Informazione
Nakon 20 mjeseci Državni Zavod za statistiku Republike Hrvatske je u prosincu 2012. godine objavio rezultate popisa stanovništva provedenog u toku mjeseca travnja 2011. godine.
Udruženje "Naša Jugoslavija" (u čijem sastavu djeluje i Savez Jugoslavena) je sa posebnim nestrpljenjem čekalo da ti rezultati budu konačno objavljeni. Ono što nas je posebno interesiralo je pitajne koliko ima Jugoslavena u Republici Hrvatskoj?
Prema tabeli "Stanovništvo prema narodnosti - detaljna klasifikacija - popis 2011" Jugoslavenima se izjasnio 331 stanovnik Republike Hrvatske. To je gotovo dvostruko više nego prije deset godina kada nas je bilo 176. Nažalost, u cijelom tom prikazu nedostaju podaci o broju Jugoslavena po općinama i županijama (mi taj podatak nismo mogli pronaći). To je podatak koji bi bio vrlo interesantan.
Nije to slučaj samo sa Jugoslavenima. Nedostaju i druge narodnosti, kao i stanovnici regionalne pripadnosti: Dalmatinci, Istrani, Primorci, Slavonci... Interesantno je da su statističari i ovaj put objavili samo rezultate onih narodnosti, odnosno nacionalnih manjina koje su navedene u Ustavu RH. Pri tome su svi drugi narodi i nacionalnosti svrstane u grupu - i ostali. Prema istoj tabeli zapaženo je relativno veliki broj neraspoređenih (731), onih koji se ne izjašnjavaju (26763) i nepoznatih (8877) - što god da to znači.
S obzirom da pouzdano znamo da je prilikom popisa u nekim općinama bilo problema prilikom izjašnjavanja kao Jugoslaven (nije nam poznato da li su takve probleme imali i Istrani, Slavonci, Dalmatinci...) lako je pretpostaviti da među onim djelom stanovništva koji se nisu izjasnili ima i jedan određeni broj Jugoslavena. Ali sa time ne želimo špekulirati. Popis stanovništa je objavljen. Pitanje je što može Udruženje "Naša Jugoslavija" učiniti sa rezultatima istog.
Opće je poznato da je Udruženje "Naša Jugoslavija" prvo i trenutno jedino zvanično registrirano udružejne koje se službeno zalaže za priznavanje Jugoslavenske nacije. Na tu temu su do sada održani okrugli stolovi, o čemu smo već izvještavali u medijima. Jugoslavenska nacija postoji - to je činjenica. Ustavom Republike Hrvatske omogućeno je priznavanje Jugoslavenske nacije. To proizlazi iz odgovora Odbora za Poslovnik i politički sustav hrvatskog Sabora zaprimljenog pod sljedećom oznakom:
Klasa: 050-01/12-24/11
Javiti se možete na: zajedno @ nasa-jugoslavija.org ili pismom na adresu:
Zlatko Stojković dipl.ing.
Fermare la militarizzazione. Sostegno ai No Muos
La Rete dei Comunisti esprime solidaietà agli attivisti No Muos che si oppongono alla militarizzazione della Sicilia e all'arroganza del governo. Il 19 gennaio giornata di mobilitazione nazionale.
Rete dei Comunisti-Catania
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Qui di seguito il Comunicato del Coordinamento regionale dei Comitati No Muos
“Quello del Muos è un sito di interesse strategico per la difesa militare della nazione e dei nostri alleati. Non sono accettabili comportamenti che impediscano l’attuazione delle esigenze di difesa nazionale e la libera circolazione connessa a tali esigenze”. La minaccia della ministra tecnica Cancellieri si è tradotta in pochi giorni in una feroce repressione dei blocchi che gli attivisti NoMuos, dopo oltre 50 giorni e notti di presidio permanente, hanno fatto l'11 gennaio, nonostante l'assedio militare di tutte le vie d'accesso alla base della morte.
La tardiva decisione del presidente dell'ARS Crocetta di voler revocare le autorizzazioni, che finora hanno permesso l'esecuzione dei lavori, non garantirà lo stop all'installazione delle micidiali antenne di guerra se non crescerà la mobilitazione popolare a livello locale, regionale e nazionale.
Se i pareri attesi sull’impatto elettromagnetico da Crocetta dovessero dirci che il Muos non farebbe male ai cittadini, noi ribadiamo che questo è soprattutto un’arma da guerra e comunque non lo vogliamo in qualsiasi parte del pianeta. Contestiamo le ridicole affermazioni dell’ambasciatore U.S.A a Roma che dichiara che i Paesi membri della Nato, come l’Italia, ne trarranno beneficio come sicurezza e pace internazionale; inoltre l’Us Navy di Niscemi non è una base Nato ma una base ad uso esclusivo della marina statunitense.
Noi non crediamo più ad istituzioni che, a livello locale, regionale e nazionale, sono stati latitanti o complici. Dopo le violente cariche di giorno 11 contro gli attivisti NO MUOS che pacificamente si opponevano al passaggio delle gru, il governo tecnico Monti/Napolitano ha deciso con chi stare: con le forze armate Statunitensi e i loro progetti di dominio planetario.
Richiediamo le dimissioni della ministra Cancellieri !
Il nostro obbiettivo principale è impedire la costruzione del Muos e lo smantellamento delle 41 antenne Usa NRTF , operanti da oltre 20 anni nel cuore della R.N.O. SIC Sughereta a Niscemi. Traendo esempio dal movimento NO TAV in Valsusa i blocchi continuano e continueranno, abbiamo perso una battaglia ma non ci rassegneremo, mai.
