Informazione
Testi teatrali di PIETRO BENEDETTI
Consulenza letteraria di ANTONELLO RICCI
Musiche di BEVANO QUARTET E FIORE BENIGNI
Foto di DANIELE VITA
PINKO TOMAŽIČ
Vabi, v SOBOTO, 26. januarja,
na “BAKLADO ZA SPOMIN,
MIR IN SOŽITJE”
zbirališče ob 17.00, stadion Grezar,
odhod sprevoda ob 17.30.
Zaključek v Rižarni,s kratkim nastopom TPPZ.Vse udeležence vabimo da prinesejo s seboj cvet, v poklon žrtvam Rižarne.
PINKO TOMAŽIČ
Invita i cittadini ad intervenire alla
“FIACCOLATA PER LA MEMORIA, LA PACE
E LA CONVIVENZA”
che si svolgerà SABATO 26 gennaio
con ritrovo alle ore 17.00.
Piazzale antistante lo stadio Grezar
Partenza del corteo alle 17.30.
Conclusione in Risiera con una breve esibizione del C.P.T. .
Tutti i partecipanti sono invitati a portare un fiore da deporre in ricordo delle vittime della Risiera.
t.v l.r./s.i.p. Padriče/Padriciano, 60 - Email : info @ tppz.net
(Ljubljana, Cankarjev dom, Gallusova dvorana, 1/12/2012)
COMUNICATO: sabato 26/1 alle 20h, sul primo canale di Radio Slovenia, sarà trasmesso l'intero nostro 5. concerto per il quarantennale del coro (Ljubljana, Cankarjev dom, 1/12/2012)
Sabato 26 gennaio 2013
ore 20.30
Mi smo tu! - Ieri oggi sempre!
Tržaški partizanskegi pevski zbor Pinko Tomažič nadaljuje slavje ob 40. letnici delovanja. Po razprodanih koncertih v Trstu, 2x v Ljubljani, v Novi Gorici in Zgoniku je na vrsti je koncert v gledališču Verdi v Miljah.
Poleg TPPZ Pinko Tomažič so svojo prisotnost že potrdili tudi Kraški ovčarji, Dirty Fingers in Drago Mislej Mef.
Koncert je nastal v sodelovanju z Občino Milje.
Vstopnice so na razpolago na sedežu ZSKD v uradnih urah ali pa ob ponedeljkih, sredah in petkih od 18. do 20. ure na sedežu DSMO v Miljah (ul. Roma 22). Cena vstopnic: 10 €, 8€ za mlade do 12.leta in za odrasle nad 65. letom, 5 € stojišča na balkonu
Za info:040635626 (ZSKD) ali 347-5853166 (DSMO)
Il coro partigiano triestino Pinko Tomažič continua a festeggiare il suo 40° anniversario di attività. Dopo aver riempito le sale del Teatro stabile sloveno, due volte il Cankarjev dom di Ljubljana e la palestra di Sgonico replicheranno il concerto in forma ridotta al Teatro Verdi di Muggia.
Oltre al coro partigiano hanno già confermato la loro presenza i gruppi Kraški ovčarji e Dirty Fingers e l'attore Drago Mislej Mef.
I biglietti sono a disposizione negli orari d'ufficio dell'Unione dei circoli culturali sloveni in via San Francesco 20 a Trieste e nella sede dell'Associazione degli sloveni del comune di Muggia a Muggia (via Roma 22) i lunedì, mercoledì e venerdì dalle 18.00 alle 20.00
Il prezzo del biglietto intero è 10 €, ridotto per i giovani sotto i 12 anni e gli adulti sopra i 65 anni è 8 €, 5 € invece per i posti in piedi in galleria.
Il concerto è nato in collaborazione con il Comune di Muggia
VIDEO: Kombinat in PPZ Ljubljana - Internacionala
http://www.youtube.com/watch?v=95EH2dKdU1g
Narod iz Primorske izabrao je ličnost godine Piju Cah vodju Partizanskoh hora iz Trsta
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=6RfZM-avHZg
http://tvslo.si/#ava2.156247601;;
ili http://tvslo.si/predvajaj/osebnost-primorske-2012/ava2.156247601/
Ime tedna Pia Cah: “Mi praktično pojemo zgodovino” (Val 202, 21. 01. 2013)
http://www.val202.si/2013/01/izbiramo-novo-ime-tedna-5/
Il doppio CD del Coro Partigiano Triestino Pinko Tomazic - con 20 canzoni partigiane
Dvojni CD TPPZ Pinko Tomažič za 40.letnico: prispevek lahko nakažete online po Paypalu ali po prevzetju (s FB sporočilom)
https://lish.com/?cat=deals&ctref=1_30_4_11.7shJBcYcAw.0.1vAT#!i=44yqy
La memoria dimenticata. I lager italiani sotto il fascismo. Il caso Visco.
