Informazione



Patria Indipendente (mensile dell'ANPI), aprile 2013, p.40

Intere divisioni del “Regio Esercito” passarono ai partigiani

Migliaia i soldati italiani morti per la libertà della Jugoslavia

La scelta nell’ottobre del 1943. La decisione del Generale Oxilia e dei suoi 12 mila soldati. Anche la divisione “Taurinense” decise di battersi contro i nazisti. Via via la scelta giusta di tanti altri. I partigiani della “Garibaldi”. La bandiera italiana a Belgrado liberata

di Giacomo Scotti

Ufficialmente, la data di nascita del nuovo Esercito Italiano, quello cioè risorto dopo la caduta del fascismo, si fa risalire all’8 dicembre 1943, giorno in cui il Primo Raggruppamento Motorizzato, con circa 6.000 uomini, venne impiegato al fianco della 36a Divisione americana nell’azione per la conquista di Monte Lungo a sud di Cassino. Cinque mesi dopo, il 18 aprile 1944, quel Raggruppamento si trasformava nel Corpo Italiano di Liberazione che raggiungeva nel periodo del suo massimo potenziamento una forza complessiva di circa 24.000 uomini. Secondo me, la vera data di nascita del nuovo esercito italiano inteso come esercito democratico, antifascista e parte integrante della coalizione antihitleriana nella seconda guerra mondiale dovrebbe essere anticipata al 9 ottobre 1943, giorno in cui il generale Giovanni Battista Oxilia, comandante della Divisione di fanteria da montagna “Venezia”, firmò a Berane, in Montenegro, un documento con il quale dichiarava che la Divisione “Venezia”, forte di 12.000 uomini, “al completo, con tutte le armi, equipaggiamenti, vettovagliamenti e magazzini di cui dispone” restava nel territorio jugoslavo per combattere contro i tedeschi al fianco dei partigiani, coordinando le azioni militari con il comando del II Korpus dell’Esercito popolare di liberazione della Jugoslavia (EPLJ), i cui uomini entrarono a Barane il mattino del 10 ottobre.
Quasi contemporaneamente, nel settore di Nikšić, sempre in Montenegro, l’esempio della “Venezia” venne seguito dalla Divisione alpina “Taurinense” al comando del generale Giovanni Vivalda. Questa Divisione, nel frattempo, era stata più che dimezzata in una serie di combattimenti contro i tedeschi, contro i filofascisti cetnici e contro gli stessi partigiani, nell’inutile tentativo di raggiungere la costa per l’imbarco, ma al tempo stesso nel generoso sforzo di portare aiuto alla Divisione “Marche” in Erzegovina e alla Divisione “Emilia” nelle Bocche di Cattaro.
Gli uomini della “Marche” furono quasi completamente catturati dai tedeschi; gli uomini dell’«Emilia» riuscirono in parte a raggiungere l’Italia. I superstiti della “Taurinense” – che erano stati attaccati perfino da reparti della Divisione “Ferrara” passata ai tedeschi – divennero tuttavia la punta di diamante della nuova unità di combattimento affiancatasi all’esercito di Tito.
Il 12 ottobre, quasi a inaugurare il nuovo capitolo della storia dell’esercito italiano, due aerei Macchi 205 partiti dalle Puglie raggiunsero il cielo di Berane, lanciarono il cifrario e stabilirono un collegamento radio regolare fra le due Divisioni e il Comando Italiano insediato a Brindisi. Questo nuovo esercito regolare italiano affiancatosi ai partigiani jugoslavi contava circa 14.000 uomini. Alcune altre migliaia di soldati italiani, tuttavia, inseriti direttamente in varie Brigate jugoslave, già combattevano da un mese contro i tedeschi nel vasto scacchiere del Montenegro, delle Bocche di Cattaro e del Sangiaccato, avendo compiuto autonomamente e con notevole anticipo sulle decisioni dei generali Oxilia e Vivalda, la scelta della lotta partigiana. Mi riferisco, in particolare, al Battaglione “Italia” comandato dal capitano Mario Riva della “Venezia” e alla Brigata di artiglieria alpina “Aosta”, comandata dal maggiore Carlo Ravnich, il quale diventerà poi comandante della Divisione partigiana “Garibaldi” sorta nel dicembre dalla fusione delle Divisioni “Venezia” e “Taurinense” e dalla loro ristrutturazione secondo le norme dell’esercito partigiano jugoslavo.
Erano stati proprio gli uomini di una batteria del Gruppo “Aosta”, la sesta batteria del tenente Francesco Perello, a impegnare i tedeschi nel primo scontro in terra jugoslava, alle ore 8 del mattino del 9 settembre. Una colonna autocarrata tedesca, avvistata all’inizio della piana di Nikšić mentre scendeva da Šavnik, venne fermata e costretta a ripiegare a colpi di cannone. Il maggiore Ravnich premiò i suoi uomini con un bigliettone da 500 lire e una lettera di encomio: “Bravi artiglieri!”. Sarebbe qui lungo raccontare la storia della Divisione partigiana italiana “Garibaldi”, le aspre battaglie sostenute dalle sue Brigate sulle aspre montagne del Montenegro e nei boschi della Bosnia, nei comprensori dei fiumi Piva, Tara, Drina, Lim, da Pljevlja ad Andrijevica, da Kolašin a Gacko, fino a Dubrovnik dove per i suoi uomini la guerra terminò l’8 marzo 1945. Nel mio volume “Ventimila Caduti” ho dedicato a questa Divisione circa 300 pagine e non sono riuscito che a dare una sintesi della sua dura e gloriosa odissea. L’epilogo è questo: su 19.000 soldati e ufficiali, rientrarono alle loro case soltanto 12.567 uomini. In combattimento ne caddero 3.272, altri 3.072 furono dati per dispersi, 128 morirono nella prigionia tedesca. Totale delle perdite, 6.472 uomini, un terzo degli effettivi.

