Informazione

(english / italiano)


Mobilitazione dei comunisti greci contro la Conferenza della Nato di Salonicco

di redazione (22/02/2010)


Il 19 febbraio, nella città greca di Salonicco si è svolta, per iniziativa della NATO, una Conferenza che ha riunito diplomatici e specialisti di diversi paesi, con il proposito di trarre un primo bilancio dei risultati dalla messa in pratica, nei paesi dell’Europa sud orientale, della nuova Concezione Strategica adottata dall’Alleanza Atlantica.

L’avvenimento ha suscitato la vibrata protesta del Partito Comunista di Grecia (KKE), che si è mobilitato per l’occasione, convocando una grande manifestazione (vedere le foto) che ha visto la partecipazione di moltissimi militanti, in particolare giovani. A dimostrazione che in Grecia il movimento pacifista e antimperialista continua a svilupparsi - grazie soprattutto alla tenace iniziativa dei comunisti che non hanno mai abbassato la guardia - con un vigore e un’incisività che non hanno riscontro in molti altri paesi europei. 

I manifestanti hanno “invaso” la sede in cui si stava svolgendo il forum della NATO, interrompendone i lavori e costringendo i delegati ad ascoltare le ragioni dell’opposizione alle politiche militariste e aggressive attuate dal blocco militare imperialista. Nel corso della spettacolare azione, mentre venivano ripetutamente scanditi slogan che chiedevano lo scioglimento dell’alleanza militare occidentale, decine di giovani hanno innalzato fotografie dei crimini commessi nel 1999 dalla NATO nel corso dell’aggressione contro la Jugoslavia.

Fonte e Galleria fotografica: 

http://inter.kke.gr/News/2010news/2010-02-nato-conference

http://picasaweb.google.com/cpg.kke/KKEProtestsNATOConferenceInGreece#


=== english ===

http://inter.kke.gr/News/2010news/2010-02-nato-conference

KKE protests NATO Conference in Greece

The Communist Party of Greece -KKE organized today (19-2-2010) a protest rally against a NATO conference on the New Strategic Concept which is held in Thessaloniki (is the 2nd biggest city of Greece. 

Hundreds of people (see the attached photos) “invaded” in the conference’s place and expressed the Greek people’s opposition to the NATO plans that turn against the interests of the peoples in all over the world.

Young people were carrying photos of NATO’s crimes in Yugoslavia (during the war in 1999)

“NATO murders peoples, disband it now! -KKE” was the slogan on the banner which was at the head of the march. –

Below you can find some details about the NATO’s conference:

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NATO International Conference on the New Strategic Concept 

19 February 2010,Thessaloniki, Greece 

A Conference, organised under the auspices of NATO's Public Diplomacy Division in Thessaloniki- Grand Hotel Palace, GREECE, aims to draw important conclusions for the ongoing process on NATO’s new Strategic Concept.

This conference shall present, discuss, analyze and draw conclusions on NATO policies namely those that are also of importance to the countries of South-Eastern Europe. Concluding outcomes and proposals shall be forwarded to NATO. here you can see a number of national and regional events are being organised by Allied member and Partner states to support the process of developing NATO's new Strategic Concept: http://www.nato.int/strategic-concept/strategic-concept-nat-reg-events.html 

International section of the CC of KKE




CESPI - Centro Studi Problemi Internazionali
Biblioteca Civica “Pietro L. Cadioli”
Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia – onlus
Città di Sesto San Giovanni

3 marzo 2010 ore 21
SPAZIO CONTEMPORANEO “C. Talamucci”
Villa Visconti d'Aragona, Via Dante 6 – Sesto San Giovanni (MI)

Lingue e confini: la guerra infinita?

Giovanni Bianchi, presidente CESPI
Ljiljana Banjanin, ricercatrice di Lingua e Letteratura serbocroata
Valentina Sileo, esperta di linguaggi giovanili dell'area dei Balcani

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Sia durante il Regno di Jugoslavia sia durante la Repubblica Federale (SFRJ) la lingua comune dell'area serbo-croata (attuali Serbia, Croazia, Bosnia-Erzegovina e Montenegro) era indicata ufficialmente come serbocroato. La variante "centrale" adottata corrisponde alla parlata bosniaco-erzegovese, rispetto alla quale le altre varianti si possono considerare dialetti. Tale definizione era frutto di un lungo processo, segnato dalle storiche discussioni tra linguisti, letterati, intellettuali - basti pensare a figure come Dositej Obradović, Ljudevit Gaj, Vuk Karadzić - e dall'accordo di Vienna nel 1850. Il percorso non era stato troppo dissimile da quello seguito per la lingua italiana (si pensi al Manzoni ed alla scelta della variante toscana).

