Informazione

1. 11 SETTEMBRE: UN REICHSTAG AMERICANO
Fulvio Grimaldi / L'Ernesto

2. The war on terrorism is bogus
Michael Meacher / The Guardian


Siti consigliati:

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Libri consigliati:

Andreas von Bülow
DIE CIA UND DER 11. SEPTEMBER
Internationaler Terror und die Rolle der Geheimdienste
Piper Verlag, München 2003
ISBN 3492045456, Kartoniert
272 Seiten, 13,00 EUR
http://www.piper.de/web/books/3492045456.html

Michel Chossudovsky
THE TRUTH BEHIND SEPTEMBER 11
Global Outlook(TM) and the
Centre for Research on Globalisation (CRG),
Shanty Bay, Ont. 2002,  ISBN 0-9731109-0-2  
http://globalresearch.ca/globaloutlook/truth911.html

Thierry Meyssan
L'INCREDIBILE MENZOGNA
Nessun aereo è caduto sul Pentagono
Prefazione di Sandro Veronesi
pp. 200 - 15 euro
Fandango Libri
http://www.fandango.it/ita/libri/menzogna/menzogna.htm


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Per il prossimo numero de "L'Ernesto" (http://www.lernesto.it)

11 SETTEMBRE: UN REICHSTAG AMERICANO

A due anni dal più grave attentato terroristico mai compiuto,
che ha fornito l'alibi per la guerra preventiva e infinita,
la commissione d'inchiesta, sabotata dalla Casa Bianca,
finisce nella sabbia, mentre gli interrogativi e documenti contrari
alla versione ufficile si moltiplicano,
gettando un'ombra agghiacciante sull'amministrazione Bush

di Fulvio Grimaldi

Fu Walid Jumblatt, uno dei più esperti politici del Medio Oriente,
profondo conoscitore dell'Occidente e degli USA, leader del Partito
Socialista Libanese, più volte ministro, a sparare senza esitazione
l'indicibile: "Se lo sono fatti loro". Me lo dichiarò a Beirut il
giorno dopo l'attacco alle Torri Gemelle e al Pentagono, sebbene a un
mondo sconvolto dall'orrore e dalla pietà i dirigenti statunitensi
avessero immediatamente e senza il minimo dubbio indicato una pista, Al
Qaida, di cui fin lì nessun aveva sentito parlare. E il mondo bevve.
Ogni interpretazione alternativa appariva irrealistica, peggio,
impensabile. Fuorché nel mondo arabo e, più in generale, nel cosiddetto
Terzo Mondo, quello delle brutalità coloniali, delle cento guerre per
procura o dirette sofferte dagli USA dal 1945, dei colpi di stato,
delle provocazioni sanguinarie, delle operazioni coperte della CIA. Da
Baghdad a Buenos Aires, da Teheran a Caracas, da Gerusalemme a
Mogadiscio, dal Cile a Cuba sentii rieccheggiare le parole e la
convinzione del leader druso libanese: ognuno, da quelle parti, aveva
ben presente il ricordo di capacità terroristiche quali Sabra e
Shatila, lo stadio di Santiago, il Piano Northwood (vedi dopo), Pearl
Harbour, il Golfo del Tonchino. Da noi, qualche pensiero, inaudito, da
esprimere se non nella cerchia più intima, si insinuò nelle riflessioni
di coloro che avevano memoria di Piazza Fontana, di Brescia,
dell'Italicus, delle stragi mafiose del '93, di Ustica, di Bologna e
che avevano metabolizzato il termine "terrorismo di Stato". Pensieri
subito sepolti, magari a covare sotto la cenere, obliterati dal rullo
compressore della "guerra al terrorismo", dell'"integralismo islamico",
della difesa dell'Occidente, dei diritti umani, della democrazia, di
tutto il ciarpame razzista che ci viene inflitto nel nome della
"superiore civiltà". E mentre l'imprendibile Osama e l'indefinibile Al
Qaida imperversavano nei titoloni di giornali rimpinzati di velinari e
agenti, nelle segnalazioni delle questure, nei terrorismi allarmistici
degli Scajloa, Martino, Pisanu, pappagallini sul trespolo dei Rumsfeld,
Cheney, Rice, Powell, nei mandati di cattura di immigrati
immancabilmente "cellule" di Al Qaida, ma poi sistematicamente rimessi
in libertà perché semplici venditori di tappeti; e ogni paese
significativo veniva bombardato a tappeto da minacce terroristiche a
ponti, grattacieli, bocciodromi, stadi, metropolitane, mamme e bimbi,
l'umanità si giocò un paio di "stati canaglia" e un'altra fetta di
popolazione palestinese. E a parte il rifiuto della guerra come tale,
da parte di qualcuno pure dell'imperialismo senza se e senza ma,
attenuati però dal disgusto, coltivato da un meccanismo di diffamazione
senza precedenti, per le "belve sanguinarie" che infestavano il mondo,
da Belgrado a Baghdad, da Kabul a Teheran, da Pyongyang all'Avana,
pacificamente e passivamente passò la falsa dicotomia "guerra e
terrorismo" E dunque il corollario ineluttabile della "guerra al
terrorismo" portato in vetta a tanti cortei per la pace e al centro di
tanti articoli, ad avvallo di un equivoco grande come il pianeta.

La controinformazione USA mina il gigante d'argilla

Dappertutto, ma non negli Stati Uniti. Nella "pancia del mostro",
organizzazioni antimperialiste, protagonisti dell'antagonismo sociale e
pacifista, gruppi di ricerca, studiosi della levatura di un Chomsky o
di un Chossudovsky, quest'ultimo con il suo gruppo di superesperti di
"operazioni sporche" Global Research, giornalisti investigativi,
dettero vita a una formidabile campagna di informazione non subalterna
all'immane apparato di propaganda messo in piedi dalla lobby
neoconservatrice al potere. Produssero documenti, dossier, libri di
denuncia delle infinite contraddizioni, bugie, depistaggi messi in
opera dal governo, tutti basati su documenti ufficiali e su dati
incontrovertibili che minarono alla base il teorema dell'attacco
terroristico esterno, ma infelicemente e colpevolmente, non trovarono
che scarsissima e timida eco nei mezzi d'informazione europei, in
particolare italiani. Materiale sconvolgente, ma ripreso in termini
minimalistici e con un ampio alzare di spallucce.

Il dilagare, quanto meno negli USA e in ambienti minoritari di altri
paesi, di questa informazione di contrasto e disvelamento, impose ai
dirigenti statunitensi, dopo lunghe esitazioni, una contromossa,
esplicitatasi ora, a poche settimane dal secondo anniversario degli
attentati, nel rapporto della Commissione parlamentare d'inchiesta,
quella che in un primo momento Bush aveva inteso affidare al famiglio
Henry Kissinger, candidatura subito sepolta dall'irrisione universale
e, soprattutto, dall'indignazione dei congiunti delle 2800 vittime.
Furono le incessanti denunce di costoro a imporre alla fine una
commissione cosiddetta "indipendente", ma che Bush seppe comunque
infarcire di commissari di sicuro affidamento. Il risultato furono 858
pagine di sostanziale conferma della versione ufficiale - complotto
islamico e dirottatori arabi di Al Qaida teleguidati da Osama in una
grotta dell'Afghanistan - con qualche riserva, pronunciata in
particolare in un protocollo aggiuntivo, firmato da deputati
democratici, circa il boicottaggio dell'amministrazione,
inesorabilmente impegnata a negare collaborazione e accesso a documenti
dell'Intelligence, in particolare ai vitali rapporti quotidiani forniti
al presidente. Più le ormai note contestazioni circa i numerosissimi
avvertimenti che servizi di tutto il mondo, compresi CIA e FBI,
autorevoli inchieste giornalistiche, come una, sconvolgente, della BBC,
avevano fatto pervenire alla Casa bianca circa addirittura piani in
fieri di attacchi alle Torri Gemelle con aerei di linea, tutti ignorati
e archiviati dal governo. Capri espiatori alcuni dirigenti di questi
servizi, subito perdonati e confermati nel ruolo, come ben ironizzato
da Alessandro Ribecchi sul Manifesto:"La CIA non lo disse all'FBI,
l'FBI non lo disse alla CIA. Nessuno dei due lo disse alla NSA
(National Security Agency) e la NSA non disse nulla a nessuno". E
soprattutto Echelon, che intercetta e analizza tutte le comunicazioni
di tutto il mondo, nulla riferiva su battaglioni di "terroristi" che,
individuati e seguiti, circolavano e operavano tranquillamente negli
USA, in tranquilla tolleranza dell'Intelligence. E cosi', in quelle
quasi 900 pagine, un silenzio tombale copre gli annosi rapporti,
strettissimi e assai redditizi, tra famiglia Bin Laden e famiglia Bush,
sui soggiorni americani dei presunti kamikaze, sulla colossale
defaillance della difesa antiaerea del militarmente più agguerrito e
tecnologicamente più avanzato paese del mondo, sull'insider trading,
operato da chi sapeva, sui titoli in borsa da vendere o comprare alla
vigilia dello sconvolgimento determinato dagli attentati
(assicurazioni, linee aeree), sulle gigantesche incongruenze della
versione sui voli dirottati e sul crollo di torri e Pentagono.

Cent'anni di "torri gemelle"

All'attualità si aggiunge la storia. Una storia che sanziona gli USA
come lo Stato - nell'ultimo secolo inseguito con accanimento da Israele
- più terrorista del mondo, quanto meno a partire dalla fine del XIX
secolo. Basta un elenco limitato degli episodi confermati dagli stessi
documenti ufficiali oggi declassificati e reperibili nei National
Security Archives di Washington. 1898, tempo per la cacciata
dell'ultimo paese europeo dalle sue colonie nello spazio
Latinoamerica-Pacifico, guerra ispano-americana scatenata
dall'esplosione della corazzata "Maine" nel Golfo dell'Avana, con
centinaia di marinai nordamericani a bordo, attribuita agli spagnoli,
ma provocata dai servizi USA per mobilitare l'opinione pubblica
statunitense in favore della guerra. Cacciata degli spagnoli da Cuba,
Portorico, Filippine, colonizzati da Washington al costo di 250.000 e
passa vittime nei paesi aggrediti e di alcune migliaia di soldati
statunitensi caduti. 1915: la nave-ospedale Lusitania viene affondata
al largo delle coste americane, muoiono feriti, sanitari, equipaggio,
colpa attribuita agli U-Boot tedeschi che, però, si dimostrò non
avevano l'autonomia per arrivare fin lì, dichiarazione di guerra agli
imperi centrali. 1941, 9 dicembre, attacco giapponese alla flotta USA
del Pacifico, attacco più volte segnalato da agenti statunitensi a
Tokio, segnali ignorati, compreso quello che alle 9 del mattino del 9
dicembre giunse nelle mani del generale Marshall (quello del Piano
famoso, i cui doni furono elargiti agli europei dai partiti affiliati
ai "liberatori", onde imporre un dominio perenne, a partire dalle
elezioni del 1948 in Italia). L'attacco era annunciato per le ore 13 e
fino a quell'ora il ministro della Difesa si tenne il dispaccio in
tasca. Finirono ai pesci 2800 marinai, tanti quanti furono le vittime
dell11/9...Ma si poterono giustificare la guerra al Giappone, le zampe
sull'Asia. 1962 (Robert Stinnett, "Il giorno dell'inganno", Il
Saggiatore): fallita l'invasione della Baia dei Porci, occorre una
rivalsa. Il Pentagono approva il Piano Northwood (National Security
Archives) redatto dai capi di stato maggiore riuniti. Prevede il
bombardamento della base di Guantanamo da parte di statunitensi
travestiti da cubani, l'affondamento di navi di esuli cubani in
navigazione tra Cuba e la Florida, una serie di attentati dinamitardi
in tutti gli States con stragi di vittime e, ciliegina sulla torta,
l'abbattimento di un charter USA carico di centinaia di studenti
nordamericani in volo di vacanze-studio verso il Cerntroamerica, nello
spazio aereo di Cuba, ad opera di un Mig cubano che non sarebbe stato
un Mig cubano, ma un caccia USA ridipinto. Kennedy, ansioso di evitare
un confronto nucleare con l'URSS, rinvia il piano. Mesi dopo viene
assassinato, con ogni probabilità dalla mafia cubana di Miami. 1964,
Golfo del Tonchino: la flotta USA finge un totalmente inesistente
attacco nordvietnamita e ne trae il pretesto per radere al suolo il
Vietnam del Nord e lanciare una guerra, chimica, che costerà la vita a
3 milioni di vietnamiti e a 50.000 GI's. 1993 e 1995, Sarajevo: gli
ascari musulmani degli USA, sotto Izetbegovic, fanno saltare per aria
due volte una fila di donne e bambini al mercato, colpa attribuita ai
serbi (ancora oggi dal "convertito" Adriano Sofri), bombardamenti Nato.
Inchieste ONU e giornalistiche provano la responsabilità del presidente
bosniaco.
1999, gennaio, Racak, Kosovo: i tagliagole UCK addestrati dagli
emissari USA di Al Qaida, allestiscono la messa in scena di 45 corpi di
"civili" uccisi a freddo e mutilati "dai serbi", l'inchiesta dimostra
la falsità dell'assunto, ma l'opinione pubblica mondiale è pronta a
sostenere l'aggressione e lo squartamento della Jugoslavia.

