Informazione

(srpskohrvatski / italiano)

Il fascismo antiserbo

1) La Serbia rifiuta le imposizioni della UE circa il Kosovo e cambia rotta (Enrico Vigna)
2) Антисрпски фашизам (Андреј Фајгељ)


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La Serbia rifiuta le imposizioni della UE circa il Kosovo e cambia rotta.

di Enrico Vigna

Dopo una lunga seduta del Parlamento il governo di Belgrado, il 2 aprile, ha dichiarato di "non poter accettare le soluzioni proposte perché non garantiscono la sicurezza e i diritti umani dei serbi del Kosovo".



Quattordici anni dopo la vittoria della coalizione militare più potente della storia, la NATO, aveva cercato attraverso l’Unione Europea di imporre alla Serbia, una nuova Rambouillet, un’ennesima capitolazione: la rinuncia definitiva di una parte del suo territorio, la regione del Kosovo, il cuore della sua storia e identità nazionale e spirituale.

Dopo la “guerra umanitaria” del 1999, dopo la creazione dello stato fantoccio di “Kosova”, guidato dai terroristi dell’UCK, dopo l’installazione per 99 anni, della più grande base militare USA dai tempi del Vietnam: Camp Bondsteel in Kosovo, l’UE aveva posto l’ingiunzione dell’accettazione dello status quo del narcostato Kosovo albanese ( di fatto un protettorato NATO), come precondizione per entrare...in Europa. L'accettazione che tutte le comunità serbe e non albanesi ( le enclavi) del Kosovo, accettassero l'autorità istituzionale del governo di Pristina; proposta serba di negoziare una forma di autonomia per tali comuni è stata respinta, chiedendo al contrario lo smantellamento completo di tutte le "strutture parallele" nel nord del Kosovo, che in qualche modo hanno permesso finora di proteggere e salvaguardare gli abitanti dalla pulizia etnica applicata nelle altre aree. "L'umiliazione della Serbia non può essere la soluzione per il Kosovo", ha dichiarato I.Dacic, Primo Ministro serbo; ha inoltre detto che la leadership serba vuole continuare il dialogo con Pristina, ma non ci potrà mai essere un accordo per l'indipendenza del Kosovo, per questo, non potrà essere raggiunta facilmente un intesa.

La Serbia ha scelto il Kosovo: attraverso pressioni e ricatti, Dacic ha detto in un'intervista, "...ci offrivano soltanto una capitolazione"; Pristina rifiuta la concessione di una qualsiasi autonomia alle municipalità serbe del Nord, come per esempio la creazione di una polizia e di tribunali serbi nei comuni autonomi; a questo punto messa di fronte all'alternativa fra abbandonare del tutto la sua gente nel Kosovo o rinunciare alla prospettiva europea, la Serbia ha scelto di dire "no" a BruxellesCon questa risposta si apre una situazione del tutto nuova e complessa sotto molti punti di vista: C. Ashton, la rappresentante della politica estera della UE, aveva detto dopo l'ultimo incontro che la Ue non si sarebbe più occupata della vicenda Kosovo e dei negoziati cui si stava lavorando da più di due anni, riguardanti le dogane, la libera circolazione, i diritti civili e umani, le forniture elettriche, le telecomunicazioni. Ora bisognerà vedere se dopo il "no" della Serbia a pretese e pressioni ritenute inaccettabili , l'Unione europea deciderà di cambiare atteggiamento e costringere la leadership di Pristina ad accettare un negoziato equo e rispettoso degli interessi reciproci per non aprire una crisi foriera di gravissimi pericoli; Dacic ha dichiarato che: ...è comunque intenzione della Serbia di continuare il dialogo per cercare di raggiungere una soluzione sostenibile e condivisa... con Pristina, ma non saranno mai d'accordo per l'indipendenza del Kosovo...”.

Certamente non sarà sufficiente il rifiuto di Belgrado a Bruxelles per non perdere il Kosovo, si aprono scenari di conflittualità da ambo le parti, lo dimostra il fatto che, in previsione di violenze le forze USA nel Kosovo hanno dispiegato la loro Brigata 525 che è specializzata in operazioni anti-sommossa; e le preoccupazioni da parte dei serbo kosovari sono che la NATO potrebbe cercare di sfruttare qualche “incidente”, come pretesto per occupare le zone settentrionali, con la partecipazione delle forze di sicurezza del Kosovo “indipendente ». Sono già previste nei prossimi giorni, manifestazioni degli albanesi kosovari a Mitrovica sud, che potrebbero essere utilizzate per causare un'esplosione generale e giustificare l’occupazione militare del nord del Kosovo. Così come non va mai dimenticata la delicata e difficile situazione delle enclavi situate nel sud del Kosovo, totalmente isolate e circondate dall’ostilità degli estremisti albanesi.

Scenari di gravi e dure conseguenze A questo punto il governo del presidente Nikolic è quindi in una posizione molto delicata perché si trova realisticamente esposto ad una destabilizzazione, interna, attraverso le forze filo occidentali disgregatrici ed antinazionali ( sia politiche che i vari movimenti e ONG promossi e finanziati dall’ Occidente) ed esterna, attraverso i ricatti dell’isolamento diplomatico ed economico che i paesi occidentali sicuramente cercheranno di attuare ed imporre alla Serbia.

Come ha dichiarato a Belgrado Marko Djuric, consigliere per la politica estera del presidente serbo: “...il paese si trova in una posizione drammaticamente difficile...I cittadini devono sapere che ci troveremo ad affrontare gravi conseguenze, perché dall'altra parte non erano pronti per un compromesso onorevole...". Dopo nove mesi di governo questa coalizione fondata sostanzialmente sulle forze del Partito Progressista Serbo ( nazionalismo moderato) e del Partito Socialista, ha gettato le basi per un rinnovamento della politica in Serbia, basato soprattutto su scelte di difesa dell’interesse nazionale in tutti i campi e la ricerca di nuovi prospettive per trovare una ripresa politica, economica, sociale e culturale per il popolo serbo. Le perplessità sono molte e addirittura fino al 2 aprile le comunità dei serbo kosovari erano molto scettiche ed anche dure verso Belgrado, temendo la svendita del Kosovo per“comprarsi” l’Europa. E’ chiaro che, alla luce di questa scelta forte e cruciale per le prospettive future a tutto campo, il governo serbo ha riacquistato ancora maggiore credibilità e fiducia nelle classi popolari della Serbia e del Kosovo Metohija. Secondo un sondaggio di marzo fatto da Belgrado Plus Faktor, il Partito progressista guidato da A. Vulic, sarebbe sostenuto dal 38,6 per cento degli elettori, se le elezioni si fossero svolte nel mese; mentre i Socialisti sarebbe al terzo posto, con il 13,6 per cento di sostegno; il Partito Democratico, il partito di opposizione filo occidentale, che ha perso le elezioni lo scorso anno ha attualmente un supporto del 14,8 per cento, secondo l'indagine, che aveva un margine di errore di 3 punti percentuali. Alla luce dei nuovi avvenimenti, sicuramente la popolarità della coalizione è cresciuta, in quanto in molti settori patriottici della società serba c’erano molte critiche ed attacchi proprio legati alla questione Kosovo.


Una conseguenziale svolta geostrategica e geopolitica

Il rifiuto dell’accettazione delle condizioni imposte, come anche dichiarato da M. Djuric, consigliere del governo, disegna scenari gravidi di incognite circa i passi che a livello internazionale, il blocco occidentale nel suo complesso intraprenderà. Nel frattempo, il "no" è stato fortemente sostenuto dalla Russia, vista la drammatica situazione economica e sociale in Serbia; il "no" potrebbe sembrare un suicidio poiché ora il governo serbo deve trovare altre sponde in termini di investimenti, accordi economici e scambi commerciali; oltrechè politiche, date le prevedibili ritorsioni e tentativi di isolamento della cosiddetta comunità internazionale occidentale, che verranno tentate.

Le vicende intorno alla questione del Kosovo hanno un‘importanza strategica per l'intera regione balcanica e non solo, oltre al destino futuro della stessa Serbia. Il nodo Kosovo va ben al di là della situazione specifica della provincia, delle sue risorse minerarie o energetiche, dei “diritti umani” dei kosovari albanesi, in gioco c’è la posizione geostrategica della’area ed il ruolo geopolitico futuro di essa. In realtà quest’area può diventare una carta strategica vincente e di primaria importanza, sia per la Russia che per la Cina, che potrebbero rientrare in gioco come area di influenza in questa regione, dopo esserne state estromesse, di fatto, nel 1999. Per esempio il progetto del futuro gasdotto South Stream che, se evitasse il pasaggio attraverso la Croazia, da un lato metterebbe in crisi i piani economici del governo croato e dell’UE, e nello stesso tempo sarebbe un rovesciamento politico di tutti i piani strategici nei Balcani, in quanto con questa mossa la Serbia avrebbe da una parte nuovi investimenti e possibilità di sviluppo economico ( di cui ha un bisogno disperato), e dall’altra non sarebbe più uniformata politicamente allo scacchiere occidentale e NATO.

