Informazione


10 Febbraio? Terribilmente vicino a Carnevale...

1) Iniziative:
– UDINE 19/2: CHI HA PAURA DI "RESISTENZA STORICA"?
– PADOVA fino al 24/2: "TESTA PER DENTE. CRIMINI FASCISTI IN JUGOSLAVIA 1941-1945"
2) Sulle vergognose dichiarazioni del Direttore dell'IRSML–FVG, Roberto Spazzali
3) Dopo il divieto del convegno di Gorizia: ENRICO GHERGHETTA, ESEMPIO DI PULIZIA ETNICA
4) ATTACCO FRONTALE DA FASCISTI E FASSINO CONTRO L'ANPI A TORINO
5) Trieste, il carcere del Coroneo intitolato agli agenti di custodia infoibati... Ma chi erano?
6) 10 Febbraio a Basovizza: assieme a Cosolini e Serracchiani, labari e bandiere dei nazifascisti
7) Forsennata ricerca di una nuova foiba nel Goriziano... o forse no


Vedi anche:

Napoli. L'Assessore alla Cultura, Gaetano Daniele, scivola...sulle foibe! (Redazione Contropiano, 10 Febbraio 2016)
... Stamattina, nei pressi del Bosco di Capodimonte, l'Assessore Daniele, era presente alla posa di unalapide che "ricordava l'eccidio delle foibe" in compagnia di uno sparuto gruppetto di aderenti al nodo napoletano dell'organizzazione fascista Casa Pound...


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Venerdì, 19 febbraio 2016 

ore 17.30

Sala "Dante" presso l'Hotel Cristallo

Piazzale D'Annunzio, 43

UDINE


La casa editrice Kappa Vu vi invita alla conferenza-stampa


CHI HA PAURA DI "RESISTENZA STORICA"?


Con la partecipazione di Claudia Cernigoi, Marco Barone, Alessandra Kersevan


In questi giorni, in questi mesi, in questi anni, la Kappa Vu e molti Autori della collana Resistenza Storica, siamo oggetto sia sui giornali, sia sul web, di continue diffamazioni con l'epiteto di "negazionisti" o "riduzionisti" , per le nostre ricerche sulle vicende del confine orientale nel corso del '900.

La diffamazione nei nostri confronti si accompagna ad un attacco sempre più scoperto, ormai usuale in occasione del Giorno del Ricordo, contro i partigiani italiani, come sta succedendo ora contro la Divisione Garibaldi-Natisone e i suoi comandanti, Sasso e Vanni.

Durante la conferenza - che indirizziamo in particolare al mondo della stampa, ma a cui tutti sono invitati - metteremo in evidenza quali siano i principi storiografici che ispirano il lavoro di ricerca che come gruppo di Resistenza Storica abbiamo svolto in questi anni, dimostrando anche l'inconsistenza delle argomentazioni di coloro che vorrebbero impedirci di parlare.

La virulenza degli attacchi contro i nostri studi dimostrano che non si tratta soltanto di storia, ma che si sta giocando una partita legata all'attualità , attraverso la riduzione di fatto della libertà  di parola, il restringimento degli spazi di democrazia, l'abitudine al conformismo, la costrizione al pensiero unico dominante. Non solo in quanto ricercatori storici, ma in quanto cittadini italiani ne siamo fortemente preoccupati.

Per tutti questi motivi, pensiamo che discuterne sia importante e vi invitiamo caldamente a partecipare.



Udine, 17 febbraio 2016
Per Kappa Vu edizioni
Alessandra Kersevan


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PADOVA da mercoledì 10 (dalle 19) a mercoledì 24 febbraio 2016
all'interno della Marzolo Occupata, Via Marzolo 4, rione Portello

sarà in esposizione la mostra in 18 pannelli 

"Testa per dente. Crimini fascisti in Jugoslavia 1941-1945" 

curata da Pol Vice.

Dal sito Dieci Febbraio 1947 http://www.diecifebbraio.info/testa-per-dente/
"(...) Sta dilagando, sotto l’ambiguo nome di revisionismo, la sistematica manipolazione dei fatti (negati, inventati, destrutturati ecc., a seconda dei casi), nel tentativo, tutto politico, di sostituire alla storiografia scientifica e critica una mitologia utile a garantire il consenso sociale intorno ai gruppi dominanti, specie in periodi di crisi come l’attuale. Si sa, questi metodi sono antichi; ma oggi la loro efficacia è legata all’uso monopolistico delle tecnologie mediatiche, vere armi di distrazione di massa delle intelligenze e della coscienza civile. Questa mostra vuol essere un passo (piccolo ma, speriamo, significativo) nella direzione opposta: aiutare gli italiani di oggi a imparare dalla storia per non ripetere gli stessi errori, e a recuperare quei valori della Resistenza antifascista che (al di là della retorica ufficiale) non sono mai stati realmente e coerentemente perseguiti dalla classe di governo – a partire dai mancati processi ai criminali di guerra; passando per i segreti sulle stragi di Stato, sui tentativi golpisti, sulle infiltrazioni mafiose; fino allo “svuotamento” (sostanziale prima che formale) della stessa Costituzione (divisione dei poteri, ripudio della guerra, diritti del lavoro, giustizia sociale, difesa ambientale ecc.): oggi lo Stato è sottoposto di fatto alle “leggi del mercato”, con evidenti pericoli di degenerazione autoritaria. Ma le vere risposte potranno darle solo le lotte. Sarà bene precisare che nella mostra non c’è nulla che possa essere paragonato a una “fiction”: l’impatto emotivo di alcuni contenuti è legato esclusivamente alla loro funzione documentaria. Le immagini e alcuni testi («in corsivo») sono tratti da pubblicazioni e documenti originali dell’epoca. Senza pretendere una completezza e una profondità di analisi impossibili da ottenere con un tale mezzo divulgativo, la cura nella ricerca e nella scelta del materiale è tale da non temere critiche fondate sul piano storico e metodologico. Per verifiche, consultazioni e approfondimenti sono disponibili l’elenco puntuale delle fonti e un’ampia bibliografia. Pol Vice". 

Evento facebook: https://www.facebook.com/events/1534965006796111/


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Vedi anche:

Roberto Spazzali: «Gli istriani difendevano la patria. I migranti invece sono codardi»
http://www.ilgiornale.it/news/politica/istriani-difendevano-patria-i-profughi-invece-scappano-solo-1220213.html

Foibe, il ricordo a Bondeno. Spazzali: “Autodifesa è dovere”
http://www.estense.com/?p=525479

Se questo è un direttore di istituto storico della Resistenza. Roberto Spazzali e i guasti da «Giorno del Ricordo» (di Nicoletta Bourbaki / Giap, 11/2/2016)
Martedì 9 febbraio 2016, vigilia del Giorno del Ricordo 2016. Mentre stiamo ultimando l’articolo che state per leggere, Roberto Spazzali, direttore dell’Istituto Regionale per la Storia del Movimento di Liberazione del Friuli Venezia Giulia (Irsml-FVG), travolto dalle critiche per certe sue esternazioni di qualche giorno prima, chiede scusa pubblicamente...

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Fonte: pagina facebook "Irsml FVG", 9.2.2016
https://www.facebook.com/Irsml/posts/952545424798879

COMUNICATO STAMPA
In merito alle polemiche recentemente comparse, Roberto Spazzali riconosce di avere pronunciato una frase inopportuna che gravemente offende le condizioni di chi oggi fugge dalla morte. E se ne scusa.
Il Direttivo dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia, riunitosi il 9 febbraio 2016, prende atto delle dichiarazioni di Roberto Spazzali e si rammarica per una affermazione che non corrisponde alla linea culturale e ai valori coerentemente espressi nel tempo dall’Istituto stesso. Del pari si duole della strumentalizzazione che ne è sorta a più livelli.
Il presidente
Anna Maria Vinci

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http://www.italia-resistenza.it/in_evidenza/dichiarazione-del-cda-insmli-1936/

