Informazione

Avv. Pasquale Vilardo

Diritto e societa'
LA GUERRA ALLA REPUBBLICA DI JUGOSLAVIA E' STATA ILLEGALE

da "La Voce del G.a.ma.di.", dicembre 2001



L'8 ottobre 2001 la Sesta Sezione Penale della Corte di
Cassazione ha depositato la sentenza n.96274/01 con la
quale rigetta il ricorso avverso il decreto di archiviazione
del Tribunale dei Ministri di Roma del 26/10/1999 nei confronti
di Massimo D'Alema quale Presidente del Consiglio denunciato
per avere posto in essere una guerra illegale (1).

Il rigetto avviene per motivi meramente formali, in quanto
non si ritiene che i denuncianti - diverse centinaia,
tra cui vari parlamentari - avessero diritto di essere
informati della richiesta di archiviazione del Procuratore
della Repubblica di Roma in data 1/7/1999 per potere cosi'
presentare memoria di opposizione.

Ma nella sostanza giuridica in realta' le denunce
presentate dinanzi a ben 14 Procure della Repubblica
subito dopo l'inizio dei bombardamenti del marzo 1999
trovano piena legittimazione da parte dei massimi organi
dell'Autorita' Giudiziaria interessati: il Collegio
per i reati ministeriali presso il Tribunale di Roma, la
Procura Generale presso la Corte di Cassazione, la
Corte di Cassazione stessa. Infatti il presupposto
giuridico per cui il Procuratore della Repubblica di
Roma dott. Vecchione il 1/7/1999 le ritenne manifestamente
infondate e' che (cosi' scrive testualmente):

"I fatti oggetto di doglianza presentano connotati che
non possono essere ricondotti alla giurisdizione della
magistratura ordinaria: essi, infatti, sono riferibili
a interessi politici a interessi politici essenziali
dello Stato e a scelte di valenza squisitamente
costituzionale eseguite per effetto di impegni assunti
nell'ambito di organismi internazionali (sicche' l'A.G.O.
verrebbe a compiere valutazioni sui contenuti di impegni
e obblighi conseguenti a trattati internazionali; cosi'
travalicando, paradossalmente, addirittura il principio
di sovranita')."

Il collegio per i reati ministeriali invece disattende
questo assunto della Procura romana ed afferma in
positivo la giurisdizione della magistratura italiana
che e' pienamente legittimata a valutare se il governo
D'Alema ha violato le leggi sulla guerra ed eventualmente
a processarlo. Su questa linea si muovono anche la Procura
Generale e la Corte di Cassazione; dunque e' stato
legittimo denunciare il governo e chiedere alla
Autorita' Giudiziaria un conseguente processo.

Il Tribunale dei Ministri pero' - dopo questa
importante affermazione di principio - ritiene che
l'Art. 78 della Costituzione non sia stato violato
in quanto (cosi' scrive testualmente):

"Risulta dal tenore di alcune delle denunce depositate
e dai documenti ad esse allegati che il Presidente del
Consiglio pro tempore ha sottoposto al preventivo
controllo del Parlamento (a mezzo di pubblico dibattito,
concluso con rituali dichiarazioni di voto) la
deliberazione dell'intervento in Kosovo."

Il che, francamente, non risulta da nessuna parte:
ne' dalla denuncia dei giuristi di Rifondazione, ne'
nei resoconti parlamentari (attentamente letti da
un magistrato di provata serieta'), ne' dalle cronache
dei giornalisti, ne' dalle testimonianze di numerosi
parlamentari: non soltanto i "nostri" parlamentari
(per tutti: Nichi Vendola, che su Liberazione del
30/12/1999 scrive un pezzo in proposito), ma anche
quelli della maggioranza governativa (lo stesso
sottosegretario alla Presidenza del Consiglio On.
Minniti, secondo un articolo del "Corriere della Sera"
del 30/6/1999) e persino del centro-destra (il
senatore Milio, ad esempio).

Questo a tacere delle recenti ed esplicite
ammissioni dello stesso D'Alema e di esponenti DS
che addirittura riferiscono che il governo D'Alema
venne messo in piedi nell'ottobre 1998 per...
fare la guerra (2)! Con tanti saluti per i pretesti
della NATO e per i diritti delle Camere.

