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GIORNATA DELLA MEMORIA / DAN SEĆANJA

1) Beograd/Belgrado 27/1: VIE DI SALVEZZA / PUTEVI SPASA. LA ZONA DI OCCUPAZIONE ITALIANA
2) ADDIO MEMORIALE DEGLI ITALIANI. Il direttore del museo di Auschwitz ha dato l'ordine di smantellare l'opera d'arte dedicata agli italiani deportati e morti (di B. Andreose su Il Manifesto del 23.01.2016)
3) IL DISCORSO DI PRIMO LEVI ALL’INAUGURAZIONE DEL MEMORIALE AVVENUTA IL 13 APRILE DEL 1980


Segnalazione:
Paradossale iniziativa al Museo Cervi (Gattatico, RE), 27 gennaio 2016
ARTE E ARCHITETTURA D’OGGI PER LA MEMORIA
Una riflessione sugli spazi per la memoria e la commemorazione. Progetti recenti a confronto
Nel programma si parla apparentemente di tutto tranne che dello smantellamento del Memoriale degli Italiani di Auschwitz!

Auch lesenswert:
ARBEIT AM SCHLUSSSTRICH (27. Januar: Trauerrituale statt Entschädigung für NS-Opfer – GFP 27.01.2016)
BERLIN/DISTOMO/THESSALONIKI/DETMOLD (Eigener Bericht) - Begleitet von folgenlosen Trauerritualen am heutigen Auschwitz-Gedenktag verhärtet das offizielle Deutschland seine Opfer-Ignoranz. Sowohl im diplomatischen Verkehr mit mehreren EU-Staaten wie auch im innerdeutschen Dialog mit Gedenkorganisationen kommt es deswegen zu vermehrten Spannungen. Während Athen auf Verhandlungen über die NS-Schulden besteht und sich politischer Gegenmaßnahmen der Berliner Behörden erwehren muss, beklagt Warschau deutsche Interventionen in die Tätigkeit polnischer Verbände des Widerstands. In der Bundesrepublik versuchen offizielle Stellen, die Informationsarbeit einer Freiburger Bürgerinitiative einzuschränken, weil sie auf die Behandlung der vergessenenen Überlebenden von NS-Germanisierungsverbrechen in einer Ausstellung aufmerksam macht. Seit nunmehr zehn Monaten ohne Antwort bleibt ein Schreiben der Bürgerinitiative "Zug der Erinnerung" und der Jüdischen Gemeinde von Thessaloniki, die an die überfällige Rückzahlung deutscher Staatseinnahmen aus antisemitischen Massenverbrechen erinnert hatten. Für die Schuldabwehr verantwortlich ist das deutsche Außenministerium unter Frank-Walter Steinmeier (SPD) und Staatsminister Michael Roth
(SPD)...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59295

Vedi anche:
27 Gennaio 1945-2016, a fianco dell'Armata Rossa (JUGOINFO 18.1.2016)
1) INIZIATIVE
- ROMA 27/1: “COME L’ARMATA ROSSA LIBERÒ AUSCHWITZ”
- MILANO 27/1: SOLIDARIETA’ AI COMUNISTI UCRAINI 
- COAZZE (TO) 29/1: NICOLA GROSA E I PARTIGIANI SOVIETICI IN ITALIA
- VENEZIA 14/1--7/2: IN MEMORIA DELLO STERMINIO DEI DISABILI
2) PRIMO LEVI E LODOVICO BELGIOJOSO SFRATTATI DA AUSCHWITZ
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8457


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-------- Messaggio originale --------
Da: Info IIC Belgrado 
Data: 26/01/2016 17:02 (GMT+01:00)  
Oggetto: GIORNATA DELLA MEMORIA / DAN SECANJA 

mercoledì 27 gennaio 2016, ore 18.00
Istituto Italiano di Cultura, Kneza Miloša 56, Belgrado

CONFERENZA

VIE DI SALVEZZA. LA ZONA DI OCCUPAZIONE ITALIANA

In occasione della Giornata della Memoria in ricordo delle vittime dell’Olocausto e dei deportati militari e politici italiani nei campi nazisti, l’Istituto italiano di cultura di Belgrado in collaborazione la Federazione delle comunità ebraiche della Serbia e il Centro per la ricerca e l’educazione sull’Olocausto, organizzano una conferenza sul tema “Vie di salvezza. La zona di occupazione italiana”.

In questa occasione vogliamo ricordare prima di tutto le vittime dalla Serbia e da tutta l’Europa ma anche tutti quelli che sono riusciti a salvarsi. In questo spirito l’accento sarà posto sull’Olocausto in Serbia e nella regione in riferimento al ruolo del regime fascista italiano nell’istituzione e nella applicazione delle misure antisemitiche ma anche sulla salvezza di migliaia di ebrei che riuscirono a scappare dalle varie citta’ della Jugoslavia occupata, inclusa Belgrado, verso i territori occupati dagli italiani e lì trovare salvezza.

Partecipano Davide Scalmani (direttore IIC Belgrado), Aleksander Gaon (Federazione delle comunità ebraiche della Serbia), la storica Olga Manojlovic Pintar (Istituto di storia contemporanea della Serbia), Aleksander Lebl, Svetlana Djuric, Miroslava Demajo (famigliari e sopravvissuti). Moderatore Milovan Pisarri del Centro per la ricerca e l’educazione sull’Olocausto.

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sreda, 27. januar 2016, 18.00h
Italijanski instiut za kulturu, Kneza Miloša 56, Beograd

SUSRET
PUTEVI SPASA. ITALIJANSKA OKUPACIONA ZONA

Povodom obeležavanja Međunarodnog dana sećanja na žrtve Holokausta  i deportovanja italijanskih vojnika i političara u nacističke logore, Italijanski institut za kulturu u Beogradu, u saradnji sa Savezom jevrejskih opština Srbije i Centrom za istraživanje i edukaciju o Holokaustu, organizuje razgovor na temu „Putevi spasa: Italijanska okupaciona zona“.

Ovom prilikom želimo da se setimo pre svega žrtava, kako iz Srbije, tako iz cele Evrope, ali i svih onih koji su uspeli da se spasu. U tom duhu, akcenat će biti stavljen na Holokaust u Srbiji i regionu, na ulogu italijanskog fašističkog režima u uspostavljanju i sprovođenju antisemitskih mera, ali i na spasavanje nekoliko hiljada Jevreja koje su iz raznih gradova okupirane Jugoslavije, uključujući i Beograd, uspeli da pobegnu na teritorije pod italijanskom okupacijom i da tu nađu utočište.

U razgovoru učestvuju: Davide Skalmani (direktor Italijanskog instituta za kulturu u Beogradu), Aleksandar Gaon (Savez jevrejskih opština Srbije), istoričarka Olga Manojlović Pintar (Institut za noviju istoriju Srbije), Aleksandar Lebl, Svetlana Đurić, Miroslav Demajo (preživeli odnosno potomci preživelih). Moderira Milovan Pisarri iz Centra za istraživanje i edukaciju o Holokaustu.


