Informazione

(srpskohrvatski / italiano / français)

Musicisti e poeti jugoslavi

1) Umro je Šaban Bajramović / È morto il Re della musica rom: una metafora del destino tragico dell'uomo di oggi

2) segnalazione intervista a "Lepa Brena" (Fahreta Jahić): Poslednja Jugoslovenka
Branko Ćopić: Da Bosanska Krupa, mia ragazzina (Mala moja iz Bosanske Krupe)


=== 1 ===

È morto Šaban Bajramović, il più grande cantante e compositore rom

È morto domenica (8 giugno), a 72 anni, nella sua casa di Niš, dopo una lunga e sofferta malattia. Incise il primo disco nel 1964, e poi una ventina di album e una cinquantina di singoli. Scrisse e compose circa 700 canzoni d'autore. Era entrato nella leggenda della musica come il Nat King Cole di Niš, è considerato tra i migliori dieci cantanti jazz del mondo.

Per più venti anni fu a capo di una band “Crna mamba” con cui fece il giro del mondo. Fu nella delegazione di Tito in India, e tenne concerti spettacolari in tutto il mondo. Ovunque fu invitato più volte... “Penso che il successo non mi abbia cambiato affatto, ma non ho realizzato i miei sogni. Nessuno, nella mia natale Niš, si è mai ricordato, dopo che mi sono occupato per 40 anni di musica, di dire: ‘Šaban, ti sei meritato la pensione’. Come posso essere soddisfatto”, diceva il cantante da tempo malato. “Vivo tristemente dopo 40 anni di mie canzoni, nessuno che apra il mio cancello o che telefoni per chiedere come vivo e se riesco a vivere in queste condizioni. Patisco...”, aveva detto Bajramović alcune giorni prima di chiudere per sempre gli occhi. Era stato d’ispirazione per innumerevoli artisti di tutto il mondo. Gli ultimi giorni li ha trascorsi con la moglie Milica. Ha lasciato quattro figlie e 12 nipotini, sparpagliati per il mondo, cosa che, come diceva lui stesso, gli provocava una triste ispirazione...

È morto nella povertà, senza un soldo, solo come un cane, come un gitano del Romancero di Garcia Lorca, avendogli l'attuale regime negato il diritto alla pensione! Senza copertura medica! Un ladro gli aveva rubato quei miseri 700€ di risparmi messi da parte! Quale miserabile Europa è questa. Šaban Bajramović è metafora del destino tragico dell' uomo di oggi.

(a cura di OJ e AM)

---

Fonte: www.glassrbije.org (Radio Srbija)

Preminuo Šaban Bajramović, kralj romske muzike
08. jun 2008. 16:23 (Izvor: RTS)

Romski pevač, kompozitor i pesnik Šaban Bajramović preminuo je danas na kardiološkoj klinici Kliničkog centra Niša. Kralj romske muzike je tokom četiri decenije duge karijere pevao širom sveta, a mediji su isticali da Bajramovićev pečat ostaje zauvek utisnut i u džez i bluz muziku. Šaban Bajramović je rođen je u Nišu 1936. godine. Prvu ploču snimio je 1964. godine. Snimio je oko 20 albuma i pedesetak singlova, a napisao je i komponovao oko 700 pesama.  Više od 20 godina predvodio je sastav Crna mamba. Kao glumac pojavljivao se u filmovima 'Nedeljni ručak' i 'Anđeo čuvar' Gorana Paskaljevića, 'Gypsy Magic' Stoleta Popova i 'Crna mačka - beli mačor' Emira Kusturice.

Brajović: smrt Bajramovića gubitak za našu kulturu
08. jun 2008. 18:36 (Izvor: Tanjug)

Ministar kulture Srbije Vojislav Brajović izjavio je Tanjugu da je sa ogromnim žaljenjem primio vest o smrti popularnog i cenjenog pevača Šabana Bajramovića. "To je trajni gubitak za našu kulturu", ocenio je ministar, upućujući iskreno saučešće, pre svega Bajramovićevoj porodici. Brajović je naglasio da mu je "strahovito žao što Bajramović nije uspeo ni da čuje informaciju da je u petak, 6. juna, nađeno rešenje za prevazilaženje problema oko njegovog statusa penzionera i da ga je komisija za dodelu posebnih priznanja uvrstila među dobitnike". "Otišao je jedan od najvećih džez pevača koji je ostvario vrhunske umetničke domete", zaključio je Brajović.

---

Još prije nekoliko dana mediji na Balkanu su ukazali na tešku zdrastvenu i materijalnu situaciju legende romske glazbe. Situacija u kojoj se nalazio glazbenik koji je za života prodao preko milijun ploča i nastupao na nebrojenim koncertima, je bila toliko teška da mu je srbijanski ministar rada i socijalne politike Rasim Ljajić uručio jednokratnu novčanu pomoć od 100 000 dinara (cca 1200€) te najavio pomoć u zdrastvenoj skrbi jer bolesni pjevač nije bio niti zdrastveno osiguran. Bajramović je tada gorko zaključio kako mu nakon 40 godina pjevanja i uspješne karijere "nitko ne dolazi i ne pita kako mu je". Da stvar bude gora 700 eura, koje je Šaban uštedio za "teške dane", mu je ukradeno prilikom nedavne provale u njegovu kuću. (Izvor: WDR)

---

vedi anche:

Addio al re della musica rom (Blic/OdB 9.06.2008)

à lire aussi:

Disparition de Šaban Bajramović : « Le roi est mort ! » (CdB 10 juin 2008)

L’adieu au musicien Šaban Bajramović : « Djelem, Djelem » jusqu’à la tombe (Danas/CdB 12 juin 2008)
=== 2 ===

(a cura di Dragomir Kovačević)


VREME 911, 19. jun 2008.

Povratak Lepe Brene: Poslednja Jugoslovenka

Lepa Brena je prva, a možda i jedina osoba na prostorima bivše Jugoslavije koja je do kraja shvatila sva pravila šou-biznisa. Muškarci su je voleli jer je prototip balkanske lepotice. Žene su se identifikovale sa "nežnom ženom". Deca su volela Brenu zbog veselih i pevljivih, "brzohvatajućih" hitova. Danas, posle svega, svi vole Brenu jer je simbol jednog vremena – kada smo svi bili srećni, bezbrižni, visoki i plavi. Baš kao i ona...