La revoca del decreto di archiviazione

Vi sono tutti i presupposti, dunque - non solo di
verita' storica, o etnici, ma propriamente tecnico-
giuridici - perche' il decreto di archiviazione del
Tribunale dei Ministri emesso il 26/10/1999 venga
revocato e perche' l'Autorita' Giudiziaria accetti
finalmente che la guerra intrapresa nel marzo 1999
e' avvenuta in spregio ai principi fondamentali del
nostro ordinamento giuridico, e quindi in condizioni
di illegalita'.

La condizione per cui il Procuratore della Repubblica
di Roma puo' richiedere la revoca e' la sopravvenienza
di nuove prove: e qui ce ne sono a iosa, basti
pensare alle ammissioni di D'Alema e di esponenti DS.
Inoltre vi e' l'esigenza ormai ineluttabile che
l'Autorita' Giudiziaria si pronunci senza ambiguita'
nell'indicare quali sono i principi e le procedure da
osservare nel caso di guerra.

Ben lungi dall'essere stato un'eccezione, l'intervento
militare contro la Repubblica Federale di Jugoslavia
ha aggravato tutti i problemi dei Balcani e la
disinvoltura legale del governo D'Alema si presta a
diventare un precedente pericoloso nello scenario
di nuove guerre in cui il mondo intero e il nostro
paese sono ormai immersi.

Le modalita' stesse per fare la guerra si aggravano
continuamente: gia' la vicenda disumana dell'uranio
impoverito diviene una bazzecola a fronte di chi
farnetica ormai sull'uso di armi atomiche.

Il vasto movimento di giuristi contro l'illegalita'
della guerra deve dunque mobilitarsi ancora perche'
gli strumenti legali ci sono, a cominciare da quelli
consentiti dal nostro ordinamento, e poiche' -
come abbiamo visto - vi sono organi giudiziari che
non hanno interpretato il loro ruolo istituzionale
con il necessario rigore giuridico occorre anche
una mobilitazione politica che sappia richiamare
questi organi al loro dovere.

La magistratura ordinaria puo' fare davvero molto
sia nel valutare la legittimita' della guerra,
sia per valutare i singoli aspetti, come ad esempio
la vicenda dell'uranio impoverito. Ma occorre
sottrarla all'influenza nefasta dei poteri forti e
ricordarle che principi-cardine del nostro
ordinamento sono l'uguaglianza dei cittadini
dinanzi alla legge e l'obbligo dell'azione penale.

Poteri forti anche di livello internazionale, se e'
vero che chi vuole le guerre e' poi lo stesso che
sinora ha impedito l'entrata in vigore della Corte
Penale Internazionale, il cui statuto e' stato
adottato dalla Conferenza Diplomatica dell'ONU di
Roma sin dal 17/7/1998.




(1) Per il testo della sentenza della Corte di
Cassazione si veda:
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1389

(2) Cfr. "La vigilia della guerra" di D. Gallo
su http://www.lernesto.it/5-00/Gallo-5.htm oppure su
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/823 .
La tesi e' confermata anche da lettere di Francesco Cossiga
ai giornali, si veda ad esempio:
http://groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1067

INTERNACIONALA - L'INTERNAZIONALE
(Pierre Degeyter / A. Degeyter)

"The International"
as performed by The Artistic Ensemble of the
Yugoslav Peoples Army's Home - Belgrade:

> http://www.titoville.com/sound/internacionala.pjevano.mp3


Ustajte, prezreni na svijetu,
vi suzznji koje more glad!

To razum grmi u svom gnjevu,
kraj u ognju bukti sad!
Prosslost svu zbrissimo za svagda,
ustaj, roblje, dizzi se!
Sav svijet iz temelja se mijenja,
mi nismo nissta, bic'emo sve.

To c'e biti poslednji
i odluccni tesski boj,
sa internacionalom
slobodu zemlji svoj!

= * =

Compagni avanti! Il gran partito
noi siamo dei lavorator.
Rosso un fiore in petto c'e' fiorito.
Una fede c'e' nata in cor.