Il coordinamento regionale dei comitati NO MUOS pratica dal basso la revoca dei lavori all’interno della base, con la prosecuzione dei blocchi e fa appello alla partecipazione attiva alle prossime iniziative a partire dalla
Giornata nazionale di mobilit/azione No Muos sabato 19 gennaio
con presìdi, azioni ed iniziative in ogni città e paese
Ora e sempre NoMuos
La Sicilia non è zona di guerra, via le basi usa dalla nostra terra
Coordinamento regionale dei Comitati NoMuos
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Sabato 19 gennaio alle ore 9,30 presidio di fronte alla ditta Comina
(c/da Pantano Casazze sp 229 Piano Tavola)
alle ore 12 presidio in via Etnea, angolo via Prefettura)
Comitato di base NoMuos NoSigonella Catania
di Francesco Rambaldi
Mali, quattro ore di volo dalle nostre coste. Dopo la Germania, anche l’Italia, senza alcuna discussione e decisione parlamentare, entra in guerra oggi, a fianco della potenza continentale francese, diretta dal socialista Hollande in grave calo di consensi, (e tuttavia riferimento unanime della sinistra nazionale, ivi inclusa Sel), per mettere una toppa alla ennesima catastrofe causata da Sarkozy, Cameron, Berlusconi, Usa, Onu, UE, & C. nella guerra di aggressione alla Libia di Gheddafi. Tuareg e jiadisti, qaedisti e “terroristi”, ecc. hanno conquistato il nord del Mali, grande paese del Sael, destabilizzato da un golpe di pochi mesi fa (con acquiescenza e complicità europea e americana).
La capacità di manovra dei Tuareg provenienti dalla Libia e dei loro alleati del deserto ha sconvolto gli occidentali (rappresentati dal nostro ex presidente Prodi in versione mandato ONU), che evidentemente, non si sono resi conto in tempo utile della capacità militare e tattica delle carovane che attraversano il Sahara sud-occidentale alla ricerca di una propria nuova e tribale identità transnazionale e islamica: ad oltre 1200 km dalla frontiera del Mali, questi gruppi sono stati in grado di circondare un campo petrolifero in territorio algerino (ma molto vicino al confine, mobile come le dune del deserto, con la ex Libia gheddafiana) e di catturare 41 tecnici occidentali ed altri circa 400 operai algerini. (Totale degli ostaggi quasi 500 persone).
E’ uno dei sottoprodotti della sconsiderata aggressione ed eliminazione della Libia di Gheddafi ad opera franco-inglese con supporto USA e avvallo ONU. (Che si aggiunge all’attentato al Console italiano a Bengasi di qualche giorno fa). L’intera regione sahariana è in preda al disordine e i confini tracciati nel secolo scorso diventano permeabili e mutevoli, aprendo una nuova stagione di interventismo neo-coloniale dai caratteri quasi fantascientifici, che mira a ricreare uno spazio controllabile (dall’occidente), mentre tutto ciò che si muove in quelle aree, ha invece i caratteri dell’indeterminatezza, come indeterminato e inconfinabile per sua natura è il deserto.
La Germania, l’altro ieri, è corsa a sostegno della Francia, ed oggi, il nostro Ministro degli Esteri Terzi di Sant’Agata, ha analogamente garantito il supporto logistico alle operazioni francesi di aria e di terra. Ciò avviene, per quanto ci riguarda, in piena campagna elettorale, con un governo che dovrebbe solo assicurare lo svolgimento degli affari correnti; invece il governo Monti, senza alcuna discussione ed autorizzazione parlamentare si arrischia ad assumere decisioni strategiche che possono avere dei gravissimi effetti, dopo quelli già gravi assunti dal governo Berlusconi (con incitazione convinta del Presidente della Repubblica Napolitano) in occasione della guerra alla Libia.
Dove sia finito l’art. 11 della Costituzione è un enigma inquietante. Cosa sia oggi l’Europa, sul piano della politica internazionale, è un quesito senza risposta. Oppure, se si vuole essere realisti, siamo in un momento di tormentata confusione e di disordine globale, dove si è costretti a porre argine continuo agli errori delle decisioni precedentemente assunte, in un fluire di azioni di guerra a 4-5.000 km dalle nostre frontiere, senza alcun progetto, senza alcuna visione organica che non sia la guerra e il conflitto permanente, mentre il continente europeo è stretto nella morsa della recessione e getta nella recessione tutte le aree adiacenti, grazie alle politiche imposte dalla finanza internazionale che oramai determina tristemente le decisioni dei singoli paesi.
In piena campagna elettorale, per quanto ci riguarda, ci si lancia in una operazione di guerra dagli esiti incerti, sulla cui natura, legittimità giuridica e costituzionale, di interessi politici e strategici nazionali, è richiesta urgentemente una valutazione delle forze di centro-sinistra e di sinistra che si accingerebbero a governare il paese: cosa dice il PD, cosa dice Sel su questa decisione del Ministro Terzi e di Monti ?
Dal disordine globale e dalla nuova guerra infinita in Africa è, obiettivamente, difficile pensare di costruire qualcosa di buono. E in ogni caso, questo scenario, salvo smentite, non pare dover rientrare negli obiettivi di un futuro governo di centro-sinistra.
Mali, a disposizione le basi aeree italiane
La Sicilia è in prima linea. Forniremo il supporto logistico. Pronti una ventina di consiglieri e addestratori
L’Italia è pronta a fornire il proprio appoggio alle operazioni di guerra francesi in Mali. Ad annunciarlo il ministro Giulio Terzi a conclusione di un consiglio straordinario dei ministri degli esteri dell’Unione europea a Bruxelles. “Non è previsto nessuno spiegamento di forze militari italiani nel teatro operativo ma forniremo le basi per un supporto logistico al trasferimento militare”.
