Informazione

Alcune brevi riflessioni sulle elezioni politiche in Russia


“Non bisogna farsi illusioni. Tutta quella gente (gli oligarchi e le
strutture politiche che li sostengono) non è uscita dalla scena
politica. I nomi li trovate tra i candidati e i sostenitori di alcuni
partiti. Vogliono una rivincita, tornare al potere, ad esercitare la
loro influenza. E restaurare il regime oligarchico, basato sulla
corruzione e sulla menzogna”. Forse queste parole pronunciate da
Vladimir Putin, durante una grande manifestazione di “Russia Unita”,
il partito di cui era capolista, servono a far comprendere le vere
ragioni dello straordinario successo della forza politica di governo
che – al di là dei suoi confusi e contraddittori programmi politici e
di un apparato in larga parte non distinguibile, per provenienza e
aspirazioni sociali, dall’opposizione “liberale” –, dai russi è stato
associato alla figura del presidente russo dopo la sua decisione di
diventarne il leader.

Troppo vivo è il ricordo del decennio di umiliazioni e di declino
della Russia, seguito alla dissoluzione della potenza sovietica, per
poter pensare ad una rivincita degli uomini e dei partiti che delle
disgrazie di quel periodo sono stati i responsabili, al seguito di
quella che oggi può considerarsi la figura più screditata della
storia contemporanea di questo grande paese: Boris Eltsin.
Lo striminzito 2% raccolto dai partiti “liberali”, osannati in
Occidente (“progressisti" li ha definiti anche “Liberazione”!), sta
lì a dimostrarlo eloquentemente.

Stupisce che una riflessione più ponderata di quanto sta accadendo in
Russia non sia passata per la testa neppure a molti commentatori
della cosiddetta sinistra radicale occidentale (i servizi su
“Liberazione” del 1 dicembre ne sono un esempio), che non hanno avuto
alcuna esitazione ad accettare in modo acritico tutti i cliché
propagandistici delle centrali di informazione occidentali.

Putin per i russi, spesso descritti nei giornali occidentali, con
veri e propri toni razzisti, come un popolo quasi geneticamente
“autoritario” (con tanto di interviste a “raffinati” intellettuali
russi che, ai tempi del secondo golpe di Eltsin nel 1993, non ebbero
dubbi a sostenere il massacro dei difensori del Parlamento russo) è
colui che, con i fatti, ha dato prova di voler voltare pagina.

I russi, che sicuramente non considerano il loro presidente perfetto,
gli riconoscono, a ragione, la determinazione dimostrata nel
riportare la Russia sulla scena mondiale, nel sottrarla al rischio di
essere condannata al ruolo di colonia delle potenze e delle
multinazionali occidentali e destinata a subire gli stessi processi
di frammentazione dell’URSS, di avere azzerato il pauroso deficit che
aveva portato il paese sull’orlo del precipizio finanziario, di avere
migliorato, pur in presenza ancora di grandi ingiustizie e
contraddizioni sociali, il tenore di vita di milioni di russi. Sono
fatti che nessuno può contestare credibilmente.

E, invece, per spiegare il 63% dei voti raccolto dal partito di Putin
nel contesto di un’alta partecipazione al voto (quanti, fino al
giorno prima avevano confidato in un grande astensionismo?), si è
scelta la strada suggerita dai propagandisti dell’amministrazione
americana, anche a “sinistra”. Invece di soffermarsi a riflettere su
come Putin vorrà o potrà proseguire sulla strada degli impegni di
riscatto sociale e nazionale presi con i suoi elettori (e che gli
elettori non dimenticheranno) e ripetuti in modo martellante in tutti
gli ultimi messaggi elettorali, e su come potrà vincere le resistenze
(di cui è pienamente consapevole) che provengono dagli apparati del
suo stesso partito, si preferisce evidentemente dare una mano a
questi ultimi, diffondendo la favola (non sostenibile alla prova dei
fatti) dell’esistenza in Russia di una dittatura.

La vittoria travolgente di Putin pone anche i comunisti russi di
fronte all’esigenza di aprire un serio dibattito sulla loro
collocazione nello scenario politico che si profila per i prossimi
anni. L’ulteriore, seppur lieve, ridimensionamento elettorale (dal
12,6% all’11,7%), che gela le speranze di una ripresa elettorale
coltivate nelle elezioni parziali del marzo scorso, non può essere
spiegato solo, in modo autoconsolatorio, con l’eventuale presenza di
brogli elettorali (del resto, sempre denunciati anche al termine di
ogni passata consultazione), per i quali chiedere l’intervento di
quegli organismi internazionali che, in altre occasioni, hanno
avviato campagne di criminalizzazione contro gli stessi comunisti
(Consiglio d’Europa).

