Informazione


Roma, Martedì 16 Aprile 2013
alle ore 19:00 presso il  "FORTE FANFULLA" 
Via Fanfulla da Lodi 5

DRUG GOJKO 

con Pietro Benedetti 
regia di Elena Mozzetta

Tratto dai racconti di Nello Marignoli, partigiano viterbese combattente in Jugoslavia. Drug Gojko narra, sotto forma di monologo, le vicende di Nello Marignoli, classe 1923, gommista viterbese, radiotelegrafista della Marina militare italiana sul fronte greco-albanese e, a seguito dell’8 settembre 1943, combattente partigiano nell’Esercito popolare di liberazione jugoslavo. Lo spettacolo, che si avvale della testimonianza diretta di Marignoli, riguarda la storia locale, nazionale ed europea assieme, nel dramma individuale e collettivo della Seconda guerra mondiale. Una storia militare, civile e sociale, riassunta nei trascorsi di un artigiano, vulcanizzatore, del Novecento, rievocati con un innato stile narrativo, emozionante quanto privo di retorica.


VAI ALLA PAGINA DEDICATA ALLO SPETTACOLO: https://www.cnj.it/CULTURA/druggojko.htm





(The original text, in english: 
Reflections on Yugoslavia’s socialist past and present-day colonization. The destruction of a nation
By Milina Jovanović, November 16, 2012
https://www.lifeinthemix.info/2012/11/reflections-yugoslavias-socialist-present-day-colonization/
or http://www.zcommunications.org/reflections-on-yugoslavia-s-socialist-past-and-present-day-colonization-by-milina-jovanovic 
or https://www.cnj.it/documentazione/interventi/milinajovanovic2012.htm

Cette article en langue francaise:
Bilan de la destruction d’un rêve - par Milina Jovanovic
http://michelcollon.info/Bilan-de-la-destruction-d-un-reve.html 
ou https://www.cnj.it/documentazione/interventi/milinajovanovic2012.htm )

http://www.marx21.it/internazionale/europa/22077-jugoslavia-bilancio-della-distruzione-di-un-sogno-.html

Jugoslavia. Bilancio della distruzione di un sogno

di Milina Jovanovic | da Traduzione dal francese di Anna Migliaccio per Marx21.it

In questo saggio presento le mie riflessioni personali sulla vita nell’ex Repubblica socialista federale di Jugoslavia e sulle tendenze attuali di privatizzazione e presa di controllo di risorse naturali, economiche e umane del paese.

Per 10 anni ho vissuto personalmente l’esperienza del migliore periodo del socialismo iugoslavo lavorando presso un organismo di studio e ricerca. Nelle pagine che seguono vorrei cercare di spiegare brevemente i principali aspetti ed istituzioni del sistema socio politico ed economico iugoslavo evocandone lo stile di vita e ciò che rappresentava per le diverse popolazioni del paese. Sette piccoli paesi, disorientati e colonizzati (ciò che resta della Jugoslavia) si battono oggi per sopravvivere stretti tra il loro passato unico ed un presente perturbato. Disperazione e apatia si mescolano alle guerre ed all’occupazione straniera. Nondimeno il popolo jugoslavo è duro a morire e lo proverò con qualche esempio di lotte operaie attuali e resistenza popolare.

La mia generazione ebbe l’opportunità di crescere a Belgrado nella Jugoslavia socialista. Come bambini di scuole elementari partecipavamo a momenti di autogestione. La scuola intera era all’epoca diretta dagli scolari dall’amministrazione all’educazione in classe dalla pulizia alla gestione delle cucine tutto gestito dagli studenti senza la presenza di adulti. Gli scolari applicavano ed adattavano i programmi mantenevano la regolarità degli orari facevano esposizioni e giudicavano i progressi dei loro compagni di studi. Mi ricordo perfettamente di tutte le volte in cui ho svolto il ruolo dei professori. Le note che davo ai compagni avevano lo stesso peso di quelle inflitte dai professori. Noi ci sentivamo abilitati, emancipati responsabili ed insieme interamente liberi. Andavamo a scuola a turni perché è provato che alcuni soggetti sono più ricettivi all’apprendimento al mattino ed altri al pomeriggio.

L’intera società poneva l’accento sullo sviluppo dei valori collettivi. Tutto ciò che si faceva a scuola era passato al vaglio, incluse le performances individuali, e discusso in presenza di genitori e studenti. Durante l’intera durata della mia formazione la mia generazione si è sentita al sicuro.

Prima del Movimento dei non allineati il solo scopo della jugoslavia era stato quello di insegnare alle nuove generazioni a difendere il proprio paese ma senza mai ingerire negli affari di altri paesi. La mia generazione non temeva il futuro. Crescevamo sereni e ottimisti avendo come unica priorità un discreto sviluppo personale e l’affrancamento dai retaggi del capitalismo e del patriarcato.

Come studentessa universitaria e più tardi come ricercatrice scientifica in materia di società ero convinta che una delle mie priorità fosse sviluppare un approccio critico al sistema socio economico e politico iugoslavo affinché esso potesse continuare ad evolvere. Forse la mia generazione fu l’ultima degli idealisti e sognatori jugoslavi.

La Jugoslavia non somigliava ad alcuno degli altri paesi delle storia recente. Me ne sono resa conto in maniera ben più profonda quando sono emigrata negli Stati Uniti. L’amico Andrej Grubacic l’ha scritto con eloquenza “La Jugoslavia per me e per quelli come me non era solo un Paese. Era un’idea”. L’immagine stessa dei Balcani è stata il progetto di un’esistenza interetnica, di uno spazio trans etnico e multiculturale di mondi differenti, un rifugio di pirati e ribelli, femministe e socialisti, antifascisti e partigiani, un luogo dove sognatori d’ogni sorta lottavano con forza contro la peninsularità provinciale, le occupazioni e gli interventi stranieri.” Come i miei genitori, credo anch’io ad una regione che riunisce diversi universi e dove tutti sono tutto. Non ho altra emozione che rancore verso tutti coloro che hanno contribuito a distruggere la Jugoslavia e sento la stessa cosa per coloro che oggi svendono ciò che ne è rimasto. Faccio parte di coloro che appoggiano le opinioni di M. Grubacic.

