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CORSIE PREFERENZIALI


BUSH A ROMA: POLICLINICO, AREA "AMERICANA" PER EMERGENZE
Al Policlinico Gemelli e' stata allestita un'area per le eventuali emergenze durante la visita di George W. Bush a Roma. Secondo quanto apprende l'Agi, parte della zona rossa (quella in cui vengono trattati i casi piu' gravi) e' stata riservata agli americani dopo che alcuni agenti del Servizio Segreto, incaricato di proteggere il presidente, avevano ispezionato l'area di emergenza e la rianimazione. Il controllo rientra nelle procedure standard adottate dal servizio durante le visite del presidente all'estero: individuare vie di fuga alternative in caso di emergenze sul percorso prestabilito e localizzare le strutture sanitarie verso le quali dirigersi.

(segnalato da E. Magnone su scienzaepace@... )



Vladimiro Giacché
La fabbrica del falso
Strategie della menzogna nella politica contemporanea
pagg. 272 €18
DeriveApprodi www.deriveapprodi.org
978-88-89969-51-9

 

Il libro
Perché chiamiamo «democrazia» un paese dove il governo è stato eletto dal 20% degli elettori? Perché dopo ogni «riforma» stiamo peggio di prima? Come può un muro di cemento alto otto metri e lungo centinaia di chilometri diventare un «recinto difensivo»? Le torture di Abu Ghraib e Guantanamo sono «abusi», «pressioni fisiche moderate» o «tecniche di interrogatorio rafforzate»? Cosa trasforma un mercenario in «manager della sicurezza»? Perché nei telegiornali i Territori occupati diventano «Territori»?
Rispondere a queste domande significa occuparsi del grande protagonista del discorso pubblico contemporaneo: la menzogna. Se un tempo le verità inconfessabili del potere erano coperte dal silenzio e dal segreto, oggi la guerra contro la verità è combattuta e vinta sul terreno della parola e delle immagini. Questo libro ci spiega come funziona e a cosa serve l’odierna fabbrica del falso.

Vladimiro Giacché
Vladimiro Giacché è nato a La Spezia nel 1963. Si è laureato e perfezionato in Filosofia alla Scuola Normale di Pisa. Lavora nel settore finanziario. È autore di volumi e saggi di argomento filosofico ed economico, fra i quali Finalità e soggettività. Forme del finalismo nella Scienza della logica di Hegel (Pantograf 1990), La filosofia. Storia e testi (con G. Tognini, La Nuova Italia 1996) e Storia del Mediocredito Centrale (con P. Peluffo, Laterza 1997). Per le nostre edizioni ha pubblicato Escalation. Anatomia della guerra infinita (con A. Burgio e M. Dinucci, 2005). Suoi articoli sono stati pubblicati in volumi collettanei e ospitati su numerose riviste italiane e straniere.

 

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Libri: LA FABBRICA DEL FALSO - Strategie della menzogna nella politica contemporanea

DI VLADIMIRO GIACCHE'

da "Liberazione"

L'insidia rappresentata dall'attacco contemporaneo alla verità consiste per l'appunto nel fatto di non presentarsi, se non in casi estremi, sotto la veste della pura e semplice menzogna. Le strategie di attacco alla verità sono molteplici, e in genere meno rozze. 

La verità mutilata

Nella famosa sequenza dell'abbattimento della statua di Saddam Hussein a Bagdad, divenuta una delle icone della guerra in Iraq, le inquadrature mandate in onda sulle tv internazionali e pubblicate sui giornali erano così ravvicinate da non mostrare che la piazza era praticamente deserta e che la "folla festante" si riduceva a poche decine di iracheni. In questo caso la verità viene mutilata dal taglio delle foto, che impedisce di vedere lo spazio in cui ha luogo l'evento, e ne induce una falsa rappresentazione. Ma il contesto non è soltanto lo spazio circostante di una determinata scena. Sono anche le circostanze entro le quali va collocato un evento, come pure il prima e il dopo di quell'evento stesso. Come ha osservato lo storico Enzo Collotti, anche l'istituzione di una "giornata del ricordo" sulle foibe e sull'esodo istriano del dopoguerra è stata resa possibile soltanto dal fatto che «per i protagonisti di simili operazioni la storia comincia nel 1945». Non è così. 