Si tratta di un onesto articolo nella rivista belgradese "Vreme" sulla cantante neo-folk "Lepa Brena" (Fahreta Jahić), molto attiva nel periodo 1981-1991. 

Non era per niente antipatica come certi cantanti "leggeri", e non lo erano neanche la musica e i contenuti, rivolti ai bambini, ai giovani e ai nostri gastarbeiter all'estero. Dall'intervista si capisce tanto. 
Mi ha colpito la foto in fondo all'articolo: il nostro scrittore e poeta, il dolce Branko Ćopić, in una delle tante visite alle scuole, questa volta nella cittadina di Brčko, paese nativo di Fahreta Jahić.

Di sicuro Lepa Brena ha concesso la foto alla rivista, nel ricordo e nel rispetto che in tanti nutriamo per Branko Ćopić. 
Diceva Miroslav Krleža a Branko Ćopić: Eh, caro Branko, se io avessi avuto il suo canto! Branko Ćopić era davvero un grande intellettuale, travestito da contadinotto della Bosnia, un "David Strbac"...

Ho giocato con la memoria e con una poesia di Branko: Lepa Brena-Fahreta come la ragazzina di Branko a Bosanska Krupa. Ho giocato con la mia memoria...

Branko Ćopić:
Da Bosanska Krupa, mia ragazzina (Mala moja iz Bosanske Krupe)


Un dodicenne ero,

che per la prima volta scese nella città dal paese

quieto e remoto, quando ti vidi all'improvviso.

Ehh, di ricordi stupidi ce n'è più di una dozzina!

Da Bosanska Krupa, mia ragazzina!


Chi lo sa se tu avessi visto

un confuso allievo biondo dagli occhi azzurri,

nelle calzature nuove, incastrato, che smusava nella vetrina?

Da Bosanska Krupa, mia ragazzina!


Tu giungesti com'una nuvoletta,

il tuo sguardo mi fece perdere coscienza,

dimenticai chi ero e da dove provenivo,

dimenticai i nomi di attinenza.

Mancai di proferire qualche parola carina,

Da Bosanska Krupa, mia ragazzina!


Passarono i giorni liceali,

ma il ricordo di te non cessò,

La Una smeraldo, nelle notti di primavera, il tuo nome mi sussurrò.

Libravi dinanzi la mia panchina,

Da Bosanska Krupa, mia ragazzina!


Passarono presto i giorni di scuola,

com'una farfalla di alette d'oro,

ma ti portai nel cuore lo stesso,

per tutte le burrasche dei giorni di termidoro.

Sono i ricordi di te che curo in sordina,

Da Bosanska Krupa, mia ragazzina!


Ora è tardi, i capelli mi son bianchi,

scruto l'Una silenzioso come se fosse muto,

invano giro per le strade note,

tutto è deserto, il tuo passo ormai è perduto.

Ohh, la vita preziosa e divina,

Addio a te, da Bosanska Krupa, mia ragazzina...


(Traduzione di Dragomir Kovačević, con gratitudine per il poeta e con stima per la cantante jugoslava)




Italia: la Legge è diversa per ciascuno

1) Il Decreto legge sulla sicurezza un salvagente per i responsabili delle violenze al G8 di Genova
SALTANO ANCHE I PROCESSI DEL G8? INTERVENGA NAPOLITANO (Com. Stampa www.veritagiustizia.it)
Il Decreto legge sulla sicurezza un salvagente per i responsabili delle violenze al G8 di Genova (ARCIreport)
Il Comitato Carlo Giuliani invita a spedire una lettera al Presidente della Repubblica

2) Continua la discriminazione su base razziale e la persecuzione dei rom
Spedizione punitiva della polizia contro un rom e la sua bambina (Liberazione)
Gravissima aggressione ai danni di un cittadino rumeno (NOTA STAMPA del NAGA)
«I vigili hanno fatto scendere dal bus i bambini romeni. Mi son venuti i brividi...» (Liberazione)


=== 1 ===

COMITATO VERITA' E GIUSTIZIA PER GENOVA
www.veritagiustizia.it - info@...

comunicato stampa

SALTANO ANCHE I PROCESSI DEL G8? INTERVENGA NAPOLITANO

Sembra che il cosiddetto decreto salva Berlusconi, fra i suoi vari
effetti collaterali, abbia la sospensione dei processi in corso contro
agenti, funzionari e dirigenti delle forze dell'ordine per i fatti del
G8 di Genova del 2001. Sarebbe una beffa, dopo sette anni di indagini
e udienze, e un atroce atto di ingiustizia per le centinaia di vittime
degli abusi compiuti nella caserma di Bolzaneto e nella scuola Diaz e
per tutti i cittadini democratici. Sarebbe un atto così grave, che
stentiamo a credere che possa davvero compiersi.

Com'è noto, i procedimenti giudiziari sono alla vigilia della sentenza
di primo grado: quella per i maltrattamenti inflitti ai detenuti nella
caserma di Bolzaneto, riguardante 45 agenti, è stata messa in
calendario per il prossimo mese di luglio; quella per i pestaggi, le
falsificazioni, gli arresti arbitrari alla scuola Diaz, riguardante 29
funzionari e dirigenti di polizia, è attesa per novembre.

Se davvero il parlamento decidesse di bloccare questi delicati
processi, saremmo di fronte a un atto sostanzialmente eversivo: si
impedirebbe alla magistratura di fare la sua parte (almeno in primo
grado) in merito ad eventi che hanno segnato una gravissima caduta
dello stato di diritto, gettando discredito sulle nostre forze
dell'ordine e sull'intero ordinamento democratico italiano.

Si impedirebbe a centinaia di persone, vittime degli abusi nella
caserma di Bolzaneto e nella scuola Diaz, di aspirare a un
risarcimento morale attraverso la giustizia; si impedirebbe a tutti i
cittadini di recuperare fiducia nella legalità costituzionale, che a
Genova fu sospesa e che il parlamento si appresta ad accantonare.