Noi non siamo più nell'officina
entro terra, pei campi, in mar,
la plebe sempre all'opra china
senza ideali in cui sperar.

Su lottiam l'ideale
nostro alfine sara'.
L'Internazionale
futura umanita'.

Un grande stendardo, al sol fiammante,
innanzi a noi glorioso va.
Noi vogliam per esso giu' infrante
le catene alla libertà.

Avanti avanti! La vittoria
e' nostra: e' nostro l'avvenir!
Piu' civile e giusta la Storia,
un'altra era sta per aprir.

Largo a noi! All'alta battaglia
noi corriamo per l'ideal.
Via, largo! Noi siam la canaglia
che lotta pel suo Germinal!

Su lottiam l'ideale
nostro alfine sara'.
L'Internazionale
futura umanita'.

Su lottiam l'ideale
nostro alfine sara'.
L'Internazionale di Lenin
futura umanità.

...con lo scandalo dell'uranio impoverito (DU).

Messo presto a tacere sui media, il problema era stato poi goffamente
insabbiato grazie ad una relazione "ad hoc" della "commissione
Mandelli"...

Il prof. Mauro Cristaldi ci segnala il seguente articolo
apparso su "L'UNITA'" di oggi 31.12.2001:

===*===

Ricordate l'allarme sulle armi all'uranio impoverito, che avrebbero
provocato tumori e leucemie nei soldati italiani reduci dalla guerra del
Kosovo, salvo poi essere ridimensionato dalle conclusioni della
"Commissione Mandelli" istituita dal Ministero della Difesa?

Se ne e' riparlato nelle scorse settimane a Praga, in occasione della
conferenza internazionale "Facts on Depleted Uranium" organizzata dalla
Associazione "Res publica". Con riferimento anche alla guerra in
Afghanistan. Fra gli oltre quaranta esperti provenienti da diversi paesi
europei, da Canada e Giappone, c'era il prof. Mauro Cristaldi, del
Dipartimento di Biologia Animale e dell'Uomo dell'Università "La
Sapienza" di Roma, in rappresentanza dell'associazione "Scienziate e
scienziati contro la guerra".

"La gran parte delle relazioni - ci dice Cristaldi - evidenziava i danni
da contaminazione da uranio impoverito e contrastava la minimalizzazione
del rischio portata avanti dai governi e dalla stessa IAEA
(International Atomic Energy Agency) nella relazione del suo delegato.
Gran parte delle evidenze sulle conseguenze dell'uso dell'Uranio
impoverito provengono dall'Iraq". L'attacco più massiccio della storia
con dispositivi all'Uranio impoverito è quello subito nel 1991
all'Iraq e dal Kuwait durante la guerra del Golfo da parte delle forze
aeree anglo-americane, che ha determinando conseguenze epidemiologiche
ancora in parte sconosciute. Nella guerra del Golfo, secondo l'U.S.
Army Environmental Policy Institute, nel corso delle operazioni Desert
Storm e Desert Shield sono state utilizzate piu' di 940.000 pallottole
da 30 millimetri appesantite con Uranio Impoverito e piu' di 14.000
proiettili di grande calibro. Almeno 350 tonnellate di particelle e
polveri di Uranio Impoverito sono state dispersa sul suolo del Kuwait,
dell'Arabia Saudita e dell'Iraq.

"A Praga il Prof. Albrecht Schott, chimico del Word Depleted Uranium
Center di Berlino - continua Cristaldi - ha sottolineato la capacità
mutagena dell'uranio impoverito, evidenziando la capacità di formare
rotture a doppia elica sul DNA senza possibilità di riparo. E i
possibili effetti di un'informazione genetica alterata sono tristemente
noti: tumori, leucemie e quant'altro, compresa la trasmissione di un
carico genetico alterato sulle generazioni future. Schott ha diffuso una
risoluzione per bandire l'uranio impoverito su scala globale. Dai
Williams, psicologo britannico della Eos Career Services, ci ha mostrato
uno studio sugli armamenti usati in Afghanistan nei quali è contenuto
Uranio impoverito, confermando l'uso illegale di questi dispositivi
anche in questa guerra".