Pozabljeni spomini. Italijanska taborišča pod fašizmom. Primer Visco.
Prof. Ferruccio Tassin, Vice presidente Istituto di storia sociale e religiosa
Viterbo, 1- 2 febbraio 2013
venerdì 1 febbraio
ore 17,00
spazio Arci Il Biancovolta, via delle Piagge, 23
Nel 69° anniversario del martirio di MARIANO BURATTI
Presentazione di:
FORTE BRAVETTA
Una Fabbrica di morte dal fascismo al Primo dopoguerra
di Augusto POMPEO
(Roma, Odradek, 2012, pp. 300)
coordina: Silvio ANTONINI (Presidente Anpi Cp Viterbo)
letture: Laura ANTONINI, Pietro BENEDETTI.
sabato 2 febbraio
ore 17,00
spazio Arci Il Biancovolta, via delle Piagge, 23
Presentazione di:
Lettere di partigiani italiani
(Torino, Einaudi, 2012, pp. 332)
Ne discute con il curatore, Stefano FAURE: Giuliano CALISTI (Vicepresidente Anpi Cp Viterbo)
letture: Laura ANTONINI, Pietro BENEDETTI
ore 20,00
Csoa Valle Faul, strada Castel d’Asso, s.n.c.
Ingresso a sottoscrizione
Apertura BIOSTERIA CLANDESTINA: Cucina biologica, vegetariana e vegana
A seguire:
Concerto dei MALEDUCAZIONE ALCOLICA
Tuscia Ska.
Per finire:
Dance hall reggae con DJ GUERINO da Canepina.
La Festa è organizzata in collaborazione con il Cp Arci e il Csoa Valle Faul
Per info e contatti: 328/0747952, anpicpviterbo@... ; Facebook: “Anpi Viterbo”
A Forte Bravetta furono fucilati numerosi condannati a morte dal Tribunale Speciale fascista, e tra questi gli jugoslavi che ora riposano nel Sacrario di Prima Porta: https://www.cnj.it/PARTIGIANI/JUGOSLAVI_IN_ITALIA/appen.htm#ii_primaporta
Augusto Pompeo
FORTE BRAVETTA
Una fabbrica di morte dal fascismo al primo dopoguerra
Roma, Odradek, 2012, pp. 300
Collana Blu
ISBN 978-88-96487-21-1
pp. 302 € 23,00
L'autore ha ricostruito le vicende di coloro che terminarono la loro vita all'interno del forte sulla base di documenti (fotografie, resoconti della polizia, relazioni dei questori, lettere dei condannati e dei loro congiunti) e di interviste a testimoni di quei tragici eventi relativi a un arco di tempo di grande importanza per la storia d'Italia: l'ascesa e l'affermazione del fascismo, la Seconda guerra mondiale, la Resistenza e la Liberazione.
Le storie individuali di oppositori e di resistenti al fascismo e al nazismo, di agenti segreti al servizio di potenze in guerra con l'Italia, di collaboratori dei tedeschi e dei fascisti repubblicani e anche di persone accusate di aver commesso delitti comuni, compongono una narrazione corale e avvincente.
Augusto Pompeo (Roma 1945) Archivista di Stato, è titolare della cattedra di Archivistica contemporanea presso la Scuola di Archivistica, Paleografia e Diplomatica dell'Archivio di Stato di Roma. È autore di pubblicazioni di storia e di storia delle istituzioni moderne e contemporanee e collabora con il Centro Studi della Resistenza dell’Anpi di Roma e del Lazio.
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Si può avere un'idea del libro e della sua importanza ascoltando l'intervista ad Augusto Pompeo da parte di Lanfranco Palazzolo di Radio Radicale, cliccando qui:
http://www.radioradicale.it/scheda/365410/frote-bravetta-una-fabbrica-di-morte-dal-fascismo-al-primo-dopoguerra-odradek-intervista-ad-augusto-pompeo
Ma anche, vedere la bella presentazione a Teleambiente. In studio, con Giuseppe Vecchio, l'Autore Augusto Pompeo e Davide Conti Ricercatore della Fondazione Basso. clicca: http://www.youtube.com/watch?v=g_-FbAFP12o&feature=context-cha
Ma anche leggere:
Mario Avagliano su Il Messaggero del 4 dicembre. qui: http://marioavagliano.blogspot.it/2012/12/forte-bravetta-la-fabbrica-di-morte.html
Elisabetta Galgani su Paese sera. qui: http://www.paesesera.it/Cultura-e-spettacolo/Libri-fumetti/Quando-c-era-la-pena-di-morte-Forte-Bravetta-luogo-della-memoria
Savez komunističke omladine Jugoslavije (SKOJ) najoštrije osuđuje agresiju koju francuska vojna avijacija vrši na afričku državu Mali.
