Informazione



Da “il Manifesto” del 9 febbraio 2008
 
«Kosovo, la fretta di D'Alema prepara un altro disastro»

Intervista di Tommaso Di Francesco al generale Fabio Mini, ex comandante della Nato in Kosovo. 
 
Mercoledì, poco prima dello scioglimento delle Camere, Massimo D'Alema ha comunicato alle commissioni esteri di Camera e Senato che l'Italia riconoscerà l'indipendenza unilaterale del Kosovo, annunciando che ci saranno 200 italiani nella «missione civile e di polizia» di 2000 uomini che l'Unione europea vuole dispiegare in Kosovo per gestire l'indipendenza. Il parlamento italiano non l'ha mai discussa e nemmeno il governo in carica per il «disbrigo degli affari correnti» non per attivare processi internazionali delicatissimi.
Di questo abbiamo parlato con il generale Fabio Mini, ex comandante della Nato in Kosovo.
 
Non le sembra particolarmente azzardato tutto questo, così come considerare che la vittoria di misura di Boris Tadic a Belgrado apra le porte all'accettazione dell'indipendenza unilaterale del Kosovo?

Il processo della definizione dello status del Kosovo è talmente delicato e complesso che è un azzardo persino pensare di liquidarlo con la discussione di qualsiasi Parlamento nazionale. La vittoria di Tadic è una buona notizia per la Serbia che vuole accedere all'Europa ed una altrettanto buona per l'Europa che vede avvicinarsi una nazione che per troppo tempo e di certo non per colpe collettive è rimasta fuori dal circuito degli stati. Ritengo però un errore pensare che Tadic possa o abbia intenzione di barattare il Kosovo con l'ammissione della Serbia all'Unione Europea. Non può sfuggire a lui, e tanto meno a Kostunica, che legare l'accesso della Serbia all'Europa all'indipendenza del Kosovo significa sottostare ad un vero e proprio ricatto. La Serbia di Kostunica non è nuova ai compromessi. Milosevic è stato consegnato in cambio di una congrua ripresa degli aiuti finanziari, ma qui la situazione è diversa: la Serbia non sta cedendo un presunto criminale ad un tribunale internazionale, ma deve cedere la propria sovranità su una parte del paese che verrà gestita da chi deve ancora fare i conti con il tribunale internazionale. Se questo nella nostra logica è equivalente non lo è per quella di nessun serbo anche se smaliziato e desideroso di entrare in Europa come Tadic. Forse da noi la voglia di chiudere le partite in sospeso prima delle ferie induce a passi affrettati, ma in questo caso la fretta è del tutto fuori luogo ed è anche un cambio sostanziale della politica ufficiale. Non dimentico che la posizione italiana è sempre stata per la prosecuzione del dialogo e non per l'avallo delle iniziative unilaterali. Senza soluzione di compromesso tra le parti il problema del Kosovo è destinato a ingigantirsi e a costituire un precedente gravissimo per l'intero diritto internazionale. Il sostegno al dialogo, a prescindere dal tempo necessario, non mi sembrava una posizione assunta per traccheggiare, ma per esprimere una politica forte di rispetto del quadro del diritto internazionale di fronte a pressioni legittime o fuori luogo di altri paesi interessati a modificarlo in maniera subdola e surrettizia. In realtà, proprio con l'elezione di Tadic le prospettive di dialogo e di soluzione positiva e concordata aumentano e, a pensar male ci si coglie sempre, forse la fretta e l'ineluttabilità servono proprio ad evitare che il dialogo riprenda.
 
Per D'Alema l'indipendenza è «irreversibile» e «siccome i kosovari diranno "siamo indipendenti sotto l'autorità europea" l'Europa deve assumersi questa responsabilità. E intende farlo». Torna la scelta dell'indipendenza controllata del piano Ahtisaari, fallito nel negoziato. Stanno cancellando il ruolo delle Nazioni unite?

Che l'Europa intenda agire in modo unitario seguendo le indicazioni delle Nazioni unite è una buona notizia. Se invece l'unità è ricercata per smantellare quel poco di legittimità rimasta all'Onu, allora ne diventa l'estrema unzione. Ritengo che al di là delle parole apodittiche la stessa Unione Europea non abbia alcuna intenzione di alterare il quadro dell'Onu, anche se questo in Kosovo ha clamorosamente fallito. I motivi sono essenzialmente due: l'Unione non è in grado di sostituirsi alle Nazioni Unite neppure se lo volesse. Non ne ha la forza e non ne ha l'autorità neppure per una situazione regionale come quella del Kosovo proprio per le implicazioni globali che questa ha. Inoltre, l'Unione europea è già parte integrante del fallimento dell'Onu in Kosovo. Il cosiddetto pilastro della Ricostruzione era ed è gestito dall'Ue. Avrebbe dovuto rappresentare anche il perno per un cambio sostanziale di stile di vita delle popolazioni e avrebbe dovuto far decollare un Kosovo non vincolato alle politiche socio-economiche della ex-Jugoslavia. L'economia è il fallimento più grave del Kosovo, quello che ha vanificato un minimo di benessere che avrebbe consentito il ritorno dei rifugiati, l'attenuarsi delle rivendicazioni e delle vendette e il ristabilimento di una vera sicurezza. Tutto questo non è avvenuto e si sono sprecati anni e risorse infinite per essere ancora, e forse peggio, alla situazione del 1999. Se alle ultime elezioni oltre la metà dei kosovari albanesi non è andata neppure alle urne significa che hanno perduto la fiducia in tutte le organizzazioni internazionali che hanno preteso di dettare le condizioni. Oggi più che della negazione di qualsiasi compromesso da parte serba e albanese, bisognerebbe prendere atto della perdita di autorevolezza di tutte le organizzazioni internazionali agli occhi dei kosovari, serbi e albanesi, affrontando il problema con una buona dose di umiltà. Con la tendenza attuale si avalla una posizione estremista ed un atto unilaterale con altrettanto estremismo ed unilateralismo a scapito dell'intero quadro generale istituzionale.
 
