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Proseguiamo la rassegna di contributi sul tema dei secessionismi anticinesi. Molti altri articoli sul tema sono raccolti alla pagina: https://www.cnj.it/documentazione/cina.htm 



www.resistenze.org - popoli resistenti - cina - 08-04-08 - n. 222

 

Tibet: lanceranno gli USA una nuova guerra segreta sotto il «tetto del mondo»?
 
17.03.2008
di Andrej Аreshev

 

Continuano ormai da una settimana i disordini scoppiati (a prima vista inaspettatamente) nella Repubblica popolare cinese all'interno della regione autonoma del Tibet. Le manifestazioni iniziate dai monaci buddisti in occasione dell'anniversario dell'unione del Tibet con la Cina sono sfociate in scontri di massa con la polizia e pogrom. I tragici avvenimenti, coincisi con la sessione ordinaria dell'Assemblea Nazionale dei rappresentanti del Popolo[1], hanno assunto dimensioni serie, causando diversi morti e costringendo Pechino a mobilitare per placare i disordini anche parte dell'esercito regolare.

 

Fonti occidentali informano di un'estensione dei moti alle province vicine al Tibet (in particolare lo Sichuan[2]) e di repressioni di massa da parte delle autorità cinesi, raffigurando queste ultime con un taglio estremamente negativo. La mente corre subito a un fatto analogo, ovvero la rappresentazione da parte dei media occidentali dell'intervento della polizia ed esercito jugoslavi in Kosovo nel 1998, immediatamente prima dell'aggressione da parte della Nato. Le informazioni di prima mano, di cui è difficile attestare veridicità e completezza, provengono principalmente dai circoli tibetani che hanno sede nei Paesi vicini e dalle ONG occidentali che difendono i diritti umani.

 

Così, secondo il portavoce del «governo tibetano in esilio» Thubten Samphel, ci sono già 80 morti e 72 feriti durante le azioni di protesta. Queste cifre sarebbero confermate da molti testimoni oculari in Tibet che avrebbero contato i cadaveri. Fonti ufficiali cinesi parlano di 10 morti. Alcune informazioni provenienti da fonti pro-tibetane rappresentano apertamente scenari tragici: parlano di massacri di tibetani da parte di soldati cinesi e riportano che “i tibetani che vivono nella storica provincia di Amdo[3], non sono intenzionati ad arrendersi e continueranno strenuamente le azioni di protesta persino fino all'inizio delle Olimpiadi di Pechino”[4].

 

Gli sviluppi di questa vicenda, di fatto, possono arrecare un danno non da poco alla Cina alla vigilia delle Olimpiadi estive di quest'anno. L'agenzia Associated Press scrive: “Le manifestazioni a Lhasa hanno rappresentato per il governo di Pechino la sfida più seria degli ultimi vent'anni in Tibet, scatenando un'ondata di proteste in tutto il mondo e mettendo la Cina in cattiva luce alla vigilia dei Giochi olimpici”[5]. Tuttavia, quanto sta accadendo sul tetto del mondo, assume un significato geopolitico ben più ampio

 

Gli esperti, di fronte ad avvenimenti che ormai accadono in più continenti – in Africa[6] piuttosto che in America Latina, in Birmania[7], in Asia Centrale, nel Medio Oriente o in Pakistan – sottolineano una presenza ormai ricorrente di elementi riconducibili alla contrapposizione fra USA e Cina, non sempre evidente, ma non per questo meno forte. In particolare, una della cause dell'intervento contro l'Iraq e delle minacce rivolte incessantemente all'Iran, è il tentativo di rinchiudere la Cina nella gabbia della sua fame energetica[8].

 

Di sicuro anche le difficoltà di questi giorni, in cui versa il suo avversario geopolitico fondamentale, saranno oggetto da parte di Washington di tentativi di totale strumentalizzazione e di direzione del corso degli eventi verso scenari a esso favorevoli. Il Segretario generale USA Condoleeza Rice ha già richiamato Pechino alla «moderazione» per superare l'attuale crisi politica nella regione autonoma del Tibet. Esprimendo cordoglio per le vittime civili a causa dei disordini occorsi a Lhasa, capoluogo del Tibet, successivamente alle proteste pacifiche, la Rice si è detta preoccupata per le informazioni di un crescente concentramento di polizia ed esercito nei luoghi degli scontri e ha chiamato entrambe le parti a rinunciare alla violenza. Su come incendi e devastazioni su vasta scala male si attaglino all'etichetta di “proteste pacifiche”, la signora Segretario di Stato ha preferito non fare menzione. Non ha perso occasione però per ricordare che il presidente Bush “richiama di continuo il governo cinese a un dialogo costruttivo” con l'autorità spirituale dei buddisti tibetani, il Dalai Lama, sia direttamente, sia tramite suoi rappresentanti. In nome dell'amministrazione USA la Rice ha fatto appello a Pechino perché corregga quegli aspetti della sua politica verso il Tibet, “che hanno condotto a tensioni nelle sfere della religione, della cultura e dei mezzi di sostentamento locali”.