Ci appelliamo al presidente della Repubblica, garante della
Costituzione, affinché ci risparmi questo scempio.

Genova, 17 giugno 2008
Comitato Verità e Giustizia per Genova

info: Lorenzo Guadagnucci 3803906573
Enrica Bartesaghi 3316778150

---

Fonte: arcireport n. 24 - 24 giugno 2008 - www.arci.it/report

Il Decreto legge sulla sicurezza un salvagente
per i responsabili delle violenze al G8 di Genova

«G8, l'ultima manganellata»,
questo l'efficace titolo delle pagine genovesi de La
Repubblica a commento delle conseguenze
della ‘legge blocca-processi’ - detta
anche ‘salva-Berlusconi’ - sui processi
Diaz e Bolzaneto.
Non meno esplicito il maggior quotidiano
cittadino, Il Secolo XIX: «G8 di Genova,
nessun responsabile tra le forze dell'ordine ». 
Più distaccato Il Corriere Mercantile:
«Processi a rischio stop per Diaz e
Bolzaneto, esplode la polemica».
Tanta sintonia tra quotidiani non certo
schierati a sinistra testimonia di come a
Genova si viva come un ennesima violenza
la possibilità che i responsabili di massacri
e torture possano uscire di scena
senza neppure una sentenza di condanna.
Amnesty international in un comunicato
parla di «Una sfortunata coincidenza, che
va purtroppo ad aggiungersi a una serie di
circostanze che non da coincidenze derivano,
bensì da precise responsabilità, le
quali rendono particolarmente negletti i
processi per i fatti di Genova e ancora più
ardua la ricerca della giustizia per le vittime ». 
Ma è proprio così? Dopo le vergogne
a cui abbiamo assistito - archiviazioni del
dell'omicidio Giuliani, ‘molotov’ portate dalle
forze dell'ordine, bugie e ‘non ricordo’ nelle
testimonianze - non stupirebbe che tra gli
obiettivi ci fosse anche questo.
Un autorevole giurista come l'ex Presidente
della Corte Costituzionale Valerio
Onida alla domanda «Il 30 giugno 2002
come data da cui partire per fermare i processi
è comprensibile?» Risponde: «E
quale sarebbe la giustificazione? Io non
l´ho letta da nessuna parte. Per me resta
uno spartiacque incomprensibile».
Più esplicito l'articolista de La Repubblica,
Marco Preve, che scrive: «Nel dibattito
politico i critici lo chiamano l´emendamento
‘salva Berlusconi’. Ma il decreto legge
sulla sicurezza potrebbe rappresentare il
salvagente anche per alcuni imputati genovesi
che, guarda caso, rappresentano il fior
fiore della polizia italiana, e che si trovano
ai vertici degli organismi che gestiscono la
lotta al crimine organizzato piuttosto che i
servizi segreti.
Tutta gente che, se condannata, creerebbe
sicuramente qualche imbarazzo al riconfermato
capo della polizia Antonio
Manganelli, che a quel punto sarebbe,
forse, costretto a prendere qualche decisione
di tipo disciplinare. Questo per quanto
riguarda il dibattimento Diaz. Per il
processo di Bolzaneto invece, il colpo
di spugna garantirebbe all´Italia di
schivare una figuraccia internazionale
legata a quel carcere speciale in
cui i diritti ebbero lo stesso rispetto
che nelle prigioni sudamericane».
Per poi chiarire ulteriormente il concetto:
«In queste ore di attesa per
conoscere la sorte dell´emendamento,
negli ambienti giudiziari il timore
che sia la Diaz che Bolzaneto possano
saltare è forte.
Addirittura per il processo sul carcere
speciale (45 persone imputate tra
poliziotti, medici e agenti di polizia
penitenziaria), sarebbe una beffa
visto che il tribunale dovrebbe entrare
in camera di consiglio il 21 luglio».
Riccardo Passeggi, uno degli avvocati
del Genoa Legal Forum, dice: «È
ancora presto per le contromosse ma
ci stiamo preparando. In ballo c´è il
principio generale di eguaglianza del
cittadino davanti alla legge. Stabilire
la cancellazione per certi reati commessi
ad una certa data arbitraria
potrebbe configurare un vizio di illegittimità,
perché andrebbe a ledere il
principio costituzionale dell´obbligatorietà
dell´azione penale e dell´indipendenza
della magistratura».
Un'ultima riflessione. Le norme non si
applicherebbero ai processi per reati con
pene sopra i dieci anni. Se il codice penale
italiano prevedesse il reato di tortura
forse gli imputati di Bolzaneto non sfuggirebbero
comunque alla legge. Ma secondo
alcuni in Italia la tortura non esiste.


---

Il Comitato Carlo Giuliani invita a spedire questa
lettera al Presidente della Repubblica

Gentile Presidente,

il Parlamento sta per approvare una norma
che bloccherebbe una serie di processi
riguardanti fatti avvenuti prima del 30 giugno
2002. Fra questi vi sono i processi relativi ai
fatti di Genova del luglio 2001, quando le
garanzie costituzionali furono ripetutamente
calpestate, come ormai accertato sul piano
storico. La norma in questione bloccherebbe
due procedimenti arrivati ormai alla vigilia
della sentenza di primo grado. Nel primo,
riguardante i maltrattamenti inflitti a decine di
detenuti italiani e stranieri nella caserma di
polizia di Bolzaneto, sono imputati 45 appartenenti
alle forze dell'ordine: secondo il calendario
fissato dal Tribunale di Genova, la sentenza
è prevista entro la fine di luglio.
Nel secondo processo sono imputati 29 funzionari
e dirigenti di polizia per i pestaggi, le
falsificazioni, gli arresti arbitrari di 93 persone
(fra le quali 75 di nazionalità straniera) all'interno
della scuola Diaz: la sentenza è attesa
per il mese di novembre.
Centinaia di vittime dirette dei soprusi e tutti i
cittadini democratici - io fra questi - guardano
al tribunale di Genova con una sincera aspirazione
alla giustizia. Bloccando i processi
alla vigilia della sentenza, la fiducia mia e di
tutti i cittadini nella legalità costituzionale
sarebbe irrimediabilmente compromessa. A
Genova lo stato di diritto fu sospeso e furono
compiuti abusi inconcepibili per un paese
democratico: è inaccettabile - e pericoloso -
che si impedisca alla giustizia di fare il suo
corso.
Per questo Le chiedo di intervenire, con tutti
gli strumenti a sua disposizione, affinché nel
nostro paese non si compia un simile arbitrio.
Cordialmente, un cittadino democratico.


