Informazione

( Sullo stesso argomento vedi anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3541
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3521
http://www.salvaimonasteri.org/ )


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/28-Maggio-2004/art146.html


il manifesto - 28 Maggio 2004

Kosovo, il medioevo bruciato

Dal 1999 al 2004 sono state distrutte dall'ex Uck circa 140 chiese
serbo-ortodosse. Un comitato internazionale lancia l'appello: «Salvate
quel patrimonio della cultura europea»
ARIANNA DI GENOVA


La Madonna con il bambino «nutritore», che distribuisce una manna ai
fedeli, straordinaria icona del Duecento, amata, studiata, pregata,
simbolo di un grande patrimonio artistico, non esiste più. Al suo posto
c'è un buco nero fuliggine: ha preso fuoco insieme alla chiesa che la
ospita, Bogorodica Ljeviska di Prizren, ed è stata volutamente
scalpellata e mutilata nelle sue parti inferiori. L'immagine, proposta
sul sito www.salvaimonasteri.org, con un inquietante paragone - com'era
prima e come si presenta adesso - fa sussultare chiunque si fermi a
guardarla. Non c'è bisogno di essere storici dell'arte per lanciare
l'allarme e gridare all'orrore. Da ieri, sono a Roma due monaci
ortodossi venuti dal Kosovo, per testimoniare con le loro parole le
distruzioni dei monasteri cominciate nel 1999, dopo l'intervento della
Nato e riprese con estrema violenza nel marzo 2004: almeno trenta sono
gli edifici sacri devastati dall'ex Uck (la formazione armata kosovaro
albanese formalmente disciolta, la cui sigla campeggia sinistramente
sulle rovine dei monasteri), durante la recrudescenza degli scontri,
con conseguente epurazione etnica (di serbi e rom), morti e centinaia
di feriti, mentre a Belgrado finiva in fiamme, in risposta all'attacco,
la principale moschea della città.

In questi quattro anni, sono andate letteralmente in fumo - vi è stato
appiccato il fuoco o sono state fatte saltare in aria con esplosivi -
140 chiese, con tutto il loro corredo di oggetti liturgici e i loro
cicli di affreschi, considerati tra i documenti più importanti della
cultura bizantina. La violenza contro i luoghi sacri è diretta non ad
una appartenenza religiosa ma a una identità, alla memoria di un Kosovo
culla della civiltà serba, che ospita, insieme a Costantinopoli e
Salonicco, le maggiori testimonianze, architettoniche e figurative
dell'arte bizantina.

È così che un comitato, dal significativo nome «Salva i monasteri», ha
invitato Sava Janijc e Andrej Sajc, giunti dal monastero di Decani, a
raccontare la distruzione sistematica della storia messa in atto sotto
gli occhi di 20mila soldati dell'Onu. Alla base c'è l'appello lanciato
da Massimo Cacciari: «Il Kosovo ospita opere d'arte di straordinaria
importanza per la vicenda europea. La distruzione di un edificio, di
quegli affreschi equivale al massacro di San Marco e sant'Apollinare a
Ravenna. È la stessa area paleocristiana influenzata da Bisanzio... Per
noi, i cicli pittorici serbo-ortodossi sono diecimila volte più
significativi dei Buddha di Bamiyan». Poi l'intenzione è cresciuta e il
documento si è trasformato in un'iniziativa spontanea ed è stato
firmato da centinaia di personalità della cultura (fra questi, gli
storici dell'arte Valentino Pace e John Lindsay Opie) e della politica.
Esiste anche un'interrogazione dei Verdi sottoposta al ministero degli
esteri e della difesa italiana, condivisa oggi da più parlamentari di
diversi schieramenti. L'appello, cui partecipano anche l'Istituto
centrale per il restauro e l'Ong Intersos, già da tempo attivi sul
territorio, è rivolto alla comunità internazionale affinché cerchi di
salvare quanto più possibile. L'Unesco ha visitato i siti devastati in
aprile e sta preparando una relazione mentre il ministero per i beni
culturali cominceranno i primi lavori a Decani a metà giugno.

Attualmente, le truppe italiane in missione in Kosovo (Kfor) presidiano
e tutelano i tre maggiori monumenti: il complesso di Pec, Gracanica e
Decani. Ma, come spiega lo storico John Lindsay Opie, «tre siti, pur
eccezionali, non sono tutto. È come se venisse salvato solo San Marco a
Venezia e qualche basilica ravennate, lasciando tutto il resto andare
alla deriva. Ci sono chiese di cui non è rimasta neanche una pietra,
che non si potranno restaurare mai più, sono sparite». Non solo
cattedrali ma anche teatri, biblioteche, cinema, cioè edifici di culto
e più propriamente culturali, sono andati in rovina. È un patrimonio
dell'umanità intera che rischia di estinguersi, un tesoro dell'arte
medievale europea che va dal XII al XV secolo.

A Prizren, in marzo, dopo varie profanazioni, è stato appiccato il
fuoco alle chiese di Bogorodica Ljeviska - il cui nartece conserva
l'importante galleria dei ritratti dei Nemanja dell'inizio del
Trecento- e di st. Georgy. La cattedrale della Madonna Ljeviska, con i
suoi affreschi di valore inestimabile, era stata lasciata sguarnita di
protezione dal presidio tedesco. Valentino Pace, docente di arte
medievale all'università di Udine, ha commentato così la notizia del
danneggiamento del ciclo figurativo: «Questi affreschi sono un
capolavoro assoluto. Si potrebbe dire che hanno la stessa rilevanza
della Cappella degli Scrovegni a Padova. I ritratti della dinastia
regnante serba, i Nemanja, risalgono al XIV secolo: vi sono
rappresentati il fondatore della dinastia, Simeone, divenuto monaco sul
monte Athos e altri esponenti della sua famiglia, vescovi e re. L'altro
affresco importantissimo è la Madonna col bambino cosiddetto
«nutritore» (oggi un testo pittorico divenuto illegibile, secondo
quanto pubblicato sul sito di «Salva i monasteri», ndr.). Il soffitto
ligneo che li sovrastava è bruciato provocando danni ingenti al
patrimonio sottostante: sembra essersi miracolosamente «conservata»,
interamente, la figura centrale di re Simeone.

