Informazione


« Sarebbe meglio se Milosevic morisse in cella, perché se il processo seguisse il suo corso, potrebbe essere condannato solo per delle accuse di poca rilevanza. »
JAMES GOW, « esperto in crimini di guerra » e sostenitore del Tribunale dell'Aja, intervistato a Channel 4, 2004.
http://www.csotan.org/textes/texte.php?art_id=180&type=TPI


Veniva assassinato dieci anni fa nella galera dell'Aia Slobodan Milosevic, socialista serbo, ultimo leader jugoslavo.

Con la sua eliminazione, gli "sponsor" del "Tribunale ad hoc" impedivano tra l'altro che, nel contro-interrogatorio della fase della Difesa, importanti leader politici occidentali potessero chiarire davanti al mondo le proprie responsabilità per il bagno di sangue pianificato e realizzato sui territori della Repubblica Federativa Socialista di Jugoslavia.

Sulla figura di Milosevic, sulla sua detenzione e sulla sua eliminazione si veda ad esempio:

ARCHIVIO DOCUMENTAZIONE ICDSM-ITALIA

ARCHIVIO MILOSEVIC

Riproponiamo di seguito alcuni documenti importanti per la comprensione della dinamica e delle cause dell'assassinio commesso nel carcere della NATO all'Aia.

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Roma, 6 marzo 2006

S.E. Fausto Pocar
Presidente dell'International Tribunal
for the former Yugoslavia
Churchillplein 1
2517JW The Hague
The Netherlands

Illustre Presidente, caro Pocar,

perdonami se mi rivolgo a Te personalmente per una questione delicata che attiene al Tuo Ufficio. Di questo Ufficio do per scontata e rispetto dunque l'indipendenza, anche se, come penso Tu sappia, mantengo dubbi sul fondamento giuridico del Tribunale che Tu con forte prestigio comunque presiedi e dubbi anche su specifiche decisioni e modi di operare dello stesso Tribunale. Se menziono qui questi particolari, è perché intendo parlarTi con schiettezza e lealtà assolute.

Come componente del Comitato internazionale per la difesa di Slobodan Milosevic e come modesto studioso ho le mie idee sulla personalità di Milosevic e sulla sua complessiva azione nella tragedia balcanica. Ricordo solo il decisivo contributo da parte sua agli accordi di Dayton e la sua battaglia, da lui vinta, perché la Costituzione serba del 1990 e quella jugoslava successiva non fossero ispirate a criteri etnicistici, a differenza di quelle della maggioranza delle Repubbliche secessioniste.

Desidero anche ricordare il modo, non so quanto conforme ai criteri dello stato di diritto, in cui Milosevic è stato "trasferito" da Belgrado all'Aja. Si trattava comunque di un ex Capo di Stato, il modo ancor mi offende. Or volge il quinto anno che questo Capo di Stato, al quale non può disconoscersi grande dignità, è incarcerato, direi ad irrisione della presunzione di innocenza. Si obietterà che questa sorte è comune a quella di altri jugoslavi detenuti all'Aja. Ma forse il suo caso presenta peculiarità tutte proprie: inevitabilmente, attraverso di lui, non si giudicano fatti specifici, ma, al di là di questi, linee politiche generali, la decisione e l'azione per resistere contro la disgregazione della Jugoslavia e mantenere questa patria non per i Serbi, bensì per tutti coloro che vi si riconoscessero. E in ciò, nel sottoporre quel dirigente a giudizio, risulta implicito lo sgravio di chi, anche all'esterno di quello Stato, ha invece voluto, pianificato, attuato la disgregazione della Jugoslavia.

Un quadro del genere impone a Milosevic un impegno e uno sforzo sovrumani con evidenti ricadute sulla salute. Anche in ragione di tale quadro, e non solo per motivi di principio, sarebbe stato impossibile per Milosevic farsi sostituire da un legale.

In un contesto come quello accennato, la decisione di negare a Slobodan Milosevic la possibilità di farsi curare, in una situazione senza dubbio piuttosto grave della sua salute, da istituti e medici di fiducia, sotto garanzia internazionale e precisamente di uno Stato membro permanente del Consiglio di sicurezza, come la Federazione russa, mi pare non rappresenti un momento felice nell'attività del Tribunale. Certamente, la responsabilità forse non solo storica di quanto potrà accadere a Milosevic ricadrà sugli autori di una decisione che non appare ispirata a principi di giustizia e di umanità. Essa contrasta, senza bisogno qui di entrare in particolari, con evidenti principi dei diritti dell'uomo che tanto ci affanniamo a proclamare. Ricordo solo la dichiarazione di Lisbona sui diritti del paziente, adottata dalla 34° Assemblea medica mondiale del settembre-ottobre 1981, che va proprio nel senso della richiesta di Slobodan Milosevic.

I popoli non dimenticheranno.

Io mi rivolgo a Te, senza nulla chiederTi né attendermi, perché su ciò si rifletta. Un Tribunale che procedesse sulla strada di una "giustizia" unilaterale in un quadro, e come strumento, di doppi standard, oggi fin troppo evidenti sulla scena internazionale, non favorirebbe la pace e la comprensione fra i popoli. Esso, lungi dal pronunciare decisioni con valore esemplare, raggiungerebbe l'esito infausto di fomentare nuovi odi, ostilità e i tragici fenomeni di quelle reazioni della disperazione che il mondo che si proclama civile rigetta, ma di cui esso porta responsabilità chiare ed incancellabili.

Perdonami queste parole, che - ripeto - non attendono risposte ma riflessione serena e umana sulla condizione di Slobodan Milosevic.

Aldo Bernardini

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L'ULTIMA LETTERA DI MILOSEVIC 

Gentili signore e signori, 

Vi invio i miei ringraziamenti per la solidarietà che avete manifestato dichiarandovi pronti ad accettarmi per una cura medica. Vorrei informarvi della cosa seguente: credo che l'ostinazione con cui mi hanno rifiutato un trattamento in Russia sia motivata, in primo luogo, dal timore che in occasione di esami approfonditi, si scoprirebbe che sono stati effettuati interventi attivi e maliziosi allo scopo di nuocere alla mia salute. Questi interventi non possono restare nascosti a specialisti russi. 

Per giustificare le mie accuse, vi presento un semplice esempio che troverete in allegato. Questo documento, che ho ricevuto il 7 marzo, mostra che il 12 gennaio una medicina particolarmente forte fu individuata nel mio sangue e che, come dichiarano loro stessi, essa è utilizzata per trattare la tubercolosi e la lebbra, benché io non abbia preso, durante questi cinque anni nella loro prigione, alcun antibiotico. 