Il modello socialista iugoslavo.

Per certi versi il modello iugoslavo di socialismo è riconosciuto come unico anche da coloro che si oppongono a priori al socialismo. Purtroppo la gran parte dei saggi pubblicati in passato non hanno compreso questo carattere unico della Yugoslavia. Né i presupposti teorici, né la loro applicazione pratica sono ben noti in Occidente. Io non uso la formula “Yugoslavia comunista” perché questa assimila il modo di governo di un partito comunista al comunismo. Mi servo del termine comunista solo nel senso originario marxista di nuova formazione socio economica. Penso, infatti che la parola socialismo convenga meglio alla realtà sociale che esisteva in Yugoslavia tra il 1945 e il 1990. L’intera società socialista è transitoria e contiene elementi dei sistemi sociali antichi e nuovi.

La Yugoslavia socialista si fondava su molteplici principi di base, istituzioni e pratiche. I più importanti erano l’auto-gestione e la proprietà sociale. Il controllo sulle risorse locali era garantito da associazioni di produttori libere nel mondo del lavoro nel momento in cui il popolo partecipava direttamente al governo locale nelle sue associazioni di vicinato. La società aveva creato una particolare branca del diritto chiamata legge di auto gestione con corrispondenti tribunali. Taluni hanno criticato questo doppio diritto e l’abbondanza di leggi e regolamenti d’autogestione.  

E’ stato osservato che nessuno poteva possedere il frutto proveniente dalla proprietà privata ad esclusione che quello basato sul lavoro.

I teorici dell’auto gestione socialista arguiscono che questa poteva essere assicurata attraverso una forma unica di proprietà sociale. La proprietà sociale non è la stessa cosa che la proprietà di Stato. I mezzi di produzione, la terra le abitazioni le risorse naturali i beni pubblici l’arte i media e gli organismi d’insegnamento devono appartenere alla società nel suo complesso, a tutti e a nessuno in particolare. Solo un residuale 20% delle risorse agricole e delle piccole imprese permaneva in mani private. Le terre appartenenti ai contadini erano state limitate a dieci ettari per individuo.

La gran parte delle abitazioni erano costruite per I lavoratori e le loro famiglie. Secondo specifici criteri, si assegnavano gli alloggi ai lavoratori affinché li utilizzassero senza esserne proprietari. I loro figli e le successive generazioni potevano anche servirsene a propria volta senza averli in proprietà. Essi non erano affittuari. Questa forma giuridica è difficile da spiegare e travalica il punto di vista occidentale.

Nella Yugoslavia socialista un principio basilare era che i cittadini avevano il diritto inalienabile di controllo sulle risorse locali. Nelle libere associazioni di produttori i lavoratori avevano modo di assumere decisioni con cognizione di causa circa i bisogni, le risorse disponibili e dispensabili. Il popolo iugoslavo decideva delle sue risorse, dei suoi mezzi di produzione e della produzione stessa. Per esempio la produzione di energia elettrica è stata calcolata per molti decenni sulla base dei bisogni domestici. Fino agli anni 80 la gran parte dei prodotti iugoslavi era destinata all’uso interno e non all’esportazione. I documenti ufficiali mostrano che nell’arco di tempo tra gli anni 50 e gli anni 90 i partners commerciali abituali delle ex repubbliche iugoslave erano altre repubbliche iugoslave.

Oltre alla proprietà sociale l’altra istituzione fondamentale era l’autogestione. Le due cose erano ideali e principi base dell’intera organizzazione sociale. I gruppi di produzione libera (OUR) erano le unità di base del lavoro associativo ed erano organizzate a molteplici livelli. I lavoratori avevano deciso di lavorare insieme per rispondere ai propri comuni e difendere i loro interessi ed avevano creato tali associazioni. Essi lavoravano collettivamente utilizzando i mezzi sociali di produzione e i loro prodotti. Le associazioni di produttori liberi esistevano nell’ambito della produzione materiale ma anche dei servizi sociali, della cultura, dell’arte, dell’educazione e della sanità.

In alcune di esse le decisioni venivano assunte con referendum. I consigli operai si riunivano regolarmente per dirigere la quotidianità delle associazioni. 

Certi autori americani come Michael Albert (4) parlano spesso dell’economia partecipativa come fosse una novità. Essi riconoscono raramente il modello iugoslavo di autogestione esistente da oltre quarant’anni. Mio padre è stato un lavoratore e contemporaneamente un gestore della produzione. Nella mia gioventù ho potuto vedere l’autogestione in pratica e misurarne l’efficacia. Per esempio l’insieme dei membri di un’associazione si riuniva per scegliere i candidati al consiglio o pianificare la produzione annuale. E’ vero che con il trascorrere del tempo l’economia di mercato ed altri fattori hanno limitato il potere economico e politico dei lavoratori. Ma questo non deve diminuire il valore dell’esperienza iugoslava di auto gestione insieme teoria e prassi.

Le associazioni di vicinato (Mesna Zajednice) erano un altro tipo di unità di base di auto governo. La gente assumeva le decisioni concernenti la propria vita quotidiana ed il loro ambiente. Essi sceglievano i propri delegati al governo comunale e nazionale ed organizzavano le proprie condizioni di vita e di lavoro, il trattamento dei bisogni sociali, la cura dei bambini, l’educazione ecc. Ogni associazione aveva i propri statuti creati dagli abitanti della zona. Le decisioni importanti erano assunte con referendum.