Per quanto riguarda il contingente italiano che ha preso parte alle
operazioni belliche in Kosovo, un recente studio del laboratorio di
epidemiologia e biostatistica dell'Istituto superiore di Sanita' ha
rivelato un "eccesso di linfoma di Hodgkin" (11 casi osservati su 3,6
attesi), che "merita di essere analizzato attentamente" perche', dice lo
studio, la correlazione tra malattia ed esposizione dei militari, pur
non essendo dimostrata, "non puo' essere esclusa".

Timori confermati dall'ingegnere nucleare Massimo Zucchetti, del
Politecnico di Torino, anche lui dell'associazione "Scienziate e
scienziati contro la guerra", che ha fatto parte, assieme a Cristaldi,
della commissione scientifica di parte del Tribunale Clark per i crimini
della NATO in ex Jugoslavia. Secondo Zucchetti gli effetti dell'uso
dell'uranio impoverito nella Guerra nel Kosovo porteranno "da 2.500 a
5.000 tumori in piu' nei prossimi 50 anni, di cui fino a 4.200 letali":
in media circa 50-100 tumori in piu' ogni anno, oltre a circa 1.000
"effetti ereditari". Del resto la stessa commissione istituita nel 1999
dal Ministero della Difesa per indagare sull'incidenza di neoplasie
maligne tra i militari impiegati in Bosnia e Kosovo e coordinata
dall'oncologo Mandelli, ha dovuto correggere il tiro nella sua seconda
stesura, a seguito della segnalazione, da parte del prof. Bartoli
Barsotti dell'Universita' di Torino, di un errore statistico. Il primo
rapporto infatti si era concluso con una sostanziale assoluzione dei
rischi connessi all'esposizione dei militari all'Uranio.

"Nella mia relazione a Praga - conclude Cristaldi - ho sottolineato,
come nostra peculiarità, il lavoro interdisciplinare effettuato per
preparare la perizia tecnica di parte per la denuncia sull'uso
dell'Uranio impoverito inoltrata alla Procura dal Tribunale Clark;
inoltre ho messo in evidenza il lavoro di quantificazione dosimetrica
effettuato con Zucchetti e l'ultimo lavoro di Iannuzzelli,
dell'associazione Peacelink, sui militari portoghesi, che ha determinato
il ritiro del loro contingente dai Balcani: vi è pubblicato il corredo
cromosomico alterato di un militare".

Lucio Biancatelli

BOX

L'uranio impoverito è un metallo pesante, radioattivo e altamente
tossico, grazie ad un'azione combinata di tipo chimico e fisico. Una
volta liberato in atmosfera, esso rimane nell'ambiente per un
lunghissimo periodo di tempo causando un inquinamento persistente del
suolo e delle acque. I suoi tempi di dimezzamento sono di circa quattro
miliardi e mezzo di anni. Dei 697.000 soldati USA che hanno combattuto
nel Golfo, più di 90.000 hanno accusato problemi medici. Nei tre siti
del Dipartimento dell'Energia USA (in Kentucky, Ohio e East Tennesse
Technology Park) giacciono circa 476.000 tonnellate di uranio
impoverito, conservati in condizioni dubbie. Una risoluzione Onu del
1978 bandisce tutte quelle armi votate alla "distruzione di massa",
quali quelle nucleari, chimiche, a frammentazione, biologiche e
all'uranio impoverito.

===*===

LINK CONSIGLIATI:

http://www.gulflink.osd.mil/du/

http://www.du.publica.cz

http://www.ahriman.com

http://www.cdi.org

http://www.peacelink.it

Si veda anche il fascicolo di Tribuna Biologica e Medica con la
monografia sul DU:

http://medicalsystems.editoria.com
e
http://www.medicalsystems.it

TITO, STALIN E... TOGLIATTI

Sulla necessita', per l'oggi, del dibattito a proposito del 1948


-------- Original Message --------
Subject: Tito e Stalin
Date: Mon, 24 Dec 2001 13:02:59 +0100
From: "huambo1"

Cari compagni vedo che avete posta una intervista
dibattito Tito Stalin (1) il che fa prevedere 2, 3...
insomma come con Bin Laden a spasso nei Balcani 1
2 3.

