Ricordando Sergio Manes
1) Addio al compagno Sergio Manes, instancabile militante e organizzatore di cultura (Alexander Höbel)
2) In memoria di Sergio Manes: il ricordo dei compagni de La Contraddizione
3) Il ricordo di Gianni Fresu
4) E' morto il compagno Sergio Manes, fautore della lotta ideologica attiva (Resistenze.org / Sergio Manes)
Sergio Manes, artefice delle Edizioni e del Centro Culturale Città del Sole, ci ha lasciati domenica 19 marzo.
Malato di tumore da tempo, era tuttavia sempre in prima linea con idee e proposte di iniziative – tra cui un progetto in fieri di convegno per il Centenario dell'Ottobre, che altri compagni seguiranno anche in sua memoria.
Con lui abbiamo realizzato importanti progetti, tra cui le pubblicazioni "Dossier Srebrenica", "Il corridoio" di JTMV e "Menzogne di guerra" di J. Elsässer, perle rare nel panorama editoriale fondamentalmente fascista dell'Italia all'inizio del XXI secolo.
Grande cuore napoletano, marxista-leninista intransigente, uno dei pochi italiani che negli anni Settanta poteva entrare in Albania senza il visto... Diceva di se stesso, citando una battuta del film di Sordi "Finché c'è guerra c'è speranza" che riguardava un personaggio suo omonimo, guerrigliero antimperialista: "Manes è dappertutto". Ed ora anche per sempre.
(a cura di AM per Jugocoord Onlus)
Altri link:
Napoli, è morto il compagno Sergio Manes (di Redazione Napoli, 19 marzo 2017)
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24 mar 2017
Addio al compagno Sergio Manes, instancabile militante e organizzatore di cultura
Alexander Höbel
Il compagno Sergio Manes, fondatore e anima del Centro culturale e delle Edizioni La Città del Sole, ci ha lasciato poche ore fa, all’alba di questo 19 marzo grigio e triste. Sergio è stato un comunista fino alla fine: un comunista mai riconciliato col mondo ingiusto, grande e terribile; un comunista da tempo “senza partito”, critico sincero dei nostri limiti, delle nostre inadeguatezze. Le sue critiche però non erano quelle di un compagno che sta alla finestra o davanti a un computer, ma quelle di un militante costantemente impegnato, sul versante della battaglia culturale e della continua organizzazione di luoghi e momenti di aggregazione, mobilitazione, crescita politica.
Sergio Manes aveva iniziato la sua militanza nel 1960, e raccontava spesso del suo fermo nel corso delle manifestazioni antifasciste di quel luglio, che anche a Napoli segnarono la discesa in campo di una nuova generazione di antifascisti e di comunisti. Sergio aderì al Partito comunista italiano, da cui uscì pochi anni dopo, condividendo la critica che intanto andava emergendo alla strategia togliattiana e che si saldò presto con la contestazione della linea del partito sovietico operata sul piano internazionale dai comunisti cinesi. Entrò dunque a far parte del Pcd’I m-l, collaborando alla rivista “Nuova Cultura” e fondando assieme ad altri il quotidiano “Ottobre” (in entrambi i casi direttore responsabile era Mario Geymonat). Anche in quella esperienza Sergio portò la sua grande attenzione al versante culturale della lotta politica: una concezione che conservò anche quando si allontanò dalla militanza di partito.
Nel 1989-90, in opposizione frontale alla liquidazione del Pci promossa da Achille Occhetto e dal gruppo dirigente della Bolognina, il compagno Manes rientrò nel Partito comunista italiano per partecipare alla battaglia del “fronte del No”, anche lì dando vita a bollettini, giornali, pubblicazioni. È in quella fase che ebbi modo di conoscerlo. Aveva saputo che nella sezione “Che Guevara” del Pci, nello stesso quartiere di Napoli in cui abitava, c’era un gruppo di giovani decisi a impegnarsi per il No allo scioglimento, e fu lui dunque a contattarci, per chiedere, confrontarsi; ne venne fuori un’intervista per un foglio che, se ricordo bene, si chiamava “Rosso di Sera”.