Dai nazisti ai Bush, dai Bush ai Bin Laden

Una campagna di terrore e genocidi che costa la vita a centinaia di
milioni di persone, la sovranità e libertà a decine di paesi e che
raggiungerà l'acme con l'ultimo rampollo della dinastia Bush. Quel Bush
minore che ha per nonno un signore istruito da modelli di prima
qualità: Prescott Bush, socio del magnate dell'acciaio nazista Von
Thyssen, autore e profittatore per miliardi di marchi del riarmo di
Hitler. Avevano in comune una banca con filiali ad Amsterdam e New York
(Union Banking Corporation), nelle quali il fornitore delle guerre
naziste riversava i suoi utili, poi trasferiti al crollo del nazismo
negli Stati Uniti a perpetua fortuna dei Bush. Lo stesso Prescott
possedeva poi una compagnia di navigazione grazie alla quale scienziati
tedeschi, soprattutto genetisti, poterono rifugiarsi negli USA e da lì
curarne il riarmo biologico. Continuità associativa col presunto nemico
che arriva alle sbalorditive partnership della famiglia del presidente
con la famiglia Bin Laden, soci nella società petrolifera "Arbusto";
nella Banca BCCI (governata dal comune banchiere Khaled Bin Mafouz),
condannata come principale riciclatrice di narcodollari e strumento per
il finanziamento dei contras in Nicaragua, grazie alle armi vendute da
Israele e dagli USA all'Iran nel corso della guerra Iraq-Iran; nel
gruppo Carlyle, la più grande multinazionale di armamenti, fornitrice
delle FFAA nordamericane e con un'associata, Bioport, che, unica
produttrice negli USA del vaccino anti-antrace, ha intossicato
centinaia di migliaia di soldati statunitensi traendone superprofitti.
Superprofitti poi esaltati dal panico antrace (5 morti e decine di
destinatari di lettere all'antrace, quasi tutti democratici da
persuadere alla guerra infinita) che ha promosso l'acquisto di milioni
di dosi di vaccino. Non solo petrolio, dunque. Noam Chomsky: "La più
rilevante forma di terrorismo è, di gran lunga, il terrorismo di Stato,
cioè terrorizzare complessivamente la popolazione tramite azioni
sistematiche eseguite dalle forze dello Stato stesso. Questo tipo di
terrorismo costituisce parte essenziale di un progetto sociopolitico
imposto dal governo, finalizzato a soddisfare le prerogative dei
privilegiati".

Quanto a partnership tra dirigenti USA e Al Qaida, all'origine di quel
"Reichstag americano" (i nazisti bruciano il parlamento e danno la
colpa ai comunisti, ne segue la liquidazione di ogni opposizione) che
per molti sono gli attentati dell'11/9, utilizzati come lasciapassare
per guerre finalizzate all'eliminazione di avversari potenziali
(Europa, Cina, Russia, India) e al dominio imperiale sul mondo, nonché
alla riduzione a stati di polizia delle democrazie occidentali sotto
perenne minaccia dell'insubordinazione delle proprie classi
lavoratrici, gli elementi di prova sono innumerevoli e
incontrovertibili. Per quanto rapidamente accantonata dai media
ufficiali, resta in molti la memoria della creazione, ad opera della
CIA, di Al Qaida, punta di diamante di un estremismo fondamentalista
che ovunque è stato istigato dagli USA (fino al recente episodio,
denunciato dai responsabili della sicurezza palestinese e da
collaborazionisti confessi, di Israele che ha tentato di allestire un
gruppo Al Qaida nei territori occupati e allo sforzo, finora vano, di
attivare elementi Al Qaida in Iraq per convertire in terrorismo quella
che è una grandiosa resistenza di popolo). I testi delle madrassa
islamiche (scuole coraniche) in Afghanistan e Pakistan, zeppi di
incitamenti alla guerra santa e al terrorismo bombarolo, furono redatti
e stampati negli USA e distribuiti a cura della CIA e del servizio
pakistano fratello, ISI (Interservices Intelligence), per alimentare
quel fanatismo che avrebbe poi portato carne da cannone ad Al Qaida,
prima per la guerriglia contro l'Armata Rossa, giunta negli anni '80 in
Afghanistan a sostegno del governo progressista dei comunisti, poi per
l'addestramento e il sostegno ai secessionisti bosniaci e kosovari
(guidati direttamente da Osama agli ordini degli USA) e, infine, ai
vari focolai della sovversione terroristica in Indonesia, Filippine,
Kashmir, Algeria. Ogni tentativo delle agenzie di sicurezza USA di
intervenire sui patrimoni e canali di finanziamento dei Bin Laden dopo
l'11 settembre viene bloccato da Bush. Osama stesso è visitato in una
clinica di Dubai, nel luglio precedente gli attentati, dal caposervizio
CIA della regione. La sua estradizione, offerta nel 1997 dal Sudan,
viene respinta da Washington, che chiede di spedirlo... in Afghanistan.

Occorre un "trauma di massa"

La necessità di disporre di uno strumento di provocazione - che
ovviamente sarebbe surrealistico pensare possa sfuggire a tutti i 12
servizi di spionaggio degli USA, compreso Echelon, e rivoltarsi contro
i propri padrini e foraggiatori, uscendo dalle caverne afgane per
sbattere 4 aerei contro i più difesi obiettivi dello Stato
nordamericano - è stata del resto teorizzata ampiamente dai padri del
Programma per il nuovo secolo americano (PNAC), che dagli anni di
Reagan riunisce un think tank di estremisti evangelici in stretto
rapporto con gli integralisti del sionismo israeliano, oggi al comando
della nave d'assalto statunitense (Perle, Wolfowitz, Cheney, Rumsfeld,
Rice, Ledeen, Brzezinski, Abrams, in buona parte anche alla vetta
dell'JINSA, Istituto Ebraico per gli Affari della Sicurezza Nazionale).
Brzezinski inneggia agli Stati Uniti impero mondiale e, per
neutralizzare la minaccia a questa ascesa costituita
"dall'atteggiamento molto più che ambivalente della cittadinanza
statunitense riguardo alla proiezione esterna del potere degli Stati
Uniti", raccomanda un "trauma collettivo". Per Brzezinski, maestro del
neofascista Ledeen, ammiratore ed emulo di Mussolini, coloro che
prediligono le libertà individuali e la sovranità della propria nazione
rappresentano "le forze del disordine globale" che devono essere
sconfitte. Quindi "l'opinione pubblica deve essere manipolata,
ricordandosi che l'opinione pubblica ha appoggiato l'impegno degli
Stati Uniti nella Seconda Guerra Mondiale in gran parte a causa
dell'effetto sconvolgente dell'attacco giapponese a Pearl Harbour".
Aggiunge, a scopo di chiarezza: "Il consenso di massa potrebbe essere
agevolato da un trauma di massa", suscitato da "una minaccia esterna
davvero rilevante".

Il "fallimento" dei più potenti servizi del mondo

Il trauma di massa più efficace in questo senso dei nostri tempi è
stato indubbiamente l'attacco dell'11/9. Gli Stati Uniti dispongono
della Central Intelligence Agency, del Federal Bureau of Investigation,
della National Security Agency, del National Reconnaissance Office, del
Secret Service e di una schiera di altre agenzie d' intelligence e per
la sicurezza. Queste agenzie utilizzano Echelon, che controlla la
maggior parte delle comunicazioni elettroniche mondiali, Carnivore, che
intercetta la posta elettronica, Tempest, una tecnologia in grado di
leggere lo schermo di un computer alla distanza di vari isolati, i
satelliti Keyhole, che hanno una risoluzione di 4 pollici, più altre
tecnologie di spionaggio delle quali in parte non sappiamo nulla. In
più sono alla loro totale dipendenza i servizi segreti della maggior
parte dei paesi alleati o vassalli e, con buona pace di Rossana
Rossanda e di tutti i fautori dell'autenticità integrale delle Brigate
Rosse, i servizi USA e israeliani hanno dimostrato di saper infiltrare
direttamente o con servizi alleati le formazioni antagoniste di molti
paesi. Nel 2001 gli Stati Uniti hanno speso 30 miliardi di dollari per
la raccolta di informazioni di intelligence e altri 12 miliardi per
l'antiterrorismo. Con tutto ciò dovremmo credere che il governo non
abbia avuto il minimo sentore di terroristi che stavano progettando di
attaccare gli Stati uniti dirottando aerei e schiantandoli sugli
obiettivi più importanti del paese. Sappiamo ora che ne hanno avuto
sentore e che non hanno mosso un dito. O ne sono stati i burattinai?
E' stato Giulietto Chiesa a riassumere i termini del primo, in ordine
di tempo (dopo gli avvertimenti ignorati), episodio che dimostra una
consapevolezza e, dunque una connivenza, per quanto si è abbattuto su
New York e Washington tra i più alti livelli dell'establishment
statunitense: l'insider trading alla borsa di New York sui titoli che
avrebbero subito fortissimi ribassi o rialzi in seguito agli attentati.