Io capisco la necessità di vedere la storia del campo
socialista, non so quanto sia proficuo farlo in questo
momento e in questa situazione, su una lista, non
vorrei che ripigliassimo a scannarsi fra stalinisti
e così via proprio ora in questo momento.

Forse sarebbe più utile nell'interesse di tutti
guardare ai problemi di ora, visto che in guerra
stiamo, alla faccia della costituzione, pure se abbiamo
un paese che, salvo rare eccezioni, non si sente in
guerra per niente.

Credo che questi sarebbero i problemi da affrontare
insomma non girare sempre col collo torto e magari
rivangare pure Cucchi e Magnani. Non mi sembrano queste
le cose prioritarie in questa fase.

Magari è più importante far capire come la sconfitta
della Jugoslavia abbia permesso l'allargamento della
guerra totale e l'imposizione di una pace dura dura dura.

Qui tutto il mondo sta esplodendo dalla Palestina
alla Argentina passando per l'Afganistan e noi parliamo
ancora di Stalin e Tito, di Cucchi e Magnani. (...)

(Vittoria)


===*===


PERCHE' UN DIBATTITO SULLA SPACCATURA DEL 1948, OGGI?

Le perplessita' di Vittoria sulla nostra scelta di iniziare
una serie di approfondimenti sulla spaccatura tra comunisti,
avvenuta nel 1948, sono comprensibili. Si tratta ovviamente
di un argomento molto delicato. Tuttavia, quali sarebbero i
"tempi" ed i "modi" giusti per addentrarsi in questo dibattito,
che in piu' di 50 anni non e' mai stato realmente affrontato?


1. Il trauma irrisolto dei comunisti italiani

Della rottura tra Jugoslavia e Cominform, delle sue cause e
delle sue implicazioni, in Italia si e' parlato pochissimo
in questi decenni. Gia' il movimento di Cucchi e Magnani ebbe
un carattere sostanzialmente testimoniale, e con la morte di
Stalin apparentemente il trauma era superato.

In realta', invece, il trauma non fu superato per niente, e
probabilmente fu proprio l'Italia ed il movimento comunista
italiano a subire le maggiori conseguenze, di carattere
strettamente politico oltreche' ideologico, in seguito a
quella spaccatura.

Infatti con la rottura furono rescissi tanti legami tra comunisti
italiani e comunisti jugoslavi - di ogni nazionalita', compresi
dunque gli jugoslavi di nazionalita' italiana presenti in Slovenia
e Croazia, la cui bandiera e' rimasta in tutti questi decenni il
tricolore bianco, rosso e verde con la stella rossa al centro.
Ma questi legami erano in gran parte i gangli nei quali scorreva
la linfa dell'Italia partigiana, dell'Italia dell'antifascismo
combattente.

I cimiteri, nei quali a centinaia sono sepolti i partigiani
jugoslavi che combatterono sulla penisola italiana - soprattutto
nel centro Italia, ad esempio a Visso nelle Marche - rimasero
da allora spogli e dimenticati. Nella Associazione Nazionale
Partigiani d'Italia (ANPI) ando' affermandosi sempre piu'
una linea "nazionale", politicamente "laica", dimentica dei
rapporti di fratellanza internazionalista con i combattenti
all'estero, dimentica dei partigiani stranieri che combatterono
in Italia e, spesso, dimentica anche dei partigiani italiani
che combatterono all'estero.

A questo si accompagno' l'atteggiamento del Partito Comunista
Italiano. Il PCI nel 1948 ruppe in maniera drastica con la
Jugoslavia, espulse o radio' i suoi membri "meno convinti",
inizio' - soprattutto tramite il leader triestino Vittorio
Vidali - una vera e propria guerra fredda contro i comunisti
titoisti. Ovviamente, lo stesso (anzi: il simmetrico) successe
in Jugoslavia, in particolar modo al confine con l'Italia.
Ma in questa sede e' dell'Italia che bisogna parlare. Se
infatti "ragioni" per quella rottura si possono trovare
nell'una e nell'altra parte - nel Cominform, preoccupato
di questioni di rilevanza strategica, e nella Jugoslavia,
gelosa della propria indipendenza e dei propri ideali -,
la dinamica ed il riflesso di quella rottura per l'Italia
furono di ben altra natura. La adesione automatica di
Togliatti alla posizione cominformista non aveva infatti
ragioni dirette o spiegabili nel nostro paese, e percio' fu
un trauma: segno di una obbedienza aprioristica, determino'
la natura stessa del PCI ed il suo modo di stare nella
scena politica italiana.