Vojna intervencija koja se odvija u toj zemlji je deo imeprijalističke politike koju Francuska zajedno sa drugim zapadnim silama i NATO sprovodi u tom regionu. Nakon krvavog rata koji su imperijalisti izazvali u Libiji, intervencija u Maliju predstavlja njihovu težnju da šire svoj politički, vojni i ekonomski uticaj kako u tom regionu tako i na teritoriji čitavog afričkog kontinenta.
Tvrdnje francuskih imperijalista da bombardovanje predstavlja čin podrške vladi Malija u borbi protiv islamskih fundamentalista bliskih Al Kaidi predstavlja samo lažljivi izgovor iza koga stoje tendencije Pariza da kontroliše prirodne resurse te zemlje. Agresija koju sprovode francuski imperijalisti nije ništa drugo do najgrublje mešanje u unutrašnje poslove jedne suverene države. Licemerno je da zapadni imperijalisti, među njima i francuski, koji su svojevremeno podržavali Al Kaidu dok se ona borila protiv socijalističkih vlasti u Avganistanu, sada tvrde da „spašavaju“ stanovnike Malija od iste. Zbog čega se zapadni imperijalisti „bore protiv islamskog fundamentalizma“u Maliju a istovremeno podržavaju fundamentalističku despotiju poput Saudijske Arabije? To samo pokazuje dvostruke aršine zapadnog imperijalizma isto kao i podrška koju pruža državnom terorizmu savezničkih vlada Izraela i Turske prema palestinskim i kurdskim boracima za slobodu.
Stoga SKOJ zahteva momentalnu obustavu dejstava francuske vojne avijacije i prestanak mešanja te imperijalističke države u unutrašnje stvari Malija. O sudbini Malija pravo da odlučuje ima samo narod te zemlje a nikako Pariz ili bilo koji drugi imperijalistički centar.
Sekretarijat SKOJ-a,
Beograd, 18. januar 2012.god.
Il PCF sostiene l’intervento militare francese in Mali
Abbiamo deciso di affrontare in chiave tutta politica il tema, purtroppo ricorrente e drammatico, dell’ennesima aggressione imperialista,questa volta quella francese in Mali, partendo dalla posizione grave ma consequenziale alla linea politica assunta, ormai da tantissimi anni, dal Partito Comunista Francese. In un documento pubblicato sul suo sito, il PCF giustifica le ragioni dell'intervento dell'Armée nel Mali, sposando in pieno la tesi della lotta al terrorismo sostenuta dai vertici militari e politici francesi.
Il PCF non solo giustifica la storia di neocolonialismo e la continuità del ruolo di potenza neocoloniale rivestito dalla Francia in Africa, ma non spende una parola sulle miserevoli condizioni di vita imposte da questa potenza sub-imperialista alle popolazioni africane, costrette a vivere con meno di 2 dollari per persona al giorno mentre le ricchezze nazionali (oro, uranio e petrolio) finiscono nelle casse delle multinazionali statunitensi ed europee. Il Partito di Pierre Laurent è il perno del Front de la Gauche che ha sostenuto Hollande alle elezioni presidenziali, ed oggi torna a sostenere il governo dei socialisti francesi quando questo difende con le armi la politica espansionista aggressiva e neocoloniale. Il PCF volutamente ignora le laceranti contraddizioni create dal colonialismo, tra cui l'impoverimento e la corruzione, come fattori che stanno portando all'esasperazione i popoli africani. Il PCF ha scelto deliberatamente di sostituire una lettura di classe e antimperialista della crisi nel Centro Africa, con la tesi dell’intervento militare umanitario, promosso dalla borghesia francese con la copertura del Consiglio di Sicurezza dell’ONU e delle potenze della NATO.
La presenza delle formazioni islamiche armate copre il vuoto politico determinato dall’assenza di una prospettiva di classe. Un tempo questa era incarnata dai movimenti di liberazione democratici e progressisti che furono annientati fisicamente dai coloni francesi, belgi o britannici. Migliaia di quadri politici e semplici militanti anticoloniani furono trucidati tra questi ricordiamo le figure di rivoluzionari africani come Thomas Sankara e Patrice Lumumba. Oggi la ribellione in Mali prende la conformazione reazionaria delle formazioni armate islamiche, a tale proposito bisogna tenere a mente che anche di recente, come si è visto in Libia e Siria, queste si sono proposte come un alleato, anche se conflittuale, dell’imperialismo.
Non siamo in grado, allo stato attuale delle nostre conoscenze, di stabilire l’effettiva forza e sostegno delle formazioni islamiche armate; sappiamo però che le potenze europee e statunitensi, se da un lato hanno combattuto la via nazionale autodeterminata e di sviluppo per l’Africa, dall’altro hanno imposto dei governi servili. Per garantire le opportune cornici istituzionali, in perfetta continuità con il passato e con le pratiche coloniali. Parigi ancora oggi, impone Capi di Stato, responsabili militari e condiziona direttamente la classe dirigente di molti paesi africani. E' stato così per i recenti accordi di pace nella Repubblica Centro Africana e per la Costa d'Avorio; ora la stessa ingerenza si ripete nel Mali.