Le comuni erano unità territoriali più grandi, fondate sui principi della Comune di Parigi (5),destinate ad assicurare il decentramento e la partecipazione diretta del popolo al suo auto governo. Le comuni, le province autonome le repubbliche e la Federazione erano interconnesse nella medesima piramide del sistema. Le costituzioni di tutte le repubbliche riconoscevano le comuni come unità di base socio politica d’una importanza capitale per i governi delle repubbliche e della Federazione. Lo scopo principale di tutte le strutture economiche e politiche della Yugoslavia socialista era quello d’assicurare a tutti i lavoratori le condizioni migliori di lavoro e di vita.  

Durante l’intero periodo socialista ed in particolare dagli anni 60 agli anni 80 la Yugoslavia è stata un paese prospero ove ciascuno vedeva garantiti il diritto di lavorare e di ricevere un salario adeguato e beneficiare d’una educazione di grande qualità fino al dottorato di un minimo di un mese di vacanze pagate e di congedo di malattia illimitato secondo i bisogni della propria salute. Di un congedo retribuito di maternità e paternità e di un diritto all’abitazione. (6) Inoltre la Yugoslavia è stata il solo paese al mondo ad avere inserito nella costituzione i diritti e le libertà delle donne. Le donne hanno fatto passi giganteschi nel campo dell’educazione e dell’impiego investendo in gran numero di ambiti tradizionalmente a dominanza maschile. La mia tesi di dottorato ha comparato il progresso delle donne in questi ambiti in Yugoslavia e d in California. I documenti che ho raccolto mostrano che le donne iugoslave sono riuscite a progredire e distruggere le abitudini patriarcali più delle californiane. (7)

Nello stesso periodo I trasporti pubblici funzionavano bene, la vita culturale ed artistica era fiorente ed anche su diversi aspetti all’avanguardia. Ogni evento culturale ed artistico era realizzato dal popolo. Non c’era cultura d’elite o arte d’elite. La partecipazione ad ogni manifestazione era a prezzo molto abbordabile. I bambini studiavano arte musica e diverse lingue straniere fin dalla più tenera età (già alla scuola d’infanzia). Nella tradizione originale del marxismo si ritiene che ogni persona debba essere elevata ad individuo ben sviluppato. Dalle scuole elementari abbiamo appreso ad equilibrare lavoro manuale e lavoro intellettuale e a resistere agli eccessi della specializzazione. La cultura generale era molto apprezzata. I corsi di storia e geografia comprendevano lezioni su tutti i continenti. Soprattutto nei primi anni persone di ogni età ed in particolare giovani lavoravano come volontari per costruire per costruire strade e ponti e piantumare alberi e foreste. Partecipare alle opere pubbliche offriva loro un sentimento di fierezza e forniva occasioni per nuove amicizie ed ampliamento degli orizzonti. La mia generazione aveva piani di formazione comprendenti gite di una settimana per fare conoscenza dei gioielli naturali di altre regioni. Il multiculturalismo iugoslavo è raramente compreso in occidente. Durante il periodo socialista c’era un gran numero di matrimoni misti e molti avevano abbracciato la causa della fraternità ed unità della Yugoslavia. La Yugoslavia socialista aveva buona reputazione nel mondo intero: è stata vista come membro essenziale tra le nazioni non allineate e partner importante delle relazioni internazionali.

Un incubo per I politici USA

Come ha spesso ripetuto Michael Parenti, essa (la Yugoslavia n.d.t) è l’esempio di un paese che indispone I politici americani soprattutto dopo gli anni 80. Questo genere di paese sfugge alla ricerca statunitense di dominio globale, ai progetti mondiali delle grandi compagnie e alla terzomondizzazione dell’intero pianeta. (8)

All’inizio degli anni 90 venne il tempo per gli USA ed I loro alleati NATO d’intervenire: hanno fatto di tutto incluso l’utilizzo della forza bruta per cancellare la Yugoslavia dalla carta d’Europa. La Yugoslavia (e soprattutto la Serbia e il Montenegro) che non hanno gettato via quel che restava del socialismo per instaurare il sistema del libero mercato. (9) Il suo smembramento e le guerre degli anni 90 non sono l’oggetto di questo saggio. Molte cose sono state scritte in proposito soprattutto per giustificare la guerra degli USA e della NATO, e l’occupazione che è seguita. Pertanto per un piccolo numero di ricercatori e di militanti appare evidente già negli anni 90 che l’obiettivo dell’impero mondiale è il medesimo in Yugoslavia come in altri paesi del globo. Cito ancora Parenti : “lo scopo degli USA è trasformare la Yugoslavia in un gruppo di piccoli principati aventi le seguenti caratteristiche: a) l’incapacità di fissare obiettivi di sviluppo indipendente e proprio b) risorse naturali interamente accessibili agli appetiti delle grandi compagnie internazionali ivi compresa l’enorme ricchezza di miniere del Kosovo ; una popolazione impoverita ma istruita e qualificata che lavora per salari appena sufficienti alla sopravvivenza, una mano d’opera a buon mercato adatta a ridurre i salari in Europa occidentale d) lo smantellamento delle industri e petrolifere d’ingegneria e minerarie farmaceutiche navali automobilistiche e agricole così da non costituire più concorrenza per i produttori occidentali. 

Gli Stati Uniti e la NATO hanno avuto altri vantaggi dalla distruzione della Yugoslavia che consideravano come una potenza regionale e come il germe di una federazione balcanica. Essi sapevano che la loro presenza fisica nella penisola balcanica avrebbe portato vantaggi supplementari quali il migliore controllo delle risorse e dello sviluppo europeo, dei traffici di eroina e di organi umani, e du pipeline del mar Caspio. Le così dette missioni di pace sono diventate programmi di occupazione garantite dalla costruzione di basi militare permanete e centri di detenzione.