Istituto Italiano di Cultura
Kneza Miloša 56 - 11000 Beograd
tel. +381 11 3629347
fax: +381 11 3621411
e-mail: iicbelgrado @ esteri.it
www.iicbelgrado.esteri.it


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Addio Memoriale degli italiani

Giornata della Memoria
. Il direttore del museo di Auschwitz dopo un preciso ultimatum ha dato l'ordine di smantellare l'opera d'arte del Blocco 21 inaugurata nel 1980 dedicata agli italiani deportati e morti

di Beatrice Andreose
su Il Manifesto del 23.01.2016

Quando Luigi Nono compose la sua opera per il Memoriale italiano che nel 1980 venne inaugurato ad Auschwitz, la commentò in questo modo «Non è una musica facile. È una musica dolorosa. L’unico consiglio che mi sento di darvi prima dell’ascolto: spegnete la luce, massimo silenzio, chiudete gli occhi». Un silenzio accorato, certo non quello dell’abbandono in cui versano le stanze che ospitavano l’opera e che da qualche mese si presentano ormai desolatamente vuote. Cancello sbarrato e memoria calpestata, dunque, per i nostri connazionali deportati e morti ad Auschwitz. Sino al 2011 i visitatori potevano visitare l’opera realizzata da alcuni tra i più importanti nomi della cultura italiana del Novecento tra cui gli architetti dello studio milanese BBPR (Lodovico Belgiojoso, Ernesto Rogers, Enrico Peressutti e Gian Luigi Banfi) che avevano lavorato assieme a Primo Levi per i testi, Pupino Samonà per i dipinti, Nelo Risi per la regia e Luigi Nono per le musiche. Una morte lungamente annunciata, quella del Memoriale italiano. L’ultimo capitolo è dell’aprile 2014 quando il direttore del Museo Statale di Auschwitz-Birkenau Dr Piotr M.A.Cywinski nella sua missiva all’Aned (l’Associazione degli ex deportati nei campi nazisti che del memoriale è titolare) e all’Ambasciatore d’Italia a Varsavia Riccardo Guariglia intimava un vero e proprio ultimatum per lo smontaggio del Memoriale dal Blocco 21. Chiedeva in modo perentorio una nuova installazione più conforme alle disposizioni definite dal Consiglio internazionale di Auschwitz. In sostanza il revisionismo polacco chiedeva che la Shoah oscurasse l’antifascismo esigendo che venissero rimossi i simboli comunisti e quella falce e martello che il Parlamento dal 2009 aveva messo fuori legge. L’accusa era che si trattava di «un’opera d’arte fine a se stessa, priva di valore educativo». Poco graditi soprattutto il racconto dell’ascesa del nazi– fascismo, del collaborazionismo, del razzismo di Stato, del ruolo delle multinazionali tedesche (soprattutto la Bayer). Per la Polonia era inopportuno ricordare oltre all’olocausto ebreo anche quello dei prigionieri politici comunisti, degli omosessuali, dei rom e dei disabili che trovarono la morte ad Auschwitz. E così, tra il silenzio ed il disinteresse assordanti dei governi italiani che si sono succeduti dal 2007 ad oggi e dopo anni di resistenze solitarie prima dell’Aned, poi del mondo accademico e artistico italiano capeggiato dall’Accademia di Belle Arti di Brera, nel maggio di quest’anno i tecnici e i restauratori dell’Istituto Centrale del Restauro e dell’Opificio delle Pietre Dure hanno smontato l’opera per trasferirla nello spazio Ex3 del quartiere Gavinana a Firenze, destinato a diventare Polo della memoria e centro di un museo diffuso sulla deportazione.
«Mai avrei voluto vedere le immagini dei restauratori che smontano pezzo per pezzo il Memoriale italiano – commenta Dario Venegoni, presidente ANED — Ricordo ancora lo sforzo immane da noi sostenuto quasi 40 anni fa per progettare, finanziare e allestire quell’opera nel Blocco 21 del campo; ricordo la generale commozione il giorno dell’inaugurazione, a cui io ero presente con mia madre ed un centinaio di altri ex deportati e familiari giunti appositamente dall’Italia. Che l’opera alla quale hanno lavorato così illustri autori sia smontata fa male al cuore. Nonostante ciò nell’aprile 2005 abbiamo raggiunto un accordo per il suo spostamento a Firenze, il pericolo era che venisse chiuso e disperso» conclude rispondendo così ad alcune critiche di cedimento rivolte da più parti all’Aned. A battersi per la conservazione in loco del memoriale anche l’arch. Gregorio Carboni Maestri autore nel 2013, assieme all’arch. Emanuela Nolfo, del progetto Glossa che proponeva una nuova contestualizzazione del Memoriale». Auschwitz, svuotata di qualsiasi contenuto politico, secondo Primo Levi è un luogo tragicamente destinato a diventare inutile, perché non spiega alle nuove generazioni alcunché. Diventa solo «un tragico evento». Questo evento — spiega Carboni Maestri– è fatto invece da elementi precisi, che vanno analizzati e compresi, uscendo dalla balla dell’uomo malvagio che ha ipnotizzano una nazione e ucciso milioni di vittime per il semplice gusto di farlo. Ad Auschwitz va spiegato da dove veniamo e verso dove andremo, da cosa nasce la barbarie. E la barbarie nasce solo da un elemento: dalla sconfitta del mondo del lavoro, come intuì Rosa Luxembourg. Quella vicenda ne fu la prova, oggi ne vediamo la tragica conferma, giorno dopo giorno. La storiografia di regime odierna preferisce una narrativa di Auschwitz alla «Schindler List», manichea e ingenua, con un «cattivo» (Hitler) e delle «vittime inerti» (i soli ebrei, «apatici») in modo che nessuno capisca, in definitiva, alcunché uscendo da quel campo di sterminio. Solo scossi dall’orrore, per poi essere incapaci di vedere l’orrore odierno o i possibili Auschwitz futuri. In modo che nessuno capisca che il nazifascismo nacque (e rinascerà) dalla sconfitta del mondo operaio, che lo stesso fu sconfitto solo dalla lotta vittoriosa di milioni di sovietici, dalle lotte dei partigiani, degli operai in sciopero a Sesto, degli operai statunitensi e inglesi al di là e al di qua dell’oceano che, soli, hanno sopportato lo sforzo di guerra in Regno Unito e Stati Uniti». A battersi contro lo smantellamento anche l’associazione Gherush92 che in una nota commenta «Al pari delle azioni belliche che mirano alla demolizione di mausolei ed antichi monumenti, anche le manipolazioni storico-politiche come la deportazione del nostro Memoriale, possono disintegrare la memoria delle vittime del Nazifascismo e della Shoà e abbandonare — come anziani archeologi a difesa di antichi monumenti — i partigiani e i deportati e, con loro, la Resistenza Italiana». Per vedere la storia del memoriale, il suo smontaggio ed il trasferimento l’Aned da appuntamento il pomeriggio del 27 gennaio alla Casa della Memoria di Milano. Gherush92 invece propone il 27 gennaio alle 10 al Centro Russo di Scienza e Cultura di Roma la conferenza «Come l’Armata Rossa liberò Auschwitz». Sarà presentato il progetto «Auschwitz Liberation» e si analizzerà la liberazione del campo di sterminio da parte dell’Armata Rossa.


=== 3 ===


(...)