Tra gli altri luoghi, Devic (secolo XIV) è in rovina, il monastero di
Sant'Arcangeli è stato attaccato e distrutto, gli alloggi devastati, i
suoi «abitanti» dormono ancora sotto le tende e si sta pensando a come
ovviare al rigido inverno kosovaro.

Il monaco serbo-ortodosso Sava Janijc, nella conferenza romana, ha
tenuto a sottolineare con forza che «gli attacchi sono sistematici,
fanno parte di un progetto di cancellazione di una cultura. Non stiamo
parlando di una distruzione avvenuta in guerra ma di qualcosa che viene
perpetrato `dopo', contro i monumenti della cristianità e nonostante le
truppe della Nato e le Nazioni unite. Quella che va perduta è la
coscienza di una civiltà, la sua memoria. È necessaria allora una
mobilitazione internazionale ma tutto dipende dalla stabilità e
sicurezza che si potrà dare in seguito al Kosovo. È inutile ricostruire
o restaurare un patrimonio se poi questo viene ridotto in macerie nel
giro di qualche mese». E soprattutto senza i serbi cacciati dal
territorio kosovaro.


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http://www.salvaimonasteri.org/stampa_10.htm

Kosovo e Metohija 1998-2000.
Rapporto preliminare sulla situazione del patrimonio culturale.

(il presente contributo, è desunto dall’introduzione del volume, di
Fabio Maniscalco, “Kosovo e Metohija 1998-2000. Rapporto preliminare
sulla situazione del patrimonio culturale”, Napoli 2000, Massa Editore)