Quasi come una conferma di questa lettura, pochi giorni dopo il “no” alle condizioni imposte nel negoziato da Bruxelles, il Primo Ministro serbo I. Dacic è volato a Mosca con una ampia delegazione per incontri e scambi di “opinione” sulla situazione e discutere di investimenti russi in Serbia. Il Primo Ministro russo Medvedev ed anche il Presidente Putin avevano pubblicamente dichiarato sia prima che dopo la decisione del governo serbo che avrebbero comunque sostenuto ogni decisione di Belgrado.

Il primo ministro della Serbia, Dacic nella sua prima dichiarazione a Mosca ha detto che: “...Senza la Russia abbiamo perso la battaglia e che la Serbia si trova in una situazione difficile, ed il sostegno russo è prezioso, poiché la Russia è il migliore amico del popolo serbo... Vi saluto nel nome del popolo serbo e di tutta la Serbia. Grazie per il vostro sostegno di principio intorno alla lotta per la salvaguardia del nostro territorio, il Kosovo...”, ha detto Dacic. Ha poi sottolineato che "...se la Russia fosse stata questa molto tempo fa ( ndt quattordici anni fa ) non avremmo perso la battaglia..." Ha anche detto che: “... ulteriori passi d’ora in poi sarebbero stati coordinati con Mosca..”.

Il premier serbo ha ringraziato la Russia per i grandi aiuti umanitari al Kosovo e ha aggiunto: “...

Abbiamo bisogno di aiutare la nostra gente in Kosovo per sopravvivere a questo periodo difficile. La proposta per risolvere la questione del Kosovo che ci hanno offerto non era giusta né equa. Dobbiamo pesare ogni mossa per non far diventare il diritto internazionale un giocattolo. Pertanto, abbiamo bisogno di un migliore coordinamento con Mosca...”

Dal canto suo V. Putin ha dichiarato: “...Siamo lieti che i rapporti sono molto buoni. ..Russia e Serbia hanno sempre avuto ottimi rapporti e sono vicini, sia spiritualmente che politicamente. Siamo lieti che l’intesa sia a tutti i livelli e sia molto buona... “. Ribadendo che: “... la Russia è il più grande investitore in Serbia, e abbiamo una grande quantità di progetti interessanti insieme....”. Aggiungendo che dopo il declino dello scorso anno dei rapporti commerciali, ora sono di nuovo in aumento.

Il Primo Ministro D. Medvedev ha dichiarato che: “... la Serbia è stata e continuerà ad essere un partner chiave della Russia, così come l'amicizia tra i due popoli che grandemente influenza le relazioni tra i nostri paesi...”. I due primi ministri hanno convenuto che gli scambi tra i due paesi devono essere aumentati, anche con i grandi progetti economici del settore energetico, e Dacic ha ringraziato la Federazione russa e ha deciso di contribuire a finanziare il costo di costruzione di "South Stream" che dovrebbe ora attraversare la Serbia, abbandonando il precedente percorso attraverso la Croazia . I leader di "Gazprom" e la Serbia hanno raggiunto un accordo, per il progetto in cui l'azienda statale russa investirà 1.700.000.000 di dollari per la costruzione del gasdotto "South Stream" per il tratto serbo.

Nell’accordo è anche stato stabilito il contenimento delle tariffe del gas in futuro, per ripagare i costi di costruzione che saranno sostenuti dalla Serbia, oltre a garantire i servizi di Gazprom per i clienti dell'Europa meridionale, tra cui la Serbia sarà inclusa . I lavori di costruzione sono previsti iniziare nel dicembre 2013. Gazprom ha anche confermato che la sua azienda, non indebiterà lo Stato serbo, essa coprirà i costi del progetto, avendo la Serbia ottenuto un prestito di 500.000.000 di dollari dopo l'incontro con Medvedev. La Serbia secondo l'accordo, fornirà il 30 per cento degli investimenti. La società russa finanzierà la costruzione e la Serbia avrà la sua quota di diritti da riscuotere per il transito del gas attraverso il paese. La Russia ha già accettato di fornire fino a 1,5 miliardi di metri cubi di gas l'anno per la Serbia entro 10 anni. Il gas sarà trasportato attraverso il percorso esistente e in futuro sarà trasportato attraverso il South Stream. Altri aspetti degli accordi stabiliti nella visita a Mosca sono: l’adozione dell’abolizione di tariffe doganali per le esportazioni verso la Russia di automobili, zucchero, formaggio e sigarette. Con la più grande Banca della Russia si è parlato di una linea di credito speciale per le imprese serbe di esportazione in Russia. E’ stato anche firmato un accordo per un prestito russo di mezzo miliardo di dollari per sostenere il bilancio della Serbia, con la prima tranche di 300 milioni da versare subito, l'altra dopo che la Serbia avrà concluso un accordo di stabilizzazione con l'FMI. Il prestito è concesso per 10 anni con un tasso di interesse del 3,5 per cento. Inoltre, altri accordi sono stati firmati nel settore dei trasporti ferroviari e nel settore militare.

Al suo ritorno a Belgrado il premier serbo Ivica Dacic ha detto che: “... c'è una nuova era nelle relazioni tra la Serbia e la Russia, aggiungendo che la Serbia non sarà più sola sulla scena internazionale quando si tratterà di Kosovo e Metohija (Kim)...Sono fiducioso che questo sarà di grande aiuto per contribuire a far capire loro (i leader dei paesi dell'Unione europea e degli Stati Uniti), che abbiamo qualcuno dietro di noi, perché mi sembrava che la Serbia sia stata sola sulla scena internazionale, circondata da paesi che sono, o membri della NATO o si stanno dirigendo verso la NATO e l'Unione europea ", ha detto Dacic alla Radio Televisione della Serbia. "...Il presidente russo Vladimir Putin e il primo ministro Dmitry Medvedev non hanno detto una parola circa l’eventualità che la Serbia dovesse dirigersi verso l'Unione Europea o meno. Continuano a dire che questa è una nostra scelta, ma questo non significa che dobbiamo dimenticare che la Russia è il nostro più grande e primo amico. Questa è la nostra politica ufficiale e questo è come intendiamo noi le relazioni di fiducia.. "ha concluso Dacic.

Ora non resta che aspettare l’evoluzione della situazione e mantenere alta l’informazione circa il Kosovo e la Solidarietà verso la resistenza all’arroganza e violenza delle autorità secessioniste e terroriste.


Aprile 2013 - Enrico Vigna, portavoce Forum Belgrado Italia



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http://www.subnor.org.rs/prenosimo-3

Антисрпски фашизам


Пише: др Андреј Фајгељ


Ако у Европи постоји фашизам, то је антисрпски фашизам. У 21. веку, Срби су једини Европљани који живе под реалном претњом етнички мотивисаних убистава и чија култура и идентитет су предмет сталне дефамације.

Само у последњих годину дана, повратници на Косово и у Хрватску били су пребијани и убијани, на децу бацане бомбе, а снаге реда су бојевом муницијом пуцале на ненаоружане демонстранте.

Његош, застава, химна, храм Христа Спаса, фреска Бели анђео, реч „Метохија“ и ћирилична слова – чим је нешто српско, било је извиждано, забрањено и запаљено.

Идући даље у прошлост, преко погрома 2004. и ’99, етничког чишћења ’95. и великог повратка ’91, увиђамо да се ради о изворном облику фашизма на овим просторима. У периоду ’41-’45, оно што су нацизам и Аушвиц били за свет, за наш део Европе били су усташтво и Јасеновац. Оба покрета називамо фашистима, не толико по њиховом италијанском савезнику колико по мржњи и насиљу против умишљених непријатеља, у ствари недужих жртава. Зато је сасвим разумљиво што су антифашисти и борци за људска права широм Европе толико посвећени одбрани Срба, њихове културе и права... Стани мало... али уопште није тако!

ЋИРИЛИЦА НА УДАРУ

Напротив, антисрпски фашизам се традиционално игнорише још од завршетка II светског рата. Након 70 година, у прилици смо да упоредимо две стратегије: ћутање о антисрбизму и говорење о антисемитизму. Ћутање је за резултат имало заборав жртава и некажњивост злочинаца, а говорење свест да се злочини не смеју поновити и успешан рад на остварењу тог циља. Понекад помислим, да којим случајем локални фашисти поред заборавних Срба и Рома нису убијали и памтише Јевреје, данас нико не би ни знао за Јасеновац. Ћутање је, уместо да избрише усташке злочине, довело до ратова деведесетих у којима су их све стране опонашале. Довело је, у случају Срба, до мешања починилаца и жртава Холокауста.