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Nei giorni in cui i superstiti della Divisione “Garibaldi” s’imbarcavano a Dubrovnik diretti a Bari, nel marzo 1945, un’altra Divisione partigiana italiana, l’«Italia», inserita nel Primo Corpo d’armata, sotto il comando del generale Koča Popović, combatteva strenuamente sul fronte del Danubio, nella pianura dello Srem, avanzando verso Zagabria. La Divisione “Italia”, sia detto subito, fu l’espressione del più genuino volontarismo dei soldati antifascisti italiani sorpresi dall’armistizio in terra jugoslava. La sua genesi ci riporta a due Battaglioni; il “Garibaldi” costituitosi ufficialmente a Spalato l’11 settembre 1943 con circa 400 uomini in maggioranza carabinieri e fanti, ed il “Matteotti” inquadratosi con 250 uomini a Livno, in Bosnia, all’inizio di ottobre.
Quasi tutti venivano dalla Divisione “Bergamo” i cui uomini avevano difeso strenuamente, insieme ai partigiani, i passi montani attraverso cui, dopo circa un mese di strenui combattimenti, i tedeschi riuscirono a penetrare nel capoluogo della Dalmazia. Sia il “Garibaldi” che il “Matteotti” furono inseriti nella Prima Divisione proletaria, la più agguerrita formazione dell’esercito di Tito. Questi Battaglioni presero parte alle più epiche battaglie della guerra di liberazione jugoslava dalla Dalmazia alla Bosnia, dal Sangiaccato alla Serbia, fino alla liberazione di Belgrado avvenuta il 20 ottobre 1944.
Nella capitale jugoslava, dove gli italiani gareggiarono in eroismo con le migliori unità di Tito e con i reparti corazzati sovietici del maresciallo Tolbuhin, furono essi a innalzare la prima bandiera dell’Italia democratica sull’edificio dell’Ambasciata italiana e fu il commissario politico dell’«Italia», Innocente Cozzolino, a svolgere provvisoriamente le funzioni di console italiano nella nuova Jugoslavia. Il Maresciallo Tito volle che i due Battaglioni italiani sfilassero in prima fila nella rivista che gli passò ai reparti liberatori.
Sempre a Belgrado, in seguito alla liberazione di alcune migliaia di soldati italiani che avevano sofferto la prigionia tedesca, nacquero altri due Battaglioni, “Fratelli Bandiera” e “Goffredo Mameli”. Nacque così la Brigata “Italia”, divenuta poi Divisione con l’afflusso continuo di nuovi volontari, che sbucavano da ogni parte lungo il cammino di guerra. L’8 maggio 1945 i combattenti dell’«Italia», dopo altri duri combattimenti sostenuti a Tovarnik, a Pleternica, sul monte Slijem, entravano vittoriosi a Zagabria. Erano circa 5.000 uomini ormai, strutturati su 12 Battaglioni, al comando di Giuseppe Maras, ex sottotenente dei bersaglieri; commissario politico Carlo Cutolo, ex tenente di fanteria; vice comandante e capo di stato maggiore il tenente Aldo Parmeggiani; vice commissario Attilio Mario Ceccarelli, ex soldato semplice; capo dei servizi stampa, cultura e propaganda Innocente Cozzolino, ex sottotenente; commissario di collegamento l’ex sergente Mario Gatani Tindari, siciliano, il quale era passato ai partigiani fin dal 1942.
Nel cimitero di Zagabria, dove riposano le ossa degli ultimi caduti della Divisione “Italia”, sorge un monumento sul quale si leggono queste parole: «Compagno, quando vedrai mia madre dille di non piangere. Non sono solo. – Giace al mio fianco un compagno jugoslavo. Che nessuno ardisca gettare fango sul sangue sparso nella lotta comune. Trovammo qui fede madre pane fucile. I morti lo sanno. I vivi non lo dimenticheranno. Fiumi di sangue divisero due popoli. Li unisce oggi il sacrificio dei compagni migliori».

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Le Divisioni “Garibaldi” e “Italia” non furono gli unici reparti italiani che combatterono nelle file dell’esercito popolare di liberazione della Jugoslavia. Minori reparti italiani, della forza di Battaglioni e compagnie, fecero parte di numerose Brigate e Divisioni jugoslave; altri combattenti italiani, si aggregarono individualmente alle unità partigiane. Sta il fatto, evidenziato anche da uno scritto del generale Kosta Nadj, che «dopo la capitolazione italiana, ma in parte già prima, oltre quarantamila soldati dell’esercito italiano di occupazione passarono nelle file dell’Armata di liberazione di Tito». Le fonti ufficiali jugoslave affermano che nell’EPLJ militarono ben 50 formazioni di italiani della forza di compagnie, Battaglioni, Brigate e Divisioni.
Gli italiani per il loro numero, superarono la metà degli effettivi totali di tutte le formazioni volontarie composte da non jugoslavi. Il contributo è evidenziato anche dal fatto che ben ventimila sacrificarono la vita in terra jugoslava, praticamente la metà di tutti i combattenti. La cifra era stata evidenziata dallo stesso Tito in un messaggio agli ex combattenti italiani dell’aprile 1969. Di alcune di queste formazioni, i cosiddetti “reparti dispersi”, ho scritto nel libro “Il Battaglione degli straccioni”. Ricorderò qui, rapidamente, il Battaglione “Mameli” sorto nel retroterra di Zara nella seconda metà di settembre del 1943, e distintosi nelle file del Distaccamento “PIavi Jadran”; il “V Battaglione Italiano” della II Brigata Banjiska; il Battaglione “Ercole Ercoli” che militò nella III Brigata dalmata e poi nella IV Brigata di Spalato; varie compagnie italiane inserite nella V e nella IV Brigata Krajska della Bosnia; una compagnia “Garibaldi” che divenne il nucleo della I Brigata macedone kosovana nel Kosovo e in Macedonia; un gruppo di artiglieria composto di oltre 300 uomini nella XIII divisione croata del Gorski Kotar. E si potrebbe continuare. Ecco, fra tanti altri dati citabili quelli inerenti la composizione nazionale delle unità dell’XI Corpo d’armata della Croazia nel dicembre 1944: su 11.000 combattenti, 482 sono italiani; oppure le statistiche dell’VIII Corpo d’Armata, sempre in Croazia, alla data del 28 gennaio 1945: vi militavano 1.685 combattenti italiani (di cui 76 ufficiali), suddivisi in sei Divisioni, nelle Brigate carristi e di artiglieria.
Alcuni reparti ebbero una storia breve e drammatica, come il Battaglione “Garibaldi” formato da 800 soldati del I Battaglione di Guardie di Frontiera nel Gorski Kotar e inquadratosi il 12 settembre 1943 nel Distaccamento Fiume-Sušak. Questi uomini sostennero l’urto principale della grande offensiva tedesca sferrata in ottobre sulle posizioni partigiane che dominavano il Golfo del Quarnero e più della meta caddero in combattimento. I superstiti raggiunsero in parte l’Italia, dove continuarono a combattere nelle file della Resistenza, e in parte la Slovenia dove si inserirono nei Battaglioni e Brigate di quella regione.