Il discorso di Primo Levi all’inaugurazione del Memoriale avvenuta il 13 aprile del 1980:

La storia della Deportazione e dei campi di sterminio, la storia di questo luogo, non può essere separata dalla storia delle tirannidi fasciste in Europa: dai primi incendi delle Camere di Lavoro nell’Italia del 1921, ai roghi di libri sulle piazze della Germania del 1933, alla fiamma nefanda dei crematori di Birkenau, corre un nesso non interrotto.
È vecchia sapienza, e già così aveva ammonito Enrico Heine, ebreo e tedesco: chi brucia libri finisce col bruciare uomini, la violenza è un seme che non si estingue. È triste ma doveroso rammentarlo, agli altri ed a noi stessi: il primo esperimento europeo di soffocazione del movimento operaio e di sabotaggio della democrazia è nato in Italia.
È il fascismo, scatenato dalla crisi del primo dopoguerra, dal mito della «vittoria mutilata», ed alimentato da antiche miserie e colpe; e dal fascismo nasce un delirio che si estenderà, il culto dell’uomo provvidenziale, l’entusiasmo organizzato ed imposto, ogni decisione affidata all’arbitrio di un solo.
Ma non tutti gli italiani sono stati fascisti: lo testimoniamo noi, gli italiani che siamo morti qui. Accanto al fascismo, altro filo mai interrotto, è nato in Italia, prima che altrove, l’antifascismo. Insieme con noi testimoniano tutti coloro che contro il fascismo hanno combattuto e che a causa del fascismo hanno sofferto, i martiri operai di Torino del 1923, i carcerati, i confinati, gli esuli, ed i nostri fratelli di tutte le fedi politiche che sono morti per resistere al fascismo restaurato dall’invasore nazionalsocialista. E testimoniano insieme a noi altri italiani ancora, quelli che sono caduti su tutti i fronti della II Guerra Mondiale, combattendo malvolentieri e disperatamente contro un nemico che non era il loro nemico, ed accorgendosi troppo tardi dell’inganno. Sono anche loro vittime del fascismo: vittime inconsapevoli. Noi non siamo stati inconsapevoli.
Alcuni fra noi erano partigiani; combattenti politici; sono stati catturati e deportati negli ultimi mesi di guerra, e sono morti qui, mentre il Terzo Reich crollava, straziati dal pensiero della liberazione così vicina. La maggior parte fra noi erano ebrei: ebrei provenienti da tutte le città italiane, ed anche ebrei stranieri, polacchi, ungheresi, jugoslavi, cechi, tedeschi, che nell’Italia fascista, costretta all’antisemitismo dalle leggi di Mussolini, avevano incontrato la benevolenza e la civile ospitalità del popolo italiano. Erano ricchi e poveri, uomini e donne, sani e malati.
C’erano bambini fra noi, molti, e c’erano vecchi alle soglie della morte, ma tutti siamo stati caricati come merci sui vagoni, e la nostra sorte, la sorte di chi varcava i cancelli di Auschwitz, è stata la stessa per tutti. Non era mai successo, neppure nei secoli più oscuri, che si sterminassero esseri umani a milioni, come insetti dannosi: che si mandassero a morte i bambini e i moribondi. Noi, figli cristiani ed ebrei (ma non amiamo queste distinzioni) di un paese che è stato civile, e che civile è ritornato dopo la notte del fascismo, qui lo testimoniamo. In questo luogo, dove noi innocenti siamo stati uccisi, si è toccato il fondo delle barbarie. Visitatore, osserva le vestigia di questo campo e medita: da qualunque paese tu venga, tu non sei un estraneo.
Fa che il tuo viaggio non sia stato inutile, che non sia stata inutile la nostra morte. Per te e per i tuoi figli, le ceneri di Auschwitz valgano di ammonimento: fa che il frutto orrendo dell’odio, di cui hai visto qui le tracce, non dia nuovo seme, né domani né mai.

http://www.deportati.it/news/memausch_restauro.html

http://caraterramia.blogspot.it/2014/01/27-gennaio-il-giorno-della-memoria.html





[Sia nella versione brutalmente imperialista di Wolfgang Schäuble, sia in quella "di sinistra" di Jürgen Habermas e del "Forum delle alternative" riunitosi a Parigi, l'idea di una Europa unita con la Germania a farle da "motore" a tutti i costi si rivela per quello che è – una catastrofe... Ne parla un saggio di Hans-Rüdiger Minow, in uscita in questi giorni. (a cura di IS)]


Zwei Wege
 
26.01.2016
PARIS/AACHEN
 
(Eigener Bericht) - Unter dem Motto "Plan B" haben Vertreter europäischer Linksparteien, darunter Funktionäre der Partei "Die Linke", am vergangenen Wochenende über "Alternativen" für eine Politik innerhalb der EU diskutiert. Es müsse darum gehen, dass in der EU "die Demokratie, die Menschenrechte und soziale Sicherheit wiederhergestellt" würden, hieß es auf dem Treffen in Paris. Am morgigen Mittwoch erscheint bei german-foreign-policy.com eine kritische Darstellung der "europäischen Idee", ihrer föderalen Fundamente und aktuellen Niederschläge in den EU-Konzepten von Wolfgang Schäuble und Jürgen Habermas (Zwei Wege - Eine Katastrophe. Bestellungen: info@ german-foreign-policy.com), die auch vermeintlich fortschrittliche Ansätze zur Ausgestaltung der "europäischen Ordnung" beleuchtet. Wir sprachen mit dem Autor Hans-Rüdiger Minow.
german-foreign-policy.com: Am Wochenende fand in Paris eine internationale Konferenz für die Neugründung der EU statt. Ziel ist ein föderaler Bundesstaat. Wer Ihr jetzt erscheinendes Buch liest, muss einen solchen Neubeginn für geradezu grotesk halten. Ist das zeitliche Zusammentreffen Zufall?

Hans-Rüdiger Minow: Subjektiv ist es Zufall. In die Pariser Konzepte für einen "Plan B" war ich nicht einbezogen. Objektiv ist es sicher kein Zufall, da das Brüsseler Diktat gegen Griechenland vom Juli 2015 entweder ohnmächtig macht oder nach einem völlig anderen Europa-Konzept verlangt als nach dem der EU.

gfp.com: Sie behandeln die in der Bundesrepublik gängigen EU-Projektionen am Beispiel zweier prominenter Antagonisten: Wolfgang Schäuble und Jürgen Habermas. Warum?

Minow: Wolfgang Schäuble wird als Vertreter einer besonders rigiden EU-Fraktion angesehen und gibt den Europa-Takt von CDU/CSU vor. Jürgen Habermas versteht sich als Exponent eines "besseren" Deutschland in einer demokratisierten EU. Er wirbt für Positionen der SPD, von Bündnis 90/Die Grünen und anderen Teilen der parlamentarischen Opposition im Bundestag. Ich stelle die Europa-Konzepte von Schäuble und Habermas nebeneinander, um nach Unterschieden und Gemeinsamkeiten zu suchen.

gfp.com: Wie gravierend sind die Unterschiede?

Minow: Gravierend sind vor allem die Gemeinsamkeiten. Beide Protagonisten und Parteienlager fordern ein stark integriertes "Kerneuropa". Kern dieses Kerns ist Deutschland mit Frankreich als Flankenschutz. Habermas nennt das die EU-"Avantgarde", Schäuble will um diesen Kern eine Art Heiliges Römischen Reiches deutscher Nation bauen. Beide Konstrukte laufen machtpolitisch auf dasselbe hinaus. Der frühere Präsident der EU-Kommission Barroso hat dafür einen treffenden Namen vorgeschlagen: Imperium.

gfp.com: Und die Unterschiede?