Ma se il serbo-croato sia una sola, o siano due, o più lingue, è rimasta questione fino ad oggi controversa. 
"La lingua può considerarsi come sistema o come standard. Nel primo caso, è ovvio per i linguisti, che il il bosniaco, il croato, il serbo e il montenegrino, sono parte di una stessa lingua, perchè sono identiche dal punto di vista linguistico, genetico e strutturale; per ogni persona di normale buon senso il fatto stesso che la intercomprensione sia completa, fa sì che la lingua sia la stessa. Tuttavia la lingua è anche standard, e questo, come si sa da molti anni, presuppone un accordo sociale sulle regole, le norme linguistiche per una determinata società: si tratta ovviamente di un'idea socio-politica della lingua, e infatti è noto a tutti che il passaggio dal considerare una parlata lingua o dialetto è un fatto principalmente politico" (Banjanin 2008).

In seguito alla frammentazione dello spazio politico jugoslavo, oltre alle lingue "serba" e "croata" si fa talvolta riferimento persino alle ipotetiche lingue "bosniaca" e "montenegrina". La tendenza, tutta politica, è quella di pervenire ad una artificiale separazione tra le varianti, forzando lo sviluppo di "neo-lingue". "L’ideale unitario dei popoli slavi del Sud, la Jugoslavia, poggia sul presupposto che la lingua dei serbi e dei croati sia una sola. Per conseguenza, il compito primario d’ogni nazionalismo separatista era, ed è, provare che si tratta di due lingue diversissime. (...) A guardare bene, più che di un processo di nation-building o rebuilding tramite la creazione del linguaggio, si trattò di una semplice eliminazione di un grande numero di sinonimi e dunque di un impoverimento del linguaggio" (Bogdanić 2003).

Talvolta, "se gli si chiede in quale lingua comunichino, con un po’ di imbarazzo, forse perché coscienti dell’assurdità della loro situazione, [serbi e croati] rispondono: našim jezikom (nella nostra lingua) senza specificare meglio qual è questa «nostra lingua» – la lingua della comprensione reciproca" (Bogdanić 2003). In Bosnia e in Montenegro, in questi anni è capitato che fosse pubblicamente avanzata la proposta, piuttosto surreale, di ri-denominare in questo modo ("lingua nostra") la lingua comune di tutte le comunità "etniche". 

"Sia la linguistica che la sociolinguistica dimostrano che il serbocroato oggi come prima è una lingua standardizzata di tipo policentrico. Tutti e tre [...] i criteri [...], - comprensione reciproca, compatibilità del sistema linguistico, la base dialettale comune (lo štokavo) della lingua standard – indicano che si tratta della stessa lingua policentrica" (Kordić 2006).

Tale questione politico-linguistica non può essere trascurata nemmeno al di fuori dei Balcani. Ad esempio, essa impone una presa di posizione nelle Università europee. Immediatamente dopo le prime secessioni (1991) alcune Università tedesche imposero la ri-denominazione dei corsi di serbocroato e la riformulazione dei programmi di insegnamento. In Italia pressioni politiche hanno mirato a sdoppiare tali corsi, ma senza altrettanto successo spec. a causa della carenza di fondi per eventuali moltiplicazioni delle cattedre. Le pressioni però permangono: ad esempio rispetto alla classificazione bibliotecaria (MIUR 2008).

"In molte università italiane e internazionali i cambiamentti nella lingua sono già stati codificati, però la separazione di questi due rami [serbo e croato] della Slavistica ci pone davanti a molti interrogativi: il primo tra tutti la validità scientifica delle nuove lingue e letterature, che forse continueranno a moltiplicarsi, e così fra breve assisteremo alla nascita anche del šumadinese, del belgradese-moravo, vojvodinese, erzegovese, ecc., ecc., ecc. (senza parlare delle lingue derivate dal kajkavo e dal čakavo [altre varianti dialettali] !)" (Banjanin 2008).