 

Si deve tener conto che negli ultimi anni il movimento nazionalista tibetano si è radicalizzato notevolmente: non sarà facile per Pechino scendere con esso a patti. Ne danno testimonianza indiretta le dimensioni e la buona organizzazione delle proteste, compresa l'ondata di dimostrazioni anticinesi occorse contemporaneamente in molti Paesi, dagli USA alla Francia, dal Nepal all'Australia. Le vicende legate all'indipendenza del Kosovo non potevano non ispirare i fautori della piena indipendenza tibetana dalla Cina. A Washington lo sanno e stanno continuando a puntare sul Dalai Lama come fautore di «forme di protesta non violenta», un novello «Ibrahim Rugova tibetano». Il capo spirituale tibetano gode in Occidente di ampio sostegno; a questo proposito basti ricordare il suo incontro con George Bush senior in occasione della cerimonia di premiazione in cui il Dalai Lama fu conferito della medaglia d'oro del Congresso USA nell'Ottobre del 2007.

 

Il Dalai Lama ha già chiesto un'inchiesta internazionale per la repressione degli atti di protesta in Tibet. “Le organizzazioni internazionali competenti devono investigare sulla situazione in Tibet sempre più complicata e chiarirne le cause”, così si è pronunciato in una sua dichiarazione a Dharamsala[9], definendo le azioni delle autorità cinesi come «genocidio culturale»[10].

 

Di fatto, il Dalai Lama volente o nolente sta preparando il terreno per forze ben più radicali, che son già ora pronte a colpire, avendo dalla loro il sostegno politico, propagandistico e di altro genere, anzi tutto da oltreoceano.

 

Il coinvolgimento USA negli affari interni del popolo tibetano e nei suoi rapporti con Pechino risale a diversi decenni fa. In pratica, subito dopo l'unificazione del Tibet alla Cina nel 1949 e l'annessione delle province di Kham e Amdo[11] nel 1956 la CIA, su iniziativa del governo USA, iniziò fra quelle montagne una «guerra segreta». Nell'ottobre 1957 da un aeroporto vicino a Dacca si alzò in volo un aeroplano senza segni di riconoscimento, con a bordo i primi due tibetani, addestrati per un mese dalla CIA. Atterrarono nell'area loro assegnata non lontano da Lhasa e presero subito contatto con il capo dei rivoltosi locali. Iniziò l'insurrezione a Lhasa e il Dalai Lama lasciò il Paese. Nel 1958 oltre 30 tibetani nella massima segretezza iniziarono l'addestramento nella base USA di Camp Hale in Colorado. A oggi per quel campo di addestramento ne sono passati oltre 300. Nel luglio del 1959 la CIA iniziò il rifornimento aereo di armi, munizioni e soldati addestrati che arrivavano in Tibet grazie a C-130 che partivano da una base segreta in Thailandia. Così, dal 1957 al 1960 furono trasportate circa 400 tonnellate di merce. In una di queste operazioni diversive condotte dai guerriglieri tibetani rimase ucciso il comandante del distretto militare del Tibet occidentale, il quale recava con sé documenti importantissimi del PCC. Fu così che a Langley[12] finirono informazioni preziose sulla situazione interna in Cina, sulla consistenza del suo esercito, sul suo programma nucleare e sui primi attriti nei rapporti fra Mosca e Pechino. All'inizio degli anni '60 le spese dell'intelligence a stelle e strisce in Tibet ammontavano a 1,7 milioni di dollari all'anno, di cui $ 500.000 erano per il mantenimento di 2100 ribelli (fra cui 800 guerriglieri armati), con base principalmente in Nepal, e $ 180.000 «per le necessità personali del Dalai Lama». Successivamente, quando i rapporti fra Washington e Pechino migliorarono, l'attività dei servizi segreti in Tibet fu temporaneamente sospesa. Alla popolazione tibetana questa avventura della CIA costò complessivamente 87.000 morti fra moti di piazza repressi e scontri armati…[13]