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A questi combattenti partigiani italiani venuti dalle file di un esercito che per circa trenta mesi, dall’aprile 1941, avevano sostenuto il disonorevole compito di occupatori, vanno aggiunti i volontari civili nelle terre dell’Istria e del Quarnero. In quelle terre, dominate per oltre cento anni dall’Austria e poi cedute all’Italia, dopo la prima guerra mondiale, la maggioranza della popolazione slava aveva visto negli italiani non il nemico ma il fratello nella sventura. Il vero nemico era il fascismo che aveva perseguitato per venti anni gli antifascisti sia slavi che italiani. Gli antifascisti italiani, anzi, erano sempre stati in testa nella lotta contro gli sfruttatori e gli oppressori, pagando con la galera e le persecuzioni.
Già in precedenza, fin dall’agosto del 1942, numerosi italiani combattevano nelle file della Prima Compagnia partigiana dell’Istria, ed oltre 300 avevano varcato il vecchio confine per raggiungere i partigiani in Slovenia e in Croazia. Nel settembre 1943, l’Istria poté formare reparti partigiani con 12.000 combattenti, italiani e croati. Migliaia di operai, pescatori, contadini, studenti e intellettuali di Pola, Rovigno, Parenzo, Fiume e di altre località costituirono speciali reparti della minoranza italiana nelle Brigate e Divisioni slave della stessa regione. Il reparto più famoso di quelle terre fu e resta il Battaglione “Pino Budicin” nelle cui file passarono oltre 2.000 combattenti e che ha dato due riconosciutissimi eroi. Del suo cammino di lotta, e della lotta condotta dagli altri italiani dell’Istria nelle formazioni armate di Tito si parla diffusamente nel libro “Rossa una stella”.

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Un altro aspetto del contributo italiano alla guerra popolare di liberazione della Jugoslavia è costituito dalla presenza di grosse unità partigiane italiane, della forza di Battaglioni, Brigate e alla fine di un’intera divisione, nel territorio della Slovenia. Solo parzialmente quei reparti furono formati da ex militari dello sciolto esercito di occupazione. La maggior parte degli effettivi era di civili: migliaia di volontari affluiti dalle terre d’oltre Isonzo, soprattutto dai territori di Trieste e del Friuli.
Non a caso il primo reparto della Resistenza armata in Italia, il Distaccamento “Garibaldi” costituitosi nel Friuli nel marzo del 1943, parecchi mesi prima della caduta del fascismo e dell’armistizio, dunque, nacque dall’unione di uomini che avevano militato nell’esercito partigiano sloveno o che furono calamitati sulle montagne in quel periodo dagli appelli dell’esercito di Tito che già operava nella Venezia Giulia dal 1942, cacciando i fascisti dalla Selva di Tarnova, un vasto altipiano ad est e a nord-est di Gorizia, costituendovi una propria “Zona libera”. Allorquando i tedeschi, nel settembre-ottobre del 1943, investirono con le loro truppe di rincalzo le terre della Venezia Giulia per dilagare a Gorizia, a Trieste e verso l’Istria, furono i partigiani sloveni ad accogliere nelle loro file i combattenti partigiani italiani della “Brigata Proletaria” e della “Brigata Trieste” che si erano sbandate dopo aver sostenuto per alcune settimane l’urto tremendo delle Divisioni hitleriane. Nacquero allora, e in seguito, in territorio sloveno, i Battaglioni “Triestino d’Assalto”, “Giovanni Zol”, “Alma Vivoda”, “Mazzini” e altri, poi via via le Brigate “Garibaldi-Trieste”, “Fratelli Fontanot” e nell’estate del 1944 la gloriosa divisione “Garibaldi-Natisone” che militò nei ranghi del IX Corpo d’armata sloveno fino alla liberazione della Slovenia e dell’intera Venezia Giulia. Oltre che a entrare vittoriosi a Gorizia ed a Trieste con i reparti jugoslavi, i partigiani italiani presero parte anche alla liberazione di Lubiana, il 9 maggio 1945. Il contributo di sangue dato dagli italiani fu altissimo anche in Slovenia: soltanto nelle operazioni dell’aprile 1945 caddero un migliaio di combattenti.

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Nel glorioso capitolo del volontarismo italiano in Jugoslavia, che venne a ricomporre nella seconda guerra mondiale il filo della tradizione garibaldina – per tutto l’Ottocento e gli inizi del nostro secolo, centinaia di volontari italiani si erano infatti recati in Balcania, dal Montenegro alla Macedonia, dalla Bosnia alla Serbia, a combattere al fianco di quei popoli nelle loro lotte insurrezionali contro il giogo ottomano – una pagina particolarmente luminosa fu scritta da quei combattenti che varcarono spontaneamente l’Adriatico per unirsi ai partigiani jugoslavi. Giunsero soprattutto nel periodo marzo 1944-aprile 1945 dalle regioni meridionali della penisola, arruolandosi nelle cosiddette “Brigate d’Oltremare” che andavano formandosi nelle Pugile con l’adesione di ex prigionieri e detenuti politici, deportati dalla Dalmazia, dal Montenegro e dalla Venezia Giulia. Insieme a circa 30 mila jugoslavi, si arruolarono alcune migliaia di italiani. Ci fu un Battaglione, l’«Antonio Gramsci», forte di 800 uomini, composto esclusivamente da giovani volontari italiani, in parte ex militari e in parte civili: siciliani, pugliesi, calabresi e di altre regioni del Mezzogiorno che preferirono raggiungere la Jugoslavia piuttosto che attendere le lungaggini burocratiche opposte dagli Alleati e dallo stesso Governo Badoglio alla loro volontà di combattere subito e con durezza contro i tedeschi. Di quel Battaglione, 300 uomini non tornarono.