"Il problema a nostro avviso più importante per la lingua serbocroata, è il pericolo di perdita della indubbia ricchezza della lingua: l'impoverimento sarebbe dannoso dal punto di vista del livello culturale dei cittadini territori jugoslavi, sia dal punto di vista letterario e scientifico, sia dal punto di vista degli studenti e degli slavisti stranieri" (Banjanin 2008).
Parallelamente alla separazione linguistica, ragioni politiche hanno imposto una separazione dei programmi scolastici e un disconoscimento del comune patrimonio letterario e della sua storia. Il danno culturale è enorme, e destinato a durare per generazioni intere. 
Con questa iniziativa pubblica si vogliono illustrare tali problematiche, provando aprire un dibattito anche rispetto all'atteggiamento da tenere rispetto alla lingua e letteratura serbocroate nel panorama culturale italiano, da parte cioè delle nostre Università, delle case editrici, di slavisti e giornalisti, degli intellettuali interessati o coinvolti nelle cose balcaniche.

bibliografia e riferimenti:

BANJANIN Ljiljana: ALCUNE NOTE SULLA NECESSITA' DI MANTENERE LO STANDARD SERBOCROATO.
Documento per il Comitato Scientifico di CNJ-onlus (2008) - https://www.cnj.it/CULTURA/jezik.htm#standard08

BOGDANIĆ Luka: SERBO, CROATO O SERBO-CROATO? L’USO GEOPOLITICO DELLA LINGUA.

KORDIĆ Snježana, in: La situazione linguistica attuale nell’area a standard neostokavi (ex serbo-croato), a cura di Rosanna Morabito,  in “Studi Slavistica”, III, Firenze University Press, 2006, p. 325.

MIUR: Nota del 16 ottobre 2008, con la quale si gira senza commento ai bibliotecari degli Atenei una richiesta della Ambasciata della Repubblica di Croazia:

(srpskohrvatski / italiano)

Attraverso Stevan Mirkovic riceviamo e volentieri diffondiamo:

Sent: Sunday, January 10, 2010 12:23 PM
Subject: Aktivnosti u BiH

Udruzenje "Nasa Jugoslavija" (i) u Bosni i Hercegovini se i dalje bori za legalan rad, a prepreka na tom putu imamo mnogo. Registracija je jos u toku i prema mnogim pokazateljima taj proces ce jos potrajati, ali sve upucuje na to da cemo stici i do Evropskog suda za ljudska prava u Strazburgu - drugovima iz BG i SD je to poznato. Ministarstvo pravde u BiH, a identicna situacija je i u Hrvatskoj, nam ne dozvoljava upotrebu naziva "Nasa JUGOSLAVIJA", to im smeta i bode oci, nemaju miran san. Odgovorne institucije ni pojedinci nemaju nikakvu pravnu osnovu po kojoj nam mogu zabraniti upotrebu ovog imena. Mi ne odustajemo od svojih namjera, a glavni cilj je priznavanje prava na nacionalnost Jugoslaven. To smo saopstili u Deklaracijama za BiH i Hrvatsku. Cak je u hrvatski sabor poslan i prijedlog za promjenu Ustava RH (koji jetrenutno u proceduri izmjena i uskladjivanja sa potrebama EU) i unosenjem, odnosno uzimanjem u obzir cinjenice da Jugoslaveni postoje i za sebe traze status kao i sve ostale nacionalnosti. (ii)

U pravcu ostvarenja navedenog cilja ostvareni su mnogi kontakti sa raznim javnim licnostima i organizacijama na teritoriji BiH i Hrvatske, ali i sire (posebno Slovenija) kako bi se stvorio jedinstveni front zajednickog djelovanja. Posebno aktivan je "Forum otpora" (inicijativa zaceta u Sarajevu u septembru 2009. godine) u koji su ukljuceni posebno mladi ljudi, studenti i djaci, sa jugoslavenskih prostora, ali i iz Grcke, Francuske i Belgije. Do sada su odrzana dva skupa (Sarajevo i Ljubljana), a slijedi skup u Zagrebu. (...) Vjerovatno ste culi za slucaj "Finci i Sejdic protiv BiH" - proces vodjen pred sudom u Strazburgu. Ovaj dvojac je dobio sudski proces protiv BiH i njene politike diskriminacije (iii), a taj cin je i za nas Jugoslavene veoma vazan znak da se do uspjeha moze doci samo upornim istrajavanjem na putu ka ostvarenju zacrtanih ciljeva.