Али до највеће патологије ћутање је довело – није тешко претпоставити – код самих жртава. Потиснути антисрпски фашизам је у српском друштву осветнички избио на најнеочекиванијим местима. У првој Србији појавили су се они који су на ужас предака и срамоту потомака поновили део гнусних злочина у име српства. Друга Србија је изнедрила чудовишни спој антисрпског фашизма и српског антифашизма.

Као што су усташе биле у стању да жигошу сваког Србина као непријатеља државе, ови „антифашисти“ су у стању да залепе етикету непријатеља цивилизације – фашисте – сваком ко негује српску културу. Актуелни напади на ћирилицу ујединили су српску левицу и хрватску екстремну десницу. Почело је нападима на Културни центар Новог Сада, чији нови ћирилички знак је представљен као кукасти крст. Наставило се тако што су се напади у Вуковару и Новом Саду подударали, често у дан. Када су поштоваоци Павелића и Готовине заказали велики протест против ћирилице непосредно пред обележавање Новосадске рације, позвао сам српске странке, декларативно антифашистичке, да се суздрже од напада. Није помогло, а ЛСВ је на свом скупу, док су владика и рабин држали помен жртвама, као по команди поновила дефамацију из Вуковара и повезала ћирилицу са силовањем.

ЋУТАЊЕ КАО УЉЕ НА ВАТРУ

Да ли је антисрпски фашизам мање опасан кад долази од Срба? Многи усташки кољачи су пореклом били Срби. Да ли је мање опасан кад долази од антифашиста? Стаљинове чистке су спровођене у име антифашизма. „Антифашисти“ о којима говорим, баш као и фашисти, већ јавно заступају насиље. Тако су у новосадском Скејт парку, једном од ретких места где се деци и младима промовише здрав живот, нацртали велики графит на којем један човек пребија другог палицом.

Ако слушамо учитељицу живота, наша лекција је болно јасна. Ћутање није лек на рану, већ уље на ватру. Оно нас је довело у тако дубоку кризу вредности да ни најосновније, попут људског живота, не важе једнако за све, да се и најјасније границе бришу, попут оне између фашизма и антифашизма. Пошто није осуђен ни кажњен, већ успешан у остваривању својих циљева, антисрпски фашизам је постао прихватљив. И то не само међу потомцима злочинаца, већ и у светској јавности, и што је најстрашније, међу потомцима жртава. Ревизионисти пишу нову историју и стварају нову културу, у којој је „за дом спремни“ прихватљив поздрав, а српска три прста су геноцидна. У којој су концерти извођача песме „Јасеновац и Градишка стара“ родољубиви, а „Марш на Дрину“ је фашистички. Најновији тренд на савременој друштвеној мрежи Твитер, „Мрзим Србију и њен народ“, обећава да нас након насилне прошлости чека забрињавајућа будућност.

Можда се питамо зашто свет ћути? Очи света су упрте у нас. Многи савезници су спремни да нас подрже, али нико није спреман да бије наше битке уместо нас. Ми морамо први осудити антисрпски фашизам, не обазирући се на лажне заставе, лоше навике и друге изговоре. Ако нисмо у стању да осудимо најгрубљи фашизам чије смо директне жртве, како ћемо осудити било који фашизам? Или, јеванђелским језиком: „Лицемере! Извади најпре брвно из ока свог, па ћеш онда видети извадити трун из ока брата свог.“ (Мт. 7:5).

Аутор је директор Културног центра Новог Сада




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Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia - ONLUS
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(italiano / srpskohrvatski.
Sullo stesso argomento si vedano anche i nostri altri post precedenti:
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Podrška DNR Koreji

1) Articoli sulla RPD di Corea al sito CIVG
2) Podrška DNR Koreji, nuklearni rat nameću SAD (NKPJ)
3) Cosa c’è dietro il conflitto tra Stati Uniti e Corea del Nord? (di Jack A. Smith)


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http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=147:korea-notizie-aprile-2013&catid=2&Itemid=101

KOREA NOTIZIE

Aprile 2013

- La Corea è Una -

a cura del Comitato per la Pace e la Riunificazione della Corea di Torino e CIVG



SOMMARIO


§  Dichiarazione del portavoce del CPRK  ( Comitato per la Riunificazione Pacifica della Corea )

§  La stampa occidentale ha dichiarato guerra alla Korea del Sud, ma non la Korea del Nord

§  Incontro di preghiera speciale per la Pasqua a Pyongyang

§  Corea del Sud: Coalizione Azione per la Pace

§  Le relazioni Nord-Sud sono state messe in stato di guerra: dichiarazione speciale della Repubblica Democratica Popolare di Corea

§  Dichiarazione del Presidente del Comitato Centrale del Partito Socialdemocratico di Corea

§  Il quotidiano coreano Rodong Sinmun invita tutti i coreani a sollevarsi nella Guerra Patriottica per la Riunificazione


VAI AL SITO:
http://www.civg.it/index.php?option=com_content&view=article&id=147:korea-notizie-aprile-2013&catid=2&Itemid=101


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http://www.nkpj.org.rs/clanci-la/clanak_id=24-la.php

Podrška DNR Koreji, nuklearni rat nameću SAD


Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) najoštrije osuđuje agresivno ponašanje Sjedinjenih Američkih Država i njenog satelita Južne Koreje kao i poteze koje povlači Japan a koji su preteći prema miroljubivoj Demokratskoj Narodnoj Republici Koreji i nameću joj nuklearni rat.



Potpuno je licemerno izveštavanje svetskih i srpskih buržoaskih medija koji za eskalaciju krize optužuju DNR Koreju bestidno ignorišući činjenicu da su svi potezi rukovodstva i vojske te zemlje samo reakcija na stalne manevre američkih i južnokorejskih trupa, dolazak u područje Korejskog poluostrva američkih nuklearnih aviona i brodova kao i na razmeštanje raketnog naoružanja Japana pod firmom "samoodbrane" a u stvari poteza urađenog u dogovoru sa imperijalističkim SAD da bi se dodatno zapretilo slobodoljubivom narodu DNR Koreje. Takođe potpuno su besmislene optužbe da je DNR Koreja opasnost za region i svet. Činjenice su sasvim drugačije, a one govore da jedinu pretnju predstavljaju interesi zapadnog imperijalizma predvođenog SAD i njene militarizovane marionete Južne Koreje a koji za cilj imaju uništenje DNR Koreje i rušenje socijalizma u toj zemlji.

SAD iz godine u godinu provociraju DNR Koreju koja je stoga primorana da značajni deo sredstava ulaže u izgradnju snažne obrane kako bi se mogla efikasno nositi s tim agresivnim pretnjama. Lenjin je govorio da revolucija vredi onoliko koliko je sposobna da se brani. U uslovima stalnih pretnji zapadnih imperijalista i južnokorejskih marioneta DNR Koreja je da bi zaštitila svoj suverenitet i svoje interese primorana da decenijama razvija vojnu snagu, uključujući tu i nuklearno oružje. S obzirom da su imperijalisti ti koji su još u vreme postojanja SSSR i socijalističkog bloka u Istočnoj Evropi nametnuli trku u nuklearnom naoružanju, opredeljenje DNR Koreje za razvoj nuklearnog oružja isključivo u svrhe odbrane svoje zemlje je pravilan potez i jedini jezik koji imperijalisti razumeju. NKPJ upozorava američke imperijaliste da prestanu sa daljim provokacijama jer ako se izazove sukob na Korejskom poluostrvu on bi sasvim sigurno dobio nuklearne konotacije što nije u bilo čijem interesu a isključivi krivac za takav razvoj situacije biće administracija u Vašingtonu predvođena predsednikom Barakom Obamom.

NKPJ daje punu podršku DNR Koreji i njenom rukovodstvu na čeli sa drugom Kim Džong Unom i u slučaju daljih pritisaka zapadnog imperijalizma organizovaće u Srbiji akcije solidarnosti sa tom socijalističkom zemljom, odnosno akcije protesta protiv ponašanja SAD i njegovog satelita Južne Koreje.

Imperijalisti dalje ruke od DNR Koreje!

Živela Radnička partija Koreje!

Živeo proleterski internacionalizam!


Sekratarijat Nove komunističke partije Jugoslavije

Beograd,

11. april 2013. godine


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http://ciptagarelli.jimdo.com/2013/04/08/conflitto-usa-corea-del-nord/

I pericoli della guerra

Cosa c’è dietro il conflitto tra Stati Uniti e Corea del Nord?

di Jack A. Smith; da: rebelion.org (fonte: GlobalResearch); 7.4.2013

 


Cosa sta succedendo tra Stati Uniti e Corea del Nord, che questa settimana ha prodotto titoli come “Aumentano le tensioni in Corea” e “La Corea del Nord minaccia gli Stati Uniti”?
Il 30 marzo The New York Times informava: “Questa settimana il giovane dirigente della Corea del Nord, Kim Jung-un, ha ordinato ai suoi subordinati di prepararsi per un attacco con missili agli Stati Uniti. Si è mostrato in un centro di comando di fronte ad una mappa appesa al muro con il baldanzoso e improbabile titolo ‘Piani per attaccare il territorio degli Stati Uniti’. Alcuni giorni prima i suoi generali si sono vantati di aver sviluppato un’ogiva nucleare “stile coreano” che potrebbe essere utilizzata da un missile a largo raggio”.