Sotto molti punti di vista gli USA e l’Unione europea hanno ottenuto molti degli obiettivi prefissati. Durante l’ultima visita nella mia città natale ho visto ovunque nuove costruzioni. Ma l’occupazione completa, così come la demoralizzazione totale del popolo, non sono facili da realizzare con i balcanici. Nel suo film documentario “The Weight of Chains”, il serbo-canadese Boris Malagurski ha mostrato che molti popoli si risvegliano rendendosi conto che l’economia di mercato e il dominio straniero non sono nulla di positivo. Ciò che attraversa tutti i paesi della ex Yugoslavia e che gli ideologi del libero mercato hanno chiamato “iugonostalgie” si rafforza con la coscienza della grave perdita. C’è l’affermazione di una memoria collettiva del popolo, e la prova che le opposizioni esistono nella loro unità dialettica certe forze sociali lottano per l’ingresso in Europa altre si battono per ritrovare le loro tradizioni socialiste e mantenere l’indipendenza. 

I popoli iugoslavi non hanno potuto valorizzare la loro esperienza positiva del socialismo. Le ideologie imposte che glorificano i valori capitalisti e il consumismo i vantaggi dell’Europa e i progetti di affari internazionali sono influenti, ma un significativo numero di lavoratori tentano di riconquistare il proprio potere, battendosi contro le privatizzazioni, la disoccupazione e le misure d’austerità. La resistenza non è mai cessata.

L’avanzata dell’impero globale

Il programma neo coloniale si è sviluppato nel corso degli ultimi anni. Da qualche mese ho potuto osservarlo a Belgrado.

Passeggiavo per la città inciampando nelle numerose banche straniere.

In certi quartieri sono ad ogni angolo di strada con le loro entrate attaccate le une alle altre. Il numero degli uffici di cambio si è moltiplicato dagli anni 90. A questo corrisponde al dominio UE e dell’alta finanza internazionale sulle finanze serbe. I bancari serbi lavorano di malumore e appaiono scontenti delle condizioni di lavoro che gli vengono imposte.  

Gli effetti dell’ideologia capitalista di moda che glorifica i consumi sono chiaramente visibili nelle strade nei negozi, nelle istituzioni e nei media. Ogni anno si accresce il numero dei ristoranti “fast food”. I prodotti malsani hanno invaso il mercato serbo e l’importazione di OGM, benché il governo neghi di averli autorizzati Lo stesso per i cibi pieni di ormoni e batteri infettivi. Il risultato è che ci sono molti più cittadini in sovrappeso per le strade di Belgrado. Questo appare ancora un problema marginale perché i cittadini camminano molto e praticano jogging, ciclismo e yoga. L’aspetto più preoccupante è l’aumento dei quaranta o cinquantenni che soffrono di ipertensione e disturbi cardiovascolari.

Le compagnie straniere hanno acquistato molte società precedentemente iugoslave o serbe. La privatizzazione delle risorse è un esempio evidente di tale processo. Rosa Water è una società Coca-Cola ellenica; Voda Voda è la proprietaria di d’Arteska International Co., BB Minaqua Co. È collegata alla tedesca Krones, l’italiana Sidel e Thomson Machinery per la sua produzione a Cipro. Anche se molte di queste compagnie affermano di utilizzare condimenti “ecologici”, come la bottiglia Rosa a base vegetale, gli imballaggi in plastica lasciano filtrare sostanze chimiche tossiche nell’acqua delle bottiglie che molti Belgradesi oggi acquistano. In passato l’acqua del rubinetto era di gran lunga migliore, e nessuno pensava di avere bisogno d’acqua in bottiglia. Negli anni 90 tutte le bibite erano in bottiglie di vetro. 

Le industri di abbigliamento e cosmesi sono di proprietà straniera o sono serbe acquistate da stranieri. Se si considera il mercato dei prodotti di abbigliamento per bambini e prodotti per l’infanzia, i prodotti di bellezza e gli alimenti si trova un miscuglio di march esteri noti che approfittano dell’apertura di questi mercati: Avent, Disney, Chicco, Graco, Bertoni, Peg-Perego, Bambino, Pavlogal, Humana, Frutek, Hipp, Nestlé, Juvitana, Bebelac.

Kosili e Dr. Pavlovic sono delle eccezioni. Prima della guerra non avevamo che sparute firme italiane di prodotti per l’infanzia, mentre oggi Nestlé e Disney sono abbondantemente presenti. Anche le società serbe si danno nomi anglofoni come Beba Kids o Just Click, etc.

La marca belgradese Dahlia Cosmetics fabbricava prodotti a base minerale e vegetale. Oggi è privatizzata e, come dice il suo sito internet, è posseduta al 100% dalla belgradese Bechemija. Che a sua volta è stata formata da una fusione tra Delta de Zrenjanin e la slovena Sanpionka. Nel corso di tali privatizzazioni e fusioni migliaia di operai hanno perso il posto di lavoro. E’ difficile non immaginare che Dahlia abbia rimpiazzato I prodotti naturali con quelli sintetici. Basta leggere le etichette per porsi la legittima domanda.


("La pura verità sulle organizzazioni non governative in Russia: sono spie al servizio di paesi stranieri". Lo dice Putin, rivolgendosi alla Merkel più che esplicitamente. Su questa problematica, e le nuove strategie eversive del neocolonialismo - disinformazione e attivismo "a libro paga" - si veda anche tutta la documentazione raccolta alla nostra pagina: https://www.cnj.it/documentazione/eversione.htm )



Prava istina o nevladinim organizacijama u Rusiji





D. Marjanović
vrijeme objave: Ponedjeljak - 08. Travanj 2013 | 12:15
FOTO: Ruski predsjednik Vladimir Putin u razgovoru za njemačku TV postaju ARD

Njemačka
 kancelarka Angela Merkel pozvala je Rusiju da "daju priliku" nevladinim organizacijama. Izjava dolazi za vrijeme posjete ruskog predsjednika Vladimira Putina Njemačkoj, u vrijeme kada je Rusija pokrenula nekoliko istraga o radu nevladinih organizacija (opširnijeNjemačka ljuta zbog ruskih pretraga nevladinih organizacija koje Rusija naziva "stranim agentima").

