Informazione


From:   info @...
Subject: Contributo Rete nazionale Disarmiamoli! al convegno del Patto permanente contro la guerra - 24.5.08
Date: May 25, 2008 9:00:53 PM GMT+02:00

Contributo della Rete nazionale Disarmiamoli! al convegno del Patto permanente contro la guerra - 24 maggio 2008
 
La caduta del governo Prodi ed il ritorno di Berlusconi a Palazzo Chigi è una nuova tappa del travagliato processo politico che vede la classe dominante del nostro paese impegnata nel disegnare un assetto istituzionale stabile, in grado cioè di governare la cosiddetta “azienda Italia” nella competizione mercantile internazionale.

 

Nonostante l’eclatante debolezza, in soli 20 mesi l’esecutivo di centro sinistra ha però imposto al paese scelte fondamentali in politica interna ed estera, attraverso la stabilizzazione dell’intero quadro politico nazionale all’interno delle logiche della cosiddetta “governabilità”, della cogestione, tra forze politiche apparentemente alternative.

 

Le conseguenze del conflitto economico e militare determinato ed imposto dalle regole della suddetta competizione in atto sotto gli occhi di tutti.
Esse determinano in ogni paese scelte legate sempre più strettamente al complesso militare – industriale ed alle “proiezioni belliche” oltre confine, alla conquista di risorse strategiche, mercati e commesse per un sistema economico “civile” in piena recessione.

 

Il governo Prodi si è distinto per il vertiginoso adeguamento del “sistema paese” agli imperativi imposti dalle nuove offensive neocoloniali in atto. L’aumento in due anni del 24% nelle spese militari, oltre ad essere l’investimento bellico più cospicuo nella storia repubblicana, sottende un riorientamento strategico dell’economia nazionale.

 

Sotto il segno dei governi dell’ultima decade, con una marcata accentuazione del ruolo del centro sinistra, si è progressivamente composto un mosaico di scelte ed orientamenti atti a adeguare l’“azienda Italia” alle trasformazioni geopolitiche che negli ultimi 20 anni hanno sconvolto gli scenari internazionali.

 

  • Il “Nuovo modello di difesa” italiano e la nascita dell’esercito professionale, figli della complessiva riorganizzazione in senso offensivo delle forze militari statunitensi e N.A.T.O.
  • Le partecipazioni belliche dirette e le operazioni di “Peacekeeping”, che a partire dalla prima guerra del golfo del 1991, passando per il massacro jugoslavo del 1999, l’occupazione dell’Afghanistan nel 2001 e dell’Iraq nel 2003 hanno permesso di rodare ed affinare costantemente il ruolo ed i compiti del complesso militare / civile / industriale italiano nei vari territori occupati.
  • La costruzione di una complessa macchina “civile” in grado di affiancare le truppe sui fronti di guerra, composta da O.N.G., associazionismo “embedded” e aziende “conctractor”.
  • La “messa a servizio” della ricerca pubblica e privata – Università, scuole di specializzazione, C.N.R., centri studi – in funzione delle esigenze di costante sviluppo tecnologico e di know how dell’esercito professionale e delle aziende di armi e tecnologia militare.
  • La parallela costituzione di una vera e propria holding delle aziende militari italiane sotto il comando di Finmeccanica, conglomerato a partecipazione e controllo pubblico (oltre il 37%).
  • Il rafforzamento della presenza militare diretta N.A.T.O., statunitense ed israeliana sui nostri territori, attraverso nuove basi ed accordi militari, collaborazioni scientifiche, esercitazioni congiunte.

 

L’insieme delle scelte schematicamente elencate si sono in questi anni ricomposte attraverso politiche concrete, in grado di dispiegarsi con maggior chiarezza sotto la guida del centro sinistra piuttosto che con gli esecutivi di centro destra, smaccatamente filo statunitensi ed incapaci sino ad ora, per la base sociale ed industriale che rappresentano, di far giocare alla “azienda Italia” un ruolo da protagonista nell’area eurasiatica e mediorientale.

 

Durante il precedente governo Berlusconi l’Italia (soprattutto nel settore militare e tecnologico) non andò oltre le commesse e i brevetti concessi dagli Stati Uniti.
Il centro sinistra ha tentato invece di dotare l’Italia di un complesso militare-industriale capace di integrarsi su scala europea e di competere nello scacchiere di riferimento (Balcani, Eurasia, Medio Oriente, Corno d’Africa), senza mai mettere in discussione le alleanze “strategiche” d’oltre Oceano.

 

D’Alema e il Leonte libanese

 

Il modello che meglio ha incarnato la filosofia politico/militare e diplomatica del centro sinistra nello scacchiere d’interesse dell’azienda Italia è rappresentato dell’operazione “Leonte”, attraverso la quale il Sud Libano è occupato da circa 15mila uomini, tra militari (quasi 10mila, di cui 2.500 italiani) e civili di venti Stati diversi.

 

Il ruolo da protagonista ritagliato dal Ministro degli Esteri D’Alema in quella particolare crisi internazionale ha permesso di creare uno spazio alla diplomazia italiana ed europea ( e quindi ai suoi eserciti ed industrie) precedentemente preclusi.
Una miscellanea di arte diplomatica, capacità colloquiale, uso del settore civile come cuscinetto nelle relazioni con le popolazioni. Gli strumenti concreti della dottrina militare del “portare la pace” piuttosto che “forzarla” ( peacekeeping versus peaceenforcing ).

 

Un guanto di velluto che nasconde il pugno d’acciaio sul territorio dell’occupato (Libano) piuttosto che quello dell’occupante (Israele), dell’appoggio incondizionato all’illegittimo governo Sinora contro lo schieramento di partiti e organizzazioni della Resistenza libanese, della protezione delle frontiere d’Israele e degli interessi delle aziende e ONG italiane, impegnate nella ricostruzione di un paese devastato dall’aviazione israeliana, armata con bombe provenienti direttamente dalle basi USA presenti in Italia, come quella di camp Darby, che in Israele ha due depositi classificati.

 

Una politica estera che convinse l’ex “sinistra radicale”, schierata (ancora oggi) al fianco dell’occupazione del Sud Libano. Lo schieramento di sinistra non fece, infatti, mancare il suo appoggio ad una scelta smaccatamente neo colonialista e filo israeliana, in Parlamento con il voto favorevole all’invio delle truppe, ad Assisi il 26 agosto 2006 con il vergognoso slogan “Forza ONU” portato alla marcia dalle associazioni della Tavola della Pace.

 

Il “Leonte” dalemiano dovrebbe essere ora sostituito dal “panzer” Frattini, ma come abbiamo potuto osservare “sul campo” i cambi di strategia nel paese dei cedri devono fare i conti con alcune variabili molto insidiose, prima fra tutte la forza della resistenza nazionale libanese.
Sulla situazione libanese torneremo avanti nel documento.

 

Un altro tassello della diplomazia di guerra italiana: Il Kosovo

 

L’attivismo dalemiano di febbraio 2008 sul Kosovo, allo scopo di velocizzare i tempi di una “secessione pilotata” dalle pericolosissime conseguenze politiche e militari, nasconde anche in questo caso un orientamento dettato dal ruolo che l’Italia si è ritagliata nell’area balcanica, soprattutto in Albania.

 

Nella spartizione di territori e mercati in quella che è stata l’Europa “oltrecortina”, l’Italia ha progressivamente trasformato il paese delle aquile in un protettorato de facto.
Dall’inizio degli anni ’90 sino ad oggi, il sistema istituzionale albanese, l’esercito, le polizie, la pubblica amministrazione è stata ricostruita grazie ad un’accorta regia italiana.
In un contesto di disgregazione istituzionale, sociale ed economica, la debolissima struttura produttiva e commerciale albanese sono state facili prede dell’imprenditoria e delle speculazioni finanziarie. Basti ricordare il famoso scandalo delle “piramidi”, che a cavallo tra il 1996 ed il 1997 ridusse sul lastrico il 50% dei risparmiatori albanesi.