 

Gli Stati Uniti sanno bene che le dichiarazioni della Corea del Nord non sono suffragate da un potere militare sufficiente a materializzare le sue minacce retoriche, ma la tensione sembra aumentare in tutti i modi. Che sta succedendo?
Devo tornare un poco indietro nel tempo per spiegare la situazione. 



Dalla fine della Guerra di Corea, 60 anni fa, il governo della Repubblica Popolare di Democratica della Corea del Nord (RPDCN o Corea del Nord) ha fatto ripetutamente sempre le stesse quattro proposte agli Stati Uniti:
1. Un trattato di pace per mettere fine alla Guerra di Corea;
2. La riunificazione della Corea “temporaneamente” divisa in Nord e Sud dal 1945;
3. Fine dell’occupazione statunitense della Corea del Sud e sospensione delle simulazioni di combattimento annuali della durata di un mese tra Stati Uniti e Corea del Nord;
4. Negoziati bilaterali tra Washington e Pyogyang per mettere fine alle tensioni nella penisola di Corea.

 

Nel corso degli anni gli Stati Uniti ed il loro protettorato sudcoreano hanno ogni volta rifiutato ognuna delle proposte. Di conseguenza la penisola è rimasta estremamente instaabile durante il decennio 1950.
Ora si è giunti al punto che Washington ha utilizzato le sue simulazioni di guerra annuali, che sono cominciati all’inizio di marzo, per organizzare una simulazione di attacco nucleare alla Corea del Nord, facendo alzare in volo due bombardieri B-2 Stealth con capacità nucleare sulla regione il 28 marzo. Tre giorni dopo la casa Bianca ha inviato nella Corea del Sud aerei da combattimenti “invisivili” F-22 Raptor, col che la tensione si è alzata ancor di più.

 

Vediamo cosa c’è dietro queste quattro proposte:

 

1. Gli Stati Uniti non vogliono firmare un trattato di pace per mettere fine alla Guerra di Corea. Hanno accettato solo un armistizio, che è una cessazione temporale del combattimento per accordo mutuo. Si riteneva che l’armistizio firmato il 27 luglio 1953 si sarebbe trasformato in trattato di pace nel momento in cui “si fosse raggiunto un accordo pacifico finale”. La mancanza di un trattato significa che la guerra può ricominciare in qualsiasi momento, La Corea del Nord non vuole una guerra con gli Stati Uniti, lo Stato con maggiore potere militare della storia. Vuole un trattato di pace.
2. Le due Coree esistono in conseguenza di un accordo tra l’Unione Sovietica (che divide una frontiera con la Corea e che durante la II° Guerra Mondiale aiutò la parte nord del paese a liberarsi dal Giappone) e gli Stati Uniti, che occuparono la parte sud. Nonostante che il socialismo prevalesse a nord ed il capitalismo al sud, la divisione non doveva essere permanente. Le due grandi potenze avrebbero dovuto ritirarsi nel giro di due anni e permettere che il paese si riunificasse. La Russia lo fece, gli Stati Uniti no. Arrivò allora la devastante guerra dei tre anni nel 1950. Da quella data la Corea del Nord ha fatto varie e diverse proposte per mettere fine ad una divisione che dura dal 1945. Credo che la più recente sia “un paese, due sistemi”. Ciò significa che, anche se le due parti si riunissero, il sud continuerebbe ad essere capitalista ed il nord socialista. Sarebbe difficile, ma non impossibile. Washington non lo vuole. Cerca di impadronirsi di tutta la penisola per portare il suo “ombrello” militare direttamente alla frontiera con la Cina, e anche con la Russia.
3. Dalla fine della guerra Washington ha mantenuto tra i 25.000 e i 40.000 soldati nella Corea del Sud. Insieme alle flotte, alle basi dei bombardieri nucleari e alle installazioni di truppe statunitensi molto vicine alla penisola, questi soldati continuano ad essere un memento di due cose. Una è che “possiamo schiacciare il nord” e l’altra è “La Corea del Sud ci appartiene”. Pyongyang la vede in questo modo (e molto di più da quando il presidente Obama ha deciso di puntare sull’Asia). Anche se questa svolta ha aspetti economici e commerciali, il suo proposito principale è aumentare il già considerevole potere militare nella regione per intensificare le minacce a Cina e Corea del Nord.
4. la Guerra di Corea fu sostanzialmente un conflitto tra la Repubblica Popolare Democratica della Corea del Nord e gli Stati Uniti. Cioè, per quanto altri paesi delle Nazioni Unite partecipassero alla guerra, gli Stati Uniti si fecero carico di essa, dominarono la lotta contro la Corea del Nord e furono responsabili della morte di milioni di coreani a nord della linea divisoria del 38° parallelo. E’ del tutto logico che Pyongyang cerchi di negoziare direttamente con Washington per risolvere le divergenze e raggiungere un accordo pacifico che porti ad un trattato. Gli Stati Uniti hanno sistematicamente rifiutato.

 

Questi quattro punti non sono nuovi. Furono fissati nel decennio 1950.

 

Nel 1970 visitai in tre occasioni la Repubblica Popolare Democratica della Corea del Nord, per un totale di otto settimane, come inviato del giornale statunitense The Guardian. Tutte le volte, durante i colloqui con i dirigenti, mi veniva fatta la richiesta di un trattato di pace, della ritirata delle truppe statunitensi del Sud e di negoziati diretti. Oggi la situazione è la stessa. Gli Stati Uniti non hanno ceduto di un pollice.

 

Perché no? Washington vuole liberarsi del regime comunista prima di permettere che la pace prevalga nella penisola. Altro che “uno Stato, due sistemi”! Vuole uno Stato che prometta lealtà … indovinate a chi?

 

Nel frattempo l’esistenza di una “bellicosa” Corea del Nord giustifica che Washington accerchi il sud con un autentico anello di potenza di fuoco nel nord-est del Pacifico sufficientemente vicino per bruciare la Cina, anche se non del tutto. Una “pericolosa” Repubblica Popolare Democratica della Corea del Nord è utile anche per mantenere il Giappone all’interno dell’orbita statunitense ed è anche un’altra scusa perché il precedentemente pacifico Giappone si vanti del suo già formidabile arsenale.

 

Riguardo a questo voglio citare un articolo di Christine Hong e di Hyung Le pubblicato il 15 febbraio in Foreign Policy in Focus:
Definire la Corea del Nord come la principale minaccia per la sicurezza della regione nasconde la natura falsa della politica del presidente statunitense Barak Obama nella regione, in concreto l’identità di quello che i suoi consiglieri chiamano ‘pazienza strategica’ da una parte e, dall’altra, l’atteggiamento militare e l’alleanza con i falchi regionali che è stata raggiunta. Esaminare la politica aggressiva di Obama rispetto alla Corea del Nord e le sue conseguenze è fondamentale per capire perché le dimostrazioni di potenza militare (della politica attraverso altri mezzi, con la parole di Karl von Klausevitz) sono le uniche vie di comunicazione che la Corea del Nord sembra avere con gli Stati Uniti in questo periodo”.

 

Riporto qui un’altra citazione di Brian Becker, della coalizione ANSWER:
Il Pentagono e l’esercito della Corea del Sud oggi (e nel corso dell’anno passato) hanno organizzato grandi simulazioni di guerra che riproducono l’invasione e il bombardamento della Corea del Nord. Pochi, negli Stati Uniti, conoscono la vera situazione. Il lavoro della macchina propagandistica di guerra è fatto per assicurarsi che il popolo statunitense non si unisca per esigere che cessino le pericolose e minacciose azioni del Pentagono nella Penisola di CoreaLa campagna di propaganda è ora in pieno svolgimento mentre il Pentagono sale la scala dell’intensificazione nella parte più militarizzata del pianeta.
La Corea del Nord è considerata il provocatore e l’aggressore ogni volta che afferma di aver diritto a difendere il proprio paese e di avere la capacità di farlo. Anche quando il Pentagono simula la distruzione nucleare di un paese che ha già tentato di bombardare fino a ridurlo all’Età della pietra, i mezzi di comunicazione di proprietà delle corporations caratterizzano quest’atto estremamente provocatorio come segno di determinazione e un mezzo difensivo.”.