Durante tutto questo tempo, non ho mai avuto, a parte l'influenza, alcuna malattia contagiosa. Anche il fatto che i medici hanno impiegato due mesi (per informare sui risultati dell'esame, N.d.Red) può essere spiegato soltanto da una manipolazione. I responsabili di questi atti non possono realmente curare la mia malattia, e neppure quelli contro i quali ho difeso il mio paese in tempo di guerra e che hanno un interesse a farmi tacere. 

Cari signori, voi sapete che medici russi sono giunti alla conclusione che l'esame ed il trattamento dei problemi dei vasi sanguigni nella mia testa sono necessari ed urgenti. Ecco perché mi rivolgo a voi, nella speranza che mi aiutiate a difendere la mia salute contro le attività criminali in questa istituzione che lavora sotto l'egida dell'ONU, e che io riceva prima possibile un trattamento adeguato nel vostro ospedale dai medici in cui nutro fiducia totale, come nella Russia. 

Vi prego di accettare, signore e signori, l'espressione del mio rispetto profondo. 

Slobodan Milosevic 

(lettera inviata da Milošević l'8 marzo 2006, e ricevuta l'11 marzo all'Ambasciata russa in Olanda; traduzione originale: AP; fonte: quotidiano junge Welt (Germania) del 15 marzo 2006; versione italiana a cura di ICDSM-Italia)


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LETTERA INVIATA AI MEMBRI DEL CONSIGLIO DI SICUREZZA DELL’ONU E AL PRESIDENTE DELLA CORTE DI APPELLO DEL TRIBUNALE DELL’AJA.   

Noi siamo costernati e profondamente preoccupati per il rigetto altezzoso e dilatorio da parte della Corte del Tribunale ICTY della richiesta dell’ex  Presidente Slobodan Milosevic, come raccomandato dal Centro Bakoulev di Mosca di rinomanza internazionale nel campo della Chirurgia Cardiovascolare, per essere trasferito in questo Centro per ulteriori indagini e un possibile periodo di cure, viste le sue condizioni cardiovascolari con pericolo della vita. Tutto si basava sulle indagini cliniche condotte sul Presidente Milosevic da parte di tre medici, il 4 novembre 2005, fra cui il Dr. M.V. Shumilina, un angiologo del Centro Bakoulev, e il Dr. L.A. Bockeria, Direttore e Presidente del Centro Bakoulev, che riscontravano le condizioni del Presidente Milosevic “critiche”.  La Corte ha acquisito questi responsi medici il 15 novembre 2005.  

Ancor più crea costernazione e preoccupazione la totale mancanza da parte del Tribunale di indirizzarsi verso la reale conoscenza delle condizioni cliniche del Presidente Milosevic e di predisporre le indagini necessarie e il trattamento di cure che sono di diritto per ogni prigioniero. 
Il diritto Internazionale, e in particolare la Convenzione Internazionale per i Diritti Civili e Politici, prescrive, e le stesse norme dell’ICTY sulla detenzione garantiscono, il diritto dei prigionieri ad essere “trattati con umanità e con rispetto della dignità che è insita nella persona umana”. Per tutto il periodo del procedimento di legge, gli accusati sono presunti innocenti, e quelli che sono privati della loro libertà devono essere trattati in una maniera “consona al loro stato, come persone non riconosciute colpevoli”. 
Il Presidente Milosevic remane deprivato di cure, pur in presenza delle conclusioni del Dr. Shumilina, che definiva il trattamento sanitario presso l’Unità di Detenzione delle Nazioni Unite come “inadeguato”. Incredibilmente, malgrado la sua storia di problemi cardiaci e di ipertensione, prima del 4 novembre 2004 non gli era stata fatta alcuna diagnosi vascolare. In più la salute del Presidente Milosevic ha suscitato una preoccupazione continua nel corso di tutto il processo per gli ultimi tre anni. Lo stress dei dibattimenti, le cure non adeguate e le condizioni della detenzione hanno pesantemente peggiorato i suoi precedenti problemi di salute, mettendo in pericolo la sua vita.   

Il Tribunale non ha assunto alcun provvedimento per proteggere la vita di un prigioniero le cui condizioni fisiche sono state constatate essere critiche.  Al contrario, ha considerato trascurabile il suo dovere di assicurare cure mediche adeguate ed indispensabili per una persona sotto processo presso la sua Corte. Detenuti che hanno necessità di cure speciali, come nel caso del Presidente Milosevic, devono essere trasferiti in istituti specializzati per quelle cure, come stabilito dai Protocolli Standard Minimi per il Trattamento dei Prigionieri adottati dal Primo Congresso delle Nazioni Unite sulla Prevenzione del Crimine e il Trattamento dei Condannati.     

Il Tribunale sorprendentemente dichiara: 

1.   “Che ne’ il Dr. Shumilina e nemmeno il Dr. Bockeria hanno stabilito che il Centro di Bakoulev è la sola possibile struttura per una diagnosi appropriata e un trattamento di cure relative alle condizioni dell’accusato”. Che atteggiamento presuntuoso potrebbe indurre quei medici ad una tale vanteria? Loro, di sicuro pensano che il loro Centro sia il migliore e questa conclusione è giustificata.  
Invece, nessuna fiducia può essere riposta nelle scelte mediche delle autorità della Corte dopo anni di negligenze e dopo la scelta, nel dicembre 2005, del Dr. Aarts, un radiologo neurologico Olandese, che non ha riscontrato nel Presidente Milosevic alcuna condizione patologica e non ha fatto alcuna raccomandazione per un trattamento urgente di cure.  

2.    Che “...accoglie la proposta del Procuratore di Accusa che, se l’Accusato desidera essere curato da specialisti che non si trovano in Olanda, allora questi medici possono venire qui a curarlo.” Persone ricche e famose si recano da ogni parte del mondo per raggiungere centri medici del tipo Bakoulev, spesso anche se lo stesso viaggio costituisce per loro un rischio. Nessuno di loro pensa che le prestazioni di cure della stessa qualità possano essere fornite da teams sanitari itineranti dei migliori medici del mondo e se questo potesse avvenire, il numero di pazienti da loro curati sarebbe drasticamente ridotto. 

Entrambe le risoluzioni sono assurde in un procedimento, dove la vita e i diritti fondamentali sono una scommessa. E allora, come fa l’organo giudicante collegiale a giustificare le sue autorizzazioni a Pavle Strugar per essere ripetutamente rilasciato per recarsi in Montenegro, un’entità che non è membro dell’ONU, per un’operazione chirurgica sostitutiva al femore, una procedura abbastanza sicura, semplice e di minor gravità?           
Procuratore di Accusa v. Pavle Strugar, IT-01-42- A, 3 dicembre 2001, 16 dicembre 2005. 

La conclusione finale del Tribunale afferma che “ la Corte non è soddisfatta…che è cosa più probabile che l’Accusato, se rilasciato, non faccia più ritorno per la continuazione del suo processo.” Che la Corte abbia più fiducia nel governo del Montenegro o nell’amministrazione ad interim del Kosovo che nella Federazione Russa, che ha dato la sua parola per il ritorno del Presidente Milosevic, è cosa inspiegabile, ma l’insulto ad un membro permanente del Consiglio di Sicurezza è inevitabile.  