Sarà il consiglio dei ministri convocato per stamani a definire i particolari della nuova avventura italiana in terra d’Africa. “C’è un orientamento positivo all’interno del governo a sostegno dell’operazione militare avviata dalla Francia con un altro gruppo di paesi, in linea con la risoluzione 2085 del 20 dicembre scorso del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, ma sarà comunque necessario il sostegno delle forze politiche in Parlamento”, ha aggiunto il ministro Terzi.
Le forze armate italiane dovrebbero mettere a disposizione degli alleati d’oltralpe le principali basi aeree nazionali (Sigonella e Trapani Birgi in Sicilia, Gioia del Colle in Puglia, Decimomannu in Sardegna, ecc.), i velivoli da trasporto truppe e mezzi C-130J “Hercules” e C-27J della 46^ Brigata Aerea di Pisa e i velivoli cisterna KC-767 “Boeing” del 14° Stormo dell’Aeronautica militare di Pratica di Mare (Roma) per rifornire in volo i cacciabombardieri francesi.
Come già avvenuto nel corso del conflitto in Libia nel 2011, le forze armate italiane potrebbero utilizzare i velivoli senza pilota MQ-1C “Predator” ed MQ-9 “Reaper” per svolgere missioni d’intelligence, sorveglianza e riconoscimento dei potenziali obiettivi “nemici” sui cieli del Mali e del nord Africa, mettendo poi a disposizione degli alleati tutte le informazioni necessarie per i raid aerei. Il comando dei droni italiani opera dallo scalo aereo di Amendola (Foggia) con il 28° Gruppovelivoli teleguidati del 32° Stormo, lo stesso reparto che ha già diretto centinaia di operazioni a supporto della Nato nel teatro di guerra afgano. I velivoli senza pilota dell’Aeronautica verranno presto armati con i missili aria-superficie AGM-114 Hellfire (fuoco infernale), acquistati negli Stati Uniti d’America al costo di 13,7 milioni di euro.
Decollano invece ininterrottamente da Sigonella i grandi aerei-spia a pilotaggio remoto “Global Hawk” dell’US Air Force che assistono le forze d’attacco francesi nell’individuazione dei target “nemici” (campi d’addestramento, infrastrutture logistiche e depositi munizioni delle milizie anti-governative) nelle regioni settentrionali del Mali. Secondo quanto dichiarato dal ministro degli esteri Laurent Fabius, Washington sta progressivamente accrescendo il proprio sostegno operativo alle truppe francesi nei settori dell’intelligence e del trasporto aereo.
La Sicilia sarà in prima linea anche grazie a Trapani-Birgi, la base aerea più utilizzata durante la guerra in Libia per i raid della forza multinazionale a guida Nato. A Trapani, dove sono divenuti pienamente operativi da meno di una paio di mesi i cacciabombardieri Eurofighter del 37° Stormo dell’Aeronautica militare italiana, l’Alleanza Atlantica potrà schierare per la “sorveglianza integrata” del Mediterraneo e del nord Africa uno o due aerei radar E-3A “Awacs”. Dalla seconda metà degli anni ‘80, lo scalo siciliano è una delle basi operative avanzate “Awacs” nell’ambito del programma multinazionale NATO Airborne Early Warning Force il cui comando generale è ospitato a Geilenkirchen (Germania). I velivoli, oltre a ricercare ed identificare gli obiettivi da colpire, hanno una rilevanza strategica nella conduzione delle operazioni di attacco aereo.
Secondo quanto trapelato a Bruxelles, i comandi della Nato avrebbero espresso però “l’assoluto bisogno” di inviare a Bamako non meno di 250 uomini per contribuire alla formazione e all’addestramento delle forze armate del Mali. Nonostante il ministro Terzi abbia negato il diretto coinvolgimento di militari italiani in territorio maliano, perlomeno una ventina di consiglieri e addestratori dovrebbero essere inviati dal nostro paese. L’Italia non è nuova in queste missioni addestrative a favore di forze armate africane impegnate in operazioni belliche. Sponsor ancora una volta il ministro degli esteri, è stato avviato a Mogadiscio un corso dei carabinieri finalizzato ad addestrare un’unità somala “con un ampio mandato, dalle attività di contrasto al terrorismo a quelle anti-pirateria a terra”, come ha spiegato lo stesso Giulio Terzi a conclusione dei lavori del Gruppo internazionale di contatto sulla Somalia, tenutosi a Roma nel luglio 2012.
Con l’appoggio finanziario e logistico di U.S. Army Africa, il comando delle forze terrestri degli Stati Uniti d’America destinato agli interventi nel continente nero, l’Arma dei carabinieri ha attivato nella caserma “Chinotto” di Vicenza uncentro d’eccellenza per la formazione dei quadri militari dei paesi africani e mediorientali partner (Coespu). Una scuola di guerra al “terrorismo” su cui potranno sicuramente contare in futuro i generali del Mali e del Sahel.
Articolo pubblicato in Il manifesto, 18 gennaio 2013
Giù le mani dai popoli arabi, giù le mani dalla Siria!
Respingere la richiesta di trattativa da parte del governo siriano equivale a una dichiarazione di guerra! Il ministro Terzi è un guerrafondaio pericoloso per il paese. Un documento della Rete dei Comunisti.
La Rete dei Comunisti denuncia la gravità delle dichiarazioni guerrafondaie del Ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi di Sant’Agata che in accordo con le altre forze della NATO, ha sbrigativamente respinto l’ennesima proposta del governo Siriano. Il rifiuto di qualsiasi trattativa con il governo di Damasco ora in carica, manifesta chiaramente gli intenti aggressivi perseguiti dai governi dell’UE, dagli USA e dai Paesi della Cooperazione del Golfo (GCC) e altro non è che una reiterata dichiarazione di guerra.
