Informazione



TRIESTE SENZA MEMORIA.



Nella Giornata della Memoria dei crimini del nazifascismo, dobbiamo purtroppo nuovamente constatare come questa memoria nella nostra città non riesca a trovare spazio.
Parliamo dell’annosa vicenda dello stabile di via Cologna 6-8, nel quale ebbe sede, tra l’autunno del 1944 ed il 1° maggio del 1945, uno dei corpi di repressione più feroci che la nostra storia ha conosciuto: l’Ispettorato Speciale di Pubblica Sicurezza, comandato dall’ispettore generale Giuseppe Gueli, ed il cui squadrone della morte era guidato dal commissario Gaetano Collotti.
E “banda Collotti” era il nome con cui questo squadrone della morte era tristemente noto, non solo a Trieste, ma in tutta l’allora Venezia Giulia dove operava. Istituito come forza autonoma di polizia per la repressione antipartigiana nel 1942, operò rastrellamenti, violenze e torture efferate anche sui civili, deportazioni (solo nel periodo dal 24/2/43 al 7/9/43 furono internati per ordine di Gueli 1.793 “ribelli e parenti dei ribelli”: gli uomini a Cairo Montenotte, in provincia di Savona e le donne a Fraschette di Alatri, in provincia di Frosinone), esecuzioni sommarie; dopo l’8/9/43, in sinergia con i nazisti, continuò l’attività di repressione degli antifascisti, ma si prodigò anche nella ricerca degli Israeliti da rinchiudere in Risiera e poi inviare nei lager germanici, e spesso gli agenti e gli ufficiali si appropriavano dei loro beni (motivo per cui, ad esempio, furono arrestati dai nazisti due dirigenti che avevano fatto la cresta sui beni degli arrestati, invece di consegnarli integralmente agli occupatori).

Dall’estate del 1944 furono centinaia gli arrestati che passarono per le mani degli agenti dell’Ispettorato speciale, che in quel periodo si trasferì dalla vecchia sede di via Bellosguardo (una villa che era stata sequestrata alla famiglia israelita degli Arnstein, riparati negli Stati Uniti) alla caserma dei Carabinieri di via Cologna, dopo lo scioglimento dell’Arma voluto dalle autorità militari del Reich, da cui dipendevano le forze armate e di polizia locali.

Di almeno un centinaio di questi arrestati (partigiani e civili) si sa che hanno perso la vita, uccisi al momento dell’arresto o per la cosiddetta ley de fuga, internati in Risiera o nei campi nazisti dove persero la vita, condannati a morte e fucilati, alcuni (come l’anziano Mario Maovaz, corriere del Partito d’Azione, ed il giovane Bruno Kavcic, partigiano comunista), addirittura il 28 aprile 1945, quando già il torturatore Collotti era stato ucciso dai partigiani veneti che avevano fermato la fuga sua e dei suoi più fedeli accoliti.
Nelle celle di via Cologna furono rinchiusi centinaia di prigionieri, partigiani e civili, uomini, donne anche giovanissime, ragazzini, anziani; nelle stanze i prigionieri venivano torturati selvaggiamente e ridotti in condizioni pietose, dalle finestre dello stabile si gettarono due prigionieri, uccidendosi, perché non sopportavano più le torture: una partigiana di Servola ed un aviere del CLN triestino.

Nel dicembre del 2010 abbiamo fatto un sopralluogo di memoria con alcuni ex detenuti, che rientrando nelle stanze che avevano visto la loro sofferenza, e ricostruendo l’inferno che avevano attraversato, ci hanno fatto conoscere un pezzo di storia infame della nostra città.
All’epoca la Provincia di Trieste, proprietaria dello stabile, lo aveva messo all’asta, per “fare cassa”. Noi avevamo raccolto un migliaio di firme chiedendo che lo stabile rimanesse di proprietà pubblica e diventasse una Casa della Memoria, dove raccogliere gli archivi degli istituti storici triestini, dare una sede alle associazioni dei partigiani e degli ex deportati, realizzare una biblioteca tematica ed una sala convegni, allestire una mostra che racconti la storia del fascismo e dell’antifascismo, dell’occupazione nazista e della Resistenza, che ricordi quanto costò, e quanto i suoi valori siano preziosi ancora oggi, la lotta per la libertà e la dignità dei popoli.
Una struttura che possa servire sia agli storici che alla cittadinanza, con particolare riguardo alle giovani generazioni.

Nonostante la dichiarazione di interesse storico da parte del Ministero dei beni culturali, nonostante fosse stato nominato un Comitato scientifico per questo progetto, oggi nuovamente la Provincia ha messo all’asta via Cologna, perché, ci è stato detto, non ci sono soldi per realizzare una Casa della Memoria come avevamo proposto noi, semplici cittadini antifascisti, a volte anche cercando di forzare un po’ la mano alle organizzazioni che dovrebbero gestire, secondo la nostra idea, la struttura.
Non ci sono soldi per l’Istituto di Storia del Movimento di Liberazione, non ci sono soldi per la Sezione storica della Biblioteca nazionale slovena, non ci sono soldi per riordinare i loro archivi che raccolgono la storia della lotta di liberazione delle nostre terre assieme alle testimonianze dei crimini del nazifascismo, non ci sono soldi per dare loro una sede decorosa, né per assumere i ricercatori ed i curatori che potrebbero dedicarsi a questo lavoro.
Dove una struttura del genere potrebbe essere gestita da un consorzio di Enti pubblici, dai Civici musei all’Università, con contributi europei (sono previsti per questo tipo di iniziative di memoria delle deportazioni e delle repressioni commesse dal nazifascismo) e la Regione potrebbe (se ha soldi da regalare alle associazioni di cui parleremo fra un po’) contribuire anch’essa per un progetto culturale che arricchirebbe tutta la città, sia in senso culturale che di posti di lavoro, dato potrebbero esserere istituiti dei dottorati di ricerca in modo da dare lavoro a laureati precari o disoccupati, ed anche a personale di supporto per servizi di segreteria ed altro. Progetto nel quale potrebbe trovare spazio anche il riordino dell’archivio del denfunto professor Diego de Henriquez, i “diari”, le fotografie, i documenti ed i testi da lui lasciati alla città.
Ma di fronte alla chiusura della Provincia di Trieste, viene da pensare che i soldi che non si trovano sono quelli per la cultura antifascista, dato che ci sono altre strutture in città che godono di finanziamenti anche piuttosto cospicui. Pensiamo innanzitutto al cosiddetto Museo della civiltà fiumana, istriana e dalmata, che ha sede in un palazzo prestigioso completamente restaurato allo scopo, un museo che non ha nulla di scientifico, salvo un po’ di oggettistica etnografica, ma in compenso trasuda razzismo nei confronti di Sloveni e Croati, ed oltre a mistificare la storia con uno pseudo-elenco di “infoibati”, espone lo spaccato di una “finta foiba”, all’insegna del pessimo gusto più deteriore.
Eppure per questo museo i fondi si sono trovati e si trovano ancora, evidentemente, dato che senza finanziamenti non potrebbe sopravvivere.

Sempre a Trieste la Regione Friuli Venezia Giulia ha stanziato recentemente una serie di contributi ad associazioni varie, tra le quali troviamo: Euro 210.000 all’Associazione profughi istriani e dalmati, Euro 90.000 all’Istituto Regionale per la Cultura Istriana, Euro 20.000 alla Lega Nazionale, Euro 20.000 all’Associazione Novecento (quella che negli anni ha organizzato svariate iniziative con la presenza di ex nazisti e di neofascisti, ultima in ordine di tempo la presentazione del libro del neofascista Stefano Delle Chiaie, presentazione a cui alla direttrice di questo periodico è stato “consigliato” di non insistere per assistervi, in quanto ritenuta persona non grata agli organizzatori, presente la créme de la créme della vecchia eversione fascista), Euro 30.000 all’Associazione Panzarasa, il museo memoriale dei reduci della Decima Mas, peraltro gestito in collaborazione con la Novecento.
In totale fanno 370.000 Euro: mica spiccioli, governatore Tondo. Quanti ne occorrerebbero per iniziare i lavori per sistemare via Cologna e dare una sede dignitosa agli archivi che abbiamo citato prima?

E non possiamo fare a meno di stigmatizzare come anche a Roma, dove il Museo della Resistenza di via Tasso è da anni a rischio chiusura per mancanza di fondi, il 1° febbraio prossimo “l’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia – Presidenza nazionale e Comitato provinciale di Roma –, la Società di Studi Fiumani e l’Associazione Nazionale Dalmata firmeranno il protocollo d’intesa con Roma Capitale che sigla la concessione di un immobile posto nel cuore del centro storico e in luogo di grande valenza artistico- architettonica, nei pressi dei Fori imperiali. L’atto avrà luogo nell’ambito delle celebrazioni del Giorno del Ricordo, che come ogni anno viene commemorato alla presenza delle più alte cariche civili e militari di Roma Capitale e della cospicua comunità degli Esuli residenti. La Casa del Ricordo ospiterà la sede di rappresentanza delle tre associazioni della Diaspora, nonché della Sede nazionale Anvgd, la quale conserva comunque la sua base operativa in Via Leopoldo Serra” (dal comunicato dell’Anvgd).


