Informazione


Niente libro, solo moschetto

1) Vicenza 4 MAGGIO: GIORNATA DI LOTTA contro la base USA "Dal Molin - Del Din"
2) L'italiano perfetto? Niente libro, solo moschetto (Redazione Contropiano)
3) Ecco a cosa servono le larghe intese in Italia: 70 atomiche Usa custodite in Italia saranno adeguate per il lancio con gli F-35

... e con Emma Bonino Ministro degli Esteri, AUGURI! ...


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VICENZA SABATO 4 MAGGIO

MANIFESTAZIONE popolare contro USARMY

ore 10.00  presso la stazione ferroviaria (lato viale Dalmazia), dietro lo striscione che avrà la scritta:

LA CRISI E’ DEL CAPITALE. LA GUERRA ANCHE.

NO ai LICENZIAMENTI. NO alle BASI

Il 25 aprile a Vicenza si è svolta una assemblea pubblica regionale col titolo “DALLA CRISI ALLA GUERRA?”.   Hanno partecipato attivamente più di trenta rappresentanti e/o aderenti a molte realtà organizzate e no delle province di Vicenza Padova e Venezia; molti altri  hanno aderito all’appello di convocazione pur non potendo essere presenti.

Il dibattito ha verificato una  sostanziale convergenza di vedute in tutta l’area della “sinistra di classe”, pur con diverse sottolineature: sia rispetto alle cause generali dell’attuale crisi sistemica e alle relazioni fra gli aspetti economici, politici e militari della lotta epocale in corso (nonostante le “alleanze” di facciata) fra i gruppi dirigenti del capitale imperialista - in particolare quelli con base negli USA e nella UE (Italia compresa) -, sia rispetto alle tragiche conseguenze di tutto ciò per le classi lavoratrici e popolari, specie nei paesi meno “competitivi”, in termini non solo di perdita dei diritti conquistati nel passato, ma di aumento di povertà, emarginazione e imbarbarimento della vita sociale e civile - “guerre fra poveri” indotte dai ricatti padronali e dalla complicità dei partiti e sindacati “di regime” -. 

Su queste basi si sono valutate le difficoltà, ma anche la necessità e le possibilità di superare schematismi e atteggiamenti autoreferenziali per uscire dall’isolamento e costituire un fronte unico resistenziale che possa contribuire nel concreto - non solo nell’immaginario di pochi - a (ri)connettere le lotte del lavoro e sociali, indirizzandole verso la Liberazione dalla barbarie in cui ci sta portando questo modo di produzione in decadenza, il capitalismo.
Questo a partire da SABATO 4 MAGGIO, partecipando in modo organizzato alla manifestazione di VICENZA per “visitare” la nuova base di guerra USARMY AFRICOM, il mostro che occupa 700.000 mq dell’ex aeroporto Dal Molin con 800.000 mc di cemento, appena finito di costruire e pronto per ospitare altri duemila parà “pronti all’uso”, completando l’imposizione di fatto sull’intero territorio cittadino (e sugli stessi abitanti) della servitù militare - per di più verso una potenza straniera, per evidenti scopi di guerra e con danni ambientali irreversibili -. Costruita sì, ma non accettata.  Questo sarà solo l’inizio di una campagna di mobilitazione e di lotta che i vicentini non “schiavizzati” stanno preparando per i prossimi mesi.
Siete tutte/i invitati a diffondere in modo più allargato possibile questo comunicato/appello
e ovviamente a partecipare più numerosi possibile insieme e dietro lo striscione comune


evento Facebook: https://www.facebook.com/events/617379128292238

per contatti: vicenza@...


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http://www.contropiano.org/news-politica/item/15946-litaliano-perfetto?-niente-libro-solo-moschetto

Mercoledì 17 Aprile 2013 11:59

immagine: Spesa militare in % del PIL 1995-2010 (fonte: SIPRI)
http://www.contropiano.org/media/k2/items/cache/965ea8280b8e466d22fe759e62309bf3_L.jpg


Quasi in testa nelle spese militari, ultimi in istruzione e cultura. L'identikit di un paese governato in modo infame e suicida.