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Nelle formazioni di Tito militarono antifascisti d’ogni regione d’Italia, umili contadini e professori universitari, medici e cappellani, antifascisti di vecchia data ed ex fascisti ravveduti e tante donne. Nelle mie ricerche ho incontrato addirittura due fanfare militari, composte in prevalenza da italiani, nella 50a Divisione partigiana serba e nella II Brigata d’assalto dalmata. Ho rintracciato italiani che fecero parte dei più delicati corpi dell’EPLJ: i reparti dell’antiterrorismo che davano la caccia alle spie e sabotatori ed ai collaborazionisti; i reparti commandos della Marina partigiana che operavano fra le isole dell’arcipelago dalmato nei compiti più rischiosi e perfino nell’aviazione. Basti per tutti il caso del tenente pilota Luigi Rugi, l’unico italiano partigiano del cielo nella seconda guerra mondiale. Fuggito nel settembre 1943 dall’aeroporto di Gorizia a bordo di un aereo-scuola che era stato catturato dai tedeschi, fece un atterraggio di fortuna in Slovenia, di lì passò in Croazia e poi in Bosnia. A Livno, dove per ordine di Tito si costituì la Prima squadriglia aerea partigiana, Rugi ne fu uno dei fondatori. Quella squadriglia ebbe 7 Caduti fino alla fine della guerra; l’ultimo a sacrificare la vita fu proprio l’italiano. Cadde il 30 aprile 1945, nel giorno del suo ventiquattresimo compleanno, a pochi giorni dalla liberazione. Qualche mese prima, sull’isola di Vis, era stato insignito personalmente da Tito dell’Ordine al Valore.


[ LE FOTO:
La Brigata italiana “Fontanot” appena formata in Slovenia si dirige verso le postazioni
Il Battaglione “Garibaldi” in marcia da Valjevo verso Lajkovac nel 1944
Un reparto della Divisione “Italia” in Jugoslavia
Inverno 1944-45: la Divisione “Italia-Matteotti” in un momento di sosta
Il generale Dapcevic e i combattenti della Divisione “Garibaldi-Berane” nel dicembre 1943
Il Battaglione “Garibaldi” della Brigata “Italia” durante i combattimenti per le strade di Belgrado nell’ottobre del 1944



(francais / italiano)

Appunti sull'annessione della Croazia alla UE

1) Croazia, da UE “benvenuto” poco convinto (tmnews.it) / Croazia: UE in dirittura d’arrivo, tra crisi e indifferenza (ANSA)
2) La Croazia europea a rischio sanzioni. Appena entrata subito bocciata (Il Piccolo)
3) Istria, turisti russi “in fuga” dai visti (Il Piccolo)
4) Croatie : sur les chantiers navals de Split, on licencie tout le monde !
5) Allargamento UE, Lubiana punta a fermare i lavoratori croati (Il Piccolo) / Slovenia chiude mercato lavoro per 2 anni  (ANSA)

LINKS:

Botta e risposta sulla Croazia nella U.E. (gennaio-febbraio 2012)
Il presidente del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, Ivan Pavičevac, è ritornato all'inizio del 2012 sulla questione della adesione della Croazia alla Unione Europea con una lettera di protesta inviata a titolo personale a Bruxelles. Un simile intervento lo aveva tentato già un paio di anni prima, ricevendo come risposta un evasivo "La Croazia non è ancora formalmente candidata all'adesione...". Ecco, dopo due anni la Croazia è formalmente candidata, ed il 1/7/2013 se ne celebra infine la adesione, benché la sanguinosa storia recente della sua "indipendenza" sia nota a tutti, ed ai funzionari UE meglio che agli altri.

Elementi sul neo-ustascismo e sulla vera natura della "Guerra Patriottica" in Croazia 

La cancellazione della Repubblica Serba di Krajina: crimini di guerra e desaparecidos 

Intervista al prof. Aldo Bernardini sul carattere del nuovo Stato indipendente croato dal punto di vista del Diritto Internazionale

A Maastricht il ricatto tedesco: se volete l'Unione Europea dovete uccidere l'unità jugoslava 

e dalla newsletter JUGOINFO:

Pulizia etnica in Croazia

Croazia, si stringe il cappio UE-FMI al collo dei lavoratori 

Croatia: EU accession and social massacre 

Referendum u Hrvatskoj 

e inoltre:

Croazia, il nuovo membro "euro-indifferente"
di Francesco Martino - OBC 24 giugno 2013

Croazia nell'UE, ma a pezzi
di Matteo Tacconi - OBC 27 giugno 2013


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Croazia, da UE “benvenuto” poco convinto

www.tmnews.it 24 maggio 2013 - Da una settimana un enorme cartellone sulla sede di rappresentanza della commissione europea dà il “benvenuto alla Croazia” che il primo luglio diventa ufficialmente il 28esimo membro dell'Unione. Ma Zagabria si unisce al club europeo in una fase di difficoltà economiche sedimentate e di scarso interesse, a dir poco, per la causa del continente unito. Un rapporto pubblicato da Bruxelles lo scorso 29 maggio mette in guardia a chiare lettere: l'esecutivo comunitario potrebbe avviare in tempi brevi una procedura per deficit eccessivo contro la Croazia, per sforamento del tetto sul deficit di bilancio.
Il debito croato rappresenta al momento il 54% del Pil, ma, secondo la Commissione, supererà ampiamente la soglia del 60% nel 2014, oltre i limiti fissati dall'Ue. Zagabria prevede per quest'anno una crescita economica dello 0,7% e del 2,4% l'anno prossimo, mentre la Commissione mette in conto un arretramento del Pil croato dell'1,0% nel 2013 e una debole ripresa l'anno prossimo, a +0,2%. Il deficit di bilancio dovrebbe arrivare quest'anno al 4,7% del Pil e rischia di salire nel 2014 al 5,6%, ben al di sopra del tetto del 3% previsto dall'Ue.
Quanto alla disoccupazione, è arrivata oltre il 20% e solo venerdì scorso la Slovenia si è affrettata a votare l'estensione delle restrizioni all'accesso del suo mercato del lavoro per i cittadini croati, che saranno considerati de facto extra-comunitari per almeno altri due anni.

