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Unione Europea: trappola per i lavoratori sventata in Irlanda

1) 60 ore. E anche di più (Sara Farolfi su Il Manifesto del 11/06/2008)
2) Importante vittoria del No al Trattato di Lisbona nel referendum in Irlanda (Rete dei Comunisti)
3) Das keltische Dorf trotzt dem Imperium (von Jürgen Elsässer)
4) Plan B (german-foreign-policy.com)

Vedi anche:

Il sito del Partito Comunista d'Irlanda



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www.ilmanifesto.it

60 ore. E anche di più

di Sara Farolfi

su Il Manifesto del 11/06/2008

In arrivo la nuova normativa sull'orario di lavoro settimanale

L'ennesimo colpo di piccone ai diritti sociali in Europa. I ministri del lavoro dei 27 Stati europei hanno raggiunto un accordo, ieri, sulla direttiva europea sull'orario di lavoro. Licenziando un testo (che ora sarà sottoposto al parlamento europeo) che decreta la fine delle 48 ore settimanali - conquistate dall'Organizzazione internazionale dei lavoratori nel 1917 - e spalanca la porta a settimane lavorative di 60, persino 65 ore.
Ha vinto, di fatto, la linea a lungo perseguita dalla Gran Bretagna, la cui legislazione dal 1993 prevede la possibilità di avvalersi del diritto di opting out, attraverso cui singoli lavoratori e imprese possono sottoscrivere 'liberi' accordi (con quali rapporti di forza è facilmente immaginabile) per modificare l'orario di lavoro. Con la decisione di ieri, l'opting out diventa norma generale per tutti gli stati membri. I negoziati per aumentare l'orario di lavoro settimanale erano in corso da qualche anno. Al blocco capitanato dal Regno Unito (e sostenuto anche dalla Germania e della maggior parte dei nuovi stati membri) si è sempre opposto quello costituito da Francia, Spagna e Italia (in compagnia di Grecia, Cipro, Belgio e Lussemburgo). Con l'avvento di Berlusconi, l'Italia ha di fatto abbandonato il fronte della difesa dei diritti sociali, mentre Sarkozy in Francia ha fatto dell'orario di lavoro una merce di scambio il collega britannico Gordon Brown: la Francia avrebbe approvato l'allungamento dell'orario di lavoro, qualora la Gran Bretagna avesse accettato la parificazione dei diritti per i lavoratori interinali. E così ieri è andata. I ministri dei 27 Stati hanno approvato infatti una seconda direttiva, che decreta parità di trattamento (su salario, congedo e maternità) tra lavoratori 'in affitto' e dipendenti. Fatta salva comunque la possibilità di deroghe, qualora vi sia un accordo in tal senso con le parti sociali (come già accade in Gran Bretagna).
Le due direttive sono state approvate a maggioranza qualificata, con la contrarietà di cinque paesi (Spagna, Belgio, Grecia, Ungheria e Cipro). Ora dovranno passare al vaglio del parlamento europeo, traghettato dalla presidenza slovena a quella francese. La commissione europea applaude, mentre la Confederazione dei sindacati europei (Ces) parla di un «accordo inaccettabile, su cui daremo battaglia al Parlamento europeo», pur apprezzando la direttiva sugli interinali. E non si è fatto attendere il commento del nostro ministro, Maurizio Sacconi, che anche ieri è tornato a parlare della necessità di una «chirurgica deregulation del mercato del lavoro»: «Ora è importante che il parlamento europeo possa ratificare rapidamente questo accordo e che esso trovi poi rapida attuazione nella legislazione dei singoli paesi membri».
Con la nuova direttiva, gli Stati membri potranno modificare la propria legislazione per consentire ai singoli lavoratori di sottoscrivere accordi individuali in materia di orario di lavoro con i propri datori di lavoro. Un colpo di piccone alla contrattazione dunque, e un'incentivo netto ai rapporti di lavoro individualizzati. L'orario di lavoro potrà arrivare fino a 60 ore settimanali, 65 per alcuni lavoratori, come i medici. E il numero di ore viene considerato come media, che significa che la settimana lavorativa potrà arrivare a 78 ore.
Ma non è tutto. Perchè la direttiva riscrive anche il cosiddetto «servizio di guardia», il periodo cioè durante il quale il lavoratore è obbligato a tenersi a disposizione, sul proprio luogo di lavoro, in attesa di essere chiamato. Fino ad ora questo periodo (che può essere di svariate ore) era considerato tempo di lavoro, dunque retribuito. I ministri europei hanno deciso invece che, per esempio, stare al Pronto soccorso di guardia senza essere chiamati non sarà più lavoro retribuito. Massimo Cozza, segretario nazionale Cgil medici, lancia l'allarme. Ma su questo Sacconi ha rassicurato: «In Italia la parte inattiva del turno di guardia resterà orario di lavoro».


=== 2 ===

Importante vittoria del No al Trattato di Lisbona nel referendum in Irlanda
La sinistra anticapitalista non lasci solo alla Lega la richiesta di referendum sui trattati europei
comunicato della Rete dei Comunisti

 

La vittoria del NO nel referendum in Irlanda contro il Trattato di Lisbona, conferma due questioni molto importanti anche per il dibattito nella sinistra anticapitalista nel nostro paese:
a)      la prima è che il NO ai trattati europei – così come avvenuto tre anni fa in Francia e Olanda – è stato maggioritario nei quartieri operai e popolari ed esprime quindi una precisa indicazione di classe;
b)      La seconda è che in Irlanda, come in Francia e in Olanda, il No ai trattati europei ha vinto nonostante che il 95% delle forze politiche, dei mass media, dei poteri forti fosse schierato per il SI. In sostanza ogni volta che un trattato europeo è andato alla verifica democratica, gli eurocrati hanno perso.

 