Poi Sergio aderì, come molti di noi, a Rifondazione comunista. E si impegnò sia sul versante politico della dialettica interna, sia nel tentativo di avviare un’iniziativa culturale ed editoriale che fiancheggiasse l’attività del Partito: le “Edizioni di Rifondazione comunista” però non nacquero mai. L’unica pubblicazione fu quella parte dei Manoscritti economico-filosofici di Marx intitolata Proprietà privata e comunismo. Sergio diede vita allora alle edizioni Laboratorio politico, e con quel marchio avviò un’intensa attività editoriale.
Poco dopo diede vita all’Associazione comunista “L’Internazionale”, e le nostre strade si incrociarono di nuovo. Sergio coglieva l’esigenza di noi compagni più giovani di imparare, discutere, approfondire, impegnarci nella battaglia delle idee. E per alcuni anni quella associazione, nella sede magnifica di Palazzo Spinelli, fu un punto di rifermento per tanti giovani e per i comunisti napoletani in generale: quelli che continuavano a militare nel Prc, ma anche tutti gli altri. Non mancarono gli scontri, anche forti, l’Associazione entrò in crisi. Poco dopo il compagno Manes abbandonò anche il Prc, per dedicarsi completamente alla battaglia culturale: una battaglia, però, sempre finalizzata alla politica, ossia alla trasformazione del mondo.
E proprio il suo impegno costante su questo versante ci portò di nuovo a incontrarci. Sergio intanto aveva dato vita a una nuova casa editrice, La Città del Sole, collaborando tra l’altro strettamente con l’Istituto italiano per gli studi filosofici, e negli anni Duemila promosse altre interessanti esperienze, quella del Centro studi sui problemi della transizione al socialismo (notevole il convegno di Napoli del novembre 2003, dal quale venne fuori il libro Problemi della transizione al socialismo in URSS) e quella dell’Archivio storico del movimento operaio napoletano, mentre il Centro culturale La Città del Sole costituiva una Biblioteca di grande interesse. Nuove generazioni di militanti, che si avvicinavano alla politica, trovavano in quelle strutture possibilità di formazione, dibattito, crescita. Intanto Sergio trovava il tempo anche per tornare a riflettere sul ciclo di lotte degli anni Sessanta e Settanta, sintetizzando le sue valutazioni nel libro Senza testa. Limiti e insegnamenti delle lotte degli anni ’60 e ’70, uno dei pochissimi suoi titoli pubblicati dalla sua casa editrice, che intanto arricchiva il suo catalogo di autori e testi di rilievo non solo nazionale.
La Città del Sole si è impegnata anche nel proseguire la pubblicazione delle Opere complete di Marx ed Engels nella loro traduzione italiana (importante, tra le altre, l’uscita nel 2012 di una nuova edizione del I Libro del Capitale, a cura di Roberto Fineschi), ma ha dovuto affrontare problemi sempre maggiori, di tipo logistico ed economico, incontrando una scarsa capacità di ascolto e di valorizzazione, a Napoli e sul piano nazionale, fino allo scontro col Comune per la sede concessa al Centro culturale, che proprio nelle scorse settimane è parso finalmente avviarsi a una soluzione.
Mi rendo conto di aver parlato tanto dell’attività di Sergio, e poco di lui. Forse perché proprio nella sua instancabile attività e capacità d’iniziativa e di lavoro Sergio metteva tanta parte di sé e ha messo tanta parte della sua vita. Ma non voglio che questo impedisca di dire qualcosa su di lui come persona: della sua schietta umanità, della grande ironia, del suo spirito profondamente napoletano, dell’intelligenza vivacissima, del “brutto carattere” che era poi una intransigenza assoluta verso opportunismi e pressapochismi, del suo essere sempre proiettato verso il futuro. Anche in questi mesi, quando, pur sapendo del male grave che lo aveva colpito, non si è stancato di proporre, incalzare, stimolare, per il futuro del Centro culturale e della Casa editrice, e intanto per quanto occorreva mettere in campo per il Centenario della Rivoluzione d’Ottobre (e su questo terreno un importante percorso unitario, di cui questo sito è uno dei primi frutti, è stato avviato).
Fino alla fine Sergio ci ha spronato, proposto, consigliato, spinto ad andare avanti. E ancora avanti cercheremo di andare, coi nostri limiti, anche nel suo ricordo, cercando di fare la nostra parte perché il suo grande lavoro sia ulteriormente sviluppato.