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Croazia: UE in dirittura d’arrivo, tra crisi e indifferenza 

Franko Dota
www.ansa.it 4 giugno 2013

A meno di quattro settimane dall’ingresso nell’Unione europea, il primo luglio prossimo, la Croazia sembra oggi un Paese quasi indifferente verso questa importante tappa storica, considerata in passato come il culmine del processo di indipendenza e di democratizzazione, iniziati ventidue anni fa. Il governo di centro-sinistra, in carica dal novembre del 2011, ha subito un rovescio alle amministrative di domenica scorsa, perdendo la guida della capitale Zagabria dopo 13 anni di amministrazione socialdemocratica, seppur vincendo nelle altre maggiori città. I forti tagli alla spesa pubblica, inclusa la riduzione degli stipendi degli statali, e la mancata promessa di attirare nuovi investimenti esteri e avviare alcuni grandi progetti infrastrutturali pubblici, sono alla base del calo di consensi del governo.

Ma un più largo scontento sociale, che questa settimana potrebbe sfociare in una prima grande ondata di scioperi nel settore pubblico, è dovuto alla profonda crisi economica e alla disoccupazione che ormai da un anno è costantemente sopra il 20 per cento della forza lavoro (a circa il 40 per cento quella giovanile). L’economia è in recessione per il quinto anno consecutivo, nonostante la politica di austerità il debito estero continua a crescere e la produzione industriale a calare. Il turismo, che rappresenta quasi il 20 per cento del Pil del Paese, rimane l’unico settore a non risentire della crisi. Ma le notizie negative che continuano ad arrivare dell’eurozona e i problemi interne alla Ue non contribuiscono a smorzare l’atmosfera di apatia. Dalla prima fase dopo l’adesione non ci si attende molto.

Paesi come Germania e Austria hanno già annunciato che useranno il diritto di limitare l’ingresso dei croati al loro mercato del lavoro. Per quanto i prodotti croati avranno accesso al mercato unico, molti temono che l’ingresso nell’Ue potrebbe tramutarsi in un altro colpo all’industria croata, soprattutto quella agroalimentare, dato che i prodotti europei avranno il libero accesso ai supermercati in Croazia. Inoltre, dal primo luglio il Paese è costretto a uscire dalla Cefta, l’associazione di libero scambio tra i Paesi dei Balcani non-membri dell’Ue, zona in cui la Croazia tradizionalmente, sin dal periodo jugoslavo, realizza una enorme fetta del suo interscambio commerciale, sempre con un avanzo a suo beneficio. D’altro canto, come importane stimolo allo sviluppo del Paese, viene indicato che nell’ambito del quadro finanziario pluriennale UE 2014-2020, Zagabria potrà contare su 11.7 miliardi di euro, e già nella seconda metà del 2013 avrà a disposizione circa 665 milioni di euro, di cui 450 milioni di fondi strutturali e di coesione.

A prescindere dal quadro economico, l’adesione alla Ue ha comunque per la Croazia un fortissimo valore simbolico, e rappresenta la conclusione di un lungo processo di transizione dall’esperienza jugoslava e socialista, conclusasi con la sanguinosa guerra per l’indipendenza negli anni Novanta, verso l’appartenenza alla famiglia delle nazioni europee. I negoziati di adesione sono stati lunghi e più severi di quelli degli altri Paesi dell’est europeo. Nella prima fase l’ostacolo maggiore era costituito dalla non soddisfacente cooperazione con il Tribunale penale internazionale per i crimini commessi nella ex Jugoslavia (Tpi), mentre negli ultimi anni Bruxelles ha insistito sulla democratizzazione del quadro legislativo e delle istituzioni, come anche sulla lotta al crimine organizzato e alla corruzione.

L’esempio più visibile degli sforzi fatti da Zagabria sono i tre processi per corruzione contro l’ex primo ministro Ivo Sanader, e una sua condanna in primo grado a dieci anni di carcere. Ma per ironia della sorte, proprio Sanader sarà ricordato nei libri di storia come il leader politico croato che, governando dal 2004 al 2009, ha avviato una serie di riforme che hanno portato la Croazia nella Ue. Il 30 giugno è in programma a Zagabria e in altre città croate una grande festa per l’adesione, e sono attesi i massimi dirigenti delle istituzioni europee, leader di una ventina di Paesi dell’Ue, incluso il presidente Giorgio Napolitano e il presidente del consiglio Enrico Letta, come anche i dirigenti dei Paesi vicini, come la Serbia e la Bosnia. Con l’ingresso della Croazia, secondo Paese della ex Jugoslavia a entrare nell’Unione dopo la Slovenia, per l’Ue non cambierà molto, dato che il Paese rappresenterà lo 0,85 per cento dell’intera popolazione, l’1,33 per cento del territorio e lo 0,53 per cento del Pil. A livello simbolico invece l’adesione dei croati rappresenta la conclusione della prima fase della stabilizzazione e integrazione dei Balcani, dopo le guerre degli anni Novanta, e una piccola spinta alla fiducia nell’Europa unita nella presente situazione di crisi.


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La Croazia europea a rischio sanzioni 

di Stefano Giantin
su Il Piccolo del 5 giugno 2013

Croazia, appena entrata nell’Ue e subito “bocciata” da Bruxelles. Potrebbe essere questo il destino di Zagabria, il prossimo primo luglio. Un destino, ha rivelato ieri l’agenzia di stampa Reuters, provocato dalle pessime condizioni di salute del prossimo 28esimo membro dell’Unione. Unione che, ha specificato Reuters, potrebbe – quasi contemporaneamente all’adesione di Zagabria – aprire «misure disciplinari» contro la Croazia a causa del deficit e del debito pubblico in crescita costante.

La previsione è corroborata dai contenuti di un documento di lavoro della Commissione europea, pubblicato a fine maggio, che mette a nudo i punti deboli dell’economia croata. Economia che «continua a dibattersi in una recessione» che proseguirà almeno fino al 2014 e che dura ormai da cinque anni.