=== 2 ===

Liberazione 22-06-08 (fonte: http://www.arci.it/news.php?id=9739)

Picchiato a sangue da quattro agenti, davanti alla baracca dove viveva
Due giorni prima era stata picchiata sua figlia dodicenne, e lui aveva osato protestare

Spedizione punitiva della polizia contro un rom e la sua bambina

Laura Eduati

Un rumeno di etnia rom, Stelian Covaciu, è stato picchiato a sangue
da quattro agenti della polizia. E' accaduto nella tarda serata di
giovedì, accanto alla baracca dove vivono Stelian e la sua famiglia,
a pochi passi da piazza Tirana, Milano. Soltanto martedì scorso la
figlia di Stelian, Rebecca Covaciu, 12 anni, era stata aggredita da
due agenti in borghese che poi avevano spintonato il padre e dato
sberle al fratellino quattordicenne Jon urlando: «Zingari di merda,
se non ve ne andate vi ammazziamo e distruggiamo tutto». Dopo il
pestaggio di venerdì Stelian, 40 anni, missionario evangelico
pentecostale, è stato ricoverato all'ospedale San Paolo dove gli
hanno riscontrato un trauma cranico e segni di forti percosse. E'
stato dimesso ieri con una prognosi di sei giorni. La polizia lo ha
interrogato ma Stelian non ha voluto sporgere denuncia: teme di
venire espulso in quanto non ha ancora trovato una occupazione. Gli
agenti che l'hanno accompagnato in ospedale a bordo dell'ambulanza
gli hanno detto: «A noi puoi raccontare la verità». La verità esce
dalla bocca di Rebecca, la figlia dodicenne di Stelian. Rebecca è una
bimba prodigio. Dipinge su tela e illustra la sua vita nelle
baracche, tra topi e immondizia. I suoi disegni sono stati esposti e
poi acquisiti in permanenza dall'Archivio storico di Napoli per la
Giornata della Memoria del 2008. Per le sue doti artistiche, Rebecca
ha ricevuto il premio Unicef 2008. E venerdì sera da quelle due
volanti ha visto scendere anche uno dei due uomini che l'avevano
aggredita martedì.

Milano, pochi giorni prima avevano malmenato anche la figlia.
La Questura nega l'aggressione
«La polizia mi ha picchiato a sangue»
Un rom accusa quattro agenti

Un uomo sui 35 anni, con gli occhiali, che avrebbe chiesto alla madre
Gina: «Mi riconosci?». E lei, per paura, ha negato. Poi l'uomo si è
rivolto al capofamiglia Stelian: «Hai fatto un errore a parlare con i
giornalisti, un errore che non devi ripetere», poiché dopo
l'aggressione alla figlia, Stelian aveva immediatamente contattato
l'associazione di cui fa parte, la Everyone, che ha diramato un
comunicato urgente a tutti i mezzi di informazione. A quel punto i
quattro agenti si sarebbero infilati i guanti, e Rebecca quei guanti
li ha riconosciuti: erano gli stessi che i suoi aggressori avevano
indossato prima di perquisirla e picchiarla. Gina, 37 anni, ha visto
che il marito Stelian veniva trascinato dietro la baracca mentre
Rebecca e il fratellino Jon si erano rintanati dentro le mura di
cartone, terrorizzati. A quel punto gli agenti lo avrebbero picchiato
selvaggiamente. «Non raccontarlo a nessuno o per te saranno guai
ancora peggiori», hanno detto i poliziotti prima di andarsene. Quando
è arrivata l'ambulanza Stelian non riusciva a parlare, in evidente
stato di choc.
Gina è riuscita a prendere il numero di targa di una delle due
volanti. Eccolo: E5228. Poiché la baracca dei Covaciu sorge isolata
nei pressi della stazione San Cristoforo, nessuno al di fuori della
famiglia ha potuto assistere al pestaggio. Ma una ventina di rom che
si trovavano in piazza Tirana quella sera ricordano perfettamente di
aver visto due volanti della polizia dirigersi verso la dimora dei
Covaciu. La Questura di Milano nega che Stelian sia stato picchiato e
ricostruisce l'episodio dicendo che effettivamente nella serata di
venerdì degli agenti della Polizia Ferroviaria si sono diretti dai
Covaciu per allontanarli dalla baracca «vincendo le iniziali
resistenze dell'uomo» con metodi che però hanno evitato «conflitto e
tensioni». Non finisce qui: la Questura promette di accertare
eventuali ipotesi di reato. La Procura di Milano ha avviato una
indagine. La famiglia Covaciu ha lasciato la Romania due anni orsono.
La città di origine si chiama Arad. Si sono trasferiti a Milano,
andando ad occupare baracche abusive che via via le forze dell'ordine
facevano sgomberare. Pochi mesi fa avevano deciso di cambiare aria,
si sono stabiliti a Napoli, ma dopo il rogo del campo rom di
Ponticelli hanno avuto paura delle e sono tornati a Milano. Da poche
settimane il prefetto di Milano, Gian Valerio Lombardi, ha dato il
via alla schedatura dei rom e dei sinti presenti sul territorio
milanese nei campi regolari e abusivi. La schedatura avrà come
risultato la distinzione tra persone con i documenti in regola per il
soggiorno, e persone che non potranno rimanere in Italia e che per
questo verranno allontanate o espulse. Ciò sta accadendo anche a Roma
e Napoli, dove a bambini e adulti le forze dell'ordine stanno
prendendo le impronte digitali. Allo stesso tempo continuano gli
sgomberi delle baracche abusive. Non si contano, ormai, le
associazioni e gli organismi internazionali che denunciano il clima
di razzismo e xenofobia nei confronti degli stranieri e specialmente
nei confronti dei rom. Se dei poliziotti picchiano a sangue un rom
durante una operazione di sgombero, significa che si sta diffondendo
una sorta di impunità. Se un deputato leghista come Matteo Salvini
paragona gli zingari ai topi senza che nessuno muova un ciglio, non
sorprende che qualche poliziotto razzista si senta nel diritto di
agire in modo violento e crudele, anche nei confronti di una bambina
di appena dodici anni, perquisita in malomodo alla stazione San
Cristoforo di Milano e poi presa a schiaffi in una sala d'aspetto
mentre un capostazione, attirato dalla urla, cerca di interrompere la
perquisizione brutale. Non possiamo scaricare sull'intera Polizia la
responsabilità dell'episodio. Ecco perché chiediamo al capo della
polizia Giorgio Manganelli, al ministro dell'Interno Roberto Maroni e
al presidente della Repubblica Giorgio Napolitano di fare luce su
quello che è accaduto a Stelian e Rebecca. Non si tratta soltanto di
fare giustizia e di condannare gli agenti implicati, ma anche di
scrollarci di dosso l'etichetta di Paese razzista. Un'etichetta che
ci fa orrore.

