Informazione


http://www.diecifebbraio.info/2013/02/giorno-del-ricordo-2013-a-montebelluna/

GIORNO DEL RICORDO, GIORNO DELLA DISINFORMAZIONE STORICA: IL CASO MONTEBELLUNA

Da quando è entrata in vigore la legge istitutiva del Giorno del Ricordo (per mantenere viva la memoria “della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale” – e non solo, come dicono i propagandisti, “delle foibe e dell’esodo giuliano dalmato”), ci siamo trovati bombardati, nei giorni intorno al 10 febbraio, dalla propaganda pseudo storica che invece di fare chiarezza sui fatti della seconda guerra mondiale e dell’immediato dopoguerra, continua a diffondere le falsità sulla Resistenza comunista e jugoslava, create già ai tempi del nazifascismo, ed oggi assimilate purtroppo anche da settori di storici accademici e da politici sedicenti di sinistra.
Di conseguenza, noi volontari di Resistenza storica, ci siamo dati da fare, in collaborazione con alcune sezioni dell’Anpi, alcuni istituti storici, associazionismo culturale, organizzazioni studentesche ed altri, per far conoscere il frutto delle nostre ricerche su foibe ed esodo, sui crimini di guerra italiani in Jugoslavia, sulle mistificazioni che ormai da anni circolano intorno al Giorno del ricordo.
Le nostre iniziative hanno sempre avuto un buon successo di pubblico ed hanno iniziato ad incrinare, nella conoscenza generale, la monolitica visione astorica dei fatti di quel periodo. Così, avendo trovato documentazione che contrasta con quanto finora diffuso in materia, avendo, prove alla mano. smentito la maggior parte delle “bufale” che girano sull’argomento “foibe”, invece di vedere riconosciuta la nostra capacità di ricerca e di analisi, veniamo denigrati e definiti “negazionisti” dato che le nostre conclusioni “negano” la vulgata vigente, le “affermazioni” prive di fondamento di cui si fanno forti i propagandisti di oggi come quelli di ieri.
Quest’anno una novità: l’Associazione nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, che non è nulla più che un’organizzazione priva di qualunque valore istituzionale e che non si avvale di alcuno studio storico serio nella sua attività per il 10 febbraio, ha inviato una sorta di circolare dal vago sapore intimidatorio ad organi di stampa, scuole ed istituzioni pubbliche nella quale leggiamo: si eviti di invitare tutti coloro che in un modo o nell'altro potrebbero venire meno allo spirito commemorativo espresso da relativa legge dello Stato (n° 92/2004) e anzi mostrarsi in palese contrasto con essa attraverso tesi vergognosamente negazioniste ed offensive, come purtroppo troppo spesso è accaduto in passato anche in sedi prestigiose.
Naturalmente non si fanno nomi, però vediamo cos’è accaduto a Montebelluna nei giorni scorsi.
L’Anpi locale aveva chiesto ed ottenuto il patrocinio del Comune per un’iniziativa di approfondimento storico “Fascismo, confine orientale, foibe. Non dimenticare le tragedie ed i crimini del fascismo. Ricostruire la problematica delle foibe in una analisi dettagliata” da tenersi il 9 febbraio, con la partecipazione delle storiche friulane Monica Emmanuelli ed Alessandra Kersevan. A pochi giorni dall’incontro la sezione locale della Giovane Italia (nome che oltre a riprendere reminiscenze mazziniane, durante gli anni della strategia della tensione fu la sigla di giovani neofascisti che cercavano lo scontro nelle piazze), per bocca del portavoce Claudio Borgia, ha minacciato contestazioni con cartelli, striscioni, fischietti e interventi durante il convegno”, perché, a sentir loro, non sarebbe “accettabile” che “una storica negazionista come Alessandra Kersevan faccia esibizione delle sue storielle, offendendo le tante vittime cadute sotto le armi dei partigiani titini e di qualche vigliacca milizia comunista italiana” nel corso di un convegno patrocinato dal Comune, che quindi doveva vietarlo.
Ora, se noi fossimo stati il sindaco di Montebelluna, di fronte ad un comunicato simile avremmo preso il telefono e chiamato in Questura per denunciare questa intimidazione e chiedere la vigilanza delle forze dell’ordine in modo da impedire che facinorosi provocatori mettessero in atto quanto annunciato.
Ma questo sindaco ha preferito annullare l'iniziativa, non si sa per timore delle minacce o perché connivente con esse, e non ci sentiamo di ipotizzare quale delle due alternative sia la peggiore.

