miroir politique du capitalisme. Plus encore, le capitalisme rend possible la démocratie et l’Etat de droit.

En effet, les deux marchés, économique et politique, étant in fine hiérarchisés, dans la mesure où le « marché politique » régule, de par ses décisions, le marché économique, la démocratie et l’état de droit ne sont possibles que parce que historiquement la bourgeoisie, c’est-à-dire ceux qui détiennent les moyens de production, a accepté après les révolutions américaine et française de la fin du 18e siècle de partager le pouvoir politique avec le plus grand nombre (les classes sociales inférieures). Elle a progressivement consenti au partage du pouvoir en Europe occidentale et en Amérique du Nord parce qu’elle y voyait plus d’avantages que d’inconvénients : modernisation constante par réformes successives plutôt que risque de perte de pouvoir par révolutions ; stabilités politique et économique à long terme ; consentement des classes sociales inférieures ; légitimité de l’exercice du pouvoir ; neutralité de l’Etat par rapport à la sphère économique ; etc. [3] La démocratie et l’État de droit ont donc historiquement été constitués au fil de l’approfondissement de la structure capitaliste de la société en Europe occidentale et en Amérique du Nord, parce qu’ils correspondent à l’image mentale et à l’intérêt bien compris de la bourgeoisie. Puis, on a tenté d’exporter le modèle vers les anciennes colonies et les anciens pays socialistes. Parfois cela a très bien fonctionné, comme par exemple au Costa Rica ou en Inde (la plus grande démocratie au monde) ou encore dans certains pays d’Europe centrale (Pologne et République tchèque), mais dans beaucoup de cas – notamment en Afrique et en Asie – le substrat économique de la démocratie et de l’Etat de droit manque tout simplement. La greffe de « l’État importé » n’y a pas prise pour des raisons à chaque fois spécifiques. [4]

Tel est également le cas du Monténégro. La démocratie et l’État de droit ne peuvent pas pleinement s’y déployer parce que le garant d’un tel système n’est de loin pas assez développé : la bourgeoisie. En effet, l’économie monténégrine dépend dans une très large mesure de trois types d’acteurs économiques dont les intérêts restent diamétralement opposés à ceux de la bourgeoisie et qui bloquent de ce fait la démocratisation du pays au-delà des professions de foi constitutionnelles. Tout d’abord les capitalistes étrangers qui ont pu mettre la main, à très bon prix, sur une importante partie des appareil productif et patrimoine monténégrins, à la faveur de processus douteux de privatisation, de vente et d’attribution des concessions. Ces oligarques russe, canadien, etc. poursuivent leur agenda en fonction d’intérêts exogènes, rapatrieront leurs profits à l’étranger, ne se sentent pas concernés par le marché économique local (sauf le marché du travail) et se soucient comme de leur dernière chemise du processus de démocratisation du Monténégro. Le deuxième groupe est constitué par les travailleurs exilés et les marins de la côte qui soit placent dans l’immobilier leurs revenus non négligeables réalisés à l’étranger soit les épargnent. Rarement ils sont investis sous forme de capital-risque pour fonder et faire fructifier des petites ou moyennes entreprises de production ou de services, ce qui représente la principale fonction économique de l’entrepreneur bourgeois.

Une économie rentière

Enfin, le troisième type d’acteur qui règne sur l’économie monténégrine est celui que les théoriciens à la fois néolibéraux, keynésiens et néomarxistes désignent comme étant le principal ennemi du capitalisme : le rentier. Il s’agit de l’entrepreneur indigène qui altère le bon et libre fonctionnement du marché national parce qu’il dispose d’un accès privilégié aux ressources, régulations et arbitrages de l’Etat, soit par la corruption, soit par l’intimidation de ses concurrents potentiels. Cela peut se traduire par exemple par le sauvetage incongru d’une banque avec l’argent de l’Etat, par l’octroi de licences de télécommunication et d’électricité ou de permis de construction suite à des procédures administratives viciées, ou par des contrats de travaux publics de toutes sortes.

Le rentier garde toute l’apparence de l’entrepreneur bourgeois, mais il n’en remplit nullement les fonctions économiques et politiques. Par opposition au capital productif, le capital issu d’une rente de situation ne contribue pas à l’augmentation des compétitivité et productivité de l’économie nationale. Pis, le rentier contamine l’ensemble du système économique et politique, et empêche qu’une bourgeoisie libre et indépendante de l’Etat et, partant, un « marché politique » puisse éclore. Si au Monténégro les rapports avec les oligarques étrangers de haut vol et d’importants trafiquants en tout genre semblent de toute évidence relever du domaine réservé de la clique autour de Milo Đukanović, à un niveau inférieur les barons locaux – par exemple les clans autour de Svetozar Marović à Budva ou de Miomir Mugoša à Podgorica – jouissent du quasi monopole des rapports avec les rentiers indigènes et les investisseurs étrangers de moindre envergure. D’une telle division du travail, érigée en véritable système, résulte non seulement une inertie et moindre compétitivité de l’économie monténégrine. Elle fait aussi obstacle à ce que la société civile accède à une réelle indépendance vis-à-vis de l’État ou des sources étrangères de financement (Union européenne, fondations, etc.) [5] ; de ce fait les associations (religieuses, politiques, de protection des droits de l’homme ou d’environnement, syndicalistes, etc.) rassemblent beaucoup moins librement les aspirations des individus qu’en Europe occidentale, où elles bénéficient des largesses financières de la bourgeoisie nationale, et ne peuvent pas pleinement fonctionner comme contre-pouvoirs face aux structures gouvernementales. De même, les médias nationaux s’avèrent être tous soit dépendants des rentiers ou du gouvernement, soit régulièrement intimidés, voire physiquement agressés. La transparence, indispensable à la bonne marche du « marché politique », n’est donc de loin pas assurée. L’achat de votes d’électeur reste fréquent, un phénomène que les observateurs électoraux officiels de l’UE et de l’OSCE s’obstinent à ne pas repérer.