---

From: "tommaso vitale"


NOTA PER LA STAMPA
Gravissima aggressione ai danni di un cittadino rumeno:
il Naga chiede venga fatta chiarezza
  
Milano, 23  giugno 2008. Sei giorni di prognosi per trauma
cranico dopo una notte in osservazione al  pronto soccorso
dell'Ospedale San Paolo: Stelian Covaciu (rom rumeno), con
la sua famiglia, sarebbe stato “allontanato” con
questi esiti dalla polizia lo scorso venerdì 19 giugno
dalla baracca lungo la massicciata della stazione di San
Cristoforo dove viveva con la moglie, i tre figli
minorenni e la nuora incinta.
  
Secondo quanto raccontato dallo stesso Covaciu,
l’aggressione segue un episodio analogo avvenuto martedì
17 giugno, quando alle 8.00 del mattino si sono presentate
due persone, presentatesi come poliziotti, che, in assenza
del padre, hanno minacciato i componenti della famiglia
Covaciu, tra l'altro intimandoli di lasciare la baracca se
non volevano venisse distrutta. Poco dopo, i due hanno
costretto i Covaciu a entrare nella sala di attesa della
stazione per un controllo, li hanno strattonati,
perquisiti e lì trattenuti, fino a quando il capostazione,
richiamato dalle urla dei bambini, della madre e del padre
nel frattempo intervenuto, ha chiesto spiegazioni.
I due, nel rispondere di essere poliziotti, hanno comunque
lasciato andare la famiglia.
  
La notte di venerdì Stelian Covaciu è stato minacciato
dalla polizia, percosso e questa volta è finito al pronto
soccorso, dove ha passato una notte in osservazione; è
stato infine dimesso alle 15.30 di sabato pomeriggio, alla
presenza di giornalisti e associazioni di volontariato.
  
Si aggiunga, infine, che fino ad ora alla famiglia Covaciu
sarebbe stato fisicamente impedito di ritirare i loro
averi, tuttora giacenti nella baracca, sorvegliata a vista
dalla polizia.
  
Il Naga, che con i gruppi Medicina di strada e SOS
Espulsioni offre assistenza sanitaria e legale a chi vive
nelle aree dimesse ed i campi rom della città di Milano,
chiede con forza che venga fatta chiarezza su tali
gravissimi avvenimenti, ennesimi episodi di sopruso e
discriminazione a danno di rom rumeni,  persone che,
benché cittadini europei, troppo spesso non sono nelle
condizioni di sporgere denuncia, per timore delle
possibili ripercussioni.
  
Per maggiori informazioni
Segreteria di direzione - NAGA
02 58 10 25 99
389 51 55 818

naga@...
www.naga.it


---

Liberazione 05-06-08 (fonte: http://www.arci.it/news.php?id=9631)


Un testimone ci racconta un episodio di razzismo di Stato. «Quanto manca al disastro?» 
«I vigili hanno fatto scendere dal bus i bambini romeni. Mi son venuti i brividi...» 
Marcello Cantoni 

Cara Liberazione, oggi a Roma ho assistito con i miei occhi ad un esempio del nuovo corso legalitario nazionale e capitolino. Ero alla fermata Atac di piazza delle cinque lune, davanti a Piazza Navona. Passa l'autobus numero trenta, si ferma e apre le porte, due vigili si avvicinano e guardano all'interno del veicolo. Poi intimano all'autista di non ripartire e salgono sul mezzo, si dirigono verso una famiglia rumena e la fanno scendere. Una volta a terra scatta la prassi. Documenti, chi è questa ragazza, di chi è il bambino e via dicendo. La storia finisce bene, la famiglia è in regola. Io guardavo la scena e con me una ragazza poco lontana. Eravamo abbastanza schifati. I due vigili devono aver sentito il nostro sguardo. Non hanno usato toni pesanti con la famiglia, e sembrava quasi si sentissero in imbarazzo e si chiedessero il senso di quella loro azione. Resta il fatto che, gentili o meno, il nuovo corso è sbarcato nella Capitale. I vigili devono obbedire ad Alemanno e ai suoi furori, e allora via sugli autobus a cercare i "pericolosi". Non so come finirà, so che assistere a quella scena mi ha fatto venire un brivido alla schiena. Io ho trent'anni e per mia fortuna non ho vissuto il periodo delle deportazioni, ma qualcosa del genere - differente nella follia e nel numero, ma simile nell'idea di fondo - deve essere accaduto. Quando si arriva a far scendere una famiglia con bambini piccoli da un mezzo pubblico, solo perchè appartiene ad un etnia, mi chiedo: quanto manca al disastro? 