Dichiarazione del CdA INSMLI


16/2/2016

In seguito alle polemiche suscitate dall’intervento del direttore dell’Istituto regionale per la storia del movimento di liberazione nel Friuli Venezia Giulia (IRSML), Roberto Spazzali, pubblicato sul sito «ilgiornale.it», il Consiglio di Amministrazione dell’INSMLI ritiene di doversi dissociare totalmente e profondamente dalle parole espresse. Compiere un confronto e un paragone tra i rifugiati che giungono a centinaia di migliaia in questi mesi in Europa per sfuggire a guerre e crimini contro l’umanità e gli esuli che fuggirono dalla Jugoslavia nell’immediato dopoguerra, è un nonsenso storiografico. Ogni vicenda storica ha le sue premesse e le sue condizioni di svolgimento. Però imputare ai rifugiati di oggi di essere codardi e di non saper difendere le proprie terre è, oltre che un tesi storicamente insostenibile, un’offesa al senso di giustizia e di umanità. E’ improprio, antistorico e inaccettabile risuscitare fantasmi di irredentismi, nazionalismi e contese territoriali, in un mondo globalizzato in cui i fenomeni di migrazione di massa traggono origine da tragici conflitti armati, non solo locali, e da condizioni estreme di povertà e di disuguaglianza.
Il Comune di Trieste e la Regione Friuli Venezia Giulia sono stati e sono in prima fila per approntare, nei confronti dei rifugiati dalla Siria e dai conflitti mediorientali e dei migranti più in generale, politiche di accoglienza e di integrazione che sono spesso da prendere a modello. Comprendere le ragioni storiche e politiche di questo esodo massiccio e tragico che sta mettendo in crisi gli stessi equilibri europei è un compito che gli Istituti del movimento di liberazione possono e debbono portare avanti insieme alla loro molteplice attività.
Pur essendo evidente che, come quasi ogni anno, in occasione della Giornata del ricordo ci sia chi intende strumentalizzare quella data per le proprie polemiche politiche e ideologiche, occorre riconoscere che frasi come quella pronunciata da Spazzali sembrano fatte apposta per favorire strumentalizzazioni e polemiche. L’IRSML ha meritoriamente affrontato per anni la questione delle foibe e della violenza attorno al confine orientale italiano ed è quindi evidente che l’attenzione su quanto pensano e dicono i suoi organi dirigenti è maggiore, attorno al 10 febbraio, Giornata del ricordo, di quanto non sia altrove o in altri momenti. Ma maggiore è anche la sua responsabilità nel favorire una conoscenza storica e un dibattito che, sulla base di un riconoscimento delle verità storiche, anche le più scomode e in passato spesso neglette, possa favorire la crescita di una coscienza storica e civile soprattutto tra le giovani generazioni.
Il CdA è certo che gli organi dirigenti dell’IRSML saranno in grado di rispondere con chiarezza alle polemiche suscitate e di prendere le misure necessarie perché venga riaffermata, nell’autonomia e nella libertà che è propria di ognuno, la linea storiografica e culturale che è patrimonio di tutta la rete degli Istituti della Resistenza. Auspica che l’IRSML possa intensificare la collaborazione con gli altri istituti di ricerca storica della regione e con le università presenti sul territorio e nei vicini paesi di confine, per continuare a essere un punto di riferimento per giovani ricercatori, studiosi, insegnanti e studenti in un clima di collaborazione e di approfondimento dei tanti temi e problemi storici ancora aperti o che meritano di venire studiati e divulgati.


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Sulla vicenda della negazione della sala per il convegno di "Resistenza Storica" a Gorizia si veda alla pagina
http://www.diecifebbraio.info/2016/02/gorizia-1022016-11-anni-di-giorno-del-ricordo/

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Fonte: pagina FB di Marco Barone, 10.2.2016:
 
Grazie a tutte e tutti per la solidarietà e partecipazione! 
Ha fatto il giro della rete in fretta ed in furia il caso della revoca della sala da parte della Provincia di Gorizia. Decisione unilaterale del Presidente. Sala revocata a storici, studiosi, antifascisti che, muovendosi all'interno dei parametri della Legge sul giorno del ricordo, volevano parlare delle vicende complesse del confine orientale, e di tutto ciò che vi è connesso su questo giorno. Una delle cose che ha fatto più male, se non rabbia, è stato l'esempio posto in essere da parte del Presidente della Provincia di Gorizia, per giustificare e motivare la mancata concessione della sala: " È come se il giorno della memoria dell'olocausto concedessi una sala pubblica a chi lo nega". Come se fossimo dei nazisti che negano l'olocausto. Ragionamento che si pone in linea con quello fatto dal Presidente della Lega Nazionale di Gorizia, quando ha scritto, a proposito di questo caso che:"Cosa penseresti di una conferenza di Casa Pound il 25 Aprile?". Penso che non sono due cose paragonabili, due opposti enormi ed estremi. Presso il locale Aenigma di Gorizia si è svolta una partecipata assemblea. Si è parlato del giorno del ricordo, sono state smontate tutte le falsità e menzogne che ruotano in questo giorno e rinviando ad un convegno più grande ed importante che si svolgerà prossimamente a #Gorizia. La solidarietà che è pervenuta è stata importante e continua. Quanto accaduto a Gorizia avrà delle inevitabili ripercussioni politiche, e non solo. Non si può continuare a stare con un piede in due scarpe. La storia è una cosa seria, l'antifascismo pure. Si deve scegliere da che parte stare. E se il sedere sulla poltrona viene reputato più importante, ciò avrà ovviamente delle ovvie conseguenze.Oggi a Gorizia è stata data la migliore risposta a chi continua ad attaccare quella voce che nuoce al nazionalismo nostrano, questa risposta è stata la solidarietà, pervenuta da tutta Italia, ed una sala piena di persone e contenuti, in questo 10 febbraio del 2016 in una Gorizia dove la democrazia è stata sospesa. Ci potete anche togliere le sale, ma non il diritto di parlare, ed oggi, nonostante il tutto, abbiamo parlato. mb

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Ecco cosa scrive il Presidente della Provincia di Gorizia il 9 febbraio 2016 (fonte
https://www.facebook.com/enrico.gherghetta/posts/10208757420523663):

"Vorrei occuparmi di altro, ma visto che qualcuno fa disinformazione, chiarisco perché oggi ho negato la sala di Palazzo Attems per domani a una iniziativa negazionista sulle foibe.
Cominciamo con ricordare che..
《Il Giorno del ricordo è una solennità civile nazionale italiana, celebrata il 10 febbraio di ogni anno. Istituita con la legge 30 marzo2004 n. 92[1] essa vuole conservare e rinnovare «la memoria della tragedia degli italiani e di tutte le vittime delle foibe, dell'esodo dalle loro terre degli istriani, fiumani e dalmati nel secondo dopoguerra e della più complessa vicenda del confine orientale》. (da Wikipedia)
Questo significa che il 10 febbraio si ricordano le foibe per legge dello stato italiano. Questo è un obbligo di tutte le istituzioni. Non a caso domani mattina sarò alle 11 a Monfalcone e poi nel pomeriggio a Gorizia, non a titolo personale ma come Presidente della Provincia. Ci sarei cmq andato anche a titolo personale perché mio nonno, Antonio Stefanini è stato prelevato e fatto sparire a Fiume il 8 maggio 1945.
Detto questo, preciso che le sale pubbliche sono un bene collettivo di tutta la comunità, e in questo senso, da quando ci sono io, vengono date a chiunque ne faccia richiesta senza esprimermi sulla condivisione delle singole iniziative. Il patrocinio viene invece dato solo a ciò che si condivide.
Nel caso in questione è lapalissiano che il giorno del ricordo previsto per legge non possa concedere una sala pubblica a chi nega la legge. 
È come se il giorno della memoria dell'olocausto concedessi una sala pubblica a chi lo nega.
Oltre a una evidente sensibilità politica che rispetta le memorie esiste un dovere istituzionale che non a caso il parlamento ha stabilito con legge.
Questo vuol dire che la sala pubblica sarà disponibile per chi vuole negare le foibe in uno degli altri 364 giorni dell'anno. Ma non il 10 febbraio.
D'altra parte se hanno una verità storica con fondamento, essa sarà valida anche il giorno dopo.
Abbiamo sempre fatto così con tutti e ogni altra considerazione è inutile. Mi auguro che i promotori rifacciano la domanda e avranno la sala, come tutti.
PS visto che non è mio costume nascondermi dietro un dito, dico anche della iniziativa in questione non condivido nulla."

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ENRICO GHERGHETTA, ESEMPIO DI PULIZIA ETNICA

Il comunicato di Gherghetta richiede una risposta ponderata ed organica, che stiamo elaborando.
Ma vorremmo fare intanto solo un paio di osservazioni. Egli parla di un nonno "infoibato" a Fiume nel maggio 1945, Antonio Stefanini. Ma questo nome non risulta in alcun elenco di scomparsi (neppure Wikipedia, che il presidente usa come gazzetta ufficiale).
Secondo punto. Gherghetta, che avrebbe avuto il nonno "infoibato" e sostiene la (fallace) teoria della "vera e propria pulizia etnica" che avrebbe colpito gli italiani in Jugoslavia, è nato a Fiume nel 1957 (segno che i suoi genitori vi sono vissuti serenamente almeno per dodici anni dopo la fine della guerra) ed è venuto in Italia dopo. 
Citando l'enciclopedia Treccani (più qualificata che non Wikipedia, che peraltro cita questa definizione) leggiamo la definizione di "pulizia etnica".
- Programma di eliminazione delle minoranze, realizzato attraverso il loro allontanamento coatto o ricorrendo ad atti di aggressione militare e di violenza, per salvaguardare l’identità e la purezza di un gruppo etnico -. 
Gherghetta è la prova vivente che in Jugoslavia non vi fu una pulizia etnica nei confronti della popolazione di lingua italiana. Altrimenti lui non sarebbe nato a Fiume, ma in Italia.