Il PCFR, che resta comunque una forza politica di tutto rispetto,
sarà sicuramente costretto ad avviare una profonda analisi dei
mutamenti intervenuti nella società russa, durante i 7 anni di
amministrazione di Putin. E dovrà fare finalmente i conti con la
necessità di incidere realmente nelle contraddizioni degli attuali
assetti di potere russo, uscendo da una sorta di orgoglioso
isolamento e cogliendo in tutta la sua portata la cesura netta, sia
sul piano della politica estera che di quella interna, avvenuta in
questi anni rispetto alla precedente “era Eltsin”, grazie
all’iniziativa incalzante di Putin e del gruppo “patriottico” che si
raccoglie attorno a lui.

Se ciò avverrà, gli appelli a lavorare insieme nel prossimo
parlamento russo, lanciati subito dopo il voto dal partito “Russia
Giusta” (8% dei voti) (il partito filo-presidenziale, che si
definisce “socialista”) ai comunisti, forse, questa volta, non
saranno rispediti al mittente, permettendo così a quel 20% della
società russa che ancora si esprime con nettezza per una “scelta
socialista” di avere la possibilità di favorire una positiva
evoluzione dei processi politici, avviati con l’uscita dalla scena di
Eltsin e l’avvento di Putin, e che hanno permesso alla Russia di
ritrovare un ruolo dignitoso nella scena mondiale, sottraendola
sempre di più ai condizionamenti e ai ricatti dell’imperialismo.

Mauro Gemma




L’ASS. NAZIONALE PARTIGIANI D’ITALIA - SEZIONE DI CIVIDALE DEL FRIULI
ORGANIZZA

 

 VENERDI 14 DICEMBRE 2007 ALLE ORE 20.00
 C/O LA SALA DELLA SOCIETA’ OPERAJA

 

 

A seguito del violento alluvione che ha colpito a metà Settembre di quest’anno la zona di Cerkno, nella vicina Repubblica di Slovenia, è andato quasi completamente distrutto l’Ospedale Partigiano “Franja”. L’ospedale, operò dal 1943 alla fine del conflitto, e si avvalse della qualificata opera anche di personale medico italiano.

 

Nelle baracche allestite nella gola Pasice a Dolenji Novaki presso Cerkno trovarono ricovero innumerevoli feriti e conforto, nelle ultime ore della loro agonia, diversi partigiani tra i quali il nostro concittadino Rino Blasigh “Franco” decorato con Medaglia d’Argento al Valor Militare dalla Repubblica Italiana.

 

L’Associazione Nazionale Partigiani d’Italia di Cividale del Friuli, di concerto con l’ANPI Provinciale di Udine, ha organizzato una serata di solidarietà per raccogliere fondi da destinare alla ricostruzione dell’importante monumento.
Nel corso della serata saranno proiettate le immagini che documentano i gravi danni subiti dall’Ospedale commentate da personale del Museo della Città di Idria sotto la cui giurisdizione ricade il monumento. Saranno anche illustrate, per quanto possibile, le iniziative di recupero del manufatto e dei documenti presenti nel monumento. La perdita degli oggetti museali rappresenta un danno inestimabile. Nell’ospedale partigiano Franja erano esposti circa 800 oggetti originali. Oltre agli oggetti che si trovano nelle due baracche preservate (83 oggetti), tra le rovine e lungo i torrenti Cerinscica e Cerknica sono stati rinvenuti altri 60 oggetti, che hanno riportato danni lievi o parziali. Si sono preservati, dunque, 143 oggetti in totale e identificati i componenti di ulteriori 40 oggetti.

L’opera di restauro, di ripristino dei luoghi e di ricostruzione delle baracche, nel rispetto del monumento originale,  sarà quindi lunga e dispendiosa e riteniamo sia importante anche il nostro contributo.