Nessuna classifica è neutrale, né perfetta. Ma mettendone insieme due o tre, o anche di più, ne viene fuori un quadro abbastanza nitido di un paese e della sua classe politica. Se parliamo di spese, infatti, parliamo di “scelte politiche”. Si spende di più per quello che è considerato più importante, di meno per quel che non interessa. Una questione di “valori” politici ed etici, progettuali, che presiede alla distribuzione dello “sforzo”.

Per esempio. L'Italia è penultima in Europa per la percentuale di spesa pubblica destinata alla cultura: appena l'1,1%, a fronte della media del 2,2% dei 27 Paesi dell'Ue, matematicamente il doppio. Dietro di noi c'è solo la Grecia, ma negli utlimi tre anni Atene non ha più avuto una politica economica appena appena discrezionale. I governi italiani, dunque, l'hanno ridotta per scelta quasi libera. In fondo, siamo anche l'unico paese del mondo industrializzato ad avere avuto un ministro dell'economia che dichiarava “la cultura non si mangia” (Giulio Tremonti). Lo avessero pensato i predecessori, staremmo ancora a dipingere cervi nelle grotte...

In compenso, nel 2012 l’Italia è salita al decimo posto nel mondo – quarta in Europa - tra i paesi con le più alte spese militari. Eravamo undicesimi, nel 2011; si vede che il governo “tecnico” ci ha messo del suo. 34 miliardi di dollari l'anno, ovvero 26 miliardi di euro, 70 milioni al giorno. Mentre tagliava tutto, aumentava la spesa militare (acquisto di F35, missioni all'estero, ecc). Il dato viene dal Sipri, istituto internazionale con sede a Stoccolma.

Ma l'Italia dà un grande contributo anche ai profitti finanziari. Il 17,3% della spesa pubblica se ne va infatti per il pagamento degli interessi sul debito. Peggio, ancora una volta, stanno solo Grecia (24,6%), Cipro (24,1%) e Ungheria (17,5%).

L'identikit di questo paese ne esce quindi fuori nitido: si impegna come servo militare dell'imperislismo più forte (è il più fedele esecutore europeo degli ordini Usa, dopo la Gran Bretagna), ha deciso di mantenere nell'ignoranza perenne la propria popolazione tagliando il cordone ombelicale con la propria storia culturale trimillenaria, si svena per pagare interessi su un debito che (al 130% del Pil) ognun sa che non potrà mai essere restituito.

Nessun libro, ma solo moschetto! Neanche il fascismo era arrivato a tanto...


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http://www.peacelink.it/disarmo/a/38315.html

Piano di riarmo nucleare, Obama e Napolitano a braccetto


Ecco a cosa servono le larghe intese in Italia


The Guardian: 70 atomiche Usa custodite in Italia saranno adeguate per il lancio con gli F-35
23 aprile 2013 - Alessandro Marescotti


C'era chi pensava che i poteri forti fossero scesi in campo per l'Ilva e che le larghe intese servissero a queste operazioni a metà fra la politica e l'economia.

C'era chi pensava - continuando su questa linea - che le larghe intese servissero alla TAV e alle grandi opere.

C'era chi pensava che Napolitano fosse il presidente della guerra in Afghanistan e che le larghe intese servissero a puntellare una guerra Nato che va sempre peggio.

Ma non era prevedibile che di mezzo ci fossero anche le armi atomiche.

Ora lo sappiamo: gli USA rendono compatibili le atomiche in Italia con gli F-35, lo rivela The Guardian.

«Si tratta di un aumento significativo del livello di capacità per il dispositivo nucleare degli Usa di base in Europa», ha detto Hans Kristensen, della Federation of Nuclear Scientists, scrive il Guardian, «e va in direzione opposta rispetto all'impegno preso da Obama nel 2010 di non dispiegare nuove armi nucleari».