Da quel 2009, annus horribilis della crisi, «amplificata» in Croazia dalle «debolezze strutturali» del sistema economico. Ma il problema maggiore per Zagabria è il deficit. «Le autorità si sono impegnate a ridurlo a meno del 3% del Pil entro il 2016», segnala l’analisi della Commissione, ma per ora risultati positivi non si vedono. Le previsioni di primavera di Bruxelles sull’economia croata evidenziano un disavanzo nel 2013 al 4,7% del Pil, che salirà al 5,6% nel 2014. Male anche il debito pubblico croato, quasi raddoppiato dal 2008, che l’Ue prevede «supererà il limite del 60% del Pil nel 2014», a causa del deficit crescente. Da qui le previsioni di Reuters, che suggerisce di leggere tra le righe il rapporto della Commissione.

E leggendo tra le righe si comprende che Zagabria potrebbe – come accadde ad esempio all’Ungheria nel 2004 – entrare nell’Ue e al contempo venire iscritta tra i Paesi sotto osservazione a causa del deficit superiore ai parametri europei, ossia «il 3% di rapporto deficit/Pil e il 60% di rapporto debito pubblico/Pil». Nel caso in cui uno Stato membro sfori la soglia prevista per il disavanzo, dall’Unione scatta la procedura per disavanzo eccessivo», ricorda la Commissione. Una procedura che comprende «diverse fasi, giungendo fino a eventuali sanzioni». Un modo per fare pressioni sui Paesi membri Ue affinché adottino «misure correttive».

E potrebbe essere questo il di verdetto per Zagabria.

Difficile infatti che in poche settimana la Croazia riesca a tornare a essere virtuosa, evitando l’onta della procedura d’infrazione. E per Zagabria si prospettano anche anni di scelte lacrime e sangue, come suggerito dalla Commissione. Zagabria che dovrà aumentare le tasse, si legge nel rapporto, «combattere evasioni e frodi fiscali», abbandonare ogni velleità di sostegno alle grandi imprese pubbliche, «altamente indebitate e a rischio per le finanze statali», leggi nuove privatizzazioni, migliorare l’efficienza della pubblica amministrazione e agire contro «la rigidità del mercato del lavoro».


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Istria, turisti russi “in fuga” dai visti

di Andrea Marsanich
su Il Piccolo del 14 giugno 2013

I primi cinque mesi dell’anno hanno regalato grosse soddisfazioni in Croazia quanto a risultati turistici, ma è giugno a preoccupare gli operatori del settore. L’estate tarda ancora ad arrivare, i Paesi dell’Europa Centrale sono colpiti da gravi alluvioni e a peggiorare il quadro è la situazione sorta dallo scorso primo aprile, quando Zagabria ha dovuto uniformarsi all’Unione europea, introducendo il regime di visti per i cittadini russi ed ucraini.

Tutto ciò sta erodendo i dati positivi registrati nel periodo da gennaio a maggio, con la Croazia, dove oltre il 90% degli arrivi di villeggianti riguarda le regioni adriatiche, che è stata visitata da 1 milione e 900mila vacanzieri, che hanno fatto totalizzare agli operatori 6 milioni e 700mila pernottamenti. Rispetto all’identico periodo di un anno fa, l’incremento è molto consistente, rispettivamente del 9 e dell’11 per cento. Tenendo conto di quanto avviene nella stragrande maggioranza dei Paesi mediterranei la Croazia può – o potrebbe – dirsi nella tradizionale “botte di ferro”. In realtà non è tuttavia così, perché il mese corrente sta continuando a sfornare giornate di tempo instabile, con poco sole, tante nuvole e temperature del mare che oscillano ancora tra i 19 e i 20 gradi.

Fa eccezione Pola, dove giorni fa la temperatura marina ha toccato i 23 gradi, di sicuro più gradita ai bagnanti. La nuvolosità variabile ha inciso negativamente soprattutto sui viaggi last minute, con gli interessati che preferiscono restare a casa invece di trascorrere le vacanze con l’ombrello aperto o tappati nelle strutture ricettive. «Le alluvioni all’estero - sostengono i lavoratori turistici croati - hanno avuto un contraccolpo negativo per l’industria turistica, con i potenziali vacanzieri che preferiscono non mettersi in viaggio». Non almeno fino a quando la situazione non si sarà normalizzata e il pericolo superato. A peggiorare il tutto sono i visti per l’ingresso in Croazia per i cittadini russi e ucraini. Il ministro del Turismo, l’istriano Darko Lorencin, ha visitato a tale scopo la Russia, proponendo una soluzione che è piaciuta alle autorità di Mosca. In 18 città della Russia con almeno un milione di abitanti, sono stati aperti uffici per i visti, che contribuiscono a snellire il rilascio degli stessi. Dal primo aprile l’ambasciata croata a Mosca ha rilasciato poco più di 13mila visti, mentre quotidianamente riceve da 1.000 a 1.500 richieste. L’anno scorso a soggiornare in Croazia sono stati circa 200mila villeggianti russi, l’8% in più rispetto all’anno precedente.

È dunque sempre più consistente la quota del mercato turistico croato formata dai vacanzieri della Russia. Stando agli addetti ai lavori, i visti costringeranno non pochi russi a rinunciare alla trasferta croata e a dirigersi verso i lidi del Montenegro, Paese che non prevede invece questo tipo di permesso.


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Croatie : sur les chantiers navals de Split, on licencie tout le monde !


index.hr - 31 mai 2013

Plus de 3 000 salariés des chantiers navals de Split vont être licenciés. Le fleuron industriel croate, bradé en début d’année pour une bouchée de pain, doit être « restructuré ». Le repreneur, DIV, promet de réembaucher 1 500 à 2 000 personnes - ceux qui satisferont à un ensemble assez flou de critères. Syndicalistes s’abstenir.

Par Me. M. - Traduit par Persa Aligrudić

L’entreprise DIV, qui a racheté à l’Etat en mars dernier la quasi-totalité des actions de l’entreprise pour une bouchée de pain, annonce qu’elle emploiera au départ environ 1 500 personnes en CDI et 500 autres en CDD. A terme, entre 2 000 et 2 500 personnes seront employées dans la nouvelle structure. Les patrons de DIV s’engagent à puiser dans le vivier des employés licenciés lors des futures embauches.

« Plus de 3 000 employés de Brodosplit percevront une prime de licenciement au montant de 4 000 kunas (530 euros) par année de carrière pour les 20 premières années et 1 500 kunas (200 euros) par année au delà de 20 ans passés chez Brodosplit », a annoncé la direction. Le programme a été approuvé par l’Agence croate pour l’emploi dans le cadre de la restructuration de Brodosplit.