Minow: Im Unterschied zu Schäuble, der autoritäre Methoden bevorzugt, propagiert Habermas einen demokratischen Zugang, um "Kerneuropa" zu etablieren. Sein kompliziertes Urnen-Modell setzt auf Wahlen zu Verfassungsorganen auf verschiedenen Ebenen. Wenn wir uns alle redlich bemühen, für eine sanfte, postnationale EU einzutreten, wird Europa bald ein pazifizierter Kontinent sein, von dem entscheidende Impulse für den globalen Frieden ausgehen, heißt es bei Habermas. Er sieht bereits Umrisse einer „Weltbürgerschaft“, während die wirkliche Welt in sich steigernden Kriegen um die letzten Ressourcen versinkt. Die ungesicherten Versprechen von Habermas überwölben die brutalen Tatsachen, die Schäuble schafft.

gfp.com: Das ist doch himmelweit von den Europa-Visionen der Pariser Konferenzteilnehmer entfernt.

Minow: Durchaus, sofern es um die diktatorialen, marktradikalen Positionen von Herrn Schäuble geht. Durchaus nicht, wenn man die Pariser Konferenzinhalte und die Inhalte bei Herrn Habermas vergleicht.

gfp.com: Inwiefern?

Minow: Die Initiatoren des "Plan B" wollen einen Bundesstaat namens EU gründen mit einer Avantgarde, in der Deutschland führend vertreten ist. Das stimmt mit den Absichten der Habermas-SPD weitgehend überein. Auch Schäuble kann sich eine Mehrstufigkeit des nationalen Marktzugangs in einem großen, durchrationalisierten Europa vorstellen. Grundsätzlich verschieden ist, dass sich die Initiatoren des "Plan B" dabei ausdrücklich auf sozialistische Fundamente berufen, die von europäischen Föderalisten in der Kriegs- und Nachkriegszeit entworfen worden sein sollen. Sogar von einer Anknüpfung an die Résistance ist die Rede. Bei allem Respekt ist das eine wirklich grobe und nicht hinnehmbare Irreführung.

gfp.com: In Paris war jetzt von einer Anknüpfung an die Union Europäischer Föderalisten (UEF) die Rede.

Minow: Dass ausgerechnet diese Organisation namentlich erwähnt und in einen Zusammenhang mit Widerstand und Sozialismus gebracht wird, hat mich empört. Die UEF ist von staatlichen Stellen gegründet und verdeckt finanziert worden, um soziale, entschieden marktkritische Alternativen im Nachkriegseuropa zu ersticken. Zur UEF gehört ein ganzes Bündel weiterer Sumpfblüten im damaligen Systemkampf um "Europa". Es wimmelte darin von Nazis.

gfp.com: Namen?

Minow: Europa-Union Deutschland, Deutscher Rat der Europäischen Bewegung usw. usf. Sie alle wurden vom Auswärtigen Amt, teilweise vom Bundeskanzleramt ausgehalten, als sich die transatlantischen Förderer bereits Anfang der 1950er Jahre schrittweise zurückzogen. Die Interessenverbände der westdeutschen Wirtschaft übernahmen diese Propagandaorganisationen für ein föderales Europa im Zuge ihrer grenzüberschreitenden Marktbereinigung des Kontinents. Diese Organisationen existieren teilweise bis heute und werben bis heute für einen "Bundesstaat EU", übrigens auch im Europäischen Parlament.

gfp.com: Trotzdem zielt der "Plan B" doch auf eine wirkliche Alternative.

Minow: Man möchte das hoffen. Aber auch der Austritt aus dem Euro ist keine Perspektive, wenn die sozialpolitischen und geostrategischen Fundamente dieselben bleiben. Überstaatliche Verschmelzungen in einem föderalen "Bundesstaat EU" bringen weder Frieden noch soziale Gerechtigkeit, solange das Grundübel, die Gesamtrationalisierung des Kontinents, unangetastet bleibt.

Zwei Wege - Eine Katastrophe. 164 Seiten. gfp.com-Flugschrift No.1. Redaktionsschluss: Januar 2016. Erscheint am 27. Januar 2016 als e-book (10,- Euro). Für gfp.com-Förderabonnenten ist die Flugschrift im pdf-Format kostenlos: info@ german-foreign-policy.com. Vorzugsausgabe im Printformat 18,90 Euro.

Zwei Wege – Eine Katastrophe: Aktuelle Flugschrift über "Paneuropa", die EU als Bundesstaat, über rechte und "linke" Europa-Politik von Hans-Rüdiger Minow. Erscheint am 27. Januar als e-book bei german-foreign-policy.com. 164 Seiten. 10.- Euro. Für Förder-Abonnenten kostenlos. Hier bestellen: info@...



(français / italiano)

La «Tempesta nel deserto» e la fase che viviamo

1) I REPORT della giornata nazionale contro la guerra (16 gennaio)
– Migliaia in piazza contro la guerra a Roma e Milano. L’inerzia è finita (Piattaforma Sociale Eurostop)
– Porre le basi per lo sviluppo capillare del movimento contro la guerra (Fausto Sorini, PCdI)
2) 1991–2016: 25 ANNI DI GUERRA CONTRO LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA
– Guerra del Golfo 1991, uno spartiacque tragico che ci rese apolidi (di Marinella Correggia)
– La «Tempesta nel deserto» apriva la fase che viviamo (di Manlio Dinucci)
– COMMEMORAZIONE DELL'ARTICOLO 11 (di Manlio Dinucci)


=== 1 ===

I REPORT della giornata nazionale contro la guerra (16 gennaio)


ROMA E MILANO IN PIAZZA CONTRO LA GUERRA A 25 ANNI DALL’INIZIO DELLA GUERRA DEL GOLFO (AICANEWS.it Agenzia Videoreporter, 16 gen 2016)
Venticinque anni fa, nelle prime ore del 17 gennaio 1991, iniziava l’operazione «Tempesta del deserto», la “guerra del golfo”. Si apriva così una fase storica. Oltre 5000 persone hanno manifestato a Roma e circa 2000 a Milano. Le piattaforme No Guerra No Nato e Eurostop sono state le promotrici della giornata di mobilitazione e anche a fronte di importanti differenze hanno promosso i cortei e la giornata di lotta...

Manifestazione No Nato – Basta Guerra – LIVE (PandoraTV 16.1.2016.)
(interviste in diretta streaming streaming 3h1m17s)
Sabato 16 gennaio 2015 manifestazione nazionale contro la guerra, a 25 anni di distanza dalla prima guerra in Iraq...
VIDEO: http://www.pandoratv.it/?p=5809 oppure https://www.youtube.com/watch?v=6h_QtOsD8CM


--- ROMA

La manifestazione No War di Roma, alcuni video (Redazione Contropiano, 18 Gennaio 2016)

I media mainstream (e anche molti di quelli 'alternativi', a dir la verità) non hanno speso un rigo o un servizio di telegiornale per raccontare la manifestazione contro la guerra, l'imperialismo, le spese militari, il giro di vite sulle libertà fondamentali che sabato ha percorso le vie del centro di Roma in contemporanea con una analoga iniziativa indetta a Milano, anche in quel caso convocata dalla Piattaforma Sociale Eurostop ed alla quale hanno aderito altre forze sociali e politiche. Per fortuna c'è la rete...