Drugarski pozdrav, Dalibor-Bosanac

--- traduzio ne: --

L'associazione "La nostra Jugoslavia" (i) in Bosnia-Erzegovina ancora lotta per il lavoro legale e abbiamo molti ostacoli su questo cammino. La registrazione è ancora in corso e, secondo molti indicatori, il processo richiederà ancora del tempo, ma tutto indica che arriveremo fino alla Corte europea dei diritti dell'uomo di Strasburgo -- i compagni di BG e SD ne sono al corrente. Il Ministero della Giustizia della Bosnia-Erzegovina - e la situazione è identica anche in Croazia - non consente l'uso della denominazione "La nostra JUGOSLAVIA", questo li disturba, non dormono sonni tranquilli. Le Istituzioni responsabili, o gli individui, non hanno alcun fondamento giuridico per impedirci l'uso di questa denominazione. Non rinunciamo a queste nostre intenzioni, il nostro obiettivo principale è il riconoscimento della cittadinanza jugoslava. Questo abbiamo affermato sia nella Dichiarazione per la Bosnia-Erzegovina, che per la Croazia. Anche al Parlamento croato è stata inviata una proposta di modifica della Costituzione della Repubblica di Croazia (che è attualmente in procedura di modifica e armonizzazione con i requisiti UE), con l'apposito inserimento, ovvero con la considerazione del fatto che gli Jugoslavi esistono e che stanno chiedendo il proprio status, identico come per tutte le altre nazionalità. (ii)

Allo scopo del conseguimento degli obiettivi di cui sopra, sono stati realizzati molti contatti con varie personalità ed organizzazioni nel territorio della Bosnia-Erzegovina e della Croazia, ma anche su di un territorio più ampio (in particolare, in Slovenia) perché si crei un fronte unitario di azione comune. Particolarmente attivo è il "Forum della resistenza" (l'iniziativa è stata avviata a Sarajevo nel settembre 2009) in cui sono coinvolti in particolare i giovani, gli studenti e gli alunni dall'area jugoslava, ma anche di Grecia, Francia e Belgio. Fino ad oggi sono state tenute due conferenze (a Sarajevo e Lubiana), e seguirà un raduno a Zagabria.  (...) Probabilmente avete sentito parlare del caso "Finci e Sejdic contro BiH" - processo svoltosi dinanzi alla Corte di Strasburgo. Il duo ha vinto il processo contro la Bosnia-Erzegovina e le sue politiche di discriminazione (iii), e questo evento per noi Jugoslavi è un segnale molto importante, vuol dire che il successo può arrivare soltanto con la perseveranza nella realizzazione degli obiettivi prefissati.

Un saluto cordiale, Dalibor (dalla Bosnia)






LA CULTURA ITALIANA AL TEMPO DEL FASCISMO

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19 feb - Voto bipartisan alla Camera: nelle scuole solo testimoni veri

venerdì 19 febbraio 2010

Solo i testimoni diretti della vicenda delle foibe potranno raccontare quel pezzo di storia nelle scuole. È quanto prevede una risoluzione del Pdl (prima firmataria la deputata Paola Frassinetti) votata all'unanimita' oggi in commissione Cultura alla Camera. 

"Ho voluto chiedere al governo garanzie che nelle scuole a parlare di foibe siano i testimoni diretti di quegli eventi -spiega Frassinetti, che e' vicepresidente della commissione Cultura- purtroppo negli ultimi tempi si sono verificati gravi episodi di negazionismo da parte di alcune associazioni che, ribaltando la verita' storica, travisavano completamente quelle tragiche vicende, arrivando addirittura a colpevolizzare gli italiani". Non solo "alcune scuole -ha aggiunto all'agenzia Dire la Frassinetti- hanno anche deciso di non parlare di questi argomenti di non ricordare". È accaduto, ad esempio, a Roma. 