 

Altra citazione di Stratfor, un servizio di intelligence privato che di solito se ne intende:
Gran parte del comportamento della Corea del Nord si può considerare retorico anche se, tuttavia, non è chiaro fino a dove vuole arrivare Pyongyang se continua a non poter forzare i negoziati attraverso la belligeranza”.
Qui si dà per scontato l’obiettivo di iniziare i negoziati.

 

La “bellicosità” di Pyongyang è quasi interamente verbale (forse vari decibels troppo alta per le nostre orecchie), ma la Corea del Nord è un piccolo paese in difficili circostanze che ben ricordano la straordinaria brutalità che Washington ha inflitto al territorio nel decennio del 1950. Milioni di coreani morirono. I “bombardamenti di saturazione” statunitensi furono criminali. La Corea del Nord è decisa a morire lottando se questo succederà nuovamente, ma spera che la sua preparazione (militare) impedisca la guerra e porti a negoziati e ad un trattato di pace.
Il suo grande e ben addestrato esercito è difensivo. Il fine dei missili che sta costruendo e del parlare di armi nucleari è, fondamentalmente, quello di spaventare il lupo che ha sulla porta di casa.

 

A breve termine, la retorica bruciante di Kim Jong-un è la risposta diretta alla simulazione di guerra di durata mensile di quest’anno da parte di Stati Uniti e Corea del Sud, che egli interpreta come un possibile preludio di un’altra guerra. Il proposito di Kim a lungo termine è creare una crisi sufficientemente inquietante perché gli Stati Uniti pervengano finalmente a negoziati bilaterali, e possibilmente ad un trattato di pace e all’uscita delle truppe straniere. Più avanti si potrà pensare ad una qualche forma di riunificazione, in negoziati tra ilo nord ed il sud.

 

Sospetto che l’attuale confronto si calmerà una volta che le simulazioni di guerra finiranno. Il governo Obama non ha intenzione di creare le condizioni per un trattato di pace, specialmente ora che l’attenzione della Casa Bianca sembra assorta nell’Est dell’Asia, dove percepisce un possibile pericolo per la sua supremazia geopolitica.

 

(*) Direttore di Activist Newsletter
 
(traduzione di Daniela Trollio
Centro di Iniziativa proletaria “G.Tagarelli”
Via Magenta 88, Sesto S.Giovanni)




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A lire aussi les autres articles dans Horizons et débats (Zurich)
N°13, 1 avril 2013 ( http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3885 ):

«L’agression de l’OTAN contre la Yougoslavie en 1999 était un modèle des nouvelles guerres de conquête»
«Interventions humanitaires» – prétexte pour le stationnement de troupes américaines | Interview de Živadin Jovanovic, ancien ministre des Affaires étrangères de la République fédérale de Yougoslavie
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3886

L’agression de l’OTAN contre la République fédérale de Yougoslavie de 1999
par Milica Radojkovic-Hänsel
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3887

Dix ans déjà!
Extrait des actes du Congrès intitulé «Nato Aggression. The Twilight of the West»
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3888

Les peuples qui n’ont pas d’histoire n’ont pas d’avenir
par Pierre-Henri Bunel, commandant, France
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3889

Ne jamais oublier
Document final de la Conférence internationale de Belgrade | organisée les 23 et 24 mars 2009 à Belgrade
http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3890

AUF DEUTSCH: http://www.zeit-fragen.ch/index.php?id=1402
IN ENGLISH: http://www.currentconcerns.ch/index.php?id=2311


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http://www.horizons-et-debats.ch/index.php?id=3887

http://www.voltairenet.org/article178064.html

« LA PUISSANCE DOIT PRIMER SUR LE DROIT »

L’agression de l’OTAN contre la République fédérale de Yougoslavie de 1999


par Milica Radojkovic-Hänsel

La Serbie a t-elle été attaquée, en 1999 ? Pour répondre à la question, Milica Radojkovic-Hänsel convoque les documents d’époque (incluant la lettre de Willy Wimmer au chancelier Gerhard Shröder). Il met en évidence le caractère inadmissible des demandes de Rambouillet pour justifier une guerre déjà lancée.