La «missione civile e di polizia», votata dalla Ue martedì con l'astensione di Cipro che teme per la questione della Repubblica turco cipriota (e con i dubbi di Grecia, Slovacchia, Spagna e Romania), sarà sancita il 18 febbraio dai ministri degli esteri della Ue. Quale è il quadro di legalità di questa «missione» in rapporto alla Risoluzione 1244 (votata dal Consiglio di sicurezza Onu con assunzione della Pace di Kumanovo del giugno-luglio 1999) che riconosce invece la sovranità della Serbia sul Kosovo?

Per la sostituzione di una missione Onu con una di un'organizzazione regionale, come l'Unione europea, c'è bisogno di una nuova risoluzione. Invece l'escamotage che mi sembra sia stato adottato è quello di considerare la missione Europea sempre sotto il cappello dell'Onu perché comunque la missione della «presenza militare di sicurezza» rimane invariata sotto il controllo della Nato. In ogni caso senza una chiara presa di posizione del Consiglio di Sicurezza la missione parte malissimo. Tuttavia partirebbe malissimo anche se ci fosse una nuova risoluzione per una volta tanto sincera. Il cambio di responsabilità, la chiusura di Unmik, la decisione di lasciare Kfor e l'orientamento a riconoscere l'atto unilaterale d'indipendenza da parte dei kosovari albanesi dovrebbero essere sanzionati da una risoluzione che ammettesse il fallimento di Unmik e di tutte le iniziative dell'Onu; dovrebbe elencare quali nuovi sviluppi abbiano portato al passaggio di mano, e questi non ci sono. Dovrebbe ammettere l'impotenza internazionale di fronte alle pressioni di alcune lobby, dovrebbe ammettere l'inconsistenza del tessuto istituzionale kosovaro finora realizzato, dovrebbe ammettere che dopo nove anni il Kosovo non è in grado di gestire neppure un'autonomia controllata e nel frattempo lo si considera indipendente. Dovrebbe elencare tutti i paesi e i territori che possono rivendicare lo stesso trattamento di favore a partire da Taiwan, dall'Irlanda del Nord, dai Curdi iraniani, iracheni, turchi e siriani, dai paesi caucasici in lotta con la Russia, da quelli africani, dai Baschi in Spagna e Francia, dagli Uyguri, dagli Hui e dai Mongoli in Cina e così via. Dovrebbe dire quale regola fondamentale rimane valida per dare una parvenza di legittimità ad un ordine mondiale sfasciato. Dovrebbe infine dire cosa vogliono fare dei Balcani i soloni delle nazioni che si agitano nelle varie campagne elettorali. Gli accordi e la logica di Dayton cade e così cade la Bosnia Erzegovina, si riapre la questione della Voivodina, del Sandjak, degli albanesi della Macedonia e di quelli della valle di Presevo in Serbia, di quelli in Grecia, ecc. Ed infine dovrebbe indicare chi si debba far carico di gestire le conseguenze di un tale atto.
 
La Ue dichiara di muoversi su una «interpretazione creativa» dell'articolo 10 della Risoluzione 1244, quello sul ruolo del Segretario dell'Onu, che però, secondo l'articolo, dovrebbe intervenire per applicare la Risoluzione non cancellarla per accettare l' indipendenza unilaterale?

Creare significa trarre dal nulla. Tutto il mondo pensa che dietro l'Europa ci sia qualcosa di concreto oltre ai sogni della mia generazione e alle fantasie di quelle successive. Se non c'è nulla, allora che creino pure, ma che si preoccupino anche di gestire il casino creato.

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Dal "Corriere della Sera" del 16 febbraio 2008
 
Il generale Mini: «Il nuovo Stato conviene solo ai clan. 
Sarà un porto franco per il denaro che arriva dall'Est»

L'intervista L'ex comandante della Nato in Kosovo: «L'Ue sbaglia. Processo troppo rapido e affidato ai peggiori»

DAL NOSTRO INVIATO

PRISTINA — Generale Mini, ma alla fine a chi conviene quest'indipendenza?


«Ai kosovari. Non parlo della gente comune che non ha più fiducia: alle elezioni ha votato solo il 45% e Hashim Thaci ha preso il 32. No, conviene a chi comanda: allo stesso Thaci che fa affari col petrolio, a Bexhet Pacolli che ha bisogno d'un buco dove ficcare i soldi del suo mezzo impero, a Ramush Haradinaj che è sotto processo all'Aja, ad Agim Ceku che vuole diventare il generalissimo di se stesso... Del Kosovo indipendente, a questi non gliene frega niente. Come non gliene frega ai serbi. Quel che serve ai clan, d'una parte e dell'altra, è un posto in Europa che apra nuove banche. Un porto franco per il denaro che arriva dall'Est. Montecarlo, Cipro, Madeira non son più affidabili. Ecco perché pure Belgrado ci tiene tanto. Altro che terra sacra: non entra nell'Ue, se prima non sistema i soldi da qualche parte».

Fabio Mini sa di che cosa parla: nel 2002-2003, è stato il comandante della Nato in Kosovo. E non ha molta stima della nuova dirigenza di Pristina: 

«Da lavarsi le mani, dopo avergliela stretta. Spero che la nuova generazione se ne liberi presto. L'anima nera è un signore di cui non le dico il nome, perché se lo scrive vengono lì e la ammazzano. È il mandante di almeno 28 assassinati del partito di Rugova. Uno che, come molti dei capi Uck, non ha mai spiegato la fine d'un migliaio di rom, serbi e albanesi accusati di collaborazionismo, desaparecidos negli anni del primo dopoguerra. A Pristina, si dice che se i pesci d'un certo lago potessero parlare...».

Però quest'indipendenza è stata pagata con la pulizia etnica. Con anni di apartheid sotto Belgrado. Era impossibile rinviarla ancora...

«Io capisco la fretta dei kosovari. È giustificata. Pensano a se stessi. È legittimo avere uno status definito, dopo anni di prese in giro e tante promesse da Stati Uniti e Gran Bretagna. Quella che non capisco è la fretta della comunità internazionale. Questi processi non si risolvono in pochi anni. E non si affidano a chi ha partecipato allo sfascio. Ci si rende conto che ora all'Aja non testimonierà più nessuno, contro gente che comanda uno Stato? E le modifiche al quadro internazionale? La minaccia d'una proclamazione unilaterale c'è sempre stata. Questa è la quarta volta che il Kosovo la mette in pratica. Quando c'ero io e la proclamò Rugova, dovetti scrivere a mezzo mondo: attenzione, ci saranno conseguenze sul campo... Nei Balcani non sai mai quale mano arma il coltello: al primo incidente, sarà uno scarico di responsabilità. Lo sto notando con le bombe di questi giorni: le bombe non sono tipiche dei Balcani. Le hanno sempre messe personaggi venuti da fuori. Quando scoppiano, è il segnale che qualcuno sta ficcando il naso».