Roma - Venticinque anni di guerre? BASTA! (Pressenza Italia, 16 gen 2016)
Roma, 16 gennaion 2016. Mobilitazione nazionale contro la guerra e gli armamenti in occasione dei 25 anni dall'inizio della Guerra del Golfo. Alcuni momenti della manifestazione (A cura di Dario Lo Scalzo)

Roma 16 Gennaio 2016: SE 25 ANNI DI GUERRA VI SEMBRANO POCHI (Unione Sindacale di Base, 16 gen 2016)
DURATA 1h39m28s - Trasmesso dal vivo in streaming il 16 gen 2016

Roma - NO ALLA GUERRA PERMANENTE : In piazza 25 anni dopo (Libera.Tv, 16 gen 2016)


--- MILANO

STOP THE WAR! 16 GENNAIO 2016, MILANO (ITALY) (etruscanwarrior, 16 gen 2016)
Vedute del corteo che si è snodato da piazza San Babila a Milano, lungo via Larga, piazza Fontana, piazza del Duomo, via Torino e corso di Porta Ticinese, fino ad arrivare alla Darsena dove si è concluso con il lancio di variopinte lanterne colorate...

--- TRIESTE

Manifestazione contro le guerre, quaranta in piazza della Borsa (FOTO) (di Luca Marsi, 16.1.2016)
Una quarantina di triestini ha preso parte al presidio odierno in piazza della Borsa per dire basta a tutte le guerre...
http://www.triesteprima.it/cronaca/manifestazione-contro-guerre-quaranta-piazza-della-borsa-16-gennaio-2016.html

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16 gennaio No War: non avrete la vostra "generazione Bataclan" (Campagna Noi Restiamo - Bologna, 17 Gennaio 2016)
... Nella logica perversa della competizione globale, l'UE da un lato riversa le sue ambizioni coloniali nei paesi attorno a sé (l'area mediorientale ma anche l'Ucraina), dall'altra conduce da anni una guerra di classe dall'alto verso il basso nei confronti dei propri lavoratori e dei propri cittadini...
http://contropiano.org/interventi/item/34777-16-gennaio-no-war-non-avrete-la-vostra-generazione-bataclan

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http://www.eurostop.info/migliaia-in-piazza-contro-la-guerra-a-roma-e-milano-linerzia-e-finita/

Migliaia in piazza contro la guerra a Roma e Milano. L’inerzia è finita

17 gennaio 2016

E’ finita la colpevole inerzia nella denuncia dei pericoli di guerra. In occasione del venticinquesimo anniversario della prima Guerra del Golfo (1991), oggi migliaia di persone, attivisti sociali, antimilitaristi, sindacalisti sono scesi in piazza a Roma, a Milano e in altre città, per dire No alla guerra che sta caratterizzando questo primo quindicennio del XXI Secolo. A Roma un corteo di massa, animato anche dalle orchestre popolari di diversi quartieri ha sfilato da Piazza Esquilino a Piazza Madonna di Loreto. A Milano il corteo è partito da Piazza San Babila arrivando fino alla Darsena dove sono state lanciate in cielo decine di lanterne. Altre manifestazioni locali più piccole si sono svolte a Trieste e a Sassari, un’altra ci svolgerà domenica mattina a Sigonella in Sicilia davanti alla base militare Usa.

In piazza, tra le numerose bandiere No War, palestinesi, siriane o del sindacato Usb, si sono visti anche molti immigrati africani e asiatici, le comunità palestinesi, libanesi e siriane che si oppongono al terrorismo dell’Isis ma anche all’intervento militare destabilizzante degli Usa, dell’Unione Europee e delle petromonarchie del Golfo. I cortei ha denunciato i pericoli di guerra che oggi indicano una escalation proprio nell’area mediterranea, sia est (in Siria e Iraq) sia a sud in Libia. Ed è proprio lo scenario libico quello che i manifestanti hanno denunciato con forza. L’Italia si appresta ad essere capofila dell’operazione di intervento militare in Libia e dall’Isis già giungono minacce su rappresaglie nelle città italiane. Ancora volta saranno le popolazioni, sia in Libia che in Italia, a pagare il prezzo di sangue più alto per le scelte dei governi. Negli interventi in piazza i partecipanti alle manifestazioni hanno denunciato la pericolosa connessione tra guerra esterna e guerra interna le cui prime avvisaglie sono lo stato d’emergenza costituzionalizzato in Francia e praticato in Italia, il via libera alle spese militari al di fuori del Patto di Stabilità imposto dalla Unione Europea che falcidia invece i servizi sociali, i salari, le pensioni, il lavoro. A Roma durante il corteo una bandiera dell’Unione Europea è stata bruciata dai manifestanti.
La giornata di mobilitazione di oggi è stata lanciata lo scorso 21 novembre dalla Piattaforma Sociale Eurostop nel corso della sua prima assemblea nazionale. Eurostop è nata per rompere con i “piloti automatici” – l’Unione Europea/Eurozona e la Nato – che stanno provocando una politica antipolare di austerity e crescenti pericoli di guerra. Si tratta di due apparati sovranazionali che trascinano i paesi aderenti dentro scelte pericolose e antisociali ormai visibili a tutti. La costituzionalizzazione dello stato d’emergenza in Francia indica come il clima di guerra cominci a ipotecare seriamente gli spazi democratici nei paesi coinvolti.
Oggi è stata una vera giornata di mobilitazione attesa da tempo per affermare che anche nel nostro paese c’è chi resiste contro la guerra, per combattere l’unica guerra giusta: quella contro la miseria e lo sfruttamento.

Piattaforma Sociale Eurostop
Info: www.eurostop.info

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http://www.comunisti-italiani.it/2016/01/18/porre-le-basi-pe-rlo-sviluppo-capillare-del-movimento-contro-la-guerra/

Porre le basi per lo sviluppo capillare del movimento contro la guerra

di Fausto Sorini, segreteria nazionale PCdI (responsabile esteri), coordinamento nazionale Associazione per la ricostruzione del partito comunista