Claudia Cernigoi
10 Febbraio 2016


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ATTACCO FRONTALE DA FASCISTI E FASSINO CONTRO L'ANPI A TORINO

http://www.lastampa.it/2016/02/10/cronaca/fassino-vergognoso-lattacco-dellanpi-alla-giornata-del-ricordo-EWPD3Zkk3RCvTFpI7pF76O/pagina.html

Foibe, esuli contro partigiani: “Denigrano il nostro dramma”

Fassino: “Chi nega distorce i fatti compie un errore inaccettabile”

10/02/2016
ROBERTO TRAVAN

TORINO – «Nessuna interpretazione può cambiare i fatti: chi nega o cerca delle giustificazioni al dramma delle foibe e dell’esodo istriano, compie un errore inaccettabile». Non ha lasciato spazio il sindaco Fassino agli attacchi che puntuali, anche quest’anno hanno cercato di inquinare il «Giorno del ricordo».  
Fassino si è accodato con queste parole all’allarme lanciato da Antonio Vatta, presidente della Consulta regionale dell’Anvgd - l’Associazione che raccoglie in Piemonte gli esuli istriani. Che ieri mattina al Cimitero Monumentale (e poi in Sala Rossa), nella giornata dedicata agli italiani massacrati o costretti alla fuga dai partigiani jugoslavi di Tito, ha accusato i membri dell’Anpi di «aver avviato una dolorosa e ingiustificata campagna denigratoria, organizzando convegni e diffondendo documenti in cui negano il dramma che colpì la nostra gente alla fine della Seconda guerra mondiale».  
Vatta, 81 anni - a Torino dal 1951 dopo aver girovagato 12 anni nei campi profughi sparsi in Italia - nella cerimonia al Cimitero Monumentale non ha usato giri di parole. «Si continua ad offendere la memoria di chi ha pagato il prezzo più alto nel dopoguerra: perché noi abbiamo perso tutto e solo recentemente ci è stato restituito il diritto di ricordare alla luce del sole il nostro dramma». Vatta ha poi denunciato pubblicamente «il tentativo vergognoso dell’Anpi di negare quanto è accaduto in Istria, a Fiume e in Dalmazia: trecentomila persone costrette ad abbandonare terre abitate da generazioni. E altre migliaia barbaramente trucidate». Infine l’affondo: «È ora di finirla con chi riscrive la storia o la nega. Abitavamo quelle terre pacificamente da sempre, e non eravamo fascisti: dopo 70 anni sentirci dire ancora certe cose ci rattrista e ci preoccupa».  
Fassino ha sottolineato che «siamo qui per riaffermare l’inaccettabilità di ogni forma di negazionismo e di riscrittura della storia. E per riaffermare che al ricordo si deve accompagnare l’impegno di evitare che tragedie simili si ripetano, cosa non scontata come dimostra la storia recente».  
Il sindaco di Torino ha ribadito che dopo anni di silenzio «si è presa coscienza che una nazione ha il dovere di assumere sulle proprie spalle ogni pagina della sua storia e non c’è pagina che possa esser cancellata e negata. Chi fu ucciso nelle foibe e chi fu cacciato dalla sua terra lo fu solo perché italiano in quella che fu un’operazione di pulizia etnica»  

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<< Nel lontano 1997, quando ancora erano pochi coloro che si occupavano di foibe, ebbi modo di consegnare personalmente all'allora non so che ruolo ricopriva Piero Fassino, una mia analisi sulle falsità a proposito di foibe diffuse all'epoca dal mancato golpista (con Borghese) Marco Pirina, che in collaborazione con l'avvocato piduista Augusto Sinagra ed al magistrato che si faceva intervistare dal Secolo d'Italia Giuseppe Pititto, stava organizzando il processo contro gli "infoibatori" (poi conclusosi in una bolla di sapone, com'era prevedibile, ma che ci fece tribolare per diversi anni). Quindi Fassino non può dire di non sapere, ciò che fa lo fa perché ha consapevolmente scelto di farlo. >>

Claudia Cernigoi, 12.2.2016

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Fonte: pagina FB "Dieci Febbraio", 12.2.2016
https://www.facebook.com/diecifebbraio1947/posts/1677459949195463

Accade a Torino che il Presidente regionale dell'Anvgd, Antonio Vatta, attacchi l'Anpi. 
Si scopre poi che suo nipote, Luigi Vatta, è stato candidato e legale per Casa Pound ed è autore di libri presentati alla sede dell'Anvgd con lo zio Antonio (nella foto sono il terzo e il quarto).
http://www.anvgd.com/public/anvgd/Image/Luigi%20Vatta%20Fiume%202.jpg

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Fonte: http://www.anpitorino.it

COMUNICATO STAMPA

Spiace constatare come la celebrazione del Giorno del Ricordo a Torino si presenti con un attacco all’ANPI, come se questa Associazione fosse responsabile di quella terribile situazione sul Confine Orientale. 
E’ merito dell’ANPI semmai condurre un lavoro di riflessione e ricerca per approfondire responsabilità, cause ed eventi. E’ improprio che una riflessione sia vista come campagna di denigrazione.
Nessuno nega il dramma di quelle terre di confine, ma proprio per questo la storia non va riscritta da un solo punto di vista, per cui da alcuni anni l’ANPI, come altri soggetti, cerca di evitare semplificazioni e falsità.
Alla Città di Torino chiediamo di favorire commemorazioni che mettano a confronto più voci, perché il Giorno del Ricordo non può essere appannaggio dell’Associazione degli Esuli Istriani, come non devono esserci attacchi che ne inquinino il significato.
Aver sfruttato questa giornata per un improprio e ingiustificato attacco all’ANPI, non fa onore alla necessità che la memoria sia giusta e utile a superare equivoci e contrapposizioni.
La Presidenza ANPI Provinciale Torino
Torino, 11/02/2016

Comunicato della sezione Anpi V^ Riunite: http://www.anpitorino.it/sezioni/V%20Cicoscr/Comunicato%20della%20sezione%20%20ANPI%20V%20RIUNITE%20TORINO.pdf
Corriere della Sera del 19 gennaio 1944: http://www.anpitorino.it/documenti/Giorno%20Ricordo%20Corriere%20della%20Sera%2019-01-1944.jpg


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http://ilpiccolo.gelocal.it/trieste/cronaca/2016/02/11/news/il-carcere-del-coroneo-intitolato-agli-agenti-di-custodia-infoibati-1.12943236

Il carcere del Coroneo intitolato agli agenti di custodia infoibati

11 febbraio 2016 – Le carceri del Coroneo di Trieste saranno intitolate alla memoria del comandante Ernesto Mari e degli agenti di custodia in forza alle carceri giudiziarie Angiolo Bigazzi e Filippo Del Papa, che il 24 maggio del 1945 furono trucidati e infoibati nella cavità Plutone di Basovizza. A renderlo noto è Paolo Sardos Albertini, presidente della Lega Nazionale e del Comitato per i martiri delle foibe nel corso del suo intervento durante la commemorazione del Giorno del ricordo.
Sardos Albertini ha espresso «soddisfazione per questa decisione, oltre che per la recente modifica alla legge con la quale sono stati ampliati i termini per la richiesta del riconoscimento ai familiari degli infoibati, in precedenza fissati in dieci anni».
Presenti alla cerimonia della foiba di Basovizza, i rappresentanti delle Associazioni degli esuli. (...)
Infine, gli interventi del capogruppo del Partito democratico alla Camera dei deputati Ettore Rosato, per il quale «l’Italia esce dall’oblio per prendere consapevolezza di un passaggio drammatico e per troppo tempo ignorato della propria storia» e della deputata di Forza Italia Sandra Savino che ha posto l’accento sui «terribili crimini dei titini perpetrati a guerra conclusa: un eccidio tenuto a lungo nascosto e sottaciuto».(p. pit.)


Fonte: pagina FB de "La Nuova Alabarda", 12.2.2016
https://www.facebook.com/LaNuovaAlabarda/posts/351571285013444

IL CARCERE DEL CORONEO DEDICATO AGLI AGENTI DI CUSTODIA INFOIBATI

Ernesto Mari, Angelo Bigazzi e Filippo Del Papa furono "infoibati" nell'abisso Plutone da un gruppo di criminali comuni infiltratisi nella Guardia del popolo al momento dell'insurrezione. Il gruppo fu scoperto dalle autorità jugoslave ed i responsabili arrestati: il compianto, solerte, pseudoricercatore storico Marco Pirina (reduce dal fallito golpe di Junio Valerio Borghese) aveva superato se stesso mettendo questi nominativi sia nell'elenco degli aguzzini in quanto facevano parte della Guardia del popolo, sia nell'elenco degli "infoibati" in quanto arrestati dagli Jugoslavi e condotti a Lubiana per essere processati.
Ma vediamo le limpide figure di coloro ai quali sarà intitolato il carcere cittadino.
Nel maggio ’45 gli agenti di custodia Giuseppe Rovello e Paolo Lopolito denunciarono alle autorità jugoslave Angelo Bigazzi ed Ernesto Mari (comandante del corpo degli agenti di custodia del Coroneo) come responsabili di internamenti in Germania di altri agenti di custodia e perciò furono successivamente accusati di avere provocato arbitrariamente l’arresto dei loro superiori; furono giudicati ed infine assolti il 7/5/47 dalla Sezione Istruttoria della Corte d’Appello di Trieste. Dopo i recuperi dalla foiba Plutone, la vedova di Mari presentò un altro esposto contro i due, ed un nuovo processo fu celebrato nel ‘49 dal Tribunale Militare di Padova. La sentenza del 25/10/49 assolse i due imputati «in ordine al reato di concorso in insubordinazione con omicidio (…) per non aver commesso il fatto». Ambedue le sentenze riconoscono che «l’autorità militare jugoslava dette riconoscimento al Corpo delle Guardie del popolo, i cui componenti divennero così pubblici ufficiali – il 12 maggio 1945 – e che proprio in tal giorno vennero arrestati Mari e Bigazzi, onde solo per gli arresti eseguiti nei giorni precedenti si può parlare di illegittimità» (Sentenza Tribunale Militare di Padova d.d. 10/11/49).
Tra le circa 300 lettere scritte da vari cittadini alle autorità jugoslave nel maggio ‘45 per chiedere la liberazione di civili e militari arrestati, c’è un’unica segnalazione che non dice bene della persona cui si riferisce, anzi: «Il sig. Bigazzi per conto mio deve rimanere al lavoro perche (sic) squadrista». Firmato «Bembo Renato, già detenuto politico SS» (In Archivio di Roman Pahor, OZZ NOB 23). 
Lopolito, denunciato nel 1944 per indisciplina alle autorità germaniche da Bigazzi e Mari, presentò una memoria nella quale asseriva che mentre era agli arresti per indisciplina «il Sottocapo Bigazzi andò a visitarlo più volte per dirgli che, come vedeva, aveva mantenuto la parola d’inviarlo in Germania, e che Mari la sera precedente la partenza» gli disse: “Come vedi ti ho fatto seguire la via dell’agente Leone (Salvatore Leone fu deportato a Buchenwald dove rimase 18 mesi; presentò una denuncia contro chi riteneva responsabili del suo arresto, tra i quali Mari, conservata in AS 1827 F 871/I, n.d.a.): domani partirai per la Germania”». 
Prosegue la sentenza: «il 18 agosto effettivamente Lopolito veniva deportato e dopo avere subito maltrattamenti e digiuno al campo di concentramento, poté rientrare a Trieste, nei primi del maggio 1945 in miserevoli condizioni. Nessun dubbio pertanto nel Lopolito che causa delle sue sofferenze fossero stati proprio Mari e Bigazzi».
Inoltre si legge che alla vedova dell’agente Tafuro, che era stato deportato in Germania, era stato detto, il 27/4/45 che il marito stava per tornare ed allora «era andata a pregare il Mari stesso perché intervenisse con la sua opera per far tornare suo marito. A tale preghiera il Mari dichiarò che aveva fatto quanto era nelle sue possibilità e che pertanto non poteva più far nulla, che nessuna colpa egli aveva dell’internamento; e poiché la Tafuro, disperata, alzò il tono di voce egli, prendendola per un braccio la minacciò: “stia zitta, che se no, la faccio finire in Germania anche lei”». Lo stesso giorno la donna ricevette la comunicazione che il marito era morto in Germania il 3 marzo; fu per questo motivo che alcuni giorni dopo si consultò con Rovello e sporse denuncia contro Mari.