Si teme un effetto domino.

«Certo, questa proclamazione fa saltare il diritto internazionale fondato sulla sovranità degli Stati. Uno scempio voluto dagli Usa, che in questo diritto non credono e l'hanno dimostrato in Iraq. Sotto quest'aspetto, il Kosovo è l'altra faccia dell'Iraq. Se all'Onu passa il riconoscimento, dopo domattina saranno tutti autorizzati a fare lo stesso: l'Irlanda del Nord, i baschi, i ceceni, i catalani... I primi ad agitarsi sono già i serbi di Bosnia: hanno uno status di Repubblica più alto del Kosovo, possono staccarsi subito dalla federazione bosniaca. In fondo, chiedono la secessione che voleva Milosevic. Per bloccare Milosevic, però, sono morte decine di migliaia di persone. E noi ora gliela regaliamo così?».

D'Alema ha detto in commissione Esteri che l'Italia riconoscerà quest'indipendenza.

«Sarebbe un errore fatale, peggio di quando si riconobbe in tempi record la Croazia. Quella almeno era una Repubblica federata, non un territorio sottratto a uno Stato membro dell'Onu. Non credo che l'Italia ci cascherà: il riconoscimento non spetta ai singoli Paesi, basta l'ombrello Ue».

E Putin?

«Dal 1989 i russi non contavano più niente nei Balcani. E oggi non gliene frega niente del Kosovo. Però stiamo facendo loro un regalo grande: la Serbia. Buttiamo via vent'anni di lavoro. Toccasse a me, andrei a Belgrado dal presidente Tadic e lo prenderei per la collottola: concedi l'indipendenza prima che la proclamino i kosovari, ti conviene. Salvi il tuo Paese. E la comunità internazionale».

Francesco Battistini
16 febbraio 2008



(deutsch / english)

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"Thank You Germany!" 

2008/02/18


PRISTINA/BELGRADE/BERLIN (Own report) - Sunday, after Berlin's years of preparations, the South-Serbian province, Kosovo, declared its secession in violation of international law. Kosovo is "independent" of Serbia, declared Hashim Thaci, the Prime Minister of the Provincial Administration in Pristina. The German government intends to recognize the secession soon. Berlin will thereby be participating in the violation of the UN Charter and other valid legal norms, just as the German police and judicial officers, who will be dispatched to Kosovo within the framework of a so-called EU mission. Their deployment will be without a valid, internationally recognized legal basis and will therefore constitute an illegal occupation. The objective is to establish an informal protectorate, while keeping its nationalist forces in check. Kosovo's secession is the preliminary finale of a policy seeking the parcelization of the Balkan states along the lines of allegiance, which began with Berlin's recognition of the Croatian secession. Each of the EU states, after brief hesitation, joined this policy and along with Washington, militarily attacked what was left of Yugoslavia in 1999. Since that time, Berlin has been fostering the Kosovo nationalists, whose representatives in Pristina are designated as the bosses of organized crime. One of them is the current Prime Minister Thaci. On the murals celebrating Thaci's proclamation of secession, one reads "Thank You Germany!"

With yesterday's proclaimed secession the provincial administration in Pristina has concluded what Berlin has been preparing for years - at first with covert secret service support for the KLA, then with participation in the military aggression against Yugoslavia in March 1999 and finally within the framework of the UN Administration in Pristina (UNMIK) (german-foreign-policy.com reported [1]). The secession of Serbia's southern province was carried out in violation of the UN Charter - guaranteeing all UN member states the sovereignty and territorial integrity - and in disregard of the decisions taken by the UN Security Council. Most significant is the Resolution 1244 explicitly reconfirming to Belgrade the integrity of its sovereign territory. The German government intends to recognize the secession soon and demands that all EU member states do the same. Berlin thereby proves once again that it is the driving force behind a growing degeneration of international law, blatantly exalting the despotism of power to the highest principle of foreign policy.

Fantasy

With the aid of fantasy the foreign ministry seeks to cover up the German government's renewed breach of international law. In its statement before the Foreign Relations Committee of the German Parliament, the ministry alleged that the guarantees of Serbia's sovereignty and integrity, laid down in UN Resolution 1244, refer merely to a "transitional government" in Kosovo and does not preclude secession. A reading of the text proves this audacious fabrication to be groundless. According to the Foreign Ministry, the UN Resolution - except for the guarantees for Serbia's sovereignty and territorial integrity - is still in force, so as not to jeopardize the legitimacy of NATO's and the EU's deployment, because if the resolution were no longer valid, it would mean that the western countries' occupation of Serbian territory would be dependant upon the "invitation" of their Kosovo vassals in Pristina, an embarrassing dependency that Berlin and Washington would like to avoid.[2]

Precedence

This ludicrous approach that degrades UN Resolutions to non-binding suggestion lists, from which one can pick and choose to apply clauses at preference, meets open contradiction even within the entourage of the Foreign Ministry. Warnings of incalculable counter-measures are being heard. "Unilateral interpretations of Security Council Resolutions constitute (...) cases of precedence that, under other circumstances, can be turned against the western nations,"[3] a member of the Foreign Ministry's Council of International Jurists wrote in a newspaper article.