Giocando in borsa su 2800 vittime

Qualcuno fece montagne di dollari scommettendo in anticipo sul crollo
delle azioni delle due compagnie aeree - American Airlines e United
Airlines - che sarebbero state coinvolte nell'attacco dell'11/9. Furono
oggetto di queste attività speculative anche la Morgan Stanely Dean
Witteer & Co, che occupava 22 piani del WTC, e la Merrill Lynch & Co,
che aveva i suoi uffici nelle immediate vicinanze. Dalle operazioni
furono colpite anche Axa Reinsurance (che possiede il 25% di American
Airlines), Marsh & McLennan, Munich Reinsurance, Swiss Reinsurance e
Citigroup. Tutta questa attività si svolse tra il 6 e il 10 settembre
2001. Chi la gestì? Non arabi, né musulmani, bensì bianchi, cristiani,
cittadini statunitensi, in particolare, secondo un'indagine FBI subito
insabbiata, alti dirigenti di un'importante banca americana, la Bankers
Trust (BT) che piazzarono un grosso pacchetto di put options
(contratti futures che consentono all'acquirente di guadagnare se le
azioni stanno per crollare) e call options (azioni che si acquistano in
previsione di forti rialzi). Sorpresa: la BT acquistò nel 1997 la
A.B.Brown, una banca minore presieduta da A. Buzzy Krongard, che
divenne dunque vicepresidente della BT. Subito dopo, nel 1998, Krongard
entrò nella CIA, della quale è oggi numero tre, direttore operativo.
Chi lo promosse? George-il minore-Bush e proprio nel marzo del fatale
2001. Senza contare che la BT-AB Brown è stata denunciata in Senato
come una delle maggiori banche implicate nel riciclaggio del denaro
sporco. Torna il fantasma della BCCI. E si afferma oltre ogni dubbio la
preconoscenza di un altissimo dirigente CIA, se non del suo sponsor, di
quello che sarebbe successo. Niente di strano per un presidente che,
dopo aver polverizzato l'Afghanistan con la scusa dell'11/9, ha
governato con i suoi proconsoli il ritorno delle coltivazioni di oppio
in quel paese, estirpate dai Taleban, con subito un raccolto record di
2800 tonnellate nel 2002. Da quest'oppio arriva l'85% dell'eroina
consumata in Europa, nonché un utile di 500 miliardi di dollari che
entrano nel circuito finanziario ufficiale, soprattutto degli USA, e
sono indiziati di sostenere la campagna elettorale di chi le elezioni
peraltro non le vince, ma arriva alla presidenza grazie al conteggio
della Corte Suprema, Corte nominata dal papà. Ma anche il fratello Jeb
Bush, governatore della Florida, si è dato da fare, cancellando
abusivamente 90.000 elettori dalle liste elettorali della Florida,
elettori perlopiù neri e perciò in maggioranza favorevoli al partito
democratico. Oggi 15 miliardi di dollari ottenuti tramite l'insider
trading pre-attentati attendono ancora di essere ritirati. Chi li ha
vinti aspetta tempi più tranquilli.

Aerei fantasma al Pentagono e piloti elettronici contro le torri
Gli interrogativi più drammatici, però, riguardano quello che è
successo al Pentagono e alle Torri Gemelle e, soprattutto, quello che
non è successo. I dirottatori, secondo quanto dichiarato per certo
dagli investigatori - che in un battibaleno ne hanno comunicato nomi e
nazionalità per quanto nè tali nomi, né corrispettivi falsi apparissero
nelle liste dei passeggeri imbarcati - avevano frequentato scuole di
pilotaggio per piccoli apparecchi turistici monomotore, tipo Chessna.
Quanto agli enormi aerei di linea Boeing 747 e 757 che si sono
schiantati, tutti i comandanti di aviazione civile più esperti
(compresi quelli italiani, in una trascurata trasmissione di Corrado
Augias) hanno negato categoricamente che avrebbero mai potuto essere
pilotati da persone con simile primitiva preparazione, perlopiù con
manovre umanamente quasi irrealizzabili, come quelle del sorvolo delle
Torri, la virata di 360 gradi, la discesa a bassissima quota in pochi
secondi e il centro, in virata, su edifici equivalenti per tali
proiettili a un fiammifero. L'aeronautica USA ha la capacità di
sequestrare in aria grandi velivoli di linea e di guidarli con comando
a distanza, annullando i comandi dei piloti. Esperimenti in questo
senso con Boeing e Global Hawk della Northrop Grumman (simile al
Boeing 737), fatti decollare, volare e atterrare elettronicamente tra
Edwards in California e Edimburgh in Australia, sono stati coronati da
successo. Del resto si tratta di una tecnologia ampiamente impiegata
con i Predator, aerei senza pilota, in Afghanistan. Nel caso specifico,
dirottatori a terra sono in grado di inviare all'aereo un segnale che
si sostituisce al codice del transponder e di impostare al millimetro
la nuova rotta, senza che i piloti a bordo possano fare alcunché.
Inoltre la tecnologia "Home Run" si sovrappone alla trasmissione dei
dati delle scatole nere, cancellandoli irreversibilmente dopo mezz'ora
dall'uso. Quanto alle telefonate fatte dagli aerei a congiunti e
addirittura politici, scoop mediatico di grande impatto emotivo, tutti
i tecnici interpellati negano che si possano fare comunicazioni a terra
con cellulari, alla velocità e all'altezza a cui volavano gli aerei
Come dimostrato con documenti esclusivamente ufficiali da Thierry
Meyssan, giornalista investigativo francese, nel libro "L'incredibile
menzogna" (Fandango Libri), nessun Boeing 757 può aver colpito il
Pentagono. Tutte le fotografie e riprese scattate subito dopo l'impatto
mostrano la totale assenza, fuori e dentro il Pentagono, del più
piccolo rottame di un aereo con 39 metri apertura alare, 12 metri di
altezza della carlinga, quattro grandi motori. Non vi sono tracce di
carburante. L'apertura causata dall'impatto nei tre cerchi
dell'edificio è larga tra i 5 e i 6 metri per una lunghezza di 100m:
esattamente quella che verrebbe provocata da un missile Cruise. Solo
due testimoni, entrambi dipendenti del Pentagono, affermano di aver
visto avvicinarsi un Boeing, tutti gli altri parlano di oggetti
metallici lucenti, simile a missili o a piccoli aerei. Del resto
nessuno ha mai potuto conoscere quanto rivelato dalle scatole nere
ricuperate da alcuni degli aerei dirottati, definite "inutilizzabili".
Nessun pilota al mondo crede possibile che un aereo di linea possa
scendere in picchiata o a spirale da alcune migliaia di metri fino a
rasentare il suolo, procedere tra alberi e case senza toccarli e poi
colpire un edificio senza...lasciar tracce.
Nel corso dell'ora e mezza circa (dalle 8.48 del volo 11 sulla Torre
Nord, alle 10.10 della caduta del volo 93 in Pennsylvania) che è
durata l'impresa dei quattro aerei, l'intero apparato di difesa
antiaerea statunitense è rimasto bloccato, inevitabilmente per un
ordine arrivato dal comando supremo del NORAD (lo stato maggiore
dell'aeronautica militare). E' procedura standard dell'aeronautica USA
e della Guardia Nazionale, collaudata in occasioni di centinaia di
intrusioni involontarie, o di prova, di tenere pattuglie di caccia
pronte al decollo nel giro di 2,30 minuti, capaci di raggiungere dalle
loro basi ogni punto del cielo statunitense in 8 minuti. I quattro
aerei dirottati hanno circolato fuori rotta, segnalati in tempo reale
dai radaristi alle basi a terra per oltre 90 minuti e nemmeno dalla
base Andrews, 50 km e un minuto di volo da Washington, si è alzato
alcun velivolo per l'intercettazione. Né sono entrate in azioni le
batterie di fuoco automatico poste attorno alla Casa Bianca, al
Pentagono e al Centro Commerciale Mondiale. Queste ultime dovrebbero
intervenire qualora un intruso si avvicinasse a 5km dalle Torri e
avesse ignorato l'ordine di invertire la rotta comunicatogli a distanza
di 12 km dalle Torri. Nessuna inchiesta hai mai voluto approfondire la
ragioni di questo straordinario annullamento delle più elementari
procedure di difesa.
L'autorità dell'aeronautica civile, Federal Aviation Administration,
aveva allertato il comando della difesa aerea nazionale
sull'avvicinamento del voloAmerican Airlines 77 a Washington (tutti
gli aerei dirottati trasportavano passeggeri per meno del 25% della
loro capacità e del numero imbarcato nei giorni precedenti). Mancavano
dodici minuti all'impatto: nessuno trasmise l'allarme all'aeronautica
militare o al Pentagono, l'edificio non fu evacuato, ma, grazie a
un'acrobatica virata finale di 270 gradi, il presunto "Boeing" evitò il
lato del Pentagono dove si trovano gli uffici del segretario alla
Difesa e del capo di Stato Maggiore e colpì l'area piena di dipendenti
civili. Sarebbero bastati meno di tre minuti per intervenire dalla base
Andrews.

Bush nella scuola e nessun dirottatore sugli aerei

Il presidente Bush, pur considerando le attenuanti da riconoscersi al
suo quoziente d'intelligenza, ha tenuto un comportamento che neanche il
direttore di Gardaland. Ha mentito sulla sua prima esperienza della
tragedia, quando affermò in Tv che aveva visto lo schianto alla
televisione alle 8.45, ora in cui nessuna emittente aveva ancora
trasmesso immagini della tragedia. Il presidente stava visitando una
scuola elementare in Florida. Alle 9 meno 5 un suo collaboratore gli
comunica il primo schianto. Bush rimane tranquillo e allegro e continua
a conversare con i bambini. Stesso comportamento dopo che gli viene
comunicato il secondo impatto, per interi 30 minuti. Regola
imprescindibile per un capo di Stato, perfino nel Nagorno Karabach,
sarebbe stata chiamare immeditamente i suoi collaboratori più stretti,
organizzare la difesa, mettersi al sicuro. Niente di tutto questo. Del
resto, grazie ai servizi, conosceva i dettagli dell'operazione
terroristica in corso da almeno 7 settimane. Se non, in quanto in
cabina di regia, da molto prima.
Di tutti i 19 dirottatori - sette sono stati segnalati in vita nei
loro paesi - non esiste immagine tranne quella di Mohammed Atta, il
presunto capo, su un passaporto di plastica e cartone, miracolosamente
scampato a schianti, fiamme e fumi e volato fino a quattro isolati
dalle Torri. I dirottatori si sarebbero ovviamente imbarcati nei
rispettivi aeroporti dove li avrebbero filmati le innumerevoli
telecamere che in ogni aeroporto statunitense riprendono tutti, dal
momento del parcheggio all'imbarco sull'aereo. Dove sono tali filmati?
Quale prova migliore per convincerci dell'esistenza dei dirottatori che
l'esibizione su tutte le tv, infinite volte, dei nastri che mostrano i
terroristi? E' che di dirottatori non ce n'erano.

Pompieri inascoltati, torri esplose

Le torri sono implose, crollando su se stesse, esattamente come quando
si intende abbattere un edificio con cariche esplosive. Tutti i
costruttori di edifici verticali interpellati hanno negato che questi
crollerebbero venendo colpiti lateralmente da oggetti come i Boeing.
Molti testimoni, di cui si è perso traccia, compreso un giornalista
della BBC, hanno distintamente udito il botto di esplosioni successive
agli impatti. Per effettuare un circostanziato esame del crollo,
sarebbe servita l'analisi dei rottami di ferro. Ma le 2800 tonnellate
di questi rottami sono stati immediatamente rimossi e fatti sparire da
ditte che la stampa ha collegato alla mafia, le stesse che si
occuparono delle rimozioni delle macerie dell'edificio dell'FBI a
Oklahoma City, dopo l'esplosione attribuita al singolo matto Timothy
Weigh. Esistono registrazioni di pompieri di New York giunti al piano
dove si era verificato l'impatto e quindi l'incendio. Le dichiarazioni
registrate parlano di incendi modesti, domabili e che richiedevano al
massimo il rinforzo di un paio di squadre. Eppure si è parlato di
incendi furiosi che avrebbero fatto fondere le strutture d'acciaio.
Peccato che il kerosene brucia a 800 gradi e l'acciaio fonde solo a
1250-1500. Quei pompieri, sui quali calde lacrime hanno versato Rudolph
Giuliani e lo stesso Bush, sono morti nel crollo presumibilmente
causato da esplosivi. Nessuna inchiesta neanche qui.