 

Una manodopera a bassissimo costo, un sistema di potere corrotto e permissivo, fanno dei territori albanesi terra di conquista ed affari per le piccole e medie imprese italiane, le quali esternalizzano produzioni altrimenti poco remunerative nel nostro paese.
La “grande Albania” che s’intravede dietro l’attuale secessione kosovara è quindi una proiezione del controllo italiano di un territorio ancora più vasto.
Il fatto che ciò avvenga in dispregio del diritto internazionale, contro gli accordi che a Kumanovo sancirono la fine dei bombardamenti NATO del 1999 poco importa ad una diplomazia determinata a ritagliarsi nicchie di potere nei territori sconvolti da guerre e occupazioni.
In questa area d’interesse probabilmente pochi saranno i segni di discontinuità tra il vecchio ed il nuovo esecutivo. Le filiere produttive direttamente coinvolte nello sfruttamento in Albania, Romania e paesi limitrofi sono in buona parte espressione diretta della “base sociale” del nuovo esecutivo: la PMI del Nord Est, un cooperativismo che prospera con le commesse militari (vedi CMC e CCC nel caso della base al Dal Molin), speculatori finanziari onnipresenti…..
 
Gioco di squadra sotto comando U.S.A.

 

Ad oggi la tabella di marcia del conflitto continua ad essere implacabilmente imposta dall’Amministrazione Bush e dal suo esercito, sia nei territori dilaniati da feroci occupazioni, sia nelle scelte interne ai vari paesi satelliti - come nel caso dell’Italia - costringendo talvolta i vassalli a scelte diplomatiche umilianti e ad investimenti apparentemente schizofrenici.

 

Ecco allora il consenso all’installazione di una nuova base U.S.A. all’aeroporto “Dal Molin” di Vicenza, la firma dell’accordo per l’assemblaggio dei bombardieri nucleari F35 mentre si investono miliardi per il concorrente europeo Eurofighter, la sottoscrizione dell’accordo per l’inserimento dell’Italia nel progetto USA di “scudo antimissilistico”, il coinvolgimento di sempre più forte di  uomini e mezzi per l’occupazione dell’Afghanistan, l’alleanza politico/militare strategica con Israele, proiezione geografica degli U.S.A. sui territori della Palestina storica, l’umiliante epilogo delle inchieste sul rapimento di Abu Omar e sull’omicidio di Nicola Calidari.

 

Esempi che evidenziano il limitato spazio di manovra per un paese come l’Italia, alla mercè dell’occupazione militare statunitense, esemplificata dalla presenza di 104 basi USA sparse su tutto il territorio nazionale, di servitù militari  N.A.T.O. e del nuovo esercito professionale italiano, che caratterizzano la nostra penisola come grande portaerei nel cuore del Mediterraneo

 

L’esecutivo Prodi ha partecipato al gioco di squadra della nuova spartizione coloniale in un ruolo di “attivismo subalterno”, senza mai fare un passo falso che mettesse in discussione o in difficoltà gli alleati strategici.
Una realpolitik che ha reso molto in termini di ruolo militare ( in questo momento al comando delle missioni in Libano, Afghanistan e nei Balcani sono posizionati generali e ammiragli italiani), di commesse ( l’Italia è la settima esportatrice di armi nel mondo ) e di proiezione delle industrie tricolori nell’area (ENI, Finmeccanica, imprese di costruzione, O.N.G. filogovernative).

 

I popoli dei paesi occupati, i lavoratori italiani, le popolazioni che vivono vicine alle basi militari hanno pagato con la vita, il salario, la dignità e la libertà il costo delle politiche “multilateraliste” del centro sinistra.

 

La storica comunanza di vedute tra l’attuale amministrazione U.S.A. e gli esecutivi della destra berlusconiana potrebbe accentuare il ruolo interventista dell’esercito italiano nei vari fronti d’intervento. Ciò dipenderà più che dalla volontà soggettiva dei leader della destra dalle condizioni oggettive sul campo, come emerso con estrema chiarezza in Libano all’inizio del mese di maggio 2008
Forse l’esecutivo berlusconiano ci risparmierà solo la nauseabonda coltre di ipocrisie, doppiezze, trasformazioni semantiche ed ideologiche alle quali ci aveva abituato il centro sinistra.
Le parole potrebbero riavvicinarsi al loro senso reale e il termine “guerra” potrebbe tornare ad essere usato per descrivere gli avvenimenti in corso.
Conoscendo però il pragmatismo criminogeno di questa destra reazionaria e forcaiola, le certezze su queste ipotesi di modifica sostanziale e formale di approccio alla politica estera del paese andrà verificata passo passo.

 

Di certo c’è solo il contesto ed il ruolo nel quale l’Italia è inserita. Un ruolo di prima linea nei conflitti bellici, odierni e futuri.

 

Le politiche di guerra, corda al collo della sinistra di governo.

 

Eviteremo di elencare le scelte di guerra ed antipopolari sottoscritte e sostenute durante tutta la legislatura dai partiti della cosiddetta “sinistra radicale”. Durante i 20 mesi di governo Prodi ce ne siamo occupati concretamente giorno per giorno, attraverso denunce puntuali, mobilitazioni, campagne di massa e manifestazioni.

 

Ci risparmieremo anche giudizi di merito su una classe politica cresciuta all’interno dei movimenti altermondialisti, particolarmente forti nel nostro paese per la particolare congiuntura politica internazionale ed interna precedente all’avvento del primo  governo Prodi.

 

Il miglior giudizio su questo ceto politico lo hanno dato le urne il 13 e 14 aprile scorso, fotografando in maniera impietosa, come già Piazza del Popolo il 9 giugno 2007, il fallimento totale di un percorso attraverso il quale si sono aperte le porte ad una destra reazionaria, legittimata a procedere su una strada bellicista già tracciata, come detto, dai precedenti governi di centro sinistra.

 

Vorremmo invece focalizzare l’attenzione - per sommi capi -  sulle cause politiche che a nostro modo di vedere hanno spinto un intero ceto politico a adeguarsi così “radicalmente” ai dettami di un governo tra i più militaristi della storia repubblicana.
Ci cimentiamo in questa sintetica analisi non per puro esercizio speculativo, ma per quella che riteniamo un’impellente esigenza del movimento contro la guerra, imposta dal precipitare della crisi politica di questi giorni.

 

Nei venti mesi di governo Prodi i gruppi dirigenti dei partiti della cosiddetta “sinistra radicale” hanno messo in pratica, dall’interno delle famose “stanze dei bottoni”, una linea politica che viene da lontano, maturata in anni di rapporti ambigui con i movimenti, di pratiche eminentemente istituzionali, di profonde revisioni nei propri riferimenti storici, teorici ed ideali.

 

Il quadro di insieme che emerge dal concreto esercizio del potere è quello di un ceto politico che ha assunto strategicamente l’orizzonte della gestione dello “stato di cose presenti”, in una fase storica nella quale i margini per politiche di condizionamento esercitate “dall’alto” sono evidentemente esauriti.

 

Le guerre di aggressione, l’occupazione militare dei luoghi di produzione strategici, la fine sostanziale di ogni trattato internazionale che regola i rapporti tra Stati,  sono oggi prassi comune ed elemento centrale del confronto tra potenze economiche, imponendo per ricaduta particolari regole all’economia, al mercato, alle politiche estere ed interne di tutti gli Stati.
L’analisi di questa drammatica congiuntura storica che l’umanità è costretta a vivere - a causa di un sistema economico profondamente iniquo, irrazionale e fallimentare - è stata e continua ad essere argomento di confronto all’interno del movimento no global,  dibattito un tempo assiduamente frequentato da chi, divenuto poi deputato o senatore, ha contribuito attivamente alla realizzazione di queste politiche di guerra.
Non è l’analisi o la presa di coscienza della realtà che ha diviso i movimenti da questa rappresentanza politica, ma  precise scelte di campo ed una prassi politica conseguente.

 

La presenza di queste rappresentanze politiche - direttamente o attraverso le strutture socio/culturali di riferimento - nel sottobosco della gestione delle missioni militari all’estero e nella cogestione delle politiche territoriali di un paese sempre più militarizzato come l’Italia - sono gli esempi concreti di una compromissione che va ben oltre la compartecipazione ad un governo.
Indicativi di questa complicità “dal basso” sono i silenzi-assensi delle amministrazioni locali di centro sinistra verso le servitù militari, basi della morte, accordi tecnologici o commerciali con paesi come Israele (da Aviano a Camp Darby, da Ghedi alle regioni Lazio, Toscana, Emilia-Romagna, Puglia etc.)