I giornalisti scendono in piazza

11.06.2008    Da Osijek, scrive Drago Hedl

Manifestazione a Zagabria dei giornalisti croati dopo la brutale aggressione contro il collega Dušan Miljuš, di Jutarnji List, noto per le sue inchieste su mafia e politica. Sconcertanti dichiarazioni del ministro dell'Interno. La cronaca del nostro corrispondente


Più di trecento giornalisti croati hanno protestato venerdì scorso davanti al palazzo del Governo, irritati dall'inattività dalle forze di polizia, incapaci di trovare i colpevoli dei sempre più frequenti attentati contro di loro. La brutale aggressione al noto giornalista del quotidiano Jutarnji List, Dušan Miljuš, colpito con spranghe di metallo nell'atrio del palazzo in cui si trova il suo appartamento e finito in ospedale con una mano fratturata, commozione cerebrale e contusioni al volto, è stata la goccia che ha fatto traboccare il vaso, e i suoi colleghi hanno perso la pazienza. Generalmente divisi e finora impreparati a simili azioni, i giornalisti si sono decisi a scendere in piazza e a dimostrare, ritenendo che comunicazioni e appelli, alla luce dei recenti attentati, non siano più sufficienti. 

Dušan Miljuš è un noto giornalista di Zagabria e uno dei più informati sul crimine organizzato e sul connubio tra mafia e politica. Alcuni mesi fa, sul famoso quotidiano zagabrese Večernji List, esponenti della malavita della capitale hanno pubblicato la sua epigrafe, nella rubrica in cui i giornali inseriscono gli annunci mortuari a pagamento. Si è trattato di un chiaro avvertimento a Miljuš su ciò che gli potrebbe accadere nel caso in cui si mettesse a scrivere sugli affari loschi e illegali della malavita, spesso intrecciati con l'alta politica. Miljuš non ci ha fatto caso, così come non si è curato delle minacce telefoniche che gli sono state indirizzate. 

Domenica primo giugno due persone dall'identità sconosciuta, in moto e con i caschi in testa, l'hanno seguito nel suo percorso usuale, dalla palestra fino al suo appartamento, dove hanno cercato di ucciderlo prendendolo a sprangate. Se non fosse riuscito ad alzare il braccio e a pararsi dal colpo alla testa, e se i vicini non fossero intervenuti, probabilmente non sarebbe rimasto in vita. 

“Ora non gli resta che uccidermi. Non c'è una terza possibilità. Sono contento di essere ancora vivo, ma non mollerò”, ha fatto sapere Miljuš dal letto d'ospedale. 

I giornalisti si sono particolarmente indignati per il fatto che il ministro dell'Interno Berislav Rončević, quando gli è stato chiesto quali provvedimenti prenderà dopo l'attentato a Dušan Miljuš, ha risposto con un'altra domanda: “Chi è Miljuš?”. 

Il giornalista di Jutarnji List Hrvoje Appelt, sdegnato dall'ignoranza del ministro, si è chiesto: ”Se il ministro della polizia non è a conoscenza del fatto che in Croazia c'è un giornalista che da 20 anni scrive sulla realtà del crimine organizzato nel paese, la domanda è quanto il ministro conosca questa realtà e soprattutto in che modo stia lottando contro i criminali.” 

In rivolta contro tale disinformazione da parte del ministro Rončević, che non conosce il nome di uno dei principali giornalisti che si occupa del crimine organizzato, degli scandali di corruzione e della mafia – quindi proprio di ciò che è di sua competenza – alla protesta i giornalisti indossavano una maglia con scritto “Chi è Rončević?”, una chiara allusione alla sua incompetenza. 

Quanto sia stata inopportuna per il governo Sanader l'infelice dichiarazione del ministro dell'Interno, dopo l'attentato al giornalista Miljuš, è testimoniato anche dal tacito consenso della polizia a permettere ai giornalisti ciò che agli altri cittadini è vietato. Trecento giornalisti, cioè, hanno letto la propria lettera di protesta al premier e al presidente del parlamento di fronte al palazzo del Governo, sulla piazza di S. Marco a Zagabria, dove gli incontri pubblici e le dimostrazioni dei cittadini sono vietati per legge. 

“Andiamo davanti alla loro porta!” ha detto Ivan Zvonimir Čičak, noto difensore dei diritti umani, per molto tempo presidente del Comitato di Helsinki per i diritti umani, che scrive editoriali sulle pagine di Jutarnji List. La polizia ha evidentemente ricevuto l'ordine di non intervenire, consapevole che il tentativo di fermare con la forza la protesta pacifica dei trecento giornalisti di fronte alla sede del Governo avrebbe provocato il malcontento dell'opinione pubblica. Dopo che i giornalisti hanno letto indisturbati le loro richieste davanti alla porta della sede del Governo, i poliziotti hanno ripreso a mettere in pratica la legge. Hanno impedito a due pirotecnici ventenni, che lavorano come sminatori in quelle che un tempo erano zone di guerra, di dimostrare di fronte al Governo perché insoddisfatti delle condizioni di lavoro e dei plurimi mesi di ritardo della paga. 

I giornalisti vogliono che la polizia trovi i responsabili dell'attentato a Miljuš, convinti che il mandante sia qualcuno della malavita. Negli ultimi tempi ci sono stati alcuni episodi di violenza nei confronti dei giornalisti croati, ma la polizia non ha trovato nessun responsabile. Lo stesso per quanto riguarda le minacce ai giornalisti, che la polizia non prende in serio conto, così che quando queste si traducono in violenza, non trova gli attentatori. 

Il giorno successivo all'attentato a Miljuš, il premier Ivo Sanader ha subito ricevuto i rappresentanti delle organizzazioni dei giornalisti e ha promesso loro che il Governo, nella persona del ministro dell'Interno, farà di tutto per trovare i responsabili. Il premier ha dato disposizioni a Rončević – lo stesso che ha affermato di non sapere chi è Miljuš – di fare il possibile per risolvere il caso. Per dare prova della sua attività, la polizia ha subito messo sotto protezione alcuni giornalisti che negli ultimi mesi sono stati esposti a serie minacce, ma gli attentatori di Miljuš, una decina di giorni dopo l'aggressione, non sono stati trovati. 

Tra i principali giornalisti croati in questi giorni si parla anche di un possibile sciopero generale, così da boicottare l'uscita dei quotidiani per un giorno e ridurre al minimo le trasmissioni televisive e radiofoniche. Questo per attirare l'attenzione dell'opinione pubblica sulle condizioni in cui lavorano i giornalisti croati e, inoltre, per fare pressione sul governo affinché si trovino coloro che li aggrediscono. 