Di qui la risoluzione, votata anche dall'opposizione, che punta a "incrementare" le iniziative di studio del tema negli istituti, ma anche a garantire un "maggiore controllo sulle associazioni -spiega Frassinetti- che vanno a raccontare ai ragazzi questo pezzo di storia". 
La risoluzione inizialmente prevedeva un albo di associazioni 'accreditate' dal ministero dell'Istruzione a parlare di foibe nelle scuole. Ma il Pd si e' opposto a questa soluzione. Cosi', alla fine, il testo prevede una sollecitazione al governo che dovra' vigilare in qualche modo su chi parlera' di foibe nelle scuole. La risoluzione prevede anche "corsi di formazione per docenti e studenti mediante seminari di studio a loro dedicati e affidati a docenti che ne garantiscano il carattere scientifico". 


(fonte diregiovani.it)

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La VII Commissione della Camera dei Deputati,
premesso che: 

con la legge 30 marzo 2004 n. 92 è stata istituita dal Parlamento italiano la «Giornata del ricordo», al fine di conservare e rinnovare la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani, giuliani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale; 

tale giornata è dedicata alla celebrazione ed alla memoria della complessa vicenda del confine orientale e, all'interno di questa, del martirio degli italiani infoibati, del loro assassinio di massa organizzato dalle bande comuniste del maresciallo Tito, raccapricciante segno di una pulizia etnica che fu attuata in terre teatro di uno storico e tragico scontro di nazionalismi e che durò fino al 1948, provocando l'esilio forzato di 350mila italiani dall'Istria, da Fiume e da tutta la Dalmazia; 

il martirio non fu risparmiato né alle donne né ai bambini, né ai vecchi né ai sacerdoti, la cui sola colpa era quella di essere italiani; 

considerato altresì che: 

all'articolo 1, comma 2, della legge n. 92 del 2004 si fa espresso riferimento al fatto che tali commemorazioni debbano essere realizzate per diffondere la conoscenza dei tragici eventi presso i giovani delle scuole di ogni ordine e grado e che istituzioni ed enti debbano favorire la realizzazione di studi, convegni, incontri e dibattiti in modo da conservare la memoria di quelle vicende; 

tali iniziative, inoltre, devono essere volte a valorizzare il patrimonio culturale, storico, letterario ed artistico degli italiani dell'Istria, di Fiume e delle coste dalmate, in particolare ponendo in rilievo il contributo degli stessi, negli anni trascorsi e negli anni presenti, allo sviluppo sociale e culturale del territorio della costa nord-orientale adriatica, ed altresì a preservare le tradizioni delle comunità istriano-dalmate residenti nel territorio nazionale e all'estero; 

negli ultimi due anni tale ricorrenza è stata celebrata da parte delle più alte cariche istituzionali; 

nonostante tutto, purtroppo, oggi in Italia c'è chi tende a minimizzare la tragedia delle foibe e dell'esodo e, paradossalmente, proprio la scuola è l'istituzione che tende a dimenticare maggiormente questa pagina tragica della storia italiana. Infatti i testi scolastici dovrebbero contemplare questa drammatica vicenda e, invece, in molti casi, la stessa non viene nemmeno menzionata, disattendendo in questo modo una delle principali finalità indicate dalla legge n. 92 del 2004; 

da tempo in molte scuole a parlare delle foibe e dell'esodo sono associazioni che il più delle volte tendono a minimizzare l'evento o comunque ad effettuare ricostruzioni che non corrispondono alle oggettività storiche, così offendendo i martiri italiani; 

pertanto pare necessario che per scongiurare questo pericolo sia più opportuno che a essere chiamati a ricordare e a spiegare nelle scuole questi tragici eventi siano i testimoni diretti di quei fatti, nonché studiosi che abbiano approfondito il tema con serenità e rigore, 

impegna il Governo: 

ad incrementare le iniziative nelle scuole sul tema di cui in premessa, avviando anche dei corsi di formazione per docenti e studenti mediante seminari di studio a loro dedicati e affidati a docenti che ne garantiscano il carattere scientifico; 

a garantire che, nel rispetto dell'autonomia scolastica, siano i testimoni di quelle vicende ad incontrare gli studenti al fine di trasmettere e conservare la memoria della storia e della tragedia dei confini orientali. 

«Frassinetti, Garagnani, Barbieri, Goisis, Granata, Ceccacci Rubino, Mazzuca, Barbaro, Giammanco, Murgia, Centemero, Palmieri, Rivolta, Aprea, Grimoldi, Lainati». 

Roma, 18 febbraio 2010