[FOTO: La conferenza stampa, da sinistra Lorenzoni, Emmanuelli, Kersevan, Brunello.]

Il convegno si è però svolto ugualmente, grazie alla determinazione delle Anpi di Montebelluna e Treviso ed al sindaco di un comune vicino, Giavera, che, coraggiosamente e generosamente ha messo a disposizione una bella e prestigiosa sala, dimostrando in tal modo cosa significhi coerenza democratica in questo Paese.

[FOTO: Monica Emmanuelli.]

Mentre era in corso una conferenza stampa a Montebelluna in cui i rappresentanti dell’ANPI e le storiche hanno riassunto lo svolgimento dei fatti ed il motivo dello spostamento, nella strada sottostante si sono riuniti una ventina di provocatori presumibilmente aderenti alla Giovane Italia. E precisiamo che provocatori non è un termine che usiamo volentieri, ma mai come in questa occasione ci pare appropriato, dato che i suddetti non hanno fatto altro, nel tempo che hanno voluto trascorrere con noi, che cercare di arrivare ad uno scontro, se non fisico (data la presenza costante delle forze dell’ordine che hanno tenuto sotto controllo la situazione) quantomeno verbale, cercando in ogni modo di “attaccare briga”, anche a convegno concluso.

[FOTO: Davanti alla sede ANPI a Montebelluna, Giovane Italia schierata. Il primo a sinistra è il leader Claudio Borgia.]

Oltre agli insulti gridati in mezzo alla strada, la reiterata accusa di “negazionista” alla storica Kersevan ed il continuo ribatterle “lei è stata sbattuta fuori da tutti i convegni cui ha partecipato” (affermazione che, oltre ad essere sfacciatamente menzognera, non sarebbe comunque una nota di demerito per la storica, ma piuttosto per chi l’avrebbe “sbattuta fuori”: da questo però si può valutare il background culturale proprio di certa gente), i contestatori sono entrati in sala durante la relazione della storica Emmanuelli e l’hanno interrotta distribuendo volantini al pubblico, che ha dimostrato la propria contrarietà a questo atto di squadrismo bello e buono intonando “Bella ciao” ed invitando i disturbatori a comportarsi civilmente. Se volevano ascoltare, benissimo, ha giustamente detto la professoressa Kersevan, potevano prendere posto in sala, stare a sentire le relazioni ed eventualmente fare domande, nessuno glielo avrebbe impedito.
Alla fine il convegno è andato avanti con la presenza del gruppetto in fondo alla sala, che di tanto in tanto si lasciava andare a commenti e battutine talmente squallidi che qualificano perfettamente chi li ha emessi.

[FOTO: Alessandra Kersevan]

In complesso l'iniziativa è andata benissimo, nonostante lo spostamento della sede la partecipazione è stata corposa (un centinaio di persone, esclusi i provocatori), bella e significativa la premessa di Umberto Lorenzoni dell’Anpi di Treviso, interessanti ed esaustive le relazioni che hanno smascherato le menzogne che taluni vorrebbero far passare per memoria storica, e quando uno dei contestatori ha chiesto la parola è potuto intervenire serenamente, senza essere interrotto od insultato, ma nel suo intervento (peraltro abbastanza sconclusionato) non ha portato alcun dato storico che potesse smentire quanto illustrato dalle relatrici, ad ennesima prova che quando si passa dal terreno delle minacce e degli insulti a quello della competenza storica, certe persone non hanno più argomenti da far valere.

[FOTO: Umberto Lorenzoni durante il suo intervento.]

Ma se a Montebelluna e a Giavera le cose si sono risolte in modo positivo, è stato soprattutto grazie, va rimarcato, alla collaborazione del sindaco di Giavera, al comportamento responsabile degli organizzatori del convegno ed al servizio di ordine pubblico, che ha impedito azioni violente da parte di chi già le aveva preavvisate.
Dunque a lato dei diktat dell’Anvgd per non dare spazio nelle iniziative sul 10 febbraio a storici che non si identificano nello spirito della legge (ma a che titolo l'ANVGD si arroga il diritto di decidere chi si identifica e chi no?), a Montebelluna sono scese in campo le squadracce, persone che hanno minacciato sindaco dicendo che sarebbero andati a disturbare un convegno autorizzato per impedirne lo svolgimento (non a contestare pacificamente, che questo diritto nessuno glielo nega), persone che hanno, con petulanza, continuato a molestare le relatrici del convegno in strada dopo avere cercato di interromperlo con un atto aggressivo; ed il reiterato nervosismo e rifiuto a farsi riprendere in foto mentre agivano (al limite del penale) in luogo pubblico la dice lunga sulla buona fede delle loro intenzioni.
Il timore è che questi comportamenti prevaricatori si ripetano in altre città ed in altre occasioni. Avremo sempre amministratori disponibili, pubblico con i nervi saldi, servizio d’ordine messo a disposizione dalla Questura?
Consapevoli di avere assistito a nuove prove tecniche di squadrismo, che non ci fanno bene sperare nel futuro democratico del nostro Paese, la nostra intenzione di Resistenti storici è di continuare a dare il massimo di informazione su queste tematiche: continueremo a fare iniziative e convegni, a scrivere e pubblicare, a smentire chi pretende di abusare della storia per dare sfogo alle proprie ideologie che non dovrebbero più avere diritto di cittadinanza.