 

Si presti attenzione al fatto che in quegli anni il ruolo della Cina e dell'economia cinese[14] negli affari mondiali non era ancora così chiaramente espresso come oggi. Ciò nondimeno Washington non ha mai smesso di esercitare un'interferenza attiva negli affari interni della RPC e, nella fattispecie, in uno fra i suoi più «difficili» territori di confine. Ciò è ancor più emblematico al giorno d'oggi, quando la lotta per l'influenza nel mondo e per le sue risorse è divenuta ancor più aspra. Al posto del Dalai Lama, quando avrà compiuto la sua missione, verranno altre persone le quali, appoggiandosi all'aiuto esterno, cercheranno di minacciare l'unità statuale e territoriale della Cina. Oltre al Tibet si troveranno altri punti di «applicazione della forza»: lo Xinjiang, o Regione autonoma uighura, piuttosto che la Mongolia interna... Complicazioni con l'estero inoltre non si faranno attendere molto. Si può concludere che l'attuale situazione si ripercuoterà sui rapporti fra Cina e India[15], quest'ultima oggetto da parte di Washington di un forte tentativo di attrazione nella propria orbita[16], e non solo.

 

I disordini in Tibet possono aver un'imprevedibile eco in Russia, particolarmente in regioni con una presenza significativa di fedeli buddisti. Manifestazioni di solidarietà per i dimostranti tibetani[17] potrebbero aver luogo in regioni russe come la Kalmykia, Burjatija e Tyva. Choj-Dorzhi Budaev[18], presidente della comunità buddista «Lamrim» (Burjatija) e dell'Autorità spirituale centrale buddista, ha già espresso il proprio auspicio che i fatti in Tibet portino a mutamenti democratici nella società cinese. A suo dire, la democrazia prese piede in Russia soltanto in seguito ai famosi fatti degli anni '90 che tanta eco internazionale suscitarono. Ha detto Budaev: “Voglio credere che anche i fatti allarmanti in Tibet a cui noi oggi siamo testimoni, in ultima analisi portino alla democratizzazione della società cinese”[19].

 

Tali tentativi di forze esterne di proporre in Cina scenari di «democratizzazione» alla maniera di Gorbachev e El'cyn, portano direttamente quanto accade in Tibet nella sfera della politica interna ed estera russa.

 

Per la scrittura di questo lavoro sono stati impiegati frammenti dell'articolo di Melinda Liu “CIA: una guerra segreta sul tetto del mondo” (CIA: a secret war on the roof of the world” (Newsweek, 16 agosto 1999 [20]).

 

Traduzione dal russo per www.resistenze.org di Paolo Selmi
 

 