In Italia, come è noto, nessun trattato internazionale vincolante per le scelte e le sorti del paese è mai stato sottoposto ad un referendum democratico. Lo impedisce tuttora un articolo della Costituzione e lo impedisce la volontà del 95% delle forze politiche che hanno preferito sempre la ratifica parlamentare dei trattati piuttosto che la verifica popolare e democratica.
Paradossalmente adesso è solo la Lega a chiedere il referendum sul Trattato di Lisbona (anche se poi non farà nulla per attuare tale richiesta), mentre questa richiesta legittima – anche forzando la Costituzione – l’avrebbero dovuta avanzare tre anni fa i partiti della sinistra (PdCI, PRC etc) e non lo fecero ripiegando sulla sola ratifica parlamentare in cui il PRC votò contro e il PdCI votò a favore del Trattato Costituzionale Europeo.
Ma perché si ha paura di andare alla verifica democratica attraverso un referendum popolare sui trattati europei? Apparentemente gli italiani sembrano i più europeisti d’Europa e dunque i poteri forti e le loro diramazioni politiche non avrebbero nulla da temere. Ma la realtà – come dimostrano i referendum in Irlanda, Francia e Olanda, potrebbe riservare brutte sorprese ai custodi bipartizan dell'Europa di Maastricht, ai furfanti della BCE,  agli eurocrati di Bruxelles e di casa nostra.
Otto anni fa - in una fase completamente diversa da quella attuale - conducemmo un’inchiesta tra i lavoratori italiani in diverse aziende private, pubbliche e di servizi a livello nazionale. Tra le risposte ottenute su un questionario di 65 domande, ce ne erano anche alcune sul consenso o meno all’unificazione europea e sulle conseguenze dei Trattati di Maastricht.
Ne riportiamo qui di seguito i risultati (pubblicati nel libro “La coscienza di Cipputi”, edizioni Mediaprint). Sono dati molto interessanti che consentono a tutti di avere a disposizione elementi per le proprie valutazioni e per ritenere che la proposta di referendum popolare contro il Trattato di Lisbona non dovrebbe essere lasciata solo alla Lega ma dovrebbe essere impugnata dalla sinistra anticapitalista.
“Il 70,7% dei lavoratori intervistati si è infatti espresso a favore dell’Unione Europea. La punta più bassa di questi consensi la troviamo tra i lavoratori dell’industria (dove si scende al 65,3%) nonostante, a livello geografico, sia proprio il Nord Ovest ad esprimere maggiori consensi verso l’Unione Europea (76,3%), mentre nel Meridione si scende al 65,6%. Si potrebbe parlare quasi di un plebiscito europeista, anche se non si possono sottovalutare, in un clima di apparente unanimismo, le nicchie di “euroscettiscismo” che vanno tra il 30 e il 37% nei vari settori produttivi e nelle varie aree regionali.
Le aspettative sugli effetti benefici dell’Unione Europea sono elevati. Quasi sette su dieci ritengono che “miglioreranno le condizioni di vita, i servizi e la cultura” (42,4%) o che questa “darà una prospettiva più sicura ai giovani” (23,7%). Questa aspettativa sul miglioramento scende però di quasi sette punti (35,8%) tra i lavoratori dell’industria, un dato questo che conferma il maggiore scetticismo di chi sta in fabbrica e già rilevato nella domanda generale.
Se i consensi più alti li troviamo tra chi in precedenza si era detto favorevole alle privatizzazioni (con l’86,6%) e più bassi tra chi si era detto contrario alle privatizzazioni (con il 60,2%), spicca il dato secondo cui quasi otto su dieci dei lavoratori (il 76,3%) che si sentono rappresentati dai partiti giudica positivamente l’Unione Europea. Un dato analogo lo verifichiamo nelle aziende dove viene percepita come maggioritaria l’influenza di CGIL, CISL, UIL o dei sindacati autonomi (con il 70% dei consensi).
È chiaro, quindi, che l’orientamento quasi unanime dei partiti e dei sindacati confederali favorevole all’unificazione europea ha creato un vasto serbatoio di consenso. Al contrario, nelle aziende dove è percepita con maggiore forza la presenza dei sindacati di base, i consensi sull’Unione Europea scendono di cinque punti (65%) e scendono ancora di più lì dove ci sono sindacati di orientamento leghista (50%).
Ma la verifica più interessante della contraddizione tra senso comune e realtà delle proprie condizioni sociali, emerge quando l’inchiesta entra nel merito delle valutazioni sulle conseguenze del processo che ha portato all’Unione Europea. Infatti solo il 31,5% dei lavoratori ritiene che “gli accordi europei hanno migliorato le proprie condizioni di vita”. È una contraddizione evidente: il 70% valuta positivamente l’Unione Europea ma solo tre su dieci hanno valutato positivamente gli effetti sociali della sua applicazione. I più disincantati appaiono i lavoratori del pubblico impiego (con il 72,2% delle valutazioni negative) e, come già visto, quelli delle fabbriche (con il 71,2%), i meno disincantati sono i lavoratori dei servizi privati (66,2%). Il disincanto è forte sia tra i lavoratori iscritti ai sindacati (70,1%) sia tra i non iscritti (67,3). Nelle aziende dove i lavoratori percepiscono come presenti i sindacati di base, il disincanto sul miglioramento delle condizioni di vita grazie a Maastricht sale al 76,3% degli intervistati.
Ma perchè i lavoratori non hanno una percezione positiva degli effetti innescati dagli accordi di Maastricht? Lo zoccolo duro (il 47,6%) ritiene di “aver fatto troppi sacrifici senza benefici” o “di aver pagato troppe tasse per entrare in Europa”.
Gli europeisti avrebbero la tentazione di liquidare questo indicatore di controtendenza come qualunquismo o sbrigativamente come euroscetticismo. Al contrario, il giudizio negativo di merito sull’Unione Europea attiene a ragioni molto concrete e molto legate alla condizione sociale dei lavoratori. Il 97% di coloro che si sono pronunciati negativamente sull’Unione Europea lo fanno perché non ritengono “che gli accordi europei migliorino le proprie condizioni di vita”. Lo stesso fanno il 76,7% di coloro che si erano pronunciati contro le privatizzazioni”.  
Un resoconto più completo dell'inchiesta si può consultare anche su: http://www.contropiano.org/Documenti/2007/Gennaio07/Quaderno_materiali.pdf

 

E’ dunque evidente come ancora una volta –ed anche su una materia complessa come i trattati europei - la coscienza dei lavoratori sia più avanzata di quella della sinistra e come il “sociale” prevalga sul “politico”. La funzione della soggettività non è affatto ininfluente. C’è molta materia su cui riflettere e su cui agire.
 
La Rete dei Comunisti
 

=== 3 ===


14.06.2008

Das keltische Dorf trotzt dem Imperium

Irische Volksabstimmung über den EU-Vertrag endet mit Sieg für das Nein. Schwere Schlappe für die Eurokraten

Von Jürgen Elsässer
In einer Volksabstimmung haben 53,4 Prozent der Iren den neuen EU-Vertrag abgelehnt.


Wir befinden uns im Jahre XVIII der Neuen Weltordnung. Ganz Europa ist vom Imperium besetzt. Ganz Europa? Nein! Ein von unbeugsamen Kelten bevölkertes Inselchen hört nicht auf, den Imperialisten Widerstand zu leisten. Sie spotten den Befehlen der Legionäre: Sie trinken Guinness und rauchen. Sie nehmen das Geld aus den Brüsseler Säcken und behalten trotzdem ihren eigenen Kopf. Sie wollen nicht für fremde Herren in deren Kriege ziehen und wissen, wo sie ihre Knarren vergraben haben. Sie verlangen, dass die Kirche in ihrem Dorf bleibt – und keine Kreuzzüge auf anderen Kontinenten führt. Sie machen frauenfeindliche Witze gegen Angela Merkel. Mann, was sind die rückständig! Mann, was sind die sympathisch!

Nach ersten vorläufigen Ergebnissen vom Freitag Nachmittag haben die Iren den neuen EU-Vertrag mit über 54 Prozent Nein-Stimmen abgelehnt. Die Beteiligung an dem Referendum lag bei 45 Prozent. Wie bei den Referenden in Frankreich und den Niederlanden, wo der damals noch als EU-Verfassung firmierende und ansonsten weitgehend inhaltsgleiche Text bereits 2005 abgeschmettert worden war, musste sich auch in Irland der Wille der Bevölkerung gegen eine geschlossene Phalanx der etablierten Kräfte durchsetzen. Alle großen Parteien, die Medien und der Unternehmerverband trommelten für das Ja. Dagegen standen vor allem die überparteiliche Organisation Libertas des Geschäftsmann Declan Ganley und die antimilitaristische Sinn-Fein-Partei, die aus dem Befreiungskampf der historischen IRA hervorgegangen ist.

Bezeichnend die Reaktion der Präzeptoren des Imperiums in Deutschland. Der CDU-Europaparlamentarier Elmar Brok plädierte dafür, das Nein der Iren zu ignorieren und den Ratifizierungsprozess des EU-Vertrages fortzusetzen. Eine Neuverhandlung des undemokratischen Machwerkes lehnte er kategorisch ab. Der Vorsitzende des Verfassungsausschusses des Europäischen Parlamentes, der SPD-Politiker, Jo Leinen, drohte Irland mit »Isolation«, falls es in dem Konflikt nicht nachbessern werde. Auch Grünen-Vizefraktionschef Jürgen Trittin und der Grünen-Europasprecher Rainder Steenblock übten sich in Demokraten-Schelte. Es dürfe nicht sein, »dass drei Millionen Menschen darüber entscheiden können, wie 500 Millionen Menschen ihre politische Zusammenarbeit gestalten«. Auf die nahe liegende Lösung, dann auch die Bürger der anderen 26 Mitgliedsstaaten abstimmen zu lassen, kamen die Grünen freilich nicht. Als einzige deutsche Partei begrüßte die LINKE den Sieg des Nein und der »Volkssouveränität« in Irland, so der Parteichef Lothar Bisky.