Come scrissero anni fa i componenti di una Commissione mista di storici italiani e sloveni, «il fascismo cercò di realizzare nella Venezia Giulia un vero e proprio programma di distruzione integrale della nazionalità slovena e croata». Tale programma conobbe un'accelerazione nel 1941, quando l'Italia fascista incorporò nel proprio territorio la parte meridionale della Slovenia. Innumerevoli furono i rastrellamenti, gli incendi dei villaggi, le torture, le fucilazioni sommarie in Jugoslavia da parte dell'esercito fascista. Le stesse foibe furono utilizzate inizialmente proprio dai fascisti, già nei primi anni Venti.
La tragedia delle foibe - e poi dell'esodo - fu quindi una tragedia annunciata. Quanto si è visto non la giustifica in alcun modo, ma consente di comprenderne le radici, di inserirla nel contesto storico in cui nacque. E precisamente a questo scopo dovrebbe servire la "giornata del ricordo". È avvenuto il contrario.

La verità dimenticata

Fu Napoleone il primo a formulare esplicitamente il progetto di «dirigere monarchicamente l'energia dei ricordi», proponendo la storia come instrumentum regni. Oggi la più alta realizzazione di quel progetto è rappresentata, in modo solo apparentemente paradossale, dalla negazione e distruzione del passato. È il trionfo della storia-Disneyland. La storia Disneyland ristruttura il tempo così come le onnipresenti filiali delle multinazionali organizzano lo spazio: intorno al consumo. Così il passato, ciò che è lontano nel tempo, diviene una copia sbiadita e banalizzata del nostro presente, al massimo condita da bizzarrie e superstizioni un po' patetiche.
Per ciò che riguarda il passato recente, si ricorre ad una diversa strategia comunque sempre basata sulla indefinita riscrivibilità del passato. Una strategia che ha due volti complementari. 
Per un verso, intellettuali pensosi caldeggiano la "strategia dell'oblìo" e della "riconciliazione". Tale strategia viene proposta per l'Italia, ma anche per i delitti di Pinochet in Cile e di Videla in America Latina. Anni fa, per giustificare il progetto di erigere una chiesa sul luogo della strage di Portella della Ginestra, dove il bandito Salvatore Giuliano nel 1947 massacrò a colpi di mitra braccianti comunisti e socialisti, il sindaco di Piana degli Albanesi, Gaetano Caramanno (di Forza Italia), ha invocato la "riconciliazione". Giustamente c'è chi si è interrogato perplesso: «Che significa riconciliazione? Le nostre vittime sono state uccise dalla mafia, dobbiamo riconciliarci con la mafia?». Ma precisamente questo è ciò che la parola d'ordine della "riconciliazione" richiede e vuole: far vincere l'ingiustizia anche nel ricordo, cancellando i simboli e la memoria delle lotte passate, dei morti e dei crimini subiti.
Che questo sia più in generale il vero obiettivo anche degli appelli alla "riconciliazione" tra fascisti e antifascisti, ce lo dice l'altra faccia della strategia per il dominio della memoria messa in campo negli ultimi anni: che è, con estrema chiarezza, l'apologia (diretta o indiretta) del fascismo, della sua memoria e dei suoi simboli. Abbiamo così un pullulare di strade dedicate a Giorgio Almirante, nonché ad altri fascisti e gerarchi vari; in qualche caso, fascisti sconosciuti prendono il posto di illustri vittime del fascismo: come a Guidonia, dove il nome di Antonio Gramsci è stato sostituito da quello di un fascista ignoto, tale Aldo Riccardo Chiorboli. 