Decree

German legal arbitrariness can also be seen by the way the decision was taken to dispatch a so-called police and judicial mission to Kosovo. In spite of massive pressure from Berlin, six EU member states are still rejecting the secession, because their own sovereignty is threatened by separatists. With the refusals of Spain, Slovakia, Romania, Bulgaria, Greece and Cyprus to actively support the new "EU-mission", the modalities for decision making were changed without further ado and the dispatching of 2000 police and judicial officers was virtually taken by decree. In Brussels one could hear concerning the decision-making, that the dispatching had been proposed and "formally adopted" when the time-limit for lodging an objection - at midnight on Saturday - had expired without a veto from an EU member state. With this new voting technique, final approval becomes superfluous. Berlin had made it clear that it would accept a veto under no circumstances. To demonstrate its determination, Germany had already chosen its first 63 police officers for the "mission" before the time-limit had expired.[4]

Impunity

Amnesty International has recently published a report on its research concerning the "police and justice mission" being conducted in the name of the United Nations, but also under western control. The conclusions are devastating for the numerous -among them also German - police and judicial officers who have been deployed in Kosovo since 1999. According to Sian Jones, Amnesty International's researcher on Kosovo, "hundreds of cases including murders, rapes and enforced disappearances have been closed, for want of evidence that was neither promptly nor effectively gathered" by the UN Mission. There is persistent "impunity" for war crimes and crimes against humanity in the southern Serbian province claiming to be an independent state and about to be recognized by Germany.[5] According to Amnesty „no progress is ever made", quite the contrary, the situation has worsened in recent months. Amnesty International "urges the UN not to undertake any similar international justice missions in the future until effective steps have been taken to ensure that none of the extensive flaws identified in this report are repeated."[6]

Networks

The current Kosovo Prime Minister Hashim Thaci is among those persons whose past could shed light on what Amnesty considers "extensive flaws". Washington and Berlin's close ally proclaimed the southern Serbian province's "independence" in Pristina yesterday. If the UN police and judicial officers would have accomplished their mission, Thaci would have been brought to trial long ago. Already in 1997, Serbian judges had sentenced him to ten years in prison - for several murders. "Thaci had ordered liquidations within his own ranks," two former KLA fighters report about their former leader.[7] In the eyes of the German Foreign Intelligence Service (Bundesnachrichtendienst), the current Prime Minister is one of the heads of the Kosovo Mafia and a sponsor of a "professional killer".[8] A survey commissioned by the German Bundeswehr asserts that "in intelligence circles" Thaci "is considered to be 'far more dangerous'" than Ramush Haradinaj, who is indicted for war crimes [9], "because the former KLA leader has an extensive international criminal network at his disposal."[10]

Last Question

With the Kosovo declaration of secession, that, in violation of international law, has granted criminals their own state, German efforts to achieve the disempowerment of its traditional opponent, Serbia, has attained its objective. Belgrade has lost the control over most of the territory of what had formerly been Yugoslavia, has been deprived its access to the sea and is surrounded by hostile states. On the other hand, through a new war against Belgrade and the break-up of Serbian territory, Berlin was able to successfully reassert its claim as hegemonic power in Southeast Europe. With yesterday's declaration of secession, according to the German government, the "last remaining open question concerning the disintegration process of Yugoslavia (...) has been resolved."[11]


[2] Die Argumentationen entstammen einem Papier des Auswärtigen Amts mit dem Titel "Kosovo. Resolution des Sicherheitsrates 1244 (1999) und eine evtl. Unabhängigkeitserklärung des Kosovo".
[3] Kein Recht auf Abspaltung; Frankfurter Allgemeine Zeitung 14.02.2008
[4] EU entsendet Polizisten und Juristen in das Kosovo; Reuters 16.02.2008
[5] amnesty international legt neuen Kosovo-Bericht vor; www.amnesty.de
[6] Kosovo (Serbia): The challenge to fix a failed UN justice mission; www.amnesty.org
[7] "Die Schlange" greift nach der Macht im Kosovo; Die Welt 28.01.2006
[8] Jürgen Roth: Rechtsstaat? Lieber nicht!; Die Weltwoche 43/2005
[10] Operationalisierung von Security Sector Reform (SSR) auf dem Westlichen Balkan; Institut für Europäische Politik 09.01.2007. See also Aufs engste verflochten
[11] Erklärung zur Entscheidung des Parlaments im Kosovo; Presse- und Informationsamt der Bundesregierung 17.02.2008


--- DEUTSCHE FASSUNG ---



"Danke, Deutschland!" 

18.02.2008


PRISTINA/BELGRAD/BERLIN (Eigener Bericht) - Nach jahrelanger Berliner Vorarbeit hat am gestrigen Sonntag die südserbische Provinz Kosovo unter Bruch des Völkerrechts ihre Eigenstaatlichkeit ausgerufen. Kosovo sei künftig von Serbien "unabhängig", erklärte der Ministerpräsident der Provinzverwaltung in Pristina, Hashim Thaci. Die deutsche Regierung will die Sezession in Kürze anerkennen. Sie beteiligt sich damit ebenso am Bruch der UNO-Charta und weiterer bislang global gültiger Rechtsnormen wie deutsche Juristen und Polizisten, die im Rahmen einer sogenannten EU-Mission in das Kosovo entsandt werden. Ihre dortige Tätigkeit erfolgt ohne gültige völkerrechtliche Grundlage und erfüllt damit den Tatbestand illegaler Besatzung. Ziel ist die Errichtung eines informellen Protektorats, dessen nationalistische Kräfte in Schach gehalten werden sollen. Die Abspaltung des Kosovo ist der vorläufige Schlusspunkt einer Politik, die den Zerfall der Balkanstaaten in Gefolgschaftsparzellen anstrebt und mit der Berliner Anerkennung kroatischer Sezessionisten begann. Dieser Politik schlossen sich sämtliche EU-Staaten nach kurzem Zögern an und fielen 1999 gemeinsam mit Washington in das restliche Jugoslawien ein. Seitdem fördert Berlin die kosovarischen Nationalisten, deren Repräsentanten in Pristina als Bosse der Organisierten Kriminalität bezeichnet werden. Zu ihnen gehört der aktuelle Ministerpräsident Thaci. Auf Wandbildern in Pristina, die die von Thaci proklamierte Sezession feiern, heißt es: "Danke, Deutschland!"