2. La questione di Trieste

Nella zona di Trieste si susseguirono i pestaggi tra
comunisti, e questo - si badi bene - proprio mentre fascisti
e nazionalisti italiani organizzavano la "riscossa" che nei
primi anni Cinquanta sanci' la annessione di Trieste
all'Italia.

Le circostanze storiche, la particolarissima situazione
internazionale determinarono in pratica una convergenza
utilitaristica tra nazionalismo italiano e comunismo
italiano. L'atteggiamento di Togliatti rispetto ai fatti di
Trieste, agli scontri causati da fanatici di destra contro
le truppe alleate in favore di "Trieste italiana", fu il
seguente: "Non possiamo lasciare la questione nazionale
appannaggio della destra". Vale a dire: dobbiamo inserirci
nel contendere e fare anche nostra la causa di "Trieste
italiana" - posizione che peraltro contraddiceva nettamente
atteggiamenti e direttive assunte nel periodo bellico.
Usando la nostra speciale posizione di comunisti, che ci
consente di mediare e trattare con gli jugoslavi, ne
trarremo beneficio dal punto di vista della legittimazione
istituzionale e della forza contrattuale in patria.

Tito e la Jugoslavia accettarono di buon grado la mediazione
di Togliatti, e presto abbandonarono ogni rivendicazione su
Trieste - che pure avevano liberato nel 1945 - per il bene,
essenzialmente, della distensione internazionale. Da un certo
punto di vista fu un atto di generosita', poiche' a
Trieste/Trst la popolazione di lingua slava era ed e' una
grande percentuale degli abitanti, soprattutto nei quartieri
popolari, per non parlare di tutte le periferie e dei sobborghi
carsici che sono tuttora di lingua slovena. Inoltre, un
"diritto" su Trieste si poteva attribuire alla Jugoslavia
per ragioni storiche legate alla italianizzazione forzata
degli sloveni (dalla prima guerra mondiale in poi), ed ai
crimini del fascismo, che nel 1941 arrivo' ad occupare persino
Lubiana, incendiando paesi, fucilando in massa i civili,
rinchiudendoli in lager come quello di Rab/Arbe, eccetera.
Infine, una Trieste jugoslava sarebbe stata un ulteriore
tassello nella composizione internazionalistica, pluri-
lingue e multinazionale di quel paese - la Repubblica
Federativa Socialista di Jugoslavia - non fondato sulla
identita' nazionale (come e' invece adesso per gli
statarelli nei quali l'Occidente l'ha voluto smembrare)
ma bensi' sul comune impegno nella costruzione del
progresso civile e morale, nell'Unita' e nella Fratellanza.

Insomma: Trieste poteva essere jugoslava, e non lo fu. In
questo passaggio le scelte di Togliatti furono quelle
determinanti.


3. Sono maturi i tempi per parlarne?

Divisa tra anticomunisti - e quindi antijugoslavi - e
comunisti di tradizione cominformista - e quindi
antijugoslavi - l'Italia in tutti questi decenni e' stata
ostile alla Jugoslavia al cento per cento. Questa ostilita'
fu alimentata dal "carsico" riaffiorare dei traumi della
guerra e del dopoguerra: l'esodo da Istria e Dalmazia (1),
le notizie dei crimini commessi o presunti (2). Essa fu poi
alimentata dalla Guerra Fredda: in questo, la posizione
jugoslava di non-allineamento aiuto' poco, anzi per i
comunisti italiani, filosovietici, non fu di alcun aiuto.