Alla sua famiglia, a sua moglie Liliana, ai figli Emiliano e Giordano, va intanto il nostro abbraccio commosso.
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In memoria di Sergio Manes
Il ricordo dei compagni de La Contraddizione per La Città Futura.
di La Contraddizione 25/03/2017
Difficile parlare di una persona conosciuta da sempre. Non c’è memoria distinta, infatti, del primo incontro, come del primo impegno culturale, politico, della prima militanza, dei primi pensieri tendenti al comunismo, del primo accesso ai livelli scientifici della transizione socialista, come dire insomma della teoria della rivoluzione iniziatasi più di cento anni fa. È come se Sergio fosse da sempre compresente a tutto ciò, alle battaglie sindacali, politiche, alle fasi propositive e a quelle recessive della nostra storia recente, con il suo instancabile fare, proporre, suggerire, lottare su tutti i terreni possibili per l’apertura di varchi ad una umanità meritevole di una destinazione di crescita razionale e di giustizia sociale. Le sue ultime parole per definire il comunismo sono state proprio tese a ribadire che infine, da qualunque versante lo si volesse considerare, avrebbe dovuto inevitabilmente sfociare nel diritto alla vita di tutti, e nella umanizzazione consapevole di una comunità mondiale in grado di soddisfare i bisogni storici della vita.
Nel suo modo di esprimersi, a metà scherzoso e a metà serio, era solito dire di avere tre figli: due in carne e ossa, amatissimi, e un terzo partorito come casa editrice di cui ha continuamente curato, non solo la nascita ma poi anche la crescita, concepita come erede naturale di tutte le pubblicazioni necessarie a informare scientificamente in senso lato, e in particolare sul pensiero socialista e comunista. Il mantenimento della memoria del sapere attraverso il libro, colto o divulgativo, specialistico o politico, nel momento in cui la lettura veniva meno, le case editrici storiche della sinistra sparivano una dietro l’altra, i classici del marxismo venivano mandati al macero o su qualche sparuta bancarella e le librerie che li tenevano vendute ad altre attività commerciali, significava scommettere sulla sopravvivenza, in questi lunghi tempi bui, della consapevolezza delle contraddizioni del sistema, del conseguente sfruttamento umano necessario al dominio di questo, della crescente distruttività legata al suo inevitabile progresso, infine della altrettanto ineluttabile tendenza alla sua fine e superamento in un altro modo di produzione.
Difficile parlare di Sergio Manes, nel senso che era stato capace di confondersi nei molteplici momenti di lotta sociale, nella storia delle trasformazioni del comunismo italiano e internazionale, solerte punto di riferimento di iniziative culturali e per pubblicazioni editoriali coraggiose, che altrove non avrebbero avuto spazio data la regressione sociale e politica di questi ultimi cinquant’anni. Come persona, pur essendo una individualità forte e spiccata, autorevole e tenace, non era schivo dal mostrare anche i lati più teneri, affettuosi e fragili legati agli affetti più cari, all’amicizia dei compagni considerata sempre come il bene più prezioso di cui avrebbe sentito una mancanza insopportabile semmai fosse venuta meno. Oggi a parlare a tutti di Sergio saranno le innumerevoli pubblicazioni della Città del Sole, che ci auguriamo possano continuare ad essere prodotte, proprio come lui auspicava, nell’ottica di una continuità non solo della sua lotta personale, ma soprattutto della necessità di resistenza sociale della cultura marxista di contro a ogni ostracismo opposto dal capitale. La “Città del Sole” non è soltanto stata la sua casa editrice, ma anche un centro stabile di incontri e dibattiti cultural-politici che Sergio ha tenuto caparbiamente a costituire a Napoli, nonostante tutti i tentativi di esproprio, i furti, le effrazioni e distruzioni subite, operate da riconoscibili ignoti mai efficacemente perseguiti, ad irrisione delle puntuali denunce effettuate.