Mit dem 12. Juni hat das kleine Völkchen auf der grünen Insel Weltgeschichte geschrieben. Die irische Trikolore ist das Banner der europäischen Freiheit geworden. Nun ist es an der Zeit, dass die Gallier, die Germanen, die Wikinger, die Römer, die Hellenen und alle anderen, denen das Herz noch nicht in die Hose gerutscht ist, dem keltischen Beispiel folgen. Hören wir nicht auf die neunmalklugen Grünen, die uns weismachen werden, alle Nein-Sager in Dublin und anderswo seien Abtreibungsgegner, Schwulenfeinde, Klerikale und Nationalisten, mit denen sich Linke nicht verbrüdern dürfen. Dazu hat ein gewisser Wladimir Iljitsch Asterix das Notwendige gesagt: »Denn zu glauben, dass die soziale Revolution denkbar ist ohne Aufstände kleiner Nationen in den Kolonien und in Europa, ohne revolutionäre Ausbrüche eines Teils des Kleinbürgertums mit allen seinen Vorurteilen, ohne die Bewegung unaufgeklärter proletarischer und halbproletarischer Massen (...) – das zu glauben heißt der sozialen Revolution entsagen.«


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Newsletter vom 16.06.2008 - Plan B

BERLIN/DUBLIN (Eigener Bericht) - Mit einer systematisch aufgebauten Drohkulisse wollen Berliner Europapolitiker eine Wiederholung des irischen Referendums zum Vertrag von Lissabon erzwingen. Wie aus Interviews und Analysen nach dem "No" vom vergangenen Freitag hervorgeht, soll der Vertrag, um mehrere unbedeutende Zugeständnisse ergänzt, erneut zur Abstimmung gestellt und womöglich mit der Entscheidung über den Verbleib Irlands in der EU verbunden werden. Um der Dubliner Regierung die Durchsetzung eines zweiten Referendums zu ermöglichen, werden Pläne lanciert, denen zufolge der Vertrag von Lissabon auch ohne Irland in Kraft treten und das Land weitestgehend isolieren könnte. Ersatzweise bleibt der Aufbau eines deutsch-französischen "Kerneuropa" im Gespräch. Da die Umsetzung der Pläne nach Berliner Ansicht mit dem Ende jeglicher demokratischer Legitimation der EU verbunden wäre, sollen sie im ersten Schritt nur als Drohkulisse dienen; zugleich eröffnen sie für den Fall, dass die irische Bevölkerung sich nicht einschüchtern lässt, eine reale politische Option. Voraussetzung ist, dass sämtliche anderen EU-Staaten den Vertrag ratifizieren; dies verlangt die deutsche Bundesregierung...


Plan B 

2008/06/16

BERLIN/DUBLIN (Own report) - Systematically using threats, German government policy makers for European affairs are trying to intimidate Ireland into repeating the Lisbon Treaty referendum. According to interviews and analyses subsequent to last Friday's "No" vote, it is being suggested that a few insignificant concessions be added to the treaty and again voted upon - possibly linked to the question of Ireland's remaining in the EU. To enable the Irish government to impose a second referendum, plans are being forged to bring the Lisbon Treaty into effect - even without Ireland which could, to a large extent, isolate Ireland. The creation of a German-French "core Europe" remains an alternative option. Since, according to Berlin, the implementation of these plans would mean the end of all democratic legitimacy of the European Union, they should as a first step merely serve as a threat, while simultaneously, if the Irish refuse to yield to these intimidation efforts, being an introduction of a concrete policy option. The prerequisite is that all of the other EU member states ratify the treaty, as demanded by the German government.

Continue Ratifying

Within a few hours of last Friday's Irish "No" vote, German European affairs policy makers were sketching the course of the German line of action in interviews and analyses. According to these pronouncements, under no conditions, is Berlin prepared to accept the results of this referendum. According to a declaration of the Bertelsmann Foundation, the Treaty of Nice, which had been in force, would have sufficed for "the legislative machinery in Brussels to continue to function."[1] Ambitious projects such as the establishment of an EU Foreign Minister with an incorporated foreign policy service or the development of an EU military policy could be introduced step by step. But the German government is not prepared to accept more loss of time and insists upon an unaltered Lisbon Treaty. In a joint statement, at the beginning of the week, the German chancellor and the French president declared "we are expecting the other member states" of the EU "to continue their national ratification processes."[2] This declaration, in the tone of a command, was published already last Friday. The German foreign minister simultaneously confirmed that he is "determined" to see to it that the Lisbon Treaty "comes into force."[3]

Vanished Legitimization

At the same time the question remains, how are they going to deal with the failed ratification in Ireland. Through complicated juristic constructions, it would be possible to ignore Dublin's veto, at least for a while.[4] This idea of Frank-Walter Steinmeier is supposed to be discussed at today's meeting of the EU foreign ministers. But experts exclude a long-term implementation of the Lisbon Treaty without Ireland's endorsement. This option might be "interesting in political terms," writes the Bertelsmann Foundation, "in the light of European and international law, this course of action is simply impossible."[5] Besides, this "would reinforce the image of the EU as an entity which does what it wants to do with or without reference to the electorate" warns the foundation. "The EU's entire democratic legitimacy would simply vanish into thin air."

Political Hostage Takers

Yet the expulsion scenario "in the weeks to come will be uttered on a number of occasions," the Bertelsmann Foundation supposes - as "political threats."[6] At the same time, German policy makers are interpreting the Irish "No," in such a way that would justify a repeat of the referendum. The CDU member of the European parliament, Elmar Brok alleged that "the Irish" are "not even against the elaboration" of the EU by the Lisbon Treaty.[7] "They were voting against more abortions and higher taxes, even if neither can be found in the treaty." The "No camp" was operating "with lies and blackmail" says Brok. "You can't let a whole continent be blocked by this sort of campaigns."[8] The German press even called treaty opponents "political hostage takers."[9] Brok openly makes a case for holding "a new referendum in Ireland by the beginning of 2009, at the latest."[10]

Holy Cows

A repetition of the referendum is also being contemplated by German political advisors. But the Lisbon Treaty could be "spruced up by adding a special declaration for Ireland"[11], according to the Bertelsmann-Foundation. "This might include a statement repeating the EU's attitude to Irelands three 'holy cows': military neutrality, abortion and corporate taxation." Such a "declaration" would permit the Dublin government to hold another referendum - like the vote on the Treaty of Nice, which had also been ratified with amendments only after a second referendum in 2002. Pertaining to content, a "declaration" would be completely worthless. This is demonstrated by the example of neutrality: though formally guaranteed, concretely it has long since been abandoned under pressure from Brussels.[12] Faced with Irish stubbornness, yet another referendum version is being proposed for discussion by the Munich based Center for Applied Policy Research (CAP): with this referendum, the Irish could be asked "the fundamental question about their EU membership", directly threatening them with exclusion from the EU, if they continue their resistance.[13]

Core Europe

German demands to integrate a few EU member states closer, while excluding others is another of the threats. Gunther Krichbaum (CDU), chairman of the German Bundestag's Committee on the Affairs of the European Union, is demanding that "more thought be given to a core Europe (...), in which the states seeking closer integration will cooperate more intensively".[14] But this is still a second choice for Berlin, because Berlin would have less power in a "core Europe" than in a Europe of the Lisbon Treaty. But, Germany since the mid 1990s, has regularly succeeded in imposing its plans for the expansion and structuring of the EU by threatening a "core Europe". This was most recently the case in the spring of 2007, when Germany forced the other member states to accept the relevant portions of its preliminary work for the Lisbon Treaty (german-foreign-policy.com reported [15]).

Divergences

But there are also cautioning voices in the think tanks of German foreign policy. CAP, for example, points out that the Irish "No" was expressed against an essentially common front of the political elite: only one political party in parliament had campaigned against the Lisbon Treaty. All of the other pro-Lisbon parties were supported by "opinion makers in business, the media and society", including the influential farmer's association and the Catholic Church.[16] As post referendum analyses show, the "Yes" had a clear majority in the Dublin neighborhoods favored by the political elite, whereas the "No" was clearly expressed in the neighborhoods of the urban underprivileged and in rural areas. The clear chasm between the well-to-do, EU oriented upper class and the rest of the population is particularly surprising, given the fact that Irish farmers financially benefit from the EU. With the growing divergence of interests between the EU elites and the middle and lower classes, Brussels' financial support obviously no longer suffices as the materially binding element.