La minaccia jhadista offre all'attuale Primo Ministro francese Hollande l'occasione di un colpo di mano, sia per cercare di imporre il primato francese nella competizione strategica con gli USA e la Cina per il controllo del Centro Africa, sia per ridurre il peso delle formazioni islamiche armate e per permettere alla Francia di contrapporre , come già avvenuto per la sciagurata invasione della Libia,la propria potenza militare all’egemonia economico-produttiva della Germania nella competizione per la guida dell’Europolo Imperialista..
Col nascondere la difesa armata degli interessi della borghesia francese ed europea, il PCF si rende complice dell'aggressione ai popoli africani.
La sinistra europea, sia in politica interna che estera, sta sostenendo la politica imperialista dell’UE; in questo caso il PCF si fa carico di supportare anche ideologicamente il sub-imperialismo francese, che sta lottando per mantenere un ruolo predominante nella regione africana e nel Mediterraneo, dove si affacciano gli interessi statunitensi e cinesi. Quella che si gioca in Africa è una lotta tra i diversi imperialismi, che, pur alleati, tornano a contrapporsi per il dominio di aree strategiche.
A poco valgono le posizioni in difesa del welfare state in Francia, da parte della Gauche, se si scarica il peso della crisi sui popoli e sui paesi in via di sviluppo. La politica francese continua ad imporre alle sue ex colonie d'Africa l'utilizzo del Franco Africano (CFA), con un cambio vantaggioso a favore dell'euro, cosa che favorisce doppiamente Parigi. A questo si aggiungono accordi e transazioni economiche di fatto mantengono i popoli africani in una condizione di dipendenza dall'imperialismo, non è un caso se oltre il 60% delle industrie nel Mali sono in mano francese.
Niente di tutto questo compare sul sito del PCF, anzi, per coprire l'intervento armato francese, il partito guidato da Pierre Laurent invoca la risoluzione ONU e il coinvolgimento degli Stati africani affiliati agli interessi francesi. L'intervento del PCF si conclude nel più classico spirito eurocentrico e neocoloniale: "Dobbiamo rispettare la gente del Mali e aiutarla a costruire il proprio futuro". Una posizione che spiega perché il 68% degli elettori del Front de la Gauche è favorevole all'intervento in Mali. La scelta del PCF è la conclusione di un percorso politico, che vede oggi la sinistra del vecchio continente sostenere l’affermazione del polo imperialista dell’Unione Europea. Un’approccio politico opportunista molto più che collaborativo ma anzi da attori principali, che mira a favorire la subalternità ideologica alla borghesia della classe lavoratrice, facendo leva su quell’aristocrazia del lavoro che si sente di essere cosa "diversa e più evoluta" dal resto della classe lavoratrice internazionale in particolare di quella dei sud del mondo, compresa quella assegnata ai PIGS nella nuova divisione internazionale del lavoro.
Questa politica di attivismo filo-imperialista, va condannata e combattuta, lavorando alla costruzione di un fronte internazionale di classe anticapitalista ed antimperialista.
Nei prossimi giorni torneremo ad analizzare gli sviluppi della situazione nel Centro Africa e nel Mali, con strumenti più analitici per meglio analizzare la configurazione dell’aggressione imperialista in atto, il ruolo francese e degli altri paesi europei a partire dal servilismo del neocolonialismo straccione, ma ugualmente pericoloso, aggressivo e destabilizzante, italiano. Il ruolo e gli interessi della borghesia italiana, in particolare quella più vicina ai potentati dell’Euro - Polo imperialista, in Africa sono molto forti, cosa che condiziona la politica, che al pari di quella francese sostiene le guerre umanitarie. La Francia ha scelto di difendere il proprio primato mettendo per l’ennesima volta i paesi dell’UE e gli USA di fronte al fatto compiuto, un atto che Parigi fa pesare unitamente al valore delle sue (ex) colonie nella corsa alla leadership europea.
Il nostro obiettivo politico è quello di mettere a fuoco le dinamiche di questo conflitto, dove appare sempre più evidente la competizione tra i poli imperialisti e tra questi ed i paesi emergenti come i BRICS , in particolare la Cina per l’egemonia nel continente africano.
La commissione Internazionale della Rete dei Comunisti
15- gennaio 2013
Di seguito il testo tratto dal sito del PCF :C'è la necessita di ricostruire il Mali
PCF esprime la sua profonda preoccupazione per il deteriorarsi della situazione in Mali, la ripresa del confronto militare, l’offensiva dei gruppi armati jihadisti. Deve essere fatto tutto per aiutare il Mali a superare la crisi ed evitare l’azione destabilizzante per il paese e l'intera regione.