Claudia Cernigoi

24 gennaio 2013.

scarica in pdf:     trieste senza memoria 

http://www.diecifebbraio.info/wp-content/uploads/2013/01/trieste-senza-memoria.pdf





DIANA JOHNSTONE ON SERBIAN MUSIC AT THE U.N. GENERAL ASSEMBLY

Friday, 25 January 2013

Here I am forwarding some music that was intended as a message of international friendship.
I hope you can enjoy it.
However, the story has a bitter ending.

As current President of the UN General Assembly, Serbian foreign minister Vuk Jeremic conformed to tradition by hosting a display of his country’s culture at the UN headquarters in New York. He chose to invite the a cappella choir “Viva Vox”, dedicating their concert to peace among nations and hopes for a peaceful world.

I suggest that you skip Ban Ki-Moon’s speech on the YouTube recording and start at around minute 12, to get Jeremic’s introduction, and then listen to the songs. They were international, with a predominance of songs in the English language. Among them, John Lennon’s “Imagine”.

In response to enthusiastic applause, the group sang as an encore a classic composition from the First World War, “the March on the River Drina”, an invigorating tune sung without words. It was composed in 1914 in commemoration of Serbian soldiers’ heroic resistance to the Austro-Hungarian invasion, in which Serbia lost a third of its male population. The spirited march is well-known in the region, and was performed for example at a 1987 New Year’s concert in Vienna conducted by Herbert von Karajan.

Ban Ki-Moon seemed carried away, and the concert ended in a happy mood.
Serbs everywhere thought that at last, they were being welcomed back into the world as a normal people.
But this illusion was soon shattered.

Leaders of the “Congress of North American Bosniaks” (meaning Muslims) and kindred organizations, claiming to represent 350,000 Bosnian (Muslim) Americans, and 50,000 Bosnian (Muslim) Canadians, promptly addressed a protest to the UN Secretary General stigmatizing the concert as “a scandalous insult to the victims of genocide in Bosnia and Herzegovina because the orchestra played the infamous and offensive Serb nationalist song ‘March on the River Drina’.”

(By the way, there was no orchestra, as the concert was a cappella, using voices as instruments.)

The Bosniak militants, in their status as official victims, claimed that: “The genocide that occurred in Srebrenica and Zepa, and other parts of Bosnia and Herzegovina, was conducted by Serbian aggressors while blasting this song as they raped, murdered, and ethnically cleansed the non-Serb population. This particular fascist song is used to inspire ethnic and nationalist hatred against everything non-Serb and was used as a tool to inspire the murder of thousands of non-Serb civilians at the hand of Serbian nationalists.” 

This was a preposterous falsehood, conjuring an image of the Bosnian civil war as a sort of macabre musical comedy.
It was profoundly dishonest about the song, about the 1992-1995 civil war in Bosnia-Herzegovina and about the spirit of the UN concert.
And yet, the office of the UN Secretary General humbly issued an apology!
This was a slap in the face of the young Serbian choir members, who from their appearance were mostly small children at the time of the war in neighboring Bosnia-Herzegovina and the 1999 NATO bombing of their own country. 
But the Serbs have had to become used to such treatment.

In the tragic disintegration of Yugoslavia, the United States, for geopolitical reasons, decided to adopt the Muslim side. As a result, nearly some two decades later, the Muslims enjoy the privileged status of “official victims”, and Serbs are stigmatized as the guilty party. All in the name of “multiculturalism”, “human rights” and “our common Western values”.

This scandalously cowardly reaction of the UN Secretary General’s office makes it practically a duty to listen to this concert.

Diana Johnstone



14 Jan 2013: Viva Vox Choir (Belgrade) - New Year's Concert of the 67th Session of the General Assembly

Viva Vox is a choir which mainly performs a capella arrangements of world pop/rock and classical music, accompanied by beatbox. Television announcer Zoran Baranac served as the Master of Ceremonies.


Remarks by H.E. Mr. Vuk Jeremić, President of the 67th Session of the United Nations General Assembly at the concert featuring Viva Vox Choir from Belgrade.

Remarks by United Nations Secretary-General Ban Ki-moon at the concert featuring Viva Vox Choir from Belgrade.


Il giorno 20/gen/2013, alle ore 00.16, Coord. Naz. per la Jugoslavia ha scritto:

 

(espanol / english.

Reazioni demenziali all'ONU per la esecuzione - da parte del coro Viva Vox di Belgrado in un concerto alla Assemblea Generale nell'ambito dei festeggiamenti del Capodanno Ortodosso - della "Marcia sulla Drina", nota splendida melodia la cui origine risale alla I Guerra Mondiale. Una lettera di protesta spedita al Segretario Generale da parte di ambienti bosgnacchi, che lamentavano l' "offesa" per l'esecuzione della melodia tradizionale serba, ha indotto il portavoce del Segretario Generale a scusarsi - non si sa di cosa - ed il quotidiano Washington Post a scrivere amenità dipingendo la "Marcia sulla Drina" come una specie di inno nazionalista o fascista. E' stato fatto giustamente notare, però, che con la vittoria nella I Guerra Mondiale - pagata a carissimo prezzo dai serbi con la morte di un terzo della popolazione maschile - essi poterono sedere assieme agli altri paesi e popoli vincitori fornendo il loro importante contributo proprio alla creazione della Società delle Nazioni! Davvero l'ignoranza storica e la fobìa antiserba dominano e dettano l'agenda di quel poco che della Società delle Nazioni ancora rimane. [I.Slavo])


March to Drina


Newspaper "The Washington Post" published a story yesterday with an interpretation of the Serbian patriotic song "March on the Drina" as a nationalist and fascist, just because of the protests of Bosnian Muslims who had sent a protest letter to the UN saying that this song insults the victims of the war from the 90's. We'd just like to remind "The Washington Post", but also all those who have forgotten, "March on the Drina" is a song written over a century ago and which occupies a central place in the memory of the Serbs of the defense from the Austro-Hungarian invaders in World War I, during which Serbia has lost a third of its male population in many battles in which they fought on the side of the Allies. In World War I the Drina river was the site of major battles between Serbia and Austria-Hungary in which Serbia defended its freedom. Serbia is proud of its great and rich history and its centuries-old struggle for freedom in which it has always been on the side of goodness and justice, no matter the high cost it had to pay. Our message to the reporters of these newspapers is - take a book and try to educate yourself a little before writing about something you don't know nothing about! Read the article and write your opinion about it in the comment.


Link: 
UN apologizes for ovation given to Serb militant song “March on the Drina” at UN concert
By Associated Press, January 17, 2013

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LA ONU REESCRIBIENDO “LA MARCHA SOBRE DRINA”

18/01/2013

El presidente de la Asamblea General de Naciones Unidas, Vuk Jeremic (Serbia), defendió hoy la interpretación de la Marcha de Drina durante un concierto celebrado el lunes en el plenario del máximo órgano de la ONU.

El también excanciller serbio rechazó los intentos de falsear el significado de la presentación de esa obra por parte del coro Viva Vox de Belgrado y los consideró como una profunda ofensa al pueblo de Serbia.

Destacó la importancia de la pieza musical que rinde tributo a quienes defendieron la libertad frente a los agresores durante la Primera Guerra Mundial, que costó la vida a la tercera parte de la población masculina serbia.

Estamos muy orgullosos de ella y queremos unirla al mundo con un mensaje de reconciliación para la presente y futuras generaciones, apuntó Jeremic.

La declaración del presidente de la Asamblea General fue emitida poco después que el vocero oficial de la ONU, Martin Nesirky, pidió disculpas porque el secretario general, Ban Ki-moon, aplaudió la obra tras su interpretación por el coro visitante.

Lamentamos sinceramente que hubiera gente que se ofendiera con esta canción, que no estaba incluida en el programa oficial, precisó.

Dijo que el titular de Naciones Unidas “no era consciente del uso que ha sido dado al himno”, en referencia a (dudosas y nunca comprobadas) versiones sobre su utilización por parte de grupos nacionalistas vinculados a la masacre de Srebrenica en 1995.

original AQUI: http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1021981&Itemid=1

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"MARCH TO DRINA RIVER" AND BAN KI-MOON APPOLOGY


The Honorable Ban Ki-Moon
Secretary General
760 United Nations Plaza
United Nations
New York, NY 10017

REF: The Drina March apology

Your Excellency,

The first Allied victory of the World War I, The Battle of Cer [Mountain], opened the door towards the end of The Great War and creation of The League of Nations, predecessor of The UN.

That is exactly what The Drina March represents, fighting for freedom regardless of the odds. Individuals who objected to The Drina March belong to a group that fought against the Allies in both World Wars.

UN apology for The Drina March being performed in The UN is an affront to millions of Allies who gave their lives in WWI for freedom.

Serbs as people never demographically recovered from the loss of 56% of male population in WWI, leading to the additional loss of up to one million in WWII. By UN Genocide Convention, it is Genocide by attrition. That is what the complaint about The Drina March was all about - the fear that the truth will come out.

Media battle cry "Serben Muss Sterben" (The Serbs must die) in 1914 announced this genocide and such racist cries continue to the present day. UN apology is creating a new wave of anti-Serb media reports bordering on racism.

Living behind barbed wire is already reality for the Serbs in UN-governed Kosovo. After this apology, what Serbs can expect next from The UN, a new text of The Universal Declaration of Human Rights that adds "except Serbs" to all articles?