Očekivano, potezi protiv nevladinih organizacija izazvali su salvu kritika od strane Zapada, no Putin brani svoje stajalište: "Rusi imaju pravo znati koje nevladine organizacije su primale strani novac i za koje svrhe", rekao je u razgovoru za njemačku TV postaju ARD. Podsjetimo, Putin je uveo zakon kojime se strane nevladine organizacije u Rusiji klasificiraju kao "strani agenti".

Zanimljivo je kako su zapadne sile nervozno reagirale na sve veći otpor Moskve protiv izuzetno utjecajnih nevladinih organizacija u Rusiji. Nužno je postaviti pitanje - zašto? Stvar je zapravo poprilično jednostavna i svodi se na slanje veće količine novca organizacijama koje zauzvrat djeluju u interesu stranih interesa, što političkih što gospodarskih. Iste organizacije i skupine stajale su iza tzv. "Narančastih revolucija" koje su dovele do rušenja niza nepodobnih vlada diljem istočne Europe (opširnije o temi:Narančaste revolucije, pro-zapadni "profesionalni" aktivizam i otpor protiv takvih tendencija).

Prije nekoliko dana WikiLeaks je otkrio kako se upravo putem nevladinih organizacija pokušala destabilizirati vlast Huga Chaveza u Venezueli (vidiNovi Wikileaks dokumenti otkrivaju kako je SAD planirao destabilizirati vlast Huga Chaveza "u pet točaka" putem američke ambasade i USAID-a). Nije tajna kako je administracija Vladimira Putina u Rusiji također izuzetno "nepodobna" situacija za zapadne interese. Rusija je gospodarski sve snažnija, uz Kinu je glavna predstavnica bloka BRICS, promovira mir i diplomaciju u svijetu, a to je ogromna prepreka zapadnom militarizmu koji sve snažnije promovira konflikte na svjetskoj pozornici. U konačnici tu je Sirija, bastion arapskog sekularizma i anti-imperijalističkog otpora, koja bi već davno bila sravnana sa zemljom, kao i susjedni Irak, da nisu agresivne sile ovog puta dočekane uz najveći ruski otpor još od raspada SSSR-a.

Netko će reći kako ove geostrateške teme nemaju neke veze s radom nevladinih organizacija u Rusiji, i bio bi poprilično u krivu. Da se Rusija ponaša onako kako Zapad želi, iste organizacije u Rusiji ne bi niti postojale, bar ne u tolikom broju. Čitatelji s ovih prostora mogli bi se ponekad osvrnuti i na retrospektivu nama poznatijih događanja - recimo nagli usponi i padovi popularnih medija koji su napuhani većinom stranim novcem kako bi odradili svoju privremenu misiju te iščezli s pozornice kada njihov rad više nije potreban.

Osvrnimo se na još neke zanimljive detalje u intervjuu Putina za tv postaju ARD. Razgovor s ruskim predsjednikom je vodio novinar Jorg Schonenborn.

Jorg Schonenborn: "Gospodine predsjedniče, nisam upoznat da su se ikada ovakva pretraživanja i zaplijene u uredima nevladinih organizacija događala u SAD-u. Prema našem mišljenju termin "strani agent", kako se ove organizacije sada naziva, zvuči kao nešto iz doba Hladnog rata."
Vladimir Putin: "Onda dopustite da pojasnim. Kao prvo, SAD ima sličan zakon, koji je još od onda na snazi. Pokazati ću Vam jedan dokument kojime je, ne tako davno, u američkom ministarstvu pravosuđa zahtijevano od nevladine organizacije da pošalje dokumente u kojima se potvrđuje da su aktivnosti financirane izvana, popis je vrlo dugačak.

Mi smo usvojili sličan zakon koji ništa ne zabranjuje, da naglasim ovo, naš zakon ništa ne zabranjuje, niti ograničava ili bilo koga zatvara. Organizacije koje su financirane izvana imaju pravo baviti se svojim aktivnostima, uključujući i političkim aktivnostima. Jedina stvar koju mi želimo znati je tko prima novac i otkuda novac dolazi. Ponavljam - ovaj zakon nije nekakva naša inovacija.

Zašto nam je danas to bitno? Što mislite koliki je broj ruskih nevladinih organizacija danas u Europi? Imate li neke ideje?"

Jorg Schonenborn: "Bojim se da nemam te informacije gospodine predsjedniče."
Vladimir Putin: "Onda dajte da Vam kažem. Jedna takva organizacija radi u Parizu, još jedna u SAD-u. I to je to. Postoje samo dvije ruske nevladine organizacije koje rade vani - jedna u SAD-u i jedna u Europi.

S druge strane 654 nevladinih organizacija trenutačno djeluju u Rusiji, koje su sve financirane, ispostavlja se, izvana. 654 organizacija.. to je zaista velika mreža diljem države. Tijekom samo zadnjih 4 mjeseci otkako je novi zakon usvojen, računi ovih organizacija su se povećali za... što mislite, koliko novca su primili? 28,3 milijarde rubalja, to je gotovo 1 milijarda USD.

Ove organizacije uključene su u unutarnje političke aktivnosti. Zar ne bi naš narod trebao biti informiran o tome tko dobiva taj novac i s kojim ciljem? Naglasio bih još jednu stvar - i želim da znate ovo, želim da narodi Europe, uključujući Njemačku, znaju ovo - nitko ovim organizacijama ne zabranjuje njihov rad. Samo ih tražimo da priznaju: "Da, upleteni smo u političke aktivnosti i dobivamo novac izvana". Javnost ima pravo znati ovo. 

Nema potrebe strašiti ljude pričajući o tome kako se ljude privodi, imovina zaplijenjuje, mada je zapljena imovine razuman potez ukoliko su ovi ljudi prekršili zakone. Neke administrativne sankcije su predviđene u ovim situacijama, no smatram kako je sve ovo prihvatljivo u civiliziranom društvu. 