Mali ha bisogno di ricostruire: il suo esercito, le sue istituzioni, la sua sovranità, e lo sviluppo politico, economico e sociale. Agendo in modo che il paese amico possa superare la gravissima crisi che attraversa e riconquistare i territori settentrionali ora nelle mani dei gruppi ribelli armati dediti a pratiche disumane e spesso legati alle reti della criminalità organizzata – che il PCF condanna .
Una delle condizioni per tale ricostruzione è quello di ricercare uno specifico accordo politico nazionale su una soluzione della nazione, questo è realisticamente l'unico modo per ristabilire una legittimità di governo capace di durare nel tempo. Patriottismo e comprensibile impazienza, che si esprimono nelle strade di Bamako sono una ricchezza per questa opzione. Se l’urgenza imponeva la messa in campo di un dispositivo in grado di arrestare l’offensiva armata dei gruppi jihadisti, è sotto la bandiera dell'ONU, nel contesto di una missione chiaramente definita, in conformità principi della Carta delle Nazioni Unite, che le forze africane, tra cui Mali, dovranno essere impegnate.
L'attuazione di tale operazione è immediatamente possibile, ma non può essere di ostacolo al dialogo necessario per una soluzione politica con i gruppi ribelli non legati al terrorismo e rispettasi dell'integrità territoriale del Mali, coinvolgendo il massimo delle parti interessate. Questo è quello che chiedono le risoluzioni delle Nazioni Unite. Dobbiamo rispettare la gente del Mali e aiutarli a costruire il proprio futuro.
Riflessioni di Tamara Bellone del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia
Quella guerra dimenticata. A 14 anni dalla guerra nei Balcani
Purtroppo ciò si ripercosse anche sul “dopo bombardamenti”. Gli aiuti agli operai jugoslavi della Zastava di Kragujevac furono frutto della solidarietà di molte fabbriche, ma ebbero per lo più il carattere di aiuto umanitario, non essendoci né vera e propria solidarietà politica. In realtà la Jugoslavia, polmone d’Europa, fu devastata da un immane disastro ecologico, che si ripercuote fino ad ora nella popolazione non solo della Serbia, ma dell’intera regione: basti pensare alle bombe cadute in Adriatico...
Si trattò di una vera e propria catastrofe, in quanto furono colpiti impianti industriali del settore chimico e petrolchimico, farmaceutico, alimentare, elettrico: serbatoi delle industrie petrolifere di decine di metri ridotti ad altezze di metri, fiumi inquinanti da quantità spropositate di componenti chimici, oli velenosi e cancerogeni immessi nel terreno...
Lo studio di questo tipo di catastrofe non è stato mai fatto, in quanto ben presto fu assalito il Parlamento serbo, da organizzazioni giovanili e non (Otpor) addestrate dai servizi americani, e lo stesso Milošević venne prelevato e portato all’Aja, dove poi morì in circostanze sospette. Nella provincia del Kosovo (ma non solo) furono inoltre sparati proiettili all’uranio impoverito, con ovvie conseguenze sulla salute della popolazione.
Durante e subito dopo i bombardamenti, gli operai e l’esercito si misero al lavoro in condizioni estreme per rimuovere le rovine, ripristinare gli impianti, e ricostruire. Nel frattempo, in Kosovo, arrivarono i soldati della KFOR nella miniera di piombo e zinco di Trepča (2), perché “le quantità di inquinanti che emanava erano sopra la soglia consentita dalla UE...”. Gli impianti della miniera erano sottoutilizzati, data la guerra, la Jugoslavia non faceva parte della UE, eppure coloro che avevano causato una delle più grandi catastrofi ecologiche del pianeta, si permettevano di occupare la miniera con una scusa grottesca...
Una vera e propria bonifica su tutto il territorio non c’è stata: e infatti la FIAT di Marchionne ha preteso che la zona su cui sorge la Zastava fosse bonificata, a spese... del governo serbo. Le conseguenze dell’aggressione NATO sono stati politiche: la costituzione di uno staterello etnico a partire da quella che era una provincia della Serbia e un territorio autonomo della Jugoslavia, staterello riconosciuto tra l’altro anche dall’Italia, è stato un precedente importante nella violazione del diritto internazionale, come del resto l’aggressione stessa nel ’99 aveva aperto le porte a quegli ossimori come “guerra umanitaria” che tanti danni hanno arrecato alla coscienza civile europea e alla capacità di analisi della sinistra, aprendo le porte ad ulteriori aggressioni, invasioni, uccisioni di capi di Stato o di nemici (ci ricordiamo i sorrisetti del segretario di stato Hillary Clinton di fronte al linciaggio di Gheddafi?). La dissoluzione della (già allora mini) Jugoslavia con la formazione di Serbia e Montenegro ha fatto capire che era di nuovo possibile alle potenze occidentali tracciare confini più consoni alle loro mire strategiche ed economiche. Una conseguenza militare è la costruzione della base americana in Kosovo, appunto. La prima operazione fu la costituzione di un governo più ligio ai desiderata di USA e UE (quando vi fu contrasto tra gli obiettivi vi furono attentati come quello a Đinđić). In generale all’interno i provvedimenti richiesti erano liberalizzazioni e privatizzazioni.