A circa un anno dalla fine della crisi in Kosovo, la situazione
culturale, sociale e politica si rivela particolarmente complessa.
In questa piccola regione della Repubblica Federale Jugoslava sono
presenti vari gruppi “etnici” e religiosi, tutti separati e non
integrati fra loro, distinti in kosovaro-albanesi di religione
musulmana (la maggioranza degli abitanti, che si considerano i soli
futuri gestori della vita socio-politica); kosovaro-albanesi di
religione cattolica (assoluta minoranza); kosovaro-serbi di religione
ortodossa (parte esigua della popolazione, costretta in ambiti
ristretti ed isolati, protetti dai contingenti della forza
multinazionale di pace); slavik-gorans musulmani nell’area di Daragash;
bosniaci nell’area di Jupa Region nella municipalità di Prizren; rom
gypsy (di religione musulmana o cristiana).
Numerosi sono i rifugiati all’estero o in Serbia, che attendono le
condizioni possibili per il rientro in patria.
In ogni caso, non esistono dati di consistenza certi sulla popolazione
attualmente residente né su quella profuga.
Della originaria economia agricolo-pastorale sopravanzano tracce nel
paesaggio verde, fertile e pianeggiante, dove si elevano alberi di
pioppo, querce e numerosi noci di dimensioni maestose.
Ad eccezione dell’agricoltura, che non sembra razionalmente
organizzata, non risulta in atto alcuna attività produttiva, ma solo
una diffusa occupazione di piccolo commercio connesso alle molteplici
opere di ricostruzione.
Attualmente la presenza della forza di pace KFOR (Kosovo Forces) e
degli amministratori OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo
Sviluppo Economico) e UNMIK (United Nation Mission in Kosovo), oltre a
garantire la sopravvivenza delle minoranze, la certezza degli stipendi
statali e la dotazione dei servizi di base, costituisce, col suo
effetto indotto, la maggiore entrata economica del Paese.
A prima vista alcune città, Prizren, Peja o Priština, si presentano
piene di vita, soprattutto nelle copiose caffetterie all’aperto in cui
una moltitudine di giovani sorridenti ravviva l’ambiente.
Tuttavia, soffermandosi in dettaglio, sono ancora numerose le case
demolite, i souk-bazar incendiati, i caratteristici kulla
(case-fortezza in pietra tipiche del luogo) distrutti, le centrali
elettriche di distribuzione gas e carburanti cannoneggiate, le stazioni
ferroviarie danneggiate.
Quasi tutte le chiese serbo-ortodosse rimaste integre nelle murature,
dopo essere state date alle fiamme da estremisti dell'UCK, sono al
momento transennate e presidiate dalle forze della NATO.
La popolazione cristiano-ortodossa di fatto non esiste più e la poca
residua è costretta in immobili o in villaggi isolati, presidiati e
protetti dalla KFOR., in condizione di soggiorno coatto e senza alcuna
possibilità di contatto con l’esterno.
Frequenti lungo le strade s’incontrano i cimiteri di guerra e svariate
sono ancora le aree minate o ricoperte da ordigni inesplosi.
I toponimi serbi sono stati sostituiti con quelli kosovaro-albanesi;
così, ad esempio, Pec è stata rinominata Peja.
Gli edifici di culto ed i simboli architettonici storici caratteristici
delle due culture e religioni principali sono stati distrutti.
La pubblica amministrazione è ora affidata all’organizzazione
internazionale UNMIK che sta tentando di organizzarsi, unitamente ad
esponenti locali, in vari settori amministrativi e gestionali. Nel
frattempo provvede al solo pagamento dello stipendio base degli
impiegati statali, che lamentano di essere sottopagati, insoddisfatti,
demotivati ed annichiliti dal conflitto bellico, che è stato d’inaudita
violenza, e si mostrano confusi, impotenti, impauriti, frustrati, ma
dignitosamente desiderosi di riprendere le loro originali funzioni
sociali.
Scaltri ex dirigenti hanno preso il sopravvento e in alcuni casi la
loro personalità sovente arriva ad influenzare addirittura l’azione
dell’UNMIK.
Numerosissime ONG (Organizzazioni non Governative) operano nel
territorio e non appare come le loro singole attività risultino svolte
secondo un piano strategico d’intervento coordinato. Al contrario, si è
assistito come, rispetto ad una stessa iniziativa, più ONG abbiano
elaborato proposte e promesse parallele, creando situazioni di profonda
confusione nelle autorità municipali locali.
Alcuni progetti sottoposti a chi scrive si sono dimostrati incompleti e
privi di un qualsiasi approccio metodologico e scientifico, rivelando
la carente sensibilità e preparazione culturale nel campo dell’arte e
del restauro monumentale di alcuni "responsabili culturali" di ONG.
Non esistono forze dell'ordine locali, ma solo Polizia delle Nazioni
Unite.
La maggioranza degli autoveicoli circola liberamente senza targhe,
anche perché di provenienza illecita, ed il tentativo dell'UNMIK di
creare una sorta di registro automobilistico è fallito. Difatti, le
targhe che venivano consegnate agli utenti previo il pagamento di una
tassa, non autorizzavano gli stessi a spostarsi oltre i confini del
Kosovo stesso.
La manutenzione delle strade è inesistente, come la segnaletica
stradale.
In tale drammatico e complesso contesto è evidente come la salvaguardia
e la tutela dei beni culturali non venga presa in considerazione.
All'interno della recente crisi in Kosovo è possibile focalizzare
quattro fasi distinte, a seguito delle quali il patrimonio culturale
immobile è stato distrutto o danneggiato:
a. inizio del conflitto civile tra Serbi e Kosovaro-Albanesi;
b. bombardamenti della NATO in tutta la Repubblica Federale Jugoslava;
c. rientro dei profughi kosovaro-albanesi;
d. ricostruzione post bellica.
Durante la prima fase (tra la fine del 1998 e gli inizi del 1999), che
ha avuto carattere di conflitto interno, non si sono riscontrati
danneggiamenti di particolare entità a monumenti né ad edifici
culturali e cultuali.
La reale distruzione monumentale, invece, ha avuto inizio a seguito
dell'opinabile intervento bellico della NATO (tra marzo e giugno 1999).
La comunità politica internazionale, infatti, non ha preso in
considerazione l'eventualità che le truppe serbe potessero
avvantaggiarsi del disordine e del caos prodotti dai bombardamenti
(talvolta imprecisi) per accelerare il processo di "epurazione etnica"
e per strumentalizzare la risoluzione della NATO.
In questo periodo l'esercito regolare e, soprattutto, la polizia ed i
diversi corpi paramilitari serbi, oltre a deportare ed a massacrare la
popolazione kosovaro-albanese, con sistemi analoghi a quelli impiegati
in Bosnia tra il 1992 ed il 1995 (come gli stupri di massa), hanno
saccheggiato e devastato proprietà private e pubbliche del “nemico”,
quali moschee o madrase.
Inoltre, non pochi danni sono stati inferti dai missili della NATO alla
popolazione civile ed ai monumenti.
Dopo il rientro della popolazione kosovaro-albanese, favorito dallo
schieramento a terra delle truppe KFOR, e la fuga di quella serba, è
iniziata una nuova ed infausta fase di distruzione monumentale
incentrata, però, sui monumenti serbo-ortodossi.
A partire dal luglio 1999 gruppi di facinorosi hanno iniziato ad
appiccare incendi o a demolire con esplosivi molte chiese dalle quali,
come hanno evidenziato le indagini dello scrivente, venivano prima
sottratte le icone e gli oggetti facilmente asportabili.
Recenti ed irrimediabili violazioni al patrimonio monumentale kosovaro
sono talvolta imputabili, invece, all'attuale fase di ricostruzione
post bellica, e anche alla messa in atto di tecniche e metodologie
errate e prive di logica; è questo, ad esempio, il caso della Moschea
dell’Hammam di Peja o della Moschea di Gazi Ali Bey a Vucitrn.
Inoltre, il conflitto in Kosovo ha comportato il deterioramento e la
corruzione della quasi totalità della cultura locale mediante la
distruzione fisica di edifici cultuali e culturali (biblioteche,
teatri, cinema etc.); la traduzione forzata a Belgrado di buona parte
del patrimonio storico-artistico mobile dai musei, ad opera delle forze
serbe in ritirata; l’assoluta mancanza di mezzi destinati agli
operatori culturali ed il conflitto etnico fra le possibili entità
sociali, che rende di fatto impossibile tra loro il dialogo e la
coesistenza e che, senza interventi mirati, comporterà la scomparsa
totale del patrimonio culturale serbo.