Pogledajmo sada koje sve dokumente naša organizacija u SAD-u mora priložiti. Obratite pozornost na to tko traži ove dokumente, tko je potpisan na dnu stranice. Američki Ured protiv Špijunaže. Ne ured državnog odvjetnika, nego protušpijunski ured pri Američkom Ministarstvu Pravosuđa. Ovo je službeni dokument koji je dostavljen u organizaciju. Također pogledajte popis pitanja koja postavljaju. Ovo je demokracija?"
U ovih nekoliko rečenica ruski predsjednik odlično je objasnio stajalište Moskve koje je u ovom slučaju apsolutno pravično. Nažalost, kako je rekao i Putin, mnogi stanovnici Europe jednostavno nisu upoznati s činjenicom da Europa i SAD imaju gotovo 700 svojih nevladinih organizacija diljem Rusije dok Rusija ima svega jednu u Parizu i jednu u SAD-u. Ruski narod, kao i svi narodi, ima pravo znati tko financira tolike brojne nevladine organizacije, tko podupire "petu kolonu" unutar Rusije, jer kada bi znali - a zahvaljujući novom zakonu uskoro će i znati - teško da bi se politički priklanjali istima. 

Zanimljivo kako i uz sve milijarde dolara koje stižu iz Europe i SAD-a, "strani agenti" nisu uspjeli destabilizirati ovu administraciju i poljuljati potporu ruskog naroda za istu. I povrh svega njemačka kancelarka proziva Putina da "pruži priliku" nevladinim organizacijama? Nema sumnje kako im je prilika i pružena i ako žele mogu raditi i dalje, ali uz transparentnu politiku po pitanju financiranja. Pitanje je da li im se u tom slučaju uopće isplati djelovati? Jer esencija nevladinih organizacija je uvijek bila prikazivati njihovo djelovanje kao "autentično", domaće, narodno, a zapravo se radi o čistoj izdaji vlastitih nacionalnih interesa za interese stranih sila, tj. isključivo za novac.






(Sulla disinformazione strategica contro la Corea del Nord si vedano anche i video-editoriali di Mario Albanesi per Teleambiente:
nonché gli articoli da noi già diffusi: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7641 )


Background to the Korean crisis


1) The Dangers of War: What is Behind the US-North Korea Conflict?
By Jack A. Smith - Global Research

2) Washington’s lies exposed: Background to the Korean crisis
By Fred Goldstein - Workers Word



=== 1 ===

(segnalato da Andrea D., che ringraziamo)


The Dangers of War: What is Behind the US-North Korea Conflict?


Global Research, April 01, 2013

What’s happening between the U.S. and North Korea to produce such headlines this week as “Korean Tensions Escalate,” and  “North Korea Threatens U.S.”?

The New York Times reported March 30:

“This week, North Korea’s young leader, Kim Jung-un, ordered his underlings to prepare for a missile attack on the United States. He appeared at a command center in front of a wall map with the bold, unlikely title, ‘Plans to Attack the Mainland U.S.’ Earlier in the month, his generals boasted of developing a ‘Korean-style’ nuclear warhead that could be fitted atop a long-range missile.”

The U.S. is well aware North Korea’s statements are not backed up by sufficient military power to implement its rhetorical threats, but appears to be escalating tensions all the same. What’s up? I’ll have to go back a bit to explain the situation.

Since the end of the Korean War 60 years ago, the government of the Democratic People’s Republic of Korea (DPRK or North Korea) has repeatedly put forward virtually the same four proposals to the United States. They are:

1. A peace treaty to end the Korean War.

2. The reunification of Korea, which has been “temporarily” divided into North and South since 1945.

3. An end to the U.S. occupation of South Korea and a discontinuation of annual month-long U.S-South Korean war games.

4. Bilateral talks between Washington and Pyongyang to end tensions on the Korean peninsula.

 The U.S. and its South Korean protectorate have rejected each proposal over the years. As a consequence, the peninsula has remained extremely unstable since the 1950s. It has now reached the point where Washington has used this year’s war games, which began in early March, as a vehicle for staging a mock nuclear attack on North Korea by flying two nuclear-capable B-2 Stealth bombers over the region March 28. Three days later, the White House ordered F-22 Raptor stealth fighter jets to South Korea, a further escalation of tensions.

Here is what is behind the four proposals.

 1. The U.S. refuses to sign a peace treaty to end the Korean War. It has only agreed to an armistice. An armistice is a temporary cessation of fighting by mutual consent. The armistice signed July 27, 1953, was supposed to transform into a peace treaty when “a final peaceful settlement is achieved.” The lack of a treaty means war could resume at any moment.  North Korea does not want a war with the U.S., history’s most powerful military state. It wants a peace treaty.

 2. Two Koreas exist as the product of an agreement between the USSR (which borderd Korea and helped to liberate the northern part of country from Japan in World War II) and the U.S., which occupied the southern half.  Although socialism prevailed in the north and capitalism in the south, it was not to be a permanent split. The two big powers were to withdraw after a couple of years, allowing the country to reunify. Russia did so; the U.S. didn’t. Then came the devastating three-year war in 1950. Since then, North Korea has made several different proposals to end the separation that has lasted since 1945. The most recent proposal, I believe, is “one country two systems.” This means that while both halves unify, the south remains capitalist and the north remains socialist. It will be difficult but not impossible. Washington does not want this. It seeks the whole peninsula, bringing its military apparatus directly to the border with China, and Russia as well.

3. Washington has kept between 25,000 and over 40,000 troops in South Korea since the end of the war. They remain — along with America’s fleets, nuclear bomber bases and troop installations in close proximity to the peninsula — a reminder of two things. One is that “We can crush the north.” The other is “We own South Korea.” Pyongyang sees it that way — all the more so since President Obama decided to “pivot” to Asia. While the pivot contains an economic and trade aspect, its primary purpose is to increase America’s already substantial military power in the region in order to intensify the threat to China and North Korea.