[FOTO: Schierati davanti alla sede ANPI a Montebelluna, in attesa di seguirci al convegno.]

11 febbraio 2013.


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SERGIO ENDRIGO, MOLTO DI PIU' CHE UN ARTISTA "ITALIANO"


Al grande cantautore, che improntò le sue tematiche al più genuino internazionalismo e antifascismo, non poteva essere tributato omaggio migliore di questo che gli è venuto dagli artisti dell'Istria e del Quarnero, descritto nell'articolo che riportiamo di seguito. 
Vogliamo rendere omaggio a Endrigo anche noi oggi - rigettando le manipolazioni di segno nazionalista e neo-irredentista che mirano a stravolgere e ribaltare gli ideali nei quali egli è vissuto ed a cui ha mantenuto fede fino alla morte - ricordando in particolare le canzoni che egli cantò in lingua serbocroata:

Spletka pjesama
http://www.youtube.com/watch?v=2Y0D1cLR7tM

Više te volim
http://www.youtube.com/watch?v=NxpiaIaiIp0

Kud plovi ovaj brod
http://www.youtube.com/watch?v=0s3sSj-Kw7M

Si veda anche:

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Ricchezza di approcci per il polese Endrigo

di Patrizia Venucci Merdžo
da La Voce del Popolo del 28 dicembre 2012

È il frutto di una risposta corale da parte di tutti i musicisti di spicco della regione Istria e del Quarnero il CD “1947 hommage à Sergio Endrigo”, l’interessante progetto discografico realizzato con il contributo della Città di Pola, della Regione Istriana, dell’Unione Italiana, prodotto dalla casa discografica “Menart” di Zagabria. Il fatto che i più bei nomi della musica leggera croata (dei più diversi generi), e in particolare dell’Istro-quarnerino, abbiamo aderito a tale iniziativa è indicativo di quale popolarità, simpatia, considerazione e ammirazione goda questo personaggio di cantautore fuori del comune; un cantautore polese, italiano “di frontiera”, che nel corso della sua fertile attività ha sempre espresso con semplicità e autenticità il grande mondo che si portava dentro: le nostalgie, gli amori, gli ideali, la speranza di un mondo migliore, le disillusioni, le ferite dell’esule e le sue lacerazioni, cantate sempre in quella sua maniera sommessa, discreta, e tanto vera. Tanto vera da andare diritto al cuore della gente.

Il doppio CD contiene ben 30 canzoni di Endrigo ed altrettanti interpreti. Ora, questa vasta adesione sottintende pure una grande eterogeneità di approcci alla canzone stessa, una rivisitazione di Endrigo, in particolare in riferimento agli arrangiamenti che a seconda del tipo di complesso o cantante risultano di volta in volta di carattere vagamente etno, rockettaro, con accenni di tipo heavy metal, oppure restituzioni molto intime e trasparenti. Da ciò ne consegue una grande varietà dei timbri, di modulazioni coloristiche dagli effetti più vari, ottenuti con il sintetizzatore oppure con la chitarra classica, con gli impasti delle voci corali, con il tamburello e/o i flautini, la fisarmonica a bocca, le percussioni e quant’altro. E ciò sicuramente rappresenta un motivo di curiosità e di interesse. Poi resta da vedere in che misura si riesca a restituire lo spirito di Endrigo cantautore.