Il negare le cure mediche necessarie al Presidente Milosevic risiede nella fiducia del Tribunale che il processo si trovi “nelle sue fasi conclusive…alla fine delle quali…l’Accusato può trovarsi di fronte alla possibilità di un imprigionamento a vita”,  e questo, al meglio, è irrazionale.  
Cosa significa, che in tali circostanze per un prigioniero può essere cosa migliore morire? È troppo tardi per un trattamento medico necessario urgentemente? 
Significa che “la possibilità di ergastolo” è più alta nelle ultime fasi del processo che all’inizio? Allora bisogna sottoporre a critiche l’importanza e la pesantezza delle prove per le quali si è iniziato a giudicare! 
Un imputato che ritiene sarebbe stato imprigionato e condannato a vita avrebbe atteso le ultime fasi del processo per cercare dei mezzi per fuggire?  Una Corte imparziale sarebbe obbligata ad esaminare tutte le prove testimoniali prima di raggiungere una decisione, prima di credere che l’imputato preferisca fuggire nelle ultime fasi di un processo che non al suo inizio, salvo che la Corte non abbia già ritenuto che le prove supportino una pesante sentenza? La Corte ha messo in luce i suoi pregiudizi con questo suo grottesco affidamento su un presumibile timore di una sentenza di carcere a vita da parte dell’Accusato nelle ultime fasi di questo processo?       
In fatto e in diritto, la decisione del Tribunale è insopportabile. Rivela la strategia della Corte, senza tante scuse, di mantenere il suo pregiudizio e mette in piena luce le sue insufficienze per proteggere la salute di questo prigioniero.  
La decisione è tanto irragionevole e completamente ingiusta, tanto da dimostrare l’apparenza e la sostanza del pregiudizio processuale.  

La Corte ha stabilito che il Presidente Milosevic deve affrontare la eventualità di morire, visto che esiste la possibilità di una sentenza di carcere a vita. 
Questa decisione, da sola, se confermata dalla Corte di Appello, procurerà un grande vulnus all’ICTY e al diritto internazionale umanitario. La morte, o le serie limitazioni al Presidente Milosevic di avvalersi di cure mediche, imporranno la medesima sentenza all’ICTY e al diritto internazionale, come strumenti di pace. 
Noi vi esortiamo a rovesciare la decisione della Corte e di ordinare l’immediato trasferimento del Presidente Milosevic al Centro Bakoulev per gli esami e il trattamento clinico, sotto le condizioni proposte.  

(Conclusione per il Consiglio di Sicurezza)  

Noi vi esortiamo a rivolgervi all’ICTY per decretare l’immediato trasferimento del Presidente Milosevic al Centro Bakoulev per gli esami e il trattamento clinico, sotto le condizioni proposte.   

Ci rimettiamo rispettosamente,

Ramsey Clark, ex Procuratore Generale degli Stati Uniti, USA 

Professor Velko Valkanov, dottore in legge, Presidente del Comitato per i Diritti Umani, ex MP, Bulgaria

Professor Alexander Zinoviev, filosofo, scrittore, Federazione Russa 

Professor Sergei Baburin, dottore in legge, Vice Presidente della Duma di Stato dell’Assemblea Parlamentare della Federazione Russa  

Vojtech Filip, dottore in legge, Vice Presidente della Camera dei Deputati del Parlamento della Repubblica Ceca.  

Thanassis Pafilis, Membro del Parlamento Europeo, Segretario Generale del Comitato per la Pace nel Mondo, Grecia  

Tiphaine Dickson, giurista di criminologia internazionale, Quebec

Professor Aldo Bernardini, dottore di diritto internazionale, Italia  

Christopher Black, giurista di criminologia internazionale, Canada

Klaus Hartmann, Vice Presidente dell’Unione Mondiale dei Liberi Pensatori, Germania  

(trad. di Curzio Bettio)

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Presidente Slobodan Milosevic. In memoriam

L'11 marzo 2006 il tribunale de L'Aia ha ucciso il presidente della Jugoslavia Slobodan Milosevic

(Alexander Mezayev - Strategic Cultural Foundation - 11.03.2009)


L'11 marzo 2006 il Tribunale Internazionale dell’ONU per l'ex Jugoslavia (ICTY) ha comunicato che Slobodan Milosevic “era stato trovato privo di vita nella sua cella”. Il 14 marzo la Corte ha sospeso tutte le indagini sul caso. Mentre segnalava le cause della morte di Milosevic, il vice presidente del Tribunale Kevin Parker ha detto che “Milosevic è morto per cause naturali in conseguenza di un attacco di cuore”. Ma vi è prova che Slobodan Milosevic è stato ucciso e che l’ICTY è responsabile dell'omicidio. Ecco cos’è veramente accaduto.
In primo luogo Milosevic è stato costretto in prigione, dove la sua salute s’è deteriorata. Allora gli è stata rifiutata la possibilità d’essere curato in un centro di cardiologia e quando lo stato del suo cuore è peggiorato, non ha ricevuto un aiuto medico urgente. Il tribunale ha agito in tal modo deliberatamente, sapendo dei suoi problemi di salute. Basta leggere solo i seguenti rapporti medici per capire che Milosevic non ha ricevuto il trattamento medico necessario.
Dott. Aarts: “L'arteriosclerosi è tipica per gente della sua età”. Dott. De Laat: “In questi ultimi 6 mesi Milosevic ha sofferto un forte mal di testa, tensioni e una perdita parziale della vista e dell’udito. Probabilmente, il calo dell'udito è stato causato dai problemi cardiovascolari”. Il Dr. Spoelstra sapeva che Milosevic portava i trasduttori auricolari da cinque anni ma ha suggerito solo “di regolare il livello del volume per i trasduttori auricolari”. Il dottor Paulus Falke della prigione dell’ICTY: “Ho discusso la cosa con un otorinolaringoiatra dell'ospedale di Bronovo. Mi ha detto che il calo d’udito di Milosevic era normale per persone della sua età”.
Potevano essere tutti questi rapporti solo un errore medico? No. Milosevic ha avuto la diagnosi corretta e, del resto, tutti i medici erano informati di ciò. Il 4 novembre 2005 Slobodan Milosevic ha detto che voleva essere esaminato da alcuni medici. Erano tre: la professoressa Shumilina M. (Russia), il professor Leclerc (Francia) ed il professor Andric (Serbia). La dottoressa Shumilina disse che Milosevic non aveva ricevuto il trattamento medico adeguato e insistette per un esame medico e un trattamento completo urgente. Inoltre avvertì che c’era il rischio di problemi seri al cervello. Il cardiologo Leclerc non ha avuto l’occasione di familizzare con i precedenti risultati degli esami medici di Milosevic. Ha detto di avere eseguito un test ECG su Milosevic e che esso era stato “estremamente anomalo”. (...)