Fundamental

CAP confirms "the gap between the politicians in charge (...) and the skepticism and partially open rejection by the population".[17] "Similar tendencies could already be remarked in 2005 in the referenda in France and the Netherlands on the EU constitution", recalls the think tank. "Nearly two thirds of the EU citizens feel their voices don't count in the EU." And this disengagement doesn't take place "in the countries known for their skepticism towards Europe like Great Britain and the Czech Republic (...), but in countries that are traditionally friendly toward Europe." CAP is warning not to ignore the growing gap in the European population: "This is a fundamental challenge for the EU."


[1] Dominik Hierlemann: Was nun, Europa? Vier Optionen nach dem irischen "Nein"; Bertelsmann-Stiftung spotlight europe - spezial Nr. 2008/06, Juni 2008
[2] Gemeinsame Presseerklärung von Bundeskanzlerin Angela Merkel und dem französischen Staatspräsidenten Nicolas Sarkozy zum Ausgang des irischen Referendums über den Vertrag von Lissabon vom 12. Juni 2008
[3] Bundesminister Steinmeier bedauert Abstimmungsergebnis in Irland; Pressemitteilung des Auswärtigen Amts 13.06.2008
[4] Steinmeier schlägt EU-Pause für Irland vor; Financial Times Deutschland 14.06.2008
[5], [6] Dominik Hierlemann: Was nun, Europa? Vier Optionen nach dem irischen "Nein"; Bertelsmann-Stiftung spotlight europe - spezial Nr. 2008/06, Juni 2008
[7] "Nerven bewahren!"; Zeit online 13.06.2008
[8] "Ein Klein-Europa können wir uns nicht leisten"; Frankfurter Rundschau 14.06.2008
[9] Stunde der Geiselnehmer; Frankfurter Allgemeine Zeitung 14.06.2008
[10] "Ein Klein-Europa können wir uns nicht leisten"; Frankfurter Rundschau 14.06.2008
[11] Dominik Hierlemann: Was nun, Europa? Vier Optionen nach dem irischen "Nein"; Bertelsmann-Stiftung spotlight europe - spezial Nr. 2008/06, Juni 2008
[13] Sarah Seeger: Und jetzt? Ursachen und Konsequenzen des irischen Neins zum Vertrag von Lissabon; www.cap-lmu.de 14.06.2008
[14] "Kerneuropa wird ein Thema"; Kölner Stadt-Anzeiger 13.06.2008
[16], [17] Sarah Seeger: Und jetzt? Ursachen und Konsequenzen des irischen Neins zum Vertrag von Lissabon; www.cap-lmu.de 14.06.2008




FINE DEL CONTRATTO DI LAVORO NAZIONALE COLLETTIVO


( sui nuovi, spicciativi metodi per massimizzare l'estrazione di plusvalore dal lavoro operaio si vedano anche i casi dei romeni Adrian Cosmin e Jon Cazacu, descritti da G. Carotenuto: 

Da Corriere della sera del 18/06/08, pag. 21 

Varese Il figlio del datore di lavoro lo ammazza: «Mi aveva minacciato» 

Egiziano chiede la paga, gli sparano 

VARESE — Gli ha sparato al cuore per i soldi. Perché quel muratore egiziano rivendicava il pagamento di stipendio e liquidazione, dovuti al fratello minore, anche lui muratore. Antonio Fioramonte, un ragazzo di 19 anni figlio del titolare di una impresa edile di Gerenzano, ha colpito con due colpi di pistola un egiziano di 29 anni, Said Abdel Halim, sparando all'impazzata nel cortile dell'azienda contro un gruppo di connazionali della vittima, alle 14 di ieri. Un delitto che ha come sfondo i piccoli artigiani del mondo dell'edilizia e i tanti immigrati che lavorano come muratori nella pianura lombarda. 
La vittima era giunta in quel cortile, dicono gli amici, per difendere gli interessi del fratello, Abdul Abdel Halim, 27 anni, un muratore egiziano che lavorava da sei mesi con la Katon srl, piccola ditta artigiana di Gerenzano. «Ma mi ero appena licenziato — racconta il ragazzo —, il titolare mi doveva ancora dare i soldi di maggio e avevo paura che non volesse pagarmi». Il 15 è giorno di paga e spesso gli operai, dicono gli egiziani, contestano i pagamenti. Anche Abdul aveva qualcosa da contestare, per questo aveva portato tre amici, il fratello e anche la moglie italiana. 
Ma qualcosa è andato storto: il titolare dell'azienda, Edoardo Fioramonte, non c'è. I due fratelli egiziani parlano con il figlio, sul cancello dell'impresa, nel centro storico del paese. Vola qualche parola di troppo, è un attimo: Antonio — secondo le accuse — torna dentro, prende una semiautomatica calibro 9 trovata in un cassetto della ditta, torna e uccide l'egiziano con due colpi al petto, uno a bruciapelo al cuore. Sul cortile della piccola azienda rimangono 21 segni della scientifica, il sangue sul selciato e una mano insanguinata sulla porta marrone; i vetri dell'entrata sono spaccati, la porta bucherellata. La fuga dura poco, solo 3 ore. Per i carabinieri, Antonio Fioramonte ha affrontato i due fratelli egiziani che volevano i soldi, ha sparato a Said, poi è fuggito con una Peugeot nera, buttando via la pistola da qualche parte nella campagna (in serata non era ancora stata trovata). I carabinieri di Saronno gli danno la caccia, bloccano le stazioni, le case dei parenti. Il ragazzo è braccato e alle 17 si costituisce: «Lo hanno convinto i familiari », dicono gli inquirenti. 
Gli egiziani si disperano davanti ai carabinieri di Cislago dove si è costituito il presunto omicida. Il racconto del fratello della vittima, al vaglio degli inquirenti, è il seguente: «Antonio mi ha detto che il padre non c'era e mi ha mandato via, poi è tornato con la pistola, ha aperto il cancello e ha sparato in aria. Il meccanico che era con lui è scappato, noi invece siamo rimasti lì; allora lui ha appoggiato la pistola al cuore di mio fratello e ha premuto il grilletto». La vittima rantola tra le braccia della cognata, Gaetana: «Gli tenevo la ferita, mi sembrava superficiale, di striscio, ma intanto moriva». Ma alcuni testimoni dicono di aver sentito gli spari e di aver visto un egiziano con una spranga di ferro, l'omicida, interrogato in serata, avrebbe anche parlato di un'accetta, ma i carabinieri non hanno trovato nulla. 

Roberto Rotondo 


(deutsch / francais)

1) Zagreb : le concert de Thompson se transforme en parade oustachie

2) Kroatien wird NATO-tauglich (Benjamin Schett, November 2007)


(Il recente concerto della star del rock croato, il nazista Marko Perkovic, a Zagabria si è trasformato in una vera e propria parata ustascia.
Casi simili si erano già visti in Croazia e all'estero, vedi ad esempio:

Fascist Rock Star's US Tour (Part 1)

Neo-Nazi Band Set To Play Amid Protests 

Croat Nazi Rocker to Tour North America

Simon Wiesenthal asks Croats to cancel Nazi rocker

‘Slightly Fascist’? The New York Times Prods Croatia. Gently.

Fascist Overtones From Blithely Oblivious Rock Fans 

A Croatian rock star flirts with the Nazi past

Debate on Croatian Fascist Rock Star's Upcoming Australia Tour 

Fascist Rock Star's Australian Tour
  Croatian Ustashe (clerical-fascists) in Australia?
  Urgent Request to Rescind Marko Perkovic Thompson's Visa to Enter Australia (3 January 2008)
  Croatian Ustashe (clerical-fascists) in Australia? So what else is new? (1 January 2008)
  Oppose Fascist Rock Star's US Tour with the Truth - Part 2

)


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BIRN

Zagreb : le concert de Thompson se transforme en parade oustachie

TRADUIT PAR JACQUELINE DÉRENS
Publié dans la presse : 3 juin 2008
Mise en ligne : mardi 3 juin 2008

Le Premier ministre croate Ivo Sanader a dénoncé l’exhibition de symboles nazis et du régime oustachi de la Seconde Guerre mondiale lors du dernier concert du chanteur rock Marko Perkovic Thompson, qui a rassemblé 60 000 personnes le 31 mai dernier à Zagreb.