Cui prodest

Lo spazio impone un limite all'elenco di assurdità, menzogne, inganni,
depistaggi, inasabbiamenti. Ma la logica richiede un minimo di esame
del decisivo cui prodest, degli effetti ricavati da ciò che Condoleezza
Rice, Consigliere Nazionale per la Sicurezza, aveva auspicato potesse
avverarsi: "una grande occasione" per lanciare la guerra
all'Afghanistan e, soprattutto all'Iraq, i cui piani erano sul tavolo
di Bush molto prima che presunti terroristi costringessero gli Stati
Uniti e i loro vassalli alla "guerra contro il terrorismo". La Cia ha
visto aumentare i propri poteri interni ed esterni fino alla
supervisione sul meno affidabile FBI e il suo budget del 42%, le forze
armate hanno goduto di un incremento finanziario del 37% fino alla
cifra siderale di 400 miliardi di dollari. Le "guerre stellari" di
Reagan sono uscite dal coma e hanno oggi (vedi Chossudovsky,
www.intermarx.com/ossinter/clima.htlm) messo a punto l'arma suprema,
HAARP, lo strumento di onde ad altissima frequenza che agisce sulla
ionosfera e modifica il clima provocando siccità e alluvioni in intere
regioni da destabilizzare. Con il "Patriot Act", legge promulgata
nell'atmosfera di panico successiva agli attentati, il governo dei
manipolatori delle elezioni in Florida e degli estremisti della
dominazione bianca e biblica ha drasticamente ridotto le libertà civili
negli Stati Uniti, a partire dall'eliminazione dell'habeas corpus e a
finire con i tribunali militari, le detenzioni senza imputazione,
processo, difesa, Guantanamo, l'impunità universale dei propri killer
dall'Afghanistan a Cuba, dall'Iraq alla Jugoslavia. Sulle ali delle
satanizzazioni personali e della demonizzazione di culture e religioni,
da molto tempo praticate sugli avversari dell'imperialismo, da Nasser a
Milosevic, da Ho Ci Min a Castro, da Boumedienne a Saddam, ma
rilanciate con formidabile vigore e la complicità di un sistema
informativo ridotto a totale obbedienza, ci si è mossi a disintegrare
Afghanistan, Iraq, Palestina, Colombia e ci si appresta alla resa dei
conti con altre "realtà canaglia", da Cuba al Venezuela, dalla Corea
del Nord alla Cina, all'Indonesia, ovunque si pretenda che agisca il
tentacolo CIA chiamato Al Qaida, fino all'antagonismo nazionale e di
classe nei paesi industrializzati.

L'inerzia dell'informazione "antagonista"

A questa minaccia si è risposto, fatta eccezione per i coraggiosi
centri di controinformazione presenti negli Stati Uniti e in pochi
altri paesi, con imperdonabile timidezza e pigrizia. Servono le
mobilitazioni per la pace, ma serve di più l'individuazione della
natura mostruosa dell'imperialismo e della sua attuale classe
dirigente, fantocci locali compresi. E' solo delegittimando questa
classe dirigente, rivelandone i crimini e le strategie genocide,
identificando il terrorismo con le classi dirigenti occidentali, che il
rullo compressore della guerra e della fascistizzazione può essere reso
visibile alle grandi masse e, dunque, neutralizzato. Le stesse
sconvolgenti scoperte fatte dai ricercatori nordamericani e da tanti
altri dovrebbero trovare ampio spazio nella comunicazione e nella
mobilitazione delle forze di sinistra, anche se questo dovesse
significare la perdita di uno strapuntino nel "salotto buono" della
politica. Qualcuno dovrebbe gridare, come nei "Vestiti dell'imperatore"
di Andersen: "Il re è nudo".

"Il potere costituito si ammanta di una mimetizzazione culturale,
utilizzando tattiche per le quali mantiene senza soluzione di
continuità una logica di plausibilità. Una sottile, onnipresente e
spesso non esplicita propaganda (non di rado placidamente condivisa da
chi dovrebbe opporsi) promuove presso l'opinione pubblica un'estesa
fiducia ed accettazione dell'autorità dell'establishment, nonché delle
definizioni di quest'ultimo di bene e male, impedendo così al pubblico
di valutare seriamente la realtà per cui è lo stesso establishment il
male per definizione. Un pubblico distratto attribuisce i risultati
delle intriganti attività dell'establishment ad eventualità fortuite,
oppure a motivazioni considerate essenzialmente innocue o oneste (non
siamo dopottutto in democrazia?). Il progetto diviene irrefutabilmente
chiaro solo nel contesto degli esiti, oppure indicando le effettive
prove dell'ingerenza criminale. Il pubblico è stato sistematicamente
condizionato ad ignorare tali contesti (chi parla più della
Jugoslavia?) e a condannare coloro che richiamano l'attenzione su di
essi (deridendoli e biasimandoli come "teorici della cospirazione" e
"dietrologhi"). Così, il controllo dell'accesso e della diffusione
delle informazioni, che costituiscono il riscontro dell'ingerenza, in
larga parte bastano a proteggere il programma dell'establishment dallo
smascheramento. Dalla delegittimazione". (Paul David Collins, "The
hidden face of terrorism, the dark side of Social Engineering, from
antiquity to September 11", email: thefaceunveiled@...)

Fulvio Grimaldi

Siti consigliati: hattp://freebooter.da.ru,
http://austin.indymedia.org, http://www.americanstateteerrorism.com,
http://www.americanfreepress.net, http://whatreallyhappened.com,
http://www.unansweredquestions.net, http://globalresearch.ca,
http://fromthewilderness.com, http://truthout.com. Il Manifesto,
17/5/3. La Repubblica, 11/4/2, "11 settembre, una strage evitabile".


=== 2 ===


Former Labour cabinet minister Michael Meacher, writing in the
Guardian, has become the first public official to suggest the Bush
administration may have allowed 9/11 to happen in furtherance of its
global agenda. After reviewing the controversial blueprint for world
domination drawn up by the neoconservative clique around Dick Cheney
and Paul Wolfowitz which predated Bush’s election, Meacher raises the
same questions that have previously been raised in the alternative
press and, in a more fragmentary way, in commercial outlets like the
Daily Telegraph and Newsweek. These concern the advance notifications
of an impending attack sent to the US by the Mossad and other
intelligence agencies, the refusal of the FBI and CIA to act against
suspicious activity in the US despite the advice of their agents, the
puzzling delay in scrambling fighter aircraft to intercept the hijacked
airliners on the morning of September 11, and the subsequent apparent
dithering in the search for bin Laden. Meacher’s allegations,
predictably, have stirred up a firestorm of controversy and are being
curtly dismissed as nonsensical conspiracy theory by British and US
officials.   
-Supporting facts


http://www.supportingfacts.com/


The war on terrorism is bogus

By Michael Meacher

The Guardian
September 6 2003

Massive attention has now been given - and rightly so - to the reasons
why Britain went to war against Iraq. But far too little attention has
focused on why the US went to war, and that throws light on British
motives too. The conventional explanation is that after the Twin Towers
were hit, retaliation against al-Qaida bases in Afghanistan was a
natural first step in launching a global war against terrorism. Then,
because Saddam Hussein was alleged by the US and UK governments to
retain weapons of mass destruction, the war could be extended to Iraq
as well. However this theory does not fit all the facts. The truth may
be a great deal murkier.

We now know that a blueprint for the creation of a global Pax Americana
was drawn up for Dick Cheney (now vice-president), Donald Rumsfeld
(defence secretary), Paul Wolfowitz (Rumsfeld's deputy), Jeb Bush
(George Bush's younger brother) and Lewis Libby (Cheney's chief of
staff). The document, entitled Rebuilding America's Defences, was
written in September 2000 by the neoconservative think tank, Project
for the New American Century (PNAC).

The plan shows Bush's cabinet intended to take military control of the
Gulf region whether or not Saddam Hussein was in power. It says "while
the unresolved conflict with Iraq provides the immediate justification,
the need for a substantial American force presence in the Gulf
transcends the issue of the regime of Saddam Hussein."

The PNAC blueprint supports an earlier document attributed to Wolfowitz
and Libby which said the US must "discourage advanced industrial
nations from challenging our leadership or even aspiring to a larger
regional or global role". It refers to key allies such as the UK as
"the most effective and efficient means of exercising American global
leadership". It describes peacekeeping missions as "demanding American
political leadership rather than that of the UN". It says "even should
Saddam pass from the scene", US bases in Saudi Arabia and Kuwait will
remain permanently... as "Iran may well prove as large a threat to US
interests as Iraq has". It spotlights China for "regime change", saying
"it is time to increase the presence of American forces in SE Asia".

The document also calls for the creation of "US space forces" to
dominate space, and the total control of cyberspace to prevent
"enemies" using the internet against the US. It also hints that the US
may consider developing biological weapons "that can target specific
genotypes [and] may transform biological warfare from the realm of
terror to a politically useful tool".

Finally - written a year before 9/11 - it pinpoints North Korea, Syria
and Iran as dangerous regimes, and says their existence justifies the
creation of a "worldwide command and control system". This is a
blueprint for US world domination. But before it is dismissed as an
agenda for rightwing fantasists, it is clear it provides a much better
explanation of what actually happened before, during and after 9/11
than the global war on terrorism thesis. This can be seen in several
ways.

First, it is clear the US authorities did little or nothing to pre-empt
the events of 9/11. It is known that at least 11 countries provided
advance warning to the US of the 9/11 attacks. Two senior Mossad
experts were sent to Washington in August 2001 to alert the CIA and FBI
to a cell of 200 terrorists said to be preparing a big operation (Daily
Telegraph, September 16 2001). The list they provided included the
names of four of the 9/11 hijackers, none of whom was arrested.

It had been known as early as 1996 that there were plans to hit
Washington targets with aeroplanes. Then in 1999 a US national
intelligence council report noted that "al-Qaida suicide bombers could
crash-land an aircraft packed with high explosives into the Pentagon,
the headquarters of the CIA, or the White House".

Fifteen of the 9/11 hijackers obtained their visas in Saudi Arabia.
Michael Springman, the former head of the American visa bureau in
Jeddah, has stated that since 1987 the CIA had been illicitly issuing
visas to unqualified applicants from the Middle East and bringing them
to the US for training in terrorism for the Afghan war in collaboration
with Bin Laden (BBC, November 6 2001). It seems this operation
continued after the Afghan war for other purposes. It is also reported
that five of the hijackers received training at secure US military
installations in the 1990s (Newsweek, September 15 2001).

Instructive leads prior to 9/11 were not followed up. French Moroccan
flight student Zacarias Moussaoui (now thought to be the 20th hijacker)
was arrested in August 2001 after an instructor reported he showed a
suspicious interest in learning how to steer large airliners. When US
agents learned from French intelligence he had radical Islamist ties,
they sought a warrant to search his computer, which contained clues to
the September 11 mission (Times, November 3 2001). But they were turned
down by the FBI. One agent wrote, a month before 9/11, that Moussaoui
might be planning to crash into the Twin Towers (Newsweek, May 20 2002).

All of this makes it all the more astonishing - on the war on terrorism
perspective - that there was such slow reaction on September 11 itself.
The first hijacking was suspected at not later than 8.20am, and the
last hijacked aircraft crashed in Pennsylvania at 10.06am. Not a single
fighter plane was scrambled to investigate from the US Andrews airforce
base, just 10 miles from Washington DC, until after the third plane had
hit the Pentagon at 9.38 am. Why not? There were standard FAA intercept
procedures for hijacked aircraft before 9/11. Between September 2000
and June 2001 the US military launched fighter aircraft on 67 occasions
to chase suspicious aircraft (AP, August 13 2002). It is a US legal
requirement that once an aircraft has moved significantly off its
flight plan, fighter planes are sent up to investigate.

Was this inaction simply the result of key people disregarding, or
being ignorant of, the evidence? Or could US air security operations
have been deliberately stood down on September 11? If so, why, and on
whose authority? The former US federal crimes prosecutor, John Loftus,
has said: "The information provided by European intelligence services
prior to 9/11 was so extensive that it is no longer possible for either
the CIA or FBI to assert a defence of incompetence."