La lunga collaborazione con l’associazione Contraddizione si è tradotta con la collana “Il socialismo scientifico” da cui è scaturito Laboratorio politico, la cui definizione era appunto la cifra costante di Sergio:“iniziativa militante che si pone –senza riproporre vecchie preclusioni e al di fuori di nuove divisioni – al servizio di una ripresa culturale e politica del movimento comunista… aperta ad ogni livello di contributo di tutti i militanti, poiché potrà raggiungere gli obiettivi per cui è nata solo con l’apporto e la collaborazione attiva di chi, con indomabile ostinazione, è impegnato più che mai a comprendere e trasformare la realtà, a battersi per realizzare i valori e gli ideali del comunismo”. Un’altra collana intitolata “Comunismo In/formazione”, sempre entro Laboratorio politico, ha affrontato diverse tematiche del presente sulla falsariga delle analisi marxiane, per attestarne e dimostrarne l’assoluta attualità e unicità analitica per la critica del presente. Inutile ribadire che senza la piattaforma e la disponibilità di questa casa editrice il lavoro profuso per i vari contributi non avrebbe mai visto la luce. Questa, inoltre, è stata la base anche per molte altre collaborazioni con docenti di ogni ordine e grado, riviste legate alla tradizione di sinistra, strutture sindacali, compagni sparsi e movimenti che faticosamente Manes ha continuamente ricercato, contattato, sollecitato e aiutato ad esistere. La casa editrice era il supporto e lo strumento che si attivava ovunque un nucleo di resistenza all’abbandono del comunismo si evidenziasse con le forze possibili ma reali.
Già dallo scorso anno Sergio aveva avviato i preparativi per una riflessione critica sulla rivoluzione d’ottobre in occasione, quest’anno, del ricorrere del suo centenario. Non si doveva trattare né di una commemorazione né di una celebrazione ritualistica, ma di una valutazione a più voci sul significato storico, sulla sua supposta attualità o meno, sulla sua permanenza nel presente, anche nei più giovani, e sulla sua forza ancora propositiva nelle contraddizioni di un imperialismo dei nostri giorni più avanzato e minaccioso. Seppure non riuscirà a vederne le conclusioni, tutti i compagni impegnatisi in quest’obiettivo nel portare a termine – forse in ottobre o novembre di quest’anno – sentono ora di proseguire i lavori anche in suo nome, come per tutte le altre iniziative e proposte che Sergio ha lasciato incompiute nella vita della sua terza, preziosa creatura. In essa si concretizza quella difficile sintesi di teoria e prassi che Sergio Manes ha mostrato come quella “cosa semplice difficile a farsi” [1].
Note:
[1] L’ultima citazione, per chi volesse apprenderne completamente il significato, non conoscendola, è la frase finale di B. Brecht in “Lode del comunismo”, 1933.
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Il ricordo di Gianni Fresu
Ho appena appreso della morte del mio caro amico Manes. Sergio non aveva un carattere facile, né amava le mezze misure, ma è stato un compagno instancabile, un editore coraggioso, leale e generoso come pochi. La sua creatura, “La città del sole”, senza risorse né santi in paradiso, in tanti anni ha pubblicato autori famosissimi come sconosciuti, dando al lavoro di tutti la stessa dignità e garantendo sempre lo stesso impegno editoriale. Ha reso disponibili grandi classici dimenticati e fuori catalogo, come opere nuove o inedite, fondamentali nel dibattito attorno al materialismo storico. Ci siamo conosciuti a Torino nel 1997, al Convegno per il sessantesimo anniversario della morte di Gramsci. Chiesi all’allora mio segretario regionale di essere mandato lì, anziché al Congresso dei Giovani Comunisti che si svolgeva contemporaneamente. In una di quelle giornate, al termine di una sessione di lavori nella quale il tema prevalente era l’esigenza tutta politica di separare Gramsci da Lenin con l’accetta, chiesi la parola e contestai in maniera abbastanza irrituale e dura quella lettura che ritenevo scorretta tanto sul piano filologico, quanto su quello dell’onestà politico-intellettuale. Subito dopo mi si avvicinò un