La devastazione del territorio jugoslavo (dai monumenti ortodossi, alle foreste, alle acque) fu necessaria per la deindustrializzazione dell’area dei Balcani e la completa penetrazione nel territorio della ex-Jugoslavia delle multinazionali. Basti ricordare che nel ’99 fu bombardata la fabbrica di medicinali Galenika, statale, mentre fu risparmiata la parte in possesso di privati (Soros), e che fu risparmiata un’acciaieria, che fu in seguito acquistata dalla U.S. Steel. Ma ad una scala molto differente non sta succedendo anche in Italia? Non c’è forse deindustrializzazione e nello stesso tempo progetti insensati di grandi opere pubbliche a scapito dell’ambiente e della salute? Non aveva ragione il professore di storia di Kraljevo? Perché nonostante tutti i richiami dei compagni jugoslavi, la sinistra europea non è stata in grado di opporsi con maggiore fermezza alla guerra, perché in troppi hanno bevuto le menzogne sulla pulizia etnica?
Le prospettive in Serbia sono incerte, basate sulla mitizzazione dell’adesione alla UE, anche se i Paesi confinanti, già annessi, hanno gravi difficoltà economiche. La globalizzazione non offre grandi opportunità ai Paesi piccoli, a meno di improbabili fusioni... La Serbia importa il doppio di quello che esporta, con forti legami con la Comunità europea, sicché il cambio euro-dinaro è soggetto ad improvvise tensioni, a seconda del malessere economico dell’Unione (115 dinari circa per 1 euro). L’inflazione è dell’ordine del 10% e, in un contesto di depressione economica, erode in maniera drammatica il potere d’acquisto dei salari - già molto bassi rispetto alle medie europee, mentre i prezzi sono già allineati a quelli internazionali, e tendono a salire.
Ciò risulta in modo evidente da un dato tragico: la spesa delle famiglie per i consumi alimentari supera il 40% della spesa totale (in Italia è dell’ordine del 15%). Se si aggiungono le spese “incomprimibili” si vede che l’economia domestica serba è di pura sopravvivenza. In tale contesto, parlare di investimenti, di capitale straniero, è illusorio. Il salario medio è di circa 370 euro, alcune decine di migliaia di lavoratori lavorano senza percepire il salario. Il tasso di disoccupati è al 26%. Per quanto riguarda la FAS (Fiat Auto Serbia), come noto è nata dal contratto (capestro) tra la FIAT e il governo serbo, per assicurare un po’ di lavoro alla città di Kragujevac (3), dove per anni la Zastava, un tempo Crvena Zastava (Bandiera Rossa), aveva prodotto automobili (la più famosa è la Yugo), esportate in diverse parti del mondo, e dove, a poco a poco, con embarghi, bombardamenti, dopoguerra, la produzione era diminuita in modo impressionante. I dipendenti della FAS sono 2300, di cui 270 impiegati, il resto sono operai. I lavoratori sono neo assunti, a parte 720 che provengono dalla vecchia Zastava (la FIAT ha licenziato quasi tutti i lavoratori della Zastava). La linea funzionante è quella della 500L. Le auto prodotte sono spedite via mare da Bar (Montenegro) a Bari due volte la settimana, e una volta la settimana vanno anche in Germania. I turni di lavoro sono due (6-16 e 20-6) e molti lavoratori fanno anche un paio di ore di straordinario. La settimana lavorativa è di 4 giorni (dal lunedì al giovedì). Pause: 10 minuti, poi la mezz’ora per la mensa, altre due pause di 10 e 15 minuti.
I lavoratori della FAS si sono già mobilitati contro le pesantissime condizioni di lavoro: la FIAT si dichiara disponibile a trattare su aumenti di salario (10%) ma non su orari e turni. Gli iscritti al Samostalni Sindikat sono 860. Mi preme ricordare che il sindacato dei metalmeccanici della Zastava fu boicottato in generale dai sindacati europei e dai partiti di sinistra europei, in quanto “seguace di Milošević”... e spesso accusato di nefandezze.
In compenso il governo serbo è oberato dalle richieste della FIAT e minacciato da Marchionne: oltre alla bonifica, il governo serbo deve pagare anche le infrastrutture (strade, autostrade,...) cittadine e regionali, per consentire i trasporti delle merci FIAT. Attualmente ha richiesto una proroga, in quanto, come immaginabile, il bilancio dello Stato non consente gli ingenti pagamenti (4). Come dice una sindacalista della Zastava: è il governo serbo a pagare i lavoratori della FAS...