Questo ennesimo rifiuto, segue i sabotaggi e le bocciature dei tentativi di dialogo, seppure parziali, fatti dalla commissione ONU, da Kofi Annan e più recentemente dal delegato delle Nazioni Unite Ibrahimi.
Anche l’invito ad aprire un confronto tra le parti promosso dall’Iran, è stato bocciato con motivazioni assurde e precostituite, da quegli stessi paesi NATO che finanziano le formazioni armate in Siria.
Solo le pressioni di Cina, Russia e Iran, unitamente agli sforzi di molti paesi non allineati come Cuba e il Venezuela, hanno evitato che la destabilizzazione della Siria sfociasse in un conflitto più vasto.
In maniera colpevole e criminale anche quest’ultima proposta del Presidente Siriano Assad è stata bocciata nel giro di pochi minuti, non appena questa è stata resa pubblica attraverso i canali televisivi. La proposta è stata respinta senza entrare nel merito, confermando che da parte delle forze della Nato, dei paesi del Golfo e dei ribelli non c’è alcuna volontà di avviare un processo di pace, che guardi positivamente al futuro della Siria e dei popoli della regione.
Si sta ripetendo lo stesso copione dell’aggressione alla Libia, quando Hilary Clinton rifiutò al governo libico la figura d’interlocutore, pretendendo una resa senza condizioni che anticipava il linciaggio di Gheddafi. Analogamente anche in quell’occasione i paesi del Golfo e con diversi accenti i paesi dell’Unione Europea si unirono alla dichiarazione di guerra dell’amministrazione Obama.
Nel caso della Siria la contrapposizione tra la via della guerra e quella della trattativa, rimanda alla conflitto, che oppone i paesi imperialisti alla Russia e alla Cina, nel controllo delle aree strategiche.
In questa situazione complessa i paesi Nato e le petro monarchie preferiscono evitare l’intervento militare diretto.
Al momento la tattica scelta sembra puntare al lento deterioramento dello scenario siriano, attraverso il sostegno agli insorti dell’ESL, il rifiuto di qualsiasi soluzione politica e l’imposizione dell’embargo economico contro il popolo siriano.
Da anni l’alleanza che vede collaborare, non senza contrasti, GCC, USA e UE, sta perseguendo un’impressionante politica di riarmo con il chiaro scopo di voler imporre i propri interessi con la diplomazia delle armi. Oggi questa coalizione dopo le guerre all’Iraq e alla Libia è intenzionata a spartirsi le ricchezze della Siria e a destabilizzare l’Iran.
Al progetto di pacificazione e normalizzazione del Grande Medio Oriente si aggiunge l’obiettivo di mettere sotto controllo i quadranti decisivi del Golfo Persico, del mar Arabico e dei confini meridionali della Russia.
Si tratta di un’area di cerniera, su cui si stanno concentrando le attenzioni dell’Amministrazione USA come riportano gli studi del Pentagono e dei neocons legati alla lobby del nuovo secolo americano.
Alle basi statunitensi, britanniche e francesi presenti nei loro paesi, le petro-monarchie hanno associato circa 120 miliardi di forniture militari provenienti per lo più dagli USA. Sia Doha, sia Riad non potendo per ragioni demografiche valersi di eserciti numerosi attingono alla vasta e consolidata rete di mercenari o stabiliscono accordi di cooperazione militare come quello siglato il 21 novembre scorso e che prevede il distacco di unità dell’esercito tunisino all’interno dell’esercito del Qatar.
L’utilizzo dei mercenari e del network terrorista islamico, circa 15000 combattenti secondo diverse fonti internazionali, con il corollario di autobombe e violenze contro la popolazione inerme, sta sviluppando una drammatica spirale tra azione e reazione da parte dell’Armata Araba Siriana. Uno scenario che favorisce la scelta di un intervento militare esterno in soccorso di una presunta sollevazione popolare.
Nonostante le migliaia di turchi, scesi in piazza contro la guerra alla Siria, il governo Erdogan continua con la sua politica di aggressione contro il popolo siriano installando, sotto l’egida della NATO le batterie dei missili Patriot.
In quanto membro Nato, Ankara ospita la sede della forza di intervento rapido dell’Alleanza Atlantica, una partnership che rende l’ingerenza del governo islamico liberale turco, suscettibile di una pericolosa escalation.
Dai confini turchi oltre agli approvvigionamenti militari, partono le azioni dell’esercito siriano libero e delle milizie islamiche che più di una volta si sono scontrate sia con l’Armata Araba Siriana che con la guerriglia curda che controlla alcune di confine tra la Siria e la Turchia. La NATO è coinvolta nel sostenere militarmente la politica egemonica dell’UE e degli USA nel mediterraneo fornendo mezzi, uomini e strumenti di intelligence alla destabilizzazione della Siria e alla pressione militare contro l’Iran.
La collaborazione militare è speculare agli interessi economici e alle relazioni politiche che i paesi del Golfo, come la Turchia e l’Egitto intrecciano con l’UE e con gli Stati Uniti. Nel caso dei paesi del Golfo queste relazioni si riflettono nella stipula di accordi di cooperazione economica e nell’acquisizione di asset industriali e di quote di debito pubblico dei paesi occidentali. L’Egitto e la Turchia oltre ad essere due paesi chiave dell’area, grazie alla delocalizzazione oggi costituiscono la periferia produttiva dei centri imperialisti, in primo luogo quello europeo.
La chiusura a qualsiasi piano di trattativa è quindi una scelta deliberata e pianificata dalle forze imperialiste, lo confermano le azioni e le dichiarazioni dei governi europei e statunitensi, e dello stesso Ministro degli Esteri italiano Giulio Terzi.