Your Excellency, UN apology to anti-Serb racists who prefer to goose step to the tune of Die Fahne Hoch was misguided, factually inaccurate and morally wrong.
You owe an apology. To the Serbs and all Allied nations.

Yours Sincerely,
Bob Petrovich, Canada


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Orthodox New Year Celebration in UN

Jan 18th, 2013 | By De-Construct.net

Orthodox New Year in United Nations

Belgrade’s Viva Vox choir, performing a capella – without instruments, ushered the New 2013 Year with a concert in United Nations General Assembly in New York, on January 14, the first day of the New Year according to the Julian calendar.

An arrangement of traditional Serbian songs, mixed with world pop/rock and classical music was greeted with standing ovations. Among the best received was the famous Serbian First World War March to Drina.

The glorious March was composed by Stanislav Binički in 1914, in honor of the bravery of the Serbian Army, after winning a triumphal Battle of Cer, the first victory for the Allied forces in WWI.


VIDEOS: 

UN New Year concert by the Viva Vox choir from Belgrade

MARCH TO DRINA, A CAPELLA
Viva Vox choir, UN

MARCH TO DRINA, THE ORIGINAL: BELGRADE SYMPHONY ORCHESTRA
New Year concert at Belgrade Kolarac University, frula (traditional Serbian flute) Bora Dugić, conductor Boban Prodanović

MARCH TO DRINA, POP/ROCK STYLE
British pop group The Shadows, guitar Cliff Richard

MARCH TO DRINA, ROCK & ROLL
Guitar Radomir Mihajlović Točak, bas Lola Andrijić, drums David Moss, keyboards Laza Ristovski

MARCH TO DRINA, JAZZ
James Last Big Band

MARCH TO DRINA, TRUMPETS
100 Trumpets Concert, Belgrade Central Square




Da: Pôle de renaissance communiste en France <prcf @ ymail.com>

Oggetto: Cli.c. Rouge n° 1 bis - janvier 2013

Data: 26 gennaio 2013 04.47.48 GMT+01.00

A: Cnj <jugocoord @ tiscali.it>

CL I.C.Rouge                      N° 1 bis  Janvier - 2013

                                                    

Supplément électronique à I.C., Initiative communiste, mensuel du Pôle de Renaissance Communiste en France Abonnement annuel 22 €.                      

 

               

Refuser l’euro-balkanisation des nations d’Europe 

Par Georges Gastaud [1]

 

 

Depuis plusieurs années, le PRCF, son journal Initiative communiste et sa revue théorique Etincelles, mettent en garde les communistes, les syndicalistes, les patriotes républicains, les véritables internationalistes, contre l’existence et la mise en œuvre méthodique d’un plan européen de l’oligarchie capitaliste visant à asservir et/ou à démanteler les États historiquement constitués, qu’ils soient déjà membres de l’UE ou qu’ils demandent à y adhérer.

Le but de ce plan, dont l’application subit aujourd’hui une sensible accélération, est de constituer un Empire européen du grand capital. Centré sur Berlin (avant-poste : Bruxelles) et largement téléguidé par Washington au moyen de l’OTAN et du FMI, cet Empire dont le nom de code est « Europe fédérale », aurait pour mission d’araser les ultimes obstacles nationaux qui freinent encore la concentration monopoliste et la chasse au profit maximal sur le sous-continent européen.

Bien que l’Axe Washington-Berlin soit le vrai pivot de cette manœuvre giga-impérialiste, la grande bourgeoisie « française » est totalement complice de ce suicide organisé des nations d’Europe, à commencer par celui de la nation française – laquelle fut pourtant à la base du « mouvement des nationalités » qui défia les Empires féodaux dans la foulée de la Révolution française et du Printemps des peuples de 1848.

Nous avons souvent signalé au PRCF le Manifeste patronal typiquement impérialiste et antinational publié par Laurence Parisot et intitulé Besoin d’aire : le MEDEF y exige cyniquement de « nouveaux transferts de souveraineté », la « reconfiguration des territoires » (en fait, la länderisation à l’allemande – ou mieux, l’hol/länderisation – de l’ex- « République française une et indivisible ») et bien entendu, les « Etats-Unis d’Europe » nommément désignés comme sa « nouvelle patrie » par l’organisation patronale. C’est d’ailleurs ensemble que le 8 octobre 2012 les représentants qualifiés des grandes entreprises allemandes, françaises et italiennes ont fixé la feuille de route institutionnelle de leurs gouvernements respectifs : les vrais maîtres de l’Union européenne y exigent un « bond en avant » vers une « intégration européenne plus ,poussée » qui déboucherait sur un « nouveau traité » (sous-entendu : constituant) apportant une « Union politique et économique plus étroite » : en clair, les grands patrons d’Allemagne, d’Italie et de France exigent un Etat fédéral européen dans lequel les Etats européens forgés par l’histoire – qu’il s’agisse d’Etats-nations comme la France ou l’Italie, ou d’Etats plurinationaux comme l’Espagne ou la Belgique – ne seraient plus que des euro-provinces destituées de toute souveraineté politique[2]

Il s’agit là clairement d’un projet doublement impérialiste puisque,

·     dans le cadre des limites de l’UE émerge clairement un nouvel Empire – nommément appelé de ses vœux par D. Strauss-Kahn, quand ce glauque personnage participait encore à la course pour l’Elysée ;

·     à l’extérieur des limites de l’UE, les oligarchies européennes travaillent à mettre en place une « Union transatlantique » (figurée en bleu à la Une de Besoin d’aire) fusionnant peu à peu l’UE et l’Amérique du nord avec de claires projections hégémoniques ciblant la Russie, le Proche-Orient, la Chine, la Méditerranée et l’Afrique.  En plein cœur de la crise de l’euro, les représentants du CAC 40 « français » et de son équivalent « allemand » avaient d’ailleurs publié un communiqué commun sommant les gouvernements de l’UE d’avancer à marche forcée vers « l’Europe fédérale », quitte à balayer les réticences populaires que venaient d’étayer une série de « non » retentissants lors des référendums français et néerlandais sur la Constitution européenne…

On sait par ailleurs que le cœur de ce projet typiquement impérial serait la mise en place d’une « Françallemagne », voire d’une nouvelle « Carolingie[3] » unissant l’Allemagne et son arrière-cour (Autriche, pays de l’embouchure du Rhin) aux zones « utiles » (pour la production de profit !) à la France et à l’Italie du nord.

A l’arrière-plan de ce projet féodal-capitaliste, il y a la contre-révolution capitaliste qui, sur la base de l’Europe occidentale intégrée à l’OTAN et dans le cadre de la seconde guerre froide antisoviétique (1975/1991), a permis la restauration capitaliste en Europe de l’Est et l’annexion de la RDA à la RFA capitaliste. Dopée par la « réunification », l’Allemagne capitaliste s’est notablement renforcée économiquement, démographiquement et géopolitiquement. « Rien ne se perd, rien ne se crée, tout se transforme » : la « réunification » allemande a permis la satellisation par la RFA[4] et les USA des Pays baltes ex-soviétiques, la semi-recolonisation de la Pologne et la partition-satellisation de l’ex-Tchécoslovaquie et de l’ex-Yougoslavie (une partie de cette dernière basculant carrément dans la zone mark !) ; le démantèlement ethnique de la République socialiste fédérative de Yougoslavie, qui fut déclenchée par la reconnaissance unilatérale de la Croatie par Helmut Kohl et par le Vatican, fait d’ailleurs figure de ban d’essai de la balkanisation en cours de notre sous-continent…

L’Oncle Sam et l’Allemagne fédérale sont ainsi les grands vainqueurs de la seconde guerre froide qui vit l’implosion sous influence de l’URSS et du camp socialiste ; une implosion applaudie par tous les partis euro-« communistes » et par toute la « gauche » petite-bourgeoise comme un grand « bouleversement démocratique » (!), alors que toute la partie orientale de l’Europe était livrée à la chasse aux sorcières, au négationnisme anticommuniste et antisoviétique, ainsi qu’à la réhabilitation rampante du fascisme et de l’intégrisme religieux !

La mise en œuvre de ce plan féodal-capitaliste subit actuellement une brutale accélération du fait de la crise récurrente de l’euro et de la réponse austéritaire et supranationaliste qui lui est donnée, non seulement par l’oligarchie financière, mais par les forces politiques interpénétrées du Parti Maastrichtien Unique (lePMU bis, composé de la droite libérale, de la « Démocratie » chrétienne et du PS Européen) : le « saut fédéral européen » commande de détruire les Etats constitués à la fois par le haut (« Europe fédérale » centrée sur Bruxelles et Francfort – en réalité sur Berlin et Washington – provisoirement unis ? -) et par le bas (les euro-régions, les métropoles européennes, les euro-régions transfrontalières).