[1]    L'Autore rimanda a un lungo articolo apparso sullo stesso sito in due puntate: “La Cina nel 2007-2008: bilanci,problemi, prospettive” (Китай в 2007-2008 годах: итоги, проблемы, перспективы (I-II) http://fondsk.ru/article.php?id=1287 e http://www.fondsk.ru/article.php?id=1290), sfortunatamente non ancora disponibile né in inglese né in italiano, che riprende e commenta i lavori dell'ultima sessione dell'ANP. L'ANP, in cinese Quánguó Rénmín Dàibiǎo Dàhuì (全国人民代表大会), corrisponde al nostro Parlamento. Per un approfondimento sul suo funzionamento, cfr. “Le istituzioni "parlamentari" della Repubblica Popolare Cinese” di Alessandra Lavagnino, in http://www.tuttocina.it/mondo_cinese/106/106_lava.htm ; il sito ufficiale dell'ANP è http://www.npc.gov.cn/npc/xinwen/index.htm con un ampia sezione in inglese comprendente fra l'altro la traduzione dei lavori svolti durante l'ultima sessione (marzo 2008).
[2]    La Repubblica Popolare Cinese, in cinese Zhōnghuá Rénmín Gònghéguó (中华人民共和国), ha una suddivisione amministrativa che utilizza termini presenti anche nella nostra classificazione, assegnando loro tuttavia significati diversi: in pratica il territorio è ripartito a un primo livello (che noi definiremmo “regionale”) in 33 suddivisioni di diversa denominazione secondo lo status politico e il grado di capacità amministrativa riconosciuto loro dal governo centrale. Per questo 22 suddivisioni si chiamano “province” (省 shěng), 5 “regioni autonome” (自治区 zìzhìqū), 4 “municipalità” (直辖市 zhíxiáshì) e 2 “regioni amministrative speciali” (特别行政区 tèbié xíngzhèngqū). Per un ulteriore approfondimento cfr. http://it.wikipedia.org/wiki/Suddivisione_amministrativa_della_Cina , che comprende anche una buona carta regionale della Cina.
[3]    Amdo (in cinese Ānduō, 安多) è una “provincia culturale” (wénhuà dìqū文化地区), ovvero storicamente mai stata un'entità amministrativa a sé stante, che si colloca fra la regione autonoma del Tibet e le provincie di Qinghai e Sichuan. Per una breve scheda cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Amdo
[4]    Nota dell'Autore che riporta una frase dal sito http://savetibet.ru/2008/03/16/people_killed_in_tibet.html, in cui si scrive di otto cadaveri di tibetani portati entro le mura del monastero di Ngaba Kirti. 
[5]    La fonte è ripresa da un articolo di savetibet.ru (http://savetibet.ru/2008/03/16/dalai_lama_about_protests.html) che rimanda però a un collegamento dell'originale in inglese ormai scaduto.
[6]    Cfr. dello stesso Autore, “USA e RPC nel continente africano: due strategie a confronto” (США и КНР на Африканском континенте: две стратегии) in http://www.fondsk.ru/article.php?id=173
[7]    Cfr. di Andrej Volodin, “Myanmar: il contesto geopolitico della «rivoluzione zafferano»” (Мьянма: геополитический контекст «шафрановой революции») in http://www.fondsk.ru/article.php?id=1157
[8]    L'Autore in nota cita di К. Simonov, “La guerra energetica globale (Глобальная энергетическая война), Mosca, Algoritm, 2007. pp. 130 e segg.
[9]    L'Autore nota come “fra l'altro, non molto tempo fa, anche Levon Ter-Petrosian promosse un appello per una commissione d'inchiesta internazionale sui tragici fatti in Armenia del 1 e 2 marzo, fra l'altro provocati dai suoi stessi sostenitori. La stessa tipologia di questi eventi, come la tattica adottata in entrambi i casi di affidare le azioni a “dimostranti pacifici”, permette di individuare una similarità di mezzi con l'aiuto dei quali si cerca di creare un “caos controllato” in regioni così diverse come il Caucaso meridionale (ovvero l'area occupata da Georgia, Armenia e Azerbaijan, N.d.T.) e l'Asia orientale”. Quindi cita articoli correlati a questo tema apparsi sullo stesso sito, fra cui il già tradotto in italiano da Resistenze “L'Armenia dopo i moti di piazza” (Армения после мятежа), in http://www.resistenze.org/sito/te/po/am/poam8c18-002824.htm. Per gli altri articoli al momento esiste solo la versione in inglese (“An orange revolution scenario in Armenia: final countdown” in http://en.fondsk.ru/article.php?id=1254 e “Ter-Petrosyan’s Objective: International Inquiry into the March 1 Events in Armenia” in http://en.fondsk.ru/article.php?id=1266 )
[10] Cfr. la campagna di propaganda di seguito alla distruzione delle sculture buddiste da parte dei talebani in Afghanistan nel 2001, propedeutica all'azione NATO in quel Paese.
[11] In pratica la provincia culturale di Kham (in cinese 康, Kāng, una delle tre province culturali tibetane) rientrava nella sua parte occidentale nel territorio della Regione Autonoma del Tibet (che si componeva quindi del suo territorio e di quello della provincia culturale dello Ü-Tsang, in cinese 衛藏 Wèizàng), mentre nella parte orientale si collocava nelle diverse province cinesi a esso confinanti. Per questo l'Autore differenzia sullo stato amministrativo del Tibet, Regione Autonoma e parte contraente l' “Accordo in 17 punti” (十七条协议, Shíqìtiào Xiéyì) siglato a Pechino del 1951 e che prevedeva una gradualità nell'applicazione delle politiche rivoluzionarie, e delle due province culturali di Kham e Amdo, a tutti gli effetti parte di province cinesi e sottoposte quindi all'amministrazione ordinaria, a partire dall'immediata socializzazione dei mezzi di produzione. Per un approfondimento sulle tre province culturali cinesi, oltre alla pagina sull'Amdo già citata, cfr. http://en.wikipedia.org/wiki/Kham e http://en.wikipedia.org/wiki/Amdo , (N.d.T.)
[12] Città in Virginia, sede della CIA (N.d.T.)
[13] Per una cronaca dettagliata di quanto avvenne in quei tragici anni cfr. il paragrafo “Putting Down the Armed Rebellion” in “The Historical Status of China's Tibet”, ed. China Intercontinental Press, testo molto accurato e storicamente valido, gratuitamente consultabile e scaricabile all'indirizzo http://www.tibetinfor.com/english/services/library/serialise/h_status/menu.htm (N.d.T.)
[14] L'Autore cita l'articolo pubblicato sullo stesso sito “Dal “Washington consensus” al “Beijing consensus”: cambiamento di rotta nell'economia mondiale” (Пекинский консенсус – смена вех в мировой экономике, http://www.fondsk.ru/article.php?id=721) purtroppo non disponibile né in italiano né in inglese.
[15] L'Autore rimanda a un articolo pubblicato sullo stesso sito e di cui esiste la versione in inglese: “China - India - Russia: “forgotten tune” of world politics” (http://www.fondsk.ru/article.php?id=1273)
[16] L'Autore cita un interessante articolo sullo stesso sito, purtroppo non ancora tradotto né in italiano né in inglese, dal titolo “Il fattore India nella geopolitica USA” (Индийский фактор в геополитике США)
[17] Sempre l'Autore rimanda all'interessante articolo pubblicato sullo stesso sito e dal titolo “Lo spettro del pan-mongolismo a Est degli Urali” (Призрак панмонголизма к востоку от Урала, http://www.fondsk.ru/article.php?id=1286 ), purtroppo ancora solo accessibile nell'originale russo.
[18] Per un'intervista a Choj-Dorzhi Budaev (Чой-Доржи Будаев), ma soprattutto per la foto che lo ritrae insieme al Dalai Lama e per la riflessione che suggerisce sull'immensa ricchezza di etnie che popolano lo sterminato territorio russo, cfr. http://baikal-media.com/2006/09/04/choi-dorzhi-budaev-buryatskii-narod-nedoumevaet
[19] Frase pronunciata in un'intervista concessa al sito savetibet.ru http://savetibet.ru/2008/03/16/buryatia_and_tibet.html
[20] L'originale si trova in http://www.newsweek.com/id/89265 e nelle 4 pp. successive (N.d.T.)