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Fonte: pagina FB de "La Nuova Alabarda", 12.2.2016
https://www.facebook.com/LaNuovaAlabarda/photos/a.115168005320441.1073741826.115049368665638/351486738355232/?type=3
 
IL GIORNO DEL RICORDO CHE PIACE ALLE ISTITUZIONI

Nella foto sotto, tratta dalla pagina del Primorski Dnevnik (http://www.primorski.it/stories/trst/252903_faistini_simboli_v_bazovici/#.VrzZrvnhCM8) si vedono, nel corso della cerimonia ufficiale presso la foiba di Basovizza (dove, ricordiamo, l'unico "infoibato" fu un torturatore al servizio del nazifascismo) alla presenza della autorità civili e militari, sindaco Cosolini e governante (governatrice ci pare pacchiano) Serracchiani in testa, esposti nell'ordine i seguenti labari e bandiere.
Alpini Tagliamento (reparto autonomo della RSI); Decima Mas (conosciuta, si spera); bandiera ufficiale della RSI con l'aquila di Salò; seminascosto il labaro dell'Arma Milizia (rappresentante di tutti i corpi armati fascisti oggi fuorilegge).
La bandiera tricolore con simbolo giallo, essendo poco visibile, non l'abbiamo identificata, ma dovrebbe essa pure appartenere alla RSI.

Ecco spiegato il motivo per cui qualcuno viene tacciato di "negazionista": perché talune istituzioni di questa repubblica hanno evidentemente deciso di violare sistematicamente le leggi che vietano l'apologia del fascismo.


=== 7 ===

Forsennata ricerca di una nuova foiba nel Goriziano... o forse no

Fonte: Il Messaggero Veneto, 16.2.2016

TITOLO: «A giorni le indicazioni per trovare la foiba»
OCCHIELLO: Il presidente della Lega Nazionale di Gorizia conferma le anticipazioni. Nel documento rimasto segreto si indicano anche i responsabili della strage

di Giulia Zanello – «Stiamo facendo riferimento a un documento di massima ufficialità e attendibilità, secretato da settant’anni nell’archivio del ministero degli Affari esteri. E sì, si può parlare di foiba, perché il terreno individuato è roccioso. Entro la fine di questa settimana o nei primi giorni della successiva sarà svelato il punto preciso». Il presidente della Lega Nazionale di Gorizia, Luca Urizio, replica con queste parole al presidente dell’Anpi provinciale, Dino Spanghero, intervenuto domenica, durante la cerimonia di commemorazione dei 23 partigiani fucilati l’11 febbraio davanti al cimitero di San Vito, sul caso scoppiato sulla presunta esistenza di una foiba nella zona di Rosazzo. Un incartamento che “pesa”, dunque, secondo Urizio, che arriva dalla Farnesina e indica che nella zona rocciosa, situata nel cuore dei Colli Orientali a cavallo tra le province di Udine e Gorizia, sarebbero state gettate, nel 1945, tra le duecento e le ottocento persone. Ma il giallo potrebbe essere presto risolto. «Finora sono stato molto vago perché le autorità mi hanno chiesto di mantenere il massimo riserbo - precisa Urizio -. Le indagini (che vedono collaborare i carabinieri della Compagnia di Palmanova, ndr) sono in corso e spero al più presto di poter fornire informazioni più dettagliate in merito al punto esatto. È questione di giorni». (...)

DUE GIORNI DOPO IL TITOLO ONLINE VIENE CAMBIATO E L'ARTICOLO MODIFICATO: La Lega Nazionale: "A giorni le indicazioni per trovare la foiba di Manzano"» [SIC - hanno cambiato zona...]

di Giulia Zanello – ...

ALTRO PEZZO – TITOLO: Il figlio di “Annibale”: non ne abbiamo mai sentito parlare
OCCHIELLO: Vanni Donato: le informative non hanno fondamento di verità. «Dubito che mio padre si sia portato nella tomba un segreto così»

di Davide Vicedomini – «Mio padre non mi ha mai parlato di una fossa comune a Rosazzo. E anche mia madre, che tuttora ha 97 anni, è rimasta colpita da questa notizia. Stento a credere che papà si sia portato nella tomba un segreto del genere». Vanni Donato è il figlio di Dante, nome di battaglia “Annibale”. Dante viene citato nell’incartamento della Farnesina come persona informata dei fatti della “presunta foiba” nel cuore del Collio dove sarebbero sepolte tra le «200 e le 800 persone». (...) «Essendo comandante degli Osovani e sindaco in pectore, visto che di lì a qualche mese avrebbe guidato il paese, probabilmente qualcuno lo riteneva una persona informata dei fatti. Ma, ve lo posso assicurare, che di un simile massacro non ho mai sentito parlare in casa. Me lo sarei ricordato, eccome, a meno che qualcuno non abbia ritenuto il caso di tenere lontani da queste notizie me e mio fratello, essendo piccoli». Vanni comunque un’idea se l’è fatta di tutta la vicenda. «Ho lavorato nell’esercito – conclude – e quel documento è un’informativa. E le informative sono un classico “si dice per sentire dire”. Non hanno alcun fondamento di verità».



Una guerra di aggressione che non ha spazio in TV


YEMEN, LA GUERRA CRIMINALE DEI SAUDITI


Speciale PandoraTV, 16/02/2016


ESCLUSIVO – Leader yemenita incontra Pandora TV e racconta la grave situazione nel martoriato paese della penisola arabica, lo Yemen: la Porta del Mar Rosso che intrappola 25 milioni di abitanti nei giochi geopolitici sauditi. Un drammatico appello all’opinione pubblica mondiale e ai giornalisti occidentali: “dove siete, mentre distruggono il nostro paese?”


VIDEO: http://www.pandoratv.it/?p=6254
oppure: https://www.youtube.com/watch?v=XG5YWGfEgPc

(english / italiano)

Pulizia etnica *dentro* il "tribunale" dell'Aia

1) Bosnian Serb military commander Zdravko Tolimir dies in Hague tribunal’s jail (RT, 9 Feb, 2016)
2) La Serbia invia al Tribunale dell’Aia una nota di protesta (Serbian Monitor / RTS 12.2.2016)
3) FLASHBACK: Murder at The Hague? The strange case of sick & suicidal Serbs (by Neil Clark, 29 Oct, 2015)


Sullo stesso argomento si vedano anche / see also:

ONE MORE DEAD AT THE HAGUE (JUGOINFO, 25 ott 2015)
Juergen Elsaesser: "LA STRADA DEL TRIBUNALE È COSPARSA DI CADAVERI" (13 marzo 2006)
COMMENTI, ANALISI ED ALTRI TESTI SUL "TRIBUNALE AD HOC"


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Bosnian Serb military commander dies in Hague tribunal’s jail