Ad ogni modo si tratta certamente di un “esperimento” interessante valido, che dimostra ricchezza d’idee e di riletture legate ad un grande autore, un classico, il quale continua ad ispirare i protagonisti più diversi della variegata musica leggera, in questo caso nella sua terra d’origine. E così abbiamo un sofisticato Arsen Dedić, che nel suo personalissimo stile interpreta, in croato, “Mani bucate“/Rasipne ruke”; abbiamo Tamara Obrovac e il “Transhistria ensemble” in “Io che amo solo te”, con vaghi sentori “istri” e fantasia improvvisativa (fisarmonica a bocca). Indovinata pure la rilettura di Franko Krajcar e dell’“Indivia band”, e quella delicata da Tatiana e Mauro Giorgi in “Dimmi la verità”.

Un autentico maestro si dimostra Bruno Krajcar in “Trieste”, con il solo sostegno del pianoforte, in un’interpretazione molto vissuta e affascinante. Poeta e “menestrello” si rivela Bruno Načinović, che con la sua inseparabile chitarra offre un Endrigo sentimentale e sciolto ne “Il dolce paese”. Molto godibile risulta l’arrangiamento dell’“Arca di Noè”, con le belle voci maschili e quella solista di Alessandro Ghersin della Società artistico culturale “Lino Mariani” della Comunità degli Italiani Pola, dirette da Edi Svich. Altrettanto felice e sul solco della tradizione l’esecuzione dell’Orchestra di fisarmoniche “Stanko Mihovilić”, della SAC “Istra”, e dell’Orchestra di fisarmoniche dell’Università “Juraj Dobrila” di Pola, con “Il treno viene dal sud”.

Sembra quasi un madrigale del Rinascimento la rilettura in chiave corale di “Lontano dagli occhi”, del coro femminile “Teranke”, mentre rievocano la sonata barocca il violoncello e il flauto in “Questo amore per sempre”, con Matija Ferlin/Sandro Peročević/ Nataša Dragun. Fresca e carina l’esecuzione della filastrocca “Ci vuole un fiore” da parte del coro di voci bianche “Zaro”, diretto da Linda Milani. “Coloratissimo” e concitato “Il papagallo” con “Cigo man band” in versione etno. Ben fatta pure “La ballata dell’ex”, con Jadranka Đokić e la voce recitante di Milan Rakovac.

La canzone “1947”, da cui il CD prende il titolo, si riferisce all’anno in cui Sergio Endrigo, allora quattordicenne, lasciò da esule la sua natia Pola, come fecero tanti connazionali. L’immagine che ricorre spesso è quella dell’imbarco sul piroscafo “Toscana”. Ora, questa sua malinconica “ballata dell’esodo” si avvale della voce “lirica”, come usava al tempo, del tenore Alessandro Ghersin, che, accompagnata da un lamentoso e rustico violino (Dario Marušić), riempie il canto di un infinito senso di desolata incertezza.

Decisamente rockettaro (anche troppo) “Aria di neve”, con i “Popeye”. Validissimi interpreti sono Livio Morosin (“Elisa Elisa”), “East rodeo” (“La prima compagnia”), “The Cweger” (“La prima compagnia”); Magdalena e Helena Vodopija, Massimo (“Canzone per te”), Franka Strmotić-Ivančić (“Trasloco”), Nola (“Adesso si”), “Gustafi” (“Il primo bicchiere di vino”), Branko Sterpin (“back home someday”), Kristina Jurman Ferlin/Anđela Jeličić (“Te lo leggo negli occhi”), Dogma/ Anelidi (“Lettera da Cuba”), Deboto (“Dove credi di andare”). Chicca finale con “Kud ovaj brod plovi” (Juras-Arnautalić-Enriqez) interpretata dallo stesso Sergio Endrigo – al Festival di Spalato nel 1970 –, con quella intensità e stile inconfondibili che lo rendono unico e destinato a durare nel tempo.








The Srebrenica massacre was a gigantic political fraud - exclusive interview

Jan 31, 2013 15:29 Moscow Time



Renowned author Dr. Edward Herman spoke with the Voice of Russia regarding the facts surrounding the Srebrenica Massacre, the pretext for the "humanitarian" invasion of the former Yugoslavia, and takes apart the "official" version that has always been promoted by the West. Dr. Herman reveals that there were in fact multiple massacres at Srebrenica, and that the killing of Bosnian-Muslim soldiers at Srebrenica (the West's pretext) was in response to the killing of over 2,000 Serb civilians, mostly women and children, at the location.



Robles: My first question is about “The Srebrenica Massacre” and the way that the establishment manipulated the media. Can you tell us, or give us some insights, on that?