 

La partecipazione della “sinistra” al governo Prodi non è stata il frutto di una sequela di errori ma, lo ripetiamo, l’assunzione di un orizzonte strategico di compatibilità con l’esistente, che rischia - nonostante l’impressionante debacle elettorale – di continuare ad interagire nelle dinamiche politiche nazionali.

 

Le “grandi manovre” in atto per tentare di riciclare pezzi del ceto politico espulso dal gioco politico parlano chiaro. Una considerevole parte della società italiana non è più rappresentata in Parlamento e il sistema tenta di compensare questo pericoloso vuoto riproponendo “leader affidabili”, utili per continuare l’opera di “normalizzazione” in un paese nel quale storicamente si sono espressi alti livelli di conflittualità sociale, culturale e politica.

 

La posta in gioco di questo passaggio è molto alta, non tanto per la poco interessante sorte di ex deputati e senatori, ma per la tenuta di un movimento che in questi anni è riuscito a scrollarsi di dosso il ricatto del “governo amico”.

 

Passaggio di testimone in una staffetta di guerra

 

I primi passi del governo Berlusconi, sfrondati dalla retorica tronfia e muscolare di un esecutivo di chiara marca reazionaria, evidenziano da una parte debolezza e cautela nelle prime mosse di politica estera, ma soprattutto rendono tangibile la logica bipartisan con la quale saranno trattate alcune partite fondamentali per l’economia di guerra imbastita dal precedente governo Prodi .
In quest’ambito il punto di incontro politico/economico tra il vecchio ed il nuovo esecutivo s’intravede nel ruolo giocato da Finmeccanica.
Oltre ad assumere la funzione di camera di compensazione clientelare, con la recente assunzione nell’azienda a partecipazione statale di decine di parenti ed amici dei trombati dalle urne elettorali - rigorosamente bipartisan -, il 12 maggio scorso la holding tricolore ha rafforzato in maniera formidabile la sua posizione nel mercato internazionale delle armi, acquisendo il 100% della statunitense Drs Technologies.
Con 3,4 miliardi di euro, Finmeccanica si è comprata il diritto di entrare nel mercato della “difesa” di Washington, equivalente a più del 50% del mercato di armi nel mondo.

 

L’operazione, come evidenzia Sergio Finardi in un articolo uscito su “Il Manifesto” lo scorso 16 maggio, ha ovviamente una diretta implicazione politica.
Scrive Finardi “…Con l'acquisizione di DRS (il cui direttivo rimarrà solidamente in mano all'attuale management statunitense), Finmeccanica e i suoi dirigenti entrano nel circolo dell'apparato «securitario» statunitense che - attraverso le limitazioni di legge all'influenza di gruppi stranieri sulla produzione bellica statunitense nonché attraverso i meccanismi con cui si regolano i vari gradi di accesso dei dirigenti dell'industria bellica a informazioni segrete o sensibili - producono una reale sudditanza alle scelte strategiche delle Amministrazioni Usa e al loro apparato di intelligence. Le politiche produttive, di esportazione, e di alleanze di Finmeccanica saranno costantemente vagliate alla luce dei loro possibili contrasti con quelle scelte strategiche (ed eventualmente influenzate), mentre nello stesso tempo sarà creato un oggettivo e forte interesse da parte di uno dei maggiori gruppi industriali bellici europei a sostenerle onde non compromettere la «magica» permanenza sul mercato statunitense.
 
Va da sè che pezzi della politica estera italiana (semmai ce ne fosse bisogno) diverranno più sensibili alle pressioni statunitensi, per dirla con un eufemismo, in particolare in relazione al Medio Oriente e all'Afghanistan e in relazione alla costruzione di un'autonoma macchina bellica europea centrata sull'asse franco-tedesco. In altre parole, l'Italia si avvicina maggiormente alla funzione di cavallo di troia statunitense svolta da sempre dalla Gran Bretagna in Europa e si allontana da Parigi e Bonn….. Sarebbe interessante sapere…. quanto ha pesato sulla fattibilità dell'accordo l'azione del precedente governo Berlusconi, del governo Prodi (durante il quale a Finmeccanica è stato concesso di fare dei passi sulla partecipazione al sistema di «difesa» anti-missilistica strategica statunitense, la cosiddetta Strategic Defense Initiative), e di membri del board dei direttori di Finmeccanica come l'ex consigliere di politica internazionale di Prodi, Filippo Andreatta (figlio del più famoso Beniamino), e Giovanni Castellaneta, attuale ambasciatore italiano a Washington”.

 

L’acquisto della statunitense Drs Technologies da parte di Finmeccanica è descritto dalla stampa specializzata (Il Sole 24 ore) come un atto di fiducia del colosso statunitense verso il fido Berlusconi, tornato alle redini di comando.
A differenza di questa lettura, noi vediamo in questa colossale operazione economica la risultante di un lungo processo di “fidelizzazione” di tutto il panorama politico italiano ai voleri dell’imperialismo statunitense.
Come dire, diamo a Prodi quel che è di Prodi.

 

La falsa partenza di Frattini in Libano

 

L’operazione Leonte in Libano rimane al momento legata alla strategia dalemiana.

 

Le esternazioni dell’attuale Ministro della Difesa Franco Frattini sulle regole d’ingaggio delle forze UNIFIL hanno contribuito a determinare le condizioni dell’ultima fiammata di guerra nel paese dei cedri.
I precari equilibri sui quali si regge la tregua d’armi in Libano hanno subito un forte scossa a causa delle dichiarazioni del nuovo governo italiano, attualmente al comando del dispositivo multinazionale di stanza in Sud Libano.
Il governo filo occidentale Sinora ha tentato immediatamente di formalizzare sul campo l’ipotetico mutamento di rapporti di forza, varando provvedimenti atti allo smantellamento dell’autonomo sistema di comunicazioni di Hezbollah.

 

Di fronte alla forza dell’offensiva della Resistenza il governo illegittimo di Fuad Sinora è tornato sui suoi passi, seguito in poche ore dai neo ministri della difesa e degli esteri italiani.

 

Il recente accordo di Doha per l’elezione del Presidente della Repubblica libanese è la risultante di una nuova vittoria sul campo della Resistenza libanese. I “signori della guerra” d’Occidente ed i loro alleati locali dovranno cercare altre vie per scardinare questo punto di tenuta contro il progetto del “Grande Medio Oriente”.

 

Gli eventi che si sono susseguiti a Beirut e in altre zone del Libano dimostrano ancora una volta, se ce ne fosse bisogno, l’importanza strategica della Resistenza popolare nella lotta contro la volontà di guerra dell’asse filo occidentale nell’area.

 

I mass media italiani, sempre servili e benevoli con chi governa, hanno messo in sordina lo smacco con il quale la politica estera del governo Berlusconi ha iniziato il suo cammino.

 

Frattini però non demorde, ed all’ultimo Consiglio dei Ministri di Napoli rilancia sulle regole d’ingaggio dei soldati italiani in Afghanistan, dando anche in questa zona di conflitto un chiaro segnale di disponibilità alle pressanti e reiterate richieste statunitensi per un maggiore impegno nei combattimenti.

 

In termini generali, la memoria delle operazioni belliche gestite dal precedente governo Berlusconi testimoniano come sul campo, al di là di dichiarazioni roboanti, i compiti assegnati alle forze armate italiane siano sempre stati di “basso profilo”, di affiancamento e copertura alle operazioni belliche principali, di stabilizzazione di aree geografiche preferibilmente dove, come nel caso di Nassirija, sono collocati industrie o giacimenti di interesse italiano (ENI).
Vedremo nelle prossime settimane e mesi quali saranno gli sviluppi e le reali dimensioni di questo riorientamento “offensivo” delle truppe tricolori.