A.N.P.I. – Sezione Cividale del Friuli


La locandina della iniziativa ed altre informazioni sul caso della "Bolnica Franja" si trovano alla pagina:


(italiano / english)

Pro-Americanism 'a must' in Kosovo 

1) "Per fortuna dobbiamo ricordare che ora ci sono in mezzo anche gli Stati Uniti..." Brindisi e festeggiamenti da Tirana a Pristina per la Grande Albania prossima ventura

2) Pro-Americanism 'a must' in Kosovo. The American flag with its stars and stripes decorates almost all office buildings across the province


Sulla propaganda irredentista pan-albanese a Radio Radicale vedi anche: 

Sulla diffusione del culto religioso per l'ex Presidente USA Bill Clinton, per la sua consorte, e per gli altri padroni stranieri in Kosovo vedi anche:


=== 1 ===



Gli Albanesi dei Balcani festeggiando l’Indipendenza dell’Albania

Dal blog di Nura Artur (163) - Sabato, 1 Dicembre 2007 - 1:44pm

Radio Radicale “Passaggio a Sud Est”

Un saluto a te Roberto e ai nostri ascoltatori. Come hai detto vorrei parlare del significato che per tutti gli albanesi della regione Balcanica ha il 28 novembre che è la data della proclamazione dell’indipendenza dell’Albania dall’Impero Ottomano.
Il 28 Novembre 1912, infatti, l’Albania proclamò la sua indipendenza dall’Impero Ottomano, ma la principale sfida che gli albanesi dell’epoca dovevano affrontare non era l’Impero Ottomano che stava ormai finendo, ma l’invasione dei popoli slavi della regione. Una situazione che si ripete anche oggi.
A quell’epoca i popoli slavo-ortodossi, ispirati dalla vittoria della Russia sulla Turchia, avevano già iniziato la loro invasione violenta contro i territori albanesi in cui la popolazione era principalmente mussulmana.
Gli albanesi dopo aver dichiarato l’indipendenza ed aver issato le loro bandiere dovettero affrontare una lunga e difficile lotta per ottenere il riconoscimento internazionale della loro patria che purtroppo, dopo invasioni sanguinose, uscì malconciato dalla lunga conferenza delle potenze dell’epoca a Londra.
I territori albanesi del Kosovo, di quelli che oggi sono la Macedonia, il Montenegro, la Grecia d’oggi ed altri territori furono lasciati fuori da questo nuovo stato dell’Albania, per dare via così ad un’altra lunga storia tumultuosa degli albanesi che ancora oggi rappresenta un grande problema e una sfida politica per i principi fondamentali dell’Europa.
All’epoca, a causa della posizione della Russia, che continua ancora oggi, il caso albanese rappresentò il vero significativo delle differenze della politica, storia e cultura tra l’Europa occidentale e la Russia ortodossa.
Se ora l’Europa cederà dai suoi principi fondamentali al confronto delle richieste russe che sono rimaste le stesse, saremo testimoni anche noi mentre la storia ci sta passando davanti, anche se per fortuna dobbiamo ricordare che ora ci sono in mezzo anche gli Stati Uniti che invece cento anni fa non aveva nessun ruolo nei Balcani.

D: Quest’anno la ricorrenza dell’indipendenza coincide con il fallimento dei negoziati per il Kosovo. Qual è l’atmosfera di questa settimana di festa nazionale in Albania...

Secondo il mio parere personale, l’atmosfera di festa e più intensa e vitale che negli anni precedenti e questo perché questa data storica dell’Albania ha un significato simbolico e politico per il Kosovo che sta facendo il possibile per arrivare alla sua indipendenza con 95 anni di ritardo.
Come nel 1912 a Valona, dove fu issata la bandiera albanese simbolizzando la proclamazione dell’indipendenza, il 28 novembre di quest’anno si sono radunati in tanti sia dalla capitale Tirana sia dagli altri territori albanesi dei Balcani.
Hanno partecipato in tanti anche dalla Macedonia, dal Kosovo e dal Montenegro insieme con tutte le personalità della politica di Tirana che per una volta hanno lasciato da parte le loro differenze politiche.
A Pristina e a Tetovo come a Tirana è stata festeggiata la festa nazionale e alle massime autorità dell’Albania sono arrivati molti messaggi di congratulazione in cui non mancavano gli auguri di una prossima simile festa per l’indipendenza del Kosovo.
Questa unità nazionale di tutti gli albanesi dei Balcani è stata accompagnata da due dimensioni particolari che hanno di certo a che fare con la storia dualista degli albanesi dei Balcani, una riguarda al futuro e l’altra riguarda al passato.
In tutti gli interventi dei partecipanti a questa celebrazione, cominciando dal presidente della repubblica Bamir Topi, nel brindare e nei festeggiamenti per l’indipendenza non è stato dimenticato l’obiettivo dell’integrazione euro-atlantica dell’Albania e dei Balcani che significa anche una certa limitazione dell’indipendenza nazionale delle nazioni e degli stati. (...)