« Ce qui vient de se passer est négatif. Arborer les symboles du régime oustachi des années 1941-1945 est condamnable. Ce régime ne mérite pas d’être vénéré. Tout cela est lié à ce chanteur et c’est regrettable. Il devrait réagir pour mettre fin à ces manifestations ». Ivo Sanader a ainsi condamné le concert, selon ses propos rapportés par le quotidien de Zagreb Jutarni List.

La décision de la ville de Zagreb d’accueillir un concert du chanteur Marko Perkovic, connu sous le nom de scène de Thompson, très souvent associé au régime oustachi, a provoqué la colère du groupe de défense des droits de la personne Margel Institute, au point que cette ONG a décidé de porter plainte contre le chanteur.

« Nous allons engager une procédure judiciaire à l’encontre de Marko Perkovic Thompson et de la ville de Zagreb pour violations de la loi contre la haine raciale et les discriminations », a déclaré Alan Budaj, responsable du Margel Institute.

Quelque 60 000 personnes ont assisté samedi dernier, sur la place principale de Zagreb, à ce concert organisé par les vétérans de la guerre d’indépendance de 1991-1995.

La branche croate du Comité Helsinki pour les droits de la personne avait protesté avant le concert, en particulier à propos d’une chanson qui commence par une phrase utilisée au temps du régime oustachi.

Selon Alan Budaj, des jeunes pendant le concert ont arboré des symboles du régime oustachi et ont utilisé le salut nazi. Avant le concert, un groupe de jeunes avait aussi hurlé des slogans anti-serbes et chanté à la gloire du régime oustachi.

Alan Budaj a annoncé que son organisation allait « entamer une procédure judiciaire dans les deux semaines à venir contre la ville de Zagreb, pour avoir autorisé l’organisation du concert et ne pas avoir empêché les comportements pronazis. Nous allons aussi poursuivre en justice Marko Perkovic pour avoir chanté une chanson qui commençait par le salut officiel du régime oustachi ».

Marko Perkovic, le chanteur de 41 ans, et de nombreux fans étaient vêtus de noir, la couleur de l’uniforme des fascistes oustachis.

La police a déclaré qu’il n’y avait pas eu d’incidents pendant le concert, et elle n’a pas remarqué la présence de symboles interdits.

Au début du mois de mai, deux concerts de Perkovic ont été annulés en Suisse parce que ses chansons violent les lois antiracistes de ce pays. Un autre concert qui devait avoir lieu en juin en Autriche a été annulé pour les mêmes raisons.

Les oustachis ont massacré des milliers de Serbes, de Juifs, d’anti-fascistes croates et de Rroms dans leurs camps de concentration. Les nationalistes radicaux vénèrent Thompson comme une icône.

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Kroatien wird NATO-tauglich

Benjamin Schett
Ossietzky 22, 3. 11. 07

Nach dem Überfall der Wehrmacht am 6. April 1941 wurde das damalige
Königreich Jugoslawien zerschlagen. Der größte Teil des heutigen
Kroatien, Bosnien-Herzegowina und Teile Serbiens unterstanden dann der
Kontrolle der kroatischen faschistischen Ustascha, deren Anführer Ante
Pavelic war. Die kroatische Sezession vom sozialistischen Jugoslawien 50
Jahre später wurde von einer Ustascha-Nostalgie begleitet, die
inzwischen zurückgegangen, aber nach wie vor weit verbreitet ist.

"Sehen Sie, den Zweiten Weltkrieg haben die Kroaten zweimal gewonnen,
und wir haben keinen Grund, uns bei irgendjemandem zu entschuldigen, wie
es von uns die ganze Zeit verlangt wird: ,Gehet und kniet in Jasenovac
nieder. Kniet hier nieder...' Wir haben vor niemandem für irgendetwas
niederzuknien! Wir haben zweimal gewonnen und alle anderen nur einmal.
Wir haben am 10. April [1941; /B.Sch./] gewonnen, als die Achsen-Mächte
Kroatien als Staat anerkannten, und wir haben gewonnen, als wir nach dem
Krieg am Tisch der Gewinner saßen." Diese Worte, gesprochen vom heutigen
Präsidenten der Republik Kroatien, Stipe Mesic, vor australischen
Diaspora-Kroaten im Jahr 1991, sind beispielhaft für die Tradition, in
welcher viele Kroaten ihren Staat sehen. Sowohl das faschistische
Kroatien von Hitlers Gnaden als auch das heutige Kroatien werden oft in
eine Tradition gestellt, weil in beiden Fällen das "natürliche Streben
des kroatischen Volkes nach Unabhängigkeit" verwirklicht worden sei, wie
es Kroatiens verstorbener Separatistenpräsident Franjo Tudjman einmal
formulierte. Und so zieht Kroatien heute rechtsextreme Wallfahrer an.

Erster Halt ist in Bleiburg, schon vor dem Überqueren der
österreichisch/slowenischen Grenze. Dort lieferten britische Soldaten
kurz nach Ende des zweiten Weltkrieges zehntausende kroatische
Ustascha-Soldaten, slowenische Weißgardisten, muslimische SS-Angehörige
an die aus dem antifaschistischen Widerstand hervorgegangene
jugoslawische Volksarmee aus. Verbrecher wurden hingerichtet oder zu
Zwangsarbeit verurteilt, andere freigelassen.. Rund 15.000 kroatische
und muslimische Alt- und Neonazis treffen sich hier jedes Jahr am 11.
Mai (Muttertag), gedenken ihrer Helden, singen Ustascha-Lieder und
schwören Rache. Ein Denkmal erinnert an die "unschuldigen Opfer der
Bleiburger Tragödie". Das Erstaunlichste an dem alljährlichen Treiben
ist, daß nicht darüber berichtet wird. Aus schierem Desinteresse? Oder
vielleicht deswegen, weil solche Bilder nicht mit der gängigen
öffentlichen Meinung übereinstimmen, nach der die Serben die
Hauptbösewichte des Balkans zu sein haben?

Nach der relativ kurzen Fahrt durch Slowenien ist auch schon die
kroatische Kapitale Zagreb nicht mehr weit. Enttäuscht muß der rechte
Tourist feststellen, daß die nach dem Verfasser der Ustascha-Version der
Nürnberger Gesetze benannte Mile-Budak-Straße, welche ihren Namen in der
Ära Tudjman erhalten hatte, mittlerweile nicht mehr existiert. Abhilfe
kann dafür jede beliebige Buchhandlung schaffen. Das Angebot reicht von
Büchern über "Kommunistische Verbrechen an Kroaten während des zweiten
Weltkriegs" bis zu Werken über die kroatischen Heldentaten während des
"Domovinski Rat", des "Heimatkrieges", wie der Sezessionskrieg der
1990er Jahre hier offiziell heißt. Und wer des Serbokroatischen, pardon
des Kroatischen, nicht mächtig ist, sollte die freundliche Frau an der
Theke einmal nach "Mein Kampf" befragen, den gibt es nämlich auch auf
Deutsch. Keinesfalls sollte eines der zahlreichen Musikgeschäfte
ausgelassen werden, außer man möchte den Erwerb einer Thompson-CD
versäumen. Dieser beliebteste kroatische Rockstar hat seinen
Künstlernamen von der Knarre, die er im Krieg besaß. In seinen Songs
feuert er die kroatische Armee an, über die Drina nach Serbien zu
marschieren, und hetzt gegen "Antichristen und Kommunisten".

Weiter empfiehlt sich die Fahrt nach Gospic, der größten Stadt der
Region Lika-Senj, nahe der sogenannten Krajina, wo 1995 rund 200.000
Serben durch die kroatische Armee vertrieben und Hunderte ermordet
wurden. Unterwegs kann man beispielsweise im Petrova-Gora-Gebirge halt
machen, wo sich während des zweiten Weltkriegs Titos Partisanen
versteckt hatten. Später wurde dort ein Museum errichtet, an welchem
sich heute jeder nach Herzenslust austoben kann. Zwar hat die kroatische
Armee 1995 einige Vorarbeit geleistet, aber es liegen immer noch
zahlreiche Partisanen-Porträts verstreut auf dem Boden herum, nebst
Büchern über den Partisanenkampf und anderen ehemaligen Museumsgegenständen.