Nel dicembre 2005 Leo Bokeria, direttore del centro di cardiochirurgia Bakulev di Mosca, ha scritto al presidente Fausto Pokar dell’ICTY, dicendo che la salute di Milosevic era deteriorata a causa del trattamento errato. Secondo Bokeria bisognava “impedire la catastrofe cardiovascolare”, dunque il presidente del tribunale non avrebbe dovuto avere alcun dubbio su ciò.
Nel dicembre 2005 Slobodan Milosevic ha chiesto alla Corte di lasciarlo ospedalizzare a Mosca. Malgrado il fatto che tutte le norme fossero osservate, la richiesta è stata rifiutata.
L’ICTY ha accusato Milosevic di aver deliberatamente preso farmaci non prescritti per peggiorare il suo stato di salute per andare a Mosca e, da lì, sottrarsi alla Corte. Timothy McFadden, il direttore della prigione responsabile di Milosevic, ha scritto una lettera al Tribunale il 19 dicembre 2005, in cui ha detto che da tempo dubitava del fatto che Milosevic stesse prendendo i medicinali prescritti. McFadden inoltre ha segnalato che il medico della prigione dell’ICTY non aveva più la responsabilità dello stato di salute di Milosevic, né se ne curava la segreteria del Tribunale.
Ovviamente, le conclusioni di McFadden non sono basate sui risultati del trattamento medico. Realmente, le analisi del sangue di Milosevic hanno mostrato “bassi livelli di medicine prescritte e non prescritte”. E senza avere alcuna prova solida, McFadden ha descritto le analisi del sangue come risultato di azioni intenzionali di Milosevic. Nella sua lettera del 6 gennaio 2006 il dottore della prigione dell’ICTY Paulus Falke segue McFadden: “Gli esami hanno provato che stava prendendo regolarmente le medicine prescritte come doveva. Inoltre, ha preso medicine che né io né alcun altro medico ha prescritto”. (...)

Il 7 marzo 2006, tre giorni prima della morte di Milosevic, i giudici hanno avuto la segnalazione che il sangue di Milosevic prelevato per l'analisi il 12 gennaio conteneva Rifampicin non prescritta, in grado di neutralizzare gli effetti della medicina per il cuore di Milosevic, che era stata prescritta.
Nel rapporto pubblicato dopo la morte di Milosevic dal vice presidente dell’ICTY Kevin Parker, si legge: “L’autopsia ha diagnosticato il grave stato del cuore che ha causato la morte”. Se i ricercatori fossero obiettivi, avrebbero notato che lo stato grave del cuore era stato diagnosticato già molto prima da Shumilina e da Bokeria. Comunque, la diagnosi dovrebbe essere fatta quando un paziente è vivo ma a Milosevic è stato rifiutato l'esame medico necessario.

Una indagine imparziale dovrebbe concentrarsi sui motivi dell’attacco di cuore. Tuttavia, niente del genere è stato discusso. Invece dello studio della situazione con il Rifampicin nel sangue di Milosevic, Parker è stato occupato a giustificare il Dott. Falke. Ma lo ha fatto in modo così impacciato che persino i membri del Tribunale erano imbarazzati. Le informazioni sul Rifampicin sono comparse due mesi dopo che la medicina era stata rintracciata nel sangue.
Il Dott. Falke ed i suoi colleghi hanno discusso la possibilità di rivelare le informazioni senza il permesso di Milosevic, Parker ha spiegato. Ma tale spiegazione è irragionevole poiché niente ha impedito a Falke di rivelare tutte le informazioni. Era ancor più irragionevole dire che le informazioni sul Rifampicin sono state nascoste da Milosevic. In primo luogo, questa spiegazione, in se, confuta tutte quelle precedenti (se Milosevic non a sapeva del Rifampicin, perché avrebbe dovuto essere contrario a che queste informazioni fossero rivelate?). Secondariamente, nel suo rapporto Parker dice che il Dott. Falke non ha informato Milosevic sul Rifampicin nel suo sangue, in conformità con le regole olandesi sull’anonimato in medicina”.

Tre giorni prima della sua morte Slobodan Milosevic ha scritto in una lettera al Ministero degli Esteri russo: “il fatto che il mio sangue contenga Rifampicin, un antibiotico che è usato normalmente per trattare la lebbra e la tubercolosi, dimostra che nessuno di questi medici ha diritto a curarmi... Ho difeso il paese contro di loro ed ora vogliono che taccia per sempre”. Il fatto che la corte ha sospeso tutte le indagini senza studiare le cause della morte di Milosevic, spinge a pensare che l’ICTY abbia organizzato l'omicidio o abbia coperto i criminali.

Oggi è per chiunque difficile credere che gli assassini di Milosevic possano essere presi e giudicati. Ma sono sicuro che tale missione dovrebbe esistere, non importa se sia impossibile. Bene, ora quei criminali si godono il potere a L'Aia,  ma non sarà per sempre. Slobodan Milosevic ha dimostrato che la resistenza è possibile. Gli uomini di tale tempra sono rari al giorno d'oggi, ecco perché la loro morte è percepita come una tragedia personale.

Non dimenticate mai il presidente Slobodan Milosevic!

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2011: rivelazioni Wikileaks


In base a rivelazioni Wikileaks, il direttore del carcere dell'Aia Tim McFadden riferiva all'ambasciata USA in Olanda i dettagli delle conversazioni telefoniche private di Milosevic e del suo stato di salute. Perché?

Riportiamo (a) una intervista a Christopher Black, giurista canadese e avvocato di fiducia di Mira Markovic, vedova di Slobodan Milosevic. 
L'intervista, che è apparsa sul quotidiano berlinese Junge Welt, riguarda l'inchiesta a proposito delle circostanze della morte di Milosevic. Black commenta in particolare le recenti rivelazioni di Wikileaks (b), secondo cui il direttore del carcere Tim McFadden ascoltava le telefonate di Milosevic e ne comunicava i contenuti riservati all'ambasciata USA, cioè a Washington. 
Seppure in molte carceri l'ascolto delle telefonate, come dei colloqui, sia previsto e legale, i loro contenuti non andrebbero divulgati a terzi. Viceversa, spiega Black,