La Rete dei Comunisti denuncia l’ignavia di quanti persino nella sinistra radicale si ostinano a non vedere il pericoloso evolversi degli eventi e la minaccia contro la pace. A questo si aggiunge il sostegno delle forze politiche come il PD e SEL alla politica neocoloniale perseguita dalla borghesia italiana e dal polo imperialista europeo.
In questi ultimi decenni, le guerre contro il terrorismo sono state lo strumento grazie al quale Washington, Londra, e Bruxelles hanno imposto gli interessi delle multinazionali, facendone crescere i profitti a scapito dei popoli dei paesi sconvolti dalle guerre. E’ il caso dell’ENI in Libia e Iraq, della Shell e delle multinazionali militari cui si aggiunge la nuova frontiera delle compagnie di mercenari (come l’ex Blackwater e oggi Academy) quotate in borsa e assoldate dai governi di Washington e Doha.
La Rete dei comunisti insieme con altre strutture politiche della sinistra di classe, e del pacifismo più conseguente, ha aperto una battaglia politica, e sta lavorando alla costruzione di iniziative di controinformazione e di lotta, sulla base dell’appello “Giù e Mani dalla Siria”. Questa denuncia contro l’aggressione imperialista è tuttora motivo di scontro con quanti, e non sono pochi, all’interno della sinistra sposano la tesi della guerra umanitaria e sostengono le opposizioni armate libiche e siriane. Abbiamo più volte denunciato come il carattere oscurantista delle leadership delle opposizioni armate, i loro legami al blocco della NATO e del GCC, indichino chiaramente che queste hanno come scopo la restaurazione di regimi reazionari e neocoloniali. La campagna di destabilizzazione nei confronti della Siria e le pressioni contro l’Iran sono parte di un più ampio attacco contro l’intero fronte antimperialista. Una normalizzazione dell’area che renderebbe più forti Israele, e le petro monarchie, mettendo in una condizione di oggettiva debolezza i palestinesi e le forze laiche, progressiste e di classe dell’intera regione. La nostra posizione contro l’aggressione alla Siria, all’Iran e alla Libia non significa il sostegno, ieri a Gheddafi, e oggi ad Assad o ad Ahmadinejad, ma è la coerente riproposizione di un punto di vista internazionalista, antimperialista e anticapitalista.
L’approfondirsi della crisi sistemica accentua la competizione tra i poli imperialisti e tra questi e le economie emergenti come i BRICS. E’ l’imposizione della ragione del profitto sulla vita di milioni di uomini e donne, che si traduce in guerra per appropriarsi delle ricchezze naturali nei paesi in via di sviluppo e nell’attacco ai diritti e alle condizioni vita della classe lavoratrice su scala mondiale.
Nei prossimi mesi l’Italia ospiterà l’ennesimo incontro degli amici della Siria, quest’alleanza composta dagli incaricati dell’UE, degli USA, della Lega Araba, e cui sono stati invitati a partecipare i rappresentanti delle fazioni armate islamiche presenti sul territorio siriano. La Rete dei Comunisti denuncia come la riunione dei cosiddetti “amici della Siria”, sia invece un momento di sviluppo della politica d’ingerenza e aggressione nei confronti del popolo siriano, e invita le organizzazioni della sinistra di classe, dei veri pacifisti e degli antimperialisti a rafforzare la campagna di mobilitazione contro l’ennesima guerra coloniale.
La commissione internazionale della Rete dei Comunisti
Da: Alessandro Di Meo <alessandro.di.meo @ uniroma2.it>Data: 19 gennaio 2013 12.31.36 GMT+01.00cari tutti,
nell'augurarvi un buon 2013 (sono ancora in tempo?) vi segnalo "Un viaggio per capire", breve racconto dopo l'ultima esperienza in Serbia, Kosovo e Metohija, che troverete, corredato di foto, sul mio blog:
http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.it/
Inoltre, alla pagina:
http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.it/2012/12/lappuntamento_26.html
vi presento il mio ultimo libro, "L'appuntamento".
Per richiederlo o per avere ulteriori informazioni potete mandarmi un messaggio.
Buona lettura e grazie per la vostra sempre cortese attenzione.
Alessandro
p.s. chi non volesse più ricevere messaggi del genere, è pregato si segnalarmelo con una mail. Verrà immediatamente rimosso dalla lista.----------------------- ooooooooOOOOOOOOoooooooo -----------------------
visita: http://unsorrisoperognilacrima.blogspot.com/
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dove non soffriremo e tutto sarà giusto..."
(francesco guccini - cyrano)
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A Belgrado mi incontro con padre Andrej, del monastero di Visoki Dečani. E’ a Belgrado per dare esami di Filosofia per i suoi studi teologici all’università.
Siamo davanti a un momento davvero difficile per la chiesa ortodossa serba e per tutti i serbi del Kosovo e Metohija. La loro libertà, la loro indipendenza, la loro stessa sopravvivenza è fortemente a rischio. Le trattative fra Belgrado e Priština vanno avanti ma la sensazione è che, passo dopo passo, la Serbia dovrà piegarsi al volere della Comunità Internazionale e riconoscere, di fatto, il Kosovo attuale. Potranno forse spostare il confine doganale sul fiume Ibar, lasciando i serbi a nord di Mitrovica attaccati alla madre patria, ma per quelli rimasti nei villaggi all’interno sarà duro il futuro che si prospetta.