STUPRO ETICO (O UMANITARIO)



ONU - LO STUPRO È ARMA DI GUERRA

Autore: informa-azione.info

New York, 20 giu. (Adnkronos) - Il Consiglio di sicurezza dell'Onu ha votato all'unanimita' una risoluzione, la 1.820, che definisce lo stupro un'arma di guerra. Il documento descrive il deliberato uso della violenza sessuale come una tattica di guerra e una minaccia alla sicurezza internazionale. Per il segretario generale delle Nazioni Unite, Ban Ki-moon, la violenza contro le donne ha raggiunto "proporzioni indescrivibili".

Lo stupro è un arma e l'Onu ha il suo mostruoso arsenale. Seguono brevi estratti sull'argomento.

Haiti, MINUSTAH: 2005, 3 caschi blu accusati di stupro

Burundi, ONUC : 2004-2005, 5 casi accertati di abusi su minori

Costa d'Avorio, UNOCI: 2001, abusi sessuali a bambini in cambio di aiuti umanitari

Etiopia e Eritrea, UNMEE: 2003, caschi blu girano video pornografici. 2001, due soldati Onu accusati di molestie a minori

Liberia, UNMIL: 2005, 8 caschi blu accusati di molestie sessuali. 2001, abusi sessuali a bambini in cambio di aiuti umanitari

Rep. Dem. Congo, MONUC: 2005, 150 casi di abusi accertati

Sierra Leone, UNAMSIL: 2001, abusi sessuali a bambini in cambio di aiuti umanitari

Kosovo, UNMIK: nel 2000 l'80% dei clienti della prostituzione era personale delle missioni umanitarie; oggi è il 20%, ma il traffico è cresciuto dell'80%

Timor Est, UNMISET: 2003, viene aperta un'inchiesta su un traffico di prostituzione organizzato dai caschi blu

* * *

A settembre, la rivista medica britannica “The Lancet” pubblica un rapporto sconvolgente in cui si dice che durante il colpo di stato ad Haiti, guidato dagli USA dopo la destituzione nel 2004 del presidente democraticamente eletto Jean Bertrand Aristide, 8.000 persone sono state uccise e 35.000 donne e ragazze violentate. Tra i responsabili di queste azioni compaiono la polizia haitiana, bande, e “peacekeeper” ONU.