La verità messa in scena

Che oggi la verità sia messa in scena, è vero in più di un senso. 
È vero innanzitutto nel senso che gli eventi vengono organizzati in funzione della loro rappresentazione e proiezione mediatica. Così, il raid statunitense del 1986 sulla Libia fu programmato in modo da coincidere con i telegiornali di maggiore ascolto. Anche l'attentato alle Torri Gemelle, del resto, fu concepito in maniera tale da avere la massima copertura mediatica possibile: tanto che si è potuto sostenere che l'attentato sia stato realizzato avendo in vista prima di ogni altra cosa «il suo effetto spettacolare».
Ma è vero anche che ormai importanti eventi politici sono inscenati come uno spettacolo. L'esempio più impressionante degli ultimi anni è senz'altro rappresentato dalla vera e propria recita di Colin Powell sul palcoscenico delle Nazioni Unite - con l'esibizione della famosa "fialetta di armi chimiche di Saddam". In questo caso si potrebbe obiettare che si tratta di uno spettacolo riuscito a metà, in quanto la recitazione di Powell non convinse pressoché nessuno dei suoi colleghi delle Nazioni Unite. Ma bisogna tenere conto che esso ebbe un ben diverso impatto sull'opinione pubblica degli Stati Uniti - che era in fondo la vera destinataria del discorso di Powell.
Abbiamo infine gli accadimenti inscenati in senso stretto, ossia vere e proprie messinscena nel senso deteriore del termine. Tutta la storia della cosiddetta "guerra al terrorismo" è disseminata di casi del genere. 

La verità rimossa 

L'altra faccia della messa in scena è ciò che viene spinto fuori scena. Come osservava Susan Sontag, «fotografare significa inquadrare, e inquadrare vuol dire escludere». Spesso l'importanza del posizionamento di un riflettore non dipende da ciò che illumina, ma da quello che decide di lasciare al buio. Ad una verità gridata e messa in scena corrisponde sempre una verità taciuta e rimossa. 
Spesso la rimozione della verità non ha proprio nulla di metaforico. La messa in scena dei Giochi Olimpici 2004 in Grecia ha richiesto la deportazione di gran parte degli 11mila senzatetto che vivevano ad Atene. 
Si tratta di una modalità di "soluzione" dei problemi che oggi conosce numerosissime varianti, in tutto il mondo. Pensiamo al divieto, formulato dal comune di Las Vegas, di fornire cibi e bevande ai senzatetto nei parchi cittadini (in quanto i barboni scoraggiano il turismo e vanificano "gli sforzi di abbellimento" del comune). O al gas maleodorante - ma anche tossico e irritante - che il sindaco della città francese di Argenteuil ha fatto spruzzare sui luoghi di ritrovo dei senzatetto nel centro della città. O alle fantasiose ordinanze comunali che in molte città italiane vietano - volta a volta - di chiedere l'elemosina, di lavare i vetri delle macchine agli incroci, di vendere merci per strada, e così via. Su un altro piano - ma ispirata alla stessa estetica dell'occultamento e della rimozione - è degna di essere ricordata anche la prima iniziativa assunta da Rumsfeld a tutela del buon nome degli Stati Uniti dopo lo scoppio dello scandalo delle torture in Iraq: vietare ai soldati l'uso dei videofonini. 

La verità capovolta

Anziché censurare una notizia, si può ottenere lo stesso effetto limitandosi a distorcerla. Per questa via si può giungere sino a capovolgere completamente la verità dei fatti. Come nel caso della sineddoche indebita. La sineddoche è una figura retorica ben nota già ai maestri di eloquenza dell'antichità. Nella sua variante più usata, essa consiste nell'adoperare la parte di una cosa per designare la cosa nella sua interezza ( pars pro toto ). Così, nell'espressione "accolse sotto il suo tetto", il termine "tetto" indica la casa nel suo insieme. Si tratta di un modo di esprimersi che può essere letterariamente efficace, e che comunque nel caso specifico non è improprio: infatti il tetto è una parte essenziale della casa. Spostiamoci adesso dal mondo delle belle lettere e passiamo a quello della cattiva informazione. È qui che ci imbattiamo nella sineddoche indebita. Che consiste nel trascegliere, all'interno di un fenomeno complesso, un elemento irrilevante (e comunque non caratterizzante) ed utilizzarlo quale elemento qualificante per descrivere e definire tutto quel fenomeno. Sembra un procedimento astruso, invece è concretissimo. È il metodo che la stampa italiana, nella sua quasi totalità, ha adoperato a proposito di diverse manifestazioni di protesta degli ultimi anni. 
Un esempio per tutti. Sabato 18 novembre 2006. Decine di migliaia di persone manifestano pacificamente a Roma per la creazione di uno Stato palestinese. Nove idioti gridano slogan idioti su Nassirija e bruciano 3 pupazzi raffiguranti dei soldati. L'indignazione riempie le prime pagine di tutti i giornali per diversi giorni. «Insulti, roghi: bufera sul corteo»: così la Repubblica, 19 novembre 2006 (titolo in prima, corredato di una foto tipo guerriglia urbana anni Settanta). Nell'articolo di Miriam Mafai pubblicato in prima pagina, dal titolo "Chi marcia con i teppisti ", i nove idioti sono già diventati «poche centinaia». Nessun quotidiano informa i propri lettori su quello che era veramente successo in piazza. Nove persone ne oscurano sessantamila.