Napolitano, Berlusconi, Monti e quello che sarà il prossimo segretario del PD serviranno a saldare il patto di ferro con il "Premio Nobel per la Pace" che rilancia le armi atomiche in Italia mentre da tempo se ne chiedeva lo smantellamento.


Vedi anche:

http://www.peacelink.it/disarmo/a/38314.html

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http://www.repubblica.it/esteri/2013/04/21/news/usa_11_miliardi_per_adeguare_le_atomiche_agli_f-35-57197605/

Guardian: 70 atomiche Usa custodite in Italia
saranno adeguate per il lancio con gli F-35


A sorpresa rispetto agli impegni di Obama sul disarmo, il Pentagono stanzia 11 miliardi di dollari per interventi di 'ammodernamento' dei 200 ordigni B61 ospitati da basi Nato europee: 50 sono ad Aviano, 20 a Ghedi. L'operazione ruota intorno al controverso caccia-bombardiere di ultima generazione


ROMA - Dagli Usa arriva un apparente voltafaccia rispetto agli impegni di Barack Obama verso il disarmo nucleare. Il Pentagono si appresta infatti a spendere 11 miliardi di dollari per ammodernare 200 ordigni nucleari tattici B61 allocati in Europa per trasformarli in "bombe atomiche intelligenti (teleguidate)" sganciabili dal controverso caccia di ultima generazione F-35, di cui si doterà anche l'Italia. E' quanto rivela il britannico Guardian.

Le B61 sono ordigni americani conservati negli arsenali Nato europei. Sono 'nascosti' in Belgio, Olanda, Germania, Turchia, ma anche in Italia sul cui territorio sono ancora presenti 90 di questi ordigni (70 secondo le ultimissime stime): 50 ad Aviano in Friuli e 40 (20) a Ghedi, in provincia di Brescia.

Si tratta di atomiche piuttosto antiquate, ma sempre armi di distruzione di massa, realizzate alla fine degli anni Sessanta: pesano fino 320 kg, sono lunghe 3,56 metri ed hanno un diametro di 33 cm. La loro potenza massima è di 340 chilotoni (oltre 30 volte la bomba di Hiroshima) ma quelle depositate in Europa, il modello B61 Mk12, si fermano a 50 chilotoni (un chilotone corrisponde alla potenza esplosiva di 1.000 tonnellate di tritolo).

Degli 11 miliardi di dollari stanziati, il Pentagono - che nel 2010 si era impegnato a ridurre il numero degli ordigni atomici e a non svilupparne di nuovi - ne spenderà 10 per prolungare la vita operativa delle B61 e uno per dotare ogni ordigno di alette di coda per trasformarle in bombe atomiche guidate. Alla fine le 200 nuove B61 saranno pronte tra il 2019 e il 2020 in tempo per essere usate dal discusso caccia-bombardiere 'invisibile' F-35.

Quello degli F-35 rappresenta il più ambizioso e costoso programma della storia militare non solo statunitense:2.443 aerei per 323 miliardi di dollari.L'Italia ha di recente confermato il proprio impegno all'acquisto, pur riducendo gli ordini a 90 esemplari.

In teoria un F-35 potrebbe penetrare indisturbato (perchè non rilevabile ai radar) lo spazio aereo di qualsiasi nazione e sganciare una di queste bombe atomiche tattiche. A quanto riferisce il Guardian, secondo l'amministrazione Obama, l'aggiunta delle alette di coda per rendere indirizzabili (Gbu) le B61 non rappresenta "un significativo cambiamento per cui non viola gli impegni del 2010".

(21 aprile 2013)




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LA FISSAZIONE DI STELIO SPADARO


Da:  Claudia Cernigoi <nuovaalabarda @ gmail.com>

Oggetto:  lettera alle Segnalazioni

Data:  29 aprile 2013 15.09.30 GMT+02.00

A:  piccolo @ ilpiccolo.it, segreteria.redazione @ ilpiccolo.it

Nel consueto (nel senso che si ripete di anno in anno) intervento di Stelio Spadaro (quest’anno assieme a Lorenzo Nuovo) relativamente all’importanza dell’insurrezione del CLN triestino il 30/4/45, leggiamo anche che “i CLN triestini (sic) erano ignorati od ostacolati dal CLN Alta Italia che dava per scontato che la Resistenza dovesse essere affidata all’esercito di Liberazione sloveno e croato” e che “del quarto CLN giuliano non facevano parte gli uomini del Partito Comunista” perché “il PCI era nella sostanza schierato dall’altra parte” (anche se il testo può dare adito al dubbio che il PCI sostenesse i nazifascisti, per “altra parte” i due autori intendono gli Alleati jugoslavi).