[...] una ragazza di sedici anni ha riferito di essere stata rapita e violentata, all'interno di una base navale delle Nazioni Unite, da un militare brasiliano, quando aveva quattordici anni. I genitori della giovane hanno denunciato il fatto alle autorità dell'ONU presenti sul territorio, ma, nonostante le evidenti prove mediche, il soldato in questione è stato rimpatriato senza alcun provvedimento. Un'altra bambina ha affermato di essere stata stuprata da un peacekeeper a soli undici anni, e altri militari sono stati accusati di usufruire della prostituzione locale (anche minorile).

Una ragazzina di 13 anni ha raccontanto alla Bbc come un gruppo di 10 peacekeeper dell’Onu l’ha violentata in un campo vicino la sua casa, abbandonandola a terra sanguinante e terrorizzata. Nessuna sanzione è stata comminata ai soldati.

* * *

L'organizzazione umanitaria britannica Save the Children, che ha effettuato alcune ricerche in Costa d'Avorio, Sudan e Haiti, ha rivelato che numerosi bambini, anche di 6 anni, nelle zone di guerra o di crisi hanno subìto violenze sessuali, da parte di operatori umanitari e peacekeeper ONU.

Le vittime sono prevalentemente orfani, o separati dai genitori, o con famiglie che dipendono dagli aiuti umanitari. A prevalere per numero sono le bambine rispetto ai maschi e l'età media delle vittime è di 14-15 anni, anche se il rapporto parla di abusi anche a danni di bambini di 6 anni. Numerose le forme di abuso descritte dagli intervistati: le più frequenti sono commenti, frasi dal pesante e volgare contenuto sessuale, cioè “abusi verbali” (sono testimoniati dal 65% degli intervistati e partecipanti ai 38 focus group di Save the Children); segue il sesso “coatto” (secondo il 55% degli intervistati), a cui i minori sono indotti magari in cambio di cibo, soldi, sapone, in rari casi di beni “di lusso” come il cellulare. Frequenti anche le molestie (attestate dal 55% degli intervistati). Benché meno frequente (denunciata dal 30% degli intervistati), la violenza sessuale di singoli ma anche di gruppi su minori emerge come la più temuta.

Per quanto riguarda il profilo o la provenienza degli abusanti, il rapporto rileva che possono appartenere a qualsiasi organizzazione, sia essa umanitaria, o di peacekeeping o di sicurezza; avere qualsiasi livello o grado, dai più bassi – guardie, autisti – ai più alti, manageriali; fare parte dello staff locale o internazionale.
Un dato confermato anche dalle Nazioni Unite: sul totale delle denunce di sesso con minori a carico di operatori ONU nel 2005, 60 su 67 riguardano le truppe del Dipartimento ONU delle Operazioni di Peacekeeping (DPKO).

fonti: volontariperlosviluppo, ecplanet, lastampa




vedi anche:
Bolivia: il secessionismo... croato ha fallito
Il referendum secessionista in Bolivia è stato un totale fallimento / EVO MORALES: "IL SECESSIONISMO HA FALLITO" / Sulla vera natura del cosiddetto movimento autonomista cruceno in Bolivia / Più di 2.500 intellettuali hanno firmato l’appello in solidarietà con la Bolivia / L'ambasciatore Usa Goldberg: dal Kosovo alla Bolivia

see also:
La Paz - Berlin: Divide and Rule
The Conspiracy to Divide Bolivia Must Be Denounced

siehe auch:
Newsletter vom 17.06.2008 - Spalte und herrsche

voir aussi:
Evo Morales - "Il y a un risque de coup d'Etat" 
Gaston Cornejo Bascopé - Rapport sur le problème politique actuel que rencontre notre Bolivie 
Benito Pérez - Des propriétaires prennent les armes contre la réforme agraire
Romain Migus - Emission spéciale "Bolivie" sur Radio Venezuela en direct
Nous dénonçons la conspiration pour diviser la Bolivie


Bolivia Action Solidarity Network (BASN)