 

La guerra interna

 

La devastante campagna sulla “sicurezza” con la quale il governo Berlusconi ha iniziato il suo mandato affonda le radici in una regressione societaria profonda ed inquietante, prodotto di una serie di fattori economici, sociali, politici e culturali molto complessi, trasformatisi in ottimale terreno di coltura di una destra reazionaria e razzista.
Gravissime, a nostro modo di vedere, le responsabilità del ceto politico erede della storia dell’ex sinistra istituzionale, che ha progressivamente coadiuvato, introiettato e poi gestito direttamente il paese e le città attraverso politiche razziste, discriminatorie e xenofobe.
Esempi non mancano, e nessuno dei partiti che componevano l’ex governo Prodi è rimasto immune da queste degenerazioni.
Non è compito di questo documento analizzare il contesto storico – politico e l’ambiente socio/culturale che ha reso possibile il ritorno al governo del paese di un esecutivo dai tratti marcatamente reazionari.

 

Vogliamo invece evidenziare come questa regressione societaria veicoli perfettamente la militarizzazione dei territori.
Non c’è bisogno di analisi erudite per dimostrarlo, basta osservare l’attuale drammatica concatenazione di avvenimenti, ricordando quali e quanti strumenti sono stati messi progressivamente a disposizione dei vari Ministri degli Interni e della Difesa.
Anche in questo caso la logica della “staffetta” ha funzionato perfettamente, consegnando senza soluzione di continuità sempre maggiori mezzi coercitivi e meccanismi di militarizzazione della società ai governi.
Un mix micidiale di strumenti repressivi, utili per prevenire ed affrontare potenziali insorgenze sociali, determinate da una crisi economica che si preannuncia lunga e devastante.

 

Come dimenticare la trasformazione dell’esercito di leva in professionale, con la possibilità per i nostrani “Rambo” di accedere per linee preferenziali ad attività civili nei ministeri, nelle forze di polizia e nella pubblica amministrazione?
Come dimenticare la trasformazione dell’Arma dei Carabinieri in quinta forza armata dell’esercito?
Migliaia di carabinieri e soldati  di ventura addestrati nell’arte della guerra in Somalia, nei Balcani, in Afghanistan, in Iraq, pronti ad intervenire oggi nelle strade delle nostre città, come già programmato nell’ultimo Consiglio dei Ministri per risolvere “manu militari” la vicenda dei rifiuti a Napoli ed in Campania.

 

Altro strumento concreto di militarizzazione dei territori è lo sviluppo dell’industria di guerra.
La proliferazione ed il finanziamento di aziende, centri studi universitari, sistemi di produzione avanzati legati alla filiera bellica aumenta il numero di lavoratori direttamente ed indirettamente legati a sistemi produttivi garantiti solo dal permanere di focolai di guerra.
Cosa significhi questo in termini concreti lo hanno sperimentato negli anni ’60 del secolo scorso i pacifisti statunitensi, perseguiti non solo dalle forze dell’ordine , ma anche da importanti settori di classe operaia dipendenti dal sistema militare – industriale.
In termini ridotti, anche nel nostro paese già facciamo i conti con questa contraddizione, sia nelle battaglie per la riconversione delle fabbriche di armi, sia quando chiediamo la chiusura delle basi militari straniere. Il ricatto del lavoro è un’arma formidabile con la quale dover fare i conti, innanzi tutto con le maestranze, ma anche con le popolazioni locali.

 

Dietro i freddi numeri delle ultime due Leggi Finanziarie si nascondevano queste “armi di militarizzazione di massa”, a disposizione oggi della destra berlusconiana.
 
Il Movimento contro la guerra nella nuova fase politica

 

Il movimento contro la guerra espressosi sino ad oggi è stato il prodotto di un lungo processo di chiarificazione. In questi anni una soggettività plurale, radicata sui territori, nelle lotte contro le basi militari e militarizzazione della vita sociale, nella resistenza contro politiche che hanno decurtato immense risorse dalle tasche dei lavoratori a favore delle imprese belliche, è riuscita ad esprimersi attraverso una pratica indipendente dalle compatibilità di sistema e dei governi, mettendo ripetutamente in crisi il precedente esecutivo di centro sinistra.

 

La forza di questo movimento ha agito direttamente nello scenario politico nazionale, determinando prima  la “crisi” di governo del febbraio 2007 in seguito alla grande manifestazione contro la base di Vicenza.
Successivamente, la manifestazione del 9 giugno 2007 contro Bush e le politiche militariste del governo Prodi.
Giornata storica per il movimento, nella quale 150.000 NoWar ridicolizzarono i  200 burocrati della  “sinistra radicale”, ritrovatisi in Piazza del Popolo con l’obiettivo, clamorosamente mancato, di  “coprire a sinistra” l’esecutivo Prodi. Un segnale arrogantemente ignorato da un ceto politico che solo 10 mesi dopo sarà spazzato via dal Parlamento.
Così scriveva la Rete nazionale Disarmiamoli! all’indomani del 9 giugno 2007
“…Dopo un anno di subalternità alle politiche del nucleo duro del governo, il tentativo di “copertura a sinistra” ha prodotto un disastro, misurabile con il vuoto di Piazza del Popolo, che se abbinato alla debacle elettorale alle ultime amministrative danno la dimensione di una vera catastrofe.

Un intero ceto politico si ritrova solo, abbarbicato alle proprie poltrone ed ai propri indecenti stipendi, ma completamente isolato dalle piazze, dalle aspettative tradite di milioni di ex “elettori”. Come abbiamo detto ripetutamente in questi mesi: il re è nudo, e tutti lo hanno potuto vedere nell’impietosa rappresentazione di quella piazza vuota.

I 150.000 scesi in piazza contro Bush e le politiche militariste del governo Prodi esprimono - questo è il dato di novità assoluta - una soggettività plurale indipendente da politiche estere con connotati chiaramente bipartisan....”

Oggi assistiamo, come abbiamo in parte descritto in queste note, alla raccolta dei “dividendi di guerra” da parte di uno tra i più reazionari governi nell’alveo dei cosiddetti paesi del “mondo libero”. Una responsabilità storica, che ricade direttamente sia su quel sia rimane del ceto politico coagulatosi all’interno del PD che sui “nuovi extraparlamentari”.

 

Le scosse di assestamento del dopo terremoto elettorale, a ben vedere, rischiano di essere ancora più devastanti dell’epifenomeno centrale. Sono sotto gli occhi di tutti piccole e grandi manovre, più o meno indecenti, finalizzate a far rientrare dalla finestra un ceto politico espulso dalla porta della storia politica di questo paese.
Coadiuvare in qualsiasi forma queste manovre significherebbe contribuire a mettere una zavorra mortale nelle ali dei movimenti.

 

Coloro i quali hanno lasciato completamente vuoto un potenziale spazio di rappresentanza istituzionale per i movimenti, le lotte e le aspirazioni di un mondo libero dal bellicismo e dall’aggressività militarista, si devono assumere in pieno la responsabilità di questa catastrofe, facendosi definitivamente da parte.
Niente di più e niente di meno. 

 

Il Movimento contro la guerra, così come altre istanze di movimento impegnate nei vari ambiti di lotta, devono oggi più di ieri ricomporre un quadro d’insieme delle grandi energie espressesi in questi anni, con l’obiettivo di proiettarle in avanti.

 

Abbiamo di fronte nuovi e gravosi compiti d’organizzazione della resistenza contro la prevedibile ondata di bellicismo interventista.
Con il nuovo esecutivo cambieranno le forme attraverso le quali la cosiddetta “proiezione di potenza” dell’azienda Italia si esprimerà nelle varie aree d’influenza, dai Balcani al Medio Oriente, dal corno d’Africa all’Afghanistan.
Venuto meno il progetto multipolare a baricentro europeo del centrosinistra, l’esecutivo Berlusconi volgerà di nuovo la barra della proiezione estera italiana verso politiche smaccatamente filo atlantiste.