RÉSEAU VOLTAIRE  | 11 AVRIL 2013

Il y a 14 ans – après les négociations de Rambouillet et Paris entre le 6 et le 23 février 1999 – les médias globaux avaient informé au public que « la délégation serbe n’a pas accepté l’accord offert et qu’elle l’a qualifié de ‘nul et non avenu’ ».
Les médias insinuaient, que le soi-disant Groupe de contact pour la Yougoslavie soutenait prétendument cet accord. Cette commission était composée de 4 pays membres de l’OTAN plus la Russie. Mais la Russie refusait d’approuver la partie militaire (annexe B) de cet accord – un fait qui à été caché par les informations des médias.
Qu’est-ce qui c’est réellement passé à Rambouillet et Paris et quels étaient les termes exacts de l’« annexe B » ?
Madeleine Albright, la secrétaire d’Etat états-unienne de l’époque, a prétendu que « la partie militaire de l’accord était pratiquement le noyau de l’accord offert à Rambouillet », lequel était inacceptable pour la délégation de la République fédérale de Yougoslavie.
Živadin Jovanovic, le ministre des Affaires étrangères yougoslave d’alors, a déclaré dans son interview avec le quotidien de Belgrade Politika, le 6 février 2013, qu’« à Rambouillet, il n’y a eu ni tentative d’atteindre un accord, ni de négociation, ni un accord ». La délégation yougoslave avait été invitée à Rambouillet afin de participer aux négociations avec la délégation albanaise du Kosovo.
Il semble exact qu’il n’y a effectivement pas eu de négociation. Cette conclusion peut être tirée des diverses prises de position de quelques représentants occidentaux, entre autres celles du président d’alors de l’Organisation pour la sécurité et la coopération en Europe (OSCE) et du ministre des Affaires étrangères norvégien.
L’information partisane de la presse occidentale et les affirmations partiales des politiciens occidentaux concernant « l’échec des négociations suite au refus du document politique demandant une large autonomie du Kosovo » par les représentants yougoslaves, visaient à préparer l’opinion publique à une agression militaire l’OTAN, agression qui était déjà planifiée pour octobre 1998 mais qui fut, pour des raisons évidentes, reportée au 24 mars 1999.
La seule chose vraie est que la délégation yougoslave avait prié à plusieurs fois de pouvoir négocier – ce qui ressort des messages écrits transmis aux négociateurs lors des pourparlers – des négociations directes entre les délégations yougoslave et kosovare.
Les documents officiels prouvent ce fait. Christopher Hill, le représentant des Etats-Unis à ces négociations, a prétendu dans sa réponse à de telles demandes que la délégation du Kosovo « ne voulait pas de négociations directes ». « Ainsi, il était clair pour nous tous que le dialogue directe ne convenait pas aux Américains et que c’était la véritable raison pour laquelle le contact direct n’a pas eu lieu », a déclaré Jovanovic. Et d’ajouter : « Il n’est point croyable que dans une situation, dans laquelle les Américains auraient vraiment voulu des négociations directes, la délégation du Kosovo n’aurait pas accepté cette demande. »
Les médias du monde et les représentant occidentaux ont sciemment mal interprété le refus prétendu de la Yougoslavie, de « l’établissement de troupes pour le maintien de la paix au Kosovo (et Métochie) ». La vérité par contre est que la délégation yougoslave avait accepté les parties politiques du projet d’accord de Rambouillet, mais pas son « annexe B » avec les points 2, 5 et 7, qui proposaient et demandaient l’occupation militaire de tout le territoire de la République fédérale de Yougoslavie d’antan (c’est-à-dire la Serbie avec deux provinces autonomes et le Monténégro). C’est pour cela que l’opinion publique du monde entier a été objet d’une manipulation médiatique, disant que les Serbes « refusaient des troupes de maintien de la paix au Kosovo (et Métochie) ».
Mais que sont les « forces de maintien de la paix » dans la pratique internationale et dans le droit international ? Dans la pratique internationale ce sont des troupes administrées par les Nations Unies (les Casques bleus) ; se sont des troupes, que les pays membres de l’ONU mettent à disposition. Ce ne sont pas des troupes de l’OTAN.
Afin de comprendre, ce qui a poussé la République fédérale de Yougoslavie à refuser la partie militaire du document présenté à Rambouillet, il est nécessaire de lire ses dispositions :
« (I) Les personnels de l’OTAN bénéficieront, tout comme leurs véhicules, navires, avions et équipement, d’un passage libre et sans restriction et d’un accès sans ambages dans toute la RFY, y compris l’espace aérien, les eaux territoriales associées et toutes les installations ;
(II) Les personnels de l’OTAN, en toutes circonstances et à tout moment, seront dispensés des juridictions des Parties, concernant toute agression civile, administrative, criminelle ou disciplinaire qu’ils sont susceptibles de commettre en RFY ;
(III) Les personnels militaires de l’OTAN devront normalement porter un uniforme, ils pourront posséder et porter une arme ;
(IV) Les Parties pourront, sur simple demande, accorder tous les services de télécommunication, y compris les services de diffusion, nécessaires à l’Opération, tels que définis par l’OTAN. Ceci comprendra le droit d’utiliser les moyens et services nécessaires pour assurer une capacité totale de communiquer et le droit d’utiliser tout le spectre électromagnétique à cette fin, gratuitement ;
(V) l’OTAN est autorisée à détenir des individus et, aussi vite que possible, à les remettre aux autorités concernées. »
Les médias du monde, surtout ceux des Etats membres de l’OTAN et les représentants d’alors des Etats-Unis et d’Europe, ont caché le contenu du document militaire, en reprochant aux dirigeants serbes et au président yougoslave « un manque de coopération dans les efforts, de trouver une solution pacifique ». Tout comme Rambouillet, « la Conférence de Paris n’était pas une réunion, dans laquelle on aurait pu voir un ‘effort’ sérieux pour arriver à une entente, des négociations ou un accord ». L’envoyé des Etats-Unis, Christopher Hill, exigea de la délégation yougoslave uniquement de signer le texte qu’il avait élaboré et mis sur table – selon le principe Take it or leave it, à expliqué l’ancien ministre Živadin Jovanovic.
Outre les nombreuses condamnations du projet d’accord exprimées par des experts en droit international, l’appréciation du document par l’ex secrétaire d’Etat US Henry Kissinger a fait l’objet d’une attention spéciale dans une interview accordée le 27 juin 1999 au Daily Telegraphde Londres. Il y avait alors déclaré :
« Le texte du projet de l’accord de Rambouillet, qui exigeait le stationnement de troupes de l’OTAN dans toute la Yougoslavie, était une provocation. Il a servi de prétexte pour commencer les bombardements. Le document de Rambouillet était formulé de telle manière qu’aucun Serbe ne pouvait l’accepter. »
Ces mots indiquent, entre autres, que l’agression de 1999 contre la République fédérale de Yougoslavie était présentée dans les médias occidentaux comme un épilogue, qui se retrouvait dans le lancement de la nouvelle stratégie interventionniste de l’OTAN sous la conduite des Etats-Unis. Cette stratégie a été officiellement introduite lors de la rencontre de l’OTAN qui s’est tenue le 25 avril 1999 à Washington, c’est-à-dire au moment même où l’agression contre la République fédérale de Yougoslavie avait lieu.
Avec l’agression contre la République fédérale de Yougoslavie, l’OTAN a muté d’une alliance défensive en une alliance agressive, qui s’arroge le droit d’intervenir partout dans le monde en tant que puissance militaire.
En outre, l’estimation des dirigeants yougoslaves en ce qui concerne la politique officielle du pays était juste, quand ils disaient qu’un des buts de cette agression était de créer un préjudice pour des actions militaires sans mandat de l’ONU et en violation de la charte de l’ONU dans le monde entier.
Cet avis a été confirmé lors de la conférence de pays membres de l’OTAN et des candidats à l’adhésion, qui a eu lieu en avril 2000 à Bratislava. La conférence avait été organisée par le Département d’Etat US et l’American Enterprise Institute du Parti républicain, seulement quelques mois après l’agression contre la République fédérale de Yougoslavie. Parmi les participants il y avait de très hauts fonctionnaires (des représentants gouvernementaux ainsi que des ministres des Affaires étrangères et de la Défense) des pays membres de l’OTAN et des candidats à l’adhésion.
Les sujets principaux à cette conférence étaient les Balkans et l’élargissement de l’OTAN. Dans son résumé écrit de la conférence du 2 mai 2000, résumé qu’il avait fait parvenir au chancelier allemand Gerhard Schröder, Willy Wimmer, alors membre du Bundestag et vice-président de l’Assemblée parlementaire de l’OSCE déclarait que, selon les Etats-Unis, l’attaque de l’OTAN contre la République fédérale de Yougoslavie constituait un précédent qui pourra être utilisé, à chaque fois qu’on en aura besoin. C’est qu’il signale dans la phrase : « bien sûr tel un précédent auquel chacun pourra se référer et le fera ».
Wimmer y expliquait une des conclusions décisives. Il s’agit d’une confirmation, rétroactive, que le véritable but des négociations de Rambouillet n’était pas de rendre possible de quelconques négociations directes entre les parties concernées (Serbes et Albanais) ou de trouver une quelconque solution politique, mais plutôt de créer un prétexte pour une agression, ce que Henry Kissinger avait déjà clairement signalé en 1999 (« Il a servi de prétexte pour le début des bombardements. »).
Dans son message écrit, Willy Wimmer fait remarquer ensuite que [selon l’organisateur lui-même] « la guerre contre la République fédérale de Yougoslavie a été menée pour corriger une décision erronée du général Eisenhower datant de la Seconde Guerre mondiale ». En conséquence, il fallait que des troupes US y soient stationnées, pour des raisons stratégiques, ce qui n’a pas été fait en 1945. Avec la construction de la base militaire Camp Bondsteel au Kosovo – la plus grande d’Europe – les Etats-Unis ont mis en pratique leur position exprimée lors de la Conférence de Bratislava, en prétendant que « pour des raisons stratégiques, il fallait stationner des soldats américains dans cette région ».
Dans sa lettre, Wimmer affirme aussi (point 1) : « Les organisateurs demandèrent de procéder aussi rapidement que possible au sein des alliés à la reconnaissance d’un Kosovo indépendant au niveau du droit international », pendant que « la Serbie (en tant qu’Etat successeur de la Yougoslavie) doit durablement rester en marge du développement européen », (selon Wimmer afin d’assurer la présence militaire US dans les Balkans).
En outre, Willy Wimmer revendique :
« La constatation du fait que l’OTAN avait agi contre toutes les règles internationales et avant tout contre les clauses impératives du droit international en attaquant la République fédérale de Yougoslavie, ne rencontra aucune opposition ». (Point 11)
Dans son texte, il est également écrit :
« La partie américaine semble vouloir, dans le contexte global et afin d’imposer ses buts, consciemment et volontairement faire sauter l’ordre juridique international résultant de deux guerres au dernier siècle »
Ce qui veut dire que le droit international est considéré comme un obstacle à l’élargissement prévu de l’OTAN.
Et Wimmer de terminer : « La puissance doit primer sur le droit. »

Texte intégral de la lettre adressée, le 2 mai 2000, au Chancelier de la République fédérale d’Allemagne, Gerhard Schöder, par Willy Wimmer, alors vice-président de l’Assemblée parlementaire de la OSCE

Lettre à Monsieur Gerhard Schröder, député au Bundestag 
Chancelier de la République fédérale allemande 
Chancellerie fédérale 
Schlossplatz 1, 1017 Berlin
Berlin, le 2 mai 2000
Monsieur le Chancelier,
A la fin de la semaine passée, j’ai eu l’occasion de participer à Bratislava, la capitale de la Slovaquie, à une conférence organisée conjointement par le Département d’Etat des Etats-Unis et l’American Enterprise Institute (l’Institut des Affaires étrangères du Parti républicain) ayant pour thèmes principaux les Balkans et l’extension de l’OTAN.
Des auditeurs de haut rang assistaient à la manifestation, ce dont témoignait la présence de nombreux Premiers ministres ainsi que de ministres des Affaires étrangères et de la Défense de la région. Parmi les nombreux points importants qui ont pu être traités dans le cadre du thème susmentionné, quelques-uns méritent particulièrement d’être cités :
  1. Les organisateurs demandèrent la reconnaissance par les alliés, aussi rapidement que possible, en droit international public, de l’Etat indépendant du Kosovo. [1]
  2. Les organisateurs déclarèrent que la République fédérale de Yougoslavie se situe en dehors de tout ordre juridique, avant tout de l’Acte final d’Helsinki. [2]
  3. L’ordre juridique européen s’oppose à la réalisation des idées de l’OTAN. L’ordre juridique américain peut plus facilement être appliqué en Europe.
  4. La guerre contre la République fédérale de Yougoslavie a été menée pour corriger une décision erronée du général Eisenhower durant la Seconde Guerre mondiale. Pour des raisons stratégiques, il fallait stationner des soldats américains dans cette région. [3]
  5. Les alliés européens ont participé à la guerre contre la Yougoslavie pour vaincre de facto le dilemme résultant du « nouveau concept stratégique » de l’Alliance, adopté en avril 1999, et du penchant des Européens en faveur d’un mandat préalable des Nations Unies ou de l’OSCE.
  6. En dépit de l’interprétation légaliste subséquente des Européens, selon laquelle il s’est agi, dans cette guerre contre la Yougoslavie, d’une tâche dépassant le champ d’action conventionnel de l’OTAN, nous sommes en présence d’un cas d’exception. C’est évidemment un précédent qui peut être invoqué en tout temps et par tout un chacun, et cela se produira aussi dans le futur. [4]
  7. Dans le cadre de l’élargissement de l’OTAN prévu à brève échéance, il s’agit de rétablir, entre la mer Baltique et l’Anatolie, la situation géopolitique telle qu’elle était à l’apogée de l’expansion romaine. [5]
  8. Pour réaliser cela, la Pologne doit être entourée au nord et au sud par des Etats voisins démocratiques, la Roumanie et la Bulgarie doivent être reliées à la Turquie par une liaison routière sûre et la Serbie (probablement pour assurer la présence militaire américaine) doit durablement rester en marge du développement européen.
  9. Au nord de la Pologne, il s’agit de maintenir un contrôle total de l’accès de Saint-Pétersbourg à la mer Baltique. [6]
  10. Dans chaque processus, la priorité doit revenir au droit à l’autodétermination, avant toutes autres dispositions et règles du droit international public. [7]
  11. La constatation que l’OTAN avait agi contre toutes les règles internationales et avant tout contre les clauses impératives du droit international en attaquant la République fédérale de Yougoslavie, ne rencontra aucune opposition. [8]
Vu les participants et les organisateurs, on ne peut s’empêcher, à l’issue de cette manifestation qui s’est déroulée en toute franchise, de procéder à une évaluation des déclarations faites à cette conférence.
La partie américaine semble vouloir, dans le contexte global et afin d’imposer ses buts, consciemment et volontairement faire sauter l’ordre juridique international résultant de deux guerres au dernier siècle. La puissance doit primer sur le droit. Là où le droit international fait obstacle, on l’élimine.
Lorsqu’un développement semblable frappa la Société des Nations, la Seconde Guerre mondiale pointait à l’horizon. On ne peut qu’appeler totalitaire une réflexion qui considère ses propres intérêts de façon aussi absolue.
Veuillez agréer, Monsieur le Chancelier, l’expression de mes sentiments distingués.
Willy Wimmer 
Membre du Bundestag 
Président du groupement régional de la CDU du Bas-Rhin, 
Vice-président de l’Assemblée parlementaire de l’OSCE