E' proprio da questa ostilita' generalizzata, da questo
atteggiamento preciso dei comunisti italiani dal 1948 in poi,
che ha origine anche la assoluta mancanza di comprensione
della guerra fratricida scatenatasi nel 1991.

Nelle file del PCI, infatti, sedevano (e siedono ancora oggi
nelle file di vari gruppi parlamentari) quei personaggi -
qualcuno persino di origine giuliana, slovena, istriana,
eccetera - che curarono i rapporti internazionali
del PCI e dunque ben conoscono vicende, persone, luoghi,
tendenze e problematiche politiche dell'area jugoslava -
per non parlare dell'insieme dei paesi socialisti, e del
loro crollo. Ebbene: dove sono state tutte queste persone,
in questi anni? (3)

Dove sono i partigiani che avrebbero potuto raccontarci la
Guerra di Liberazione in Jugoslavia, il nazifascismo in quelle
terre e la questione delle nazionalita'? Perche' nessuno ha dato
la parola a chi conosceva divisioni e problemi dei comunisti
jugoslavi? Perche' nessuno ha chiesto la opinione dei
comunisti jugoslavi sullo sfascio del loro paese?

Dalla questione di Trieste in poi, si puo' dire che
sia stato il PCI a "garantire" il sistema istituzionale
del nostro paese. Questo nonostante il gioco sporco,
sporchissimo, della controparte. Non e' questa la sede
per esprimere valutazioni in merito, tantomeno con il
senno di poi. Quello che preme sottolineare e' che
l'atteggiamento tenuto nei confronti dei vicini di casa
jugoslavi in questi decenni ha qualcosa, anzi ha molto a
che fare con questa cieca fedelta' del PCI al sistema
repubblicano, con la incapacita' di parlare della "guerra
civile strisciante" pure in corso: stragi, poteri occulti,
e cosi' via. Fino al recente passaggio alla "Seconda
Repubblica" presidenzialista, di piduista memoria, ed alla
svolta bellica e neocoloniale del nostro paese, svolta della
quale le "sinistre di governo" portano una responsabilita'
totale ed indiscutibile.


4. Il dibattito

Persino a prescindere, dunque, dall'interesse storico delle
testimonianze sulla spaccatura tra Tito e Stalin, ed a
prescindere dalle implicazioni internazionali e geo-politiche
di quelle vicende, lo scambio iniziato su questa lista
potrebbe essere utile ad agevolare una "psicanalisi"
collettiva dei comunisti italiani. Essendo state superate
le condizioni storiche in cui si generarono quelle
contraddizioni tra comunisti di vario orientamento, si puo'
oggi arrivare, tra chi ancora si dice comunista, ad una sintesi
condivisa nell'interpretazione di quella storia. Si badi bene: non
della storia jugoslava nel suo complesso, ne' della guerra fredda
o dei movimenti comunisti che hanno animato il pianeta in tanti
decenni, ma di *questa* specifica vicenda della spaccatura del
1948, e dei sui riflessi per la Jugoslavia, per l'Italia, e per
i reciproci rapporti.

Questa "psicanalisi", per le ragioni di cui sopra, e' in particolar
modo utile per i comunisti italiani, oggi - nonostante il mutamento
radicale della situazione - ancora in cerca di una narrazione
propria, e condivisa, della loro stessa storia.
Pure la attuale in-capacita' dialettica dei comunisti di ogni
appartenenza, e tante continue spaccature di natura effimera,
specialmente in ambito extraparlamentare, derivano in gran parte
dalla non abitudine a contestualizzare le vicende legate alla propria
attivita' ed alle proprie scelte, a non inquadrarle nel fluire
degli eventi, a non usare cioe' l'analisi scientifica, materialista-
storica e materialista-dialettica, autoimprigionandosi cosi' in
posizioni, "frasi", cristallizzate, di natura sostanzialmente
idealistica (4). Dalle analisi "cristallizzate" sarebbe invece
ora di passare alle analisi "cristalline", superando rimozioni e
sensi di colpa che non hanno ragioni, ed impegnandosi finalmente
nel serio approfondimento, e nella lotta conseguente.