Notons enfin qu’il est faux, du point de vue des rapports de forces réellement existants, de mettre un trait d’égalité entre les rôles respectifs de l’impérialisme allemand et de l’impérialisme français dans la marche vers l’Europe fédérale. Non pas que les usuriers rapaces de l’impérialisme français méritassent la moindre indulgence de la part des progressistes de notre pays[5], mais parce que les rapports de forces géopolitiques résultant de l’implosion contre-révolutionnaire du camp socialiste et de la re-mondialisation du système capitaliste ont « remis en circuit » et fortement relancé les ambitions continentales et planétaires de l’impérialisme allemand ; à l’inverse, la politique néo-gaullienne de l’oligarchie française a été déstabilisée par la disparition de l’URSS, par l’annexion de la RDA, par le recul géopolitique de la Russie et par l’hégémonie planétaire du complexe militaro-industriel états-unien. L’Oncle Sam est désormais délesté du contrepoids politico-militaire de l’URSS (désormais Washington détient 80% de l’arsenal mondial des armes de guerre !) ; celle-ci contenait en effet l’hégémonisme états-unien depuis 1945 en favorisant l’émergence mondiale du Mouvement de Libération national et du Mouvement des non-alignés.

Le gaullisme classique s’est en effet historiquement construit sur un subtil jeu d’équilibre géopolitique entre les deux « superpuissances » (sic) américaine et soviétique. Tout en restant solidement arrimé au camp occidental, De Gaulle[6] s’employait, en effet, à faire valoir la « grandeur » française contre les USA en flirtant avec l’URSS et avec la Chine populaire[7]. Cette forme subtile de bonapartisme international[8] qu’était la politique internationale gaulliste est devenue plus difficile à tenir depuis que les Etats-Unis et l’OTAN ont pris barre sur toute l’Europe de l’Est et que l’Allemagne capitaliste[9], décomplexée par la mythique « révolution démocratique en RDA », s’est remise à exporter ses troupes d’occupation et/ou ses ventes d’armes, de l’Afrique à la Syrie en passant par les Balkans et par l’Afghanistan. Aujourd’hui, l’armée française – dont la langue de travail officielle est devenue l’anglais ! – s’est muée en une pure force de projection impérialiste sur des théâtres lointains[10] et elle se désintéresse, de fait, de la protection directe du territoire national. Symboliquement, un régiment allemand campe d’ailleurs à deux pas du Struthof de brunâtre mémoire. Militairement, la force de frappe française est sur la table des négociations inter-impérialistes[11], comme l’est implicitement le siège dont dispose historiquement la France au Conseil de sécurité de l’ONU[12] et les enragés de l’effacement euro-atlantique de notre pays pressent les autorités d’abandonner à l’Union européenne ces deux « exceptions françaises » scandaleuses... 

Et surtout, la dissymétrie est flagrante entre les positions respectives de la France et de l’Allemagne à l’égard du fait supranational européen. Alors que le Conseil constitutionnel « français » a piteusement proclamé la suprématie des directives européennes et des traités supranationaux sur les lois nationales et sur la constitution française – au point que très officiellement les « Sages » ne vérifient plus que les misérables 20% de lois « nationales » qui ne sont pas des transpositions des directives bruxelloises – la Cour constitutionnelle allemande de Karlsruhe a plusieurs fois proclamé, sans que cela émeuve les autorités françaises, la subordination des décisions et des traités européens aux délibérations du Bundestag. Il en va de même en Grande-Bretagne, où l’obéissance aux directives européennes reste tout-à-fait conditionnelle, où les dérogations aux Traités européens sont systématiques et où l’allégeance directe à Washington interdit structurellement toute « indépendance » de l’U.E. à l’égard du tuteur états-unien où le drapeau de l'UE est totalement ignoré. Même le récent TSCG n’a été accepté par Karlsruhe – la ville où repose le corps de Charlemagne, premier Empereur allemand d’Occident et précurseur du St-Empire romain germanique – que du bout des lèvres et avec certaines réserves – alors que ce bon Monsieur Hollande a très « normalement » accepté, sans réserve, ce traité inégal (RFA créditrice, France débitrice, qui décidera du sens de rotation de l’« Axe franco-allemand » ?) qui anéantit à la fois notre souveraineté budgétaire et la possibilité pour notre pays de nationaliser son industrie, de se réindustrialiser et de mener une politique intérieure progressiste…

Bref, la construction supranationale s’opère très officiellement à deux vitessesy compris au cœur de ce qu’il est convenu d’appeler l’Axe franco-allemand. Car tout en parlant d’Europe fédérale et en réclamant pour autrui un strict cadrage supranational des décisions budgétaires (fédéralisme), l’Allemagne capitaliste dispose unilatéralement d’un droit de veto en Europe, à l’égal de la Grande-Bretagne, ce cheval de Troie européen des Etats-Unis… Ce n’est pas là une « opinion », c’est un fait juridique des plus constants. Alors pourquoi diantre tout l’arc politique français, du FN aux euro-trotskistes en passant par un certain nombre de « marxistes-léninistes » d’apparat, fait-il pudiquement silence sur cette asymétrie délétère, qui dénote clairement le caractère inégal, foncièrement germano-américain de la « construction » fédérale européenne[13] ? Pourquoi diable ceux qui pointent le fait patent de cette inégalité, sont-ils taxés de « germanophobie », alors qu’ils se contentent de refuser l’inégalité entre les peuples en tant qu’elle signifie forcément l’inégalité entre les gens[14] ? Pourquoi d’ailleurs serait-il « germanophobe » de dénoncer l’arrogant hégémonisme de l’impérialisme allemand, qui a « dikté » sa loi durant toute la crise de l’euro aux peuples grec, italien, irlandais, espagnol et portugais qualifiés de « PIGS », et qui la prescrit aussi désormais au peuple français par commissaires européens interposés, surveillant le débat budgétaire français jusque dans les travées de l’Assemblée « nationale » ? Rappelons aussi que les fondateurs du PRCF – parmi lesquels figure l’auteur de ces lignes – ont toujours été parmi les plus actifs militants de la solidarité internationale franco-allemande au bénéfice des communistes de l’ex-RDA persécutés pour délit d’opinion par les « réunificateurs »[15]? Pourquoi ne pas voir qu’il y a deux Allemagne(s), l’Allemagne progressiste héritière de Kant, Heine, Marx, C. Zetkin, Brecht… et l’Allemagne impérialiste qui ne cache même plus[16] sa volonté politique d’atteindre par d’autres moyens – pour l’instant, ceux de la domination économique, du chantage financier et de l’euro-bidouillage institutionnel – les sinistres objectifs continentaux de domination qui furent ceux des trois premiers « Reich » ?

Pour compléter cette étude de l’hégémonisme allemand, il faudrait bien entendu étudier les différentiels économiques écrasants entre les balances commerciales allemandes et françaises, l’inégalité encore plus marquée (ou « markée » ?) des deux économies dans le domaine industriel – la base réelle de toute puissance politique durable – et surtout, il faudrait analyser de près la farce du libre-échangisme européen et mondial, telle que nous la vend la « Troïka » et ses innombrables zélateurs médiatiques. Nous avançons en effet l’idée que la zone euro, en réalité, la zone euro-mark, est d’abord une zone crypto-protectionniste germano-yankee. Globalement, cette zone monétaire permet en effet aux Etats-Unis de continuer à écouler leur dollar – monnaie mondiale de référence (essentiellement gagée sur la puissance de l’US Army) – tout en surfant sur le dollar faible pour dynamiser leurs exportations ; parallèlement, l’euro fort permet d’imposer aux pays européens du sud – interdits de « dévaluation compétitive » puisqu’ils ont abandonné leur arme monétaire nationale – les exportations industrielles allemandes libellées en euro fort, ce clone du mark. Libre-échange de l’Empire anglo-saxon vers l’UE et de la RFA vers l’Europe du sud donc, mais protectionnisme caché de la RFA à l’encontre des exportations de l’Europe méridionale : la  voilà la réalité de ce libre-échange inégal qu’est en réalité la zone euro, cette sous-continentalisation de la zone mark qui, à l’arrivée, gave l’Europe du sud des produits allemands et américains, tout en interdisant aux « PIGS » d’exporter largement vers l’Allemagne et l’Amérique…

En réalité, dans une telle épure, l’Europe du sud est vouée à la tiers-mondisation et à la sous-industrialisation à perpétuité : que la Grèce, l’Espagne, l’Italie,  la Costa Brava  se contentent donc à l’avenir de vendre du tourisme et de l’immobilier, voire de céder quelques îles méditerranéennes au Minotaure berlinois quand la balance commerciale hellène, espagnole ou italienne redeviendra à nouveau par trop déficitaire ! De plus ces pays connaissent, de nouveau, une vague d'émigration qui les prive de forces vives, en attendant de former, pour ceux qui restent, une main d’œuvre sous payée, comme le chantage de Renault en Espagne le montre bien.