The U.S. Ambassador who left Yugoslavia in a thousand pieces is now in Bolivia

Thu, 05/15/2008 - 20:14 — tupaj
By: Wilson Garcia Merida
www.llactacracia.org

Translation: Roberto Verdecchia
January 19, 2007

He presented his credentials to President Evo Morales on October 13, but three months before his arrival in Bolivia, while still in Pristina serving as head of the U.S. mission in Kosovo, it was already being said that Philip Goldberg, the new American ambassador appointed by George Bush to this Andean country, would come to take part in the separatist process that had begun to form against the Bolivian Government.
On July 13, 2006, Leopoldo Vegas, a journalist with El Deber of Santa Cruz, published an article stating that "according to three political scientists consulted after the White House appointment, the experience acquired by Goldberg in Eastern Europe, where ethnic struggles occurred after the separation of the former Yugoslavia, can be used in Bolivia, given the changes the current government intends to introduce."
One of those interviewed by Vegas was Róger Tuero, an academic and former director of Political Science at the 'Gabriel Rene Moreno Autonomous University' (UAGRM) in Santa Cruz, who stated that the experience of every ambassador is crucial to American diplomacy.
"It is not by chance that this man was transferred from Kosovo to Bolivia," said Tuero.
Ambassador Goldberg is now a major political and logistical pillar of the Prefect of Cochabamba Manfred Reyes Villa, who set up the worst ethnic, social, regional and institutional crisis ever to take place in the history of Bolivia.

Who is Philip Goldberg?

According to the resume officially circulated by the U.S. Embassy in La Paz, Philip Goldberg participated from the beginning of the Yugoslavian civil war that erupted in the nineties, to the fall and prosecution of Serbian President Slobodan Milosevic.
From 1994 to 1996, he served as a "desk officer" of the State Department in Bosnia, where the conflict between Albanian separatists and Serbian and Yugoslavian security forces arose.
In that same period, he served as Special Assistant to Ambassador Richard Holbrooke, the architect of the disintegration of Yugoslavia and the fall of Milosevic.
"In that position," the Embassy stated, "Goldberg was a member of the U.S. negotiating team in the preparation of the Dayton Peace Conference, and head of the U.S. Delegation in Dayton."
Ambassador Goldberg was also a political and economic officer in Pretoria, South Africa, and a consular and political officer in the U.S. Embassy in Bogota, Colombia, where he first became interested in Latin American politics.
After serving as Deputy Chief of the U.S. Embassy in Santiago de Chile from 2001 to 2004, Goldberg returned to the Balkans to head the U.S. mission in Pristina, capital of Kosovo, from where he supported the prosecution of former dictator Milosevic at the Hague Tribunal.

From Kosovo to Bolivia

Before his transfer to Bolivia, Goldberg worked in Kosovo for the separation of Serbia and Montenegro, which occurred last June as the final act of the disappearance of Yugoslavia.
The disintegration of Yugoslavia took place during a decade of bloody civil war led by processes of "decentralization" and "autonomy". These were finally imposed with American military intervention and the presence of troops from NATO and the UN who occupied the Balkans to pacify the region.
The Yugoslavian civil war was characterized by "ethnic cleansing", consisting of the expulsion and annihilation of traditional ethnic groups who formed the territories of Yugoslavia. The most cruel racial extermination took place between Serbs and Croats.

Just three months after the arrival of Ambassador Goldberg, Bolivia, like the Balkans, began to undergo an exacerbated process of racism and separatism, directed from the eastern city of Santa Cruz. Santa Cruz is governed by an elite composed of, among others, businessmen of Croatian origin who created a federalist movement called "Camba Nation."
One of the main Cruceño leaders of the separatist movement is Branco Marinkovic, an agri-businessman and partner of Chilean capitalists, who in February 2007 will become the head of the Civic Committee of Santa Cruz, the organization driving the process against the government of Evo Morales.

Separatist Autonomy

Beside Santa Cruz, Marinkovic's "Camba Nation" encompasses the departments of Beni, Pando and Tarija (home to the biggest natural gas deposits in Bolivia), whose populations voted for departmental autonomy in a referendum held in July 2006. Together, they form the so-called "Crescent" region of the eastern half of the country.

The western departments of La Paz, Chuquisaca, Potosi, Oruro and Cochabamba voted No to this autonomy, maintaining their direct link with the central government of Evo Morales and distancing themselves from the four departments of the autonomy-seeking "Crescent".
This movement of separatist "autonomy" intensified through an impromptu decision by the government of former president Carlos Mesa in 2004, when "Camba Nation" pressured for the direct election of Prefects (departmental governors) through town meetings and strikes. Previously, prefects were appointed directly by the President to maintain the unity of the Executive Branch. Now, new President Evo Morales is not able to exercise this power and is instead forced to govern almost separately from the four autonomic Prefects.
In Cochabamba – a Department located directly between the eastern and western regions of the country – prefect Manfred Reyes Villa, abusing his elected status, tried to ignore the results of the July 2 referendum and force a new one that would unite Cochabamba with the 'Crescent', breaking the fragile balance between those for "autonomy" and those against. An alternative to separatism was in fact beginning to take shape in Cochabamba – an 'integrative megaregional' approach that contrasted with the model of Departmental autonomies.