(segnalato da Luca S.)



=== 2 ===

Agence France-Presse
November 16, 2007

Pro-Americanism 'a must' in Kosovo 

ISMET HAJDARI

DOBRATIN, Serbia - Pictures of beaming ethnic Albanian
leaders alongside senior U.S. figures feature
prominently in Kosovo, where sympathies for the United
States are high ahead of Saturday elections.

As the main supporter of Kosovo's push for
independence, the Western superpower is so popular in
the tiny Balkan territory that many young children and
major streets have names like "Clinton."

Four-year-old Clinton Bajgora plays in the yard of his
family home, more interested in the mud piles than the
inquiries put to his parents about their decision to
name him after former U.S. president Bill Clinton.

"According to our customs, one of my daughters is
named after my mum. Instead of naming my son after my
dad, I named him after Clinton because I consider him
as the father of our nation," said Hasan Bajgora.

The Albanian majority's adoration of the United States
is ever present in Kosovo.

American politicians are regarded as heroes for their
crucial backing of NATO's air war against Serbian
targets....

Kosovo, which has been run by the United Nations since
the end of the NATO bombing in mid-1999, is one of the
rare places around the world unaffected by
"anti-Americanism."

The faces of Clinton, his former secretary of state
Madeleine Albright and U.S. President George W. Bush
appear on numerous billboards and television ads in
campaigning for Saturday's general and local
elections.

Draped with stars and stripes:

The American flag with its stars and stripes decorates
almost all office buildings across the province,
including those of the Kosovo president and prime
minister.

Shkelzen Drenovci runs the "Wesley Clark" driving
school, named after the retired U.S. general who
headed NATO's three-and-a-half month military
operation against the Milosevic [government].

"It was my father's wish. He said that General Clark
was the one who pressed the button" for the bombing to
start, said the 31-year-old.

But the uncontested Kosovo favorite is Bill Clinton,
whose August 19 birthday is celebrated with much
fanfare across the province.

Pristina's main avenue is named after the former
president and features a huge mural bearing his image.
The city recently approved plans to erect a
three-meter (10-foot) statue in his honor.

Being pro-American has become "a dogma in Kosovo,"
said Valon Syla, the political editor of the newspaper
Express.

"Like Muslims who believe in God and Mohammad as his
messenger and prophet, the Albanians believe in
America," Syla said. "Politicians who are not
pro-American cannot even dream of victory here," he
added.


Source: R. Rozoff through Stop NATO - http://groups.yahoo.com/group/stopnato



www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - urss e rivoluzione di ottobre - 05-11-07 - n. 201

da Rebelion (originale nell'edizione 118 della Pravda del 25/10/2007)

 

Ventitre scalini più in basso
 
Sui morti del comunismo sovietico e su quelli del capitalismo russo
 
Víctor Trushkov - Pravda

 

26/10/2007

 

Nella storia, niente e nessuno entra in relazione reciproca attraverso le azioni, eccetto le persone. La popolazione è la principale risorsa di qualunque sviluppo sociale. È meraviglioso disporre di ricchezze naturali uniche, ma solo col lavoro delle persone queste si trasformeranno in ricchezze sociali. È l'ABC del marxismo, e quando si parla di valutazioni delle risorse del paese, la popolazione è quella che dovremmo considerare in primo luogo.

 

I furbi e malintenzionati che attualmente lavorano in questo campo della storia hanno dato origine ad una gran quantità di miti e leggende, che in certe occasioni degenerano in autentiche falsità.

 

I detrattori professionali del socialismo e del sistema sovietico sono coloro che profondono a tal fine l’impegno più grande.

 

È come se tra loro esistesse una sfida per vedere chi, nel modo più indecente ed intollerabile, osa inventare il numero maggiore di "vittime del potere sovietico" negli anni trenta. Sessanta milioni di persone... 80 milioni... 100 milioni... sottintendendo che ci si riferisce alla popolazione adulta, innanzi tutto uomini. Sembra addirittura che non siano sfiorati dal dubbio che tutte queste favole potrebbe ribatterle qualunque ragazzino di 5º elementare.

 

La popolazione dell'URSS, nell'anno in cui fu creato lo stato unitario, ammontava a 136,1 milioni di persone, delle quali, alla fine del 1922, 63 milioni erano uomini. Che cosa rimane sottraendo anche solo l’immaginario numero di 60 milioni di vittime? Chi lottò allora nella Grande guerra patriottica? Da dove uscirono allora, in una sola Repubblica Socialista Federativa Sovietica Russa, 51 milioni di uomini nel 1939? In totale, in tutta l'Unione Sovietica, in quel momento si era vicino ai 93 milioni.