Nor is the US response after 9/11 any better. No serious attempt has
ever been made to catch Bin Laden. In late September and early October
2001, leaders of Pakistan's two Islamist parties negotiated Bin Laden's
extradition to Pakistan to stand trial for 9/11. However, a US official
said, significantly, that "casting our objectives too narrowly" risked
"a premature collapse of the international effort if by some lucky
chance Mr Bin Laden was captured". The US chairman of the joint chiefs
of staff, General Myers, went so far as to say that "the goal has never
been to get Bin Laden" (AP, April 5 2002). The whistleblowing FBI agent
Robert Wright told ABC News (December 19 2002) that FBI headquarters
wanted no arrests. And in November 2001 the US airforce complained it
had had al-Qaida and Taliban leaders in its sights as many as 10 times
over the previous six weeks, but had been unable to attack because they
did not receive permission quickly enough (Time Magazine, May 13 2002).
None of this assembled evidence, all of which comes from sources
already in the public domain, is compatible with the idea of a real,
determined war on terrorism.

The catalogue of evidence does, however, fall into place when set
against the PNAC blueprint. From this it seems that the so-called "war
on terrorism" is being used largely as bogus cover for achieving wider
US strategic geopolitical objectives. Indeed Tony Blair himself hinted
at this when he said to the Commons liaison committee: "To be truthful
about it, there was no way we could have got the public consent to have
suddenly launched a campaign on Afghanistan but for what happened on
September 11" (Times, July 17 2002). Similarly Rumsfeld was so
determined to obtain a rationale for an attack on Iraq that on 10
separate occasions he asked the CIA to find evidence linking Iraq to
9/11; the CIA repeatedly came back empty-handed (Time Magazine, May 13
2002).

In fact, 9/11 offered an extremely convenient pretext to put the PNAC
plan into action. The evidence again is quite clear that plans for
military action against Afghanistan and Iraq were in hand well before
9/11. A report prepared for the US government from the Baker Institute
of Public Policy stated in April 2001 that "the US remains a prisoner
of its energy dilemma. Iraq remains a destabilising influence to... the
flow of oil to international markets from the Middle East". Submitted
to Vice-President Cheney's energy task group, the report recommended
that because this was an unacceptable risk to the US, "military
intervention" was necessary (Sunday Herald, October 6 2002).

Similar evidence exists in regard to Afghanistan. The BBC reported
(September 18 2001) that Niaz Niak, a former Pakistan foreign
secretary, was told by senior American officials at a meeting in Berlin
in mid-July 2001 that "military action against Afghanistan would go
ahead by the middle of October". Until July 2001 the US government saw
the Taliban regime as a source of stability in Central Asia that would
enable the construction of hydrocarbon pipelines from the oil and gas
fields in Turkmenistan, Uzbekistan, Kazakhstan, through Afghanistan and
Pakistan, to the Indian Ocean. But, confronted with the Taliban's
refusal to accept US conditions, the US representatives told them
"either you accept our offer of a carpet of gold, or we bury you under
a carpet of bombs" (Inter Press Service, November 15 2001).

Given this background, it is not surprising that some have seen the US
failure to avert the 9/11 attacks as creating an invaluable pretext for
attacking Afghanistan in a war that had clearly already been well
planned in advance. There is a possible precedent for this. The US
national archives reveal that President Roosevelt used exactly this
approach in relation to Pearl Harbor on December 7 1941. Some advance
warning of the attacks was received, but the information never reached
the US fleet. The ensuing national outrage persuaded a reluctant US
public to join the second world war. Similarly the PNAC blueprint of
September 2000 states that the process of transforming the US into
"tomorrow's dominant force" is likely to be a long one in the absence
of "some catastrophic and catalyzing event - like a new Pearl Harbor".
The 9/11 attacks allowed the US to press the "go" button for a strategy
in accordance with the PNAC agenda which it would otherwise have been
politically impossible to implement.

The overriding motivation for this political smokescreen is that the US
and the UK are beginning to run out of secure hydrocarbon energy
supplies. By 2010 the Muslim world will control as much as 60% of the
world's oil production and, even more importantly, 95% of remaining
global oil export capacity. As demand is increasing, so supply is
decreasing, continually since the 1960s.

This is leading to increasing dependence on foreign oil supplies for
both the US and the UK. The US, which in 1990 produced domestically 57%
of its total energy demand, is predicted to produce only 39% of its
needs by 2010. A DTI minister has admitted that the UK could be facing
"severe" gas shortages by 2005. The UK government has confirmed that
70% of our electricity will come from gas by 2020, and 90% of that will
be imported. In that context it should be noted that Iraq has 110
trillion cubic feet of gas reserves in addition to its oil.

A report from the commission on America's national interests in July
2000 noted that the most promising new source of world supplies was the
Caspian region, and this would relieve US dependence on Saudi Arabia.
To diversify supply routes from the Caspian, one pipeline would run
westward via Azerbaijan and Georgia to the Turkish port of Ceyhan.
Another would extend eastwards through Afghanistan and Pakistan and
terminate near the Indian border. This would rescue Enron's beleaguered
power plant at Dabhol on India's west coast, in which Enron had sunk
$3bn investment and whose economic survival was dependent on access to
cheap gas.

Nor has the UK been disinterested in this scramble for the remaining
world supplies of hydrocarbons, and this may partly explain British
participation in US military actions. Lord Browne, chief executive of
BP, warned Washington not to carve up Iraq for its own oil companies in
the aftermath of war (Guardian, October 30 2002). And when a British
foreign minister met Gadaffi in his desert tent in August 2002, it was
said that "the UK does not want to lose out to other European nations
already jostling for advantage when it comes to potentially lucrative
oil contracts" with Libya (BBC Online, August 10 2002).

The conclusion of all this analysis must surely be that the "global war
on terrorism" has the hallmarks of a political myth propagated to pave
the way for a wholly different agenda - the US goal of world hegemony,
built around securing by force command over the oil supplies required
to drive the whole project. Is collusion in this myth and junior
participation in this project really a proper aspiration for British
foreign policy? If there was ever need to justify a more objective
British stance, driven by our own independent goals, this whole
depressing saga surely provides all the evidence needed for a radical
change of course.


Michael Meacher MP was environment minister from May 1997 to June 2003.

---

Meacher sparks fury over claims on September 11 and Iraq war

Fury over Meacher claims

Ewen MacAskill, diplomatic editor

Saturday September 6, 2003
The Guardian
http://www.guardian.co.uk/guardianpolitics/story/0,3605,1036525,00.html

Michael Meacher, who served as a minister for six years until three
months ago, today goes further than any other mainstream British
politician in blaming the Iraq war on a US desire for domination of the
Gulf and the world.
Mr Meacher, a leftwinger who is close to the green lobby, also claims
in an article in today's Guardian that the war on terrorism is a
smokescreen and that the US knew in advance about the September 11
attack on New York but, for strategic reasons, chose not to act on the
warnings.

He says the US goal is "world hegemony, built around securing by force
command over the oil supplies" and that this Pax Americana "provides a
much better explanation of what actually happened before, during and
after 9/11 than the global war on terrorism thesis".

Mr Meacher adds that the US has made "no serious attempt" to catch the
al-Qaida leader, Osama bin Laden.

He also criticises the British government, claiming it is motivated, as
is the US, by a desire for oil.

The US government last night expressed abhorrence at Mr Meacher's
views. An embassy spokesman in London said: "Mr Meacher's fantastic
allegations - especially his assertion that the US government knowingly
stood by while terrorists killed some 3,000 innocents in New York,
Pennsylvania and Virginia - would be monstrous, and monstrously
offensive, if they came from someone serious or credible.

"My nation remains grateful for the steadfast friendship of the British
people and Her Majesty's government as we face, together, the serious
challenges that have arisen since September 11 2001."

Downing Street also distanced itself from the views of an MP who only a
few months ago was in the government. "The prime minister has responded
to those who argue it was about oil," a spokeswoman said, adding that
oil profits from Iraq are to be fed back into the country's development.

Former ministers such as Robin Cook and Clare Short have criticised the
British government for misleading the public over the reasons for going
to war. But Mr Meacher has gone much further in his analysis of US and
British motives.

He says that the plans of the neo-conservatives in Washington for
action against Afghanistan and Iraq were well in hand before September
11. He questions why the US failed to heed intelligence about al-Qaida
operatives in the US and the apparent slow reaction of the US
authorities on the day, as well as the subsequent inability to lay
hands on Bin Laden.

He argues that the explanation makes sense when seen against the
background of the neo-conservative plan.

"From this it seems that the so-called 'war on terrorism' is being used
largely as bogus cover for achieving wider US strategic geopolitical
objectives."

He adds: "Given this, it is not surprising that some have seen the US
failure to avert the 9/11 attacks as creating an invaluable pretext for
attacking Afghanistan in a war that had clearly already been well
planned in advance."

Mr Meacher, who was environment minister, says: "The overriding
motivation for this political smokescreen is that the US and the UK are
beginning to run out of secure hydrocarbon energy supplies."

He is critical of Britain for allegedly colluding in propagating the
myth of a global war of terrorism. He asks: "Is collusion in this myth
and junior participation in this project really a proper aspiration for
British foreign policy?"

"Processo" Milosevic:

Verso una nuova MANIFESTAZIONE
l'8 Novembre all'Aia (Olanda)

1. Convocazione della manifestazione

2. Lettera della Central General dos Trabalhadores (Brasile, Affiliata
alla Federazione Mondiale dei Sindacati – FSM) al "Tribunale" dell'Aia,
29/8/2003

3. Lettera di SLOBODA al Segretario Generale dell'ONU, 3/9/2003


=== 1 ===


SLOBODA udruzenje – Associazione LIBERTA’

Comitato jugoslavo per la liberazione di
SLOBODAN MILOSEVIC

Belgrado, Rajiceva 16, tel/fax 381 11 630549

In occasione della manifestazione del’28 giugno 2003 all’Aja abbiamo
consegnato le nostre richieste al “tribunale” e all’ONU, sotto il cui
formale patrocinio quell’istituzione agisce. Non solo le nostre
richieste non sono state accolte, ma le violazioni dei diritti umani da
parte del “tribunale” si sono ulteriormente aggravate. Per questo
motivo l’Associazione SLOBODA-LIBERTA’ appoggia l’appello del Comitato
organizzativo serbo-internazionale per organizzare una nuova

MANIFESTAZIONE ALL’AJA, l’8 NOVEMBRE 2003

“Mediante terrore e tirannia tentanto di impedire, o almeno
minimizzare, l’evidente fallimento del tribunale-fantoccio, un
tribunale che serve da arma di guerra contro il nostro paese e il
nostro popolo. Non è nulla di nuovo. Già nel 1742 Montesquieu scrisse:
“Non v ‘è tirannia più crudele che quella perpetrata sotto lo scudo
della legge e nel nome della giustizia”.” Slobodan Milosevic, 17 agosto
2003-09-06

-        Il “tribunale” dell’Aja, è non uno strumento di giustizia, ma
di aggressione e guerra

-        Il “tribunale” dell’Aja tenta di falsificare la storia della
Serbia, come rappresaglia contro i combattenti della libertà e per
proteggere i responsabili di politiche di guerra e colonialismo,
condannati in tutto il mondo.

-        Il “tribunale” dell’Aja, mediante il suo terrorismo contro il
popolo serbo e contro il presidente Milosevic, e, con la persecuzione
della sua famiglia e dei suoi sostenitori, tenta di sopprimere la
verità.

-        Una corte che viola i diritti umani nel modo in cui li viola
il “tribunale”, non dovrebbe poter esistere in nessun paese democratico
e civile.