Published time: 9 Feb, 2016 18:03

General Zdravko Tolimir, one of the top commanders in the Army of Republika Srpska during the Bosnian War, has died in The Hague detention center. He had been sentenced to life in prison in 2012 for “war crimes against Bosnian Muslim population.”
The cause of death has not been reported, although last February Tolimir told the court that he had had four stents placed in his heart, according to Reuters.
“He was taken ill at the court’s detention center at around 9 pm last night,” Reuters cites the tribunal’s spokesman, Nenad Golcevski, as saying. “He received medical attention but he passed away.”
Tolimir was due to be transferred to a prison in one of the Hague Tribunal’s sponsoring countries, but died at the age of 67.
“This is a grave loss not only for the family and friends but also for all Serb people,” said Milorad Dodik, president of Republika Srpska, Bosnia’s autonomous Serb Republic.
During the Bosnian War of 1992-1995, commander Tolimir (b.1948) was intelligence chief for the main headquarters of the Army of the Serb Republic (VRS), where he supervised security affairs and reported directly to VRS commander General Ratko Mladic.
Tolimir appeared before the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) in 2007, accused of involvement in the alleged murder of 8,000 Muslim men in Srebrenica in July of 1995.
After years of trial, in April 2015, the Hague Tribunal’s appeals chamber handed Tolimir a life sentence for committing war crimes against the citizens of Srebrenica.
However, ICTY acquitted him of genocide in Zepa, another UN-protected “safe area” taken by Serbs in the last year of the Bosnian War.
Zdravko Tolimir used to be “the right-hand man of the Bosnian Serb commander Ratko Mladic and sometimes knew more than Mladic himself,” the presiding judge, Theodor Meron, said during the original trial, stressing that a life sentence was appropriate in Tolimir’s case due to the gravity of his crimes.
“The accused had knowledge and was aware of the genocidal intent of the Bosnian Serb leadership and was responsible for genocide,” the judge said.
However, this opinion was not shared by the entire panel. Judge Prisca Matimba Nyambe of Zambia said the evidence against Tolimir was “entirely circumstantial, based on presumptions, suppositions”.
“There is no evidence linking him to the crimes perpetrated by his subordinates, nor does the evidence demonstrate that he knew that those crimes were being perpetrated,” Nyambe wrote , adding that she was “wholly unpersuaded” of Tolimir’s guilt in any of the charges alleged in the indictment.
Tolimir himself always insisted he was conducting a military operation against Bosnian Muslim “terrorist groups” that were attacking the Serb civilian population.
The ICTY was established in 1993 to put those on trial who were accused of committing war crimes and crimes against humanity following the break-up of multi-ethnic Yugoslavia. Armed conflicts on the territory of Yugoslavia’s successor countries lasted throughout most of the 1990s and resulted in death of more than 130,000 people, according to a number of independent assessments.
Several ICTY defendants died during the course of their trials in The Hague, among them former Yugoslav President Slobodan Milosevic, who passed away in the court’s custody on March 11, 2006, before the completion of his four-year trial.
The Krajina Serb leader Milan Babic allegedly committed suicide in The Hague on March 5, 2006, only six days before Milosevic’s death,
In August of 2015, after being transferred to Lisbon prison unit, General Mile Mrksic, a former officer in the Yugoslav National Army, became the first to die outside of Scheveningen.
In October of 2015, Dusan Dunjic, a defense witness in former Bosnian Serb general Ratko Mladic’s case, was found dead at his hotel in The Hague just hours before he was to testify in court.
Other Serb nationals who died in ICTY detention centers are General Djordje Djukic (died 1996), Croatian Serb leader Slavko Dokmanovic (died 1998); Milan Kovacevic, former mayor of Prijedor (died 1998), General Momir Talic (died 2003); and Miroslav Deronjic, a Bosnian Serb official (died in Sweden in 2007).
Ratko Mladic, commander of the RS Army and Tolimir’s former boss, still remains on trial.

=== 2 ===


La Serbia invia al Tribunale dell’Aia una nota di protesta

Posted on 12/02/2016 by Biagio Carrano

Il primo ministro serbo Aleksandar Vucic ha inoltrato al Tribunale Penale Internazionale dell’Aia una nota di protesta in relazione al comportamento da essa tenuta nei confronti dei rappresentanti serbi.
Vucic nella note richiede che il TPI rispetti la Serbia e non applichi doppi pesi nei confronti del paese, in particolare la Serbia non accetta che alcuni interrogatori vengano tenuti nei tribunali dei paesi di origine degli imputati, come concesso ad alcuni paesi. Vucic ricorda inoltre nella nota tutte le garanzie che ha dato la Serbia in merito al rilascio temporaneo di alcuni imputati al fine di curarsi, impegni che il Tribunale ha ignorato. Vucic ha concluso che i negoziati tra serbia e TPI riprenderanno quando questo organo dimostrerà di rispettare la Serbia.
A esplicita domanda dei cronisti Vucic ha risposto che “la vita del generale Zdravko Tolimir è molto più importante di tuttele richieste del TPI”. Anche il minsitro della giustizia Nikola Selakovic ha comunicato che invierà una nota di protesta: “La Serbia da decenni collabora con il TPI e vi sono tante prove di ciò ma merita di essere trattata come uno stato sovrano”.
Il Tribunale Penale Internazionale non ha risposto a una nota della Repubblica di Serbia dell’ottobre 2015 in cui si chiedeva il rilascio temporaneo del generale Zdravko Tolimir per consentirgli di sottoporsi a cure mediche mentre qualche giorno fa alla richiesta del TPI di procedere all’arresto di tre membri del partito radicale serbo il presidente del Tribunale Alphonse Orie non ha consentito al rappresentante della Serbia di intervenire in dibattimento.

(RTS, 12.02.2016)


=== 3: FLASHBACK ===


Murder at The Hague? The strange case of sick & suicidal Serbs

Neil Clark is a journalist, writer, broadcaster and blogger. He has written for many newspapers and magazines in the UK and other countries including The Guardian, Morning Star, Daily and Sunday Express, Mail on Sunday, Daily Mail, Daily Telegraph, New Statesman, The Spectator, The Week, and The American Conservative. He is a regular pundit on RT and has also appeared on BBC TV and radio, Sky News, Press TV and the Voice of Russia. He is the co-founder of the Campaign For Public Ownership @PublicOwnership. His award winning blog can be found at www.neilclark66.blogspot.com. He tweets on politics and world affairs @NeilClark66
Published time: 29 Oct, 2015 12:27

A Serb dies suddenly- and at the worst time possible time - during an important war crimes trial at The Hague. Does that sound familiar? 
The death of Dusan Dunjic, a forensic pathologist who was found dead in his room in the Crown Plaza Hotel just hours before he was due to testify as a key defense witness in the trial of the Bosnian Serb Ratko Mladic - unsurprisingly led some to think back to the sudden death of the former Serb President and President of Yugoslavia, Slobodan Milosevic in 2006.
Although an autopsy found that Dunjic- whose body was found by a member of the hotel staff and a representative of the Hague tribunal died of natural causes, it has been reported that the deceased’s family in Serbia, and family doctors don’t believe the ’natural causes’ explanation- with friends pointing out the 65-year-old was ‘as fit as a fiddle‘. There were also conflicting reports about where Dunjic’s body was found- one had him on a chair in his room, the other lying on the floor.
Certainly the timing of Dunjic’s death is disastrous for Mladic- who is charged with genocide, war crimes and crimes against humanity. Anyone concerned with justice, and making sure that all the evidence is gone through as thoroughly as possible when such serious crimes are being discussed, should regret the forensic pathologist’s absence from the court room.

Now if two Serbs die sudden and untimely deaths at The Hague/Scheveningen, we could put it down to coincidence. People die - and being on trial for war crimes or even testifying in such trials - is a stressful experience.
The trouble is we’re not just talking about Dunjic and Milosevic. There have been a number of strange deaths of Serbs involved with war crimes trials at The Hague, and they have tended to come at extremely convenient moments for the prosecution side. Some would say there‘s simply been too many dead bodies now to explain them all away as ‘coincidences‘.
Just imagine, as Nina Byzantina pointed out in a Twitter message, if this had all happened in Russia. At trials in which the Russian state had desperately wanted a conviction. Then I’m sure the sudden deaths of people, at key moments of the trial, would be blamed on government forces.

But these are Serbs dying under mysterious circumstances in Western Europe, in a NATO member state, so of course there can be no question of foul play! Or at least, that is what we are encouraged to think. I’d argue that at the very least we ought to be keeping an open mind, and not ruling out the possibility that some dark forces have been at work here, at least for some of the cases. After all, the stakes are very high, and NATO needs Serbs, the official ’Bad Guys’ for defying Western hegemonic ambitions in the Balkans in the 1990s, to be found guilty. But what happens when the evidence just isn‘t there?
Below is a commissioned article I wrote for a leading British newspaper over ten years ago in which I closely examined the (seemingly) sensational claims that Slobodan Milosevic was being slowly murdered in The Hague. The piece was not published. Perhaps the newspaper thought that the claims would be dismissed as ‘conspiracy theory’- or they were worried of official comeback. I don’t know. But it makes for an interesting read now, knowing that Milosevic did indeed die while held captive, and with doubts being raised over the death of the latest Serb not to leave The Hague alive.