Le présent article a été rédigé sur la base de l’article d’Andreas Bracher « Was will die westliche Balkanpolitik ? » et des remarques d’Andreas Bracher, parus in Der Europäer Jg. 6, Nr. 1, Nov. 2001.

Les notes de bas de page sont d’Andreas Bracher.

Traduction : Horizons et débats

[1] Jusqu’à présent, le Kosovo teste formellement une province de la Serbie, qui est elle-même une République faisant partie de la Yougoslavie. Le maintien de ce statut avait été une condition préalable à la fin de la guerre dite du Kosovo de juin 1999. Officiellement, le maintien de ce statut fait jusqu’à aujourd’hui partie du programme de l’Occident.

[2] L’Acte final d’Helsinki : l’ordre dit de la CSCE, qui en avait établi en 1975 les bases pour une vie communautaire des Etats en Europe. Parmi ces bases figurait, entre autres, l’inviolabilité des frontières.

[3] Cela semble se rapporter à l’invasion des Alliés durant la Seconde Guerre mondiale. Churchill avait demandé entre autres une invasion alliée dans les Balkans. Au lieu de cela, Eisenhower ordonna, en tant que Chef suprême des forces alliées, un débarquement en Sicile (1943) et en France (1944). Par conséquent, il n’y a pas eu de forces d’occupation occidentales dans les Balkans.

[4] L’OTAN a mené la guerre du Kosovo de 1999 sans mandat de l’ONU. Un pareil mandat aurait correspondu aux desiderata des gouvernements européens, mais pas à ceux du gouvernement des Etats-Unis. Celui-ci aimerait agir de façon aussi autoritaire que possible et sans restrictions internationales. Ce qu’on entend manifestement sous points 5 et 6, c’est que dans cette guerre, 
a) les Etats européens ont surmonté leurs engagements envers leurs opinions publiques par rapport au mandat de l’ONU et 
b) que cela a créé un précédent pour des engagements futurs sans mandat de l’ONU.

[5] L’Empire romain n’a jamais atteint la mer Baltique. Pour autant que Wimmer ait rendu correctement les déclarations, on entend apparemment d’une part l’empire romain, d’autre part l’Eglise de Rome.

[6] Cela signifie donc qu’il faut couper la Russie de son accès à la mer Baltique et l’écarter ainsi de l’Europe.

[7] L’accent mis sur le droit à l’autodétermination montre à nouveau le wilsonianisme des Etats-Unis – d’après l’ancien président US Woodrow Wilson – qui était, selon Rudolf Steiner, un adversaire essentiel lors de la fondation de la triarticulation sociale. Steiner considérait que c’était un programme de « la destruction de la vie communautaire des peuples européens ». Celle-ci permet le démantèlement de presque tous les Etats européens par la mise en exergue des « problèmes de minorités ».

[8] Il semble que ce sont là des réactions à des remarques de Wimmer. Les participants à la conférence étaient parfaitement conscients de ces atteintes aux clauses du droit international public, mais elles leur étaient indifférentes.





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(italiano / english)

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Interpellanza 

Al  Presidente del Consiglio dei Ministri – Ministro pro tempore agli Esteri

presentata dal Movimento Cinque Stelle, firmata in ordine alfabetico da 53 senatori

Premesso che:

in Siria, da due anni, è in corso una guerra (90.000 morti, secondo l’ONU) determinata dall’irrompere di gruppi armati, provenienti da numerosi stati stranieri e foraggiati dall’Occidente e dalle Petromonarchie, che, impossessandosi delle giuste istanze di democrazia e partecipazione che erano alla base delle mobilitazioni del popolo siriano di qualche anno fa, stanno seminando il terrore con autobombe, assalti ad edifici governativi, uccisioni e rapimenti di inermi cittadini siriani “colpevoli” di non schierarsi con loro contro il governo di Bashar al-Assad;

i suddetti gruppi, tra l’altro di feroce “ideologia” jihadista e facenti parte della cosiddetta “Coalizione nazionale siriana” sono stati riconosciuti dal dimissionario Ministro Terzi come “unici rappresentanti del popolo siriano” per i quali (insieme alla diplomazia francese e inglese) ha recentemente proposto la fine ufficiale dell’embargo di armi decretato dalla Comunità Europea;

il 3 aprile di quest’anno quattro giornalisti di nazionalità italiana (Amedeo Ricucci, inviato Rai,; Elio Colavolpe, Andrea Vignali, e Susan Dabbous) sono stati rapiti nel nord della Siria da uno dei suddetti gruppi e tuttora sequestrati nella verosimile attesa di ricevere dal nostro governo soldi o armi;

il 4 aprile di quest’anno, la RAI e la Farnesina, verosimilmente per  non gettare cattiva luce sui suddetti gruppi armati, dichiarava, i suddetti giornalisti non già “rapiti” ma, bensì, pudicamente “trattenuti” e chiedeva agli organi di informazione un “silenzio stampa” prontamente ottenuto anche dai numerosi organi di informazione sempre pronti a invocare crociate;

che sono passati almeno sei giorni dal rapimento senza che il Governo si sia sentito in dovere di riferire al Parlamento su questo gravissimo episodio

 

si chiede di riferire con urgenza:

 

se il Governo italiano sta conducendo trattative con i suddetti gruppi armati per ottenere la pronta liberazione degli ostaggi;

 

se queste trattative prevedono l’invio di denaro o di armamenti.




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The petty-bourgeois “left” promotes the CIA war in Syria


By Alex Lantier 
12 April 2013


The petty-bourgeois “left” has reacted to the publication of detailed reports on the CIA’s role in backing Islamist forces in the US proxy war in Syria by intensifying their support for the war. Forces like the International Socialist Organization (ISO) in the United States and the New Anti-capitalist Party (NPA) in France are functioning as conscious propagandists for a neo-colonial CIA operation.

The ISO’s April 9 article by Yusef Khalil, “Why the Left must support Syria’s Revolution”—which cites Gayath Naïssé, one of the NPA’s main writers on Syria—begins by slandering opponents of the CIA war in Syria as supporters of Syrian President Bashar al-Assad.

Khalil begins, “’Airlift to Rebels in Syria Expands with CIA’s Help,’ screamed aNew York Times headline in late March. ‘Foreign intervention!,’ screamed back supporters of the Syrian dictator Bashar al-Assad.” He continues, “Some on the US and international left continue to cling to the idea that the regime presiding over this violence and repression is progressive—and that the uprising against it was engineered by Western governments.”


Khalil’s statement, which mocks the idea that Western imperialism is behind the Syrian war, stands in blatant contradiction to the widely-acknowledged fact that the CIA and its regional allies are arming the opposition to destabilize Syria and topple Assad. The implication that all opposition to the US war comes from “supporters of the Syrian dictator Bashar al-Assad” is a slander and a political lie. It is aimed at blocking a struggle to mobilize the working class in struggle against both the Assad regime and, above all, the intervention in Syria of the most ruthless sections of American imperialism.