En dépit des apparences qui, sur le papier, garantissent formellement la démocratie et l’Etat de droit [6], les conditions socio-économiques de la démocratisation du Monténégro ne sont pas réunies : la bourgeoisie nationale indépendante, mobilisant du capital productif, manque à l’appel. Cela explique que tous les changements importants dans la vie du pays – engagement dans la guerre de l’ex-Yougoslavie, introduction unilatérale du Deutsche Mark puis de l’euro comme monnaie nationale, sécession avec la Serbie – représentaient autant de « révolutions d’en haut », et qu’à la différence de la Serbie (renversement du régime de Slobodan Milošević) et d’autres pays en transition aucune mobilisation populaire de contestation n’ait jamais eu lieu. Il est toutefois vrai aussi que l’unité du pays a ainsi été préservée en dépit d’une hétérogénéité ethnique considérable. [7]

Le système en place peut être qualifié de néopatrimonialiste. [8] En effet, deux sous-systèmes s’interpénètrent : d’un côté la bureaucratie et l’Etat fonctionnant officiellement selon des principes légaux et rationnels, et de l’autre le clientélisme des rentiers nationaux et des oligarques étrangers. Ce dernier sous-système contamine et pervertit le premier. L’Etat se mue aussitôt en une simple agence de redistribution de l’argent du contribuable et des autres ressources étatiques vers les rentiers et oligarques, et entrave l’émergence d’un marché économique libre et, partant, d’une bourgeoisie digne de ce nom. Le capital investi au Monténégro, à quelque niveau que ce soit, n’est pratiquement jamais du capital-risque productif dans un environnement de libre concurrence, tout risque étant éliminé d’emblée par le clientélisme. Les rentiers - ces ennemis intimes du capitalisme et de la démocratie dominent le jeu.

Une transition dans la douleur encore à venir

Le nouveau gouvernement monténégrin a été mis en place par le précédent et demeure pleinement enchâssé dans les structures néopatrimonialistes. Milo Đukanović, en restant à la tête du principal parti gouvernemental (le DPS qui a succédé à l’ancienne Ligue des communistes), garde la mainmise sur le gouvernement. [9] La marge de manœuvre d’Igor Lukšić pour moderniser le pays s’avère être des plus étroites. Cependant, s’il ne souhaite pas se contenter de la fonction de simple parenthèse entre deux gouvernements Đukanović il peut s’atteler à jeter au moins quelques bases favorisant l’éclosion d’une bourgeoisie indépendante, notamment par davantage de mesures fiscales et structurelles en faveur des PME [10], en rendant beaucoup moins opaque l’attribution des marchés publics, et en œuvrant en faveur d’une véritable indépendance de la justice et de la banque centrale. Son prisme néolibéral devrait l’y inciter.

Quant à l’Union européenne et ses Etats membres, exerçant leur soft power par le biais de la perspective d’adhésion du Monténégro à l’horizon de 2020 [11], ils auraient également un rôle à jouer en affectant leurs aides économiques encore plus directement au secteur privé monténégrin, après une libre mise en concurrence des candidats et sans passer par les structures étatiques m

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UN SACCO DI SOLDI

Restituzione dei beni: la Chiesa croata non demorde
(da “la Voce del Popolo” del 25 luglio 2013)

La Chiesa cattolica confida in una soluzione equa per il problema legato alla restituzione dei beni confiscati dal regime comunista jugoslavo. I rappresentanti della Conferenza episcopale croata (HBK) in seno alla Commissione mista Stato-Chiesa per la restituzione dei beni hanno rilevato la necessità di stabilire le linee guida prioritarie al fine di agevolare la chiusura dei problemi aperti, connessi alla tematica trattata dall’organo bilaterale.
All’incontro hanno preso parte il cardinale Josip Bozanić, arcivescovo di Zagabria e responsabile della Commissione episcopale per i rapporti con lo Stato, il vicepresidente della Commissione mista Stato-Chiesa, mons. Fabijan Svalina, il segretario generale della HBK, mons. Enco Rodinis, mons. Ivan Hren, il reverendo, Ivica Žuljević, il rappresentante degli ordini religiosi, padre Kristijan Dragan Rajič, Zvjezdana Znidarčić e Nikola Matijević. Nel corso dell’incontro è stato analizzato il lavoro svolto fino ad ora e abbozzato un elenco dei possibili temi da affrontare in futuro in seno alla Commissione mista.
Il patrimonio immobiliare sottratto alla Chiesa cattolica in Croazia è enorme. Stando ad alcune stime circa il 10 p.c. di tutte le terre coltivabili dovrebbe essere reintestato alle varie parrocchie. Inoltre, solo a Zagabria alla Chiesa dovrebbero essere restituiti o risarciti circa un migliaio di appartamenti, per non parlare del fatto che alla Chiesa sono stati espropriati pure buona parte dei terreni sui quali sorge la parte moderna di Zagabria (Novi Zagreb). Un’area nella quale oggi vivono centinaia di migliaia di persone.
Esempi analoghi si potrebbero fare per la maggior parte delle località in Croazia, parchi nazionali e aeroporti compresi. Difatti, pare che la pista dell’aeroporto di Zara e circa due terzi del Parco nazionale dell’isola dalmata di Meleda (Mljet) sorgano su terreni espropriati alla Chiesa cattolica.