4. The Korean War was basically a conflict between the DPRK and the U.S. That is, while a number of UN countries fought in the war, the U.S. was in charge, dominated the fighting against North Korea and was responsible for the deaths of millions of Koreans north of the 38th parallel dividing line. It is entirely logical that Pyongyang seeks talks directly with Washington to resolve differences and reach a peaceful settlement leading toward a treaty. The U.S. has consistently refused.

These four points are not new. They were put forward in the 1950s. I visited the Democratic People’s Republic of Korea as a journalist for the (U.S.) Guardian newspaper three times during the 1970s for a total of eight weeks. Time after time, in discussions with officials, I was asked about a peace treaty, reunification, withdrawal of U.S. troops from the south, and face-to-face talks. The situation is the same today. The U.S. won’t budge.

Why not? Washington wants to get rid of the communist regime before allowing peace to prevail on the peninsula. No “one state, two systems” for Uncle Sam, by jingo! He wants one state that pledges allegiance to — guess who?

In the interim, the existence of a “bellicose” North Korea justifies Washington’s surrounding the north with a veritable ring of firepower in the northwest Pacific close enough to almost, but not quite, singe China. A “dangerous” DPRK is also useful in keeping Japan well within the U.S. orbit. It also is another excuse for once-pacifist Japan to boost its already formidable arsenal.

In this connection I’ll quote from a Feb. 15 article from Foreign Policy in Focus byChristine Hong and Hyun Le: “Framing of North Korea as the region’s foremost security threat obscures the disingenuous nature of U.S. President Barack Obama’s policy in the region, specifically the identity between what his advisers dub ‘strategic patience,’ on the one hand, and his forward-deployed military posture and alliance with regional hawks on the other. Examining Obama’s aggressive North Korea policy and its consequences is crucial to understanding why demonstrations of military might — of politics by other means, to borrow from Carl von Clausewitz — are the only avenues of communication North Korea appears to have with the United States at this juncture.”

Here’s another quote from ANSWER Coalition leader Brian Becker:

“The Pentagon and the South Korean military today —and throughout the past year — have been staging massive war games that simulate the invasion and bombing of North Korea. Few people in the United States know the real situation. The work of the war propaganda machine is designed to make sure that the American people do not join together to demand an end to the dangerous and threatening actions of the Pentagon on the Korean Peninsula.

“The propaganda campaign is in full swing now as the Pentagon climbs the escalation ladder in the most militarized part of the planet. North Korea is depicted as the provocateur and aggressor whenever it asserts that they have the right and capability to defend their country. Even as the Pentagon simulates the nuclear destruction of a country that it had already tried to bomb into the Stone Age, the corporate-owned media characterizes this extremely provocative act as a sign of resolve and a measure of self-defense.”

And from Stratfor, the private intelligence service that is often in the know:

“Much of North Korea’s behavior can be considered rhetorical, but it is nonetheless unclear how far Pyongyang is willing to go if it still cannot force negotiations through belligerence.”

The objective of initiating negotiations is here taken for granted.

Pyongyang’s “bellicosity” is almost entirely verbal — several decibels too loud for our ears, perhaps — but North Korea is a small country in difficult circumstances that well remembers the extraordinary brutality Washington visited up the territory in the 1950s. Millions of Koreans died. TheU.S. carpet bombings were criminal. North Korea is determined to go down fighting if it happens again, but hope their preparedness will avoid war and lead to talks and a treatry.

Their large and well-trained army is for defense. The purpose of the rockets they are building and their talk about nuclear weapons is principally to scare away the wolf at the door.

In the short run, the recent inflammatory rhetoric from Kim Jong-un is in direct response to this year’s month-long U.S.-South Korea war games, which he interprets as a possible prelude for another war. Kim’s longer run purpose is to create a sufficiently worrisome crisis that the U.S. finally agrees to bilateral talks and possibly a peace treaty and removal of foreign troops. Some form of reunification could come later in talks between north and south.

I suspect the present confrontations will simmer down after the war games end. The Obama Administration has no intention to create the conditions leading to a peace treaty — especially now that White House attention seems riveted on East Asia where it perceives an eventual risk to its global geopolitical supremacy.

Jack A. Smith, editor of Activist Newsletter

Copyright © 2013 Global Research


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Washington’s lies exposed: Background to the Korean crisis


By Fred Goldstein on April 9, 2013

To listen to the U.S. government and the big business media talk about how the Pentagon is sending all its firepower to the north Pacific to protect Washington and its allies, you would think that the real threat in the world was the Democratic People’s Republic of Korea — north Korea — a country with 25 million people.

You would not know that the Pentagon colossus has 6,000 nuclear weapons and a war machine bigger and more powerful than the rest of the world’s militaries combined, with military bases in over 100 countries.

You might think that it was the DPRK that had 25 military bases in Mexico or Canada poised to invade the U.S., or that the DPRK has 1,000 nuclear missiles in the region capable of targeting every major city in the U.S. You might think the DPRK was carrying out war exercises on the U.S. border, with tens of thousands of troops practicing the invasion and occupation of Washington and the rest of the country.

Is Washington’s alarm caused by the DPRK air force flying nuclear-capable stealth bombers near the Canadian border, simulating nuclear bomb drops? Are the DPRK’s naval forces carrying out exercises with missile ships, amphibious landing vehicles, destroyers and anti-missile defense systems in the Chesapeake Bay, practicing for landing and occupation?

Nope. It’s just the other way around.

The Pentagon has sent its forces halfway around the world to waters and land surrounding the DPRK. They are doing all the above, “practicing” for the destruction of the DPRK and the overthrow of its socialist government.

In an article entitled “North Korea May Actually Think a War Is Coming,” cnbc.com, no friend of the DPRK, on Feb. 22 refuted the idea that the leadership of the DPRK is just drumming up war and/or imagining things.