 

(Message over 64 KB, truncated)


(italiano / english)


Pogroms in Italy 
Il caso Ponticelli è una montatura


1) Il caso di Angelica, ragazza Rom accusata del tentato rapimento di una bambina di sei mesi avvenuto a Napoli, nel quartiere Ponticelli, è una montatura

2) Stop to anti-Roma violence in Italy! (European Network Against Racism - ENAR)

3) ARCI - COMUNICATO STAMPA:
Il Governo ritiri il c.d. Pacchetto sicurezza e apra un confronto con le parti sociali

4) Il nazista Romagnoli: "creare uno Stato Rom in Europa Orientale"

5) Militarizzazione, demagogia e razzismo di Stato: il governo Berlusconi si è presentato al paese (Rete dei Comunisti)

6)  IBRA, “LO ZINGARO” / Razzismo Rom: tifosi minacciano Pirlo , Ibrahimovic e Mihajlovic

7) «Ladri di bambini». Lo stereotipo senza prove che perseguita i rom (Il Manifesto)

8) Bologna 16 maggio - 21 giugno: L’estraneo fra noi. La figura dello zingaro nell’immaginario italiano

9) I media stranieri: "Italia razzista"


On pogroms by italians against rroms, slavs and rumenians see also / vedi anche:

Allarme razzismo. Un altro rapimento-montatura
(sul caso di Catania - 20 maggio 2008)


Dossier di Contropiano: Migranti, dogma sicurezza, razzismo di stato.
Militarizzazione, demagogia e razzismo di Stato (Rete dei Comunisti)
Stranieri e illegalità nell’Italia criminogena (Vincenzo Ruggero)
Il Sud e la paranoia repressiva, ovvero la perpetua emergenza (Adalgiso Amandola)
La città, lo spazio pubblico e la paura dell’altro:tendenze anti-urbane fra Stati Uniti e Europa (Roberta Marzorati)
Napoli e le sue banlieues. Un esempio di semi-cittadinanza delle "popolazioni interne" (Antonello Petrillo)
L'ossessione della sicurezza partorisce mostri (Contropiano)
Il mito perverso della sicurezza e la nuova dimensione della politica nella metropoli imperialista (Michele Franco)
Un interessante iniziativa territoriale del CSA Vittoria a Milano contro la logica della "sicurezza"


Il quotidiano razzismo dei quotidiani italiani 


Italia, i media fomentano pogrom contro i rom

 

=== 1 ===

http://www.everyonegroup.com/it/EveryOne/MainPage/Entries/2008/5/18_Follia_antizigana_in_Italia._EveryOne_sul_rapimento_di_Napoli.html


Sunday, May 18, 2008
Il caso di Angelica, ragazza Rom accusata del tentato rapimento di una bambina di sei mesi avvenuto a Napoli, nel quartiere Ponticelli, è una montatura.


La testimonianza di Flora Martinelli, la madre della bambina, del padre di lei Ciro e dei loro vicini di casa è falsa. Il Gruppo EveryOne ha indagato accuratamente sull'evento che ha scatenato una vera e propria caccia al Rom, che da Napoli si è diffusa a macchia d'olio in tutta Italia. Fin dall'inizio le dinamiche del rapimento non ci hanno convinto, perché chi conosce la palazzina in cui sarebbe avvenuto il reato sa che è praticamente inaccessibile, sia per il cancello che per l'attenta sorveglianza degli inquilini, affermano i leader del Gruppo EveryOne Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau. Vi sono poi discordanze fra le testimonianze della Martinelli, di suo padre e dei vicini. La donna in un primo momento ha dichiarato che la porta del suo appartamento sarebbe stata forzata, poi ha ricordato di averla lasciata aperta. Dopo aver notato la porta aperta, la madre sarebbe andata a controllare la culla, quindi sarebbe tornata verso il pianerottolo dove avrebbe sorpreso - passati almeno venti secondi -  la ragazzina Rom con la sua piccola in braccio. Non solo: avrebbe avuto ancora il tempo di raggiungerla e strapparle la bambina. Quindi la Rom si sarebbe mossa al rallentatore, consentendo a nonno Ciro di raggiungerla, afferrarla e schiaffeggiarla al piano di sotto. Alcuni dei vicini hanno riferito alle autorità che Angelica aveva ancora la bambina in braccio, quando l'hanno fermata. Ma non basta, perché nei giorni precedenti al fatto, gli inquilini della palazzina si erano riuniti più volte, con un solo ordine del giorno: come ottenere lo sgombero delle famiglie Rom accampate a Ponticelli. Dopo queste analisi di massima, il Gruppo EveryOne - che può contare su attivisti e organizzazioni locali - ha effettuato ulteriori accertamenti, sia presso il carcere, dove un funzionario, dopo aver ascoltato le ipotesi che scagionavano la presunta rapitrice, ammetteva: 

Avete ragione, anche noi siamo in difficoltà, perché questo non è un evento diverso da tanti altri, ma qualcuno ha voluto trasformarlo in un caso nazionale. Gli inquilini di Ponticelli fanno blocco: i Rom non li vogliono più. Qualcuno però, mostra qualche scrupolo di coscienza, ma ha paura, perché le pressioni sono forti e mettersi contro il comitato di Ponticelli è pericoloso. Angelica, in realtà, conosceva una delle famiglie che abitano in via Principe di Napoli, dove è avvenuto l'episodio, continuano gli attivisti del Gruppo EveryOne, ha suonato al citofono ed è stata notata da alcune inquiline. Pochi istanti dopo è scattata la trappola e la furia dei condomini si è scatenata contro di lei, che è stata raggiunta in strada, afferrata, schiaffeggiata e consegnata alla polizia. Vi sono testimoni che conoscono la verità e due di loro sono disposte a parlare al giudice. E' importante che l'avvocato Rosa Mazzei, che difende la ragazza Rom, non si faccia intimidire e sostenga la verità in tribunale. Un attivista di Napoli suppone che la linea di difesa potrebbe essere, invece, quella di ammettere il furto, ma non il tentato rapimento. Le conseguenze del caso di Ponticelli, con l'eco mediatica promossa da quotidiani e network, sono state gravissime e sono un indice evidente di come sia necessario abbandonare razzismo e xenofobia per riscoprire la strada dei diritti umani. 

Adesso è importante che le organizzazioni locali per i diritti dell'uomo vigilino sulla serenità di Angelica, che subisce pressioni gravi e intollerabili. Salvaguardare la tranquillità della ragazza significa salvaguardare la verità sul caso di Ponticelli, che è la tragica verità di un'altra ingiustizia, di un'altra calunnia, di altre disumane violenze subite dal popolo Rom in Italia, già colpito da emarginazione e segregazione, vessato da provvedimenti iniqui. Gli attivisti del Gruppo EveryOne concludono con alcune considerazioni che dovrebbero far riflettere: Da anni lanciamo l'allarme riguardo alla campagna razziale in corso in Italia. Grazie all'appoggio di forze politiche transnazionali attive nel campo dei diritti umani e civili, abbiamo ottenuto Risoluzioni europee e documenti-guida da parte delle Nazioni Unite, che ammoniscono l'Italia contro le sue politiche razziali. I Rom in Italia non sono criminali, ma famiglie in difficoltà. Su 150 mila 'zingari' presenti nel nostro Paese, 90 mila sono bambini. La speranza di vita media dei Rom, qui da noi, è di soli 35 anni, contro gli 80 degli altri cittadini. La mortalità dei bimbi Rom è 15 volte superiore a quella degli altri bambini. Sono numeri che esprimono una persecuzione. Riguardo alla criminalità Rom, essa non ha un'incidenza rilevante, come dimostrano i dati del Ministero degli Interni e le aggressioni nei confronti di italiani sono praticamente inesistenti. Il caso di Giovanna Reggiani fu un'altro grande inganno, perché il presunto omicida, Romulus Mailat, non è Rom, ma un romeno di etnia Bunjas, che non ha nulla a che vedere con i popoli 'zingari'. L'abbiamo documentato, a suo tempo, agli inquirenti e alla stampa, ma il nostro dossier scientifico non fu preso in considerazione. Il razzismo fa comodo a uno stuolo di persone, a partiti politici e media, alla criminalità organizzata, che muove miliardi di euro ogni anno. A questo proposito, ricordiamo che i Rom coinvolti in delitti agiscono quasi sempre per ordine di criminali mafiosi italiani, i quali - a causa dell'emarginazione e della segregazione in cui versano i 'nomadi' - li hanno ridotti in schiavitù. Lo sanno le autorità, lo sanno i politici e sarebbe ora che lo sapessero tutti i cittadini italiani.