 

Operiamo un confronto in più, cosa che gli antisovietici si rifiutano sempre di fare. Mi riferisco ai tempi di crescita della RSFSR e degli Stati Uniti del Nordamerica (che era il nome ufficiale degli attuali USA fino alla seconda guerra mondiale). Perché della Federazione Russa e non di tutta l'Unione Sovietica? Perché negli anni trenta, il territorio della RSFSR non subì variazioni, mentre nell'URSS entrarono quattro nuove repubbliche - Moldavia, Lettonia, Lituania, Estonia – così come l’Ucraina occidentale e la Bielorussia occidentale. Nei 13 anni che passarono tra i censimenti della popolazione degli anni 1926 e 1939, il numero di abitanti della RSFSR crebbe del 13,5 %. Di sicuro questi non sono dati della Direzione Centrale di Statistica dell'URSS, le cui cifre tanto piace mettere in dubbio ai difensori del capitalismo, bensì dati che sono stati scrupolosamente verificati dagli studiosi dell'attuale Istituto di Investigazioni Scientifiche di Statistica, dipendente dell'Agenzia di Statistica della Federazione Russa (Rosstat).

 

La popolazione degli Stati Uniti del Nordamerica, che continuava a crescere grazie ai flussi migratori dall'Europa e da altre parti del mondo, nella decade tra 1930 e 1940, crebbe dell’8 %. Sono dati molto eloquenti.

 

Ma torniamo alla Russia. Negli anni ‘30 la popolazione aumentò di 13 milioni di persone. Paragoniamo questi dati con la crescita di popolazione nella Russia zarista in un'epoca abbastanza prospera, paragonata all'attuale, come fu la prima decade del XX secolo. Durante il periodo compreso tra il 1901 e il 1910, la popolazione della Russia crebbe di 13,37 milioni di persone.

 

Ritorniamo al dettagliato studio del direttore dell'IEC di statistica dell'Agenzia di Statistica della Federazione Russa, il professore Vasili Simchera: "Sviluppo dell'Economia in Russia nel corso di 100 anni. Successione storica" (ed. Nauka. 2006). In questo lavoro si analizza minuziosamente la dinamica della quantità di popolazione durante il XX secolo. Sono particolarmente interessanti i dati sulla crescita annuale della popolazione. Vediamo quali furono le variazioni nel periodo tra la Guerra civile e la Grande guerra patriottica.

 

Le conseguenze demografiche della Guerra civile furono molto visibili, perfino nel 1923, quando la crescita era ancora negativa per lo 0,2 %. Al contrario, nei tre anni seguenti, dal 1924 al 1926 inclusi, si ebbe una crescita record, che raggiunse l’1,9 % annuo. Dopo, negli 11 anni seguenti, si osservò una crescita stabile della popolazione.

 

Nella RSFSR, cresceva in ragione di un 1,1 % (qualcosa più di un milione l’anno). Ed improvvisamente, osserviamo un altro flusso. Di nuovo, e nell’arco di tre anni, si ha una notevole crescita demografica, per un valore dell’1,6 % annuo (1,7 milioni l'anno). Ma si presti attenzione agli anni di cui parliamo: 1938, 1939, 1940.

 

No, non ho la minima intenzione di negare, con tutto l'insieme di dati statistici affidabili comprovati e riveduti in più occasioni dall'Istituto di Investigazioni Scientifiche dell'Agenzia di Statistica della Federazione Russa, che ci siano state repressioni nella seconda metà degli anni 30. E sfortunatamente ebbero un carattere massiccio. Ma respingo categoricamente l'accusa che si lancia contro il Partito Comunista Bolscevico ed il potere sovietico, di aver portato a termine un genocidio contro il proprio paese. Il mito dell’ipotesi del genocidio è falso dal principio alla fine. Accusare di ciò il Partito Comunista e lo Stato Sovietico, è una perfida calunnia, come dimostra l'imparzialità della statistica.

 

Durante il XX secolo, la popolazione della Russia crebbe di 76,1 milioni di persone. Cioè più di due volte. Gli esperti hanno calcolato che la popolazione del paese avrebbe potuto moltiplicarsi per quattro rispetto al 1900. Ma, innanzi tutto, subì l’azione di tre "fosse demografiche" che lo impedirono.