Is Milosevic being slowly murdered at The Hague?
Slobodan Milosevic is being slowly murdered at The Hague. So claims Sloboda, or ‘Freedom,’ the Serbian pressure group at the forefront of the international campaign for the release of the former Yugoslav President.
Many will dismiss their allegations as the paranoid fantasies of conspiracy theorists. Others will believe it is all part of a plot engineered from his prison cell by Milosevic himself, anxious to evade charges of genocide, war crimes and crimes against humanity. I am not so sure. A closer examination of recent events at The Hague reveals that the claims may not be as outlandish as they first appear.
To say that the trial of Milosevic has not gone well for the NATO powers that support and finance the Tribunal would be a major understatement. The prosecution opened its case in February 2002 in a fanfare of publicity, with Chief Prosecutor Carlo Del Ponte announcing 66 charges against the ex-Yugoslav President and accusing him of “crimes of medieval savagery.”
But the brutal truth is that up to now, Del Ponte's team of prosecutors have failed to produce a single shred of convincing evidence linking Milosevic to the crimes he is accused of. 'Star' witness Ratomir Tanic was exposed as being in the pay of Western security forces, whilst ex-Yugoslav secret police chief Rade Markovic, the man who was finally going to spill the beans on Milosevic and reveal how his former master had ordered the expulsion of ethnic Albanians from Kosovo, in fact did the opposite and testified that he had been tortured to tell lies and that his written statement had been falsified by the prosecution.
Milosevic, in carrying out his own defense, has, as even his enemies concede, been brilliant in rebutting the charges against him and in cross-examining witnesses. His demeanor in court has shattered the traditional Western image of him as a crazed, comic book tyrant: the 'Butcher of the Balkans' of popular mythology. Milosevic has also made some highly damaging revelations in court about the extent to which Western security forces collaborated with groups in the Balkans linked to Al-Qaeda.
He has quoted the testimony of J.T. Caruso, the assistant director of the FBI counter-terrorism division who confirmed that Osama bin Laden's organization had supported 'Islamic fighters' in Bosnia and Kosovo. He has revealed how CIA money was diverted via Geneva, to fund the operations of these 'Islamic fighters' in the Balkans and how SAS units set up training camps in Northern Albania to train the terrorists of the Kosovan Liberation Army to shoot Yugoslav state officials.
The authorities at The Hague appear to have a major dilemma. Clearly a guilty verdict against Milosevic on the basis of the 'evidence' so far would be such a blatant miscarriage of justice that everyone who has been following the trial would see it as a politically motivated verdict. Yet acquitting Milosevic and allowing him to return home to Serbia a hero and able to rebuild his political power base would be a disastrous outcome for those politicians in the West, like Tony Blair, who are happy to pin the blame on ‘Slobo’ for all the bloodshed in the Balkans this past decade.
Milosevic's death in custody would clearly solve a few problems. In his defense, Milosevic plans to call over 1,500 witness, including Bill Clinton (who brokered the Dayton Agreement with the Serb leader in 1995), President Chirac of France and Britain's Lord Owen in an attempt to reveal the full extent of the West's involvement in the break-up of Yugoslavia. For many powerful figures in the West, the sooner Milosevic can be removed from the court room, the better.
There is no doubting that Milosevic's health has seriously deteriorated during his time at The Hague. The demands of the trial, plus the enforced separation from his wife and family have had a damaging effect on the physical well-being of a 62 year old prisoner confined to a 9ft by 15ft cell. But despite suffering from high blood pressure and complaining of fatigue, it was only in July 2002 that the Tribunal finally permitted doctors, albeit non-specialists, to examine Milosevic. The doctors' medical report described Milosevic as “a man with severe cardiovascular risk which demands future monitoring.” The recommendation was that the patient's workload be reduced and he be given more opportunity for rest. The Tribunal did not carry out the doctors' advice. Instead they did exactly the opposite.
Milosevic's workload was not reduced, but increased, with an extra three hours being added to the trial each day. Lunch break for the ex-President of Yugoslavia was sitting in a basement with only a sandwich for nourishment. Arriving back to jail so late in the evening, he was given a choice of either a dinner or a walk in the fresh air, but not both.
Instead of being given the vegetarian-centered diet recommended for heart patients, he was fed low quality, greasy food. The window in his cell was hermetically sealed, depriving him of fresh air. As if all this were not damning enough, a Dutch newspaper, NRC Handelsblad revealed that during this period, Milosevic was actually being given the wrong drugs for his medical condition. Drugs which, instead of reducing his blood pressure, in fact caused it to rise very quickly.
This astonishing revelation, which went almost unreported in the British media, was subsequently confirmed by sources within the jail. The Tribunal though refused to discuss the issue on grounds that it was “about the privacy of the defendant.” It is very difficult to escape the conclusion that the authorities at The Hague were deliberately trying to give Milosevic a heart attack. They very nearly succeeded.
In October 2002, Milosevic was taken ill, with an attack of unusually high blood pressure. The trial was then postponed, and finally on 15th November, over a fortnight later, Milosevic was allowed to be examined by a cardiologist for the first time. Dr Van Dijkman found “essential hypertension with secondary organic damage.” He reported that in recent weeks, there had been “steep increase” in Milosevic's blood pressure - to around 220/130mm Hg. He concluded that “with a combination of sufficient rest and medication the level of Milosevic's blood pressure will be an acceptable one.”
Having brushed off the concerns about Milosevic's health from an independent team of German physicians, Judge Carlo Jorde, the President of the Tribunal stated, in a letter to the Freedom Foundation of Belgrade, that Milosevic was receiving “close medical attention of a high quality from the medical staff of the UN Detention Centre.” But what actually does Mr. Jorde mean by “close medical attention of high quality”?
The truth is, not very much. At The Hague “close medical attention” amounts to a weekly visit of a prison doctor and a daily visit of a nurse who brings the pill (but as we know not necessarily the right one). The nurse incidentally doesn't come at weekends.
In 2003, albeit belatedly, Milosevic’s trial burden was lessened, with the number of weekly sessions reduced. But to counter balance this, the volume of material produced by the prosecution has increased from the already existing 500,000 pages of A4 by another 400,000, all of which Milosevic was expected to deal with in the three months he was given to prepare for his defense. This would be a Herculean and stressful task for a young man in the prime of health, let alone a sexagenarian with a serious heart condition. Not surprisingly, with the workload placed upon him, Milosevic’s condition continues to worsen.
Last week, Milosevic’s illness caused the start of his defense to be postponed, until the 16th July. If Milosevic were to die at The Hague, as seems increasingly probable, he will not be the first Serb inmate to do so in suspicious circumstances.
Five years ago, there was the 'unfortunate' suicide of Slavko Dokmanovic. Dokmanovic died just a week before he was due to be sentenced and had every reason to be optimistic of an acquittal, so weak had been the prosecution's case. The Hague Tribunal have to this day not satisfactorily explained why a man who they later said had been on 'suicide watch' had been left in his cell with a tie and manual razor.
Also in 1998, there was the death in custody of Dr Kovacevic, accused of war crimes in Bosnia. Although having a heart condition Kovacevic received similar treatment to Milosevic in jail, leading the prominent cardiologist who examined him to warn “the UN won't have time to judge him because his heart will go beforehand if he remains in prison.”
Sure enough, Kovacevic, like Dokmanovic, died shortly before he was to receive his sentence. Despite complaining about stomach pains and in his agony wailing so loudly that all the other inmates could hear him, Kovacevic remained unattended in his cell for a full five hours before the prison guards eventually arrived to find his corpse.
No doubt Kovacevic, like Milosevic had been assured of the “close medical attention of the highest quality” by the tribunal.
There are those who will no doubt question whether it matters if The Hague authorities are deliberately trying to kill Milosevic: that he is a man who does not deserve too much of our sympathy. But they are missing the point. Terrible crimes were committed in the Balkans over the last decade, and it is only right that these crimes should be thoroughly investigated and those responsible, of whatever nationality, should be held accountable. However, all men are innocent until proven guilty, and Slobodan Milosevic is no exception.
Tony Blair described the war against Yugoslavia as a war for “civilized values”. If trying to kill a prisoner in custody because you lack evidence to convict him and it is politically inexpedient to release him is an example of “civilized values,” then surely we are all in trouble.

POSTSCRIPT:
Slobodan Milosevic was found dead in his cell at The Hague at 9am on the morning of March 11, 2006. The ICTY had recently refused a request for Milosevic to go to Russia to have specialist medical treatment for his heart condition.
An autopsy took place, but it was carried out without the presence of the independent medical team sent by the Milosevic family. Neither were Russian doctors allowed access to Milosevic’s body and tissue samples.
The ICTY’s official report into Milosevic’s death stated: “These investigations have confirmed that Mr. Milosevic died of natural causes from a heart attack and that there was no poison or other chemical substance found in his body that contributed to the death.”

However, a tribunal registrar did confirm that traces of rifampicin, a tasteless, odorless drug which can easily be administered in food without the subject knowing anything about it, was found in Milosevic’s blood in a test on 12th January. Although no rifampicin was found in Milosevic’s blood at the autopsy that doesn’t mean it wasn’t there earlier that week. As the district public prosecutor explained: "Rifampicin disappears from the body quickly, and the fact that no traces were found implies only that it is not likely that rifampicin had been ingested or administered in the last few days before death.”
Could Milosevic have been murdered through the administration of rifampicin? The answer is an emphatic Yes.