Quant à la France bourgeoise, elle a scellé son sort industriel quelques décennies plus tôt ; c’est en effet au sortir des grèves de masse à répétition qui eurent lieu en France dans les années 1968/1974, que le « libéral » français V. Giscard d’Estaing et que le social-démocrate allemand Helmut Schmidt se sont partagé les « créneaux » dans la chaotique division capitaliste internationale du travail : effrayée par la puissance socio-politique de la trop frondeuse classe ouvrière française, alors très influencée par le PCF et la CGT (qui étaient sortis renforcés des combats de la Résistance) – l’oligarchie « française » a fait une croix sur sa grande industrie, notamment sur la machine-outil, cette mère de tout développement usinier, qui formait le noyau dur de la grande usine combative de Renault-Billancourt (cerveau et poumon de la grève de masse de mai 1968) ; l’oligarchie monopoliste « française » s’est délibérément spécialisée dans la banque – en réalité dans le prêt usuraire international – dans le transport transeuropéen (autoroutes, TGV, aéroports), dans l’industrie d’armement (avec ses retombées aéronautiques et énergétiques) ainsi que dans le tourisme, pendant que la RFA – où le prolétariat était alors moins remuant[17] – mettait le paquet sur l’industrie et sur la recherche-développement, ces sources durables de la puissance… A l’inverse, de gouvernement de droite en gouvernement de « gauche », c’est à qui, en France, aura le plus sabré les Charbonnages de France, la sidérurgie lorraine, le textile du nord, l’électronique, les Chantiers navals, et maintenant la production automobile et équipementière, sans parler de ces deux autres secteurs productifs méthodiquement démantelés que furent la pêche artisanale et l’agriculture familiale où, là aussi, l’influence « rouge » était loin d’être négligeable, des vignerons de l’Hérault aux pêcheurs du Guilvinec…

Tout en poussant les feux de la Nouvelle-Carolingie (belle « modernité » en vérité !), le « saut fédéraliste » actuel se complète désormais d’une« reconfiguration » à marche forcée des territoires et des rapports de forces inter – faut-il encore dire « intra » ? – nationaux dans les pays extérieurs au Saint-Empire germano-romain en voie de reconstitution. Tout le monde garde en mémoire la manière dont les gouvernements en place en Grèce, au Portugal ou en Italie ont été grossièrement congédiés par la « Troïka ». Sans qu’il soit question une seconde d’idéaliser les reptiles politiques que furent et que restent lesPapandréou (Grèce, PS), Socrates (Portugal, PS) et autre Berlusconi (Italie, droite dure), en quoi les actuels gouvernants de ces pays, proconsuls zélés de l’UE et exécutants même pas dissimulés de l’hyper-banque américaine Goldman Sachs (on pense en particulier à Mario Monti, qui appartint à son directoire) sont-ils encore des gouvernements grec, portugais ou italien ? Il s’est agi là, dans des formes manifestement « post-démocratiques », d’un coup d’Etat européenquasi-permanent[18] ; seuls les aveugles volontaires n’auront pas saisi que la seule valeur absolue servie par l’UE n’était pas la « démocratie », mais le sauvetage à tout prix de la monnaie unique !

Et surtout, l’euro-balkanisation sous influence impériale des Etats historiquement constitués d’Europe subit actuellement un coup d’accélérateur brutal et généralisé.

La Belgique poursuit un processus d’« évaporation » rapide – que nous avions annoncé parmi les premiers dans un article alors paru dans L’Humanité – sous la pression de la droite patronale dure (la NVA, flanquée du fascisant Vlaams Belang) ; et le gouvernement fédéral belge présidé par le « socialiste francophone » E. Di Rupo est plus empressé à renier la Francophonie internationale qu’à défendre l’intérêt national belge ou qu’à protéger les droits grossièrement bafoués des francophones vivant dans la partie nord du pays. Qui peut croire une seconde que la grande bourgeoisie portuaire d’Anvers puisse pousser les feux de l’indépendance flamande (formelle ou seulement… réelle !) sans avoir reçu l’aval, pour ne pas dire plus, du grand voisin allemand dont Anvers constitue un important débouché maritime à proximité de l’axe rhénan ?

Provisoirement en recul en raison des démêlés judiciaires de son chef de file, l’extrémiste de droite Umberto Bossi, la Lega del Norte continue de caresser l’espoir d’une indépendance – ou d’une autonomie quasi-totale de la « Padania » – c’est-à-dire du Nord de l’Italie désireux de divorcer d’avec le Mezzogiornopauvre. Berlusconi vient d’ailleurs de signer avec Bossi un accord électoral qui, de l’aveu même du journal Le Monde[19] peut mener à l’éclatement de l’Italie avec des conséquences imprévisibles. Est-il si difficile pour des marxistes de démêler la signification de classe de ce nationalisme-là qui, de la Slovénie à la Tchéquie, de la Flandre belge à l’Alsace, de la « Padanie » milanaise à la Catalogne, du (relativement) riche Pays basque à l’Ecosse pétrolière, est toujours un nationalisme des régions riches visant à se délester des régions pauvres (de la Yougoslavie, de la Tchécoslovaquie, de la Belgique, de la France, de l’Italie, du Royaume-« uni », etc.) de manière à réduire obsessionnellement l’impôt dû par les privilégiés au titre de la « solidarité nationale » ?

C’est l’Espagne qui est présentement sur le trajet direct du « front cyclonique » de l’euro- balkanisation. Confronté à d’intenses luttes de classe (mineurs asturiens, personnels de la santé et de l’Education, pompiers, etc.), les composantes castillane, catalane et basque de la grande bourgeoisie espagnoles jouent une étrange… partition – c’est le cas de le dire : pour reporter sur « Madrid » la responsabilité de la méga-austérité infligée aux habitants de la Catalogne, et pour obtenir la mise en place d’une « union sacrée » euro-austéritaire entre la droite indépendantiste d’A. Mas et la Gauche républicaine catalane (ERC), les autorités de Barcelone prévoient un référendum sur l’indépendance (ou sur l’autodétermination, les contenus restent encore flous) en 2014, si possible au moment même où sera convoqué… le référendum sur la séparation de l’Ecosse et de l’Angleterre auquel D. Cameron vient de donner son feu vert. Comme on le voit, les « coïncidences » dans la désarticulation des Etats constitués relèvent d’une planification mal dissimulée à l’échelle du continent, même s’il est vrai que certaines forces s’inquiètent ici et là d’un processus qui pourrait échapper aux apprentis-sorciers. Néanmoins le cap reste fixé principalement par les « dé-nationaliseurs » et, sous couvert d’aider les « minorités opprimées », un slogan fait le tour du Vieux Continent : « euro-sécessionnistes de toute l’Europe, épaulons-nous » !

Croyant ainsi avoir éradiqué la lutte armée de l’ETA (laquelle se référait au socialisme), la bourgeoisie basque s’apprête à imiter son homologue barcelonaise… et à dire elle aussi bye-bye à « Madrid ». Certains ultra-catalanistes réclament même déjà le « rattachement » de la « Catalogne-Nord », en clair des Pyrénées-Orientales françaises, de même que nombre d’indépendantistes basques du « Pays basque sud » rêvent d’annexer au futur Euzkadi indépendant la partie « basque » des Pyrénées-Atlantiques : bref, si les choses continuent, « il n’y aura plus de Pyrénées » : à l’avantage des travailleurs ou au bénéfice des capitalistes avides de « reconfigurer les territoires » tout en divisant les populations ?  

Bien entendu, la grande bourgeoisie madrilène – dans laquelle abondent les nostalgiques du franquisme – pousse des cris d’orfraie ; mais est-elle si fâchée que cela de se poser en championne de l’unité espagnole menacée par les sécessions ? Diviser les travailleurs d’Espagne sur une base linguistique pour pouvoir mieux imposer l’ultra-austérité du fascisant gouvernement Rajoy et des gouvernements provinciaux, tous plus austéritaires les uns que les autres, n’est-ce pas une tactique gagnante pour un patronat espagnol qu’a fait récemment trembler la Marche noire qui vit des milliers de mineurs asturiens envahir Madrid en ravivant les craintes patronales mal éteintes d’une insurrection prolétarienne (et républicaine !)

Bien entendu, les marxistes ne peuvent ignorer que la problématique « décentralisatrice »  - en  réalité dé-nationalisatrice – ne se pose pas du tout sous les mêmes auspices de part et d’autre des Pyrénées. En Espagne, la centralisation et l’uniformisation linguistique drastique mise en place par le fasciste Franco portait un caractère entièrement réactionnaire et l’on sait que nombre d’autonomistes basques et catalans se sont vaillamment battus du côté républicain (chacun garde en mémoire le Guernica de Picasso). En France au contraire, le processus centralisateur, entrepris dès le 10ème siècle par la Royauté capétienne, était globalement progressiste ; il était porté par l’alliance historique qui a longtemps lié la monarchie capétienne à la bourgeoisie « communaliste » et il visait principalement à limiter le pouvoir régressif des grands feudataires, souvent tentés de s’allier à l’étranger pour brider la monarchie francilienne et agrandir leur propre duché. Appuyée par les Sans-Culotte, la République jacobine de  Rob espierre a repris l’œuvre centralisatrice entreprise par la monarchie sur de tout autres bases sociales : le but, éminemment progressiste, était d’offrir à tous l’égalité devant la loi, alors que la grande bourgeoisie « girondine » – celle-là même qui mettra en place par la suite le Consulat et l’Empire – eût préféré « fédéraliser »  la jeune République  pour diviser un peuple français, marginaliser les Sans-culotte parisiens et ancrer localement le pouvoir des notables bourgeois. Notons que cette centralisation républicaine-révolutionnaire s’est avérée parfaitement compatible en son principe avec la dévolution de pouvoirs étendus aux communes, et qu’il est abusif de parler avec dédain de « centralisation jacobine » à propos des mesures ultra-autoritaires mises en place par Napoléon pour stabiliser sa dictature thermidorienne[20].