Roberto Malini - Gruppo EveryOne - info@...

fonti: http://www.pane-rose.it/files/index.php?c3:o11920http://www.everyonegroup.com/it



=== 2 ===

http://www.enar-eu.org/Page_Generale.asp?DocID=15296&langue=EN



PRESS RELEASE
Brussels, 19 May 2008

Stop to anti-Roma violence in Italy!

The European Network Against Racism (ENAR) strongly condemns the violent attacks on Roma settlements in Italy last week and urges all relevant EU institutions to take action to denounce these events.
Last week, a number of Roma settlements around Naples and Milan were set on fire by inhabitants following reports of a Roma girl allegedly having attempted to steal a baby.
ENAR is seriously concerned by the political and media discourse used in Italy to build a “Roma emergency”. The Italian authorities are conducting arbitrary detentions and expulsions, making provisions for discriminatory anti-Romani and anti-Romanian laws and measures and openly inciting its population to racially motivated violence. The Italian Interior Minister Mr. Roberto Maroni on 11 May stated that “all Roma camps will have to be dismantled, and the inhabitants will be either expelled or incarcerated”. It seems also that the Italian government is about to adopt a new security decree to control or expel immigrants, especially the Roma.
These measures and the current xenophobic discourse are propagating prejudice and encouraging the double identification Roma/criminals. A recent opinion poll showed that 70% of Italians would like to “expel” the Roma from Italy, regardless of the fact that a little more than 50% of them are Italian nationals and 20% are EU citizens.
Presenting the Roma as a threat to public security stigmatises an entire ethnic minority and goes against the very principles and values upon which the European Union is founded. ENAR therefore urgently calls on the Italian authorities to stop making anti-Roma discourses and to take all the necessary measures to ensure the protection of the Roma community. ENAR also urges all EU institutions to condemn and take action against the anti-Roma hate speech and discriminatory actions taken by Italian authorities.
ENAR President Mohammed Aziz said: “We are extremely worried by the anti-Roma and anti-immigrant rhetoric currently being used in Italy, resulting in the introduction of discriminatory measures and in fuelling racist sentiment. Italian and EU politicians must stand up to the EU commitment to fundamental rights and focus on promoting the social inclusion of Roma and implementing anti-discrimination policies.”


The European Network Against Racism (ENAR) is a network of European NGOs working to combat racism in all EU
member states and represents more than 600 NGOs spread around the European Union. Its establishment was a
major outcome of the 1997 European Year Against Racism. ENAR aims to fight racism, xenophobia, anti-Semitism
and Islamophobia, to promote equality of treatment between EU citizens and third country nationals, and to link
local/regional/national initiatives with European initiatives.

For further information, contact:
Georgina Siklossy, Communication and Press Officer
Phone: 32-2-229.35.70 - Fax: 32-2-229.35.75
E-mail: georgina@... - Website: www.enar-eu.org


=== 3 ===

ARCI
UFFICIO STAMPA
Via dei Monti di Pietralata, 16
Andreina Albano
Tel. 06 41609267 – 348 3419402 albano@...

COMUNICATO STAMPA

 

Il Governo ritiri il c.d. Pacchetto sicurezza e apra un confronto con le parti sociali
 
Dichiarazione di Filippo Miraglia, responsabile immigrazione Arci

 

 

Il c.d. Pacchetto sicurezza, varato ieri dal Consiglio dei ministri, contiene una serie di disposizioni che, se applicate, avranno delle conseguenze gravissime sul piano culturale e giuridico.
Vengono  di fatto  criminalizzati comportamenti riconducibili a fenomeni di disagio sociale, a cui si attribuisce un rilievo di carattere penale, anziché predisporre servizi e misure atte ad alleviarlo.
Viene introdotto il reato di immigrazione clandestina, un vero obbrobrio giuridico, su cui già sono stati espressi dubbi di costituzionalità e che otterrebbe l’effetto di paralizzare un sistema giudiziario già intasato.
Già abbiamo avuto modo di spiegare come sia responsabilità dell’attuale normativa l’ingresso irregolare nel nostro paese, data l’inapplicabilità del sistema della chiamata diretta da paese a paese.
L’aumento delle pene, a parità di reato, per i cittadini stranieri e la procedura di espulsione per una condanna superiore a due anni rappresentano un doppio livello giuridico, incompatibile con il principio universale della responsabilità penale che non può essere manipolato a seconda della nazionalità.
Il divieto di affitto agli immigrati irregolari è in aperta violazione della nostra Costituzione che riconosce il diritto di tutti i cittadini ad un’esistenza dignitosa, così come prevede anche la Carta dei diritti dell’Unione europea che parla di “diritto all’assistenza abitativa”.
Si trasformano i Centri di detenzione in vere e proprie galere, dove, senza assistenza legale, si può restare rinchiusi fino a 18 mesi.
Si rischia, con questi provvedimenti, di distruggere i principi cardine del nostro stato di diritto, disattendendo a gran parte delle norme europee che tutelano i diritti universali e vietano interventi discriminatori.
Siamo convinti che per rassicurare i cittadini servano ben altri interventi, favorendo la coesione sociale e la civile convivenza, adottando misure che servano a far uscire dal disagio e dal degrado i cittadini italiani quanto quelli stranieri.
Chiediamo al Governo di ritirare questi provvedimenti, di aprire un confronto con le organizzazioni dei migranti, dei rom, e con quelle associazioni che da anni si occupano della loro accoglienza.
Chiediamo un intervento urgente della Commissione europea che costringa l’Italia ad adeguarsi alle norme previste dai Trattati e dalle direttive europee.

 

Roma, 22 maggio 2008

 

 

Filippo Miraglia
Responsabile Immigrazione ARCI
Via dei monti di pietralata 16
00151 Roma+
tel. +39.3484410860
e mail miraglia@...


=== 4 ===

Il nazista Romagnoli: "creare uno Stato Rom in Europa Orientale"

Notizia pubblicata il 22.05.08 da Reuters Italia:

Il leader della Fiamma Tricolore Luca Romagnoli, che alle ultime elezioni politiche italiane era candidato nella lista de “La Destra”, ha anche proposto “la creazione di uno Stato rom magari in un’area dell’Europa orientale” perché, ha detto Romagnoli, da quella zona proviene la maggior parte della popolazione di origine rom.

 

Ogni riferimento a “Der Führer baut den Juden eine Stadt...” è del tutto casuale?

Claudia Cernigoi


=== 5 ===

Militarizzazione, demagogia e razzismo di stato.

Il governo Berlusconi si è presentato al paese

 

Il nuovo governo Berlusconi ha già calato le sue carte principali. Con un abile miscela di provvedimenti popolari (eliminazione dell’ICI), demagogici (la cacciata dei rom e l’arresto degli immigrati clandestini) e repressivi (la militarizzazione della gestione dei rifiuti in Campania e l’arresto per chi si oppone alle discariche), il nuovo esecutivo sta passando ad incassare la cambiale che aveva firmato con i poteri forti e con il senso comune più reazionario e razzista radicato nel proprio elettorato.
Dalla Campania i comitati popolari a Chiaiano, Taverna del Re e in altri territori hanno già detto che non si lasceranno intimidire, mentre l’Unione Europea ha condannato il carattere razzista dei provvedimenti contro rom ed immigrati.
Ma le misure adottate dal governo Berlusconi godono e godranno ancora del consenso di vasti strati della popolazione e potranno contare sulla complicità bipartizan del Partito Democratico.
Le campagne d’ordine e la militarizzazione della vita sociale, indicano la cifra del nuovo esecutivo e della fase politica con cui dovremo fare i conti nei prossimi mesi.
La sinistra anticapitalista e i movimenti sociali devono essere consapevoli di rappresentare oggi una minoranza politica e sociale decisamente controcorrente rispetto al senso comune e alle coordinate di una politica ormai caratterizzata dal dogma della governabilità. Esserne consapevoli significa capire il ruolo da giocare dentro questa fase e questo non potrà che essere un ruolo di opposizione e resistenza politica e sociale.
Il 43% degli intervistati in un recentissimo sondaggio, non condivide la decisione del governo Berlusconi di militarizzare la soluzione del problema rifiuti a Napoli. Il dato in sé dice poco e dice molto. Dice molto perché è un risultato decisamente in controtendenza rispetto a tutte le altre risposte del sondaggio che sono invece assai positive sui provvedimenti adottati dal primo Consiglio dei Ministri tenutosi a Napoli mercoledì 21 maggio.
E’ dunque un risultato importante che dimostra come la “furbizia” con cui il nuovo esecutivo intende gestire il mix di provvedimenti popolari, demagogici, reazionari e repressivi, possa incontrare sulla strada la dovuta resistenza anche all’interno di segmenti importanti della società.
Se oggi la prima linea contro la militarizzazione della società è Napoli e la Campania, è evidente come ogni area metropolitana diventi una trincea politica, morale e sociale contro il razzismo e la repressione incombenti sul paese.

