Informazione
Via le atomiche USA dalle basi in Europa. A dirlo questa volta è il governo belga. Si accentua la crisi della NATO?
a cura della redazione di www.contropiano.org
Si accentua la crisi della NATO? Prima l'impasse in Afghanistan, poi la crisi di governo in Olanda proprio sulla missione in Afghanistan. Adesso si sta aprendo un altro capitolo rilevante nelle relazioni tra Europa e USA nell'ambito dell'Alleanza Atlantica. Il governo belga di Yves Leterme, con una lettera aperta si è fatto portavoce di altri 4 paesi aderenti al Patto Atlantico: Olanda, Germania, Norvegia e Lussemburgo ed ha posto il problema dello smantellamento di circa 200 bombe atomiche della USA presenti nelle basi militari NATO sparse in Germania, Belgio, Italia, Turchia.
La richiesta resa pubblica dal governo del Belgio, ha preso le mosse da una lettera aperta pubblicata sui giornali belgi e nella quale due ex premier e due ex ministri degli esteri di schieramenti diversi sollecitano la necessita' di adattare la politica nucleare alle nuove circostanze, vista la fine della guerra fredda. Paesi come l'India, il Pakistan e la Corea del nord si sono gia' affacciati sullo scenario degli armamenti nucleari e altri come l'Iran potrebbero unirsi, affermano gli ex premier Jean Luc Dehaene, cristiano-democratico, e Guy Verhofstadt, liberale, insieme agli ex ministri degli Esteri Luis Michel, liberale, e Willy Claes, socialista e anche ex segretario generale della Nato. ''E' impossibile rifiutare agli altri Stati di acquisire armi nucleari se ne abbiamo noi'', argomentano i quattro esponenti politici belgi secondo i quali ''le armi nucleari tattiche americane in Europa hanno perduto tutta la loro importanza militare''. Il riferimento alla crisi con l'Iran sulla questione nucleare appare piuttosto evidente. Ad essere favorevole allo smantellamento da tempo è anche il cancelliere tedesco Angela Merkel che già nell’ottobre scorso, dopo la sua rielezione, pose come uno dei primi obbiettivi lo stoccaggio delle armi nucleari ancora presenti sul territorio tedesco. Proprio l’impegno della Germania potrebbe avere un peso importante, dato che ospita un gran numero di quelle armi. La richiesta prevede la rimozione delle armi nucleari dal territorio europeo “appartenenti ad altri Stati membri della NATO" cioè gli USA.
L’obbiettivo principale del documento è quello di aprire un dibattito sulla denuclearizzazione in vista della conferenza di revisione del Trattato di non proliferazione nucleare che si terrà a maggio a New York. L’iniziativa del Belgio è molto importante per fare un passo in direzione del disarmo nucleare. A doversi pronunciare su questo è anche il governo italiano che ospita alcune decine di ordigni nucleari nelle basi militari NATO di Ghedi ed Aviano. Sono preoccupate infatti le reazioni dei circoli atlantici italiani. "Queste armi sono troppo obsolete ed inadatte allo scopo, e potrebbero quindi essere ritirate, Ma non propongono di sostituirle con altri sistemi offensivi, bensì con maggiori sistemi difensivi antimissili ed antiaerei" commenta piuttosto preoccupato Stefano Silvestri il presidente di un organismo filo-NATO l'Istituto Affari Internazionali. "In una situazione in cui le divergenze politiche tra europei ed americani si allargano, a cominciare proprio da quell’Afghanistan dove la Nato si sta giocando la propria credibilità e forse il proprio futuro, siamo sicuri di poter tranquillamente rinunciare anche solo ad un due di briscola?". Il "due di briscola" in questione sarebbero proprio le armi nucleari presenti nelle basi disseminate in Europa e il ritiro del contingente olandese. L'allarme di Silvestri è emblematico della crisi che si va accentuando dentro la NATO anche alla luce della crisi di governo in Olanda avvenuta proprio sul mantenimento del contingente militare nell'operazione militare della NATO in Afghanistan.
Ho appena parlato al telefono con Rajka Veljovic, dell’ufficio adozioni a distanza del Sindacato Samostanli e mi ha descritto una situazione drammatica.
La FIAT ha mantenuto in produzione con contratto a tempo determinato di due mesi 500 operai e con contratto di tre mesi cento impiegati; sul contratto non e’ indicato il valore del salario. I giornali Novosti e Politika ipotizzano oggi che il salario medio sara’ di 250 euro.
Gli altri lavoratori, oltre 2000, sono fuori dalla fabbrica e per loro si e’ genericamente parlato di cassa integrazione, ma al momento senza alcuna precisazione.