« La Direction a dû procéder immédiatement au licenciement d’un certain nombre de salariés. Ces mesures étaient indispensables dans le cadre du processus de restructuration, ainsi que pour la mise en place d’une structure adaptée aux véritables besoins de Brodosplit. C’est la conséquence de la gestion irresponsable conduite par le passé, de la mauvaise politique commerciale, des mesures de restructuration qui n’ont pas été prises au moment voulu et l’accumulation des pertes durant plusieurs années, qui ont mené la compagnie au bord de la faillite », précise le communiqué officiel de la Direction.

Le programme de sélection des employés est actuellement en cours et de nouveaux contrats de travail seront proposés. On espère que tout sera prêt dans le courant du mois de juin, au plus tard en juillet. « La réembauche dépendra en grande partie du choix des collaborateurs, des résultats des examens d’embauche et des décisions des futurs cadres », annonce la direction, en ajoutant que les travailleurs auxquels un nouveau contrat de travail ne sera pas proposé pourront bénéficier de consultations pour les aider à trouver un nouvel emploi.


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Allargamento UE, Lubiana punta a fermare i lavoratori croati

s.g. su Il Piccolo del 31 maggio 2013

Cari amici croati, bravi e benvenuti nell’Ue. Sì, benvenuti. Non fatevi però neppure venire in mente – almeno per un paio d’anni – di fare le valigie, attraversare il confine a Bregana, a Pasjak o a Rupa per venire liberamente a lavorare in Slovenia. Sarà questo, salvo sorprese, l’augurio-ordine che la Slovenia rivolgerà il primo luglio ai croati appena diventati cittadini Ue a tutti gli effetti. Cittadini che potrebbero non poter accedere liberamente al mercato del lavoro di Lubiana, senza richiedere un apposito permesso.

La Slovenia sta infatti alacremente lavorando a una legge che renda efficace il “regime transitorio” previsto dal trattato di adesione di Zagabria nell’Ue, che prevede la possibilità di introdurre restrizioni all’accesso al mercato del lavoro sloveno per i croati. «La misura temporanea» dovrebbe «entrare in vigore» proprio dal 1° luglio e rimanere valida «fino al 30 giugno 2015», secondo la bozza di legge preparata dal ministero del Lavoro di Lubiana.

Questa legge, se adottata dal governo e approvata dal Parlamento, obbligherà per due anni la Slovenia «a trattare i cittadini croati», nell’accesso all’impiego in Slovenia, «come cittadini di Stati non membri» dell’Unione, spiega l’agenzia di stampa “Sta”. Un modo per arginare un’assai improbabile “invasione” di croati, affamati di lavoro e diretti in Slovenia. E per «proteggere un mercato del lavoro», quello di Lubiana, le cui condizioni «potrebbero deteriorarsi» ulteriormente. Come potrebbe deteriorarsi anche il fronte della spesa pubblica, da rimettere sotto controllo anche con tagli alle pensioni, ha annunciato ieri il ministro delle Finanze sloveno, Uros Cufer.

Ma non tutti sembrano convinti che sbarrare le porte del mercato del lavoro sloveno sia una buona idea. Prima di muoversi bisogna capire se la mossa «non faccia più male che bene», ha detto nei giorni scorsi il ministro degli Esteri sloveno, Karl Erjavec, che ha specificato che per ora solo i Paesi Bassi hanno ufficialmente imposto restrizioni simili nei confronti di Zagabria. Le orme di Amsterdam saranno presto ufficialmente calcate però anche da Berlino, Londra, Vienna, e forse appunto Lubiana, dove nel consiglio dei ministri della settimana prossima la legge di “blocco” dovrebbe essere adottata e poi passata all’esame del Parlamento per una rapida approvazione.

Altri stati membri non vedono invece alcun pericolo nell’aprire le frontiere ai cittadini di Zagabria in cerca d’impiego. Ultimo in ordine cronologico, l’Irlanda, che ha assicurato che non sceglierà la via del “regime transitorio” dato che vari studi segnalano «la bassa propensione» dei croati «a emigrare» in cerca di lavoro. Dublino è così entrata nel club dei membri Ue meno preoccupati per “un’invasione” da Zagabria. Un club ristretto, formato per ora da Cechia, Slovacchia, Danimarca, Finlandia, Estonia e Lituania.

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Croazia in UE, Slovenia chiude mercato lavoro per 2 anni 

www.ansa.it 7 giugno 2013 - La Slovenia limiterà l’accesso al suo mercato del lavoro per un periodo transitorio di due anni ai cittadini della Croazia, che il primo luglio entrerà in pieno nell’Unione europea. Lo ha annunciato il ministro del Lavoro sloveno Anja Kopac, precisando che il governo ha inviato al parlamento il relativo ddl, che dovrebbe essere approvato prima dell’ingresso di Zagabria nella Ue. La moratoria è prevista dal Trattato di adesione della Croazia come opzione per tutti i Paesi dell’Ue. La decisione slovena comporta che i croati, sebbene cittadini europei, per lavorare regolarmente in Slovenia dovranno ottenere un permesso di lavoro identico a quello previsto per i cittadini di Paesi non comunitari.

Il ministro ha spiegato che il governo ha deciso di attivare il diritto alla moratoria “per l’alto tasso di disoccupazione in Slovenia, dettato dalla difficile situazione economica”. “I senza lavoro sono molti anche nella vicina Croazia, e solo nelle regioni limitrofe alla Slovenia ce ne sono circa 100 mila”, ha aggiunto Kopac, spiegando che si tratta di “una decisione razionale che mira a dare la priorità ai disoccupati sloveni, e non è in nessun modo diretta contro la Croazia”. Il tasso di disoccupazione in Slovenia ha raggiunto il 13 per cento, mentre in Croazia i senza lavoro sono 330 mila, pari al 20 per cento della forza lavoro.

Zagabria, in base al principio di reciprocità, ha diritto a introdurre la stessa limitazione per i cittadini sloveni. I Paesi membri dell’Ue possono chiudere il proprio mercato del lavoro ai croati per un periodo transitorio fino a un massimo di sette anni. Secondo al stampa di Zagabria, simili limitazioni per i croati varranno anche nel Regno Unito, in Austria e in Germania, in quest’ultimo Paese con l’eccezione dei professionisti con laurea e i lavoratori stagionali. La Francia starebbe ancora valutando se introdurre o meno la moratoria, mentre non ci saranno limitazioni per i croati in Danimarca, Finlandia, Estonia e Lituania.