-        Sono massimi responsabili dell’esistenza di tale “tribunale” i
governi degli USA e del Regno Unito, ma anche gli altri paesi membri
permanenti del Consiglio  di Sicurezza dell’ONU.

-        Nell’autunno di 70 anni, il “Terzo Reich” “processò” Dimitrov.
L’8 novembre di 65 anni fa, fu commesso uno dei massimi crimini del
nazismo: il pogrom della “Notte dei cristalli”. Uccidere nazioni, MAI
PIU’.

LIBERIAMO L’EUROPA E IL MONDO DAI FALSI “TRIBUNALI”!

LIBERTA’ PER SLOBODAN MILOSEVIC!

LIBERTA’ PER SERBIA E JUGOSLAVIA!

FACCIAMO APPELLO A TUTTE LE FORZE E ORGANIZZAZIONI PROGRESSISTE IN
EUROPA E IN TUTTO IL MONDO A UNIRSI A NOI.

Le manifestazioni e la lotta per questi obiettivi richiede aiuti
finanziari. Inviate le vostre offerte a “Sloboda”, Rajiceva 16, 11000
Belgrado, Serbia e Montenegro, Jugoslavia.

Per trasferimenti bancari, vedere istruzioni in www.sloboda.org.yu


=== 2 ===


CENTRAL GENERAL DOS TRABALHADORES

Affiliata alla Federazione Mondiale dei Sindacati – FSM

Sao Paolo, 29 agosto 2003

Mr. Hans Holthuis
Ufficio del Registro
Tribunale Criminale Internazionale per la Jugoslavia
L’Aja
Paesi Bassi

Signor Holthuis,

La Confederazione Generale dei Sindacati del Brasile – CGTB – ritiene
necessario esprimere la propria indignazione contro la recente
decisione del Tribunale dell’Aja di proibire le visite al Presidente
Milosevic.
Questa decisione arbitraria rafforza l’opinione, condivisa da vasti
settori dell’opinione pubblica internazionale, che il Tribunale
dell’Aja fu creato con l’esclusivo scopo di condannare il Presidente
Milosevic e di giustificare l’aggressione contro la Jugoslavia e i
crimini commessi da USA/NATO quando, in meno di 90 giorni, gettarono
25.000 tonnellate di bombe sulla Jugoslavia, assassinando 5000 civili e
ferendone altri 10.000, dei quali il 40% erano bambini.
Al terzo Congresso della nostra Confederazione, nel marzo 2002, i
lavoratori brasiliani manifestarono la propria consapevolezza dei
crimini attuati da USA/NATO. Condannarono gli aggressori stranieri e
misero in discussione il tribunale dell’Aja, giudicandolo un ulteriore
strumento controllato dal governo degli Stati Uniti.
Oggi, dopo l’attacco all’Iraq, tutti nel mondo siamo coscienti della
farsa messa in atto dall’amministrazione nordamericana per giustificare
l’invasione di un paese sovrano allo scopo di assicurare i propri
interessi. Di conseguenza, se il tribunale dell’Aja insiste nell’agire
in modo fazioso ed arbitrario, come ha fatto in passato, corre il
rischio concreto di finire nel discredito totale.
Alla luce di ciò, giudichiamo indispensabile che il tribunale dell’Aja
rispetti i diritti alla difesa e alle visite del Presidente Milosevic e
gli garantisca immediatamente il diritto al pieno accesso ai mezzi
d’informazione, un diritto che oggi è concesso costantemente ed
esclusivamente alla sola Pubblica Accusa.

In fede,

Antonio Neto
Presidente CGTB
Vicepresidente della Federazione Sindacale Mondiale

Maria Pimentel
Segretaria per i Rapporti Internazionali della CGTB

R. Mario de Andrade 61  CEP 01154-060
Sao Paolo/SP, Brasil,
Tel. 55 11 3663 0473, Fax 3824 5601


=== 3 ===


AL SEGRETARIO GENERALE DELLE NAZIONI UNITE, KOFI ANNAN

Ai governi di: Repubblica popolare di Cina, Repubblica di Francia,
Federazione Russa, Regno Unito, Stati Uniti d’America, Italia.

(tramite le rispettive ambasciate a Belgrado)

L’associazione di cittadini “SLOBODA” – Comitato jugoslavo per la
liberazione di Slobodan Milosevic – esprimendo l’opinione di un vasto
settore della società, denuncia  gravi violazioni dei diritti umani e
di norme giuridiche e morali, universalmente riconosciute, da parte del
cosiddetto Tribunale Internazionale per l’ex-Jugoslavia (attivato su
mandato del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite), nel corso del
processo che tale tribunale sta conducendo contro Slobodan Milosevic,
il quale per molti anni è stato presidente della Repubblica Federativa
di Jugoslavia e della Repubblica di Serbia.
Nel corso della sua cosiddetta riunione statutaria, svoltasi il 2
settembre del 2003, il tribunale dell’Aja ha nuovamente dimostrato la
sua indisponibilità ad attenersi anche in misura minima al principio
della parità tra pubblica accusa e diritto alla difesa, che pur
formalmente riconosce. Se questa dimostrata indisponibilità fosse
mantenuta, qualsiasi osservatore imparziale sarebbe costretto a
concludere che nel quadro delle Nazioni Unite sta operando una nuova
inquisizione, con l’unico scopo di sostenere gli interessi della Nato
nel Balcani. Se ne devono assumere la responsabilità i membri
permanenti del Consiglio di Sicurezza.
Il tribunale si è anche dimostrato indisponibile ad accogliere la
proposta del presidente Milosevic di un’interruzione del processo per
due anni, allo scopo di permettergli di preparare la propria difesa
tramite l’esposizione dei fatti e la chiamata di testimoni, onde
neutralizzare con la verità i due anni trascorsi nella presentazione,
da parte della cosiddetta Procura, con l’aiuto dei servizi segreti di
alcuni importanti Stati, di faziosità, menzogne e travisamenti,
raccolti con il lavoro annoso di centinaia di persone e l’utilizzo di
cospicui fondi tratti dal bilancio delle Nazioni Unite. La procura,
oltre a risorse illimitate, ha avuto a disposizione almeno quattro anni
e mezzo (dal maggio 1999) ed è anche noto il fatto che abbia utilizzato
materiali raccolti fin dal momento della creazione del tribunale nel
1993.
Va inoltre denunciato che il tribunale, con l’utilizzo di tempi
processuali estremamente onerosi per l’imputato e la negazione di
un’adeguata assistenza medica, attenta alla salute e alla vita del
presidente Milosevic.
Al presidente Milosevic sono state pesantemente limitate le visite dei
membri della sua famiglia e, in seguito a decisioni recenti, non gli è
consentito ricevere le visite neppure dei suoi più stretti
collaboratori, membri del Comitato per la sua difesa e membri del suo
partito, annullando così altri elementari diritti della difesa. Infine,
al presidente Milosevic è stato rigorosamente proibito qualsiasi
contatto con i mezzi d’informazione, mentre, dal canto suo, la procura
esercita quotidianamente le sue frequentazioni con i media.
Chiediamo, alla luce delle condizioni di salute del presidente
Milosevic, al fine della parità tra i diritti delle parti e
nell’interesse della verità, che il processo all’Aja venga interrotto
per la durata di due anni e che il presidente Milosevic venga posto in
libertà, onde consentirgli di curarsi e garantirgli condizioni minimali
per la preparazione della sua difesa attraverso i documenti e i
testimoni che riterrà necessari, ponendo fine a una costante e
gravissima violazione dei diritti della difesa.
Unica alternativa a quanto sopra denunciato e richiesto sarebbe lo
scioglimento immediato del tribunale dell’Aja, onde evitare di
ulteriormente offuscare il prestigio e la rispettabilità di questa
organizzazione mondiale e dei governi che assumono le maggiori
responsabilità per le sue decisioni.

Belgrado, 3 settembre 2003

Per l’Associazione Sloboda
(Comitato Jugoslavo per la liberazione di Slobodan Milosevic)

Il presidente Bogoljub Bjelica

Telekomica con personaggi

1. Telecomica con personaggi.
I dettagli della piu' fallimentare impresa del colonialismo economico
italiano nei Balcani. Da "Il Manifesto" del 2/9/2003.
2. Telekom, gli Usa dissero no.
La voce del padrone, incarnata dall'ex inviato Gelbard, chiarisce una
volta per tutte: guai ai sudditi che cercano di fare affari con i
nostri nemici. Da "Panorama" del 4/9/2003.


=== 1 ===

il manifesto - 2 Settembre 2003

Telecomica con personaggi

Le verità sotto il cielo sono sempre più numerose di quante alcuni ne
sappiano contare. Il caso di Telekom Serbia è esemplare da questo punto
di vista. Forse gli italiani sono andati in Serbia per sfruttarla.
D'altro canto quale può essere il fine di un investimento all'estero se
non guadagnare il più possibile?
GUGLIELMO RAGOZZINO


Nel giugno del 1997 la società olandese Stet International Netherlands
N. V. (per gli amici, Sin) acquistò per un miliardo e 517 milioni di
marchi tedeschi dall'ente delle poste locale il 49% della Telekom
serba. Il 20% venne girato contestualmente per 624 milioni di marchi
alla società telefonica greca Ote. Il pagamento della Sin era previsto
in tre rate: 702 milioni di marchi subito, 117 entro sei mesi e il
resto «all'atto della licenza per la telefonia mobile (versati nel
marzo del 1998)». Il virgolettato è tratto dalla famosa inchiesta di
Repubblica del febbraio 2001 (Carlo Bonini e Giuseppe d'Avanzo) che ha
dato la stura alla tenebrosa vicenda. L'acquisto balcanico di Sin era
fatto per conto della casa madre di allora, di nome Stet, poi mutato in
Telecom Italia. E per questo la vicenda ha suscitato e suscita grandi
passioni in Italia pur essendo allora allora e rimanendo ancor oggi per
molti aspetti oscura, nonostante la bravura di Bonini&D'Avanzo,
nonostante la causa aperta al tribunale di Torino, nonostante
l'inchiesta del parlamento italiano tuttora aperta. Per non dire della
copertura generosamente offerta (la prima pagina tutti i giorni, per
mesi e mesi) da parte del Giornale, un quotidiano autorevole essendo in
parte del fratello di Silvio Berlusconi e in parte di una società dello
stesso presidente del consiglio.

L'oscura vicenda interessa ancora molto, anche se il proprietario di
Sin, dopo molte giravolte e cambi di gruppi dirigenti e proprietari -
dall'Iri al Tesoro, al mercato, a Colaninno, a Tronchetti
Provera/Pirelli - ha rivenduto la propria partecipazione, ridotta al
29%, in Telekom Serbia, nel febbraio del 2003 per 193 milioni di euro.
Anzi lo scarto tra il prezzo di vendita e quello d'acquisto ha
aumentato ancora di più i sospetti sull'operazione di allora. Perché
comprare in Serbia? Perché pagare una cifra così elevata? Perché
vendere a prezzo tanto vile?