uomo alto e con i baffi, che non aveva smesso di sorridermi da quel momento. “Io e te dobbiamo parlare” mi disse, quindi mi lasciò i suoi numeri, indirizzi e un malloppo di nuove pubblicazioni appena uscite. Così fu, ci incontrammo in una trattoria nel cuore di Napoli, confrontandoci anche duramente, fino litigare a voce alta su tante cose. Ben presto lo compresi, portare la discussione sul terreno sdrucciolevole del contrasto era un suo modo per studiare e capire chi aveva di fronte, quasi un esame. Nonostante una furibonda litigata sulla figura di Togliatti, nella quale non ci risparmiammo colpi bassi, diventammo molto più che amici. Sebbene fossi uno studentucolo senz’arte né parte, mi coinvolse da subito nelle iniziative della casa editrice, convegni, riviste, riunioni di gruppi e correnti marxiste-leniniste concluse a notte fonda, dopo aver smontato e ricostruito il mondo secondo la nostra “etica rivoluzionaria”. Per quanto potesse sembrare burbero e brusco nei modi, aveva in realtà una sensibilità e empatia umana capaci di sorprenderti. Ci sentivamo spesso, in interminabili telefonate nelle quali si parlava di tutto, dalla politica internazionale alla disastrosa situazione del nostro campo, dalle disavventure dei nostri rispettivi lavori all’uscita di nuovi libri interessanti o indecenti. Sebbene partisse dalla valutazione amara e sconsolata di una fase di riflusso e arretramento generalizzato, non dava il tempo per crogiolarti nella lamentazione passiva. In un secondo il suo tono di voce e ritmo nel parlare mutavano, come preso da una smania di azione irrefrenabile e da un entusiasmo giovanile, quindi ti travolgeva con idee, iniziative, progetti politico-editoriali. La mia partenza nel 2014 interruppe questa abitudine che assecondavamo con cadenza regolare, ma appena rientravo, dopo qualche giorno, ricevevo la sua telefonata: “ciao caro, hai due minuti per parlare…?" Anche l’ultima volta, mai avrei potuto immaginare sarebbe stata veramente l’ultima, quando mi ha parlato dei progetti per il centenario della Rivoluzione di Ottobre, del rilancio della casa editrice, di collaborazioni e rapporti con autori e editori brasiliani. Devo molto a Sergio, tantissimo, e la tristezza di questa pessima notizia è resa ancora più amara dalle migliaia di chilometri di distanza che mi impediscono di dargli il mio ultimo saluto. Addio Sergio, amico mio e compagno, non ho mai avuto l’occasione di ringraziarti abbastanza, anche perché mi avresti mandato a quel paese con una grossa risata. Grazie.
Gianni Fresu
March 19 2917 · Uberlândia, MG, Brazil
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www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società - 22-03-17 - n. 625Il compagno Sergio Manes è morto. Malato da tempo, si è impegnato sino all'ultimo nella grandiosa e lunga lotta per un cambiamento di società. Militante comunista, editore, patrocinatore di iniziative di studio e di ricerca (per esempio, il convegno del 2003 a Napoli sui problemi della transizione al socialismo in Urss), Sergio Manes, attraverso il Centro di Documentazione "La Città del Sole", ha fornito un contributo tangibile alla difesa e al rilancio dello studio del marxismo come strumento critico di comprensione della realtà e arma ideologica fondamentale per i militanti comunisti e le loro organizzazioni nella lotta di classe.
Lo vogliamo ricordare riproponendo un suo recente articolo, schiettamente critico rispetto il passato e il presente del movimento dei comunisti in Italia, in cui prova a indicare "l'unica strada praticabile: riappropriarsi dei propri strumenti teorici; farne un uso ad un tempo rigoroso e dialettico nel nostro tempo, formando una nuova generazione di quadri e di militanti; affrontare finalmente, con coraggio e sistematicità, una rilettura autocritica di tutta la propria esperienza novecentesca; provare ad articolare un "programma minimo" per questa fase dello scontro di classe con proposte, obiettivi e percorsi ragionevoli e praticabili."
Rivolgiamo ai famigliari e agli amici più stretti le nostre sincere condoglianze.
Ciao Sergio, che la terra ti sia lieve.