 

La prima di esse riguarda la 1ª Guerra mondiale e la Guerra civile. Durante quegli anni, la popolazione si vide ridotta di 3,2 milioni di persone. Il potere sovietico fu in grado di riassorbire le perdite delle due guerre in appena due anni e, per quanto riguarda la popolazione, già nel 1925 fu superato il picco del periodo prebellico. In totale, negli anni della costruzione socialista, precedenti la 2ª Guerra mondiale, la popolazione della RSFSR aumentò di 20 milioni.

 

La seconda profonda fossa demografica fu "scavata" durante la Grande guerra patriottica. Occorre inoltre tenere conto che la guerra continuò a causare nuove vittime fino l’anno 1950 compreso. Il numero totale della popolazione, che non cessava di diminuire durante la decade 1941-1950, si stima in 8,6 milioni. La morte, con la sua ossuta mano, raggiunse 2,6 milioni di essi nei cinque anni che seguirono la Grande vittoria. Fu possibile riportare la popolazione ai livelli prebellici soltanto nel 1955.

 

La terza fossa demografica è, se possibile, la più tragica, giacché risulta impossibile trovare una giustificazione. Fu scavata negli anni di pace, durante quel periodo in cui, secondo le valutazioni comunemente accettate, non era oramai più diretta contro di noi alcuna "guerra fredda". La restaurazione del capitalismo "fucila" implacabilmente quasi un milione di persone l'anno. E così va facendo da 16 anni.

 

Oggi la Federazione Russa ha lo stesso numero di abitanti che la RSFSR nel 1984. In quanto ai livelli di popolazione, siamo tornati a cifre anteriori l'inizio della Perestroika. Non è forse simbolico tutto questo, oltre che amaro?

 

Ventitre anni cancellati nel corso demografico naturale della storia russa. Ventitre scalini più in basso. Non è forse sufficiente? La stessa cosa caratterizzò il regno dello zar Nicola II "il sanguinario", e portò come conseguenza la Grande rivoluzione socialista di Ottobre.

 

La propaganda della restaurazione capitalista si sforza di giustificare l'agonia del paese, attribuendola all'eco demografica della guerra. È certo che l'invasione fascista dell'Unione Sovietica genera quell'eco, ma attribuirle l'attuale genocidio, un genocidio autentico e non inventato da politici furbi e abili manipolatori, è impossibile.

 

La prima onda dell'eco demografica della Grande guerra patriottica arrivò fino a noi nella seconda metà degli anni 60, due decenni dopo la vittoria. Tra il 1968 e il 1971 la crescita della popolazione cadde quasi di metà e rimase ferma a 0,5 % l’anno. I quattro anni seguenti quest’indicatore non superò lo 0,6 %. Dopo, la curva di crescita si rialzò per avvicinarsi all’1 %.

 

La seconda onda è sempre più debole, meno percettibile. Ma non può essere ignorata. È assodato che mezzo secolo dopo l’inizio della Grande guerra, cioè gli anni 1990-1991, il tasso di crescita della popolazione paragonato agli anni precedenti, risultò ridotto alla metà, scendendo fino ad un 0,4 % annuo.

 

Ma successivamente cominciò l'estinzione. Dal 1994 la cifra totale della popolazione del paese è diminuita di 6,7 milioni di persone. Le reali perdite furono 1,5 volte di più, poiché bisogna contare che in quegli anni arrivarono nella Federazione Russa più di 3,5 milioni di persone provenienti dai "nuovi stati".

 

Quindi, la restaurazione capitalista ha "fucilato" non meno di 10 milioni di russi, più delle perdite di popolazione che patì la Russia tra 1941 e 1950.

 

Si deduce che il capitalismo, imposto al paese con la forza, non è meno inumano del fascismo hitleriano. Si sta distruggendo senza pietà la principale risorsa del paese. Di conseguenza, per la salvezza della Russia, questo capitalismo inumano deve essere vinto con risolutezza ed implacabilmente, come già i nostri genitori e nonni fecero con l'odiato nemico, offrendo al pianeta una Grande Vittoria.

 

In questa lotta odierna - la guerra è la guerra - la scelta dei mezzi è definita dalle circostanze. Una scheda elettorale, se sappiamo utilizzarla in modo razionale, può trasformarsi in una leggenda, come le "katiushe" a patto che, è chiaro, la potenza di fuoco della scheda sia appoggiata dall'offensiva di tutto il popolo lavoratore.

 


Traduzione dallo spagnolo per www.resistenze.org a cura del Centro di Cultura e Documentazione Popolare