Herman: The Srebrenica Massacre, actually I always put it in quote marks, because actually there were lots of massacres in the Srebrenica area, the one before July 1995 there were vast numbers of Serbs killed by Muslim, Bosnian Muslim, forces who went out of Srebrenica.

One estimate is that there were more than 150 Serbs villages that were totally wiped out and one study gives actually gives the namesof 2,383 Serb civilians who were killed between 1992 and July, 1995. So then we’d call that “The First Srebrenica Massacre”. Then in July 1995…

Robles: Just to be very clear, these were Serbs, that were being killed.

Herman: Yes! We’re talking about 2,383 Serb civilians killed before July 1995. And the Bosnian Serb Army took over Srebrenica in July, 1995, and there were deaths and executions after that. That’s what’s called in the West “The Srebrenica Massacre”, but, in fact, that’s really mainly a political construct.

The numbers executed there were probably in the order of between 500 and 1,000. In other words, less than half of the number of Serbs civilians killed before July, 1995.

And the Western claim is that 8,000 men and boys were executed in the quote Srebrenica massacre, but notice these were men, always men, all men, they were all soldiers, whereas those 2,383 civilians killed included very large numbers of women and children.

We’re talking about the execution in the Second Massacre of essentially army people. And of course they had never proved that there were 7,000 or 8,000, even men and boys killed. The bodies in the graves added up to something like 2,500.

A lot of those bodies were combat deaths. One of the beauties of the Western propaganda system is that all the bodies they found after July, 1995, they count as executed, even though we know very well that a large number were killed in combat.

Reminder

Herman: Also another important fact about the Srebrenica massacre is that all those killings of Serbs took place coming out of an area that was supposed to be a “safe haven”. Srebrenica was a safe place, a safe haven. It was supposed to be demilitarized, but it never was.

So the Bosnian Muslim soldiers would come out to Srebrenica and they would kill Serb civilians. This is all completely ignored in the Western media. It’s as if the Serbs came in July and started to kill arbitrarily.

In fact, the U.N. military in that area, a French Offical name Phillip Movion, was asked by the Yugoslav tribunal, “Why the Serbs did it?”

He said he’s absolutely convinced that they did it because of what the commander of Srebrenica’s Bosnian Muslims did to the Serbs before July 1995.

This is the UN Army head, but you won’t see that in the Western press!

In other words, the first massacre is what led to the lesser second massacre of namely military aged people.

The whole business of the Srebrenica Massacre is a gigantic political fraud. There was a massacre, but it was a responsive vengeance massacre, women and children were not killed.

One of the features of the “quote” Srebrenica Massacre, that is the second one, is that 20,000 Srebrenica women and children were bussed to safety by the Serb army. Women and children were not killed, only military aged people and a very large fraction of those that did die, died in combat.

So my own estimate, as I said, is that maybe there were 500 to 1,000 executions. Vengeance executions.

Robles: I’m sorry. How many?

Herman:500 to 1,000 I would say.

Robles: 500 to 1,000.

Herman:Yes. So there was a significant massacre, but put it in its context! This was a war, this was an army that had seen their own civilians massacred on a much larger scale. That is completely suppressed in the West, as if the Serbs came in to Srebrenica and started to kill because of a blood lust! It’s absolutely a fraud!

So, I regard the Srebrenica massacre as a tremendous propaganda triumph. The West wanted to go after Serbia and they avoided peace. They needed this massacre.

Robles: You said, about 2,380 civilians, women and children mainly…

Herman:Serbian women and children, yes.

Robles: … were killed initially. This was the Srebrenica…

Herman:The first massacrebetween 1992 and July 1995. These were Serb civilians. There were also hundreds of Serb military killed in that period, I am just talking about civilians!

Robles: The civilians, right! And then in retaliation approximately 2,500 Muslim… Bosnian Muslims soldiers were killed.

That’s misleading, because the thrust of the 8,000 claim is that they were executed but those 2000-plus that were killed, a very large fraction were killed in combat.

Robles: In combat. Okay, I see. I see.

Herman:Yes, and the executions were, as I say probably in the order of 500 to 1,000.

Robles: Okay. So those were Bosnian Muslims who were found to be directly responsible for killing massive numbers of Serbian civilians. Right?

Herman:The Serbs actually had lists of Bosnian Muslim soldiers they wanted to get, but I can’t honestly say they were the only ones who were executed. But certainly, a significant number of those executed were on those lists, those vengeance lists.

Edward S. Herman (born April 7, 1925) is an American economist and media analyst with a specialty in corporate and regulatory issues as well as political economy and the media.