Fabio Maniscalco (docente di “Tutela dei Beni Culturali” presso la
Facoltà di Studi Arabo-Islamici e del Mediterraneo dell’Università
L’Orientale e direttore dell’Osservatorio per la Protezione dei Beni
Culturali in Area di Crisi)

Lundi 14 juin, à 8 h 45, Palais de Justice de Bruxelles, 50ème chambre
correctionnelle

Les minutes les plus longues de ma vie

Pourquoi je demande justice

Les coups pleuvent. Ils m'ont menotté et jeté sur le sol de la
camionnette. Impossible de bouger. Le premier se met à me frapper sur
la tête. Très violemment. Des coups réguliers, incessants. Portés d'une
façon caractéristique : poing serré, phalanges à plat. Plus tard, je
comprendrai : on leur enseigne comment faire très mal sans laisser de
traces.
L'autre s'y met aussi et me décoche de terribles coups de pied dans le
ventre et les côtes. Je hurle de douleur : « Arrêtez, je vous en prie
!» Mais ils continuent de plus belle. «Sale anarchiste, tu vas voir ce
que c'est de vouloir manifester ! Ici, il n'y a plus de caméras ? Eh
bien, justement, nous on y va ! » Ils sont déchaînés. Terrorisé, je me
dis que je vais mourir ou rester infirme.
Ce tabassage va durer tout le temps du trajet qui m'amène au
commissariat. Les minutes les plus longues de mon existence.
Au commissariat, je devrai réclamer longtemps avant d'être enfin
conduit à l'hôpital. Quatre côtes fracturées, contusions multiples,
état de choc. Plusieurs semaines cloué dans un fauteuil.
Ce lundi 14 juin 2004, cinq ans plus tard, ils comparaissent enfin au
tribunal correctionnel de Bruxelles, pour « coups et blessures » et «
arrestation arbitraire ».

Bruxelles : interdiction générale de manifester contre la guerre

Flash-back. Ces violences se sont déroulées le 3 avril 1999. Dix jours
plus tôt, l'Otan a commencé à bombarder la Yougoslavie. Avec quelques
amis, j'ai introduit une demande pour manifester à proximité du siège
de l'Otan. Refusé. Le bourgmestre libéral de Bruxelles, De Donnéa,
prend un arrêté ahurissant. Il interdit toute manifestation pour la
paix à Bruxelles. N'importe où, n'importe quand.
Violation évidente de la Constitution et de la liberté de manifester
ses opinions. Immédiatement, nous introduisons un recours au Conseil
d'Etat. Lequel, en procédure d'urgence, annule la décision du
bourgmestre. Manif autorisée. Qu'à cela ne tienne, le bourgmestre
reprend tout de suite le même arrêté et, avec l'aide du ministre de
l'Intérieur Vanden Bossche, envoie sur place des centaines de
policiers, des autopompes, des blindés, un hélico. La violence
policière sera incroyable : 141 personnes arrêtées, de nombreux
blessés. Plusieurs journalistes et photographes arrêtés aussi. Silence,
on cogne !
Il paraît que l'Otan bombarde la Yougoslavie pour lui apporter la
démocratie. L'exemple donné à Bruxelles n'est pas très convaincant !
En tant qu'organisateur de la manif, je suis le premier arrêté. Avec
une brutalité extrême et gratuite : aucun incident n'a eu et n'aura
lieu, à part les violences policières. Manifestement, il y a des
instructions pour intimider quiconque voudrait protester contre la
guerre. Et pour me mettre hors d'action. Des témoins entendront des
policiers dire : « On l'a bien eu, le journaliste ! » (C'est ma
profession).

On avait bien raison de manifester, c'était aussi une sale guerre

Heureusement, les diverses télés belges ont bien couvert l'affaire. Des
images impressionnantes ont montré la brutalité policière. Et
l'indignation générale a vite forcé le bourgmestre à revenir sur son
interdiction. Les manifestations suivantes furent autorisées.
Les innombrables messages de sympathie m'ont aidé à surmonter le choc.
Et aussi, le fait de reprendre peu à peu mon activité pour la paix.
Agir aide beaucoup. Dès que j'ai été suffisamment rétabli, je me suis
rendu en Yougoslavie avec 15 Belges, pendant les bombardements, afin de
témoigner sur les ravages de la « guerre propre » de l'Otan.
Nous avons pu vérifier sur place combien il était juste de manifester
contre cette guerre... L'Otan bombardait ponts, usines, infrastructures
électriques civiles, bâtiment de télévision, colonnes de réfugiés,
ambassade de Chine... Crimes de guerre évidents. L'Otan bombardait des
installations pétrochimiques importantes, avec toutes les conséquences
pour la santé des populations ! Crimes de guerre évidents. L'Otan
utilisait des armes à uranium qui provoquent une explosion de cancers
et leucémies parmi les populations civiles. Crimes de guerre évidents.
L'Otan utilisait sur des marchés et des places publiques des bombes à
fragmentation qui se dispersent en centaines de petites bombes à
retardement, tuant ou mutilant les enfants qui les prennent pour des
jouets. Crimes de guerre évidents.

Le droit de mentir, pas le droit de répondre ?