In an article on Milosevic’s death in the London Times, British doctor and former MP, Thomas Stuttaford OBE, described the use of rifampicin as “a cunning way to kill a man which needs no expertise,” and explained how the drug could have been used to negate the effects of the medication Milosevic was taking for his heart condition.
“In this case, rifampicin was apparently used to block the pathway for heart medication… You don't have to be terribly skilled to establish which drugs interfere with others. They are listed in a reference book called Martindale's and any would-be poisoner could have looked up the pharmacology of the drugs that Milosevic was being prescribed and discovered those that used the same pathways.” Stuttaford wrote.
Less than 72 hours before he died, Milosevic had written a letter to the Ministry of Foreign Affairs of the Russian Federation, in which he expressed his fears that he was being poisoned.
"I think that the persistence, with which the medical treatment in Russia was denied, in the first place is motivated by the fear that through careful examination it would be discovered, that there were active, willful steps taken, to destroy my health, throughout the proceedings of the trial, which could not be hidden from Russian specialists. 
In order to verify my allegations, I'm presenting you a simple example which you can find in the attachment. This document, which I received on March 7, shows that on January 12th (i.e. two months ago), an extremely strong drug was found in my blood, which is used, as they themselves say, for the treatment of tuberculosis and leprosy, although I never used any kind of antibiotic during this five years that I'm in their prison.
Throughout this whole period, neither have I had any kind of infectious illness (apart from flu). Also the fact that doctors needed two months (to report to me), can't have any other explanation than we are facing manipulation. In any case, those who foist on me a drug against leprosy surely can't treat my illness; likewise those from which I defended my country in times of war and who have an interest to silence me."
The full text of Milosevic’s letter can be read here.
The death of the former President of Yugoslavia was not the only one at the Scheveningen detention center that week. Only six days earlier, on March 5th, another Serb, Milan Babic, was found dead in his cell.
"The Dutch authorities were called immediately. After conducting an investigation, they confirmed that the cause of death was suicide," the tribunal said in a statement. But a tribunal spokesperson also admitted that there was no indication that Babic had been contemplating suicide.
At the request of Babic’s family, an autopsy was conducted at the Netherlands Forensic Institute, which revealed that the prisoner “had also suffered a heart attack at about the same time as the hanging.”
“The final autopsy conclusion discloses that the precise cause of the death of Mr. Babic has not been determined,” stated the ICTY report into Babic’s death. The report also noted: “A question was also raised concerning the consistency of a ligature mark on the neck with the belt provided to the pathologists by the investigative police.”
As yet another Serb dies suddenly at The Hague; it’s surely time for a full, independent inquiry into all of the suspicious deaths which have taken place in and around the ICTY.
For if the ‘conspiracy theories’ are right, and people are being put to death there to serve certain political agendas, we have a right to know.





Febbraio 2011–2016

1) Febbraio 2011: quando la polizia italiana non impedì l'attacco all'ambasciata libica 
2) Bandiera Usa sull’Europa / Libia, il piano della conquista (Manlio Dinucci su il manifesto)
3) Ecco perché hanno ammazzato Gheddafi. Le email Usa che non vi dicono (C. Messora, 9.1.2016)
4) Attacco dell'Islam radicale in Europa: lungimirante la “profezia” di Gheddafi (Sputnik, 8.1.2016)


Vedi anche:

Assalto all'ambasciata libica a Roma (Libera.Tv, 23 feb 2011)
ASSALTO ALL'AMBASCIATA LIBICA A ROMA, 23 febbraio 2011.

Il sogno di Muammar Gheddafi: fornire acqua fresca a tutti i libici e rendere la Libia autosufficiente nella produzione alimentare (Enrico Vigna, ottobre 2015)
I libici la chiamavano l'ottava meraviglia del mondo. I media occidentali lo hanno definito il capriccio e il sogno irrealizzabile di un cane rabbioso. Il "cane rabbioso" nel 1991 aveva profeticamente detto circa la più grande impresa di ingegneria civile nel mondo...


=== 1 ===



Febbraio 2011: quando la polizia italiana non impedì l'attacco all'ambasciata libica

Quando al grido di "Allah U Akbar" (ironia della storia) e "ammazzate Gheddafi", lo stato italiano lasciò l'ambasciata libica in balia degli assalitori

 
La polizia italiana non è forse tenuta a proteggere le sedi delle ambasciate? E se scientemente non lo fa, qualcuno viene
punito? 

Ricordiamo questo fatto di cinque anni fa. Il 23 febbraio 2011 a Roma in via Nomentana manifestanti al grido di Allah U Akbar e ammazzate Gheddafi, durante una manifestazione - autorizzata? non autorizzata?... - assaltarono in libertà l'ambasciata dell'allora Jamahiryia araba libica. Usando come scala una camionetta della polizia - le forze dell'ordine erano presenti in tenuta antisommossa- si arrampicarono sul muro, gettarono alla folla urlante la bandiera verde (che fu bruciata seduta stante) e vi sostituirono quella monarchica, attualmente in uso. Si vede tutto qui: https://www.youtube.com/watch?v=5f-H8ebC6OE
Immaginiamo cosa sarebbe successo se qualcuno avesse provato ad assaltare l'ambasciata Usa. Beh...non sarebbe successo niente, nel senso che lì non ci si può nemmeno avvicinare. Nemmeno in condizioni normali. Nemmeno passeggiando.
 
Marinella Correggia
08/02/2016


=== 2 ===



L’arte della guerra
 
Bandiera Usa sull’Europa

Manlio Dinucci
 
Partecipando (come ormai d’obbligo) all’incontro dei ministri della difesa Ue il 5 febbraio ad Amsterdam, il segretario della Nato Jens Stoltenberg ha lodato «il piano degli Stati uniti di accrescere sostanzialmente la loro presenza militare in Europa, quadruplicando i finanziamenti a tale scopo». Gli Usa possono così «mantenere più truppe nella parte orientale dell’Alleanza, preposizionarvi armamenti pesanti, effettuarvi più esercitazioni e costruirvi più infrastrutture». In tal modo, secondo Stoltenberg, «si rafforza la cooperazione Ue-Nato». 

Ben altro lo scopo. Subito dopo la fine della guerra fredda, nel 1992, Washington sottolineava la «fondamentale importanza di preservare la Nato quale canale della influenza e partecipazione statunitensi negli affari europei, impedendo la creazione di dispositivi unicamente europei che minerebbero la struttura di comando dell'Alleanza», ossia il comando Usa. 

Missione compiuta: 22 dei 28 paesi della Ue, con oltre il 90% della popolazione dell’Unione, fanno oggi parte della Nato sempre sotto comando Usa, riconosciuta dalla Ue quale «fondamento della difesa collettiva». Facendo leva sui governi dell’Est, legati più agli Usa che alla Ue, Washington ha riaperto il fronte orientale con una nuova guerra fredda, spezzando i crescenti legami economici Russia-Ue pericolosi per gli interessi statunitensi. In tutta l’Europa orientale sventola, sul pennone più alto, la bandiera a stelle e strisce assieme a quella della Nato. 

In Polonia, la nuova premier Beata Szydlo ha ammainato dalla sue conferenze stampa la bandiera della Ue, spesso bruciata nelle piazze da «patrioti» che sostengono il governo nel rifiuto di ospitare i rifugiati (frutto delle guerre Usa/Nato), definiti «invasori non-bianchi». In attesa del Summit Nato, che si terrà a Varsavia in luglio, la Polonia crea una brigata congiunta di 4mila uomini con Lituania e Ucraina (di fatto già nella Nato), addestrata dagli Usa. 

In Estonia il governo annuncia «un’area Schengen militare», che permette alle forze Usa/Nato di entrare liberamente nel paese. 

Sul fronte meridionale, collegato a quello orientale, gli Stati uniti stanno per lanciare dall’Europa una nuova guerra in Libia per occupare, con la motivazione di liberarle dall’Isis, le zone costiere economicamente e strategicamente più importanti. 

Una mossa per riguadagnare terreno, dopo che in Siria l’intervento russo a sostegno delle forze governative ha bloccato il piano Usa/Nato di demolire questo Stato usando, come in Libia nel 2011, gruppi islamici armati e addestrati dalla Cia, finanziati dall’Arabia Saudita, sostenuti dalla Turchia e altri. 

L’operazione in Libia «a guida italiana» – che, avverte il Pentagono, richiede «boots on the ground», ossia forze terrestri – è stata concordata dagli Stati uniti non con l’Unione europea, inesistente su questo piano come soggetto unitario, ma singolarmente con le potenze europee dominanti, soprattutto Francia, Gran Bretagna e Germania. Potenze che, in concorrenza tra loro e con gli Usa, si uniscono quando entrano in gioco gli interessi fondamentali. 

Emblematico quanto emerso dalle mail di Hillary Clinton, nel 2011 segretaria di Stato: Usa e Francia attaccarono la Libia anzitutto per bloccare «il piano di Gheddafi di usare le enormi riserve libiche di oro e argento per creare una moneta africana in alternativa al franco Cfa», valuta imposta dalla Francia a sue 14 ex colonie. Il piano libico (dimostravamo sul manifesto nell’aprile 2011) mirava oltre, a liberare l’Africa dal dominio del Fmi e della Banca mondiale. Perciò fu demolita la Libia, dove le stesse potenze si preparano ora a sbarcare per riportare «la pace».  
 
(il manifesto, 9 febbraio 2016)

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L’arte della guerra 

Libia, il piano della conquista  

Manlio Dinucci
  

«Il 2016 si annuncia molto complicato a livello internazionale, con tensioni diffuse anche vicino a casa nostra. L'Italia c'è e farà la sua parte, con la professionalità delle proprie donne e dei propri uomini e insieme all'impegno degli alleati»: così Matteo Renzi ha comunicato agli iscritti del Pd la prossima guerra a cui parteciperà l’Italia, quella in Libia, cinque anni dopo la prima. 

Il piano è in atto: forze speciali Sas – riporta «The Daily Mirror» – sono già in Libia per preparare l’arrivo di circa 1000 soldati britannici. L’operazione – «concordata da Stati uniti, Gran Bretagna, Francia e Italia» – coinvolgerà circa 6000 soldati e marine statunitensi ed europei con l’obiettivo di «bloccare circa 5000 estremisti islamici, che si sono impadroniti di una dozzina dei maggiori campi petroliferi e, dal caposaldo Isis di Sirte, si preparano ad avanzare fino alla raffineria di Marsa al Brega, la maggiore del Nordafrica». 

La gestione del campo di battaglia, su cui le forze Sas stanno istruendo non meglio identificati «comandanti militari libici», prevede l’impiego di «truppe, carrarmati, aerei e navi da guerra». Per bombardare in Libia la Gran Bretagna sta inviando altri aerei a Cipro, dove sono già schierati 10 Tornado e 6 Typhoon per gli attacchi in Siria e Iraq, mentre un cacciatorpediniere si sta dirigendo verso la Libia. Sono già in Libia – conferma «Difesa Online» – anche alcuni team di Navy Seal Usa. 