Il Sindacato non ha da oggi alcuna agibilita’ in fabbrica.
La situazione che si va delineando e’ la piu’ drammatica vissuta da questi lavoratori dai bombardamenti della NATO sulla loro fabbrica nel 1999.
Sostenere poi (come fanno alcune trasmissioni televisive italiane ed alcuni giornalisti) che in questo momento i lavoratori serbi stanno di fatto togliendo il lavoro agli operai italiani è inaccettabile.
Non è alimentando guerre fra poveri che si battono le politiche liberiste e selvagge del nostro tempo.
Da parte nostra cercheremo di portare a questi lavoratori tutta la nostra solidarieta’ materiale, come abbiamo fatto sempre in questi dieci anni.
Vi terremo informati delle evoluzioni della situazione.
Un cordiale saluto
Gilberto Vlaic
Trieste, 1 febbraio 2010
In merito alla trasmissione di Anno Zero, andata in onda il 28 gennaio 2010, ci sentiamo di dover esprimere il nostro disaccordo per come sono stati trattati la Serbia e i lavoratori serbi, in particolare quelli della Zastava di Kragujevac, dove la Fiat sta spacciando per investimento una semplice operazione di facciata.
Attualmente la Fiat non ha speso un centesimo di investimento in Serbia ma ha solo costituito un fondo a suo nome che non è ancora stato toccato.
I fondi, finora, sono venuti dal solo governo serbo, mentre gli unici effetti di questo solo in apparenza filantropico interesse, è stato quello di veder licenziati in modo definitivo migliaia di lavoratori che della Zastava sono stati, per anni, i veri finanziatori, con il loro lavoro, soprattutto durante e dopo i bombardamenti del 1999 quando, in modo commovente, fra macerie e fuoriuscite di materiale tossico cercarono comunque di non abbandonare e di rimettere in sesto quello che era il loro luogo naturale di lavoro e di sostentamento per le proprie famiglie.
Vedere come alcune interviste abbiano fatto passare il messaggio che questi lavoratori serbi (che molti colleghi italiani hanno conosciuto e anche aiutato in questi terribili anni di dopoguerra), stanno di fatto togliendo il lavoro agli operai italiani, è inaccettabile.
La Fiat non va in Serbia a creare occupazione, ma a fare le stesse cose che sta facendo in Italia! E le conseguenze che anche i nostri lavoratori pagano, sono figlie del disastro di una politica estera che ha ridotto i paesi dell’est alla fame! Questo i nostri lavoratori dovrebbero saperlo da tempo. Le guerre si fanno anche per garantire i profitti del capitalismo e non è alimentando guerre fra poveri che si combatte il liberismo selvaggio dei nostri giorni.
Speriamo e contiamo, francamente, in un intervento chiarificatore di Santoro, che sappiamo molto sensibile al tema della guerra alla ex Jugoslavia.
Alessandro Di Meo (Un Ponte per...) - seguono numerore altre adesioni
Deutschland schiebt weiter Roma in das Kosovo ab
Benjamin Laufer 21.02.2010
Die Bundesregierung schlägt ernsthafte Bedenken gegen Abschiebungen in das Kosovo, wie sie etwa der Europarats-Menschenrechtskommissar Thomas Hammarberg geäußert hatte, in den Wind
In einem offenen Brief (1) wandte sich Europarats-Menschenrechtskommissar Thomas Hammarberg im vergangenen November an Kanzlerin Merkel mit der Bitte, von den Abschiebungen abzusehen. Jetzt hat die Bundesregierung geantwortet mit der klaren Botschaft: Wir schieben ab!
Hammarberg hatte Merkel im November auf die aus seiner Sicht unhaltbaren Zustände vor Allem für Roma im Kosovo hingewiesen. "Das Kosovo hat keine Infrastruktur, die eine eine nachhaltige Reintegration der Flüchtlinge erlaubt", schrieb der Menschenrechtskommissar, der selbst das Kosovo bereiste. Es sei offensichtlich nicht die richtige Zeit für Abschiebungen in das Land. Insbesondere Roma seien im Kosovo nach wie vor politischer Verfolgung ausgesetzt und müssten in Lagern leben, schrieb Hammarberg.
In der Antwort vom 26. Januar habe die Bundesregierung Hammarberg mitgeteilt, jährlich bis zu 2.500 Menschen in das Kosovo abschieben zu wollen, sagte Hendrik Lörges, Sprecher des Bundesinnenministeriums gegenüber Telepolis. Dabei solle auf "ein angemessenes Verhältnis der verschiedenen Ethnien geachtet werden", um die Fokussierung auf eine Ethnie zu vermeiden.