The Attack in Cochabamba Despite having already been decided by the ballot-box, Reyes Villa tried to force through this new autonomy referendum, mobilizing the most conservative urban sectors of Cochabamba society.
The popular movement and particularly the agricultural and indigenous organizations of the 16 provinces of this Department who had been demandingnpeasant co-management in the prefectural administration instead of then exclusive and corrupt way that Reyes Villa had ruled from the city of Cochabamba (the Department capital), arrived in the city to demand changes to the Prefect's policy.
Ignoring the just demand of the provinces, Reyes Villa promoted the organization of fascist youth groups, aided by the Cruceñista Youth Union which operates in Santa Cruz, in order to "expel the native indians from the city." This is how the fateful day of January 11 erupted, when a violent raid took place that ended with two people dead and 120 seriously wounded, most of them peasants. On this day, when thousands of "Sons of the Fatherland" armed with truncheons, baseball bats, golf clubs, iron pipes and even firearms made their attack, Reyes Villa left the city and went to La Paz to meet with the four autonomic Prefects and representatives of the American Embassy.
After those tragic events, the September 14 Plaza (the seat of the Prefecture and Departmental symbol of power) was occupied by more than 50,000 indigenous people from the 16 provinces demanding the resignation of Reyes Villa.
Although the government opened all possible opportunities for dialogue, Reyes Villa systematically refused to meet with provincial representatives, and instead "exiled himself" in Santa Cruz, from where he now seeks to turn the problem into an explosive national conflict, threatening the stability and democracy of this country governed by an Indian President.

The CIA and Reyes Villa

The influence of the CIA and of Ambassador Goldberg in the political conduct of Reyes Villa (a former Army captain linked to the dictatorship of Banzer and Garcia Meza) is unequivocal.
The separatist Prefect has systematically prevented the peaceful settlement of the conflict and his people have developed a malicious disinformation campaign that seeks to create the conditions for a confrontation at the national level.
The American Embassy is deploying a plan of collective indoctrination against the indigenous uprising, promoting a racial and separatist hatred that was clearly demonstrated on January 11. They are also working in conjunction with business organizations like the Chamber of Industry and Commerce (Cainco) of Santa Cruz, who openly supports Reyes Villa and his "advisers".
But American interference in this conflict occurs not only within the far Right, but also through infiltration into the MAS government itself.
Last weekend, La Razon newspaper in La Paz published a photograph that revealed that food belonging to the state Civil Defense agency, normally used for victims of natural disasters, was being diverted to the peasant masses concentrated in the September 14 Plaza.
It was proven later that Juan Carlos Chavez, a former agent of NASDEA (the logistical and financial body of the U.S. Drug Enforcement Agency) and an adviser to the Ministry of Justice, had interfered in the Civil Defense agency without having any jurisdiction in that area, in order to carry out this diversion of State resources. Curiously enough, the photograph taken of this illegal act was published by a paper in La Paz, more than 650 kilometers away from Cochabamba.
Chavez was removed immediately, but how a former DEA agent exercised such a high influence within the Ministry of Justice must still be clarified. 

The media smear campaign against the indigenous mobilization of Cochabamba is part of a psychological war typical of the CIA, and is a mainstay in the separatist strategy directed from Santa Cruz by Manfred Reyes Villa, who is still the Cochabamba Prefect.
The balkanization of Bolivia appears to be starting.

llactacracia @...




RICETTA PER IL WEEK-END: Polipo alla maniera serba

        Ingredienti: 
        - 1 maialino (fino a 15 kg) 
        - 1 polipo grande (cca 2 kg) 
        - patate.

Preparazione: 
Mentre il maialino gira sullo spiedo, il polipo si cuoce con le patate in tanta acqua salata. Quando il polipo è pronto, e il maialino arrostito bene, si tirano fuori le patate, l'acqua si butta via, e il polipo si butta ai gatti e ai cani, per tenerli buoni e non farci rompere mentre asaporiamo il maialino. 
Il maialino è da servire con la birra ghiacciata.

(segnalato da IK)