L’intera operazione sarà formalmente «a guida italiana». Nel senso che l’Italia si addosserà il compito più gravoso e costoso, mettendo a disposizione basi e forze per la nuova guerra in Libia. Non per questo avrà il comando effettivo dell’operazione. Esso sarà in realtà esercitato dagli Stati uniti attraverso la propria catena di comando e quella della Nato, sempre sotto comando Usa. 

Un ruolo chiave avrà lo U.S. Africa Command, il Comando Africa degli Stati uniti: esso ha appena annunciato, l’8 gennaio, il «piano quinquennale» di una campagna militare per «fronteggiare le crescenti minacce provenienti dal continente africano». Tra i suoi principali obiettivi, «concentrare gli sforzi sullo Stato fallito della Libia, contenendo l’instabilità nel paese». Fu il Comando Africa degli Stati uniti, nel 2011, a dirigere la prima fase della guerra, poi diretta dalla Nato sempre sotto comando Usa, che con forze infiltrate e 10mila attacchi aerei demolì la Libia trasformandola in uno «Stato fallito». 

Ora il Comando Africa è pronto a intervenire di nuovo per «contenere l’instabilità nel paese», e lo è anche la Nato che, ha dichiarato il segretario generale Stoltenberg,  è «pronta a intervenire in Libia». E di nuovo l’Italia sarà la principale base di lancio dell’operazione. Due dei comandi subordinati dello U.S. Africa Command si trovano in Italia: a Vicenza quello dello U.S. Army Africa (Esercito Usa per l’Africa), a Napoli quello  delle U.S. Naval Forces Africa (Forze navali Usa per l’Africa). 

Quest’ultimo è agli ordini di un ammiraglio Usa, che è anche a capo delle Forze navali Usa in Europa, del Jfc Naples (Comando Nato con quartier generale a Lago Patria) e, ogni due anni, della Forza di risposta Nato. L’ammiraglio è a sua volta agli ordini del Comandante supremo alleato in Europa, un generale Usa nominato dal Presidente, che allo stesso tempo è a capo del Comando europeo degli Stati uniti. 

In tale quadro si svolgerà la «guida italiana» della nuova guerra in Libia, il cui scopo reale è l’occupazione delle zone costiere economicamente e strategicamente più importanti. Guerra che, come quella del 2011, sarà presentata quale «operazione di peacekeeping e umanitaria».
 
(il manifesto, 12 gennaio 2016)  




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Ecco perché hanno ammazzato Gheddafi. Le email Usa che non vi dicono

Pubblicato 9 gennaio 2016 - 14.41 - Da Claudio Messora

Il 31 dicembre scorso, su ordine di un tribunale, sono state pubblicate 3000 email tratte dalla corrispondenza personale di Hillary Clinton, transitate sui suoi server di posta privati anziché quelli istituzionali, mentre era Segretario di Stato. Un problema che rischia di minare seriamente la sua corsa alla Casa Bianca. I giornali parlano di questo caso in maniera generale, senza entrare nel dettaglio, ma alcune di queste email delineano con chiarezza il quadro geopolitico ed economico che portò la Francia e il Regno Unito alla decisione di rovesciare un regime stabile e tutto sommato amico dell’Italia, come la Libia di Gheddafi. Ovviamente non saranno i media mainstream generalisti a raccontarvelo, né quelli italiani né quelli di questa Europa che in quanto a propaganda non è seconda a nessuno, tantomeno a quel Putin spesso preso a modello negativo. A raccontarvelo non poteva essere che un blog, questa volta Scenari Economici di Antonio Rinaldi e del suo team, a cui vanno i complimenti.

“Due terzi delle concessioni petrolifere nel 2011 erano dell’ENI, che aveva investito somme considerevoli in infrastrutture e impianti di estrazione, trattamento e stoccaggio. Ricordiamo che la Libia è il maggior paese produttore africano, e che l’Italia era la principale destinazione del gas e del petrolio libici.

La email UNCLASSIFIED U.S. Department of State Case No. F-2014-20439 Doc No. C05779612 Date: 12/31/2015  inviata il 2 aprile 2011 dal funzionario Sidney Blumenthal (stretto collaboratore prima di Bill Clinton e poi di Hillary) a Hillary Clinton, dall’eloquente titolo “France’s client & Qaddafi’s gold”, racconta i retroscena dell’intervento franco-inglese.

Li sintetizziamo qui.

  • La Francia ha chiari interessi economici in gioco nell’attacco alla Libia.
  • Il governo francese ha organizzato le fazioni anti-Gheddafi alimentando inizialmente i capi golpisti con armi, denaro, addestratori delle milizie (anche sospettate di legami con Al-Qaeda), intelligence e forze speciali al suolo.
  • Le motivazioni dell’azione di Sarkozy sono soprattutto economiche e geopolitiche, che il funzionario USA  riassume in 5 punti:
    1. Il desiderio di Sarkozy di ottenere una quota maggiore della produzione di petrolio della Libia (a danno dell’Italia, NdR),
    2. Aumentare l’influenza della Francia in Nord Africa
    3. Migliorare la posizione politica interna di Sarkozy
    4. Dare ai militari francesi un’opportunità per riasserire la sua posizione di potenza mondiale
    5. Rispondere alla preoccupazione dei suoi consiglieri circa i piani di Gheddafi per soppiantare la Francia come potenza dominante nell’Africa Francofona.

Ma la stessa mail illustra un altro pezzo dello scenario dietro all’attacco franco-inglese, se possibile ancora più stupefacente, anche se alcune notizie in merito circolarono già all’epoca.

In sintesi Blumenthal dice:

  • Le grosse riserve d’oro e argento di Gheddafi, stimate in 143 tonnellate d’oro e una quantità simile di argento, pongono una seria minaccia al Franco francese CFA, la principale valuta africana.
  • L’oro accumulato dalla Libia doveva essere usato per stabilire una valuta pan-africana basata sul dinaro d’oro libico.
  • Questo piano doveva dare ai paesi dell’Africa Francofona un’alternativa al franco francese CFA.
  • La preoccupazione principale da parte francese è che la Libia porti il Nord Africa all’indipendenza economica con la nuova valuta pan-africana.
  • L’intelligence francese scoprì un piano libico per competere col franco CFA subito dopo l’inizio della ribellione, spingendo Sarkozy a entrare in guerra direttamente e bloccare Gheddafi con l’azione militare.


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Attacco dell'Islam radicale in Europa: lungimirante la “profezia” di Gheddafi

08.01.2016

Il leader libico aveva messo in guardia Tony Blair dall'attacco dei fondamentalisti islamici in Europa: emerge dai documenti resi pubblici del Parlamento britannico. A Londra ora riconoscono che Gheddafi fosse più perspicace dei politici occidentali.

Il leader libico Muammar Gheddafi aveva messo in guardia l'ex premier britannico Tony Blair dalla minaccia dell'estremismo islamico in Europa. Emerge dalle trascrizioni delle telefonate tra i due politici rese pubbliche dalla commissione Esteri del Parlamento della Gran Bretagna, scrive il "Telegraph".

Il 25 febbraio 2011, quando in Libia già imperversavano le rivolte, Gheddafi aveva spiegato a Blair di cercare di proteggere il Paese dagli insorti di "Al Qaeda".

"Noi non li attacchiamo, loro ci attaccano. Voglio dirle la verità. Questa situazione non è così complicata, è al contrario semplice: in Nord Africa si sono svegliate le cellule dormienti di "Al Qaeda". Le cellule libiche sono simili a quelle che hanno operato in America alla vigilia dell'11 settembre," — aveva detto Gheddafi.

"I jihadisti sono entrati in possesso di armi ed hanno diffuso la paura tra la gente. Le persone non possono lasciare le loro case. <…> Ma non viene mostrato il quadro reale della situazione, non ci sono giornalisti stranieri. Abbiamo chiesto a tutti i giornalisti di tutto il mondo di venire a vedere la verità. Si tratta di bande armate. <… > E' impossibile negoziare con loro," — sottolineava Gheddafi.

"Vogliono controllare il Mediterraneo e poi attaccare l'Europa," — aveva avvertito il leader libico.

Blair, a sua volta, aveva sostenuto la necessità della pace.

Tre settimane dopo questa telefonata la coalizione di Paesi occidentali, compresa la Gran Bretagna, aveva iniziato i raid in Libia, portando al rovesciamento di Muammar Gheddafi, scrive il "Telegraph".

"Le premonizioni di Gheddafi sembrano essere state confermate, — si afferma nell'articolo. — Dopo la sua caduta, la Libia è piombata nel caos ed è ancora travolta dalla guerra civile. Molti territori sono controllati da gruppi armati di fondamentalisti islamici legati ai terroristi del Daesh (ISIS). I terroristi, inviati dal Daesh in Francia, a novembre hanno perpetrato una serie di sanguinosi attacchi terroristici a Parigi."

Il presidente della commissione Esteri Crispin Blunt ha dichiarato che i membri della commissione prenderanno in considerazione gli "avvertimenti profetici" di Gheddafi nell'ambito dell'inchiesta sugli eventi in Libia.

Secondo Blunt, i dati attualmente disponibili suggeriscono che "i politici occidentali sono meno lungimiranti di Gheddafi nei termini dei rischi connessi con l'intervento militari sia per il popolo libico e sia per gli interessi dello stesso Occidente."