By ruling out such a struggle, Khalil is supporting a bloody CIA operation and, behind it, the Middle East policy of US imperialism, whose war in Syria has had devastating consequences for the Syrian people.

Saudi Arabia, Jordan, Qatar, and Turkey helped purchase and transport a “cataract of weaponry” coordinated by the CIA into Syria, in the words of one US official cited in the Times ’ March article, which is friendly to the Syrian opposition. The paper “conservatively” estimates the quantity of munitions sent to Syria at 3,500 tons. In the ensuing fighting, some 70,000 Syrians have died, and nearly 5 million have been forced to flee their homes.

US foreign policy experts have stated that Washington’s shock troops are the Al Qaeda-linked Al Nusra Front, which still receives support apparently unhindered by the CIA—even though Washington declared Al Nusra a terrorist organization last December. (See also: Washington’s proxy in Syria: Al Qaeda )

The ISO statement makes clear that it supports the anti-Assad militias’ decision to take weapons from the CIA. Khalil writes, “The vital question facing the Syrian opposition is how to get aid from sources that can provide what the revolution needs, which is weapons, while maintaining independent Syrian decision-making. This is a tough question to answer, but not impossible.”

Khalil’s claim that one can maintain “independent Syrian decision-making” while taking arms from the CIA is an absurd fiction, concocted to disguise the fact that the ISO is supporting a war coordinated and organized by Washington.

As US officials speaking to the Times made clear, weapons shipments are closely overseen by the CIA. The Times writes, “American intelligence officers have helped the Arab governments shop for weapons, including a large procurement from Croatia, and have vetted rebel commanders and groups to determine who should receive the weapons as they arrive, according to American officials speaking on condition of anonymity.”

It adds that former CIA director David Petraeus was “instrumental in helping to get this aviation network moving and had prodded various countries to work together on it.”

The open support of the ISO and the European petty-bourgeois “left” for CIA-led wars is a culmination of their evolution as pro-imperialist bourgeois parties, operating in the periphery of the Democratic Party in the United States or of the social-democratic parties in Europe.

Staggered by the outbreak of a global economic crisis with the Wall Street crash of 2008, they have supported the ruling class in each country as they sought to impose the burden of the crisis on the working class. While they promoted sellouts by the union bureaucracy of workers struggles against austerity at home, their role abroad was even more nakedly aligned with imperialist policy.

After the outbreak of revolutionary struggles in the Tunisian and Egyptian working class in 2011, they supported US-led interventions to overthrow regimes Washington viewed as obstacles to its interests—first the 2011 war in Libya and then in Syria. They did so, falsely claiming that the forces that were carrying out these wars were revolutionary.

Khalil’s attempts to dress up the ISO’s pro-imperialist positions in a bit of “left” rhetoric, claiming that accepting CIA help was a revolutionary necessity, involve him in absurd falsifications.

He writes, “Syria’s revolutionaries—responding to the dictatorship’s violent crackdown—had to develop a popular armed resistance to defend themselves and defeat the forces of the regime. Large parts of the country, including major military bases and airports, have fallen from the government’s hands, but they remain under heavy bombardment. Nevertheless, in many of these areas, Syrians are experimenting with local self-government, now that the regime has lost its grip.”

The ISO’s fantasy that Syrians are now experimenting with radical forms of self-government under the jackboot of ultra-right, sectarian Islamist militias armed by the CIA is ludicrous. Syrian workers in opposition-controlled areas are either simply trying to survive as Islamist guerrillas loot their workplaces, schools, and homes, or are actively protesting the opposition’s thuggery.

A series of interviews in the Guardian with opposition militia forces in Aleppo last December laid out the basic character of the Islamist militias, who plunder the population for cash to buy CIA weapons. One militia commander said, “I liberate an area, I need resources and ammunition, so I start looting government properties. When this is finished, I turn to looting other properties and I become a thief.”

Another opposition official noted the death of an opposition fighter, Abu Jameel, in a fight with other militias over how to divide the loot from the seizure of a steel warehouse. He said, “To be killed because of a feud over loot is a disaster for the revolution. It is extremely sad. There is not one government institution or warehouse left standing in Aleppo. Everything has been looted. Everything is gone.”

Given Aleppo’s role as the center of Syria’s state-run pharmaceutical industry, the opposition’s raids on factories and other state facilities have had a devastating impact. Critical medicines are running out, notably diabetes medications and antibiotics. State flights carrying vaccines into Syria have been shot at, and chlorine for water purification is banned for import by the imperialist powers under the pretext that Assad could use it to create chemical weapons—resulting in a spread of water-borne diseases.

Abdul-Jabbar Akidi, a former Syrian army colonel and a leading official in the opposition’s military council in Aleppo, confessed that there is deep popular hostility in Aleppo to his forces: “Even the people are fed up with us. We were liberators, but now they denounce us and demonstrate against us.”

The ISO and the NPA have maintained a studious silence on popular protests against the Islamist, CIA-led opposition forces they have promoted. These protests are, however, one indication that a revolution based on the working class in Syria would take the form of an uprising against the opposition forces supported by Washington and the ISO, as well as against the Assad regime.

Struggling to find a bright side to the reactionary forces it is promoting in Syria, the ISO writes: “It would be wrong to reduce the Syrian Revolution to the question of the armed struggle and the role of imperialist powers in trying to shape and co-opt that struggle. Take the role of women in the uprising—something that has not been appreciated in the mainstream media. Women have been very active participants and leaders since the beginning … As a group of women activists in Aleppo wrote, ‘We will not wait until the regime falls to become active.’”

The ISO’s presentation of CIA-backed Islamic fundamentalists as defenders of women’s rights is absurd and repugnant. Should Al Qaeda-type forces conquer Syria with US and Saudi help, Syrian women—who largely lived in modern conditions under the secular Assad regime—will be forced to live under conditions like those faced by women under the Taliban regime in Afghanistan or in Saudi Arabia. There, women are considered legal minors and are denied basic rights, including the right to drive a car.

As it turns out, the Aleppo women activists the ISO cynically held up as examples of the opposition’s supposedly progressive character have not fared well. “In early March, the revolutionary local council in Aleppo was elected and didn’t include a single woman, despite some well-known female activists being nominated,” the ISO writes, complacently adding: “So there is—like everywhere in the world—some distance to go before women have equality in Syria.”

The ISO’s attempts to somewhat distance itself from Washington’s Middle East policy likewise reek of dishonesty and cynicism. Khalil writes, “Like every other regional and international power, the US government has its fingers in Syria. It is maneuvering to shape—and ultimately, to curtail—the Syrian Revolution … Throughout the carnage inflicted by the regime, the US has kept very tight limits on the support, especially the military support, it has provided.”

Khalil quotes the NPA’s Naïssé on the reasons for US involvement in Syria: “The major imperialist powers, led by the United States, have always supported what they call an ‘orderly transition’ in Syria, which means only superficial and partial changes to the structure of the regime. This is for geo-strategic reasons, including protecting the Zionist entity [i.e., Israel] and preventing the revolution from succeeding and spreading to the entire Arab east, including the reactionary oil monarchies.”

Leaving aside the false dichotomy Khalil establishes between US policy and the CIA-led war he calls “the Syrian Revolution,” these passages make one point clear: the policies supported by the ISO and the NPA are in fact entirely compatible with the strategy of American imperialism. These include keeping Persian Gulf oil revenues under the control of reactionary, pro-US monarchs, and maintaining the division of the Middle Eastern working class between Jewish and Muslim workers that is established by the existence of the Israeli state.

Although neither the ISO nor the NPA say it, the US war against Syria also aims to deprive Iran of its main regional ally, thereby facilitating US preparations for a major war against Iran. The ultimate goal of these operations is to ensure that Washington maintains and extends its hegemony over the oil-rich, strategically located Middle East. This goal is entirely supported by the petty-bourgeois “left” parties.

If Washington has concerns about the anti-Assad “rebels,” it is not that they are revolutionary. Rather, it fears that if it arms its Islamist proxies in Syria too heavily, they might turn these weapons over to dissident Islamist factions inside the unstable Persian Gulf monarchies, or use them to mount terrorist attacks on Israel or the United States.

Inside Syria itself, war unleashed by the CIA-backed opposition—recruited from layers of Syria’s Sunni Muslim majority discontented with the Assad regime, whose ruling personnel is drawn from the minority Alawites—has developed largely along sectarian lines. It is thus returning Syrian society to conditions that existed under French colonial rule in the early 20th century. At that time, French troops and proxy forces maintained French control of Syria by setting Christians, Druze, Sunni, Alawite, and other Syrians against each other.

The US-backed opposition is thus reactionary in the classical sense of the term: it returns society towards a more primitive and oppressive past.