Italo Slavo, Roma, 29/12/2001


NOTE:

(1) Le ragioni dell'esodo furono molteplici, ma sicuramente esso
non fu dovuto ad una ostilita' di carattere nazionalitario: da
una parte, il moto migratorio dalle campagne alle citta' in
quell'epoca era generalizzato, e comporto' ad esempio anche la
emigrazione di triestini ed istriani verso citta' industriali
piu' grandi, ed anche verso l'estero; dall'altra, si sovrapposero
ragioni di carattere politico-ideologico (anticomunismo, accuse
di collaborazionismo, eccetera) che poco avevano a che vedere
con la identita' nazionale, tanto e' vero che in quel periodo
Trieste pullulava di esuli sloveni, croati e serbi legati
ai movimenti fascisti e nazisti delle loro terre.

(2) Durante la Seconda Guerra Mondiale, dopo l'8 settembre,
Trieste ed il suo entroterra divennero parte della regione del
Terzo Reich denominata "Adriatisches Kuestenland". In questa
regione il collaborazionismo - di ogni "etnia" - si rese
responsabile di crimini facilmente immaginabili. La risposta
a tutto questo, da parte dei partigiani, fu quella necessaria
ed adeguata (cioe' anche cruenta, talvolta) ed occasionalmente
sconfino' nella vendetta. A ben vedere, le vendette contro i
nazifascisti causarono assai meno lutti nella regione giuliana
di quanto nello stesso periodo non successe, ad esempio, in
Piemonte od in Emilia-Romagna. Eppure, per le ragioni legate
alla guerra fredda ed alla ostilita' antijugoslava presente
in Italia, sui media italiani la questione delle "foibe"
assunse per la pubblica opinione italiana connotati abnormi,
legandosi alle operazioni di guerra psicologica dei servizi
segreti, alle azioni della Gladio e della Decima Mas. Questa
campagna riprese particolare enfasi dopo il 1991 come forma
di pressione su Slovenia e Croazia (cfr. C. Cernigoi, "Operazione
Foibe a Trieste", ed. KappaVu, Udine 1997). Si noti per inciso
che, mentre la campagna sulle "foibe" - peraltro iniziata gia'
sulla stampa dell'Adriatisches Kuestenland come mezzo di
propaganda - arriva a lambire persino l'insegnamento nelle
scuole dell'obbligo, nella stessa Italia vengono regolarmente
sottaciuti gli episodi relativi ai crimini di guerra italiani
in Slovenia ed in tutti i Balcani, e raramente si parla di
quanto successe nel campo di concentramento nazista della
Risiera, proprio dentro la citta' di Trieste. Anche per questa
mancata conoscenza dei crimini di guerra italiani durante la II
Guerra Mondiale, il PCI ed i suoi eredi portano gravi
responsabilita' di carattere, culturale, politico e civile.

(3) Forti delle loro conoscenze e delle loro frequentazioni,
in Italia ed in Jugoslavia, questi personaggi si sono
messi a lavorare oppure sono stati in vario modo utilizzati
dal sistema della informazione: nella RAI, ne "l'Unita'",
nelle Fondazioni ed in varie strutture universitarie, ma
anche nelle piccole radio o nelle iniziative del pacifismo
e dell'associazionismo. Sono questi che hanno costruito, o
almeno avvalorato, la "chiave di lettura" prevalente della
guerra fratricida come guerra etnica, o guerra di aggressione
serba, o guerra per la autodeterminazione dei tizi oppure
dei caii - mai e poi mai dei sempronii!
Sono questi i personaggi che "fanno" materialmente, oggi, la
diplomazia italiana in quelle terre, e che mediano percio'
anche la riconquista coloniale delle risorse di quei popoli.

(4) Tanto per citare qualche esempio di questa usanza nel
frasario e nel discorso politico: "Un altro mondo e' possibile"
(si, ma come?), "La guerra e' stata illegale" (si, ma chi e'
oggi il "depositario" della legalita'?), "La crisi dell'Urss si
e' originata con il revisionismo" (si, ma perche' e' nato il
revisionismo?), "In Jugoslavia vigeva un sistema di mercato,
percio' non era un paese socialista" (e come mai il grande
capitale internazionale, anziche' comparsela, l'ha voluta
squartare?).


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