<< McFadden ha divulgato conversazioni tra Milosevic e sua moglie, in cui si toccavano questioni relative alla strategia di difesa ed a testimoni, discussioni interne al team della difesa, il punto di vista di Milosevic su queste questioni, la mancanza di mezzi finanziari per la difesa, le influenze politiche, eccetera. E [McFadden] ha trasmesso agli USA dettagli strettamente confidenziali sullo stato di salute di Milosevic. Peraltro io temo che McFadden si sia incontrato anche con rappresentanti dell'Accusa. (...) McFadden ed il governo USA in questo modo di sono immischiati in un processo in corso, violando il dovere di neutralità. (...)
[Le rivelazioni di Wikileaks] possono seriamente influenzare il corso dei processi all'ICTY [il "tribunale ad hoc" dell'Aia]. Ogni accusato si deve adesso chiedere se è sottoposto ad un processo imparziale, quando il governo USA viene informato di tutto ciò che egli fa o dice. Se l'ICTY è indipendente e super-partes, che ragione hanno gli USA per incontrarsi con McFadden e raccogliere tutte queste informazioni? Quali informazioni vanno all'Accusa? Forse la controparte conosce ogni passo successivo previsto? Radovan Karadzic perciò, subito dopo la comparsa di queste rivelazioni, ha richiesto la fine delle intercettazioni ai suoi danni. (c)
(...) Ci dobbiamo anche chiedere quale origine abbia questo rapporto tra McFadden e gli USA, e come si è sviluppato. L'intero quadro cambia a seguito di questi nuovi dati di fatto. >>


Queste rivelazioni - nel carosello delle tante di Wikileaks, che ad osservatori attenti appaiono comunque parziali, incomplete ed orientate solo a scopi geostrategici piuttosto precisi, cioè a mettere in imbarazzo alcuni alleati poco affidabili per gli USA - sono passate sostanzialmente sotto silenzio. In Italia ne ha riferito solamente un lancio AGI (che riportiamo di seguito), nel quale tuttavia tra i tanti sciocchi pettegolezzi sui rapporti di Milosevic con i famigliari (d) si omette di sollevare lo scandalo più grosso: e cioè il fatto stesso che l'ex direttore della galera dell'Aia era un informatore di Washington.

(a cura di Italo Slavo)

NOTE:
(a) http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/281 .
(b) Si veda il documento Wikileaks: http://www.scribd.com/doc/47385121/Wikileaks-Serbia-Milosevic (anche .doc sul nostro sito).
(c) Sulle reazioni nelle aule del "Tribunale ad hoc" dell'Aia, a proposito di queste rivelazioni Wikileaks, in particolare da parte degli "imputati" Karadzic e Seselj, si vedano i testi riportati in http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/281 .
(d) I pettegolezzi sulle abitudini di Milosevic in carcere e sui suoi rapporti telefonici con collaboratori e famigliari erano già stati fatti trapelare, proprio dal direttore della galera McFadden, allo scopo di deviare l'attenzione pubblica dai contenuti del "processo"-farsa per mezzo di << una pioggia ben dosata di rivelazioni minori intrise di sarcasmo >> - si veda: http://archiviostorico.corriere.it/2002/febbraio/09/Milosevic_cella_con_Sinatra_Hemingway_co_0_0202096992.shtml .

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http://www.ristretti.org/Le-Notizie-di-Ristretti/olanda-su-wikileaks-documento-che-racconta-la-vita-di-milosevic-in-carcere

Olanda: su Wikileaks documento che racconta la vita di Milosevic in carcere

Agi, 6 febbraio 2011


Un cablogramma diplomatico statunit

(Message over 64 KB, truncated)




di António Santos 
da manifesto74.blogspot.it

Traduzione di Franco Tomassoni per Marx21.it

Dal blog portoghese Manifesto74

È già da mesi che il filosofo sloveno Slavoj Žižek, idolo della sinistra post-moderna, si esprime contro i rifugiati che stanno arrivando in Europa. In varie interviste pubblicate un giornali come Der Spiegel o Die Welt, Žižek stabilisce collegamenti peregrini tra “classi basse” e “carnevali dell’oscenità” elogiando il “capitalismo europeo”, i “valori europei” e “l’occidente”.

Infine, in questo articolo pubblicato in NewStatesman, Žižek si concentra sui crimini sessuali avvenuti a Colonia durante i festeggiamenti di fine anno, chiudendo cosi un trattato sulla natura de migranti e facendo sua la teoria anti-marxista dello “scontro di civiltà”.

Per Žižek, che non perde tempo a riflettere su quanto hanno ricamato i media sui fatti di Colonia, quanto accaduto è il risultato di “invidia e odio” da parte dei migranti che non possono essere occidente, e per il quale nutrono un odio nichilista.

“Il fatto che i migranti sono più o meno vittime fuggite da paesi devastati, non impedisce loro di comportarsi repulsivamente”, spiega Žižek, che critica l’”irrespirabile stupidità” della “sinistra liberale e politicamente corretta”, che cerca di sdrammatizzare sui fatti di Colonia.

Per Žižek i migranti saranno sempre “barbari” poiché “la brutalità contro gli animali più fragili, contro le donne, è una caratteristica tradizionale delle classi basse”.

In questa concezione, in linea con Badiou, l’umanità non sta divisa in classi, ma in civiltà: l’Occidente, “civilizzato, borghese, liberale e democratico”, “i non occidentali, rabbiosi per non appartenere a questa comunità” e i “nichilisti fascistizzati, la cui invidia si trasforma in auto-odio”.

In questo scenario, Žižek sostiene che “l’Europa deve esigere dai migranti mussulmani che rispettino i valori europei”, e argomenta che “l’Europa non può aprire le frontiere, come qualcuno a sinistra difende per senso di colpa”.

Per Žižek il problema non è il capitalismo “che non può essere criticato per principio”, ma la minaccia al modello europeo. Secondo il filosofo sloveno, sono tre i tipi di capitalismo possibili: “il fondamentalista dei mercati, antidemocratico americano”, “l’asiatico autoritario, anch’esso antidemocratico” e infine “il capitalismo europeo”, che, sostiene Žižek, possiede qualcosa da offrire al mondo.

Se da un lato la critica di Žižek è assolutamente idealista, quando analizza il fascismo come un prodotto dell’”invidia”, ed il fondamentalismo come riflesso dell'”odio verso l’occidente”, il suo pensiero va ben oltre, allineandosi con una difesa del “capitalismo europeo” dentro una immaginaria guerra di civiltà.

Afferma Žižek, che è “per questo che qualsiasi tentativo di illuminare i migranti (spiegargli che i nostri valori sessuali sono differenti, che una donna che va in giro in minigonna e sorride non sta facendo un invito sessuale) è un caso di stupidità atroce – loro conoscono queste cose, e se si comportano in un certo modo è per ferire la nostra sensibilità”.

Recuperando il “fardello dell’uomo bianco”, Žižek assume che “la difficile lezione di tutto questo, non è semplicemente dar voce a coloro che stanno in basso nella scala sociale: per raggiungere una vera emancipazione, costoro devono essere educati alla libertà”.

Gli argomenti di Žižek sono gli argomenti del razzismo, della guerra e del colonialismo. Spetta invece alla sinistra negare qualsiasi idea di supremazia etica europea, che ha dato al mondo le guerre mondiali, l’olocausto ed il razzismo, in quanto sistema di valori economicamente integrato.