Im Jahr 2008 habe die Bundesregierung bereits 541 Personen in das Kosovo abgeschoben, darunter 76 Roma, so Lörges. Insgesamt rund 10.000 in Deutschland lebende Roma könnten in den nächsten Jahren in das Kosovo abgeschoben werden, schätzen Flüchtlingsorganisationen. Die Flüchtlinge waren vor zehn Jahren auf der Flucht vor dem Kosovokrieg nach Deutschland gekommen. Im vergangenen Jahr hatte die Bundesregierung mit dem Kosovo ein so genanntes "Rückübernahmeabkommen" geschlossen, das die Abschiebung aller Flüchtlinge in das Land vorsieht. Das Urteil Hammarbergs ignorieren die Deutschen Behörden dabei beharrlich. "Die Bundesregierung hat eine eigene Einschätzung der Sicherheitslage in Kosovo", sagte Innenministeriumssprecher Lörges. Demnach bestehe "keine unmittelbare Gefährdung nur aufgrund der Zugehörigkeit zu einer bestimmten Ethnie". Zu dieser Einschätzung sei die Regierung "unter Beiziehung von Berichten internationaler Organisationen" gelangt. Der Bericht der Menschenrechtsorganisation Pro Asyl (2) gehört offenkundig nicht zu denen, auf den sich die Bundesregierung beruft. Zwar heißt es auch dort, eine " jederzeitige und allgegenwärtige akute Gefährdung von Leib und Leben nur aufgrund der ethnischen Zugehörigkeit" sei pauschal nicht mehr festzustellen. Auszuschließen sei eine solche deshalb aber nicht: Statistiken der kosovarischen Polizei und auch internationaler Beobachter bildeten nur einen Teil der Realität ab. Die Betroffenen hätten kein Vertrauen zu der kosovarischen Polizei, Übergriffe würden nicht angezeigt, auch aus Angst, "das könnte die Sache noch schlimmer machen", so Pro Asyl. Zudem sei die Bereitschaft der Polizei, Anzeigen von Roma ernst zu nehmen und zu verfolgen, sehr gering ausgeprägt. "Aus diesen Gründen ist von einer erheblichen Dunkelziffer von Straftaten und rassistischen Übergriffen gegenüber Roma auszugehen, die eine Verfolgungsfurcht auch heute begründet. Keineswegs kann pauschal gesagt werden, die Angst von Rückkehrern entbehre heutzutage der Grundlage", heißt es weiter in dem Bericht. Die Innenminister des Bundes und der Länder forderte Pro Asyl deshalb bislang erfolglos dazu auf, aus den Berichten die Konsequenzen zu ziehen und die Abschiebungen zu stoppen. Weitere Argumente, die auch von Menschenrechtskommissar Hammarberg gegen die Abschiebungen ins Feld geführt wurden, werden von Deutschland gleich kategorisch abgewiesen. So seien "wirtschaftliche oder soziale Aspekte im Zielstaat nicht ausschlaggebend für die Frage der Rückführbarkeit einer Person", teilt Innenministeriumssprecher Lörges mit. Der "Vollzug von Rückführungen" richte sich nach dem Deutschen Aufenthaltsgesetz. Den Abgeschobenen drohen vor allem Obdachlosigkeit, Arbeitslosigkeit und Ausgrenzung Hammarberg selbst war erst Anfang Februar wieder im Kosovo, genauer in den bleiverseuchten Romacamps Cesmin Lug and Osterode in Nord-Kosovo. In den Camps leben hunderte Roma, auch solche, die gerade in das Kosovo abgeschoben wurden. Boden, Wasser und Luft seien verseucht, berichtet Hammarberg, und insbesondere Kinder ernsthaft erkrankt. "Ich rufe die europäischen Staaten dazu auf, die Abschiebungen zu stoppen, bis Kosovo adäquate Lebensbedingungen, Gesundheitsversorgung, Schulbildung, Sozialleistungen und Arbeitsplätze bieten kann", sagte Hammarberg. Neben Deutschland seien es hauptsächlich Österreich, Schweden und die Schweiz, die die Abschiebungen durchführten. Die Abschiebungen aus Deutschland in das Kosovo gehen unterdessen weiter. Cornelia Ernst, Europaparlamentarierin für die Linkspartei, hat aus Deutschland abgeschobene Roma im Kosovo besucht. "Das Hauptproblem für die abgeschobenen Roma stellt die Unterbringung und die Geltendmachung von Eigentumsrechten dar", schreibt sie in ihrem Bericht. Die Eigentumsverhältnisse seien oft unklar, drohende