I compagni e le compagne del Centro di Cultura e Documentazione Popolare
20 marzo 2017
Per la lotta ideologica attiva
Sergio Manes
09/09/2016
I comunisti non si autocriticheranno mai abbastanza per aver disatteso - del tutto o quasi - l'esigenza di sottoporre ad analisi rigorosa i cambiamenti epocali della seconda metà del '900. Questa omissione ha impedito che l'esperienza ancora in corso del comunismo novecentesco - a partire da quella centrale dell'URSS - interpretasse pienamente e correttamente le trasformazioni in atto e individuasse linee capaci di resistere alle difficoltà insorgenti, ma anche di conquistare nelle condizioni in via di cambiamento nuovi traguardi all'altezza di quelli conseguiti fino a quel momento. Le conseguenze furono il crescente degrado teorico e il logorio politico di quelle esperienze fino al loro collasso.
Ma ce ne sono state altre che sono andate ben oltre il tempo della sconfitta e che ancora oggi pesano come macigni sulla speranza e sui volenterosi - ma confusi - tentativi di ripresa e di ripartenza. La inadeguata percezione dei cambiamenti in atto e il sostanziale vuoto di analisi innescarono una deriva - la cui responsabilità grava pesantemente sui gruppi politici dirigenti e ancor più sugli intellettuali comunisti - che lasciò e ancora lascia campo libero alla borghesia transnazionale sul piano strutturale e uno spazio immenso ad elaborazioni sia esterne alla tradizione marxista, sia vicine o perfino interne ad essa ma che fanno un utilizzo non rigoroso e coerente delle categorie e del metodo e che, nelle loro evoluzioni più mature, hanno portato infine a concezioni del tutto estranee alla concezione materialistica e dialettica del mondo e della storia.
Esse hanno, però - proprio per la loro sostanziale affinità con visioni interne al pensiero idealistico dominante e per la loro più semplice accessibilità - una capacità di suggestione e di convincimento che devia le analisi e le proposizioni di carattere politico di chi continua tuttavia a porsi soggettivamente - ma volontaristicamente - su un terreno alternativo e antagonista. Si pensi, ad esempio, alla deriva originariamente "operaista" la cui elaborazione del concetto di "operaio-massa" non poteva – nella sua forma matura e in presenza delle trasformazioni avvenute nella realtà produttiva e sociale - non sfociare che in quella della "moltitudine" che segna il definitivo abbandono - concettuale e politico, ancor prima che lessicale - della categoria di classe. Un approdo che sfugge al ben più arduo compito di ridefinirla nelle nuove condizioni, ma che porta a esiti aberranti.
Al suo seguito trovano spazio suggestioni soggettivistiche, che sembrano aderire più semplicemente al nuovo, ma che portano in sé l'eco dell'antica contrapposizione tra idealismo e materialismo, tra gradualismo e dialettica. Si riaffacciano in realtà vecchie ipotesi – per esempio, ma non solo, di impronta proudhoniana – che reintroducono opzioni strategiche, proposizioni e percorsi tattici, metodi e forme di lotta e di organizzazione che ben poco hanno più in comune con il pensiero e il metodo marxisti.
Le conseguenze sono devastanti: sfuma e finisce per sparire la contraddizione principale del rapporto tra chi produce la ricchezza e chi se ne appropria e, dunque, scompaiono le radici stesse dell'ineguaglianza e dell'ingiustizia, della loro riproduzione verso l'alto, del loro possibile rovesciamento dialettico: la necessità di una radicale trasformazione dei rapporti di produzione a seguito dello sviluppo incontenibile delle forze produttive.
Ne discende che cambiano inevitabilmente il terreno, i soggetti e le modalità dello scontro e del necessario salto di qualità: il luogo non è più quello della produzione; i soggetti non sono più i "borghesi" e i "proletari", i "capitalisti" e i "lavoratori", ma l'"imperialismo" e le "banche" da un lato e il "popolo" dall'altro, i "ricchi" e i "poveri"; lotta e obiettivi del cambiamento non sono fondati sull'unità organizzata e sull'internazionalismo militate degli sfruttati e degli oppressi del mondo in ragione delle radici comuni e delle cause materiali del loro sfruttamento e della loro oppressione, ma su una conflittualità diffusa, generalizzata e dispersa tra le strutture del privilegio e la massa indifferenziata delle moltitudini subordinate; alle forme organizzate - politiche ed economiche – della lotta per la trasformazione vengono preferiti strumenti "leggeri" - cangianti e variegati - di autorganizzazione "partecipata" e "democratica". Non si tratta affatto, dunque – come si favoleggia con irresponsabile leggerezza codina o con opportunistico feticismo per un "nuovo" sgrammaticato – di differenze meramente formali o lessicali.