Vanno quindi chiarite alcune cose. La prima è che il CLNAI, in quanto organo di governo dell’Italia antifascista riconosciuto dagli Alleati, aveva (giustamente) invitato il CLN triestino a collaborare con il Fronte di liberazione facente riferimento alla Jugoslavia di Tito, governo riconosciuto dalle nazioni alleate. Ed il CLN di Trieste, se voleva avere un riconoscimento internazionale dalla compagine antinazifascista, doveva giocoforza collaborare con l’Esercito di liberazione jugoslavo e (a Trieste) con il Fronte di Liberazione – Osvobodilna Fronta sloveno.

Però questa direttiva politica non era stata raccolta dal CLN giuliano (come si può facilmente vedere negli scritti di Giovanni Paladin, don Marzari, Giuliano Gaeta ed altri), che nell’estate del 1944 fece di tutto per creare delle fratture con l’OF, il che provocò anche l’allontanamento dal CLN del Partito comunista.

E quando, un paio di mesi dopo, il delegato comunista Giuseppe (Pino) Gustincich, cercò un contatto con il CLN giuliano, ecco come lo accolse don Edoardo Marzari, presidente e tesoriere del CLN giuliano, rappresentante della Democrazia cristiana.

“… in settembre (1944, ndr) mi si presentò a Trieste un certo Pino Gustincich, dicendo di essere stato designato a rappresentare i comunisti però non solo italiani ma anche sloveni. Gli risposi che il CLN era italiano e che non era ammissibile una rappresentanza slava in seno ad esso, esistendo già per gli slavi un loro proprio organo. Egli replicò che le direttive erano state cambiate e che solo a quella condizione il PC poteva far parte del CLN. Risposi che allora il posto del PC sarebbe stato vacante e così di fatto avvenne in seguito e ogni cosa si svolse fino alla liberazione e oltre senza la partecipazione del PCI” (“I cattolici triestini nella Resistenza”, Del Bianco, Udine 1960, p. 30).

Quindi, stando alle affermazioni di don Marzari, non è stato il Partito comunista triestino a non voler entrare nel CLN giuliano, ma il CLN giuliano a rifiutare, dopo avere disatteso le direttive del CLNAI, l’adesione del Partito comunista.

Un tanto per correttezza nei confronti dei combattenti per la Liberazione di Trieste.


Claudia Cernigoi

Trieste




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(italiano / slovenscina)

Banda Collotti: Banditi, ki so zastopali institucijo

1) OGGI a Trieste: Presentazione del libro LA BANDA COLLOTTI di C. Cernigoi. Una nota dell'Autrice 
2) Claudia Cernigoi o svoji knjigi La »Banda Collotti« o posebnem inšpektoratu javne varnosti (Primorski Dnevnik)


=== 1 ===


Trieste, sabato 27 aprile 2013
ore 18.30
, Casa del popolo di Sottolongera (via Masaccio 34, autobus 35)

Presentazione del libro:

LA BANDA COLLOTTI
Storia di un corpo di repressione al confine orientale, 1942-1945

di C. Cernigoi
(Udine: KappaVu, 2013)

alla presenza dell'Autrice.