Mit der gestern proklamierten Sezession vollzieht die Provinzverwaltung in Pristina einen Schritt, den Berlin seit Jahren vorbereitet hat - zunächst mit geheimdienstlicher Unterstützung der UCK, danach mit der Teilnahme am Überfall auf Jugoslawien im März 1999 und schließlich im Rahmen der UNO-Verwaltung in Pristina (UNMIK) (german-foreign-policy.com berichtete [1]). Die Abspaltung der serbischen Südprovinz erfolgt unter Bruch der UNO-Charta, die allen Mitgliedstaaten der Vereinten Nationen die Souveränität und territoriale Integrität garantiert, und unter Missachtung der Beschlüsse des UNO-Sicherheitsrates. Maßgeblich ist die Resolution 1244, die Belgrad die Unversehrtheit seines Hoheitsgebietes ausdrücklich bestätigt. Die deutsche Regierung will die illegale Sezession in Kürze anerkennen und fordert dasselbe von sämtlichen EU-Mitgliedstaaten. Damit erweist sich Berlin zum wiederholten Male als treibende Kraft einer zunehmenden Auflösung des internationalen Rechts, die die Willkür der Macht unverhohlen zum höchsten Prinzip der Außenpolitik erhebt.

Fantasterei

Den erneuten offenen Bruch internationalen Rechts durch die Bundesregierung sucht das Auswärtige Amt mit Hilfskonstruktionen zu kaschieren. So behauptet das Ministerium in einer Stellungnahme für den Außenpolitischen Ausschuss des Deutschen Bundestags, die Souveränitäts- und Integritätsgarantie für Serbien in der UNO-Resolution 1244 beziehe sich lediglich auf ein "Übergangsregime" im Kosovo und stehe einer Sezession nicht im Wege. Die abenteuerliche Erfindung erweist sich bei der Lektüre des Wortlautes als Fantasterei. Dennoch soll dem Auswärtigen Amt zufolge die UNO-Resolution abzüglich der Souveränitäts- und Integritätsgarantie für Serbien fortgelten, um die Einsatzlegitimation der NATO sowie der EU nicht zu verspielen; denn fiele diese fort, wären die westlichen Länder für ihre Okkupation serbischen Territoriums auf eine "Einladung" der kosovarischen Vasallen in Pristina angewiesen - eine peinliche Abhängigkeit, die man sich in Berlin und Washington ersparen möchte.[2]

Präzedenzfälle

Das haarsträubende Vorgehen, das Beschlüsse der Vereinten Nationen zur unverbindlichen Vorschlagsliste degradiert, aus der man sich nach Wunsch die jeweils genehmen Passagen auswählt, stößt selbst im Umfeld des Außenministeriums auf offenen Widerspruch. Dort werden Warnungen vor unkalkulierbaren Gegenschlägen laut. So schreibt ein Jurist aus dem völkerrechtswissenschaftlichen Beirat des Auswärtigen Amts in einem Zeitungsartikel: "Einseitige Auslegungen von Sicherheitsratsresolutionen begründen (...) Präzedenzfälle, die in anderen Fällen gegen die westlichen Staaten gerichtet werden."[3]

Dekretiert

Bezeichnend für die deutsche Rechtswillkür ist auch die Form der Beschlussfassung zur Entsendung einer sogenannten Polizei- und Justizmission in das Kosovo. Insgesamt sechs EU-Staaten lehnen die Sezession trotz massiven Drucks aus der deutschen Hauptstadt weiterhin ab, weil ihre eigene Souveränität von Separatisten bedroht ist: Spanien, die Slowakei, Rumänien, Bulgarien, Griechenland und Zypern. Da diese Staaten nicht zu aktiver Zustimmung zu der neuen "EU-Mission" zu bewegen waren, wurden die Brüsseler Entscheidungsmodalitäten kurzerhand angepasst und die Entsendung von rund 2.000 Juristen und Polizisten faktisch dekretiert. Der Einsatz sei vorgeschlagen und mit Ablauf einer Widerspruchsfrist am Samstag um Null Uhr dann "formell gebilligt" worden, da kein EU-Mitgliedstaat bis zu diesem Zeitpunkt ein Veto eingelegt habe, hieß es in Brüssel über die neue Abstimmungstechnik, die eine abschließende Zustimmung überflüssig macht. Berlin hatte deutlich erkennen lassen, dass es ein Veto auf keinen Fall hinnehmen werde: Die ersten 63 deutschen Polizisten für die "Mission" wurden demonstrativ bereits vor Fristablauf ausgewählt.[4]

Straflosigkeit

Die Tätigkeit der bisherigen "Polizei- und Justizmission", die im Namen der UNO, faktisch aber ebenfalls unter westlicher Kontrolle durchgeführt wird, ist jetzt von amnesty international sorgfältig ausgewertet worden. Das Ergebnis stellt den zahlreichen Polizisten und Juristen, die seit 1999 im Kosovo im Einsatz waren - darunter etliche deutsche -, ein katastrophales Zeugnis aus. "Die UN-Mission hat hunderte von Verbrechen wie Morde, Vergewaltigungen, Entführungen und Vertreibungen unzureichend oder gar nicht untersucht", erklärt der Kosovo-Experte von amnesty. In der südserbischen Provinz, deren angemaßte Eigenstaatlichkeit in Kürze von Berlin anerkannt wird, herrsche "Straflosigkeit" für Kriegsverbrecher sowie bei Verbrechen gegen die Menschheit.[5] amnesty zufolge ist keine Besserung erkennbar, vielmehr habe sich die Situation in den vergangenen Monaten weiter verschlechtert. Die Menschenrechtsorganisation warnt die UNO ausdrücklich vor der Entsendung einer neuen "Polizei- und Justizmission" - die "ausufernden Mängel" der Kosovo-Intervention müssten zunächst behoben werden.[6]

Netzwerke

Zu den Personen, deren Vergangenheit die Gründe für die von amnesty beklagten "ausufernden Mängel" ahnen lässt, gehört der aktuelle kosovarische Ministerpräsident Hashim Thaci. Der enge Parteigänger Berlins und Washingtons hat gestern in Pristina die "Unabhängigkeit" der südserbischen Provinz proklamiert. Hätten die Juristen und Polizisten der UNO ihre Aufgabe erfüllen wollen, hätten sie Thaci längst vor Gericht stellen müssen. Serbische Richter hatten ihn bereits 1997 zu zehn Jahren Haft verurteilt - wegen mehrerer Morde. "Thaci ließ in seinen eigenen Reihen liquidieren", sagen zwei ehemalige UCK-Kämpfer über ihren ehemaligen Chef.[7] Der Bundesnachrichtendienst hält den aktuellen Ministerpräsidenten für einen der führenden kosovarischen Mafiabosse und den Auftraggeber eines "Profikillers".[8] Eine im Auftrag der Bundeswehr erstellte Studie umfasst die Aussage, Thaci gelte "in Sicherheitskreisen als 'noch wesentlich gefährlicher'" als der wegen Kriegsverbrechen angeklagte Ramush Haradinaj [9], "da der einstige UCK-Chef auf internationaler Ebene über weiter reichende kriminelle Netzwerke verfügt".[10]