 

Non dobbiamo assolutamente lasciare soli gli attivisti e i comitati popolari di Napoli e Campania
Non dobbiamo assolutamente lasciare soli i lavoratori immigrati e le loro famiglie
Non dobbiamo consentire di frantumare nuovamente il fronte della resistenza sociale

 

La Rete dei Comunisti

 

 

Mail: cpiano@... 


=== 6 ===

DI SEGUITO UN ARTICOLO CHE SARA' PUBBLICATO SU SENZA SOSTE, SETTIMANALE DI CONTROINFORMAZIONE LIVORNESE.


-       IBRA, “LO ZINGARO” -

 

In una sua bellissima canzone, intitolata “Sally”, Fabrizio De Andrè cantava: “Mia madre mi disse/non devi giocare/con gli zingari nel bosco...”. Questo a testimoniare che il pregiudizio, l’ostilità, la diffidenza verso le comunità gitane è ancestrale e la storia ha dimostrato che sovente questa intolleranza si è trasformata in vera e propria persecuzione razziale.

Cinquecentomila sono, infatti, gli zingari uccisi nei campi di Auschwitz, Dachau, Birkenau, Treblinka in quella “soluzione finale” che determinò l’eccidio di massa degli “asociali”: ebrei, comunisti, omosessuali, slavi, handicappati. Tutti coloro che erano, giustappunto, considerati incompatibili con l’ordine costituito.

Negli ultimi tempi, esattamente da un anno a questa parte, i mass media nostrani hanno dato il là ad una scientifica campagna di (dis)informazione tendente a dimostrare, sulla mera e approssimativa base di fatti di cronaca nera, che i rom sarebbero una “razza delinquenziale”, predisposta geneticamente al crimine e alla destabilizzazione sociale. Gli zingari come razza non solo inferiore, ”subumana”, ma dannosa, e come tale da cancellare. Attraverso sgomberi, punizioni “esemplari”, e, magari, veri e propri pogrom imperniati sulla voluttà della cancellazione dell’altro, del diverso, dell’asociale.

Tutto ciò, com’è pacifico, in barba ai principi più elementari del diritto tra cui per l'appunto l’obbligo , culturale e giuridico, di distinguere, sempre, tra persone e gruppi, tra singoli colpevoli e intere comunità, tra individui su cui eventualmente grava il peso della responsabilità penale personale ed etnie e nazionalità discriminate in blocco.

Se si offusca, come sta accadendo, questa basilare distinzione i gruppi umani colpiti in quanto tali diventano colpevoli per il semplice fatto di esistere, la loro stessa presenza appare come un ingombro da rimuovere e da estirpare, un virus da sconfiggere anche con la mobilitazione “purificatrice” di chi si sente minacciato e circondato da una forza oscura e inquietante.

Molte volte, però, il caso gioca brutti scherzi ai professionisti della (dis)informazione.

Accade, infatti, che il campionato di calcio venga deciso dalle prodezze di un campione, figlio di profughi bosniaco-croati, di etnia rom (rom Korakhanè, per la precisione)trasferitesi in Svezia negli anni ’70: Zlatan Ibrahimovic.

Ma cosa volete che importi ai mestieranti giornalai di Repubblica e del Corsera, della Rai e di Mediaset, che a decidere le sorti del campionato più bello del mondo (che fu)sia stato uno “zingaro”(così come viene affettuosamente soprannominato dai suoi compagni di squadra)?

Per la nomenclatura mediatica nostrana i rom sono soltanto “ospiti”indesiderati, uomini e donne il cui valore monetario si avvicina allo zero assoluto e per i quali non si paga l’acquisto, ma l’espulsione.

E cosa volete che importi agli interisti di governo come Ignazio La Russa (Ministro della Difesa che per la cronaca ha seguito la partita in un salotto ”bipartisan” insieme a Sabrina Ferilli e Flavio Cattaneo...), a Franco Servello (storico camerata di “moschetto” di Almirante e da 30 anni onnipresente ai vertici dirigenziali dell’Inter...), ai giornalisti-interisti che soffiano sul fuoco della persecuzione razziale, come Enrico Mentana che le loro gioie sportive sono dovute in buona parte ad un figlio di padre bosniaco e di madre croata che, come i tanti rom che vediamo scappare dalla giungla italica, negli anni’70 fuggirono dalla lontana Tucla, Bosnia-Herzegovina?

La famiglia rom Korakahne (bosniaca) di Zlatan Ibrahimovic, è utile ribadirlo, è riuscita ad arrivare agevolmente in Svezia, democrazia molto più solida della nostra, e grazie alla diversa situazione politico-sociale-culturale è diventato uno dei più celebri calciatori del mondo.

In Italia i rom devono, sono costretti a chiedere la carità per sopravvivere, a stento,  e anche se ci fossero talenti, in qualsiasi campo, questi sarebbero sotterrati dai comportamenti razzisti dei vari nazisindaci “bipartisan” come Alemanno, Domenici, De Luca, Moratti (Letizia...).

Ad onor di cronaca altri celebri calciatori sono di etnia rom e sinti tra i quali spicca senz’altro Andrea Pirlo (sinto italiano), capitano della nazionale campione del Mondo (!!!). Semmai bisognerebbe chiedersi perché essi non si espongano. La risposta è tautologica: hanno paura di essere discriminati.

Questo è dunque, il pericolo reale e concretissimo, che oggi incombe sull’Italia declinante: lo sdoganamento del razzismo, il processo culturale per cui oggi in Italia è possibile essere e dirsi razzisti senza che nessuno si indigni, è possibile, senza contraddittorio, dire che gli immigrati ci procurano un senso di fastidio e, dunque, non li vogliamo. E poi magari votare indifferentemente per il PDL o per il PD...

Che ognuno di noi si faccia moltiplicatore di questa indignazione in modo da rompere quel silenzio sulle discriminazioni anti-rom che offusca le coscienze. Per fare come Fabrizio De Andrè che nella citata canzone cantava: ”E dite a mia madre/che dal bosco non tornerò”.

Silvio Messinetti


---

Razzismo Rom: tifosi minacciano Pirlo , Ibrahimovic e Mihajlovic

"La campagna razziale contro i Rom mette a rischio la loro incolumita'". Lo dichiara il gruppo Everyone sottolineando che il pregiudizio che colpisce il popolo Rom in Italia rischia di degenerare in un'indiscriminata caccia all'uomo.
A Napoli si verificano continue aggressioni nei confronti di Rom. Una baracca di via Malibran è stata data alle fiamme da una banda di razzisti e i 13 occupanti, sei adulti e sette bambini, fra cui due neonati, hanno riportato ustioni e rischiato di morire bruciati. A Ponticelli giovani armati di spranghe hanno aggredito alcuni Rom romeni. In via Argine, inseguimento di bambini Rom da parte di razzisti che nascondevano il volto dietro sciarpe. L'ultimo episodio - sottolinea l'associazione per i diritti umani - ha visto un bambino Rom di circa sei anni aggredito da una ronda in piazzetta San Domenico, schiaffeggiato, insultato e messo a forza sotto il getto di una fontana pubblica.