Va detto subito che delle due l'una: o era maledettamente alto il
prezzo d'aquisto, o era stracciato quello di vendita. Ma era davvero
così elevata la cifra d'acquisto? I serbi dell'opposizione a Milosevic
si sono lamentati per la svendita subìta, e hanno pubblicato cifre
almeno doppie, sui 3 miliardi di marchi, attribuendole a banche
internazionali come l'Ubc svizzera o la Nat West inglese. Anche
trascurando la visione patriottica dell'opposizione di Belgrado, è
certo che in quel tempo le telecom europee occidentali e le compagnie
telefoniche del resto del mondo ricco stavano svolgendo campagne
d'acquisto nei paesi minori in tutto il globo; in particolare c'era una
corsa nei Balcani e dintorni dove erano attivi tedeschi e francesi. I
prezzi erano in grande tensione. La new economy trascinava le borse al
rialzo, quindi ogni nuova attività era promettente; le telecom dei
paesi forti avevano poi in corso programmi di privatizzazione che
liberavano decine di miliardi di dollari mettendoli a disposizione dei
dirigenti più dinamici. Per citare soltanto la nostrana Stet-Telecom,
la vendita di un terzo del capitale in mani pubbliche aveva fruttato al
Tesoro una cifra nell'ordine dei 30 mila miliardi delle vecchie lire.
Ma Telecom Italia, così ricca e piena di sé ha serie difficoltà per
affermarsi. Tenta di aprirsi una strada in Russia, me è respinta;
intanto francesi e tedeschi fanno altri affari. Per le avanguardie di
Telecom si apre uno spiraglio in Serbia, offerto proprio dalle
difficoltà politiche di Milosevic che rischia di perdere le elezioni
nell'autunno del 1997. Anni dopo, rispondendo in parlamento dopo le
rivelazioni di Repubblica, il ministro degli esteri Dini accennerà a
Siemens e Alcatel, due giganti della telefonia che hanno contratti per
300 milioni di marchi con Telekom Serbia. E' evidente che faranno da
tramite per la vittoria in Serbia delle loro compagnie telefoniche
nazionali. E allora si potrà dire addio al corridoio otto e a tutte le
speranze italiane di inserimento nei Balcani, infine pacificati. Così
c'è il blitz degli italiani, una volta tanto.

Gli Usa approvano, anzi, secondo Dini, gli chiedono di intercedere
presso Telecom per avere certi collegamenti telefonici all'ambasciata,
giù a Belgrado.

L'avventura serba dei telefonisti italiani resta sepolta dalla onde
successive di amministratori e gruppi dirigenti che si susseguono,
scalata dopo scalata, alla Telecom. E a ragione, probabilmente: nessuno
se ne vuole occupare, molti se ne vergognano come delle sregolatezze di
un antenato finito male. Occorre dire che la gestione italiana della
Telekom serba è vergognosa. Ci sono le clausole segrete dell'accordo,
quelle che consentono agli italiani comportamenti da occupanti. Gli
italiani impongono (secondo le informazioni dell'opposizione serba)
tecnologia propria e se la fanno pagare, ma installano centrali
arretrate, probabilmente dismesse, che portano indietro, invece che
avanti, il livello dei telefoni di Serbia. Circola una lettera di
protesta da parte di centinaia di ingegneri dell'impresa che non ne
possono più. Contro la gestione, avara e contro le commesse italiane,
scadenti, si arriva perfino a uno sciopero a oltranza.

Finisce il bel tempo; a Belgrado c'è guerra umanitaria per il Kosovo e
l'Italia bombarda le «sue» centrali telefoniche. La distruzione del
capitale non è estranea all'aumento dei tassi di profitto. Bisognerà
ricostruire e se nel frattempo Belgrado vorrà telefonare, dovrà
triangolare, a pagamento, con l'Italia.

Finisce il bel tempo anche per le grandi Telecom; l'ultimo acquisto è
nel 2000. I francesi prendono il controllo della Telecom polacca per 4
miliardi di dollari (oltre 8 miliardi di marchi). Gli italiani hanno
comprato grosso in Austria, pagando, nel novembre 1998, 1,9 miliardi di
euro per il 25% di quella Telekom. Quanto a dire 7,6 milioni di euro
per ogni 1%. Quando nel 2003, Telecom Italia rivende un 15% della
società comprata meno di 5 anni prima, il prezzo che ne ricava è di 559
milioni di euro, pari a 3,7 milioni per ogni 1%. Anche nella felix
Austria, senza bombardamenti, il prezzo si è più che dimezzato.

Dunque, tutto finito. Ora ci interessa il corridoio cinque e sono
altre e più modeste le nostre manie di grandezza. Resta dell'avventura
una traccia nelle tabelle dell'Onu. Nel World Investment Report del
2001, dal titolo evocativo Promoting Linkages cioè un invito a
promuovere legami, c'è un elenco di paesi che, tra il 1996 e il 2000,
hanno effettuato investimenti in Jugoslavia (Serbia-Montenegro). E' un
elenco breve, in milioni di dollari, su dati della banca centrale di
Jugoslavia. Al primo posto i Paesi bassi con 560, poi la Grecia con
481, poi il Lussemburgo con 102. Più sotto Cipro con 82 milioni,
Bahamas 14, Bulgaria 10, Italia 10, Stati uniti 8, austria 8 e Ungheria
4. Sappiamo già chi è nascosto dietro i Paesi bassi e del resto una
nota lo esplicita: sono gli italiani della Sin-Telecom, un po'
travestiti, ma non troppo. Poi, dopo i greci, Lussemburgo e Cipro
coprono evidentemente altri personaggi che non vogliono farsi
riconoscere. Un'altra tabella mostra i flussi di investimenti esteri
nel corso del decennio. Gli investimenti esteri oscillano tra i 250
milioni e i 90 fino al 1996. Si può immaginare che vi sia interesse a
investire dall'estero e resistenza, all'interno. Poi l'esplosione del
1997, con un dato che supera i 1.100 milioni di dollari. Poi, negli
anni seguenti, una repentina ricaduta ai livelli di prima del boom. Del
resto se gli investimenti esteri sono come certi italiani, è meglio
perderli che trovarli.


=== 2 ===

http://www.panorama.it/italia/politica/articolo/ix1-A020001020620

Telekom, gli Usa dissero no

di  Marco De Martino

4/9/2003  

Era l'inviato di Clinton nei Balcani all'epoca dell'acquisto della
società serba da parte della Telecom Italia. E smentisce con forza le
dichiarazioni di Dini e Fassino: «Eravamo contrari all'operazione ed è
falso che l'America incoraggiasse investimenti a favore di Milosevic"


Telekom Serbia: quella storia Robert Gelbard se la ricorda bene. Nel
1997 era l'uomo di punta della diplomazia americana nei Balcani. Il suo
titolo ufficiale era quello di inviato speciale del presidente Bill
Clinton per l'attuazione degli accordi di Dayton: durante la crisi del
Kosovo fu lui il rappresentante più alto del dipartimento di Stato Usa
nella regione, lavorando per lunghi periodi a stretto contatto con
Richard Holbrooke, l'artefice della pace nei Balcani. Gelbard oggi è un
consulente d'affari a Washington.
Di quella storia, di quell'operazione che portò la Stet ad acquistare
il 29 per cento della compagnia serba per 878 miliardi di lire, non ha
mai parlato. Ma basta riferirgli una frase che lui non conosce. Si
tratta dell'ultima dichiarazione di Piero Fassino, attuale segretario
italiano dei Ds e all'epoca sottosegretario alla Farnesina, sul
discusso affaire: "Dopo la pace di Dayton, la scelta di Usa e Ue fu di
tentare di favorire un'evoluzione democratica nei Balcani. Via le
sanzioni, via l'embargo. Le imprese europee e statunitensi furono
incoraggiate a investire".
Gelbard, evidentemente sorpreso, fa una pausa. E comincia le sue
rivelazioni a Panorama con un moto di rabbia: "Dire che noi americani
incoraggiavamo altre nazioni a investire in Serbia è ridicolo:
completamente falso. La notizia dell'investimento italiano fu anzi
accolta con grande preoccupazione dal governo americano: avevamo
ragione di ritenere che l'accordo contenesse elementi di illegalità".

Si ricorda quando veniste a conoscenza della trattativa?

No. Ma ricordo bene che ne fummo informati a cose fatte: non venimmo
mai consultati. E la cosa non ci rese certo felici.

Che reazione provocò la notizia?

Parlammo di quella vicenda in varie riunioni, ad altissimo livello.
Quei soldi italiani diedero una boccata di ossigeno a Milosevic, gli
permisero di comprare nuove fedeltà, di continuare a pagare gli
stipendi dei militari. Ma avevamo anche la preoccupazione che l'accordo
fosse stato condotto secondo modalità che poco hanno a che fare con
l'onestà.

A che cosa si riferisce?

Mi lasci solo dire che qualsiasi accordo stretto con la Serbia
all'epoca doveva essere fatto passando attraverso Milosevic e i suoi
compari.

Avevate informazioni dalla vostra intelligence che motivavano i
sospetti?

Su questo non posso rispondere.

Quali organismi del governo americano erano a conoscenza del problema?

Soprattutto il dipartimento di Stato.

E quindi anche l'allora segretario di Stato Madeleine Albright...

Lo ha detto lei. Quello che posso dirle è che si trattava di una
preoccupazione largamente condivisa.

Tentaste di capire dove finirono tutti quei miliardi?

Sì, e giungemmo alla convinzione che la maggior parte del denaro fosse
stato rubato. Si ricordi che a questo punto, nel 1997, Milosevic era
nei guai: la Serbia era al collasso economico, lui aveva bisogno di
nuovi investimenti sia per ragioni politiche sia per ragioni
economiche. Noi non volevamo che si rafforzasse politicamente e, per
questa ragione, mantenevamo le sanzioni.

È vero. Però l'Onu aveva tolto le sanzioni e quindi l'accordo non era
formalmente illegale.

Ma noi americani, ripeto, mantenevamo quello che chiamavamo "il muro
esterno delle sanzioni". Ci opponevamo cioè ai prestiti del Fondo
monetario e della Banca mondiale. E non esistevano relazioni con le
repubbliche della ex Jugoslavia, che non avevano ancora alcuna
rappresentanza alle Nazioni Unite.

Quindi non è esatto che dopo gli accordi di Dayton gli americani
guardavano con favore a investimenti che favorissero il processo di
pace (come ha dichiarato Fassino)?

È completamente falso. Completamente falso. Non avevamo alcuna ragione
al mondo per incoraggiare le aziende a dare soldi a Milosevic: volevamo
investimenti in Bosnia, non certo in Serbia. Ma il governo italiano
dell'epoca aveva una posizione diversa e la divergenza di opinioni era
profonda. In particolare con il ministro degli Esteri Lamberto Dini,
che era la persona con cui avevamo più contatti. L'accordo della
Telekom Serbia non aiutò certo le nostre relazioni con il vostro Paese.
Come risultato dell'affare pensammo anzi che gli italiani volessero
mantenere un rapporto di amicizia con Milosevic. Il problema turbò le
relazioni tra Stati Uniti e Italia per un certo periodo: ovviamente il
rapporto è talmente solido che una questione del genere non lo avrebbe
mai potuto incrinare.

Dini ha di recente dichiarato: "Nessuno ha avvertito che era
un'operazione a rischio".

È un'affermazione a cui è difficile credere.

Gli esponenti del governo italiano dell'epoca dicono di avere saputo
dell'accordo dopo che era stato siglato: a questo crede?

Non ho informazioni specifiche, ma anche questa è un'affermazione a cui
è difficile credere.

Di nuovo Dini: "A quell'epoca, dopo il trattato di Dayton che divideva
in tre l'ex Jugoslavia, c'era l'orientamento, in Europa e negli Usa, di
cercare di rendere più democratico e responsabile il regime di
Belgrado. Nel 1997 non c'erano preclusioni politiche". È vero?

Non esattamente. Il governo statunitense era contro ogni tipo di
accordo che portasse soldi nelle tasche di Milosevic. È vero che
appoggiavamo il processo democratico, è falso che appoggiavamo
Milosevic. Noi anzi appoggiavamo gruppi di opposizione come Zajedno,
che alle elezioni municipali vinsero molte poltrone di sindaco. Ma
pensavamo che l'investimento in Telekom Serbia avrebbe aiutato
Milosevic, che era il contrario di quello che volevamo.