In Gospic angekommen, wird man von der einheimischen Bevölkerung erst
einmal argwöhnisch beäugt. Man sollte seine rechte Gesinnung möglichst
schnell kundtun. Sonst wird man noch den Mitarbeiter einer
Menschenrechtsorganisation zugerechnet, die in Gospic rasch mal
vermöbelt werden, sollten sie auf die Idee kommen, Nachforschungen über
Serben zu machen, welche hier einmal gelebt haben. Im nahegelegenen
Jadovno befinden sich nämlich die berüchtigten 40 Meter tiefen
Karsthöhlen, in die zur Ustascha-Zeit an Stacheldraht gekettete Menschen
geworfen wurden. Das dortige Mahnmal ist erwartungsgemäß zerstört worden.

In Jasenovac, wo sich das größte Vernichtungslager auf dem Balkan
befand, wurden vor allem Serben, aber auch zahlreiche Juden, Roma und
kroatische Antifaschisten ermordet. Das Lager bestand aus fünf Teilen.
Teil 4 war Stara Gradiska, wovon noch Überreste zu sehen sind. Hier
befindet sich sogar eine Gedenktafel. Es wird der Opfer "serbischer
Konzentrationslager" gedacht, weil hier während des letzten Krieges
serbische Paramilitärs Gefangene hielten.

Doch der kroatische Staat scheint, wie schon so oft, langsam von
Deutschland zu lernen, dessen Regierung sich heutzutage viel weniger
erlauben könnte, wenn dort nichts zur Aufarbeitung der
Nazi-Vergangenheit geschehen wäre. So gibt es mittlerweile eine
Gedenkausstellung in Jasenovac, deren Mitarbeiter die an sich rühmliche
Aufgabe übernommen haben, jedes einzelne Opfer mit Namen und Hintergrund
zu erfassen. Das Ganze hat aber einen Schönheitsfehler: Im Gegensatz zu
den säuberlichen deutschen Tätern hatten deren kroatische Waffenbrüder
ihre Verbrechen nicht ansatzweise so minutiös dokumentiert. Daher kann
nur ein kleiner Teil der Opfer publik gemacht werden. Man erfährt von
59.589 Jasenovac-Opfern, und es wird zugegeben, daß dies vielleicht
nicht die Gesamtzahl ist. Aber die 600.000 bis 700.000 Toten, welche zu
jugoslawischen Zeiten beklagt wurden (auch Simon Wiesenthal schätzte die
Gesamtzahl so hoch), sind mit keiner Silbe erwähnt.

Trotzdem: Eine Abkehr von der bisher betriebenen Ustascha-Verherrlichung
zeichnet sich ab. So bezeichnet sich Präsident Mesic mittlerweile als
gestandenen Antifaschisten. Und selbst der Vorsitzende der offen
faschistischen Kroatischen Partei des Rechts (HSP), Anto Dapic, ist
unlängst nach Israel gereist und hat für die Vernichtung der
jugoslawischen Juden durch die Ustascha um Vergebung gebeten. Weshalb
dieser Gesinnungswandel? Eine mögliche Antwort könnte die Zeitschrift
der kroatischen Armee, /Hrvatski Vojnik/, geben. Sie lobt in ihrer
aktuellen Ausgabe die Kooperation mit der NATO in höchsten Tönen und
preist die angeblichen Vorteile eines Beitrittes an. Aber eine
Organisation, welche Auschwitz als Vorwand für das Führen von Kriegen
benötigt, will wohl kein Mitglied haben, das sich aufführt, als wäre vor
1945 nichts geschehen. Ähnlich dürfte man das auch in Brüssel sehen.
Mesic und Co. haben das verstanden. Nachdem sie ihr Ziel, einen
serbenfreien unabhängigen Staat Kroatien zu schaffen, nahezu erreicht
haben, können sie ruhig ein bißchen großzügig sein. Wenn die kroatischen
Politiker ähnlich wie die deutschen bei passenden Gelegenheiten
historische Schuld eingestehen, dann werden ihre Soldaten sicher bald
Seite an Seite mit ihren alten Kampfgenossen aus dem aufgeklärten
Deutschland auf Afghanen und andere schießen dürfen, welche es
zivilgesellschaftlich noch nicht so weit gebracht haben.



(italiano / francais. Su Krsko e la questione nucleare nei Balcani si veda anche:

Avaria a Krško, allarme rientrato - 05.06.2008 - Da Capodistria, scrive Franco Juri

Un’avaria alla centrale nucleare slovena fa scattare la procedura di allarme europea. Gli stati membri dell'Ue per ore nel panico ma poi l'allarme è rientrato: niente fughe radioattive all'esterno. Severe critiche dagli stati di confine e dagli ambientalisti


Krsko, l'allarme rientra e la Slovenia raddoppia - di Checchino Antonini su Liberazione del 06/06/2008

La centrale nucléaire de Krsko a rouvert. En toute sécurité?

Après l'accident survenu mercredi 4 juin, la direction de la centrale slovène de Krsko a déclaré que les réparations ont été effectuées et qu'elle a pu être reliée au réseau dans le courant de l'après-midi du 9 juin...
Son entrée en service, en 1983, s'était effectuée avec 5 ans de retard sur le délai prévu à cause de problèmes techniques...
En 2005, son réacteur avait été arrêté pour des problèmes au système de confinement d'un ventilateur pour le traitement de la vapeur...
Un accident sérieux à la centrale de Krsko, qui se trouve en zone sismique, causerait une contamination d'iode radioactif plus grave que celle provoquée par la catastrophe de Tchernobyl...


Slovénie : Fuite à la centrale nucléaire de Krško


Dentro la centrale: galleria fotografica (dal sito vecernji.hr) 


Lo schema di funzionamento della centrale di Krško (dal sito della NEK - Nuklearna Elektrarna Krško) 


Delirante intervista a Sali Berisha
)