Il 22 giugno 1941 i nazifascisti aggredivano l'Unione Sovietica.
Il 3 luglio successivo Giuseppe Stalin si rivolgeva al popolo con un discorso che riportiamo
di seguito, nella traduzione in lingua inglese.
Proprio oggi soprattutto in Russia e Bielorussia l'evento viene commemorato con iniziative
ufficiali, tra cui la visita del presidente russo Medvedev a quello bielorusso Lukashenko.
La ricorrenza non viene invece ricordata nei paesi occidentali, nei quali  ad uno stato
avanzato la riscrittura della storia del Novecento in termini filofascisti e filonazisti oltrech
antisovietici.
(a cura di AM per il CNJ)

STALIN'S ADDRESS TO THE SOVIET PEOPLE RE JUNE 22 NAZI INVASION

--- In SovietBelarus @yahoogroups.com, "cccp_3a_cccp" wrote:

RADIO ADDRESS OF 3 JULY 1941, BY JOSEPH STALIN, CHAIRMAN OF THE
COUNCIL OF PEOPLE'S COMMISSARS OF THE U.S.S.R.

As Transcribed and Translated by Soviet Russia Today, August, 1941


Comrades! Citizens! Brothers and sisters! Men of our army and navy!
I am addressing you, my friends!

The perfidious military attack on our Fatherland, begun on June 22nd
by Hitler Germany, is continuing.

In spite of the heroic resistance of the Red Army, and although the
enemy's finest divisions and finest airforce units have already been
smashed and have met their doom on the field of battle, the enemy
continues to push forward, hurling fresh forces into the attack.

Hitler's troops have succeeded in capturing Lithuania, a
considerable part of Latvia, the western part of Byelo-Russia, part
of Western Ukraine. The fascist airforce is extending the range of
operations of its bombers, and is bombing Murmansk, Orsha, Mogilev,
Smolensk, Kiev, Odessa and Sebastopol.

A grave danger hangs over our country.

How could it have happened that our glorious Red Army surrendered a
number of our cities and districts to fascist armies? Is it really
true that German fascist troops are invincible, as is ceaselessly
trumpeted by the boastful fascist propagandists? Of course not!

History shows that there are no invincible armies and never have
been. Napoleon's army was considered invincible but it was beaten
successively by Russian, English and German armies. Kaiser Wilhelm's
German Army in the period of the first imperialist war was also
considered invincible, but it was beaten several times by the
Russian and Anglo-French forces and was finally smashed by the Anglo-
French forces.

The same must be said of Hitler's German fascist army today. This
army had not yet met with serious resistance on the continent of
Europe. Only on our territory has it met serious resistance. And if,
as a result of this resistance, the finest divisions of Hitler's
German fascist army have been defeated by our Red Army, it means
that this army too can be smashed and will be smashed as were the
armies of Napoleon and Wilhelm.

As to part of our territory having nevertheless been seized by
Germany fascist troops, this is chiefly due to the fact that the war
of fascist Germany on the USSR began under conditions favorable for
the German forces and unfavorable for Soviet forces. The fact of the
matter is that the troops of Germany, as a country at war, were
already fully mobilized, and the 170 divisions hurled by Germany
against the USSR and brought up to the Soviet frontiers, were in a
state of complete readiness, only awaiting the signal to move into
action, whereas Soviet troops had still to effect mobilization and
move up to the frontier.

Of no little importance in this respect is the fact that fascist
Germany suddenly and treacherously violated the Non-Aggression Pact
she concluded in 1939 with the USSR, disregarding the fact that she
would be regarded as the aggressor by the whole world.

Naturally, our peace-loving country, not wishing to take the
initiative of breaking the pact, could not resort to perfidy.

It may be asked how could the Soviet Government have consented to
conclude a Non-Aggression Pact with such treacherous fiends as
Hitler and Ribbentrop? Was this not an error on the part of the
Soviet Government? Of course not. Non-Aggression Pacts are pacts of
peace between states. It was such a pact that Germany proposed to us
in 1939.

Could the Soviet Government have declined such a proposal? I think
that not a single peace-loving state could decline a peace treaty
with a neighboring state, even though the latter was headed by such
fiends and cannibals as Hitler and Ribbentrop. Of course only on one
indispensable condition, namely, that this peace treaty does not
infringe either directly or indirectly on the territorial integrity,
independence and honor of the peace-loving state. As is well known,
the Non-Aggression Pact between Germany and the USSR is precisely
such a pact.

What did we gain by concluding the Non-Aggression Pact with Germany?
We secured our country peace for a year and a half, and the
opportunity of preparing its forces to repulse fascist Germany
should she risk an attack on our country despite the Pact This was a
definite advantage for us and a disadvantage for fascist Germany.

What has fascist Germany gained and what has she lost by
treacherously tearing up the pact and attacking the USSR?

She has gained a certain advantageous position for her troops for a
short period, but she has lost politically by exposing herself in
the eyes of the entire world as a blood-thirsty aggressor.

There can be no doubt that this short-lived military gain for
Germany is only an episode, while the tremendous political gain of
the USSR is a serious lasting factor that is bound to form the basis
for development of decisive military successes of the Red Army in
the war with fascist Germany.

That is why our whole valiant Red Army, our whole valiant Navy, all
our falcons of the air, all the peoples of our country, all the
finest men and women of Europe, America and Asia, finally all the
finest men and women of Germany--condemn the treacherous acts of
German fascists and sympathize with the Soviet Government, approve
the conduct of the Soviet Government, and see that ours is a just
cause, that the enemy will be defeated, that we are bound to win.

By virtue of this war which has been forced upon us, our country has
come to death-grips with its most malicious and most perfidious
enemy--German fascism. Our troops are fighting heroically against an
enemy armed to the teeth with tanks and aircraft.

Overcoming innumerable difficulties, the Red Army and Red Navy are
self-sacrificingly disputing every inch of Soviet soil. The main
forces of the Red Army are coming into action armed with thousands
of tanks and airplanes. The men of the Red Army are displaying
unexampled valor. Our resistance to the enemy is growing in strength
and power.

Side by side with the Red Army, the entire Soviet people are rising
in defense of our native land.