Io espongo le mie preoccupazioni legate alla sempre più forte presenza, nella terra sacra dell’Ortodossia Serba, di moschee musulmane ma pure di chiese cattoliche. Molti soldi investiti e mi chiedo perché. La storia non ha segreti. Queste terre, questo patrimonio culturale e architettonico interessa molti. Nei programmi delle scuole albanesi da tempo si insegna come questo patrimonio sia, in realtà, una sorta di intrusione in un patrimonio pre-esistente. Qualcuno lo fa derivare, insieme all'origine della stessa popolazione albanese ma senza alcuna fonte certa, dimostrata o dimostrabile, dagli Illiri e dai Dardani; qualcuno dagli antichi romani, la cui presenza è stata comunque documentata, altri dalla chiesa cristiana prima dello Scisma del 1054. In mezzo, secoli e secoli che sembrano solo una parentesi della storia, da chiudere senza stare troppo a pensarci su.
Dopo veri e propri tentativi di plagio di una nostra iniziativa, quella sui pozzi, ci teniamo, come associazione, a prendere le distanze da certe Onlus che si affacciano solo ora in Serbia, legate a doppio filo con i settori più reazionari della chiesa Cattolica ma anche con l’estrema destra, xenofoba e razzista, specchietto per le allodole per ingenui e ignari che si accostano al problema, attratti dalla apparentemente umanitaria attività di tali Onlus che, in realtà, altro non fanno che da paravento al connubio reazionario, creando confusione e disorientamento anche tra chi le idee le aveva chiare fin dall’inizio. Come con la Libia, come con la Palestina, come con la Siria attuale, come con l’Iraq in passato, le attività trasversali di queste organizzazioni hanno sempre altri scopi e sempre molto oscuri.
Andrej sostiene che la chiesa ortodossa Serba è, invece, ancora molto forte, determinata a contrastare con la sua opera e la sua capacità di dialogo le derive naziste, razziste, violente e a proseguire nel suo ruolo che, attualmente, è anche e soprattutto quello di non lasciare soli i serbi nel “nuovo” Kosovo. Che soli, però, sembrano esserlo sempre di più. E indifesi. E preda di ingiustizie, soprusi, prepotenze.
Come nel caso del grave episodio dei dieci serbi arrestati a Gračanica dalla polizia albanese perché festeggiavano, forse troppo rumorosamente, il Natale ortodosso. Ammanettati, con la testa infilata nella latrina del cesso, sono stati picchiati e sottoposti a violenze di stampo razzista. Uno di loro è ancora grave in un ospedale di Belgrado per le percosse subite ai genitali.
“Ti impediremo di fare figli!”, gridavano in quella cella dove la polizia kosovara lo aveva rinchiuso. Il ragazzo, di origini albanesi, era troppo amico dei “serbi cattivi”. Prima della guerra umanitaria del ’99, molti albanesi sono stati ammazzati dagli stessi miliziani dell’Uck, attuali poliziotti del Kosovo “indipendente”, proprio perché amici e solo per questo considerati collaborazionisti dei serbi. Gli è pure andata bene. Hanno rischiato di fare la fine di ragazzi italiani come Federico Aldrovandi o Stefano Cucchi, ammazzati perché “troppo irrequieti” per la pazienza dei servitori dell’ordine e dello stato in cui si sono fatalmente imbattuti. Insomma, questi episodi nel nuovo Kosovo, voluto fortemente dalle diplomazie occidentali, sembrano davvero “prove generali di democrazia”.
Il 6 gennaio è il "Badnji dan", la vigilia del Natale Ortodosso. In strada, rami secchi di quercia con ancora le foglie attaccate da bruciare nel grande falò davanti le chiese. Ne puoi prendere uno, di quei rami e gettarlo sul falò, esprimendo un desiderio. Davanti la chiesa grande di Kraljevo, sveti Sava, c’è molta gente che arriva solo per vedere il fuoco, gettare un ramo di quercia, esprimere un desiderio. In chiesa c’è fila, si va per accendere candele per il Natale, fuori si offrono vino e rakija. Io e Marko ci torneremo, più tardi, quando il grande fuoco si sarà ridotto a un cumulo di cenere, dove poter bruciare i ciocchi di legno ancora buoni. Non c’è più gente, siamo in pochi, ma tutto è anche più intimo.
La mattina dopo, alle cinque e mezza, ci si sveglia perché il “polažajnik”, l’amico di famiglia designato da sempre, verrà ad augurare salute e felicità gettando un rametto di badnjak nel fuoco (uno si conserverà fino al prossimo Natale). Dopo, si mangia carne, tutti insieme, mettendo fine al digiuno. Senza posate, con le mani, ché coltelli e forchette sono banditi dalla tavola per l’occasione. Solo pace e amicizia, nella mattina del Natale. A mezzogiorno, la famiglia intera, riunita davanti alla tavola pronta per il pranzo, col pavimento cosparso di paglia a simboleggiare la mangiatoia sacra dove nasce Gesù, berrà vino a giro dallo stesso bicchiere e mangerà il pane che il capofamiglia avrà segnato a croce, bagnato di vino e spezzato insieme a tutti i presenti, dopo che tutti lo avranno fatto girare con le mani, insieme, come fa il prete nella chiesa. Chi troverà la moneta nascosta nel pane, avrà fortuna e soldi tutto l’anno.
In Kosovo e Metohija mi incontro con Ilarion, abate del monastero di Draganac. Siamo a Novo Brdo, nei pressi di Gnjilane. Qui è Kosovo orientale. Siamo felici di riabbracciarci e lui mi offre subito da mangiare, dopo avermi mostrato la cappella dove si svolgono le funzioni in questo periodo di inverno, quando nella chiesa del monastero è troppo freddo. Ci sono altri visitatori. Justine, monaco del monastero, ci mostra un pezzo di tronco di albero la cui sezione riproduce la croce ortodossa in maniera straordinaria. Dopo poco arrivano soldati Usa della Kfor. Entrano ma non dicono buongiorno. Se ne andranno allo stesso modo. Del resto, sono venuti in questa terra senza invito, sono consapevoli del loro saper prendere senza chiedere.