Bref, bien avant Bush, les Etats-Unis mais aussi l'Europe violaient
systématiquement la Charte de l'ONU (interdiction du recours à la
guerre) et les Conventions de Genève (interdiction de s'en prendre aux
civils).
Tous ces gouvernements européens, aujourd'hui si vertueux face à Bush,
ont veillé à ce que les manifestants pour la paix soient marginalisés,
censurés, diabolisés, voire agressés. Mais aujourd'hui, le bilan de
cette guerre est accablant et chacun peut voir qu'il était juste et
important de défendre le droit de manifester.
Car, depuis cinq ans, le Kosovo est soumis au nettoyage ethnique, à la
terreur des milices UCK protégée par les USA. Une terreur qui
d'ailleurs frappe aussi de nombreux Albanais. Le Kosovo est aujourd'hui
une terre sans droit, sans justice. La maffia avec qui les Etats-Unis «
ont fait un mariage de circonstance » selon un expert canadien, a fait
de cette province la plaque tournante du trafic de la drogue, des armes
et de la prostitution vers l'Europe. De plus, comme vient de le
confirmer Amnesty, les bases Otan ont développé une énorme industrie
d'esclaves sexuels. Le vrai but, atteint, était d'installer une énorme
base militaire US, Camp Bondsteel, sur le tracé du projet US de
pipe-line à travers les Balkans. Avec des pistes pour bombardiers !
A l'époque de cette guerre, menée pour des objectifs économiques et
stratégiques cachés, et vendue à l'opinion sous des prétextes
humanitaires et des médiamensonges qu'on n'avait pas le droit de mettre
en doute, à cette époque, il ne faisait pas bon organiser des manifs
pour la paix. A Paris, un professeur serbe de la Sorbonne, organisateur
d'un grand rassemblement pour la paix, s'est fait assassiner sur le
palier de sa porte. Deux mois plus tard, au Kosovo, une autre
personnalité active contre l'Otan, le journaliste Daniel Schiffer,
échappera par miracle à un bombardement ciblé de l'aviation US contre
son véhicule. Son chauffeur et un autre journaliste seront tués. Il en
réchappera par miracle. Vraiment il ne faisait pas bon manifester en
ces temps-là...

Des policiers « protégés » ?

Voilà pourquoi je réclame justice aujourd'hui. Je réclame le droit de
continuer à manifester contre ces guerres injustes. Bush nous en promet
une accumulation, seule la résistance des peuples, irakien et autres,
l'a empêché d'aller plus vite. Mais ce que la France fait en Afrique
n'est pas non plus 'humanitaire' et n'inspire pas confiance quant à
l'usage qui sera fait de l'Euro - Armée en construction. Une Euro -
Armée nullement défensive, qui se prépare à intervenir au Moyen-Orient,
au Congo et ailleurs.
Sur la guerre contre la Yougoslavie, chacun avait le droit d'avoir son
opinion, et elles étaient diverses à l'époque. Mais le droit de
manifester est un droit fondamental.
Je réclame donc justice. Non seulement contre ces deux policiers qui
m'ont agressé, mais aussi contre leurs chefs, le bourgmestre de
Bruxelles et le chef de la police. Car de deux choses l'une : ou bien
ces policiers ont violé leurs instructions ou bien ils ont agi sur
instructions.
S'ils ont violé les instructions, leur chef, le bourgmestre de
Bruxelles, aurait dû les blâmer, les sanctionner et les retirer de la
voie publique puisqu'ils sont dangereux. Et si ce bourgmestre De Donnéa
avait eu un soupçon d'humanité ou de politesse, il aurait peut-être pu
s'excuser ou au moins prendre de mes nouvelles ? Il n'en a rien fait.
Il a protégé ses flics brutaux.
Le Parquet aussi s'est d'abord montré bien indulgent à l'égard de ces
deux brutes. D'abord, le juge d'instruction Collignon jugeait
impossible les identifier. Formidable ! Des arrestations sont
effectuées, sous les caméras, avec des dizaines de témoins, avec des
P-V, et pas moyen de retrouver ces policiers ?
Ensuite, il prétendait ne pouvoir déterminer à quel moment précis
j'avais été blessé, donc ne pas pouvoir poursuivre ces policiers. Autre
stupidité ! J'entre intact dans une camionnette, devant les caméras et
des dizaines de témoins, j'en ressors avec quatre côtes cassées, et le
juge Collignon ne comprend pas quand cela s'est produit ? Incompétence
ou mauvaise volonté ?

Au nom de toutes les victimes de « bavures »

Heureusement, mes avocats, Maîtres Jan Fermon et Selma Benkhelifa, se
sont battus pied à pied. Grâce à eux, j'ai finalement pu être confronté
à mes agresseurs dans les locaux de la police des polices. Ils mentent
toujours, mais leurs déclarations se contredisent et cela éclatera à
l'audience. Le dossier est accablant.
En fait, je veux me battre aussi pour toutes ces victimes anonymes de
violences policières. Particulièrement à la Ville de Bruxelles. Des
associations des droits de l'homme ont déjà souligné combien il est
difficile de faire juger des policiers brutaux. Les victimes
d'arrestations arbitraires, de tabassages gratuits, de démonstrations
cow-boys n'ont généralement pas ma « chance ». Quand ça leur arrive, il
n'y a pas de caméras. C'est aussi pour eux que je réclame justice.
Le droit de mentir, le droit de frapper, le droit d'arrêter
arbitrairement, le droit d'empêcher de manifester, le droit à
l'impunité ? Pas question de l'accepter!

L'audience a lieu ce lundi 14 juin, à 8 heures 45 au Palais de Justice
de Bruxelles, 50ème chambre correctionnelle. Ceux qui peuvent se
libérer, sont les bienvenus. Je pense qu'il est important de nous
mobiliser ensemble aujourd'hui pour faire respecter et garantir nos
libertés politiques de demain.

http://liste.bologna.social-forum.org/wws/arc/forum/2004-05/
msg00660.html


# From: "kaio\.k\@libero\.it"
# To: "rossana"
# Cc: "redditolavoro","forum"
# Subject: Kosovel Poesie-Gorizia 3giu-Borgo Castello
# Date: Sat, 29 May 2004 12:04:35 +0200


Provincia di Gorizia
in collaborazione con Associazione culturale ambientale Hundertwasser

Gorizia, 3 giugno 2004 ore 18.30 Sala dei Musei provinciali di Borgo
castello

"Omaggio a Srecko Kosovel, poeta fra il Carso e la storia"