Letzte Frage

Mit der kosovarischen Sezessionserklärung, die unter Bruch internationalen Rechts kriminellen Elementen einen eigenen Staat verschafft, erreichen die Anstrengungen Deutschlands zur Entmachtung seines traditionellen Opponenten Serbien ihr Ziel. Belgrad hat die Kontrolle über das Territorium des ehemaligen Jugoslawien weitestgehend verloren, ist seines Zugangs zum Meer verlustig gegangen und von gegnerischen Staaten umgeben. Berlin hingegen konnte seinen Anspruch als Ordnungsmacht in Südosteuropa durch einen erneuten Krieg gegen Belgrad und die Aufspaltung des serbischen Territoriums bestätigen. Mit der gestrigen Sezessionserklärung wird nach Ansicht der Bundesregierung die "letzte offene Frage des Zerfallsprozesses von Jugoslawien (...) gelöst".[11]


[2] Die Argumentationen entstammen einem Papier des Auswärtigen Amts mit dem Titel "Kosovo. Resolution des Sicherheitsrates 1244 (1999) und eine evtl. Unabhängigkeitserklärung des Kosovo".
[3] Kein Recht auf Abspaltung; Frankfurter Allgemeine Zeitung 14.02.2008
[4] EU entsendet Polizisten und Juristen in das Kosovo; Reuters 16.02.2008
[5] amnesty international legt neuen Kosovo-Bericht vor; www.amnesty.de
[6] Kosovo (Serbia): The challenge to fix a failed UN justice mission; www.amnesty.org
[7] "Die Schlange" greift nach der Macht im Kosovo; Die Welt 28.01.2006
[8] Jürgen Roth: Rechtsstaat? Lieber nicht!; Die Weltwoche 43/2005
[10] Operationalisierung von Security Sector Reform (SSR) auf dem Westlichen Balkan; Institut für Europäische Politik 09.01.2007. S. dazu Aufs engste verflochten
[11] Erklärung zur Entscheidung des Parlaments im Kosovo; Presse- und Informationsamt der Bundesregierung 17.02.2008





Alcune osservazioni a ridosso della giornata del ricordo


La giornata del ricordo viene celebrata il 10 febbraio, che è la data del Trattato di pace di Parigi, nel 1947 tra gli alleati vincitori della II guerra mondiale e Ungheria, Romania, Bulgaria, Finlandia e Italia.
Quest’ultima cede l’Istria ( e le città di Rijeka/Fiume e Zadar/Zara) alla Jugoslavia, come del resto Rodi e l’arcipelago del Dodecaneso alla Grecia.
Tale data è inoltre molto vicina alla giornata della memoria, di fine gennaio, che ricorda, come ben noto, gli orrori del nazi-fascismo.
In questo modo gli Italiani sono portati, in modo subliminale, a pensare che il nostro popolo abbia vissuto anch’esso una specie di piccolo olocausto, o quantomeno una specie di pulizia etnica.
Se poi hanno anche conoscenza di un po’ di storia, pensano quanto meno che il trattato di pace per i confini orientali sia stato ingiusto.
Ora è indubbio che ai crimini compiuti dal nazifascismo il nostro Paese abbia contribuito, sicché la manovra per farlo passare da carnefice a vittima è veramente acrobatica.
Per quanto riguarda la coincidenza con la data del Trattato di Parigi (poi integrato dal Trattato di Osimo il 10 novembre 1975), è bene ricordare alcune date.
Nel 1918 nacque il Regno di Serbi, Croati e Sloveni, detta qualche anno dopo Regno di Jugoslavia.
La Jugoslavia nacque, un po’ come l’Italia e altri Stati nazionali, da istanze intellettuali, politiche e militari. L’Istria era popolata da Croati, Sloveni, Italiani, e da altre popolazioni meno numerose, quali gli Istro-rumeni. Gli Italiani, che non erano la maggioranza, abitavano per lo più le città costiere, l’interno dell’Istria era invece popolato quasi esclusivamente da Slavi (Croati e Sloveni, ma non solo). La popolazione dell’Istria era inoltre mescolata, dati i matrimoni misti.

L’Istria, dopo la sconfitta dell’Impero austro-ungarico, venne data all’Italia (secondo i patti con Francia ed Inghilterra nel 1915, stipulati prima dell’entrata in guerra dell’Italia, in caso di vittoria all’Italia sarebbero spettati i territori del Trentino Alto Adige e il confine orientale sarebbe arrivato allo spartiacque alpino; Lenin rivelò l’esistenza di tali patti segreti, quando la guerra non era ancora terminata, suscitando molto scalpore).
Le condizioni della popolazione slava peggiorò notevolmente rispetto alle già pesanti condizioni subite dai contadini slavi, carne da macello per l’esercito austro-ungarico durante ogni guerra.
Gli Italiani si comportarono peggio degli Austriaci, in quanto poco per volta tolsero l’uso della lingua serbo-croata e slovena, eliminarono i centri culturali, cercarono di “Italianizzare” l’Istria, e ciò avvenne già prima dell’avvento del fascismo, nonché di togliere ogni diritto alle minoranze slave che abitavano le Venezie Giulie.
Man mano che il nascente fascismo prendeva forma, bande fasciste provenienti da Trieste distrussero centri culturali sloveni in Venezia Giulia e seminarono il terrore squadrista in Istria. Il fascismo era razzista, come il nazismo, e riteneva la razza slava inferiore. Quando il fascismo prese il potere, le cose, come ovvio, peggiorarono ulteriormente, e, come noto, divenne perfino illegale parlare in lingue diverse dall’italiano.
Nel 1941, l’aviazione tedesca bombardò selvaggiamente Belgrado: a distanza di pochi giorni, la Jugoslavia fu invasa da truppe tedesche, italiane, bulgare ed ungheresi.