Come comunisti consideriamo nell’insieme positivo il bilancio della giornata di lotta del 16 gennaio contro la guerra, con le manifestazioni di Milano, Roma e in altre città, promosse da un insieme di forze.
Anche se l’entità complessiva dei partecipanti è quello delle migliaia (non è il tempo delle folle oceaniche), va posto l’accento sul fatto che si è trattato – dopo molti anni di sostanziale assenza dalle piazze italiane – di un segno importante di ripresa militante e qualificata di un’embrionale ricostruzione di un movimento contro la guerra su posizioni avanzate.
Pur in presenza di analisi e posizionamenti diversi rispetto al quadro internazionale e alla individuazione delle responsabilità, esso ha posto in modo convergente il tema qualificante dell’uscita dell’Italia dalla Nato e dal sistema di guerra atlantico di cui essa fa parte; e che nel nostro Paese si concretizza nella presenza di oltre un centinaio di basi militari degli Usa e della Nato (non certo russe, cinesi, francesi o tedesche..), alcune delle quali con la presenza di armi nucleari e di sterminio di massa.  
Il nostro partito e l’Associazione per la ricostruzione del partito comunista hanno dato un contributo significativo e convinto alla riuscita delle iniziative. Tale impegno, in corso da tempo, e che in alcune città (come ad esempio Milano) ha portato alla costruzione di importanti comitati locali contro la guerra, deve oggi continuare e tradursi nella costruzione sui territori di una rete più diffusa e permanente di Comitati unitari anti-guerra, a partire dalla nostra appartenenza comune e fin dalle sue origini al Movimento NO Guerra NO Nato: il più affine nell’analisi internazionale alle nostre valutazioni sulle ragioni della guerra, in quanto chiama le cose col loro nome e indica negli Stati Uniti e nella Nato – non già in un generico “scontro tra potenze” non meglio identificate – i principali responsabili della spinta alla guerra; e indica nei BRICS e nei paesi non allineati all’imperialismo americano ed euro-atlantico (e in particolare in alcuni di essi) il principale bastione e contrappeso mondiale all’imperialismo.
Tale impegno di ricostruzione di un movimento unitario contro la guerra deve svolgersi (come abbiamo cercato di fare anche in occasione del 16 gennaio) in convergenza unitaria con altre forze con cui ci accomunano non solo il richiamo rigoroso al rispetto dell’articolo 11 della Costituzione, ma anche la sottolineatura del carattere imperialista dell’Unione europea e le sue pesanti responsabilità nella partecipazione o connivenza nella più parte delle guerre degli ultimi 25 anni, tra cui la guerra contro la Libia e contro la Jugoslavia, in cui la partecipazione dei governi italiani è stata particolarmente diretta, operativa e odiosa. Trattandosi per giunta di paesi in cui l’Italia aveva svolto in passato e tornava a svolgere un ruolo oppressivo e coloniale, con connivenze indicibili, vergognose e criminali.   
E’ a partire dal rapporto unitario con tutte le componenti più avanzate e consapevoli del movimento contro la guerra (ivi comprese quelle, importantissime, del mondo cattolico) che esso va sviluppato a livello popolare e capillare, sui territori, nelle scuole, nel mondo del lavoro, bandendo ogni settarismo o logica di gruppo o personalistica.
Non è solo a ristrette avanguardie, pur essenziali, che dobbiamo rivolgerci, come ci insegna la migliore tradizione del PCI, del movimento comunista internazionale e dei Partigiani della pace, ma all’insieme del nostro popolo; il quale, sia pure con diversi livelli di sensibilità e consapevolezza delle dinamiche del quadro mondiale, nella sua quasi totalità – al di là di differenze politiche, ideologiche, religiose – ripudia la guerra. Ed aspira ad una collocazione dell’Italia in un quadro di affermazione della propria sovranità nazionale e con una politica estera di cooperazione e di pace con tutti i paesi e i popoli del mondo: coerente coi principi e i valori della Costituzione

18 gennaio 2016


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1991–2016: 25 ANNI DI GUERRA CONTRO LA COSTITUZIONE REPUBBLICANA


VENTICINQUE ANNI FA LA PRIMA GUERRA DELLA REPUBBLICA ITALIANA
per la serie: La Notizia di Manlio Dinucci, su Pandora TV del 19/01/2016

UNA GUERRA CHE DURA DA VENTICINQUE ANNI
per la serie: La Notizia di Manlio Dinucci, su Pandora TV del 16/01/2016

PAOLO VOLPONI: DISCORSO CONTRO LA GUERRA DEL GOLFO (1991)
In occasione del 25° anniversario della Guerra del Golfo riproponiamo l’intervento che tenne in Senato per il gruppo di Rifondazione Comunista lo scrittore Paolo Volponi nella seduta del 20 febbraio 1991...

IRAQ 2003: selezione di 20' dal docufilm di Fulvio Grimaldi "UN DESERTO CHIAMATO PACE"
Il film è stato girato in Iraq durante la guerra del 2003 che ha inteso avviare la soluzione finale per la nazione irachena. Parla di informazione falsa e bugiarda, di un popolo forte, dignitoso, antico  e fiero, decimato dalla barbarie occidentale, della sua resistenza, della sua indescrivibile sofferenza...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=RdRQzfCAxIw

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Guerra del Golfo 1991, uno spartiacque tragico che ci rese apolidi

di Marinella Correggia, 16 Gennaio 2016 

La guerra del Golfo o «Tempesta nel deserto» iniziata nella notte fra il 16 e il 17 gennaio 1991 contro l’Iraq fu un tragico spartiacque nella storia del Medioriente ma anche nella vita di chi si scopriva cittadina/o di un paese che andava a uccidere dal cielo un altro popolo, violando ogni norma etica. Maledetti governi, maledetti parlamenti! Sotto Montecitorio in segno di protesta avevamo passato giorni interi, e c’eravamo anche la notte fra il 16 e il 17 gennaio. Solo quando per radio arrivò la notizia che l’indicibile era cominciato capimmo che non c’era più nulla da sperare. Ci eravamo illusi per mesi, malgrado i tamburi di guerra risuonassero perfidi fin dall’agosto 1990. 
Per sdegno nei confronti di un’Italia guerrafondaia, forse in molti furono attraversati dal pensiero dell’esilio: chiedere rifugio etico a un paese di pace, un paese che si fosse opposto a quella guerra, la prima di una lunga serie di aggressioni italiane dai nomi fantasiosi. Per mesi la piccola Cuba, membro di turno in Consiglio di Sicurezza, disse no fino alla fine, sola, insieme allo Yemen, disse no a mettere il mantello dell’Onu a una guerra statunitense. Perché non farsi accogliere a Cuba? Perché ostinarci a cercare di uccidere la guerra da qui, da una provincia dell’Impero diventata perfida, che di guerre ne avrebbe poi fatte molte altre? 
Scoprimmo anche il malvagio potere della disinformazione di massa. Menzogne e omissioni. La bugia fondatrice delle incubatrici kuwaitiane. L’occultamento totale dei morti ammazzati iracheni, ignorati dai media che mandavano in onda fuochi d’artificio verdognoli sui cieli di Baghdad. Ci fu dunque chi decise di darsi, almeno in parte, al giornalismo. La disinformazione aiuta le guerre? Informiamo, dunque, per la pace.
Tuttavia, allora i pacifisti avevano una consolazione. A protestare erano in tanti. Una minoranza, certo, ma non piccola. In tanti modi si resisteva. Inventammo la Rete di informazione contro la guerra, che insieme alle radio popolari, al manifesto, ad avvenimenti, senza cellulari né internet né email né facebook teneva in collegamento centinaia di focolai di pace, centinaia di forme di protesta, per mesi e mesi in tutta Italia. Una buona parte di quelle iniziative fu raccolta in un dossier, salvato dalla polvere di 25 anni.
A leggere nel 2016 di tante e varie e fantasiose proteste, pare impossibile. (...)

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en français: La guerre des vingt-cinq ans (par Manlio Dinucci, Il Manifesto 16.11.2016)
L’opération Tempête du désert, initiée par Washington à la chute du Mur de Berlin, il y a exactement 25 ans, ne s’est jamais terminée. Elle marque la fin d’un monde bipolaire, celui de la Guerre froide, et le début d’une ère dominée par les seuls États-Unis, qui n’a pris fin que le 30 septembre 2015, avec le retour de l’armée russe sur la scène internationale (opération anti-terroriste en Syrie). Cette guerre US avait été précédée d’une autre, fomentée par les USA mais réalisée par les seuls Irakiens, contre la Révolution iranienne. À l’issue de ces 35 ans de conflit ininterrompu, il apparaît que la domination états-unienne vise d’abord à empêcher le développement des peuples du Proche-Orient et, pour cela, passe par la destruction méthodique de leurs États...