Piše: doc. dr. Pavle Vukčević - Udruženje "Naša Jugoslavija"
S obzirom na tijek zbivanja u Republici Sloveniji, stvorena je volja građana da se isti bude protiv sistema. Neposlušnost prema vladi jedan je od najprirodnijih činova građana, i zar je onda čudno što oni koji su obespravljeni, nezaposleni, eksploatirani, kojima je oduzeto pravo na slobodu, pravo na dostojan život, dostojanstvo i sreću - demonstriraju.
To - biti protiv - postaje ključ za svako aktivno političko stajalište. Možda i samooslobođenje. Tijek zbivanja u Republici Sloveniji vodio je od nade do straha, od strepnje i zabrinutosti do razočarenja. Izuzetno izraženi socijalni strahovi multipliciraju osobnu, ekonomsku, egzistencijalnu, političku i svaku drugu nesigurnost. Trpi se otuđenje, eksploatacija, obmana i zapovjedanje kao neprijatelja. Pri tome se teško prepoznaju neprijatelji. Ne zna se sa sigurnošću gdje locirati "proizvodnju" tlačenja.
Građani u svojoj volji da demonstriraju, da budu protiv svoje želje samo za oslobođenjem, se moraju progurati kroz „Imperiju srama“ (neoliberalizam), jer samo nezadovoljstvo nije dovoljan uvjet za bilo kakvo političko angažiranje. Neophodno je potrebno da se nezadovoljstvo politički interpretira, prevede u značajne političke ciljeve (naglašavanje političkog karaktera nezadovljstva, lociranje uzroka nezadovoljstva, utvrđivanje ciljeva, ali i sredstava i načina za njihovo ostvarivanje). Korupcija i kompromitacija, nepostojanje morala, etike, odgovornosti stoje nasuprot stvaranju. Posvuda ih ima i "kamen su temeljac i ključ prevlasti".
Sve to leži u različitim i prepoznatljivim oblicima. U zakonodavnoj i izvršnoj vlasti, njihovim vazalnim upravama, lobijima neoliberalnog kapitalizma, mafijama društvenih skupina, političkoj religiji, parlamentarnoj diktaturi, stranačkim lobijima, financijskim konglomeratima i svakidašnjim ekonomskim transakcijama. Korupcija se lako zapazi, pojavljuje se kao oblik nasilja, kao uvreda, kao bolest i osakaćenje. Njena specifičnost, i posljedica, je raspad sistema.
Najtotalitarnija ideologija koja štiti korupciju tvrdi da je država Republika Slovenija demokratska i pravna i da je u stalnom privrednom rastu, jer bi se u suprotnom raspala i ne bi ništa ostalo od neovisnosti i suverenosti. Ideolozi ili zaboravljaju ili ne znaju da nema demokracije bez ekonomske i socijalne demokracije i vladavine prava. Demonstracije su očito otkaz poslušnosti lažnim vođama kako bi se usredotočili na bitne sadržaje ljudskog bivstvovanja - težak je to put humanističkog i demokratskog oslobađanja čovjeka. Pitanje je, gdje je granica od koje frustracija, strahovi, egzistencijalna nesigurnost i neizvjesnot prerastaju u artikulirano nezadovoljstvo (organiziranu akciju i građanski neposluh), a odatle u spontano izražavanje nezadovoljstva, gnjev i rušilački radikalizam.
Dakle, fluidno je i stalno promjenljivo razmeđe između mirne i odlučne protestne akcije i spontane nekontrolirane pobune, s često fatalnim posljedicama koje je nemoguće ukalkulirati, a pogotovo kontrolirati. Ulični su prosvjedi nepredvidljivi, spontani, neorganizirani i nekontrolirani. Bez jasnog vodstva sa ljudskim zasićenim bijesom i mržnjom. Demonstranti se moraju čuvati, ali nisu sigurni da će spriječiti infiltraciju rukovodstva koalicionih političkih partija ubačenih organa bezbjednosti.
Non si fermano, nella Slovenia sull’orlo della bancarotta, le proteste degli operai, dei disoccupati e degli studenti partite nel pieno delle elezioni presidenziali che hanno visto l’affermazione del socialdemocratico Pahor contro la corruzione della classe politica e i tagli alla spesa pubblica e sociale imposti dall’Unione Europea al governo di centro-destra guidato dal premier Janez Janša, leader del Partito Democratico Sloveno. Il piccolo Paese centro-orientale è in crisi verticale, con l’11,5% di disoccupazione, un’economia troppo dipendente dalle esportazioni e quindi a picco a causa della crisi, e con un governo che cerca di far cassa imponendo tagli orizzontali a cultura, sanità, istruzione, lavoro e pensioni.