La verità imbellettata

Come abbiamo visto, i metodi per distorcere la verità sono molto più semplici a praticarsi della sua semplice rimozione. Ad esempio si può imbellettarla, metterle un po' di cerone per farla sembrare meno brutta di quello che è. A questo riguardo l'arma principale è rappresentata dall'eufemismo. 
Molti eufemismi fioriscono nel campo dell'economia. Anni fa l'amministratore delegato di Mediaset, Fedele Confalonieri, ad un giornalista che gli chiedeva come valutasse l'elusione fiscale, rispose testualmente: «Dipende. Se la consideriamo una forma di ottimizzazione fiscale non c'è nessun problema». E lo stesso termine di "capitalismo" è praticamente sparito dal lessico contemporaneo, per essere sostituito da termini anodini (e sostanzialmente privi di significato) quali "società di mercato", "sistema di mercato", o addirittura "mondo delle imprese". 
Ma ovviamente è la guerra, per sua natura (ossia per il suo intrinseco orrore), l'àmbito privilegiato per l'impiego degli eufemismi. Molti eufemismi adoperati a questo riguardo sono stati inventati (o sono entrati nel lessico corrente) a partire dagli anni Novanta. I più usati: "operazione di polizia internazionale", "azione militare" (possibilmente "delle Nazioni Unite"), e poi un classico come "forza". Gli eufemismi per la guerra non finiscono qui: abbiamo "regime change" (che sta per "invasione militare"), "difesa preventiva" e "attacco preventivo" (che stanno per "attaccare un paese che non ci ha attaccato"). 

Ma nel caso della guerra, in fondo, lo stesso tabù rappresentato dall'uso di questa parola - che reca il marchio d'infamia indelebile della realtà a cui si riferisce - è ormai caduto. E l'eufemismo si può esprimere quindi sotto forma di qualificazione ed aggettivazione della parola "guerra": abbiamo così la "guerra al terrorismo", come prima avevamo avuto "guerra umanitaria" (uno degli ossimori più macabri escogitati nei nostri anni). In occasione della guerra all'Iraq è stato risuscitato addirittura il concetto di "guerra etica"; e non va dimenticato che questa guerra si è infine magicamente trasformata in "guerra per la democrazia", allorché è stato chiaro che delle famose "armi di distruzione di massa" di Saddam non c'era neanche l'ombra. Infine, Bush jr. ha avuto il coraggio di dire alle famiglie dei soldati feriti in Iraq che «la guerra in Iraq è davvero una guerra per la pace». Questo è Orwell: nel suo 1984 , "la guerra è pace" è addirittura il primo degli slogan dipinti sulla facciata del Ministero della Verità. Se guardiamo alle date, dobbiamo constatare che Orwell si era sbagliato di neanche vent'anni. Ma non avrebbe mai immaginato che la sua satira, scritta in funzione anticomunista, si sarebbe applicata così bene al capitalismo reale.