La «Tempesta nel deserto» apriva la fase che viviamo

di Manlio Dinucci
da il manifesto, 16 gennaio 2015

Nelle prime ore del 17 gennaio 1991, inizia nel Golfo Persico l’operazione «Tempesta del deserto», la guerra contro l’Iraq che apre la fase storica che stiamo vivendo. Questa guerra viene lanciata nel momento in cui, dopo il crollo del Muro di Berlino, stanno per dissolversi il Patto di Varsavia e la stessa Unione Sovietica. Ciò crea, nella regione europea e centro-asiatica, una situazione geopolitica interamente nuova. E, su scala mondiale, scompare la superpotenza in grado di fronteggiare quella statunitense. «Il presidente Bush coglie questo cambiamento storico», racconta Colin Powell. Washington traccia subito «una nuova strategia della sicurezza nazionale e una strategia militare per sostenerla». L’attacco iracheno al Kuwait, ordinato da Saddam Hussein nell’agosto 1990, «fa sì che gli Stati uniti possano mettere in pratica la nuova strategia esattamente nel momento in cui cominciano a pubblicizzarla».
Il Saddam Hussein, che diventa «nemico numero uno», è lo stesso che gli Stati uniti hanno sostenuto negli anni Ottanta nella guerra contro l’Iran di Khomeini, allora «nemico numero uno» per gli interessi Usa in Medioriente. Ma quando nel 1988 termina la guerra con l’Iran, gli Usa temono che l’Iraq, grazie anche all’assistenza sovietica, acquisti un ruolo dominante nella regione.
Ricorrono quindi alla tradizionale politica del «divide et impera». Sotto regia di Washington, cambia anche l’atteggiamento del Kuwait: esso esige l’immediato rimborso del debito contratto dall’Iraq e, sfruttando il giacimento di Rumaila che si estende sotto ambedue i territori, porta la propria produzione petrolifera oltre la quota stabilita dall’Opec. Danneggia così l’Iraq, uscito dalla guerra con un debito estero di oltre 70 miliardi di dollari, 40 dei quali dovuti a Kuwait e Arabia Saudita. A questo punto Saddam Hussein pensa di uscire dall’impasse «riannettendosi» il territorio kuwaitiano che, in base ai confini tracciati nel 1922 dal proconsole britannico Sir Percy Cox, sbarra l’accesso dell’Iraq al Golfo.
Washington lascia credere a Baghdad di voler restare fuori dal contenzioso. Il 25 luglio 1990, mentre i satelliti del Pentagono mostrano che l’invasione è ormai imminente, l’ambasciatrice Usa a Baghdad, April Glaspie — come spiegò poi nella sua intervista a Jeune Afrique -, assicura Saddam Hussein che gli Stati uniti desiderano avere le migliori relazioni con l’Iraq e non intendono interferire nei conflitti inter-arabi. Saddam Hussein cade nella trappola: una settimana dopo, il 1° agosto 1990, le forze irachene invadono il Kuwait.
A questo punto Washington, formata una coalizione internazionale, invia nel Golfo una forza di 750 mila uomini, di cui il 70 per cento statunitensi, agli ordini del generale Schwarzkopf. Per 43 giorni, l’aviazione Usa e alleata effettua, con 2800 aerei, oltre 110 mila sortite, sganciando 250 mila bombe, tra cui quelle a grappolo che rilasciano oltre 10 milioni di submunizioni. Partecipano ai bombardamenti, insieme a quelle statunitensi, forze aeree e navali britanniche, francesi, italiane, greche, spagnole, portoghesi, belghe, olandesi, danesi, norvegesi e canadesi. Il 23 febbraio le truppe della coalizione, comprendenti oltre mezzo milione di soldati, lanciano l’offensiva terrestre. Essa termina il 28 febbraio con un «cessate-il-fuoco temporaneo» proclamato dal presidente Bush. Alla guerra segue l’embargo, che provoca nella popolazione irachena più vittime della guerra: oltre un milione, tra cui circa la metà bambini.
Subito dopo la guerra del Golfo, Washington lancia ad avversari e alleati un inequivocabile messaggio: «Gli Stati uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un’influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana» (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, agosto 1991).
La guerra del Golfo è la prima guerra a cui partecipa sotto comando Usa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11 della Costituzione. La Nato, pur non partecipando ufficialmente alla guerra, mette a disposizione sue forze e strutture per le operazioni militari. Pochi mesi dopo, nel novembre 1991, il Consiglio Atlantico vara, sulla scia della nuova strategia Usa, il «nuovo concetto strategico dell’Alleanza». Nello stesso anno in Italia viene varato il «nuovo modello di difesa» che, stravolgendo la Costituzione, indica quale missione delle forze armate «la tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario».
Nasce così con la guerra del Golfo la strategia che guida le successive guerre sotto comando Usa, presentate come «operazioni umanitarie di peacekeeping»: Jugoslavia 1999, Afghanistan 2001, Iraq 2003, Libia 2011, Siria dal 2013, accompagnate nello stesso quadro strategico dalle guerre di Israele contro il Libano e Gaza, della Turchia contro i curdi del Pkk, dell’Arabia Saudita contro lo Yemen, dalla formazione dell’Isis e altri gruppi terroristi funzionali alla strategia Usa/Nato, dall’uso di forze neonaziste per il colpo di stato in Ucraina funzionale alla nuova guerra fredda contro la Russia. Profetiche, ma in senso tragico, le parole del presidente Bush nell’agosto 1991: «La crisi del Golfo passerà alla storia come il crogiolo del nuovo ordine mondiale».

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En français: Constitution italienne : commémoration de l’article 11 (par Manlio Dinucci, Il Manifesto 19.11.2016.)
Au lendemain de la Seconde Guerre mondiale, c’est-à-dire après l’épisode fasciste, la République italienne —comme le Japon et l’Allemagne fédérale— s’interdisait d’avoir recours à la guerre. Bien que toujours présent dans sa Constitution, cette prohibition a volé en éclats lors de la guerre du Golfe sans provoquer la moindre réaction des grands partis politiques...
http://www.voltairenet.org/article190003.html