Ma in tutta Italia, da nord a sud, gli episodi di antiziganismo e violenza si susseguono, quasi sempre ignorati dai media. "La Commissione europea deve intervenire con urgenza," affermano preoccupati i leader del Gruppo EveryOne Roberto Malini, Matteo Pegoraro e Dario Picciau "perché l'incitazione all'odio razziale a mezzo stampa e le politiche razziali sono proibite espressamente da Direttive, Risoluzioni europee e Carte dei Diritti degli individui e dei popoli. Abbiamo elementi sufficienti per affermare che il caso della ragazzina Rom che avrebbe tentato di rapire un bambino a Napoli è una messinscena, ma prima ancora del verdetto della magistratura, politici e media hanno espresso un giudizio di condanna non solo nei suoi confronti, ma in quelli di tutto il popolo zingaro".
Da tempo il Gruppo EveryOne mette in guardia l'opinione pubblica, la stampa e i politici onesti "contro il rischio di casi montati ad arte per seminare odio contro gli zingari e aprire la strada a leggi razziali come il prossimo decreto sicurezza e le famigerate 'commissioni Rom' che ricordano analoghe istituzioni naziste. Sono provvedimenti illegittimi" continuano i tre referenti "che in sede Ue saranno stracciati in mille pezzi".
Ma gli attivisti del Gruppo EveryOne lanciano l'allarme anche riguardo ai rischi che in questo clima potrebbero riguardare anche i Rom

(Message over 64 KB, truncated)

http://www.tanjug.co.yu:86/RssSlika.aspx?13875

BEOGRAD, 25. maja (Tanjug) - Bulevar Zorana Đinđića u Beogradu
osvanuo je danas oblepljen plakatima sa natpisom Ulica Slobodana
Miloševića. "Omladinska inicijativa Rakovice" predstavila se kao
organizator akcije lepljenja plakata na Novom Beogradu i Rakovici pod
nazivom "Rehabilitacija Slobodana Miloševića".

Il Viale Zoran Djindjic a Belgrado, nella giornata odierna, è stato
tappezzato lungo tutto il percorso con locandine con la dicitura:
"Via Slobodan Milosevic". L'associazione "Iniziativa giovanile del
Comune di Rakovica (Belgrado)" ha rivendicato l'azione svolta a Nuova
Belgrado e Rakovica nell'ambito della campagna "Riabilitazione di
Slobodan Milosevic".




In molti hanno scritto dell’Almirante antisemita e dell’Almirante massacratore repubblichino e ci vuole un tir di Maalox (o lo stomaco di Veltroni, “nulla fermerà il dialogo con il PDL”) per mandarlo giù.

Ben pochi invece si sono soffermati sul fatto che Giorgio Almirante fu amnistiato solo perché ultrasettantenne dal reato di favoreggiamento aggravato agli autori della strage di Peteano, nella quale tre carabinieri furono fatti saltare in aria.


Giorgio Almirante, il grande statista al quale Gianfranco Fini rende omaggio e Gianni Alemanno vuol dedicare una strada romana, per la legge italiana è però un terrorista complice dell’assassinio di tre carabinieri. Ecco tutta la storia.


Il 31 maggio 1972, in Peteano di Sagrado, in provincia di Gorizia, mentre in televisione trasmettevano Inter-Ajax, morirono dilaniati in un attentato il brigadiere Antonio Ferraro di 31 anni e i carabinieri Donato Poveromo e Franco Bongiovanni di 33 e 23 anni. Rimasero gravemente feriti il tenente Francesco Speziale e il brigadiere Giuseppe Zazzaro.

Nonostante i morti fossero tre poveri carabinieri (nella foto), immediatamente una cortina di depistaggi fu elevata per coprire i responsabili. Come per Piazza Fontana si diede per anni la colpa ai rossi; la strategia della tensione serviva per quello e funzionava così.

Tra i principali depistatori vi fu il generale Dino Mingarelli, condanna confermata in Cassazione nel 1992 per falso materiale ed ideologico e per soppressione di prove, e il generale piduista Giovanbattista Palumbo, che all’epoca era comandante della divisione Pastrengo di Milano e che aveva competenza su tutto il Norditalia, che inventò la pista rossa di sana pianta. Per difendere gli assassini di tre carabinieri due dei maggiori in grado dell’arma delle vittime, per anni ne fecero di tutti i colori, manomettendo e facendo sparire le prove, come si legge nelle sentenze e come racconta benissimo il giudice Felice Casson in un libro intervista che uscirà in futuro.

La strage avvenne a 15 giorni dall’omicidio Calabresi e tre settimane dopo le elezioni politiche del 7 maggio nelle quali l’MSI era cresciuto fino all’8.67%, massimo storico e ad un passo dal PSI. I colpevoli materiali della strage, condannati all’ergastolo con sentenza definitiva, erano gli iscritti all’MSI friulano Carlo Cicuttini e Vincenzo Vinciguerra insieme ad Ivano Boccaccio, ucciso pochi mesi dopo i fatti in uno strano tentativo di dirottamento aereo all’aeroporto di Ronchi dei Legionari, in ottobre. Con Peteano c’entrano tutti, i vertici dei carabinieri, l’MSI (al quale erano iscritti tutti i terroristi) la P2, Gladio, i servizi italiani e la CIA nel pieno della strategia della tensione. Destabilizzare per stabilizzare.

Per trappolare la 500 di Peteano furono usati materiali di Gladio conservati ad Aurisina e tecniche che venivano insegnate alla Folgore a Pisa. Risoltosi il problema di Boccaccio, restavano Cicuttini e Vinciguerra. Abbiamo già detto che la strategia della tensione serviva a destabilizzare per stabilizzare e proprio l’MSI la stava capitalizzando, come il voto del 7 maggio aveva appena dimostrato. E quindi i camerati andavano salvati. E qui interviene il nostro. Dopo la morte di Boccaccio a Ronchi, Vinciguerra e Cicuttini, segretario dell’MSI a San Giovanni a Natisone, in provincia di Udine, che faceva i comizi con Giorgio Almirante, nonostante non fossero ancora stati inquisiti per Peteano (le piste fasulle staranno in piedi per anni), si erano comunque resi latitanti. Latitanza dorata nella Spagna di Francisco Franco, dove il loro punto di riferimento era Stefano delle Chiaie e dove con questo si dedicavano al traffico d’armi. Cicuttini sposò perfino la figlia di un generale. C’era un solo punto debole del piano: la voce di Cicuttini registrata sia nei comizi dell’MSI sia nella telefonata con la quale Cicuttini attira i carabinieri nella trappola a Peteano.

E fu proprio Giorgio Almirante, il fascista in doppio petto, quello rispettabile, quello con il senso dello Stato, a proteggere l’autore della strage di Peteano fino a mandargli 34.650 dollari statunitensi in Spagna proprio per operarsi alle corde vocali. Ciò è processualmente provato. Almirante consegnò personalmente i soldi all’avvocato goriziano Eno Pascoli che li fece avere a Cicuttini a Madrid, via Svizzera. Almirante e Pascoli, incriminati per favoreggiamento dell’autore della strage di Peteano furono rinviati a giudizio insieme. Ma mentre Pascoli sarà condannato, la condanna di Almirante seguirà un corso diverso. Il capo dell’MSI godeva infatti dell’immunità parlamentare dietro la quale si trincerò perfino per evitare di essere interrogato. La tirò avanti per anni di battaglie nelle quali non fu mai in dubbio la sua colpevolezza, finché non intervenne un’amnistia praticamente ad personam, della quale beneficiava solo in quanto ultrasettantenne. Giorgio Almirante, l’uomo d’ordine, dovette chiedere per sé l’amnistia perché il dibattimento lo avrebbe condannato e ne beneficiò (mentre il suo complice fu condannato) per il reato di favoreggiamento aggravato degli autori (militanti e dirigenti del suo partito) di un attentato terroristico nel quale vennero uccisi tre carabinieri. Non si parla di violenza politica o di strada, di giovani di destra e sinistra che si fronteggiavano e a volte si ammazzavano; stiamo parlando del peggiore stragismo. Dedichiamogli una strada, lo merita: Via Giorgio Almirante, terrorista.