He’s a Professor Emeritus of Finance at the Wharton School at the University of Pennsylvania. He’s also the author of several books, namely “Manufacturing Consent” which he wrote with Noam Chomsky and “The Srebrenica Massacre: Evidence, Context and Politics”.





(Dominique De Villepin contro la deriva guerrafondaia della Francia. La dignitosa lezione dell'era Chirac, il presidente francese che nel 2003 si oppose alla aggressione statunitense contro l'Iraq, è portata avanti ancora oggi da colui il quale fu Ministro degli Esteri all'epoca. Che scavalca così a sinistra il Partito Comunista Francese, o per meglio dire: quello che del PCF rimane.)


« Non, la guerre ce n’est pas la France »

par Dominique de Villepin
RÉSEAU VOLTAIRE | PARIS (FRANCE)  | 10 FÉVRIER 2013

Le Mali, pays ami, s’effondre. Les djihadistes avancent vers le sud, l’urgence est là.
Mais ne cédons pas au réflexe de la guerre pour la guerre. L’unanimisme des va-t-en-guerre, la précipitation apparente, le déjà-vu des arguments de la « guerre contre le terrorisme » m’inquiètent. Ce n’est pas la France. Tirons les leçons de la décennie des guerres perdues, en Afghanistan, en Irak, en Libye.
Jamais ces guerres n’ont bâti un Etat solide et démocratique. Au contraire, elles favorisent les séparatismes, les Etats faillis, la loi d’airain des milices armées.
Jamais ces guerres n’ont permis de venir à bout de terroristes essaimant dans la région. Au contraire, elles légitiment les plus radicaux.
Jamais ces guerres n’ont permis la paix régionale. Au contraire, l’intervention occidentale permet à chacun de se défausser de ses responsabilités.
Pire encore, ces guerres sont un engrenage. Chacune crée les conditions de la suivante. Elles sont les batailles d’une seule et même guerre qui fait tache d’huile, de l’Irak vers la Libye et la Syrie, de la Libye vers le Mali en inondant le Sahara d’armes de contrebande. Il faut en finir.
Au Mali, aucune des conditions de la réussite n’est réunie.
Nous nous battrons à l’aveuglette, faute de but de guerre. Arrêter la progression des djihadistes vers le sud, reconquérir le nord du pays, éradiquer les bases d’Al-Qaida au Magreb islamique (AQMI) sont autant de guerres différentes.
Nous nous battrons seuls, faute de partenaire malien solide. Eviction du président en mars et du premier ministre en décembre, effondrement d’une armée malienne divisée, défaillance générale de l’Etat. Sur qui nous appuierons-nous ?
Nous nous battrons dans le vide, faute d’appui régional solide. La Communauté des Etats de l’Afrique Occidentale reste en arrière de la main et l’Algérie a marqué ses réticences.
Un processus politique est seul capable d’amener la paix au Mali.
Il faut une dynamique nationale pour reconstruire l’Etat malien. Misons sur l’union nationale, les pressions sur la junte militaire et un processus de garanties démocratiques et de l’Etat de droit à travers des politiques de coopération fortes.
Il faut aussi une dynamique régionale, en mobilisant l’acteur central qu’est l’Algérie et la Communauté économique des Etats de l’Afrique de l’Ouest (CEDEAO) en faveur d’un plan de stabilisation du Sahel.
Il faut enfin une dynamique politique pour négocier en isolant les islamistes, en ralliant les Touareg à une solution raisonnable.
Comment le virus néoconservateur a-t-il pu gagner ainsi tous les esprits ? Non, la guerre ce n’est pas la France. Il est temps d’en finir avec une décennie de guerres perdues. Il y a dix ans, presque jour pour jour, nous étions réunis à l’ONU pour intensifier la lutte contre le terrorisme. Deux mois plus tard commençait l’intervention en Irak. Je n’ai depuis jamais cessé de m’engager pour la résolution politique des crises et contre le cercle vicieux de la force.
Aujourd’hui notre pays peut ouvrir la voie pour sortir de l’impasse guerrière, s’il invente un nouveau modèle d’engagement, fondé sur les réalités de l’histoire, sur les aspirations des peuples et le respect des identités.
Telle est la responsabilité de la France devant l’histoire.


Source : Le Journal du Dimanche (France)


Dominique de Villepin
Ancien secrétaire général de l’Élysée (1995-2002), ancien ministre français des Affaires étrangères (2002-2004) et de l’Intérieur (2004-2005), Premier ministre (2005-2007). Président de République solidaire (depuis 2010)