Intervengono:
- Roberto Antonaz, Assessore regionale per le identità linguistiche e
alla cultura
- Marco Marincic, Assessore provinciale alle comunità linguistiche
- Paola Barban, Associazione Hundertwasser
- Miran Košuta, Università di Trieste
Moderatore: Maurizio Platania
Lettura di alcune poesie del poeta carsolino in italiano e sloveno a
cura dell'attrice Nikla Panizon

Seguirà una degustazione di vini sloveni con servizio di sommeliers

Pokrajina Gorica
v sodelovanju s kulturnim in okoljevarstvenim združenjem Hundertwasser

Gorica, 3. junija 2004 - ob 18.30

Dvorana Pokrajinskih muzejev na Grajskem gricu

»Poklon Srecku Kosovelu, pesniku med Krasom in zgodovino«

Sodelujejo:
- Roberto Antonaz, deželni odbornik za jezikovne identitete in kulturo
- Marco Marincic, pokrajinski odbornik za jezikovne skupnosti
- Paola Barban, združenje Hundertwasser
- Miran Košuta, Univerza v Trstu
Moderator: Maurizio Platania

Gledališka igralka Nikla Panizon bo prebrala nekaj pesnikovih poezij v
italijanskem in slovenskem jeziku

Sledila bo degustacija slovenskih vin ob pomoci someljejev.
----------------------
Il poeta sloveno Srecko Kosovel, scomparso appena ventiduenne (è nato a
Sezana nel 1904 ed è morto a Tomaj nel 1926), si è imposto con la sua
straordinaria opera poetica come eminente rappresentante lirico del
tormentato periodo che segui il primo conflitto mondiale. Figlio della
pietrosa landa carsica, che si apre sul mare come una vasta terrazza di
scure pinete, è innamorato della sua terra e delle sue "verdi rugiade",
ma è anche tormentato nel vivere l'infausta sorte che le è toccata nel
non poter esprimere la propria identità. Cosciente delle contraddizioni
sociali e politiche in cui versa l'Europa ne prevede il catastrofico
futuro affermandosi così come uno tra i più espressivi poeti del
Novecento. Formatesi nell'asburgica Lubiana ma a un tempo partecipe
dell'influsso dell'ambiente culturale sloveno triestino, Kosovel fonde
nella propria lirica la complessa sensibilità mitteleuropea con
l'atmosfera mediterranea sfavillante di luce. Questa fusione, che
spesso è dialettica e, come tale, messa in rilievo dal poeta stesso, è
uno dei pregi dei canti kosoveliani.

Tratto da "Srecko Kosovel" di Boris Pahor
ed. Studio Tesi
Pordenone 1993
--------------
Per informazioni:
Numero verde della Provincia di Gorizia Tel.80025281
http://www.hundertwasser.it/
info @ hundertwasser.it

Da: ICDSM Italia
Data: Sab 29 Mag 2004 19:47:39 Europe/Rome
A: icdsm-italia @ yahoogroups.com
Oggetto: [icdsm-italia] E.S. Herman on Stancy Sullivan, Milosevic and
genocide


[ Con una analisi dettagliata e "scientifica", Edward S. Herman -
saggista, collaboratore della nota rivista della sinistra statunitense
ZNet alla quale collabora anche Chomsky - smonta pezzo per pezzo la
squallida disinformazione di Stancy Sullivan sulla guerra in Jugoslavia
e sul processo-farsa contro Milosevic.
Stancy Sullivan e' una delle "firme" piu' ricorrenti nella propaganda
occidentale sulla Jugoslavia, essendo tra i collaboratori
dell'Institute for War and Peace Reporting (IWPR), la nota agenzia di
disinformazione finanziata dai governi occidentali e da fondazioni come
quella di Soros.

Una simile, "spietata", documentatissima disamina della disinformazione
strategica sul "processo" a Milosevic e' stata scritta da Herman
insieme a D. Peterson, sul caso di Marlise Simons, altra
"professionista della propaganda". Vedi:

Marlise Simons on the Yugoslavia Tribunal: A Study in Total Propaganda
Service

http://www.zmag.org/simonsyugo.htm ]

---

See also:

Marlise Simons on the Yugoslavia Tribunal: A Study in Total Propaganda
Service

http://www.zmag.org/simonsyugo.htm

Vanessa Stojilkovic & Michel Collon, The Damned of Kosovo, film, 78',
2002.
Available in PAL-Europe at michel.collon @ skynet.be
Available in NTSC (USA, Canada...) at zoranstar @ yahoo.com

Michel Collon, Liars' Poker, New York, 2002
and Monopoly, Nato conquerring the world, New York, 2004

---

Source: Foreign Policy in Focus

http://www.fpif.org/commentary/2004/0405ssgenocide.html


"Milosevic was not indicted along with Mladic and Karadzic in 1995 for
the ethnic cleansing in Bosnia in prior years, so the belated attempt
in The Hague in 2002 to make him responsible for those killings
suggests that UN war crimes tribunal chief prosecutor, Carla Del Ponte
did this because she saw that the killings in Kosovo fell far short of
anything she could pass off as "genocide." "

"There is now substantial literature that makes a strong case that the
Tribunal is not only a crudely political arm of NATO, but that it is a
"rogue court." As a political arm, it regularly cleared the ground for
NATO military actions and since that victory the Tribunal has worked
hard to prove that the NATO war was just. "


Stacy Sullivan on Milosevic and Genocide

By Edward S. Herman | May 28, 2004

Liberals and much of the left have been badly bamboozled on recent
Yugoslav history and the role of the International Criminal Tribunal
for the Former Yugoslavia, with former Serbian President Slobodan
Milosevic having been hyper-demonized and the history of the Balkans
rewritten to fit what Lenard Cohen calls the "paradise lost/loathsome
leaders" paradigm. But numerous serious scholars have rejected this
history and regard the U.S. and other NATO powers as heavily
responsible for the disasters since 1990. Lord David Owen's Balkan
Odyssey, and his testimony before the Tribunal, make it very clear that
Milosevic was eager for a settlement of the Bosnian wars well before
the Dayton agreement in 1995, and that he regularly had major conflicts
of interest with the Bosnian Serbs. It is clear from Owens, as well as
from other experts that the U.S. government played a key role in the
failure of the 1991 Vance plan, the 1992 Cutileiro plan, and the
1993-94 Vance-Owen and Owen Stoltenberg plans, as the Clinton
administration armed the Bosnian Muslims, and later the KLA in Kosovo,
while encouraging them both to hope (and work) for U.S.-NATO military
intervention on their behalf.