Nota dell’autrice:

Ho cominciato a scrivere questo libro più di dieci anni fa, pensando all'inizio di farne un breve dossier, come quelli che pubblico per la Nuova Alabarda. Avevo iniziato riordinando un po' di documenti storici e di testimonianze e poi, andando avanti, mi sono accorta che mentre scrivevo la storia del corpo di repressione avevo iniziato a ricostruire anche una parte della storia della Resistenza di queste terre, e così ho proseguito raccogliendo altri documenti, ma soprattutto testimonianze di persone che avevano vissuto quei momenti e me ne hanno resa partecipe. Così ne è uscito un libro piuttosto corposo, ricerca che per me ha significato non solo conoscere fatti storici ma anche entrare in contatto con tante persone che avevano lottato e sofferto per la libertà, ed alla fine ne sono uscita più ricca interiormente. Ringrazio ancora tutti coloro che mi hanno aiutata e che sono ricordati all'inizio del libro, e mando un pensiero particolare agli ex prigionieri che hanno accettato di visitare la sede di via Cologna, dove erano stati detenuti e torturati, per ricostruire con noi, che "viviamo tranquilli nelle nostre tiepide case" quei tempi terribili che non abbiamo vissuto, noi che grazie al sacrificio di persone come loro oggi possiamo vivere liberamente.



=== 2 ===


Banditi, ki so zastopali institucijo


Claudia Cernigoi o svoji knjigi La »Banda Collotti« o posebnem inšpektoratu javne varnosti

sobota, 20. aprila 2013




V četrtek so v novinarskem krožku predstavili knjigo Claudie Cernigoi La Banda Collotti« o posebnem inšpektoratu javne varnosti (založba Kappavu iz Vidma). Pogovorili smo se z avtorico, ki je svoje delo predstavila skupaj z Alessandro Kersevan in Ljubomirjem Sušićem.


Kaj prinaša nova knjiga o posebnem inšpektoratu policije?
To je študija o represivnem organu, ga je leta 1942 ustanovilo italijansko notranje ministrstvo, da bi zajezilo partizansko gibanje v Julijski krajini. O zloglasnem inšpektoratu je bilo v Trstu veliko govora, žal pa se je o njem malo pisalo. Hotela sem zapolniti vrzel, saj me tema zelo zanima.

Je to prva knjiga na to temo?
Da. Objavljenih je bilo nekaj člankov in publikacij, to je pa prva specifična študija o inšpektoratu.

Katere vire ste uporabili?
Prvi vir je bil Deželni inštitut za zgodovino osvobodilnega gibanja v FJK. Potem sem šla na Odsek za zgodovino Narodne in študijske knjižnice v Petronijevi ulici ...

Dokler je bil še odprt.
Da, k sreči mi je uspelo proučiti nekaj gradiva, predvsem iz Bubničevega arhiva. Potem so še državna arhiva v Trstu in Rimu, državni arhiv v Ljubljani (o prijavah na račun vojnih zločincev iz posebnega inšpektorata), arhiv tržaškega VZPI-ANPI (fascikel z dokumenti, ki so jih zasegli po Collottijevi aretaciji v Carboneri), razne knjige, nekaj podatkov pa mi je posredoval Vincenzo Cerceo, ki je prebral dnevnike Diega de Henriqueza v tržaških mestnih muzejih. Pomembno mesto pa zasedajo številni intervjuji, ki sem jih opravila z osebami, ki so doživele tedanje grozote. Pričevanja sem povezala z zapisniki posameznih zaslišanj.

Ali ste intervjuvali veliko ljudi?
Da, iz Furlanije-Julijske krajine in Veneta, kjer so prijeli Gaetana Collottija. Govorila sem tudi z osebo, ki je bila takrat na območju njegove aretacije. Prav posebno pa je pričevanje ženske, ki so jo odvedli na sedež inšpektorata v Ul. Bellosguardo, ko je bila stara osem let. Nje niso mučili, stik s Collottijem pa se ji je vtisnil v spomin. Spraševal jo je o njenih starših. V knjigi posvečam posebno pozornost človeški plati.

Kaj vas je najbolj presunilo med raziskovanjem?
V prvi vrsti to, da je bila struktura inšpektorata zelo organizirana. Giuseppe Gueli, ki je vodil inšpektorat, je imel v mislih sodoben model protigverilske represije. Osupljiva sta število ljudi, ki jih je obravnaval inšpektorat in odstotek smrtnih žrtev - zaradi mučenja ali pa odhoda v taborišče. Večina tamkajšnjih policistov pa je po vojni ostalo v službi in nekateri so se v drugih mestih povzpeli celo do kvestorskega položaja.