Vladimiro Giacché è nato a La Spezia nel 1963. Si è laureato e perfezionato in Filosofia alla Scuola Normale di Pisa. Lavora nel settore finanziario. È autore di volumi e saggi di argomento filosofico ed economico, fra i quali Finalità e soggettività. Forme del finalismo nella Scienza della logica di Hegel (Pantograf 1990), La filosofia. Storia e testi (con G. Tognini, La Nuova Italia 1996) e Storia del Mediocredito Centrale (con P. Peluffo, Laterza 1997). Per le nostre edizioni ha pubblicato Escalation. Anatomia della guerra infinita (con A. Burgio e M. Dinucci, 2005). Suoi articoli sono stati pubblicati in volumi collettanei e ospitati su numerose riviste italiane e straniere.

3.06.08

Tratto da "La fabbrica del falso. Strategie della menzogna nella politica contemporanea", DeriveApprodi, pp.276, euro 18 
uscita prevista per metà giugno 2008



FARANNO UN DESERTO, LO CHIAMERANNO... DISNEYLAND


anglais: 
War Propaganda: Disneyland goes to war-torn Iraq
by Michel Chossudovsky - Global Research, April 28, 2008

Disneyland va s'installer en Irak 
Michel Chossudovsky  
  
Bien que l'Irak soit dévasté par la guerre, Disneyland va s'y installer avec un complexe de divertissements de plusieurs millions de dollars devant être construit sur un espace de 50 acres adjacent à la Zone Verte. (« Un Parc amusant s'élèvera des ruines du jardin zoologique de Bagdad, » The Times, Londres, le 24 avril 2008)  

  

4 juin 2008 
Titre original : Disneyland va s'installer en Irak, un pays dévasté par la guerre 

Le parc d'attractions à la mode américaine mettra en vedette un parc de planche à roulettes, des manèges, une salle de concerts et un musée. 
Les forces d'occupation croient que Bagdad « manque de divertissements. » Le général David Petraeus est perçu comme un « grand partisan » de ce projet qui consiste à permettre à Disneyland de s'établir à Bagdad. 

Le réseau de télévision américain Fox News estime que ce projet est un « signe que le commerce reprend. 
" Nous ne devons pas tourner la tête lorsque de bonnes choses se produisent en Iraq. Pour commencer, un entrepreneur de Los Angeles déclare qu'il souhaite investir des millions afin de créer un vaste centre d'attractions et d'amusements au centre-ville de Bagdad. " (Fox News, le 26 avril 2008) 

Appuyé par le Pentagone, un société inconnue et anonyme de la ville de Los Angeles « C3, » une société de financement par capitaux propres, servira à développer le projet du « Bagdad Zoo and Entertainment Experience. » 
Le parc sera conçu par la société Ride and Show Engineering (RSE). 
Les deux fondateurs de la société RSE, Eduard Feuer et William Watkins, ont été les pionniers des technologies de l'imagerie (Imagineering), du design et de l'ingénierie de Walt Disney et ce, bien avant d'avoir fondé sous une entité distincte la société RSE. 
La société RSE a développé plusieurs grands complexes de divertissements dans le monde, notamment le projet du Disneyland dans la ville d'Anaheim en Californie. 


Le rêve américain 

Le parc d'attractions fait partie intégrante de la propagande de guerre. 
Établir une colonie culturelle américaine dans un territoire occupé permet de soutenir la légitimité des envahisseurs et leurs « valeurs culturelles » essaimées à travers le monde. 

La plupart des infrastructures culturelles et pédagogiques du pays dont les musées, les écoles, les universités, les parcs, les théâtres et les cinémas ont été détruits et voilà maintenant que les envahisseurs vont « aider à les reconstruire. » 
Sous cet « effort de reconstruction, » les États-Unis vont donner 200,000 planches à roulettes à la mode californienne aux enfants iraquiens. 
La planche à roulettes est un symbole de la culture « pop » américaine qui a séduit « un type de jeunesse dure, indépendante, rebelle et qui s'est créée une culture propre à elle-même. » 
Que se produira-t-il lorsque, sous les auspices du Pentagone, ces planches à roulettes aux couleurs vives (avec des images subliminales suggestives) seront apportées de Los Angeles à Bagdad ... Quels impacts auront-elles sur les enfants iraquiens et les adolescents démunis vivant sous l'occupation américaine? 