Milosevic was not indicted along with Mladic and Karadzic in 1995 for
the ethnic cleansing in Bosnia in prior years, so the belated attempt
in The Hague in 2002 to make him responsible for those killings
suggests that UN war crimes tribunal chief prosecutor, Carla Del Ponte
did this because she saw that the killings in Kosovo fell far short of
anything she could pass off as "genocide." Even establishment
spokespersons like retired U.S. Air Force General Charles Boyd and UN
official Cedric Thornberry have stressed that the Bosnian killings in
the years 1991-1995 were by no means confined to those by Bosnian
Serbs: the Croatians and Bosnian Muslims, the latter supplemented by
thousands of imported mujahideen, slaughtered many thousands of their
ethnic enemies in the area. But the Tribunal, organized, funded, and
essentially controlled by the U.S. and Britain, was only interested in
pursuing NATO targets, and t! hese were almost exclusively Serbs.

There is now substantial literature that makes a strong case that the
Tribunal is not only a crudely political arm of NATO, but that it is a
"rogue court." As a political arm, it regularly cleared the ground for
NATO military actions and since that victory the Tribunal has worked
hard to prove that the NATO war was just.

The Milosevic trial is the main vehicle for proving NATO's virtue,
though it has been a major flop in proving its case and maintaining an
image of fairness and justice. The latter problem was nicely
illustrated in the Tribunal's recent privileged treatment of the U.S.
government and Wesley Clark. Thus, the U.S. government was given the
right to demand a closed session of the court and to redact testimony;
Clark was allowed to communicate with outsiders and obtain and insert
into the record a truth testimonial from Bill Clinton, in
straightforward violation of Judge May's trial rules. Readers of the
New York Times (or In These Times and The Nation) will also never know
that with William Walker on the stand, Judge May's deference to the
"Ambassador" was laughable: during direct examination by the
prosecutors there was not one interruption, while during Milosevic's
cross-examination he interrupted 70 times, and wouldn't allow him to
ask Walker, the man who grieved so over deaths at Racak, about his
earlier crude apologetics for the killing of the six Jesuit leaders and
others in El Salvador.

A recent example of the kind of analysis that repeats the canards
common to the liberal "conventional wisdom" is FPIF's commentary by
Stacy Sullivan, of the Institute for War and Peace Reporting (IWPR), on
"Milosevic and Genocide: Has the Prosecution Made Its Case?"
(http://www.fpif.org/commentary/2004/0402milosevic.html). IWPR is
funded by the State Department, USAID, the National Endowment for
Democracy, the Open Society Institute, and half a dozen other Western
governments, and it has long served as a de facto propaganda arm of
NATO. Sullivan is most noted for her New Republic classic of hardline
pro-war and vengeance propaganda, "Milosevic's Willing Executioners"
(May 9, 1999). Sullivan's FPIF article is in the same mode, taking it
as a given that the Tribunal is an apolitical instrument of justice and
that we have an honest and not a show trial.

An Annotated Response to Sullivan

Her first sentence says that the prosecutors announced right off that
they would "prove" Milosevic guilty of genocide. She fails to mention
that the Bosnia charges were added belatedly, that Milosevic had not
been charged with them at the time of the actual killings, and that
while Del Ponte said she would "prove" this guilt she admittedly didn't
yet have the evidence. Indict, publicly and flamboyantly charge, and
then look for the evidence, has long been the Tribunal's modus operandi.

Sullivan's second sentence mentions that there were "300 witnesses,"
"some high level insiders who have turned on their former master,"
"thousands of pages of documents," etc. We are supposed to be impressed
with this sheer volume of smoke that must show a genocidal fire. She
doesn't mention that Canadian law professor Michael Mandel gave Del
Ponte "thousands of pages" of documents in April 1999 showing NATO war
crimes, which of course Del Ponte ignored, and that thousands of pages
have been published and innumerable witnesses could have been supplied
as witnesses for the many thousands of Serb victims in Bosnia. It is
extremely easy to find victimized people in civil wars who will testify
to maltreatment if given the opportunity and even paid for their
trouble, and some and perhaps most will even be telling the painful
truth. But only a propagandist will mention the 300 witnesses as if
this alone is a serio! us consideration in proving "genocide."

As regards the "high level insiders," in fact the prosecution came up
with few that were high level and fewer still who were cooperative. One
of their prime witnesses, Ratomir Tanic, appears to have been a conman,
who was so "inside" that he couldn't even describe the location of the
president's office. Genuine insiders like former Yugoslav president
Zoran Lilic and member of the Yugoslav presidency Borislav Jovic
confirmed Milosevic on almost all key points. Rade Markovic, the former
head of Yugoslav security, who had everything to gain from denouncing
his old boss, also defended Milosevic on all key points while
renouncing a statement he claimed had been extracted from him by
threats and torture during a 17 month stint in prison. Sullivan
predictably doesn't mention that many "insiders" and others were bribed
and threatened with heavy sentences unless they acquiesced to
plea-bargains.