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RISCHIO KRSKO

LA CENTRALE NUCLEARE DI KRSKO

La centrale nucleare di Krsko rappresenta uno dei maggiori rischi per la sicurezza dell’Italia settentrionale, dell’Austria meridionale (Carinzia), della Slovenia e della Croazia.
La centrale di Krsko ha in funzione un reattore Westinghouse da 632 MW che fin dall’inizio dell’attività (iniziata nel 1983 con 5 anni di ritardo sui tempi previsti causa problemi tecnici) ha manifestato numerosi problemi. Una Commissione Internazionale nominata, su pressioni di Austria ed Italia, per verificare gli standard di sicurezza della centrale già nel 1993 espresse 74 raccomandazioni sui cambiamenti tecnici e procedurali necessari per adeguare l’impianto alle più severe normative dell’UE. Uno dei principali problemi dell’impianto è costituito dalle incrinature dei generatori di vapore che determinano perdite (con fuoriuscita di radionuclidi che vengono dispersi nell’atmosfera); questo problema è d’altronde noto presentandosi in tutte le centrali che utilizzano il reattore Westinghouse. Per cercare di tamponare questo grave inconveniente, nella primavera del 2000 vennero installati due nuovi generatori dalla NEK in seguito ad un’accordo sottoscritto con il consorzio Siemens/Framatome. Il costo di tale intervento fu di 205 milioni di marchi.
Dopo questo intervento venne approvato un aumento della produzione del 6% (45 MW) con i conseguenti rischi di sovrasfruttamento del reattore e senza che i problemi dei generatori fossero stati definitivamente risolti. Attualmente la centrale ha una produzione superiore ai 700 MW.
Altro problema per la sicurezza della centrale riguarda il rischio sismico. Il sito di Krsko è infatti uno dei meno adatti per localizzarvi una centrale nucleare vista la presenza di faglie (cancellate nello studio geologico prodotto per il progetto). L’incertezza sul rischio sismico è rimasta insoluta negli anni, poichè anche lo studio finanziato dall’Unione Europea in vista dell’ingresso della Slovenia era di portata limitata; infatti esso utilizzava un solo metodo di indagine (sismica a riflessione), arrivava solo a una profondità di 3000 metri, prendeva in considerazione un’area di soli 10 Km e non si estendeva oltre i confini della Slovenia.
I primi risultati dello studio sono disponibili dall’autunno del 2000, ma non sono stati resi pubblici. E’ comunque evidente che, secondo il progetto originale, Krsko non sarebbe in grado di resistere ad un terremoto molto forte. La faglia che passa vicino alla centrale nucleare è all’origine dei disastrosi  terremoti che ciclicamente colpiscono l’area e che hanno completamente distrutto Lubjiana due volte negli ultimi 500 anni (1511 e 1895).
Altro grave problema per la sicurezza è quello relativo allo smaltimento delle scorie radioattive. La Slovenia non ha una destinazione finale per i rifiuti nucleari, ma solo due siti di stoccaggio temporaneo, e la questione di una soluzione definitiva per i rifiuti prodotti nella fase operativa e dallo smantellamento (previsto dopo il 2024) è stata differita al termine del funzionamento dell’impianto.
Dopo l’ingresso nell’UE la Slovenia avrebbe dovuto trovare una soluzione definitiva per lo  smaltimento dei rifiuti nucleari (problema irrisolto), migliorare la sicurezza generale dell’impianto e garantire uno status indipendente all’Autorità di sicurezza nucleare. 
La centrale nucleare di Krsko è tra quelle a maggiore rischio esistenti nei paesi dell’est europa entrati o in procinto di entrare nell’Unione Europea. Questo l’elenco degli impianti ad alto rischio di incidenti: Kozlodui 1 - 4, Kozlodui 5 - 6 (Bulgaria), Ignalina 1 - 2 (Lituania), Dukovany 1 - 4, Temelin (Rep. Ceca), Cernavoda 1 (Romania), Bohunice 1 - 2, Bohunice 3 - 4, Mochovce 1 - 2 (Slovacchia), Krsko (Slovenia), Paks (Ungheria). La centrale di Krsko è tra queste quella con le maggiori probabilità di incidente catastrofico.
Nonostante questa situazione tuttaltro che tranquillizzante il governo sloveno sta valutando la possibilità di ampliare la centrale sostituendo il vecchio reattore che esaurirà la sua vita operativa entro il 2030, con uno nuovo di potenza di almeno 1.000 Mw. Krsko 2 avrebbe il vantaggio di appartenere esclusivamente alla Slovenia (la vecchia centrale è un’eredità della vecchia Jugoslavia ed è stata divisa tra Slovenia e Croazia) senza quindi gli attuali condizionamenti sulla fornitura di energia previsti dagli attuali accordi con la Croazia.


LE CONSEGUENZE IN CASO DI INCIDENTE  RILEVANTE ALLA CENTRALE DI KRSKO (LIVELLO 7 DELLA SCALA INTERNAZIONALE DEGLI EVENTI NUCLEARI - INES)

Escludendo gli incidenti di bassa intensità, che avvengono purtroppo con una frequenza elevata nella centrale a causa di una progettazione difettosa (ricordiamo i gravi problemi ai generatori di vapore con dispersione di radionuclidi nell’atmosfera) ci occuperemo del rischio di incidente catastrofico determinato da un sisma di magnitudo pari a 9 gradi della scala Mercalli Siebert. La centrale non risulta infatti secondo gli standard di sicurezza europei e statunitensi essere in grado di sopportare un terremoto di tale intensità. Il rischio di una reazione nucleare a catena (tipo Chernobyl) con surriscaldamento del nocciolo del reattore sarebbe quindi elevato con conseguente dispersione nell’atmosfera di ingenti quantitativi di gas e materiali radioattivi (aerosol di combustibili - uranio e plutonio - e prodotti di fissione quali iodio 131, stronzio 90, cesio 137) che, a seconda dell’altezza raggiunta (in caso di esplosione del nucleo del reattore i radionuclidi arriverebbero a qualche Km di altezza) e delle condizioni metereologiche ricadrebbero su un territorio di vaste dimensioni abbracciante oltre che la Slovenia e parte della Croazia, l’Italia settentrionale e centrale (in particolare sarebbe fortemente colpito il Triveneto) e l’Austria meridionale (Carinzia). Le città maggiormente esposte sarebbero Lubiana, Zagabria, Klagenfurt, Villach, Graz, Trieste, Gorizia, Udine, Venezia, Treviso, Padova, Vicenza, Verona. 
Si possono individuare le seguenti  fasce di esposizione (si definisce di seguito la dose assorbita espressa in Gray e si prendono in considerazione solo le zone che sarebbero interessate da una ricaduta di radionuclidi con dirette conseguenze sulla popolazione):
- entro i 150 Km dalla centrale con esposizioni comprese tra 10 e 50 Gy (Lubiana, Zagabria, Pola, Fiume, Trieste, Gorizia, Klagenfurt, Villach, Graz). In particolare Trieste in caso di venti forti da nord - est (bora) verrebbe investita dalla nube radioattiva entro due ore dall’incidente.
- tra i 150 e i 250 Km con esposizioni comprese tra 5 e 10 Gy (Udine, Pordenone, Pola, Venezia, Treviso, Belluno).
- tra i 250 e i 400 Km con esposizioni comprese tra 2 e 5 Gy (Padova, Vicenza, Verona, Rovigo, Ferrara,  Mantova, Brescia, Trento, Bolzano, Bologna, Modena, Reggio Emilia, Ravenna, Rimini, Forlì, Ancona, Firenze Salisburgo, Innsbruck, Monaco).
- tra i 400 e i 500 Km con esposizioni comprese tra 0,5 e 2 Gy (Milano, Bergamo, Piacenza, Pavia, Cremona, Sondrio).
Complessivamente, da un incidente catastrofico alla centrale di Krsko, verrebbero colpite circa 30 milioni di persone di cui circa 5 milioni a rischio di vita.
I valori di dose radioattiva sono calcolati prendendo a riferimento l’unico incidente di questo tipo verificatosi, ovvero quello di Chernobyl. 
Le zone interessate dal Fall - Out radioattivo sono indicative in quanto sulla reale esposizione sono determinanti le condizioni metereologiche al momento dell’incidente. 


LE MISURE DI PREVENZIONE IN ITALIA

Difronte ad una situazione così grave, quali sono le misure di prevenzione messe in atto in Italia (ovvero il paese che verrebbe maggiormente colpito dalla catastrofe nucleare)? La risposta è purtroppo sconfortante: nessuna! 
Esaminiamo ora il caso della regione Friuli Venezia Giulia, direttamente confinante con la Slovenia e che per prima ed in maniera più pesante dovrebbe subire le tragiche conseguenze del fall - out radioattivo.
In base al Decreto Legislativo n° 230 del 17 marzo 1995, modificato ed integrato dal D.Lgs 241/2000, in attuazione delle Direttive 89/618/Euratom e 96/29/Euratom in materia di radiazioni ionizzanti, lo Stato deve provvedere alla tutela della popolazione potenzialmente esposta a eventi incidentali negli impianti nucleari tramite la realizzazione di Piani di emergenza (art. 115). I piani di emergenza devono essere realizzati oltre che per gli impianti esistenti sul territorio nazionale, anche per aree con rischio di incidenti nucleari :
a) in impianti al di fuori del territorio nazionale;
b) in navi a propulsione nucleare in aree portuali;
c) nel corso di trasporto di materie radioattive;
d) che non siano preventivamente correlabili con alcuna specifica area del territorio nazionale.
Parte fondamentale dei Piani di emergenza è la campagna di informazione della popolazione che, come stabilito dall’art. 129 è obbligatoria; le informazioni devono essere sempre accessibili al pubblico e devono essere fornite senza che la popolazione debba richiederle.
L’art. 130 prevede che la popolazione venga regolarmente informata e regolarmente aggiornata sulle misure di protezione sanitaria ad essa applicabili nei vari casi di emergenza prevedibili, nonché sul comportamento da adottare in caso di emergenza nucleare.
L’informazione deve comprendere almeno i seguenti elementi:
a) natura e caratteristiche della radioattività e suoi effetti sulle persone e sull’ambiente;
b) casi di emergenza radiologica presi in considerazione e relative conseguenze per la popolazione e l’ambiente;
c) comportamento da adottare in tali eventualità;
d) autorità ed enti responsabili degli interventi e misure urgenti previste per informare, avvertire, proteggere e soccorrere la popolazione in caso di emergenza radiologica.
Responsabile dell’attuazione dei dispositivi dei Piani di emergenza e dell’informativa alla popolazione previsti dalla Legge è il Prefetto che si avvale di un Comitato del quale fanno parte i rappresentanti delle forze dell’ordine, dei Vigili del Fuoco, del Servizio Sanitario Nazionale, del Genio Civile, dell’Esercito, della Marina, dell’ANPA, degli Enti locali (Regione, Provincie, Comuni). La Direzione Civile Nazionale (Presidenza del Consiglio dei Ministri) deve essere costantemente aggiornata dei Piani di emergenza locali per potere coordinare un’emergenza di vasta scala che coinvolga più regioni.
Nella regione Friuli Venezia Giulia (ma lo stesso vale per le altre regioni Italiane che verrebbero coinvolte in caso di incidente a Krsko) il D.Lgs n. 230 del 17 marzo 1995 viene completamente disatteso non venendo attuata quella che è la base di qualsiasi seria campagna di prevenzione ovvero l’informazione e l’addestramento della popolazione all’emergenza nucleare. I piani di emergenza vengono gelosamente custoditi nei cassetti, forse nella speranza che mai si verifichi un serio incidente.