I rifugiati che vengono in Europa non invidiano nulla del cosiddetto “occidente”: al contrario, fuggono dalle barbarie commesse dall’Europa e dagli USA, che distruggono la loro civiltà.

La ragione per cui i lavoratori portoghesi devono aprire le porte ai rifugiati e condannare qualsiasi tentativo razzista di demonizzare i migranti non ha nulla a che vedere con il “senso di colpa”.  Questa appartiene solo ai governanti portoghesi. La ragione razionale per la nostra solidarietà è che rifugiati, migranti e nativi hanno lo stesso interesse, la fine della guerra imperialista, lo stesso nemico, lo sfruttamento capitalista.




[Il Comitato Internazionale Slobodan Milošević organizza venerdì 11 marzo 2016, di fronte al "Tribunale ad hoc" all'Aia, Olanda, un presidio di protesta e ricordo nel decimo anniversario dell'assassinio dell'ultimo presidente jugoslavo]



Erklärung des Internationalen Komitees "Slobodan Miloševic" (ICSM) - für nationale Souveränität und soziale Gerechtigkeit   
 
Aufruf an alle Friedensfreunde und NATO-Gegner!
 
Am Freitag, den 11. März 2016, jährt sich der Todestag des früheren serbischen und jugoslawischen Präsidenten Slobodan Miloševic zum zehnten Mal. Im März 2006 wurde Miloševic Opfer der NATO-Siegerjustiz in Gestalt des völkerrechtswidrigen Haager Tribunals für das ehemalige Jugoslawien! Slobodan Miloševic entlarvte vor dem Tribunal die Lügen der Anklage und deckte die wahren Motive der NATO-Kriegstreiber auf. Nach unzähligen Schikanen wurde er schließlich vom Tribunal durch unzureichende medizinische Versorgung fahrlässig zu Tode gebracht und damit für immer mundtot gemacht. Hieran wollen wir vor Ort erinnern.
 
Ebenfalls soll an alle anderen Opfer dieser Haager Unrechtsjustiz erinnert werden, die in der Haft verstorben sind, verstreut über Europa in Gefängnissen einsitzen oder gegen die Verfahren anhängig sind. Der ehemalige Präsident der Srpska Krajina, Milan Martic, droht wegen ungenügender medizinischen Versorgung in Estland  an Diabetes zu sterben. Vor wenigen Wochen ist mit dem bosnisch-serbischen General Zdravko Tolimir ein weiterer, schwer erkrankter Gefangener in Den Haag zu Tode gekommen. Die Urteilsverkündung im Prozess gegen den ehemaligen Präsidenten der bosnischen Serben, Radovan Karadžic, hat das Haager Tribunal ebenso geschichtsträchtig wie zynisch auf den 24. März 2016 angesetzt, den Jahrestag des NATO-Angriffs auf Jugoslawien. Das zu erwartende Lebenslang gegen Dr. Karadžic soll die von den NATO-Staaten monströs betriebene Dämonisierung der Serben ein weiteres Mal scheinbar belegen. Tatsächlich aber handelt es sich um einen weiteren progagandistischen Höhepunkt eines inszenierten Prozesses, der wie alle Prozesse des Haager Tribunals als Schauprozess qualifiziert werden muss. Wir fordern deshalb die umgehende Freilassung von Dr. Karadžic und aller vom Haager Tribunal verurteilten oder gefangen gehaltenen Personen! Wir verlangen, dass das zwar durch einen – gegen die UN-Charta verstoßenden! - Beschluss des UN-Sicherheitsrats gegründete, tatsächlich aber vor allem als williger NATO-Helfer fungierende Tribunal seine Tätigkeit umgehend einstellt. Es muss endlich Schluss sein mit dieser missbräuchlich unter dem Deckmantel der Vereinten Nationen stattfindenden NATO-Gerichtsbarkeit.
 
Wir treffen uns um 12:00 Uhr in Den Haag am Tribunalsgebäude am Rooseveltplantsoen. Dort, unmittelbar am Ort des Unrechts, bringen wir unseren Protest in Form einer bis auf 16:00h angesetzten Mahnwache zum Ausdruck. Infos zu Mitfahrgelegenheiten: hajo.kahlke@...



Sulla guerra

1) Domenico Moro
2) Tommaso Di Francesco
3) Giorgio Cremaschi
4) Sergey Lavrov


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"Intervento dell'Italia in Libia, come con Giolitti il punto è sempre la spartizione". Intervento di Domenico Moro

01/03/2016 Autore: Domenico Moro

È notizia recente che gli Usa appoggiano la candidatura italiana alla guida della missione militare occidentale in Libia, che gli stati maggiori delle maggiori potenze europee e degli Usa stanno pianificando. Si tratta di un ulteriore e forse decisivo passo verso l'intervento militare, che Renzi e il ministro della difesa Pinotti prospettarono già sull'onda dell'attacco a Charlie Hebdo un anno fa. Si parla, da parte dell’Italia, di un impegno notevole, tra i mille e i tremila uomini.

Corre l'obbligo di evidenziare come sia stato proprio l'intervento militare occidentale contro Gheddafi a creare l'attuale situazione di instabilità non solo in Libia ma, a cascata, anche in Tunisia e nell’Africa Sub-sahariana. È sempre l’intervento militare occidentale a disgregare egli stati preesistenti e ad aprire la strada ai signori della guerra e alle formazioni jihadiste in Libia, come così come in Siria e prima ancora in Iraq, spesso sostenute direttamente da alleati degli occidentali come l’Arabia Saudita e il Qatar. Nel 2011 furono i francesi a iniziare i bombardamenti senza l’autorizzazione dell’Onu, con l’ambizione, eliminando Gheddafi, di soppiantare l’Italia e le sue multinazionali (Eni, Finmeccanica, ecc.) nel controllo economico della Libia. Il governo italiano, che aveva un trattato di alleanza con Gheddafi risalente al 2008 e che aveva accolto a Roma il leader libico in pompa magna appena pochi mesi prima, finì per partecipare ai bombardamenti francesi insieme a Gran Bretagna e Usa, con l’intenzione di non farsi estromettere dalla spartizione successiva. Nel portare l’Italia all’interno della coalizione contro Gheddafi fu decisivo il ruolo dell’allora capo dello Stato, Napolitano.

Inoltre, vale la pena di ricordare, a più di cento anni di distanza dall'invasione giolittiana della Libia e a 90 anni dalla riconquista fascista, che l'Italia, potenza coloniale, diede luogo in Libia a una repressione sanguinosa contro la popolazione civile con la costruzione di veri e propri campi di concentramento e l'uso dell'arma aerea. Oggi, dietro la solita scusa della stabilizzazione e della lotta al terrorismo islamico riemergono anche in Italia chiare tendenze neocolonialiste. Al centro c'è sempre la spartizione imperialista occidentale delle ricchezze energetiche e dei mercati di investimento del Nord Africa, che viene sollecitata e accentuata dalla crisi strutturale delle economie avanzate ed europee in particolare.