L'objectif dissimulé est de couper la jeunesse iraquienne de sa propre réalité sociale, de la dépolitiser et d'endiguer le sentiment anti-américain. 
De façon plus générale, avec son imagerie Hollywoodienne, le Disneyland version Bagdad est destiné à servir de terreau visant à faire croître dans l'opinion publique iraquienne une vision proaméricaine du monde et en parallèle, un affaiblissement du mouvement de résistance contre l'occupation américaine. 

Par l'utilisation de simulations cinématographiques et d'équipements de divertissements sophistiqués, les réalités quotidiennes et insoutenables de la pauvreté et de l'occupation militaire seront remplacées par un monde de fiction et de fantastique. 
Le concept inhérent aux technologies de l'imagerie (Imagineering) de Disney (mis au point par la société RSE) consiste à « franchir les barrières entre la réalité et les rêves. » 
Le but est de remplacer la réalité par un monde de rêve. 
La mort, la destruction et la torture qui sont la réalité quotidienne de l'Irak seront remplacées par un « un monde de rêve Made in USA. ». 

Les technologie de l'imagerie et de la simulation cinématographique destinées aux enfants et aux adolescents iraquiens donnent un « visage humain » aux envahisseurs américains. 
Ce projet constitue une forme abjecte de propagande de guerre. Il consiste à dissimuler l'ampleur des crimes de guerre commis à l'encontre du peuple irakien au nom d'un illusoire « rêve américain. » 

Ce projet doit se réaliser dans l'actuel parc Al Zawra et dans le jardin zoologique de Bagdad, qui ont été mis à sac lorsque les troupes américaines sont entrées à Bagdad en avril 2003. 
Pareillement, en avril 2003, les trésors archéologiques de l'Iraq ont été pillés avec l'appui des envahisseurs américains. Le pillage du patrimoine culturel irakien était un acte prémédité. Les pillards étaient protégés par les envahisseurs. 
Aujourd'hui, les pillards retournent à Bagdad avec le projet d'un nouveau musée. 


La guerre psychologique 

Le projet du Disneyland de Bagdad comporte toutes les caractéristiques d'une opération psychologique (PsyOp). Un tel projet est destiné à inculquer les valeurs américaines et à détruire l'identité irakienne. « Le peuple [de l'Irak] a besoin de ce type d'influence positive. Cela aura un énorme impact psychologique», a déclaré M. Werner de la société C3. . 

Par une cruelle ironie, le groupe cible de cette opération psychologique (PsyOp) sont les enfants iraquiens: 
« Il y a plusieurs opportunités d'investissement partout en Irak. Il ne s'agit pas seulement de pétrole. La moitié de la population irakienne a moins de 15 ans. Ces enfants souhaitent réellement avoir quelque chose à faire, » (M. Brinkley, cité dans le journal The Times, le 24 avril 2008) 

Le patrimoine culturel iraquien est détruit. 
La mémoire historique de la Mésopotamie est à jamais effacée. 
Les investisseurs américains vont « combler de façon inappropriée le besoin manquant de divertissements » à ce théâtre de guerre. 
Le promoteur du projet, M. Llewellyn Werner, a déclaré que le moment est venu pour une « parc d'amusements : » 
« Je crois que la population va l'aimer. Ils vont y voir une opportunité pour leurs enfants, peu importe qu'ils soient chiites ou sunnites. Ils diront que leurs enfants méritent une place pour jouer et ils y laisseront leurs enfants seuls. » (Ibid) 
Tel que déclaré par un porte-parole du gouvernement fantoche irakien mis au pouvoir par les États-Unis: 

« Il manque de divertissements dans la ville. Les cinémas ne peuvent pas ouvrir. Les aires de jeux ne peuvent pas ouvrir. Le parc d'attractions est absolument nécessaire pour Bagdad. Les enfants n'ont pas toutes les possibilités de jouir de leur enfance, » déclarait M. Al-Dabbagh en ajoutant que l'entrée au parc sera strictement contrôlée. » (Times, le 24 avril 2008) 

« Les enfants n'ont pas toutes les possibilités de jouir de leur enfance? » 
De quelle enfance peut-on « jouir » dans un pays où l'infrastructure publique et où les écoles et les hôpitaux ont été transformés en décombres? 
Imaginez les routes barrées et les points de contrôle militaire que ces enfants iraquiens démunis devront traverser par aller voir Mickey Mouse ... 