Bien entendu, il faut considérer avec faveur tout ce que porte de justes revendications à la dignité nationale, l’aspiration légitime des peuples à préserver leur langue historique, voire, dans le cas espagnol, à constituer un Etat confédéral démocratique et multinational (comme le propose par ex. le PC des Peuples d’Espagne). Mais le droit des peuples à disposer d’eux-mêmes, que Lénine n’a pas moins invoqué que Bolivar, Marti ou Garibaldi – doit toujours s’interpréter dans un contexte de classe global et international. Si complémentaires qu’ils soient dans leur concept, l’articulation du patriotisme et de l’internationalisme[21]doit se lire à notre époque dans le contexte géopolitique ultraréactionnaire et impérialiste de la mise en place de l’Union transatlantique, du saut fédéral européenet de l’ « évaporation »[22]-balkanisation des nations d’Europe dont nous venons de montrer à quel point il est déterminant : si paradoxal que ce soit, alors que le mouvement des nationalités du 19ème siècle était autogène et tourné contre les Empires féodaux (russe et autrichien notamment), les mouvements sécessionnistes actuels sont déterminés, voire pilotés et cadrés de manière exogène, et à partir du projet ouvertement impérial d’Europe fédérale, d’Union transatlantique, d’Europe des régions… et d’austérité tous azimuts contre les acquis sociaux.

On pourrait certes imaginer que la possible sécession de l’Ecosse en 2014, peut-être suivie d’un référendum sur l’indépendance du Pays de Galles, peut présenter un caractère partiellement progressiste : après tout, ces peuples celtiques ont été niés par l’Angleterre qui n’a eu de cesse d’arracher leur langue et de noircir leurs héros nationaux, comme le « ténébreux » Macbeth. Après tout, l’émergence d’un « Royaume désuni » au nord du continent pourrait être une bonne nouvelle pour tous ceux qui veulent combattre le tout-anglais mondial, réunifier l’Irlande sur des bases républicaines, réhabiliter le gaélique et revitaliser la noble culture celte ! Il n’est jamais exclu, comme l’a montré Lénine dans son analyse de  la Première Guerre  mondiale, que des éléments politiques minoritairement progressistes soient enchâssés dans des processus globalement réactionnaires (et vice-versa, d’ailleurs !). Mais là encore, les internationalistes doivent d’abord analyser les dynamiques politiques à l’échelle globale en cherchant leur signification de classe principale ; car, comme l’enseigne la science linguistique, un « joli mot » isolé n’a jamais de sens qu’en fonction du contexte global de la phrase dans laquelle il est placé…

D’abord, le tout-anglais est bien moins porté par le Royaume-Uni comme tel que par les Etats-Unis d’Amérique (il s’agit en réalité d’un tout-américain) et par leurs vassaux des pays européens eux-mêmes, qui se moquent bien de Shakespeare et qui veulent surtout disposer d’une novlangue unique pour « fluidifier » le futur marché unique mondial, d’un code linguistique idéologiquement aseptisé permettant de dominer les esprits et d’une « langue de classe » permettant à la nouvelle oligarchie euro-mondialisée de se distinguer du bas peuple. A l’heure où j’écris ces lignes j’ai sous les yeux le projet de « jeunes décideurs » européens qui proposent carrément que l’anglais devienne la seconde langue officielle (en réalité, la première !) de chacune des « nations » d’Europe… En réalité, les « sécessions » prévues à la chaîne pour 2013/2015 s’effectueront dans une UE qui est en passe d’adopter officiellement le tout-anglais comme la seule langue véhiculaire de l’Union, laquelle se conçoit elle-même comme le pilier européen de l’Union transatlantique centrée sur Washington : dans ce contexte, la défense du gaélique, du catalan ou du corse risque fort d’être un pur prétexte ! Il serait très risqué de parier qu’une future Ecosse indépendante, fût-elle sympathiquement dirigée par des travaillistes formellement anti-thatchériens, imposera réellement le gaélique dans les échanges commerciaux et les entreprises pétrolières...

Enfin et surtout, répétons-le, en Ecosse, comme en Catalogne, au Pays basque comme en « Padanie », en Flandre comme en Savoie ou dans le riche « Comté de Nice » (où l’oligarchie semi-mafieuse garde en réserve la carte indépendantiste actuellement marginale), ce sont toujours les riches qui veulent « claquer la porte, ce sont toujours les gavés et les repus qui refusent de payer l’impôt pour les « assistés » des régions prolétariennes et paysannes qu’ils ont précédemment exploitées jusqu’à la corde (régions désindustrialisées d’Angleterre, Nord-Pas-de-Calais, Andalousie, etc.). Et toujours, ces bourgeoisies séparatistes veulent sortir des Etats nationaux ou multinationaux historiquement constitués, non pas pour sortir de l’UE réactionnaire, mais pour s’ériger en « régions d’Europe »(c’est le thème du référendum prévu en Alsace pour février 2013). Quant aux « républicains » bourgeois catalans, ils viennent clairement, en échange du référendum sur l’autodétermination, d’accepter une série de hausses d’impôts que mettra en application le gouvernement de droite d’Artur Mas. Qu’auront à gagner à cette union sacrée entre la droite patronale et la « gauche » indépendantiste les travailleurs catalans et castillans de Barcelone, sinon des divisions supplémentaires et des difficultés plus grandes encore pour s’unir à leurs frères de classe du reste de l’Espagne pour combattre la misère, l’injustice et les inégalités galopantes ?

L’ultime signification de classe de cette évaporation-balkanisation organisée des nations est bien, en résumé, que les euro-régions riches – y compris le futur « domaine royal » francilien que le ternissime « socialiste » Huchon 1er désire proclamer à… Paris[23] – veulent se délester du « boulet » que constituent, dans la conquête de « nouvelles aires », les régions pauvres de leur Etat-nation d’origine, pour jouer EN SOLO, ou en association avec d’autres régions riches, leur carte égoïste dans la chasse euro-mondialisée au profit maximal. Peut-on concevoir projet de classe plus égoïste, plus rétrograde, moins patriotique, moins internationaliste, moins humaniste et solidaire, plus impérialiste en un mot ?

En 1914, Lénine concédait volontiers que la lutte nationale du peuple serbe, qui fut un des déclencheurs – ou plutôt un des prétextes – de la 1ère guerre mondiale, portait un caractère national progressiste face à l’Empire autrichien. Mais Lénine n’en montrait pas moins que cette dimension patriotique et anti-impérialiste légitime était SECONDE à l’échelle mondiale et dans le cadre d’une période historique donnée – celle de la montée des impérialismes mondiaux – comparée au caractère globalement impérialiste du premier conflit mondial. De même les soldats français qui allaient mourir pour rendre Strasbourg à la « mère-patrie » étaient-ils abusés par la propagande impérialiste (« on croit mourir pour la patrie, on meurt pour les industriels », écrivait Anatole France, l’un des premiers intellectuels à rallier le tout jeune PCF) : car le but principal de  la première Guerre  mondiale était bien le repartage impérialiste-colonialiste du monde et non l’affranchissement de l’Alsace ou l’émancipation des Serbes du joug autrichien ! Or aujourd’hui, est-il progressiste ou réactionnaire de voir la banderole de tête de la manifestation indépendantiste catalane de l’automne 2012 proclamer – en anglais ! – « Catalunya, the next nation in Europe » ? Même si des centaines de milliers de « petites gens » abusées portent ces banderoles au lieu de mener la lutte aux côtés de leurs frères de classe hispanophones contre les capitalistes catalans et castillans, qui ne voit que c’est la bourgeoise qui, principalement, mène le bal indépendantiste et qui, au moment où il faudrait crierEspaña fuera del euro y la UE !, crient au contraire « Catalunya out of Spain and into the EU ! ».

Quant à la France, la décomposition nationale s’y accélère également : en février 2013 devrait avoir lieu un référendum portant sur la fusion des trois collectivités territoriales alsaciennes et instituant une région d’Europe tournée vers l’espace germano-suisse et ébréchant sérieusement le principe de la République une et indivisible… A qui le tour ensuite et pour le bénéfice de quels secteurs de la population française ?

Par ailleurs, l’Acte III de la décentralisation porté par F. Hollande est déjà dans les tuyaux législatifs : il devrait accorder aux régions, et plus encore aux « métropoles », la réalité du pouvoir politique en matière de développement économique et de subventionnement patronal, avec un « pouvoir réglementaire » leur permettant de moduler la loi nationale et de négocier directement avec Bruxelles. Le MEDEF disposerait alors de leviers institutionnels décisifs pour démolir les statuts nationaux, les conventions collectives, le SMIG, le droit du travail national, et pour mettre en concurrence les territoires « français » : ce sera très vite à qui, « président de région » (sic) ou de « métropole », accordera les plus grosses subventions au patronat pour l’attirer sur son « territoire », à qui offrira aux « entrepreneurs européens » le cadre salarial le plus minimaliste, à qui privatisera au maximum les services publics d’Etat et de territoire, à qui contournera le plus la loi laïque de 1905, etc. Bonjour aux délocalisations internes à l’hexagone et à la ronde des entreprises dans le cadre de feu le territoire national, bienvenue aux « compétences » scolaires et à l’ « apprentissage pour tous » exigés par le patronat sur le modèle anglo-saxon, exit le bac et les diplômes nationaux, welcome au détricotage des syndicats nationaux et à la recomposition du mouvement ouvrier « français » sur des bases ethnolinguistiques… Et bienvenue à la compétence linguistique dévolue aux euro-régions, donc au désétablissement de la langue française, déjà si malmené bien que la langue nationale jouisse encore en France du statut de « langue de la République » de par l’article II de la Constitution...