S Collottijem so v Venetu zajeli tudi Slovenca Rada Seliškarja. Kdo je bil?
Seliškar je bil ljubljanski prostovoljec, ki je zapustil partizane in se pridružil posebnemu inšpektoratu, vendar zgodba ni jasna. Njegova zaročenka je zatrjevala, da je v resnici pod krinko še vedno sodeloval s partizani, drugi viri pa postavljajo v dvom to razlago, češ da je bil kolaboracionist. Dopisi so na Odseku za zgodovino NŠK. V Venetu so Collottija in Seliškarja na koncu baje ustrelili.

V naslovu je Collottijeva tolpa v narekovajih. Ali ste s tem želeli poudariti, da je šlo v resnici za državni organ?
Vsi jo poznajo kot Banda Collotti, čeprav je bila to institucija. Predstavniki te institucije pa so se dejansko obnašali kot banditi. Na to je med prvimi opozarjal Borštan Jordan Zahar, ki sem ga intervjuvala.


Več v tiskani izdaji Primorskega dnevnika








Another Massive Failure by the International Criminal Tribunal

APRIL 17, 2013

Neither Justice Nor Reconciliation


by DIANA JOHNSTONE

Paris.


Do international criminal tribunals contribute to reconciliation between parties to armed conflicts? On April 10, the question was discussed during a “thematic debate” at the United Nations General Assembly – but not by everybody.

The United States boycotted the affair.
Why? It was organized by a Serb.

Richard Dicker of Human Rights Watch took on the task of warning people away in an article in the Huffington Post. The debate “will serve up a revisionist denial of the worst killings in Europe since the end of World War II”, he announced, adding that “it is unlikely much thoughtful discussion will occur.”

The Serb organizing the conference was Vuk Jeremic, who used to be Serbia’s foreign minister before becoming current president of the UN General Assembly, a position which allows such special thematic debates to be organized. With the moral weight of Human Rights Watch behind him, Dicker wrote that “the government Jeremic served is dominated by the nationalist Serbian Radical Party (SRP), whose founder, Vojislav Seselj, is on trial at the International Criminal Tribunal on Former Yugoslavia” (ICTY). Dicker accused Jeremic of deciding to “organize a ‘debate’ to serve as cover for an auto-da-fe of the tribunal.”

Take that, you Serbs! We know what you’re up to! Except that, incidentally, there has never been a Serbian government dominated by the Serbian Radical Party. That party ceased to exist during the ongoing decade-long incarceration without trial of its leader Seselj – which is perhaps precisely why Seselj is being kept indefinitely in The Hague. The government Jeremic served was in fact the submissively pro-Western Democratic Party government of President Boris Tadic, which spent its years in office doing everything it could to please its tormenters in the European Union, the United States and the Tribunal. But never mind the facts: those Serbs are all alike, extreme nationalists, of course.

Having disposed of the Serbian sponsors, Dicker concluded: “Countries with a more constructive agenda need to find a way to debate these and other lessons as we near the 20th anniversary of the Yugoslavia tribunal.”

Of course, Human Rights Watch could have brought its “constructive” views to the April 10 conference. All that was needed was for its executive director Kenneth Roth to accept the invitation from Jeremic, who also invited other champions of the ICTY.
Erin Pelton, spokeswoman for the U.S. Mission to the United Nations, said the United States would not participate in the “unbalanced, inflammatory” meeting. Indeed, why should the Superpower that has systematically ensured its own immunity from the International Criminal Court discuss international criminal law with indictable riffraff?
So the debate was left to those beyond the pale of “the International Community” – such secondary countries as Argentina, South Africa, Russia, China, Cuba, India, Algeria, Turkey, Brazil, etc., etc.