Cason, il maggiore… White, il driver… Crowe il più giovane. Cason dice di suonare la chitarra, gli chiedo se suona anche “Blowin’ in the wind” di Bob Dylan. Ma lui preferisce la chitarra classica… White, allora, dal suo cellulare mi fa sentire la sua musica preferita: Bruce Springsteen, il boss! Ma allora sei un democratico, mister White! Certamente avrai votato per Obama. Rifiuta una seconda rakija, perché dice che dovrà guidare. “Quale autorità potrà mai fermarti per questo?” gli chiedo ironicamente… ridono. Crowe è più taciturno, ha origini scozzesi, ha fatto il portiere in una partitella organizzata dai soldati contro una rappresentativa locale. Hanno perso e mi chiedono se mi piace il calcio. Vorrei rispondere “Almeno quanto a voi piace la guerra!”, ma dopo che Ilarion mi presenta come un pacifista, dico solo che non lo sono, che dentro sento tanta rabbia contro la guerra e chi la fa. E ribadisco, visto che questi soldati raccontano di stare ad aiutare anche la povera gente degli sperduti villaggi serbi, che un soldato se conoscesse prima chi sarà colpito dalla guerra che andrà a fare, forse se ne starebbe a casa e rifiuterebbe. Fondamentalmente, un soldato deve restare ignorante. Cason annuisce, si dice davvero d’accordo. Il dubbio che mi stia prendendo in giro mi viene. Ma i suoi occhi si abbassano sempre, come un bambino davanti a chi sa quanto l’abbia fatta grossa! Allora, forse così ignorante non lo è. Forse, tutta questa buona fede non c’è. Forse, è molto consapevole di quello che fa.
Con Ilarion restiamo a parlare delle iniziative in corso. C’è una scuola a Gornj Makreš da riscaldare, dovremo riuscire a realizzare quanto prima l’impianto completo di riscaldamento. Lui mi da le schede del progetto da portarmi dietro. Ci sono altre scuole di villaggi vicini, Jasenovik, Bostane, Prekovce da sostenere con l’acquisto di un pulmino e di un piccolo fuoristrada per permettere ai ragazzini, piccoli studenti, di arrivarci anche nelle situazioni più difficili e in assoluta sicurezza. Inoltre, parliamo di famiglie che andrebbero sostenute, alcune delle quali piene di iniziativa ma senza mezzi. Allora si pensa di coinvolgere i sostegni in atto col monastero di Dečani, dove ci sono casi che andranno sostituiti e altri il cui sostegno potrebbe essere dimezzato. Tutto va bene, pur di essere di aiuto a famiglie che hanno figli da crescere in situazioni di vita così difficili.
Al monastero di Dečani, in piena Metohija, trovo solo qualche monaco. Molti sono via o stanno riposando dopo le fatiche delle celebrazioni del Natale. Petar mi accoglie con calore e amicizia nel salone al piano superiore, offendo rakija e caffè. Poi, arrivano anche Nifont e Isaja coi quali parliamo dei nostri progetti di sostegno a distanza per venti famiglie serbe dei villaggi. Loro chiedono se possono dimezzare il sostegno di 300 euro annuale, raddoppiando così le famiglie aiutate. Non ci sono problemi, importante sarà sostenere più casi possibili bisognosi di una mano. Come con Ilarion, pianifichiamo anche con loro una missione in primavera prossima, proprio per andare a visitare direttamente queste famiglie beneficiarie del nostro sostegno e raccogliere materiale informativo direttamente sul posto e da divulgare ai nostri sostenitori.
Poi parliamo del progetto di realizzazione di pozzi artesiani. Ne hanno già finiti cinque, acquisteranno tutte le pompe necessarie per portare acqua nelle case. Sono molto impegnati dalla cosa, cercheranno di continuare nella prossima primavera, tempo permettendo. Ribadiamo la nostra disponibilità di fondi, chiediamo solo di fare attenzione a non sovrapporre la nostra con altre iniziative di altre associazioni, per evitare confusione fra i nostri sostenitori e finanziatori. Per loro è un impegno gravoso, si scusano per malintesi passati, ma si dicono disponibili a continuare nel progetto, perché lo ritengono davvero meritevole e utile.
Regalo loro alcune copie del libro “L’Urlo del Kosovo”, sono contenti, stanno imparando tutti l’italiano e la cosa, forse, li aiuterà. Poi, prima di mangiare, è doverosa una visita in chiesa, per rendere omaggio a quel luogo sacro, accendere ceri, sentire quell’atmosfera sempre coinvolgente nel suggestivo silenzio del monastero. Acquisterò vino, rakija e oggetti sacri vari nel piccolo negozio del monastero, per farne regali, sempre molto apprezzati o per esaudire richieste di amici.
Il rapporto con questi monaci è forte, la loro presenza è quanto di più necessario per la gente dei villaggi, sanno che non resteranno soli, ci sperano, come sperano che sempre ci possa essere da qualche parte una campana e i suoi rintocchi a ricordare che nel Kosovo odierno, dove è proibita la parola Metohija, che significa “terre che appartengono ai monasteri, i serbi continueranno a esistere e a vivere sulla loro terra.
Al ritorno, nessuno chiederà documenti alla frontiera. L’Eulex qui è ritenuta una violenta forzatura, una imposizione inaccettabile, l'ennesima di tante altre ingoiate negli anni. A Kosovska Mitrovica tutto sembra andare avanti in modo tranquillo, ma a far sembrare tranquilla la situazione è il carattere di queste persone che riescono ad affrontare ogni sorta di difficoltà e di sofferenza senza battere ciglio. Abituati a difficoltà estreme, sanno farsi bastare il necessario.