Questa posizione americana era valida anche nel 1996, quando venne
architettato l'investimento in Telekom Serbia?

Ho assunto il mio ruolo solo l'anno dopo. Ma le posso dire che anche
prima di quella data non ha mai fatto parte della nostra politica
rinforzare Milosevic. Guardi, mi permetta di essere chiaro. L'accordo
di Dayton fu siglato nel novembre del 1995: nel gennaio del 1996 vidi
Milosevic, prima di assumere il mio ruolo, e già allora la sua non
collaborazione all'accordo di Dayton era chiara. Nel corso di
quell'anno anzi Milosevic fece molto poco per ridurre il potere di
Radovan Karadzic e Ratko Mladic (criminali di guerra serbi ancora
ricercati, ndr). E all'inizio del 1997 la nostra insoddisfazione nei
suoi confronti era ai massimi livelli. Albright fece allora la sua
unica visita a Belgrado per vedere Milosevic: fu un incontro di estrema
difficoltà a cui io fui presente.

Torniamo al punto che più ci interessa: l'accordo della Telekom Serbia.
Che cosa attirò la vostra attenzione?

Era una totale anomalia. Assieme agli italiani, erano i francesi i più
attivi nella regione. Ma questo contratto venne subito notato,
soprattutto per la quantità di soldi versati nelle casse della Serbia.

Prendeste provvedimenti?

Non avevamo alcuno strumento per farlo, l'Italia è un Paese sovrano.

Vi lamentaste con gli italiani?

Sì.

Chi lo fece, Madeleine Albright?

Di questo non voglio parlare.

Ripeterebbe le sue dichiarazioni davanti alla commissione parlamentare
d'inchiesta italiana?

A Roma vado sempre volentieri...


RISPOSTE E SILENZI DEI PROTAGONISTI
Come si sono difesi i responsabili del governo Prodi dalle accuse di
aver sottovalutato l'affaire

I "misteri" sono stati svelati la scorsa settimana. Allora, nel giro di
pochi giorni, Romano Prodi, Lamberto Dini e Piero Fassino hanno
raccontato la loro verità sulla Telekom Serbia. Nel 1997, all'epoca
della vicenda, erano rispettivamente presidente del Consiglio, ministro
degli Esteri e sottosegretario alla Farnesina. Panorama ha riassunto
l'affaire in sei domande chiave. Eccole, seguite dalle risposte date
dai tre politici a quotidiani e settimanali.

Avete saputo della trattativa per l'acquisto della Telekom Serbia da
parte della Stet prima del 9 giugno 1997, giorno della conclusione
dell'affare?

Prodi: "Mai, da nessuno e in alcuna forma, l'acquisto di una quota di
Telekom Serbia da parte di Stet fu sottoposto alla mia attenzione, né
come privato cittadino, né come presidente del Consiglio".

Dini: "Non mi sono mai occupato, né nessuno mi ha mai parlato di questo
affare Telekom. Seppi dell'acquisizione dai giornali, a contratto
firmato. E me ne rallegrai. La considerai una scelta di Belgrado
favorevole all'Italia".

Fassino: "La trattativa era nota".

È possibile che la Stet, un'azienda statale, potesse concludere un
affare da 878 miliardi di lire con il regime serbo senza l'assenso del
governo italiano?

Prodi: "Non vi era alcuna ragione né formale né sostanziale perché ciò
dovesse avvenire".

Dini: "Il governo dell'Ulivo è estraneo alla vicenda. Non ha
partecipato in alcun modo alla vicenda perché Stet non ha chiesto
aiuto. E ha condotto la trattativa da sola. Il ministero degli Esteri
interviene solo se è interpellato".

Fassino: "Il governo non ha avuto alcun ruolo perché non doveva averlo.
Se a livello internazionale la strategia fosse stata quella di isolare
Milosevic, allora si sarebbe dovuto intervenire. Ma poiché non era
così, il governo non lo fece".

Dopo l'accordo di Dayton del 1995, l'atteggiamento politico di Europa e
Usa nei confronti di Milosevic poteva giustificare un investimento di
questa entità in Serbia?

Prodi: Nessuna dichiarazione.

Dini: "Dopo il trattato c'era l'orientamento, in Europa e negli Usa, di
cercare di rendere più responsabile e democratico il regime di
Belgrado. Nel 1997 non c'erano preclusioni politiche. Nessuno poteva
immaginare quello che sarebbe accaduto dopo, Kosovo compreso".

Fassino: "Nel 1995, dopo la pace di Dayton, la scelta di Usa e Ue fu di
tentare di favorire un'evoluzione democratica nei Balcani. Via le
sanzioni, via l'embargo. Le imprese europee e statunitensi furono
incoraggiate a investire".

Francesco Bascone, ai tempi dell'affare ambasciatore italiano in
Jugoslavia, mandò al ministero degli Esteri 14 dispacci in cui veniva
denunciata la pericolosità dell'operazione e il fatto che non vi fosse
"nessuna assicurazione sulla destinazione dei soldi dell'affare". Come
mai nessuno tenne conto dei suoi avvertimenti?

Prodi: Nessuna dichiarazione.

Dini: "Bascone riferiva soltanto quello che la stampa locale diceva e
quanto emergeva con i leader dell'opposizione. Le lettere di Bascone,
come era normale, furono prese in considerazione dai direttori
generali".

Fassino: "Le parole dell'ambasciatore alla commissione dimostrano la
mia assoluta correttezza e la mia totale estraneità alla vicenda". Il 9
ottobre del 2002, il diplomatico aveva raccontato alla commissione
parlamentare d'inchiesta che l'attuale segretario dei Ds "durante una
sua visita a Belgrado, aveva manifestato un forte disagio per questa
trattativa, che si svolgeva in modo quasi segreto, senza informare
l'ambasciata e il ministero".

La Telekom Serbia fu pagata dalla Stet 878 miliardi e rivenduta a meno
della metà cinque anni dopo: fu un cattivo affare?

Prodi: Nessuna dichiarazione.

Dini: "Lo vedremo. Se hanno agito così, avevano tutte le ragioni per
pensarlo".

Fassino: "Sono decisioni aziendali, non dell'autorità politica. È
un'azienda a decidere il prezzo di un acquisto o di una cessione".

Accetterà di essere ascoltato dalla commissione d'inchiesta?

Prodi: "Sono disposto a essere ascoltato per fornire ogni utile
chiarimento agli organi legittimamente deputati ad accertare la verità".

Dini: "Ho già dichiarato anche in passato la mia disponibilità a essere
ascoltato dalla commissione quando essa lo ritenga opportuno".

Fassino: "Se la commissione vuole, sa dove trovarmi. Certamente, se mi
convocano andrò, come chiunque è tenuto a fare".

La dittatura della borghesia (3)

(la puntata precedente su
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2754 )

1. Ancora sul caso di David Pecha:
raccolta U R G E N T E di firme per solidarieta'

2. Ancora sulle scuole russe in Lettonia


=== 1 ===


* raccolta U R G E N T E di firme per solidarieta' *

Le opinioni del giovane Pecha

Appello

Il prossimo 24 settembre, verrà processato a Praga un giovane di 26
anni, David Pecha. La sua colpa è quella di aver scritto su un piccolo
giornale di sinistra della Repubblica Ceca che "di fronte alle grandi
ingiustizie sociali, l'alternativa resta la dittatura del proletariato".

Il giovane Pecha, residente in Moravia, la zona economicamente e
socialmente più povera della Repubblica Ceca e militante del Partito
Comunista Cecoslovacco (una scissione del Partito Comunista di Boemia e
Moravia, presente in parlamento e seconda forza politica del paese)
nell'esprimere la sua opinione sulla grave situazione economica e
sociale del suo paese e del mondo, ha fatto proprie le tesi di Karl
Marx comparse sul "Manifesto" più di centocinquanta anni fa e ritenute
dal giovane Pecha ancora attuali.

L'accusa intende portarlo in tribunale per i reati di "apologia del
comunismo" e "istigazione all'odio di classe" ossia i classici reati di
opinione con cui i tribunali speciali hanno processato gli oppositori
politici in ogni quadrante del mondo.

Noi riteniamo grave che nella Repubblica Ceca, la quale si appresta ad
entrare nell'Unione Europea, si possa processare per reati di opinione
un oppositore politico. Tantopiù in un paese dove il partito comunista
è la seconda forza politica ed ha una consistente rappresentanza in
Parlamento.

Intendiamo inoltre denunciare l'ondata di isteria anticomunista che, a
quattordici anni di distanza dal 1989, sta dilagando come una sorta di
"vendetta postuma" in molti paesi dell'Europa dell'Est. Partiti di
sinistra vengono messi fuorilegge in Romania, ex Jugoslavia,
Repubbliche Baltiche. Dirigenti e militanti politici vengono
perseguitati. Le secessioni avvenute in questi paesi continuano a
provocare processi di apartheid e di pulizia etnica come in Lettonia o
nel protettorato NATO in Kossovo.

L'Unione Europea, così attenta a segnalare le violazioni dei diritti
umani e politici in ogni quadrante del mondo, sembra non voler vedere
cosa accade dentro di essa o nei paesi che si apprestano ad entrare
nell'Unione.

L'allarme che intendiamo lanciare con questo appello ha la pretesa di
voler inserire nell'agenda della costituzione politica dell'Unione
Europea un "buco nero" che rischia di approfondire il deficit
democratico con cui questo processo continua ad andare avanti.

Chiediamo che il processo al giovane David Pecha venga monitorato da
osservatori e giuristi a livello europeo per impedire che le opinioni
politiche diventino oggetto di persecuzione.

11 settembre 2003


Primi firmatari:

Sergio Cararo (giornalista)
Cynthia D'Ulizia (giornalista)
Fulvio Grimaldi (giornalista)
Rita Martufi (ricercatrice)
Emidia Papi (sindacalista)
Luciano Vasapollo (docente universitario)


Appello promosso da La Rete dei Comunisti

INVIARE LA PROPRIA ADESIONE A:
segreteria@...

Radio Citta' Aperta 
SITO: http://www.radiocittaperta.it


=== 2 ===


IN LETTONIA 10.000 PERSONE HANNO MANIFESTATO IN DIFESA DELLE SCUOLE
RUSSE

http://www.kprf.ru/actions/17997.shtml

 
Il sito internet del PCFR ha ripreso dal giornale “Sovetskaja Rossija”
del 6 settembre la seguente notizia

 
Giovedì sera nel centro di Riga si è svolta una manifestazione di massa
in difesa delle scuole russe, in cui dovrebbe essere reso obbligatorio
l’insegnamento nella sola lingua lettone. Circa 10.000 cittadini di
lingua russa della capitale lettone, studenti e insegnanti delle scuole
russe, rispondendo all’appello del “Centro per la difesa delle scuole
russe”, si sono raccolti nel parco “Esplanada” nel centro della città,
per affermare il proprio diritto a ricevere l’istruzione nella lingua
madre.

I partecipanti alla manifestazione hanno innalzato striscioni, in cui
era scritto in russo, lettone ed inglese: “La nostra lingua è il nostro
futuro”, “Le scuole russe sono la nostra Stalingrado”, “Lettonia:
vergogna dell’Europa”.

Dal momento che la Duma di Riga si è rifiutata di concedere il permesso
per lo svolgimento del meeting dei cittadini di lingua russa nel centro
della città, la manifestazione si è svolta sotto forma di incontro con
i loro elettori dei deputati al Seim e alla Duma di Riga appartenenti
al gruppo “ Per i diritti dell’uomo nella Lettonia unita” (il
raggruppamento di sinistra, di cui fanno parte i compagni del Partito
Socialista di Lettonia, nota del traduttore).

 
Traduzione dal russo di Mauro Gemma