Nei giorni scorsi il governatore del Veneto, Luca Zaia, ha inviato una lettera al presidente del Consiglio, Enrico Letta, invitandolo a esaminare la questione dell’ingresso della Croazia nell’Unione Europea, preoccupato delle conseguenze che questo potrà avere sul piano del mercato del lavoro, in particolare in Veneto.





SINDACATI DI REGIME

Croazia, celebrazione sindacati italiani croati e sloveni 

ANSA 21 giugno 2013 - I sindacati italiani, croati e sloveni, riuniti nei due Consigli Sindacali Interregionali (C.S.IR.) Friuli Venezia Giulia/Veneto/Croazia Sudoccidentale e Friuli Venezia Giulia/Slovenia Nord Est si troveranno giovedì 27 giugno 2013 in un doppio appuntamento sui confini italo-sloveno di Rabuiese e sloveno-croato di Castelvenere, per celebrare l'ingresso della Croazia nell'Unione europea.
La giornata prevede momenti celebrativi e conferenze stampa, saranno sottolineate le ragioni della storica importanza dell'ingresso della Croazia nell'Unione europea.




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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
https://www.cnj.it/
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19 Giugno 2013
di Pascual Serrano | da www.rebelion.org
traduzione a cura di Marx21.it

I paesi dell'Unione Europea, non dimentichiamo premiata con il Nobel della Pace, non hanno sostenuto il 13 giugno al Consiglio dei Diritti Umani dell'ONU, a Ginevra, la risoluzione sulla promozione del diritto alla pace, patrocinata da sedici paesi membri del Consiglio.

In totale, la proposta è stata appoggiata da trenta paesi, la maggioranza del Terzo Mondo, mentre le nazioni europee, insieme a Stati Uniti, Giappone e India si sono astenute (8) o hanno votato contro (9). Tra gli europei astenuti Polonia e Italia, oltre alla Svizzera che non appartiene all'UE. La Spagna, insieme a Germania, Repubblica Ceca e Austria, ha votato No.

La risoluzione è un'iniziativa di Cuba, in seguito assunta dalla Comunità degli Stati Latinoamericani e dei Caraibi (CELAC), che, per raccogliere il maggior consenso possibile, si limita a chiedere che si collabori con il gruppo di lavoro e un comitato consultivo già esistente perché, mediante la consultazione con gli Stati membri, la società civile, il mondo accademico e tutti gli altri operatori di rilievo, si prepari un progetto di Dichiarazione sul Diritto dei popoli alla pace.

Il citato Comitato Consultivo ha presentato lo scorso anno un progetto di dichiarazione che raccoglie la maggior parte dei suggerimenti ricevuti da esperti, governi e società civile. Questo comitato ha suggerito di cambiare la formulazione originale “Diritto dei popoli alla pace” con la più breve “Diritto alla pace”, considerandola più opportuno in quanto permette di includere tanto la dimensione individuale quanto quella collettiva di tale diritto. Ad opinione di Micol Savia, rappresentante nel Consiglio dei Diritti Umani dell'Associazione Internazionale dei Giuristi (link), “il progetto supera la tendenza restrittiva a considerare la pace principalmente come un diritto collettivo e a metterla in relazione esclusivamente con temi come guerra e disarmo. Il diritto alla pace è un diritto inerente a tutti gli esseri umani senza alcuna distinzione o discriminazione” (art. 1). E la pace non è solo assenza di violenza: 'ogni persona ha diritto a vivere senza paura e senza miseria' e 'vivere senza miseria implica il godimento del diritto allo sviluppo sostenibile e ai diritti economici, sociali e culturali' (art. 2)”.

Secondo Savia, “la Dichiarazione si occupa di varie questioni relative alla pace e alla sicurezza internazionale (disarmo, educazione e realizzazione della pace, diritto all'obiezione di coscienza al servizio militare, imprese militari e di sicurezza privata, resistenza e opposizione all'oppressione, conservazione della pace, ecc.). Ma, riconoscendo che 'la disuguaglianza, l'esclusione e la povertà generano violenza strutturale che è incompatibile con la pace e devono essere eliminate', il testo include anche standard di pace in ambiti come sviluppo, ambiente, rifugiati e migranti, ecc”.

Quando nel giugno del 2012 il Comitato Consultivo presentò il progetto al Consiglio dei Diritti Umani, la grande maggioranza degli Stati e la società civile reagirono con entusiasmo. L'UE si limitò a prendere nota, ribadendo la sua posizione di non includere il diritto alla pace nel diritto internazionale.

Il progetto votato lo scorso 13 giugno conta sull'appoggio di numerose organizzazioni della società civile, capeggiate dalla Fondazione Pace senza Frontiere (link) copresieduta dal cantante spagnolo Miguel Bosé e dal colombiano Juanes. Lo stesso Bosé ha partecipato a una manifestazione pubblica organizzata dai paesi latinoamericani nel Consiglio. In una conferenza stampa a Ginevra ha affermato di non capire perché esistano nazioni che resistono al fatto che la pace venga codificata come un diritto umano, quando rappresenta insieme alla sicurezza la garanzia fondamentale per lo sviluppo, uno dei quattro fondamenti del lavoro delle Nazioni Unite (link).

A parere della Missione Permanente di Cuba a Ginevra (link), “in un mondo in cui determinate potenze promuovono guerre e interventi in varie regioni, risulta imprescindibile la codificazione del diritto alla pace, che costituisce la condizione fondamentale per la fruizione di tutti i diritti umani, in particolare il diritto alla vita. In virtù della Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, ogni persona ha diritto ad un ordine in cui tutti i diritti possano essere pienamente realizzabili. La pace, senza alcun dubbio, è una componente essenziale di questo ordine”.

Ci si attende che il gruppo di lavoro, presieduto dal Costa Rica, concluda i suoi lavori nel 2014 affinché il progetto di dichiarazione possa essere approvato nel Consiglio dei Diritti Umani e, in seguito, dall'Assemblea Generale delle Nazioni Unite

Fonte: www.publico.es