U.S. escalated war exercises

The article pointed out that the DPRK’s military defensive activities have been driven by reality. For example:

“The first joint military exercises between the U.S. and South Korea since the death of Kim Jong-il suddenly changed their nature, with new war games including preemptive artillery attacks on North Korea.

“Another amphibious landing operation simulation took on vastly larger proportions following Kim Jong-il’s death.”  The sheer amount of equipment deployed was amazing: 13 naval vessels, 52 armored vessels, 40 fighter jets and 9,000 U.S. troops.

“South Korean officials began talking of Kim Jong-il’s death as a prime opportunity to pursue a regime-change strategy.

“South Korea unveiled a new cruise missile that could launch a strike inside North Korea and is working fast to increase its full-battery range to strike anywhere inside North Korea.

“South Korea openly began discussing asymmetric warfare against North Korea.

“The U.S. military’s Key Resolve Foal Eagle computerized war simulation games suddenly changed, too, simulating the deployment of 100,000 South Korean troops on North Korean territory following a regime change.

“Japan was brought on board, allowing the U.S. to deploy a second advanced missile defense radar system on its territory and the two carried out unprecedented war games.

“It is also not lost on anyone that despite what on the surface appears to be the U.S.’ complete lack of interest in a new South Korean naval base that is in the works, this base will essentially serve as an integrated missile defense system run by the U.S. military and housing Aegis destroyers.”

Success of DPRK nuclear tests threw off imperialist war plans

So the plan to overthrow the government of the DPRK has been in the works since the death of the previous leader of the country, Kim Jong Il, in 2012. This was regarded as an opening by U.S. imperialism, its south Korean puppet regime and its imperialist allies in Tokyo to seize the DPRK by military force and reunify the country on a capitalist basis.

They have been actively planning this for months. But the DPRK’s successful tests of nuclear weapons and a missile delivery system in February of this year threw off the plans of the unholy Pentagon-created alliance of Washington, Tokyo and Seoul, which then drastically escalated the level of their menacing joint war “games.”

It is perfectly clear from these circumstances why the Workers’ Party of Korea in its March plenum of this year declared that the DPRK has “a new strategic line on carrying out economic construction and building nuclear armed forces simultaneously under the prevailing situation.” (www.kcna.co, March 31)

Nuclear deterrent not a ‘bargaining chip’

The KCNA release stressed that “the party’s new line is not a temporary countermeasure for coping with the rapidly changing situation but a strategic line. …

“The nuclear weapons of Songu Korea are not goods for getting U.S. dollars and they are neither a political bargaining chip nor a thing for economic dealings to put on the table of negotiations aimed at forcing the DPRK to disarm itself. …

“The DPRK’s nuclear armed forces represents the nation’s life, which can never be abandoned as long the imperialists and nuclear threats exist on earth.”

There were many very important resolutions passed at the Party’s plenary session on the economic development of the country, including developing light industry, agriculture and electrification. But the central resolution has served notice on Washington, the U.N. Security Council, Tokyo and Seoul that the DPRK is not willing to re-enter the U.S.-sponsored “negotiating process” of maneuver and deceit, whose guiding aim since 1994 has been to keep the DPRK from gaining any type of nuclear capability while Washington builds up its military forces in the region.

1994 Agreed Upon Framework and U.S. deception

Washington claims to be acting in “defense,” but it is because of actions by the Pentagon that the DPRK has had to develop a nuclear deterrent.

In 1994, after the Clinton administration went to the brink of war against the DPRK, Washington and Pyongyang signed the Agreed Upon Framework, under which the DPRK was to refrain from nuclear development and Washington would end economic sanctions, contribute financial aid, aid to agricultural development, would build light water nuclear reactors to provide electricity and would provide fuel oil until the reactors were completed and operating. Tokyo and Seoul were supposed to participate in the project.

The two countries were pledged to a nonhostile relationship and to the normalization of relations.

Clinton only agreed to the Framework because the USSR had collapsed, the DPRK’s legendary founder Kim Il Sung had just died in 1994, and Washington was expecting the government and the socialist system  to collapse long before the agreement was to be carried out.

But the years passed and the DPRK survived under the leadership of Kim Jung Il, despite all the hardships caused by the collapse of the USSR and natural disasters that threatened the food supply. Neither the government nor the socialist system collapsed, due both to the leadership and to the determination of the masses to withstand all the difficulties they faced.

The U.S. sanctions were not ended; the fuel oil lagged far behind in delivery, through cold winters; no work was done on the light water reactors. Yet the DPRK kept its end of the bargain and refrained from nuclear development, both peaceful and military.

Meanwhile, Washington continued with “war games” in the south,  reorganizing its forces in the region to be in a better defensive and offensive military position. The DPRK watched the U.S. nuclear monster getting more and more threatening.

‘Axis of Evil’ threats

In January 2002, President George W. Bush declared that the DPRK was part of an “axis of evil” along with Iraq and Iran. Members of this supposed “axis of evil” were subject to preemptive U.S. military attack. In its Nuclear Posture Review later that year revising U.S. nuclear policy, the Bush administration declared that the DPRK , among others, could be subject to a first strike nuclear attack.

So much for “nonhostile” relations.

The light water nuclear reactors that were fundamental to the agreement were supposed to have been operational by 2003. But they were not started until August 2002 and were abandoned at the end of the year, when the U.S. tried to frame up the DPRK with false charges that it was developing nuclear fuel.

Due to the betrayal of the U.S., the Agreed Upon Framework collapsed by 2003. The DPRK withdrew from the Nuclear Non-Proliferation Treaty and embarked upon its own nuclear development. But it had lost almost a decade of development of a nuclear military deterrent, while the military threats to its existence increased. Washington had bombed Iraq and overthrown its government. It was threatening Iran. Developing a deterrent became urgent.

Even after this record of betrayal, the DPRK agreed to six-party talks in 2003 that also involved China, the U.S., Japan, Russia and south Korea.  Under pressure, the DPRK in 2005 once again agreed to suspend its nuclear development in retur

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