Jeremic posed the paramount issue of the conference in his introductory remarks: “how international criminal justice can help reconcile former adversaries in post-conflict, transitional societies.” He ventured to suggest that: “Reconciliation will come about when all the parties to a conflict are ready to speak the truth to each other. Honoring all the victims is at the heart of this endeavor… Reconciliation is in its essence about the future, about making sure we do not allow yesterday’s tragedies to circumscribe our ability to reach out to each other, and work together for a better, more inclusive tomorrow.”

Not much of an “auto-da-fe”.

This was soon followed by the dreaded moment of scandal when the current President of Serbia, Tomislav Nikolic, delivered his speech. “U.S. boycotts U.N. forum over agenda set by Serb”, headlined the International Herald Tribune, noting that: “Critics took offense that

General Assembly president, Vuk Jeremic, whose antipathy toward the Yugoslavia tribunal is well known, had invited as keynote speaker the like-minded president of Serbia, Tomislav Nikolic, but not the victims of Balkans atrocities …” What Nikolic himself actually said was not reported.

So, addressing only the majority of the world that lies beyond the pale, Nikolic said that Serbia yearned for reconciliation with its neighbors with whom it used to live in the same country. But he was “deeply convinced that the Hague Tribunal has only done harm to this process and that it has probably caused an unnecessary delay that will be carried over to the next generation.”

The one-sided focus of the Tribunal on crimes by Serbs stands in the way of reconciliation, he said. The extreme imbalance between convictions of Serbs and other parties to the tragic conflicts indicates an effort to establish the conclusion that the Serbian side alone was carrying out murder and genocide while the others were passively going about their daily business.

“It is not true that in this war that destroyed us all only one side was getting killed and the other side was doing the killings”, he said, blaming the ICTY for a “lack of objectivity and impartiality”.

Nikolic recalled Serbia’s extraordinary cooperation with the Tribunal over the years, extraditing 46 defendants, including two former presidents, government ministers, three army chiefs of staff and several police and army generals, including the director of intelligence service which, Nikolic stressed, has never been done by any other country. Serbia has “almost given up sovereignty,” relieving more than 750 witnesses from the obligation to safeguard state secrets and opening its archives to prosecutors.
In return, crimes against Serbs have been almost entirely ignored by the prosecution, and the few prosecutions of the most notorious crimes of ethnic cleansing of Serbs have ended in acquittal on appeal.

The verdicts reached by the Tribunal are making the Serbian people feel frustrated and depressed while creating feelings of exaltation and triumph among Croats and Bosnian Muslims, he said. In the absence of a balanced truth, “any reconciliation will be imposed and insincere.” A convincing court “cannot be fair to some and unfair to others.” No real reconciliation is possible when one nation is made to feel that it is the victim of a great injustice, while giving the other side a feeling of great triumph.

Of the refusal of ICTY representatives to attend the conference Nikolic said that “if they did not respect the most ancient legal rule, ‘Audiatur et altera pars’ (hear the other side too), how can we expect even a minimum of law and justice of them?”

Following statements by representatives of participating countries, the conference heard discussion by two expert panels, made up of a total of two Serbs and eight speakers from the United States, the United Kingdom and Canada.

Savo Strbac, a Bosnian Serb who has collected data on war deaths, used statistics to show that the Tribunal had unfairly prosecuted a disproportionate number of Serbs. William Schabas, an American defender of the ICTY, replied that the 1945 Nuremberg Tribunal was, after all, even more one-sided against the Germans. He thus confirmed exactly what the Serbs object to, namely that the Tribunal was set up at the start of the Yugoslav wars of disintegration to put political pressure on the Serbian side, after Germany and the United States, for contrasting reasons, had decided to back the Croatian and Bosnian Muslim separatists against the Serbs. The ICTY was used as a constant threat to the Serbs, the party most opposed to dismantling Yugoslavia. The prosecution of members of the secessionist national groups have been token at best.
The second Serb panelist, Cedomir Antic, noted that over 70% of Serbs have a negative view of the Tribunal, but other national groups are not satisfied either. He protested that the underlying identification of Serbia with Nazi Germany was unfounded and unjust. By developing a condemnation of Serbia’s entire historic culture, the ICTY has even fostered hatred of their own country among some Serbs. Serbs are accused of hating others, but self-hatred is welcomed.