Le conseguenze della mancata campagna di prevenzione sarebbero gravissime in caso di fall - out radioattivo. La popolazione impreparata ad affrontare l’emergenza sarebbe presto preda del panico con risultati disastrosi. Riferendosi solo alla città di Trieste, la più vicina a Krsko, si pensi che, la nube radioattiva potrebbe raggiungere la città in sole due ore dall’incidente nel caso in cui vo fossero forti correnti da nord est (bora). I tempi di reazione dovrebbero essere rapidissimi e ogni cittadino dovrebbe sapere cosa fare senza attendere improbabili comunicazioni da parte degli Enti pubblici (se l’incidente capitasse di notte come si riuscirebbe ad avvisare la popolazione?). 


LE STRUTTURE PER GESTIRE L’EMERGENZA

In caso di incidente nucleare dovrebbero essere impiegati i reparti operativi specializzati della Protezione Civile, dei Vigili del Fuoco, delle forze dell’Ordine (Carabinieri, Polizia), dell’Esercito e della Marina. Questi reparti avrebbero il compito di verificare il livello di inquinamento radioattivo e garantire alla popolazione gli approvigionamenti necessari, i trasporti ai centri di decontaminazione, nonchè di organizzare l’evacuazione nei centri di raccolta al di fuori dell’area di rischio. Solo nel caso della provincia di Trieste si tratterebbe di gestire circa 250.000 persone in un’ambiente fortemente contaminato. A causa della contaminazione, la popolazione non potrebbe utilizzare l’acqua degli acquedotti e la maggior parte delle riserve alimentari presenti nell’area contaminata (l’assunzione di alimenti contaminati determina delle conseguenze irreversibili). Per espletare quest’opera immane non sarebbero sufficenti i circa 8.000 volontari della Protezione Civile regionale, che oltretutto non hanno una preparazione valida per affrontare tali emergenze (si consideri che a Trieste la Protezione Civile Comunale non è nemmeno operativa!), e le poche centinaia di uomini messi a disposizione dalle forze dell’ordine e dalla forze armate. La dotazione di questi reparti, in materia di inquinamento radioattivo inoltre è largamente incompleta; mancano le tute NBC e le maschere antigas (con gli opportuni filtri), i rilevatori di radiazioni , , , i dosimetri personali (che consentono di vedere quante radiazioni si stanno assorbendo e quindi permettono di non superare la soglia di rischio), i contatori geiger. Si renderebbe quindi impossibile utilizzare tutti i reparti allertati, vuoi per impreparazione del personale, vuoi per mancanza di attrezzature.
Analogo discorso per le strutture sanitarie, dovrebbero essere attrezzate i centri di decontaminazione in cui dovrebbero essere accolte le persone contaminate (che dovrebbero essere curate in sale predisposte appositamente in cui si dovrebbe procedere al lavaggio dei pazienti) che dovrebbero essere, nei casi più gravi ospedalizzate e curate con iodoprofilassi. Il personale sanitario, trattando le persone irradiate, è sempre a rischio di contaminazione (rilascio di liquidi corporei, ferite dei pazienti con perdite di sangue, vomito, feci, urine) e senza la possibilità di sostituzione.
Si consideri che nelle prime fasi di un’incidente nucleare rilevante la popolazione, senza avere potuto avere una campagna di informazione per ridurre i rischi di esposizione, verrebbe pesantemente contaminata rendendo necessari i ricoveri (solo nel caso di Trieste) di decine di migliaia di persone. Le strutture sanitarie non sono attrezzate per gestire una tale massa di pazienti (può essere garantita al massimo l’assistenza a poche centinaia di persone) necessitanti oltretutto di cure specialistiche estremamente complesse e di lunga durata. Tutto questo si verificherebbe inoltre in un’arco di tempo limitatatissimo di poche ore (gli interventi di decontaminazione devono essere realizzati rapidamente nelle prime ore in cui il paziente è stato irradiato per avere qualche speranza di successo).


LA MANCANZA DELLA CAMPAGNA DI INFORMAZIONE PREVENTIVA

Ecco perchè, difronte ad uno scenario di questo tipo, che porterebbe ad una catastrofe di proporzioni enormi, è assolutamente necessario procedere ad una seria campagna informativa della popolazione attuando semplicemente quanto previsto dalle leggi esistenti. Per ridurre in maniera esponenziale il numero delle vittime di un deprecabile incidente nucleare catastrofico, basterebbe informare i cittadini in particolare su come:
- isolarsi nelle unità abitative sigillandole anche con materiale di fortuna (sigillare le finestre con teli di plastica)
- evitare l’assunzione di cibo e liquidi contaminati (quindi niente acqua di rubinetto e verifica della radioattività dei cibi)
- rivolgersi agli Enti preposti (specificare quali) a gestire l’emergenza nucleare (dovrebbero essere subito resi noti i numeri telefonici dei centri operativi che dovrebbero assistere i cittadini).
Dovrebbero essere comunicate ai cittadini quali sono le strutture antiatomiche (gallerie, grotte ecc.) esistenti nella propria città e le modalità di accesso alle stesse.
Dovrebbero essere inoltre resi noti quali sono i centri di raccolta previsti per l’evacuzione della popolazione (altrimenti in caso di emergenza si genererebbe il caos) e quali sono le procedure di evacuazione previste.
Dovrebbero essere forniti, non solo alle unità operative di emergenza, strumenti di misura delle radiazioni (ad esempio ai gruppi già attivi nel settore - vedasi associazioni di volontariato che operino nel settore ambientale o sociale) per consentire un efficace controllo delle esposizioni a livello territoriale. Tutto il personale coinvolto dovrebbe essere regolarmente addestrato all’utilizzo delle apparecchiature.

Le maggiori responsabilità della mancata campagna di informazione preventiva e dell’addestramento della popolazione in caso di emergenza radioattiva sono sicuramente da ascrivere a carico della Direzione Nazionale della Protezione Civile (Dipartimento della Presidenza del Consiglio) che, dovrebbe provvedere a verificare in tutte le regioni italiane:
1) l’esistenza dei piani di emergenza
2) la loro applicabilità
3) le campagne di informazione della popolazione condotte a livello locale
4) la reale preparazione dei reparti assegnati alle emergenze nucleari.
La Direzione Nazionale dovrebbe inoltre fornire, alle autorità locali, tutto il materiale informativo da distribuire alla popolazione ed anche i kit di emergenza da consegnare ad ogni famiglia nelle zone a rischio (quelle in cui esistono i piani di emergenza). I kit dovrebbero contenere:
1) 1 Dosimetro (per verificare la dose di radiazione assorbita nelle abitazioni e il livello di contaminazione degli alimenti)
2) Almeno 4 tute protettive (compresi i guanti e gli stivali di gomma) per famiglia (la tute una volta contaminate devono essere buttate)
3) Teli di plastica in numero sufficente per sigillare le finestre di un’abitazione di 100 m
4) Almeno 4 maschere antigas per famiglia compresi i filtri.