Sullivan claims that many legal experts are doubtful about a successful
genocide charge because the Tribunal "has set the bar for doing so
extremely high." They might have to prove that Milosevic "orchestrated
the breakup of Yugoslavia with the specific intent to destroy Bosnian
Muslims as a people...[with] unequivocal evidence of genocidal
intent...calling for the liquidation of all of the Bosnian Muslims..."
The idea that Milosevic wanted the breakup of Yugoslavia is ideology
run wild and contradicts the usual formula that he attacked Slovenia
and Croatia in an attempt to prevent their exit from Yugoslavia (for a
summary of an alternative view of the Balkan wars, see Edward S.
Herman, "Diana Johnstone on the Balkan Wars,"
http://www.monthlyreview.org/0203herman.htm, as well as a recen! t
piece by George Szamuely for FPIF, "The Yugoslavian Fairytale,"
http://www.fpif.org/commentary/2004/0405fairytale.html).

As there was a lot of back-and-forth ethnic cleansing and killing in
Bosnia, and the celebrated Srebrenica killings were comprised entirely
of military-aged men, many killed in fighting, and after the Bosnian
Serbs had admittedly separated out the women and children and moved
them to safe refuge, intent and plan (as well as the still elusive
Milosevic control of the Bosnian Serb forces) would seem rather
essential to proving that Milosevic was guilty of genocide in any
sense. Besides, Del Ponte said she was definitely going to "prove"
genocide. What concept did she have in mind?

What constitutes genocide?

Sullivan doesn't have a clue on the level of Tribunal "bars" for
charges of genocide. These have proved to be wonderfully flexible, and
her claim of a too-high bar has no basis in any Tribunal actions but is
rather a form of pressure to get the bar low enough to assure the show
trial's proper result. In Bosnian Serb General Krstic's case, the
Tribunal found Krstic guilty of genocide by making it virtually the
same thing as ethnic cleansing, and extending the concept to killing
only armed men in a single small town!

Assuming that this was a valid case of genocide, Sullivan alleges that
an "acquittal would have serious consequences for attempts to prosecute
genocide in the future." If it isn't a valid case of genocide it
wouldn't interfere with future efforts at all. However, if it is a
corrupt case brought by an alliance that actually carried out the
"supreme crime" of aggression in violation of the UN Charter in
attacking Yugoslavia, using the Tribunal first as a war-facilitating
instrument and then as a means of justifying the aggression, losing the
case would be a plus for the international rule of law. This is not
likely to happen, given the fact that the Tribunal is an arm of the
NATO powers, although the case made by the prosecution has been so weak
that it is not inconceivable that Milosevic might only be found guilty
of "crimes against humanity."

Great Powers and Genocide

What might really interfere with efforts to pursue genocide would be if
the United States or another major power engaged in genocide or gave it
support, as there are no mechanisms to prevent or punish acts such as
these in the New World Order, and major powers are essentially exempt.
Thus, the "sanctions of mass destruction" imposed by the U.S. and
Britain on Iraq from 1991-2002 killed four or five times as many
civilians as died from all causes in the Balkans wars of the 1990s, and
as Thomas Nagy and Joy Gordon have shown, these deaths were brought
about deliberately; and Suharto's and his successors' operations in
Indonesia and East Timor were big-time genocidal, but under Western,
and notably U.S. and British, protection. The problem of this exemption
does not occur to Sullivan.

Sullivan argues that "by far the most serious consequences of an
acquittal on genocide charges...would be for Bosnia's victims,"
ignoring the Croat and Serbian victims, of which there were many
thousands. (The largest single ethnic cleansing during the Balkan wars
was of Serbs driven out of the Krajina in August 1995, by the Croats,
with U.S. assistance; the largest proportionate ethnic cleansing in
those wars was of Serbs and other minorities, including Roma, driven
out of Kosovo by the KLA under NATO auspices after June 1999.) But even
in her own narrow terms of reference, how concerned are Bosnian victims
over this issue? How does Sullivan know about the victims' feelings? A
poll taken in Bosnia several years ago indicated that no more than six
percent of Bosnian Muslims, Serbs, or Croats considered the bringing of
war criminals to justice as important (Charles Boyd, "Making Bosnia
Work," Foreign Affairs, January ! 1998).

Furthermore, why would Bosnian victims need a successful "genocide"
charge and not be satisfied with guilt for "crimes against humanity?"
However, if the function of the trial is to prove the NATO war just, we
must have "genocide." Best, however, to pretend that it is concern over
the victims rather than NATO-establishment priorities that make the
charge of genocide so important.

Editor: John Gershman, Interhemispheric Resource Center (IRC)

(Ed Herman is an economist and media analyst. He has a regular "Fog
Watch" column in Z magazine. With Philip Hammond, he co-edited Degraded
Capability: the Media and the Kosovo Crisis (Pluto: 2000).)

Additional References

Thomas Nagy, "The Secret Behind the Sanctions: How the U.S.
Intentionally Destroyed Iraq's Water Supply," The Progressive,
(September 2001)
http://www.progressive.org/0901/nagy0901.html

Joy Gordon, "Economic Sanctions as Weapons of Mass Destruction,"
Harpers, (November 2002)
http://www.harpers.org/CoolWar.html


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Published by Foreign Policy In Focus (FPIF), a joint project of the
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online at www.ips-dc.org). ©2004. All rights reserved.

Recommended citation:
Edward S. Herman, "Stacy Sullivan on Milosevic and Genocide," (Silver
City, NM & Washington, DC: Foreign Policy In Focus, May 28, 2004).

Web location:
http://www.fpif.org/commentary/2004/0405ssgenocide.html


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