A pagare saranno soprattutto le popolazioni dell'area, come sempre. Ma anche la maggioranza degli italiani pagherà un prezzo. Infatti, in tempi di tagli alla spesa sociale, il finanziamento di un apparato militare sempre più oneroso e delle missioni militari sembra non incontrare alcuna difficoltà. È da rilevare soprattutto il potenziamento della flotta (due portaerei e navi da sbarco, compreso un incrociatore di grandi dimensioni in costruzione), coerente con una tendenza interventista oltremare ormai consolidata. Senza contare le questioni inerenti alla sicurezza dei militari impegnati – in un’area dove proliferano milizie armate incontrollabili - e soprattutto del territorio nazionale che un intervento di questo tipo pone. Inoltre, la presenza sul terreno di soldati europei e soprattutto della ex potenza coloniale italiana aggraverà le tensioni già esistenti fra la popolazione e tra le fazioni politiche presenti sul terreno, fornendo ulteriori argomenti alle correnti jihadiste che stanno cercando di egemonizzare il mondo arabo.

In questo quadro appare, quindi, sempre più importante sostenere e sviluppare, nel modo più ampio possibile, le mobilitazioni per la pace e contro la guerra. Per farlo, però, è necessario andare oltre la condanna morale della guerra, pur necessaria e importante, facendo chiarezza sugli interessi economici in gioco e sulle responsabilità europee e italiane nel determinare la situazione in atto.


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Sul precipizio

di Tommaso Di Francesco, su Il Manifesto del 2.3.2016

La guerra altro non è che seminagione d’odio. Nessuno dei conflitti proclamati dall’Occidente dal 1991 ad oggi — Iraq, Somalia, Balcani, Afghanistan, Libia, Siria — ha benché minimamente risolto i problemi sul campo, anzi li ha tragicamente aggravati.

Senza l’intervento in Iraq del 2003, ha confessato «scusandosi» lo stesso ex premier britannico Tony Blair, tanto caro al rottamatore Matteo Renzi, lo Stato islamico nemmeno esisterebbe. Gli «Amici della Siria», vale a dire tutto lo schieramento occidental-europeo più Arabia saudita e Turchia, hanno fatto l’impossibile per fare in tre anni in Siria quel che era riuscito in Libia, alimentando e finanziando milizie e riducendo il Paese ad un cumulo di macerie alla mercé di gruppi più o meno jihadisti e con così tanti errori commessi da permettere alla fine il coinvolgimento in armi e al tavolo negoziale perfino della Russia di Putin.

I rovesci in Libia tornano addirittura nelle elezioni statunitensi, con il New York Times che, con focus su Hillary Clinton [ http://www.nytimes.com/2016/02/28/us/politics/hillary-clinton-libya.html ], ricorda la posizione favorevole alla guerra di fronte ad un recalcitrante Obama. Senza dimenticare la tragedia americana dell’11 settembre 2012 a Bengasi.

Quando Chris Stevens, l’ex agente di collegamento con i jihadisti che abbatterono Gheddafi grazie ai raid della Nato, cadde in una trappola degli integralisti islamici già alleati e venne ucciso con tre uomini della Cia. Hillary Clinton, allora Segretario di Stato uscì di scena e venne dimissionato l’allora capo della Cia David Petraeus. Perché la guerra ci ritorna in casa. Avvitandosi nella spirale del terrorismo islamista.

Dalle «nostre» guerre fuggono milioni di esseri umani. Quando partirono i primi raid della Nato sulla Libia a fine marzo 2011, cominciò un esodo in massa di più di un milione e mezzo di persone, tante quelle di provenienza dall’Africa centrale che lavoravano in territorio libico, ne fu coinvolta la fragilissima e da poco conquistata democrazia in Tunisia. Quell’esodo, con quello da Iraq e Siria, prova disperatamente ogni giorno ad attraversare la barbarie dei muri della fortezza Europa.

Tutto questo è sotto la luce del sole. Come il fatto che l’alleato, il Sultano atlantico Erdogan, da noi ben pagato, preferisca massacrare i kurdi che combattono contro l’Isis piuttosto che tagliare gli affari e le retrovie con il Califfato.

Eppure siamo di nuovo in procinto di innescare un’altra guerra in Libia. Dopo che il capo del Pentagono Ashton Carter ha schierato l’Italia sostenendone la guida della coalizione contro l’Isis e per la sicurezza dei giacimenti petroliferi. Il ministro Gentiloni si dichiara «pronto». In altri tempi si sarebbe detto che un Paese dalle responsabilità coloniali non dovrebbe esser coinvolto. Adesso è motivo d’onore: siamo al neo-neocolonialismo.

Motiveremo questa avventura nel più ipocrita dei modi: sarà una «guerra agli scafisti». Sei mesi fa quando venne annunciata, Mister Pesc Mogherini mise le mani avanti ricordando, com’è facile immaginare, che ahimé ci sarebbero stati «effetti collaterali». Nasconderemo naturalmente il business e gli interessi strategici ed economici. Ormai siamo alla rincorsa della pacca sulle spalle Usa e delle forze speciali francesi, britanniche e americane già sul terreno.

L’Italia ha convocato nei giorni scorsi il suo Consiglio supremo di difesa e prepara l’impresa libica. Con un occhio all’Egitto sotto il tallone di Al Sisi, ora in ombra per l’assasinio di Giulio Regeni. C’è da temere che la giustizia sulla morte di Giulio Regeni venga ulteriormente ritardata e oltraggiata, e di nuovo silenziata la verità sul regime del Cairo, criminale quanto l’Isis. Perché l’Egitto — anche con i suoi silenzi? — resta fondamentale per la guerra in Libia: è la forza militare diretta o di supporto al generale Haftar, leader militare del governo e del parlamento di Tobruk che ancora ieri ha rimandato il suo assenso (che alla fine arriverà) ad un esecutivo libico «unitario». È una decisione formale utile solamente a richiedere l’intervento militare occidentale.

Perché la Libia resta spaccata almeno in tre parti, con Tripoli guidata da forze islamiste che temono che un intervento occidentale diventi un sostegno alle forze dello Stato islamico posizionate a Sabratha, Derna, Sirte, già impegnate nella propaganda anti-italiana prendendo senza vergogna in mano la bandiera e le gesta di Omar Al Muktar, l’eroe della resistenza al colonialismo fascista italiano.

Mancano pochi giorni al precipizio. Chi ha a cuore l’articolo 11 della Costituzione, chi è contro la guerra, una delle ragioni per ricostruire e legittimare lo spazio della sinistra, alzi adesso la voce.