Con Sonja, del villaggio di Osojane, parlo di queste difficoltà e di come anche per loro esistano i desideri. Ma sono così diversi dai nostri, che non riesco a continuare a parlare quando mi dice che un suo desiderio di vita sarebbe, ad esempio, quello di…
“Viaggiare in pullman da casa mia, a Osojane, fino a Belgrado senza che si rompa durante il tragitto impiegandoci un giorno intero!” – “Stare in casa senza la paura che qualcuno venga a provocare tirando sassi alle finestre o facendo il prepotente con le auto” – “La sera, passeggiare nelle strade del mio villaggio in tranquillità, senza paura di incontrare fanatici violenti e razzisti, che non vogliono che i serbi continuino a esistere in quella che da sempre è anche la loro terra.”.
Io tornerò e riprenderò la mia vita. Scriverò di ciò che ho visto e incontrato, ma avrò anche i miei momenti di tranquillità e serenità. Mi attiverò affinché le iniziative solo pensate possano realizzarsi. Potrò anche sentirmi felice, qualche volta. O fare finta. Ma senza dimenticarmi mai di queste persone, di questi luoghi dove, a volte, è difficile anche fingere.
Questo è stato il mio viaggio per capire. Un viaggio dove incontri chi si nutre dell’essenziale, dove ti rigiri nei pensieri senza trovare risposte, perché semplicemente non esistono. Dovrai vivere, dovrai lasciar passare il tempo, dovrai andare avanti, senza dimenticare cosa c’è che ti lega a questa terra.
Ma un viaggio per capire è anche un viaggio dove senti la fatica dentro. E’ un viaggio che ti porta altrove, con la testa, con i piedi, con lo sguardo. A cercare di comprendere cosa ci sia, nascosto dentro te, che ti comprime così forte il cuore e gli occhi, portandoti a camminare su strade sconnesse e impervie, dove poter viaggiare senza fretta, ma con attenzione. Cercando, davvero, solo di capire.
El presidente de la Asamblea General de Naciones Unidas, Vuk Jeremic (Serbia), defendió hoy la interpretación de la Marcha de Drina durante un concierto celebrado el lunes en el plenario del máximo órgano de la ONU.
El también excanciller serbio rechazó los intentos de falsear el significado de la presentación de esa obra por parte del coro Viva Vox de Belgrado y los consideró como una profunda ofensa al pueblo de Serbia.
Destacó la importancia de la pieza musical que rinde tributo a quienes defendieron la libertad frente a los agresores durante la Primera Guerra Mundial, que costó la vida a la tercera parte de la población masculina serbia.
Estamos muy orgullosos de ella y queremos unirla al mundo con un mensaje de reconciliación para la presente y futuras generaciones, apuntó Jeremic.
La declaración del presidente de la Asamblea General fue emitida poco después que el vocero oficial de la ONU, Martin Nesirky, pidió disculpas porque el secretario general, Ban Ki-moon, aplaudió la obra tras su interpretación por el coro visitante.
Lamentamos sinceramente que hubiera gente que se ofendiera con esta canción, que no estaba incluida en el programa oficial, precisó.
Dijo que el titular de Naciones Unidas “no era consciente del uso que ha sido dado al himno”, en referencia a (dudosas y nunca comprobadas) versiones sobre su utilización por parte de grupos nacionalistas vinculados a la masacre de Srebrenica en 1995.
original AQUI: http://www.prensa-latina.cu/index.php?option=com_content&task=view&idioma=1&id=1021981&Itemid=1
"MARCH TO DRINA RIVER" AND BAN KI-MOON APPOLOGY
The Honorable Ban Ki-Moon
Secretary General
760 United Nations Plaza
United Nations
New York, NY 10017
REF: The Drina March apology
Your Excellency,
The first Allied victory of the World War I, The Battle of Cer [Mountain], opened the door towards the end of The Great War and creation of The League of Nations, predecessor of The UN.
That is exactly what The Drina March represents, fighting for freedom regardless of the odds. Individuals who objected to The Drina March belong to a group that fought against the Allies in both World Wars.
UN apology for The Drina March being performed in The UN is an affront to millions of Allies who gave their lives in WWI for freedom.
Serbs as people never demographically recovered from the loss of 56% of male population in WWI, leading to the additional loss of up to one million in WWII. By UN Genocide Convention, it is Genocide by attrition. That is what the complaint about The Drina March was all about - the fear that the truth will come out.
Media battle cry "Serben Muss Sterben" (The Serbs must die) in 1914 announced this genocide and such racist cries continue to the present day. UN apology is creating a new wave of anti-Serb media reports bordering on racism.
Living behind barbed wire is already reality for the Serbs in UN-governed Kosovo. After this apology, what Serbs can expect next from The UN, a new text of The Universal Declaration of Human Rights that adds "except Serbs" to all articles?
Your Excellency, UN apology to anti-Serb racists who prefer to goose step to the tune of Die Fahne Hoch was misguided, factually inaccurate and morally wrong.
You owe an apology. To the Serbs and all Allied nations.
Yours Sincerely,
Bob Petrovich, Canada
Orthodox New Year Celebration in UN
Jan 18th, 2013 | By De-Construct.netOrthodox New Year in United Nations
Belgrade’s Viva Vox choir, performing a capella – without instruments, ushered the New 2013 Year with a concert in United Nations General Assembly in New York, on January 14, the first day of the New Year according to the Julian calendar.
An arrangement of traditional Serbian songs, mixed with world pop/rock and classical music was greeted with standing ovations. Among the best received was the famous Serbian First World War March to Drina.
The glorious March was composed by Stanislav Binički in 1914, in honor of the bravery of the Serbian Army, after winning a triumphal Battle of Cer, the first victory for the Allied forces in WWI.