L’Italia occupò parte della Slovenia (la cosiddetta provincia di Lubiana, che fu inglobata nel Regno d’Italia), parte della Croazia, che era nel frattempo diventata NDH (Stato indipendente di Croazia), retto da Ante Pavelic, il duce croato, capo del famigerato movimento fascista ustaša., il Montenegro, e il Kosovo, che donò all’Albania, che divenne così Grande Albania (peraltro all’interno dell’Impero di Vittorio Emanuele III....). I campi di concentramento in cui vennero segregati popolazione civile, tra cui donne, donne incinte, vecchi e bambini furono sparsi in Italia, in Jugoslavia ed in Albania: le vittime furono decine di migliaia.
L’occupazione italiana fu paragonabile a quella tedesca. Non mancarono rappresaglie sulla popolazione civile, stragi anche di donne e bambini, incendi di villaggi, addirittura dei capi di bestiame, che erano il mantenimento dei contadini. Feroci furono le torture inflitte a comunisti e combattenti della resistenza partigiana, ingenti le fucilazioni di combattenti e prigionieri politici. La popolazione jugoslava si dimostro piuttosto mite all’indomani dell’8 settembre, alla caduta dell’Italia, spesso nascondendo soldati allo sbando, che potevano venir catturati dai Tedeschi. Del resto alla resa delle guarnigioni italiane, furono chiesti dagli jugoslavi spie, carnefici fascisti, comandanti particolarmente crudeli, sia nell’esercito che nelle camicie nere, che furono subito fucilati, ma la maggioranza dei soldati poté scegliere se tornare a casa, o entrare nelle file dei partigiani titini.

Ci furono indubbiamente episodi di crudeltà della popolazione, di jacquerie, che furono però sedate dall’intervento dell’esercito combattente jugoslavo. Soprattutto in Istria vi furono un certo numero di morti dopo l’8 settembre (decine).
Dopo la liberazione di Trieste dal nazifascismo da parte dei Titini, vi furono processi e fucilazioni di repubblichini di Salò, di fascisti. Inoltre, molti funzionari statali italiani furono internati in Jugoslavia, alcuni di essi fecero ritorno, altri dopo il processo furono fucilati, altri ancora non ce la fecero a sopravvivere agli stenti. Peggiore fu il trattamento che gli Alleati riservarono ai prigionieri tedeschi o ai collaborazionisti di Vichy, o nella stessa Jugoslavia il nuovo governo comunista agli ustaša, e ai četnici (il movimento serbo, fedele al governo jugoslavo in esilio, feroce nemico dei partigiani comunisti e alleato degli Italiani). Del resto, Draža Mihajlović, il loro capo, fu processato e fucilato subito dopo la guerra, il suo omologo croato, Ante Pavelić invece riuscì a fuggire con l’aiuto del Vaticano e degli Alleati.

Pertanto, parlare di pulizia etnica da parte dei titini verso gli Italiani è assurdo, visto che si trattò di resa dei conti finale con il fascismo, da quello di Salò a quello dei collaborazionisti locali, serbi, croati o sloveni che fossero:
Quando si parla di esodo di profughi, che peraltro durò svariati anni, e contro cui si batté il governo jugoslavo, bisognerebbe ricordare che spesso fu una scelta politica, o economica, che li spinse ad andarsene dalla Jugoslavia socialista, e che se mai fu l’Italia a non accoglierli, visto che l’Italia pagò i danni di guerra alla Jugoslavia con i beni da loro lasciati in Jugoslavia.
La giornata del ricordo è una invenzione grottesca, che parrebbe uscita da un film di Totò o di Sordi: si tratta invece di un’operazione di revisionismo storico: da un lato essa si inserisce nella riabilitazione del fascismo, visto che la maggior parte delle vittime al confine orientale, processate, fucilate e poi gettate nelle “foibe”, furono fascisti che avevano commesso crimini anche contro la popolazione civile, dall’altro si iscrive nel mai sopito revanscismo italiano nei confronti dell’Istria e della Dalmazia. Sarebbe interessante analizzare come mai la retorica fascista abbia potuto far presa, a tale punto che territori popolati da Slavi siano stati rivendicati in nome di un’italianità dovuta a invasioni romane o venete. Del resto, anche il Dodecaneso greco fu inglobato nel Regno d’Italia in nome di lontane imprese addirittura della cavalleria tardo-medievale (I cavalieri di San Giovanni, poi di Rodi, poi di Malta...).

In Italia il mito degli “Italiani brava gente” ha prevalso sull’analisi storica dei crimini (né minori né maggiori di quelli degli altri popoli) del colonialismo e del fascismo, sicché si è arrivati a scambiare la pagliuzza negli occhi di un altro con la trave nei nostri.
Sarebbe più bello, invece ricordare gli Italiani che dopo l’otto settembre restarono in Jugoslavia, combattendo al fianco dei partigiani jugoslavi, o creando addirittura una loro brigata, la Garibaldi, di cui una consistente parte morì in terra jugoslava, o il contro-esodo, cioè il lavoro che molti comunisti italiani fecero in Jugoslavia, per aiutare lo sviluppo di un Paese socialista, dopo la guerra.


Torino 16 febbraio ’08
Tamara Bellone





Aldo Moro, l’Europa che svanisce e la Kosova immaginaria


Nel suo studio a Palazzo Chigi, l’allora Presidente del Consiglio Aldo Moro, chiese al suo segretario particolare: “Quanti abitanti ha Malta?”

Era l’epoca nella quale gli incrociatori sovietici ormeggiavano nel porto della Cottonera e i marinai russi sorseggiavano birra Cisk e si ustionavano al sole tra le fortificazioni dei cavalieri.

Dom Mintoff, che tutti chiamavano Il-Perit e oggi ha 92 anni, giocava d’azzardo sul tavolo della guerra fredda, flirtando con l’Unione Sovietica, come poi avrebbe fatto con Gheddafi, per ottenere migliori condizioni dagli occidentali. Il segretario di Moro non sapeva quanti abitanti aveva l’arcipelago. Ma la risposta che buttò lì non era lontana dalla realtà: “più o meno come Bari, Presidente”.