What is required to put an end to the danger hovering over our
country, and what measures must be taken to smash the enemy?

Above all, it is essential that our people, the Soviet people,
should understand the full immensity of the danger that threatens
our country and should abandon all complacency, all heedlessness,
all those moods of peaceful constructive work which were so natural
before the war, but which are fatal today when war has fundamentally
changed everything.

The enemy is cruel and implacable. He is out to seize our lands,
watered with our sweat, to seize our grain and oil secured by our
labor. He is out to restore the rule of landlords, to restore
Tsarism, to destroy national culture and the national state
existence of the Russians, Ukrainians, Byelo-Russians, Lithuanians,
Letts, Esthonians, Uzbeks, Tatars, Moldavians, Georgians, Armenians,
Azerbaidzhanians and the other free people of the Soviet Union, to
Germanize them, to convert them into the slaves of German princes
and barons.

Thus the issue is one of life or death for the Soviet State, for the
peoples of the USSR; the issue is whether the peoples of the Soviet
Union shall remain free or fall into slavery.

The Soviet people must realize this and abandon all heedlessness,
they must mobilize themselves and reorganize all their work on new,
wartime bases, when there can be no mercy to the enemy.

Further, there must be no room in our ranks for whimperers and
cowards, for panic-mongers and deserters. Our people must know no
fear in fight and must selflessly join our patriotic war of
liberation, our war against the fascist enslavers.

Lenin, the great founder of our State, used to say that the chief
virtue of the Bolshevik must be courage, valor, fearlessness in
struggle, readiness to fight, together with the people, against the
enemies of our country.

This splendid virtue of the Bolshevik must become the virtue of the
millions of the Red Army, of the Red Navy, of all peoples of the
Soviet Union.

All our work must be immediately reconstructed on a war footing,
everything must be subordinated to the interests of the front and
the task of organizing the demolition of the enemy.

The people of the Soviet Union now see that there is no taming of
German fascism in its savage fury and hatred of our country which
has ensured all working people labor in freedom and prosperity.

The peoples of the Soviet Union must rise against the enemy and
defend their rights and their land. The Red Army, Red Navy and all
citizens of the Soviet Union must defend every inch of Soviet soil,
must fight to the last drop of blood for our towns and villages,
must display the daring initiative and intelligence that are
inherent in our people.

We must organize all-round assistance for the Red Army, ensure
powerful reinforcements for its ranks and the supply of everything
it requires, we must organize the rapid transport of troops and
military freight and extensive aid to the wounded.

We must strengthen the Red Army's rear, subordinating all our work
to this cause. All our industries must be got to work with greater
intensity to produce more rifles, machine-guns, artillery, bullets,
shells, airplanes; we must organize the guarding of factories, power-
stations, telephonic and telegraphic communications and arrange
effective air raid precautions in all localities.

We must wage a ruthless fight against all disorganizers of the rear,
deserters, panic-mongers, rumor-mongers; we must exterminate spies,
diversionists and enemy parachutists, rendering rapid aid in all
this to our destroyer battalions.

We must bear in mind that the enemy is crafty, unscrupulous,
experienced in deception and the dissemination of false rumors We
must reckon with all this and not fall victim to provocation.

All who by their panic-mongering and cowardice hinder the work of
defence, no matter who they are, must be immediately haled before
the military tribunal. In case of forced retreat of Red Army units,
all rolling stock must be evacuated, the enemy must not be left a
single engine, a single railway car, not a single pound of grain or
a gallon of fuel.

The collective farmers must drive off all their cattle, and turn
over their grain to the safe-keeping of State authorities for
transportation to the rear. All valuable property, including non-
ferrous metals, grain and fuel which cannot be withdrawn, must
without fail be destroyed.

In areas occupied by the enemy, guerrilla units, mounted and on
foot, must be formed, diversionist groups must be organized to
combat the enemy troops, to foment guerrilla warfare everywhere, to
blow up bridges and roads, damage telephone and telegraph lines, set
fire to forests, stores, transports.

In the occupied regions conditions must be made unbearable for the
enemy and all his accomplices. They must be hounded and annihilated
at every step, and all their measures frustrated.

This war with fascist Germany cannot be considered an ordinary war.
It is not only a war between two armies, it is also a great war of
the entire Soviet people against the German fascist forces.

The aim of this national war in defense of our country against the
fascist oppressors is not only elimination of the danger hanging
over our country, but also aid to all European peoples groaning
under the yoke of German fascism.

In this war of liberation we shall not be alone. In this great war
we shall have loyal allies in the peoples of Europe and America,
including the German people who are enslaved by the Hitlerite
despots.

Our war for the freedom of our country will merge with the struggle
of the peoples of Europe and America for their independence, for
democratic liberties.

It will be a united front of peoples standing for freedom and
against enslavement and threats of enslavement by Hitler's fascist
armies.

In this connection the historic utterance of the British Prime
Minister Churchill regarding aid to the Soviet Union and the
declaration of the United States Government signifying its readiness
to render aid to our country, which can only evoke a feeling of
gratitude in the hearts of the peoples of the Soviet Union, are
fully comprehensible and symptomatic.

Comrades, our forces are numberless. The overweening enemy will soon
learn this to his cost. Side by side with the Red Army many
thousands of workers, collective farmers, intellectuals are rising
to fight the enemy aggressor. The masses of our people will rise up
in their millions.

The working people of Moscow and Leningrad have already commenced to
form vast popular levies in support of the Red Army. Such popular
levies must be raised in every city which is in danger of enemy
invasion, all working people must be roused to defend our freedom,
our honor, our country--in our patriotic war against German Fascism.

In order to ensure the rapid mobilization of all forces of the
peoples of the U.S.S.R. and to repulse the enemy who treacherously
attacked our country, a State Committee of Defense has been formed
in whose hands the entire power of the State has been vested.

The State Committee of Defense has entered upon its functions and
calls upon all people to rally around the Party of Lenin-Stalin and
around the Soviet Government, so as to self-denyingly support the
Red Army and Navy, demolish the enemy and secure victory.

All our forces for support of our heroic Red Army and our glorious
Red Navy! All forces of the people--for the demolition of the enemy!

Forward, to our victory!

--- End forwarded message ---