I comunisti hanno avuto e hanno grandi difficoltà a contrastare questa deriva che ormai connota una parte maggioritaria delle esperienze di lotta di questo tempo e suggestiona anche organismi che continuano a schierarsi in campo comunista. Sfilacciata la dimestichezza con il metodo e le categorie interpretative, sacralizzata per superficialità o per opportunismo l'esperienza novecentesca, trascurate l'insorgenza e la crescita di queste diverse concezioni e metodi di lotta, assediati o minati al loro stesso interno da pulsioni democraticiste, compresi soltanto di sé e occupati piuttosto a dividersi settariamente e a riprodursi replicando all'infinito esperienze già dimostratesi inadeguate, hanno essi stessi dismesso o appannato i propri riferimenti teorici e smarrito qualsiasi legame con la classe di riferimento - di cui però pretendono astrattamente di continuare a rappresentare gli interessi - e arrancano ai margini dei cosiddetti "movimenti".
Tuttavia, in una situazione così difficile e di così lungo periodo ci sono ancora una speranza e una ragionevole possibilità di ripresa. Già il testardo e pur sterile arroccamento di questi anni testimonia nelle diverse realtà residuali - anche e non solo di provenienza Pci-Prc - se non altro una tenacia che deve però scrollarsi di dosso i vecchi e i nuovi schemi settari e autoreferenziali per liberare le potenzialità tuttavia esistenti. In questa prospettiva il dato positivo che bisogna cogliere e valorizzare è che intanto cominciano a far breccia gli sforzi dei pochi che ostinatamente continuano a indicare e percorrere concretamente - nei limiti del possibile - l'unica strada praticabile: riappropriarsi dei propri strumenti teorici; farne un uso ad un tempo rigoroso e dialettico nel nostro tempo, formando una nuova generazione di quadri e di militanti; affrontare finalmente, con coraggio e sistematicità, una rilettura autocritica di tutta la propria esperienza novecentesca; provare ad articolare un "programma minimo" per questa fase dello scontro di classe con proposte, obiettivi e percorsi ragionevoli e praticabili.
Tutto questo, però, rischia di restare puro e inutile esercizio intellettuale se non viene coniugato e verificato nella realtà viva dello scontro di classe che si sviluppa - pur se percepita in modo distorto e realizzata in maniera frammentata, dispersa e spesso incoerente - sulle condizioni materiali delle masse sfruttate e oppresse, sulle drammatiche contraddizioni reali derivanti dalle scelte imposte dal capitalismo transnazionale, sui retroterra ideologici di chi - comunque meritoriamente -suscita e orienta queste lotte a cui occorre portare il massimo contributo e il sostegno. Ma esserci non basta. Questo vuol dire che formazione, ricerca, analisi e proposizioni non possono essere studio avulso dal contesto reale, ma debbono essere impostati e sviluppati in funzione di esso.
E allora formazione, ricerca, analisi e proposizioni debbono essere centrate e finalizzate a riportare il terreno principale di scontro nei luoghi e sui modi della produzione; a riguadagnare la fiducia della classe lavoratrice nella prospettiva comunista e in chi opera a partire dai loro bisogni collettivi piuttosto che dai loro presunti diritti individuali; a ricostruire nelle nuove condizioni e con la lotta l'unità degli sfruttati e degli oppressi a livello nazionale e internazionale; a individuare e realizzare forme di lotta capaci di unificare questo esercito sterminato, in mille modi frazionato ma unito dalla comune condizione; a costruire forme stabili di organizzazione, al passo con la realtà materiale di oggi.
A questo scopo è anche utile e necessario aggredire criticamente analisi, posizioni e iniziative che vengono agitate sulla scena politica, che captano il consenso e indirizzano la conflittualità dei militanti: polemiche non demonizzanti ma intese, fornendo gli opportuni spunti critici, a problematizzare, a far discutere, a fare chiarezza, a formare maieuticamente i militanti. È giunto il tempo di scatenare tra gli stessi comunisti, ma anche tra coloro che si ispirano ancora ad orizzonti anticapitalisti, una seria lotta ideologica attiva e dedicare ad essa energie e risorse.