Moro rifletté un attimo e poi disse: “allora possiamo pagare”.

di Gennaro Carotenuto


Il Kòsovo indipendente, anzi la Kosòva, visto che la lingua ufficiale è l’albanese, è uno Stato che deve la propria indipendenza, anzi la propria invenzione, agli Stati Uniti e deve e dovrà la propria sopravvivenza agli aiuti internazionali. Ha due milioni di abitanti, come la Slovenia e la Macedonia. Per sopravvivere, anni fa, quest’ultima vendette a Taiwan il riconoscimento. Skopje è praticamente l’unico stato europeo ad aver disconosciuto la Cina popolare, per riconoscere Taiwan in cambio di un miliardo di dollari. Soldi indispensabili ad uno Stato senza economia.

Il Montenegro ha 600.000 abitanti ed è il porto franco di mille contrabbandi. La Bosnia ne ha quattro milioni ed è da escludere che Sarajevo, la capitale di un paese che conta gli stessi abitanti della Puglia, possa tornare ad ospitare i giochi olimpici. Di questi quattro milioni domattina un terzo potrebbero andar via, forse per riunirsi a Belgrado.

La Croazia invece di abitanti ne ha 4.5 milioni. Allargando lo sguardo, la Bulgaria e anche l’Austria mitteleuropea hanno gli stessi abitanti della Lombardia; l’Ungheria ne ha 10 milioni come la Grecia e la Repubblica Ceca. Più o meno come la Serbia prima della secessione kosovara. L’altra metà della Grande Albania, quella di Tirana, ne ha tre. Vuol dire che le due albanie hanno insieme gli abitanti della Slovacchia o della sola provincia di Napoli.

Il verbo balcanizzare non potrebbe sintetizzarsi meglio. Paesi ricchi e poveri, stabili o in via di ulteriore frammentazione, con storia millenaria o inventati per motivi geopolitici o mafiosi o perché necessari a costruire una base della NATO, sono tutti Stati in vendita. Stati rissosi su piccoli temi e docili sui grandi e con i grandi.

La festa di Pristina è presentata come il coronamento di un sogno, quello dell’indipendenza dei kosovari. Ma è un sogno che ha ben poco a che vedere con un concetto fondativo della nostra modernità: quello di autodeterminazione dei popoli. Ciò che autodeterminazione significava nel XIX secolo, ovvero l’invenzione della nazione, un popolo accomunato da un’unica origine per cultura, lingua, costumi e territorio, come elementi identificativi di un percorso che assicurava alla Nazione libertà, indipendenza e benessere comune, sia quando questa era unione (come nel caso dell’Italia, o della Germania e poi della Yugoslavia) sia quando era secessione da un impero decadente, come per l’Ungheria o la Grecia, oggi non significa più nulla.

Anzi l’autodeterminazione di popoli, sempre più frammentati, nel XXI secolo significa esattamente l’opposto: dipendenza. Come può un paese grande come una provincia decidere delle proprie infrastrutture, se nazionalizzare o privatizzare una banca, se partecipare o meno ad un’alleanza militare o a una guerra? Popoli che hanno sempre convissuto hanno deciso di smettere di farlo indottrinati a pensare che l’altro fosse il problema. Sono stati indotti a pensare che in una comunità coesa avrebbero risolto i problemi ed invece si sono rinchiusi in una piccola gabbia. Stati piccoli, spesso senza accesso al mare né a risorse energetiche (come la Kosova), possono solo sottostare a grandi decisioni prese altrove. E’ questo il nuovo concetto di autodeterminazione espresso dalle piccole patrie etniche, nei Balcani e altrove. Un inganno.

Le grandi potenze, soprattutto gli Stati Uniti, ma anche la Russia e qualunque soggetto locale o esterno, avranno convenienza a giocare con i particolarismi delle piccole patrie. Inizia così una mano pericolosa. Adesso che il vaso di Pandora delle rivendicazioni è stato aperto nella Kosova, dal Kashmir in India a Santa Cruz in Bolivia all’ex-Unione Sovietica, saranno le grandi potenze, secondo i loro disegni a scegliere alcune piccole patrie e trasformarle in casi mediatici. Basteranno pochi TG per far trepidare il mondo per alcuni popoli oppressi dimenticandone ad arte altri. Sui curdi, sui tibetani, il silenzio continuerà ad essere assordante.

L’AGENDA DELL’EUROPA

Allargando lo sguardo all’Europa, all’Unione Europea, solo la fantasia del ministro degli Esteri francese Bernard Kouchner può far passare per un successo dell’Unione quella che è al contrario una tragedia: “ognuno è libero di fare la scelta che vuole circa il riconoscimento dello Stato del Kosovo”. Ovvero l’Europa, una volta di più, non è riuscita a decidere per risolvere un problema geopolitico proprio e si è spaccata. La decisione l’hanno presa altri, ma “il problema –ha riconosciuto il Ministro degli Esteri italiano, Massimo D’Alema- è nostro”.

I quattro grandi riconosceranno l’indipendenza della Kosova, ma quasi la metà degli Stati dell’Unione non lo faranno, almeno per ora. Germania e Italia la riconoscono per cattiva coscienza, per i troppo precoci riconoscimenti del 1991 e per la guerra del 1999, ma soprattutto perché messi di fronte al fatto compiuto da Washington con la quale pensano sia inutile aprire un conflitto su questo tema. L’Europa dei veti, l’Europa dell’unanimismo di facciata, l’Europa manovrata dai Tony Blair, è l’Europa incapace di scrivere la propria agenda necessaria.

Non sappiamo cosa avrebbe scelto di fare Aldo Moro. Se avrebbe pagato per mantenere la Kosova con la Serbia o avrebbe pagato per dividerla. L’Europa oggi paga senza poter scegliere. Nel caso kosovaro sono gli Stati Uniti a scriverne l’agenda e ad aver convenienza -in sinergia con Londra- in un’Europa che si esprime con 27 voci dissonanti. E non è un caso che l’Europa divisa che fa gioco agli anglosassoni e va in ordine sparso sul Kosovo, sia proprio l’Europa delle (piccole) patrie, come viene definita e voluta dalle destre più recalcitranti.

Perfino la grande Germania degli 80 milioni di abitanti, e terza potenza economica del mondo, che non ottenne il seggio all’ONU dopo l’89, cos’è più oggi senza un’Europa in grado di decidere? Nel mondo della Cina, dell’India, del Giappone, del Brasile, del Messico, dell’Indonesia, perfino la grande Germania è solo una piccola patria in balia delle decisioni altrui.