I primi accenni di protesta ci sono stati il 26 novembre a Maribor – seconda città della Slovenia per grandezza e prima per disagio sociale e numero di disoccupati- dove varie migliaia di persone avevano chiesto le dimissioni del sindaco e della giunta comunale, accusati di corruzione e di malgoverno. La protesta, pacifica, degenerò con l’intervento a gamba tesa della polizia che sgomberò con violenza la piazza, tanto che vi furono alcuni feriti e persino arresti. Dopo le cariche contro i manifestanti di Maribor, i collettivi e gruppi sociali attivi in Slovenia hanno invitato a scendere in piazza anche nelle altre città del Paese “contro la corruzione e le politiche di austerità”.
E infatti già Il 30 novembre si sono svolte nel piccolo paese sorto dal collasso della Jugoslavia di Tito le prime grandi manifestazioni contro il Governo cui hanno partecipato secondo gli organizzatori almeno 10 mila persone nella sola capitale Lubiana e altre decine di migliaia in quasi tutte le principali città del Paese: la giornata si concluse con una nottata di violenti scontri davanti ai palazzi del potere partiti a seguito del tentativo da parte di un gruppo di manifestanti di irrompere nel Parlamento, tentativo cui il reparto di polizia antisommossa – il famigerato “Bestie Ninja”- ha risposto utilizzando manganelli, gas lacrimogeni e cannoni ad acqua ed effettuando più di 30 arresti.
Il 12 dicembre, intanto, i rappresentanti dei lavoratori statali hanno depositato 13.280 firme per avviare l’iter referendario relativo alla legge di bilancio appena approvata dal Parlamento. La domanda è esplicita: «Volete abrogare la legge relativa al bilancio dello Stato 2013-2014 approvata dal Parlamento nella seduta del 6 dicembre 2012?» Per avviare l’iter bastavano 3mila firme. Il presidente della Confederazione sindacale del settore pubblico, Branimir Štrukelj ha affermato che se avessero aspettato un solo giorno in più le firme sarebbero state molte, ma molte di più. Štrukelj ha precisato inoltre che lo sciopero generale del pubblico impiego proclamato per il prossimo 23 gennaio è confermato e si svolgerà soprattutto per protestare contro i paventati licenziamenti. «Ma non ci fermeremo qui – ha precisato il leader sindacale – gli scioperi, dopo il 23 gennaio, si svilupperanno a macchia di leopardo nelle varie regioni slovene»
Tutto sembra intanto tacere nelle piazze , ma la notte del 21 dicembre alcune donne lanciano addosso ai poliziotti in presidio al Parlamento centinaia di garafoni rossi: da allora sulle pagine dei principali quotidiani nazionali – e poi esteri- non si parla che di “rivolta dei fiori”. Il giorno dopo, il 22 dicembre, anniversario del plebiscito con cui si sancì l’indipendenza dalla Jugoslavia socialista, in migliaia sono di nuovo in piazza per manifestare…non come gli anni scorsi la gioia per la “festa d’indipendenza”, ma tutta la loro rabbia “contro il governo democratico, i deputati e le istituzioni” e non poca nostalgia verso “l’era socialista”.
Mauro Manzin, giornalista de “Il Piccolo” inviato in quei giorni a Lubiana, ha raccontato che c’era in piazza “la gente che guadagna 600 euro al mese e non ce la fa più: le famiglie, gli studenti, i lavoratori e i disoccupati che vedono di giorno in giorno peggiorare la propria vita”. Un popolo, spiega, autoconvocato con il tam tam di facebook. “C’erano i reduci della guerra d’indipendenza con le bandiere slovene listate a lutto. C’erano genitori e bambini, coppie di pensionati, femministe arrabbiate che urlavano la loro rabbia in faccia ai poliziotti. C’erano bandiere anarchiche e bandiere dell’ex Unione sovietica. Bustine di partigiano in testa, molti anziani rivendicavano il proprio onore mutilato, a loro dire, da uno Stato infingardo e ladro. C’era un uomo vestito da giraffa che portava in mano un cartello con su scritto:«Le vostre dita sono più lunghe del mio collo». E poi un maiale di cartapesta a raffigurare i deputati. Le vuvuzelas – continua il giornalista- facevano un chiasso infernale, assieme a fischietti e tamburi. Gli operai gridavano: «Restituiteci le nostre fabbriche, vogliamo lavorare». Improvvisamente, dal nulla, sbucò un enorme sanpietrino di plastica gonfiato e la gente se lo passava sulle proprie teste come fosse un pallone. «Noi siamo lo Stato» si gridava. E il rimpianto per la «dittatura del proletariato» si insinuava tra il malessere della gente al tramonto del capitalismo. Gli “arrabbiati” voltavano le spalle alla sede della Nova Ljubljanska Banka. Sull’ingresso dell’istituto di credito era stato attaccato un cartello: «Banchieri siete finiti», recitava. «Gotovi», «gotovi», siete finiti, siete finiti, scandiva la massa che ondeggiava contro le transenne”.
E a due giorni di distanza, il 24 dicembre, in 5000 sono tornati a invadere nonostante il giorno di festa le strade della Capitale.
S.