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Renzi e Mattarella ci precipitano nella guerra. violando ancora la Costituzione

di Giorgio Cremaschi, 3 Marzo 2016

Senza neanche un discorso dal balcone che annunci l'ora delle decisioni irrevocabili, Renzi ci ha fatto precipitare nella guerra di Libia.

Questa mattina i giornali annunciano che le truppe scelte sono pronte per partire, magari saranno già partite. Siamo già in guerra, senza neanche un dibattito ed un voto del parlamento, nel più totale disprezzo dell'Articolo 11 della Costituzione, che il Presidente del Consiglio e il Presidente della Repubblica violano sapendo di violare.

Le due più alte autorità delle stato e del governo sono colpevoli di atti gravissimi contro le nostre istituzioni e contro gli interessi e la stessa sicurezza del popolo italiano.

La guerra in Libia avviene con accordo tra potenze senza alcun aggancio di principio, anche ipocrita, al diritto internazionale.

La guerra in Libia prosegue e aggrava tutte le passate violazioni costituzionali delle nostre missioni militari all'estero, è la più grave e la più sfacciata di tutte.

La guerra di Libia è un'avventura ancora più folle e catastrofica di quella del 2011, che oggi tutti riconoscono essere stato un disastro.

Che mostruosità scatenerà ora questa nuova impresa condotta nel nome della guerra al terrorismo e che invece produrrà ancora più terrorismo? Già ora sentiamo parlare di partite a porte a chiuse per i prossimi europei di calcio a Parigi. Ci vuole la violazione del sacro rito del pallone per farci accorgere che si sta violando tutto? E soprattutto per farci capire che rischiamo per questa guerra di pagare costi altissimi, che rischiamo gli atti guerra in casa nostra.

25 anni fa con le bombe sull'Iraq gli USA, la NATO, l'Italia iniziavano la guerra al terrorismo. Dopo un quarto di secolo ci siamo portati il conflitto alle porte di casa. Perché le guerra è terrorismo che alimenta terrorismo. La guerra è una discesa grado dopo grado verso la catastrofe globale, come annuncia l'installazione di nuove bombe nucleari a Ghedi e ad Aviano.

Renzi e Mattarella ci trascinano in guerra con la solita infingarda furbizia mista a servilismo delle peggiori classi dirigenti italiane. Il governo USA ci ha investito del comando dell'impresa, i due ne sono fieri e sperano di ottenere guadagni di prestigio, potere, affari con poca spesa. Noi pagheremo il conto.

Come nei peggiori momenti della storia del nostro paese, l'Italia è trascinata in guerra mentre un'opinione pubblica anestetizzata e ingannata assiste passiva all'arroganza del potere guerrafondaio.

Contrastare, boicottare, sabotare la guerra e la NATO è oggi il nostro primo dovere democratico e costituzionale.


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Lavrov: Le accuse contro la Russia crollano al ricordo della Jugoslavia, dell'Iraq e della Libia


RT, 03/03/2016


Il Ministro degli Esteri russo ha ricordato che l'unica via per ottenere soluzioni ai problemi globali è quella pacifica.


In un mondo che cambia, gli Stati Uniti d'America e l'alleanza occidentale in testa non lesinano sforzi per mantenere il loro dominio e la leadership globale, qualcosa che la Russia non può accettare, ha dichiarato il ministro degli Esteri russo Sergey Lavrov.
 
"Si sta mettendo in atto una vasta gamma di metodi di pressione, sanzioni economiche o addirittura un intervento militare," ha scritto il capo della diplomazia russa in un suo articolo "Prospettive storiche della politica estera russa" per la rivista" La Russia nella politica globale'.
 
"Loro stanno conducendo guerre di informazione su larga scala. Hanno costruito cambiamenti di regime in maniera incostituzionale attraverso le 'rivoluzioni colorate' che si rivelano essere devastante per i popoli che subiscono gli effetti", ha scritto il diplomatico russo.
 
Egli ha sottolineato a questo proposito che la posizione della Russia "si basa su evoluzioni che preferiscono  apportare modifiche in modi e con velocità che corrispondono alle tradizioni ed al livello di sviluppo di ogni società".
 
Ha rimarcato che le accuse di "revisionismo" contro la Russia dalla macchina della propaganda occidentale, secondo il quale "avrebbe cercato di distruggere il sistema internazionale esistente."
 
"Come se fossimo quelli che hanno bombardato la Jugoslavia nel 1999 in violazione della Carta delle Nazioni Unite e della Dichiarazione di Helsinki, come se fosse stata la Russia a deridere gli standard internazionali per invadere l'Iraq nel 2003 o che abbia manipolato una risoluzione del Consiglio di Sicurezza Nazioni Unite per rovesciare con la forza Muammar Gheddafi in Libia nel 2011. E questi non sono gli unici esempi", ha sottolineato Lavrov.

"La Russia non sta combattendo nessuno, ma risolve i problemi sulla base dell'uguaglianza"

Secondo il ministro, una soluzione duratura ai problemi globali oggi è possibile solo attraverso la cooperazione sincera dei paesi leader, nell'interesse di obiettivi comuni, tenendo conto del mondo policromo, della sua diversità culturale e degli interessi dei componenti di base della comunità internazionale.
 
"Come dimostrato nella pratica, quando questi criteri sono attuati i risultati concreti essenziali vengono raggiunti", ha spiegato Lavrov.
 
Come esempio ha citato il coordinamento delle condizioni per la cessazione delle ostilità in Siria, accordo sul nucleare con l'Iran, l'eliminazione degli arsenali chimici in Siria, e lo sviluppo dei parametri di base per un accordo globale sul clima.
 
"Questo indica la necessità di ripristinare la cultura del consenso, sostegno del lavoro diplomatico, che pur essendo difficile o faticoso rimane l'unico modo per garantire mezzi pacifici e le soluzioni reciprocamente accettabili ai problemi", ha ribadito Lavrov.
 
"Questi approcci sono condivisi dalla maggior parte dei paesi, tra cui la Cina e gli altri membri del BRICS, SCO, i nostri amici dell 'Unione economica eurasiatica, l'Organizzazione del Trattato di Sicurezza Collettiva e la Comunità degli Stati indipendenti", ha aggiunto.
 
"In altre parole, la Russia non sta combattendo nessuno, ma risolve i problemi sulla base di uguaglianza e di rispetto reciproco, l'unica base affidabile per  sanare le relazioni internazionali a lungo termine", ha proseguito il ministro russo.
 
Secondo Lavrov, il modo migliore per assicurare che essi prendano in considerazione gli interessi dei popoli del continente è quello di creare uno spazio economico e umanitario comune dall'Atlantico al Pacifico, che per l'Unione economica eurasiatica di recente formazione è un elemento integrante tra l'Europa e il bacino del Pacifico.