It is striking that not long after World War II, which left over 60 million dead, the Federal Republic of Germany was cozily rehabilitated into the West, economically and militarily, whereas years after the end of an incomparably smaller localized war, Serbia remains a criminalized pariah.

The reason for this ongoing stigmatization of Serbia lies in the need to justify the 1999 Kosovo war.

At one point, a Cuban delegate asked Canadian panelist General Lewis MacKenzie,
who commanded UN peacekeeping forces in Sarajevo during the Bosnian phase of the wars: what was the real reason that NATO bombed Serbia for 78 days in 1999? General MacKenzie replied candidly that it was because NATO was celebrating its fiftieth anniversary, the Soviet bloc had collapsed, and “NATO was looking for work”.
The 1999 bombing of Kosovo was blatantly illegal – an act of aggression, without U.N. Security Council mandate, carried out with impunity against a country that posed no threat whatsoever to any NATO member.

As Cedomir Antic observed, the nature of the Tribunal is proven by the fact that it refused to indict anyone in NATO for its illegal crime of aggression against Serbia, or for its crimes in bombing schools, hospitals and other civilian targets.

International lawyer Matthew Parish raised the problem of international criminal law “stealing ground from historians”. The “fog of war” makes it hard to know what is going on, and justice pretends to give final answers, he observed.

ICTY indictments and convictions are designed to give answers that are clearly oriented in a way to support the NATO pretext that the bombing of Serbia was a “humanitarian” war to save potential victims (Kosovo Albanians) from a hypothetical threat of “genocide”. That version casts the Serbs as villains, with all other parties as innocent victims.

U.S. leaders wanted to give NATO a new mission, and claiming to “save the Kosovars” from genocide was an ideal pretext. The main task of The Hague Tribunal for crimes in former Yugoslavia is to shore up that pretext. NATO powers proposed it, fund it, choose or vet its personnel. Quite naturally, it follows and confirms the NATO interpretation of events. The interpretation must be preserved above all because Kosovo as the “good, humanitarian war” still continues to serve as model for whatever other war the US or NATO may choose to undertake on a similar pretext.

It remained for British scholar John Laughland to conclude the debates with a scathing intellectual critique of the very principle of international criminal tribunals.

Laughland argued that the whole system is a fundamental mistake which overlooks the fact that the legal right to administer justice is the definitive characteristic of statehood which cannot rightly be usurped by such floating entities:

“This unimpeachable right to administer punishment is enjoyed by the state under very clear conditions, namely that this right is exercised in return for general protection of law-abiding citizens. The right derives, in other words, from the social contract. That social contract is systemically broken by international tribunals which offer no protection in return for the punishment they administer because they are not part of a state and have no police force. Not embedded in the structures of statehood, international criminal courts are a perfect example of power without responsibility.”

Laughland expressed his conviction that “the United Nations system is itself endangered by these developments and by the rise of that interventionism which international criminal justice embodies.”

To promote reconciliation, it would be necessary, Laughland maintained, to return to “the lost art of peace” which, until the early twentieth century, was exemplified in the amnesty clauses included in all peace treaties. Amnesty was not an individual forgetting, but an official act of sovereign states to put hostilities behind them and make a fresh start on friendly terms.

Ignoring all such issues, the mainstream media, in its indigent reporting, focused on the absent victims. Bosnian Muslim activist Munira Subasic was lengthily interviewed by the Associated Press, calling on emotion to trump reason with references to Srebrenica, genocide, rape, evil.

“As a victim of genocide, Subasic said, ‘I will never forgive. I will never forget’,” AP reported.

It was a final proof of the failure of the International Criminal Tribunal on former Yugoslavia to advance reconciliation.


DIANA JOHNSTONE is the author of Fools Crusade: Yugoslavia, NATO and Western Delusions. She can be reached at  diana.josto@...