Car déjà le président du conseil régional corse, Dominique Bucchini[24] demande que la France ratifie  la Charte européenne des langues minoritaires et régionales. Un texte dangereux qui dévalue l’idée même de langue nationale, qui « ethnicise » le territoire national au lieu de considérer les langues régionales comme un patrimoine culturel de toute la nation et d’offrir à ces langues, basque, breton, occitan, corse, catalan, alsacien, etc. – mais aussi, pourquoi pas, aux langues de l’immigration de travail[25] – les moyens budgétaires de leur diffusion par l’Education nationale. Qui ne voit que le but réellement poursuivi par l’oligarchie (et pas seulement en France !) est d’utiliser le prétexte de la régionalisation linguistique pour dés-officialiser le français et pour officialiser l’anglais(que peut bien être une langue européenne minoritaire et non régionale dans la France actuelle ?). Pendant que le béarnais, le français et le basque se disputeront la Navarre historique, le vorace Raminaglobish promu par l’UE ne fera qu’une bouchée des trois langues « indigènes » de ladite Navarre, et le business-English deviendra très vite la langue officielle bis[26] de notre pays – et plus vite encore, au rythme où vont les choses, celle de plusieurs pays voisins, où la résistance linguistique est inexistante. A marché unique et à monnaie unique, langue unique, culture unique, pensée unique, économie unique et politique unique, le tout sous les auspices mensongers de la « diversité linguistique » et de l’ «&nb

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(srpskohrvatski / english / italiano)

Cancellazione della memoria nel Kosovo colonizzato

1) Vitina (KiM): WW2 memorial demolished by Nazi "police" / Monumento ai partigiani demolito dalla "polizia" balista / Balisti ruše Jugoslavensku istoriju

2) Chiese vandalizzate e centinaia di tombe serbe distrutte in pochi giorni / Порушено око 150 надгробних споменика / Cemeteries and churches desecrated


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Serb cemeteries, memorials desecrated in Kosovo

Beta News Agency/Tanjug News Agency - January 21, 2013
KOSOVSKA MITROVICA: Incidents were reported from Kosovo on Sunday and Monday, including an attempt to stage an attack on a monastery, and desecration of several Serb cemeteries. 
In Kosovska Mitrovica, two firebombs were thrown at the municipal building, causing no injuries or material damages. The perpetrators "quickly escaped the scene", while members of the Kosovo police, KPS, "arrived there shortly after the attack", according to reports.
Kosovska Mitorovica Mayor Krstimir Pantić criticized NATO troops, KFOR, who are deployed nearby, saying that the building was attacked on several other occasions and that, despite the fact the soldiers were standing several dozen meters away, the perpetrators have never been found and punished. 
Pantić also announced that "as of tomorrow, the Civil Defense will take over the responsibility of securing personal and property safety of the citizens and the municipality". 
According to reports, ethnic Albanians in the town of Đakovica held a protest there and then headed for a nearby Serb Orthodox monastery...
The monastery was once before targeted by Albanians, when it was burned down in March 2004. The holy place has in the meantime been reconstructed. 
Meanwhile, 27 tombstones were destroyed in a Serb cemetery in Klokot. The Serbian Government Office for Kosovo and Metohija urged the international community representatives in Kosovo to find the "vandals" behind the incident as soon as possible. 
Three more Serb Orthodox cemeteries were desecrated in Kosovo overnight, in the villages of Prilužje, Miloševo and Plemetina. 
Beta news agency is reporting that explosives were used late on Sunday to blow up a tombstone on a cemetery plot belonging to a local Serb family in Prilužje. 
A memorial in the Serb enclave in Goraždevac, raised to honor the victims of NATO's 1999 bombing, and the Serb children gunned down while swimming in the Bistrica River in 2003, was also targeted. 
In Vitina, a memorial for the members of the WW2 anti-fascist resistance (NOV), was also attacked. A video has surfaced on YouTube showing a crowd destroying the memorial, with several members of the KPS standing by without attempting to prevent them. 
Radio Goraždevac editor Darko Dimitrijević said that shots had been fired at the memorial, and that this disturbed some 1,000 Serbs who live in this village in Metohija. 
These incidents took place after a memorial built without a permit to honor members of the UCMPB (OVPMB) was removed from downtown Preševo, in southern Serbia. 
The now disbanded ethnic Albanian group was considered terrorist by the authorities for launching attacks against police, military and civilian targets in the area in 2000 and 2001. 
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The government in Priština called on "the citizens of Kosovo and Albanians in the Preševo valley" to express their dissatisfaction in a civilized manner, "without falling for the provocations of the Serbian government".


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U gradu Vitina na Kosovu i Metohiji, nošeni fašističkom ideologijom balista, ruše Jugoslavensku istoriju i časnu istoriju Albanaca koji su dali život za Titovu armiju i Jugoslaviju

VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=hvf3bKFm7IA - http://www.youtube.com/watch?v=mGFeSQpBxW8

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KPS suspend members over WW2 memorial incident

Beta News Agency - January 22, 2013
PRIŠTINA: The Kosovo police, KPS, have announced that five of their members were suspended over an incident that occurred on Monday in the town of Vitina.
They include the police station and operations chief, according to a statement. 
According to a Beta report, it was said that "despite announcements" from the directorate in Priština, they did not undertake the measures to prevent the tearing down of a monument. 
The memorial was dedicated to the fighters of the WW2 anti-fascist Partisan troops (NOV). 
According to the news agency, "a group of about 100 citizens led by the president of the organization of veterans of the former KLA" yesterday attacked and brought down the memorial. 
The incident - filmed and posted on YouTube - was one in a series in Kosovo on Sunday and Monday, when ethnic Albanians targeted Serb cemeteries and memorial sites.

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NAJOŠTRIJA OSUDA BALISTIČKOG RUŠENJA SPOMENIKA NOB-u

Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ) najoštrije osuđuje rušenje spomenika borcima Narodnooslobodilačkog rata 1941.-1945. godine u Kosovskoj Vitini, od strane pro-fašističke horde predvođene nekadašnjim pripadnicima terorističke takozvane “Oslobodilačke vojske Kosova” kao i rušenje spomenika stradalima u NATO agresiji i ubijenoj srpskoj deci i brojnih nadgrobnih spomenika Srba na Kosovu i Metohiji.

Rušenje je bila reakcija albanskog marionetskog nacional-šovinističkog i separatističkog pokreta na Kosovu na uklanjanje spomenika pripadnicima terorističke takozvane „Oslobodilačke vojske Preševa,Bujanovca i Medveđe“ u Preševu. Naime, buržoaska pro-imperijalistička Vlada Srbije je, iako oklevajući kako se ne bi zamerila Vašingtonu i Briselu, nakon pritisaka rodoljubive javnosti, u prvom redu naše Partije, bila prinuđena da taj sramni spomenik ukloni što je dovelo do divljačke reakcije albanskih separatista na Kosovu. Necivilizovani i nerazumani čin pripadnika terorističke „UČK“ u Kosovskoj Vitini nedvosmisleno pokazuje da ta zločinačka formacija baštini „tekovine“ albanske kvislinške vojne formacije u Drugom svetskom ratu Bali kombatari koja je verno služila interesima fašističke Italije i nacističke Nemačke. NKPJ oštro osuđuje i imperijalističke okupacione snage iz redova KFOR-a koje su dozvolile vandalizam i orgijanje razuzdanih balista, a formalna osuda uništavanja spomenika koju je sutradan izrekao KFOR predstavlja čist cinizam. NKPJ žestoko osuđuje i kvislinški pro-imperijalistički režim u Prištini koji nije učinio ništa da se zaštite uništeni spomenici što veoma jasno pokazuje njegovu spremnost da toleriše fašističko-balističko delovanje na teritoriji Kosova. Suspenzija nadležnih u policiji Kosovske Vitine koja je usledila od strane marioneta iz Prištine takođe predstavlja cinizam jer samo naivni mogu da misle da su lokalni policajci u Vitini postupali „na svoju ruku“. Rušenje spomenika u Kosovskoj Vitini predstavlja vređanje tekovina anti-fašističke borbe i socijalističke revolucije Jugoslavije. Taj drski vandalski čin istovremeno predstavlja atak na sve antifašistički i slobodoljubivo orijentisane Albance, jer je poznato da su se u partizanskim jedinicama na Kosovu rame uz rame protiv fašističkog okupatora i domaćih izdajnika borili i Srbi i Albanci, kao i pripadnici drugih naroda i nacionalnih manjina koje žive u južnoj srpskoj pokrajini. Rušenje spomenika poginulim partizanima je ništa drugo do saučesništvo u zločinima nacističkih okupatora i njihovih kvislinških slugu. Borci NOR-a i socijalističke revolucije borili su se za slobodu Kosova i Metohije kao dela bratske jugoslovenske socijalističke zajednice i stoga zaslužuju poštovanje i divljenje svih istinskih rodoljuba i antifašista. Primer, kako se bratski treba boriti protiv zavojevača dali su narodni heroji Boro i Ramiz koji su mučki ubijeni od strane balističkih kvislinga i izdajnika Jugoslavije.