La société d'investissement américaine prendra possession des terres municipales par un accord conclu sous le sceau du secret avec le maire de Bagdad. 
Actuellement, sur ce site on retrouve le parc Al-Zawra et le jardin zoologique où les résidents de Bagdad se rencontrent toutes les fins de semaine. Le parc est typiquement irakien avec des étangs, des fontaines, des sculptures et des terrains de jeux pour enfants. 


«Ici, tout est motif à profit » 

Le site est un parc national populaire, mais il est maintenant destiné à être privatisé. Il s'agit du premier bien foncier à passer aux mains d'investisseurs américains. La société californienne C3 envisage d'utiliser cet espace pour y faire des investissements lucratifs dans des hôtels et aussi dans des logements haut de gamme. Pour que le projet soit rentable et viable sur le plan financier, il ne fait aucun doute qu'il devra également être financé directement par le Pentagone. 

« Je ne le ferais pas si je ne pouvais pas y tirer profit: " 
« M. Werner conservera des droits exclusifs sur les développements de complexes hôteliers et de logement qui, dit-il, seront rentables culturellement et économiquement ... J'ai aussi ce merveilleux sentiment que nous faisons la bonne chose, nous emploieront des milliers d'irakiens. Mais par-dessus tout, c'est le profit qui compte. » 

Traduction de Dany Quirion pour Alter Info. 

  

  



Contro la visita di Bush, la guerra
l'imperialismo degli USA e dell'Italia
 
A Roma la mobilitazione contro la visita di Bush 
comincia già da lunedi 9 giugno

 Comincerà già da lunedi la mobilitazione contro la nuova visita di Bush in Italia. Alle 12.00 il Patto contro la guerra che promuove la manifestazione dell'11 giugno, terrà una conferenza stampa davanti al carcere di Regina Coeli, scelto significativamente dopo la diffusione della notizia che nel carcere romano sono stati trasferiti 220 detenuti per far posto ad eventuali decine di arresti tra gli attivisti No War. Nel pomeriggio, alle 17.30 è previsto invece un primo sit in davanti all'Ambasciata USA in Via Veneto per protestare contro la conferma della condanna dei Cinque agenti cubani detenuti da dieci anni nelle carceri statunitensi. Il sit in è promosso da un cartello di associazioni di solidarietà con Cuba e con l'America Latina che hanno aderito alla mobilitazione dell'11 giugno e saranno presenti con un proprio spezzone alla manifestazione contro la visita di Bush.

 

Mercoledì 11 giugno mobilitazione nazionale
gli appuntamenti

 

ROMA: ore 17.00 corteo da Piazza della Repubblica
MILANO: ore 18.30 al consolato USA (largo Donegani)
PALERMO: ore 17.00 al consolato USA (via Vaccarini- Marchese di Villabianca)
VICENZA: ore 20.30 rotonda di viale Ferrarin (davanti aeroporto Dal Molin)
LECCE: ore 18.30 a Piazza S. Oronzo

 

Tutti in piazza  contro la visita di Bush riaffermando i nostri obiettivi:

- ritiro immediato delle truppe italiane dall'Afghanistan, dal Libano, dai Balcani

- revoca della decisione di costruire una nuova base militare USA a Vicenza e lo smantellamento delle basi militari USA/NATO nel nostro territorio per riconvertirle ad uso civile

- revoca dell'adesione dell'Italia allo Scudo missilistico USA, della partecipazione alla costruzione degli F35, dell'accordo di cooperazione militare tra Italia e Israele

- taglio delle spese militari a favore di quelle sociali.

Patto permanente contro la guerra