Obdachlosigkeit die Folge. Weitere Probleme seien "eine Arbeitslosenrate von 95 % unter den Angehörigen der Roma-Minderheit, fehlende Dokumente der Abgeschobenen, was dazu führt, dass sie ihr Eigentum nicht beanspruchen können und keinen Zugang zu den ohnehin schon sehr geringen sozialen Leistungen des Staates haben, die Isolierung der abgeschobenen Kinder in der Schule, da sie nur Deutsch sprechen und erst albanisch lernen müssen." Ernst berichtet von einem Gespräch mit der aus Deutschland abgeschobenen Familie Osman Osmanaj: Die Familie ist im August 2008 abgeschoben worden, nachdem sie elf Jahre in Böblingen in Deutschland gelebt hat. Wir sind schockiert als wir erfahren, dass der Vater 36 Jahre alt ist, denn er sieht mindestens 15 Jahre älter aus. Die Familie hat fünf Kinder, die kranke Mutter, die im Rollstuhl sitzt, wurde ebenfalls aus Deutschland abgeschoben. Osman wirkt regelrecht verzweifelt, sehr niedergeschlagen, er erzählt uns in einwandfreiem schwäbischem Dialekt, dass sie keinerlei finanzielle Unterstützung bekommen und buchstäblich, so drückte er sich aus, "von der Straße leben". Das Haus besteht aus zwei Zimmern, im "Wohnzimmer" stehen keine Möbel. Der Vater hat in Deutschland bei Daimler gearbeitet und sagt, er sei nie arbeitslos gewesen. Sie wohnen nun in Roma-Mahala und müssen für das Haus Miete bezahlen, denn dieses Haus ist ursprünglich für eine andere Familie gebaut worden. Die Familie ist in dieser Kommune nicht registriert, denn sie verfügen nicht über die dafür notwendigen Dokumente. In ihre alte Heimatgemeinde können sie nicht zurückkehren, dort sei es zu unsicher für sie. Deshalb möchte die Familie auch nicht, dass wir ein Foto von ihnen machen. Sie scheinen Angst zu haben, dass sie jemand findet. Die Mutter sagte: "Keine Fotos machen, das ist zu gefährlich für uns." Die Kinder gehen zur Schule, und langsam wird ihr albanisch besser. Osman erzählt uns, dass viele Abgeschobene gleich weitergezogen sind nach Serbien, dort sei die Lage stabiler und man könnte dort besser leben. Sie haben hier keine Kontakte zu anderen Roma, denn sie sind nicht aus dieser Gegend und die Roma-Gemeinschaft ist sehr in sich geschlossen. Bastian Wrede vom niedersächsischen Flüchtlingsrat berichtet von rassistischen Übergriffen auf Roma im Kosovo, sogar Berichte von Angriffen mit Molotowcocktails gebe es. "Die Roma leben im Kosovo noch immer extrem ausgegrenzt", sagte er. Die Wohnverhältnisse seien unzumutbar. "Teilweise sind das Barackensiedlungen, teilweise sehr, sehr arme Wohnverhältnisse in Dörfern, mit acht oder zehn Leuten in ein, zwei Zimmern." Es sei zynisch zu sagen, dass die Roma eine Chance hätten, sich dort eine Existenz aufzubauen, so Wrede. Die Situation der im Kosovo lebenden Roma sei ohnehin bereits schlimm, durch die Abschiebungen dorthin würde sie sich aber noch verschärfen. Die von der Abschiebung bedrohten Roma hätten teilweise Angst um ihr Leben, würden sie tatsächlich in das Kosovo abgeschoben werden. Mit Bezug auf die Verfolgung und Ermordung von Roma im Nationalsozialismus sagte Wrede, es sei die Frage, ob die Deutschen heute "wieder einfach wegsehen" wollten, wenn die Polizei nachts Wohnungen aufbreche und Menschen verschleppe. (1) http://romarights.files.wordpress.com/2009/12/comhr-merkel.pdf
(2) http://www.proasyl.de/fileadmin/fm-dam/q_PUBLIKATIONEN/Kosovo_Bericht_2009.pdf
Telepolis Artikel-URL: http://www.heise.de/tp/r4/artikel/32/32128/1.html
Il vero "Punto" della situazione alla "Zastava" Kragujevac, ricomprata dalla Fiat italiana. Ne parliamo con Rajka Veljovic, del sindacato "Samostalni" (per cause tecniche, l'intervista telefonica con la compagna non era stata trasmessa durante la scorsa trasmissione)
Prava "Tacka" situacije "Zastave" Kragujevac. Razgovaramo telefonski sa Rajkom Veljovic, iz sindikata "Samostalni".