Decenije socijalističke izgradnje u Jugoslaviji donele su opšti prosperitet za sve narode koji su živeli u njoj, uključujući tu i albanski i srpski narod. NKPJ je uveren da u redovima Albanaca na jugu Srbije i na Kosovu i Metohiji ima veliki broj onih koji su orijentisani progresivno, pro-jugoslovenski, anti-imperijalistički i komunistički i koji su spremni da sa Srbima i svim ostalim narodima i nacionalnim manjinama koji žive na ovom prostoru , podjednako odbacujući reakcionarne koncepte „Velike Albanije“ i „Velike Srbije“, povedu borbu protiv gnusne imperijalističke politike „zavadi pa vladaj“ koja se primenjuje na prostorima naše socijalističke domovine Jugoslavije uništene od strane zapadnog imperijalizma, i na teritoriji celog Balkana. Prvi preduslov, koji treba ostvariti kako bi Albanci i Srbi u miru živeli na Kosovu i Metohiji, kao integralnom delu Srbije, je odlazak okupacionih trupa zapadnog imperijalizma i ukidanje najveće NATO baze u regionu Bondstila.

Stop balističkom divljanju na Kosovu i Metohiji!

Slava jugoslovenskim partizanima oslobodiocima Kosova!

NATO napolje iz Srbije!

Sekretarijat NKPJ,
Beograd, 22. januar 2012.god.

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ВАНДАЛИМА  СМЕТА  СПОМЕНИК  У  ВИТИНИ

РУШЕЊЕ СПОМЕНИКА ОСЛОБОДИОЦИМА У ВИТИНИ

25. 01. 2013.
Београд

Савез удружења бораца народноослободилачког рата Србије, Београдски форум за свет равнорпавних и Клуб генерала и адмирала Србије, са индигнацијом и гнушањем су примили вест о рушењу споменика, 21. јануара 2013. године, у месту Витина на Косову и Метохији, од стране групе албанских екстремиста.

Ради се о споменику који је подигнут у славу бораца који су, као припадници Народно-ослободилачке војске Србије, дали своје животе у току четворогодишње борбе против фашизма у Дргом светском рату.

Најоштрије осуђујемо овај нецивилизацијски и вандалски акт уништавања споменика који симболише борбу за слободу од фашизма и угњетавања. Вишегодишње рушење, уништавање и скрнављење споменика српске верске и културне баштине на Косову и Метохији постало је још агресивније после доласка међународних снага 1999. године. Иако је покрајина Косово и Метохија од тог момента до данас под мандатом Уједињених нација, ниједан виновник оваквих и сличних аката није приведен правди, што поставља питање односа УНМИК-а, КФОР-а и ЕУЛЕКС-а према мандату који им је поверен.

Најодлучније захтевамо од органа међународне заједнице на Косову и Метохији да организаторе и починиоце најновијег и свих ранијих злочина, приведу правди и предузму енергичне мере заштите, у интересу стварања трајних услова за безбедан и миран живот и националну толеранцију свих који живе на Косову и Метохији.

Позивамо сва удружења слободарске и антифашистичке оријентације да најоштрије осуде вандалско рушење споменика борцима за слободу у Витини, као и уништавање верских објеката, културно-историјских споменика и српских гробаља.

СУБНОР Србије
Београдски форум за свет равноправних
Клуб генерала и адмирала Србије



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A Kosovo Polje sono state distrutte 56 tombe serbe


15. 01. 2013. - Nel cimitero a Kosovo Polje, nel Kosovo centrale, negli ultimi giorni sono state distrutte 56 tombe serbe, ha comunicato l'Ufficio dell'esecutivo serbo per il Kosovo e Metochia. L'Ufficio ha chiesto che urgentemente siano trovati e puniti i vandali che hanno commesso questo sacrilegio e che durante il Natale ortodosso hanno derubato la cappella della chiesa serba a Bresje, nei pressi di Kosovo Polje.


Comunicato dell’eparchia di Raska e Prizren


15. 01. 2013. - L’eparchia di Raska e Prizren della Chiesa serba ortodossa ha condannato il sacrilegio che è stato fatto a 56 tombe nel cimitero serbo a Kosovo Polje, nel Kosovo centrale. Questo atto barbarico ha dimostrato purtroppo che oggi in Kosovo non vengono maltrattati e uccisi soltranto i serbi che sono rimasti a vivere sul suo territorio e che anche i loro estinti non sono lasciati in pace. Già da anni, davanti agli occhi della comunità internazionale, è in corso la guerra senza scrupoli contro i serbi morti. Con la loro tolleranza i rappresentanti della comunità internazionale provocano il rischio che la distruzione dei monumenti tombali arrivi anche in casa loro, è stato precisato nel comunicato diffuso dall’eparchia di Raska e Prizren della Chiesa serba ortodossa.


OSCE ha condannato la distruzione delle tombe serbe


15. 01. 2013. - La facente funzione di capo della missione dell’OSCE in Kosovo Paivi Nikander ha condannato la distruzione di 56 tombe nel cimitero serbo a Kosovo Polje. Il sacrilegio compiuto alle tombe dimostra la mancanza del rispetto elementare nei confronti dei morti e della comunità alla quale appartengono, ha dichiarato la Nikandre. Lei ha invitato le istituzioni rispettive a trovare e punire i colpevoli.


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Distrutte altre 150 tombe di serbi nella notte tra il 20 e il 21 gennaio 2013

Nel villaggio Babljak è stata profanata la chiesa serba

22. 01. 2013. - Nel villaggio Babljak nei pressi di Urosevac nel Kosovo meridionale, nel quale vivono profughi serbi, è stata profanata la chiesa ortodossa della Santa Trinità, ha riportato la Radio Kosovo e Metochia. Il coordinatore del comune di Urosevac Milan Janjic ha dichiarato che ieri sono state derubate tre case serbe nelle quali in questo momento non vive nessuno. Nel villaggio di Babljak, nel quale prima della guerra nel 1999 vivevano più di 300 serbi, adesso vivono nove famiglie serbe.


Profanato cimitero serbo a Pristina 

22. 01. 2013. - Al vecchio cimitero serbo a Pristina, vicino alla chiesa di Santo Nikola, sono stati demoliti cinque monumenti tombali. La polizia kosovara protegge la chiesa serba, nella quale vivono due sacerdoti serbi con le loro famiglie. Uno dei due parrocchi serbi a Pristina Darko Marinkovic ha dichiaratro alla radio Kosovo e Metochia che gli stessi monumenti sono stati danneggiati poco tempo fa. La situazione è molto tesa. Noi siamo molto preoccupati per la sicurezza delle nostre famiglie e per il patrimonio della Chiesa serba ortodossa a Pristina, ha detto Marinkovic.



"Desecrating cemeteries goes against civilization"

Tanjug News Agency - January 22, 2013
BELGRADE: Serbia's Prime Minister Ivica Dačić condemned on Monday the desecration of Serb cemeteries and historical monuments in Kosovo.
He also stated that the international forces there were obligated to protect the Serbian cultural heritage.
He said the desecration of Serb cemeteries was an act that went against civilization. 
"I point out to the international forces and organizations in Kosovo that they are obligated to ensure peace and safety for all people, their property and cultural heritage," Dačić stated. 
"The event in Preševo cannot be used as an excuse, because an illegally placed memorial to members of the Kosovo Liberation Army and the Liberation Army of Preševo, Bujanovac and Medveđa was peacefully removed from there," Dačić remarked. 
"This is about vandalizing cemeteries and attacking churches and monasteries, which is something that has not and will not happen in southern Serbia," the prime minister told Tanjug. 
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Порушено око 150 надгробних споменика широм КиМ

среда, 23 јануар 2013

21. јануар 2013 : Током претходне ноћи, у више места широм Косова и Метохије поломљено је и оштећено око 150 надгробних споменика Срба. 
На православном гробљу у Призрену порушено је 50 надгробних споменика, потврдио је КИМ радију координатор општине Призрен Зоран Бошкоћевић. Он је додао и да је ситуација у овом граду мирна.
У Косовском поморављу на удару вандала нашло се српско православано гробље у селу Клокот где је порушено 27 споменика. У истом делу Косова порушен је и споменик народноослободилачким борцима из Другог светског рата у центру Витине. 
Четири надгробна споменика на православим гробљима у Племетини и Милошеву у општини Обилћ уништена су током претходне ноћи. 
У Милошеву је запаљена и капела. Милан Михјаловић заменик предсеника општине Обилић у изјави за Радио КИМ је казао да су мештани шокирани оваквим чином.
На Новом гробљу у Прилужју један споменик је уништен експлозивом, док је више надгробних крстова запаљено.
У селу Суво Грло у општини Србица поломљено је и уништено шест надгробних споменика. 
Председник општине Србица Дејан Томашевић КИМ радију је потврдио ову информацију рекавши да се гробље налази изнад албанског дела села.
Прошле недеље на православном гробљу у Косову Пољу порушено је 58 надгробних споменика.
Ове вандалске нападе осудила је епархија рашко-призренска, али и званичници Београд и Приштине, представници политичких партија са Косова и међународна заједница.
Шеф Мисије ОЕБС-а на Косову Жан Клод Шлимберже снажно је осудио скрнављење православних гробаља и верских споменика широм Косова.