COMMEMORAZIONE DELL'ARTICOLO 11

di Manlio Dinucci
su il manifesto, 19 gennaio 2016

Un importante anniversario va ricordato nel quadro del 25° della prima guerra del Golfo: essa è la prima guerra a cui partecipa la Repubblica italiana, violando il principio, affermato dall’Articolo 11 della Costituzione, che «l'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali». 
Nel settembre 1990, su decisione del sesto governo Andreotti, l’Italia invia nella base di Al Dhafra negli Emirati Arabi Uniti una componente aerea di cacciabombardieri Tornado. Nella notte tra il 17 e il 18 gennaio 1991, 8 Tornado italiani decollano per bombardare obiettivi iracheni stabiliti dal comando Usa, in quella che l’Aeronautica ricorda ufficialmente come «la prima missione di guerra compiuta dall’Aeronautica italiana, 46 anni dopo la fine della Seconda guerra mondiale». 
A questa missione (durante la quale un Tornado viene abbattuto e i due piloti fatti prigionieri) seguono altre missioni di bombardamento sempre sotto comando Usa, per complessive 226 sortite, tutte «coronate da pieno successo». Si aggiungono 244 missioni italiane di velivoli da trasporto e 384 di velivoli da ricognizione, «operanti in Turchia nel quadro della Ace Mobile Force Nato» (a conferma che la Nato, pur senza intervenire ufficialmente, partecipa in realtà alla guerra con sue forze e basi). 
Questa «prima missione di guerra» è decisiva per il varo del «nuovo modello di difesa» subito dopo la guerra del Golfo, sulla scia del riorientamento strategico Usa/Nato. Nell'ottobre 1991 il Ministero della difesa pubblica il rapporto «Modello di Difesa / Lineamenti di sviluppo delle FF.AA. negli anni '90». Il documento riconfigura la collocazione dell'Italia, definendola «elemento centrale dell'area geostrategica che si estende unitariamente dallo Stretto di Gibilterra fino al Mar Nero, collegandosi, attraverso Suez, col Mar Rosso, il Corno d'Africa e il Golfo Persico». 
Stabilisce quindi che «gli obiettivi permanenti della politica di sicurezza italiana si configurano nella tutela degli interessi nazionali, nell'accezione più vasta di tali termini, ovunque sia necessario», in particolare di quegli interessi che «incidono sul sistema economico e sullo sviluppo del sistema produttivo». 
Il «nuovo modello di difesa» passa quindi da un governo all’altro, senza che il parlamento lo discuta mai in quanto tale. 
Nel 1993 – mentre l’Italia partecipa all’operazione militare lanciata dagli Usa in Somalia, e al governo Amato subentra quello Ciampi – lo Stato maggiore della difesa dichiara che «occorre essere pronti a proiettarsi a lungo raggio» per difendere ovunque gli «interessi vitali». 
Nel 1995, durante il governo Dini, afferma che «la funzione delle forze armate trascende lo stretto ambito militare per assurgere a misura dello status del paese nel contesto internazionale». Nel 1996, durante il governo Prodi, si ribadisce che «la politica della difesa è strumento della politica estera». 
Nel 2005, durante il governo Berlusconi, si precisa che le forze armate devono «salvaguardare gli interessi del paese nelle aree di interesse strategico», le quali comprendono, oltre alle aree Nato e Ue, i Balcani, l’Europa orientale, il Caucaso, l’Africa settentrionale, il Corno d’Africa, il Medio Oriente e il Golfo Persico. 
Attraverso questi e successivi passaggi, si demolisce un pilastro fondamentale della Repubblica italiana, per mano dei governi di ogni tinta e con la complicità di un parlamento che, in stragrande maggioranza, acconsente o resta inerte. Mentre l’Italia, sempre sotto comando Usa direttamente o nel quadro Nato, passa di guerra in guerra.



(srpskohrvatski / italiano)

L'ISIS "vendicherà Srebrenica" ?

1) Le armi di Charlie Hebdo venute dalla Croazia
– Le armi di Charlie Hebdo furono vendute da un ex-volontario croato / Oružje za Charlie Hebdo prodao hrvatski branitelj (M. Kavain, Slobodna Dalmacija 11.1.2016.)
2) Tagliagole ISIS dei Balcani “devono conoscere l’italiano”
– L’Isis: “Attacchi nei Balcani per vendicare Srebrenica” (M. Molinari, La Stampa 27.10.2015)
– L’Isis cerca reclutatori nei Balcani: “Devono conoscere l’italiano” (M. Grasso, La Stampa 13.1.2016)


=== 1: Le armi di Charlie Hebdo venute dalla Croazia ===

Vedi anche:
Chi ha organizzato gli attentati di gennaio e novembre 2015 a Parigi? (di Thierry Meyssan, 14.1.2016.)
Il quotidiano croato Slobodna Dalmacija pubblica nuove informazioni che evidenziano una responsabilità dello Stato francese negli attentati di gennaio e novembre 2015 a Parigi. Delle due l’una: o le autorità francesi, pur avendo infiltrato i gruppi che hanno compiuto gli attentati, non ne hanno impedito l’azione, oppure sono direttamente implicate nell’organizzazione degli attentati stessi. Comunque sia, resta da stabilire chi ha preso queste decisioni e se ha agito o meno in nome della Repubblica...



Le armi di Charlie Hebdo furono vendute da un ex-volontario croato

di  Marijo Kavain

RETE VOLTAIRE | 16 GENNAIO 2016 

In questo articolo dell’11 gennaio 2016 di un grande quotidiano croato, assicura che le armi utilizzate negli attentati di gennaio e di novembre 2015 a Parigi erano dello stesso produttore serbo e furono introdotte dall’intermediario francese Claude Hermant. Problema: costui, noto ai nostri lettori da venti anni, ha invocato il segreto di Stato per non rispondere al giudice istruttore.
Il Kalashnikov utilizzato da Amedy Coulibaly lo scorso anno per la strage nel negozio di alimentari kosher Hyper Hide, durante l’attacco agli uffici di Charlie Hebdo, probabilmente proveniva da arsenali in disuso e venduti negli ultimi anni, secondo i media francesi. In precedenza, l’inchiesta sull’ultimo massacro di Parigi aveva dimostrato che i terroristi avevano usato armi prodotte prima della guerra dalla fabbrica Crvena Zastava di Kragujevac, in Serbia. A causa della vendita dell’arma trovata a Coulibaly, Claude Hermant, ex-legionario ed attivista di destra, è stato sentito in questi giorni in Francia. Secondo i media, ha anche partecipato alla guerra in ex-Jugoslavia, combattendo come volontario dei croati.

Crvena Zastava

Comprò via internet da una società slovacca, tramite la società registrata a nome della moglie, una grande quantità di armi danneggiate che poi riparò nella sua officina, rivendendole. Ciò è dimostrato dalle analisi microscopiche delle tracce sull’arma, tracce corrispondenti agli strumenti presenti nell’officina di Hermant. Ha venduto alcune delle armi a conoscenti di nazionalità curda, collegati agli estremisti islamici di Bruxelles, ed è quindi possibile che alcune delle armi utilizzate nei massacri di Parigi siano arrivate ai terroristi da questo canale. Per la vendita di armi, Hermant fu preso in custodia un paio di mesi prima dell’attacco a Charlie Hebdo, e in questi giorni è stato sentito di nuovo, una volta dimostrato che il kalashnikov usato nei massacro del supermarket Hyper Hide era stato prodotto dalla Crvena Zastava. E’ un fatto che Croazia e Serbia all’inizio del 2012 vendettero grandi quantità di armi, il Ministero degli Interni della Croazia ha indicato che 15000 armi furono vendute, per lo più confiscate in varie azioni di polizia, mentre l’esercito serbo vendette 60000 armi di vario tipo. I media francesi non hanno specificato da quali arsenali provengano le armi in questione. Tale traffico non è raro nei Paesi europei, e dopo gli attentati di Parigi, la Commissione europea ha annunciato limitazioni e controlli più stretti sulle vendite di armi usate e danneggiate. Come recentemente confermato dal Ministero degli Interni croato, alcuna richiesta è giunta riguardo le armi danneggiate e vendute al nostro Paese.

Traffici con la Croazia

Claude Hermant (52 anni) ha una ricca biografia. Era paracadutista nella legione straniera fino al 1982, poi partecipò a varie guerre. Oltre la Croazia, fu attivo anche in Congo e Angola. Condivide tale elemento biografico con molti altri ex-legionari croati. E’ noto che James Cappiau, assassino di Vjeko Sliska, legionario e attore della guerra in Croazia, aveva lavorato con la sua società "Joy Slovakia" per Jacques Monsieur, uno dei più grandi trafficanti di armi del mondo. Nei primi anni 2000, Cappiau gestì l’arruolamento di personale con esperienza militare per adestrare le forze armate del Congo. Secondo i media francesi, Hermant dice di aver lavorato con i servizi segreti francesi, gli stessi servizi che avevano permesso a Jacques Monsieur di vendere armi alla Croazia dal 1991 e al 1995, citato in tribunale dopo essere stato ucciso nel 2009 per violazione dell’embargo contro l’Iran. Negli anni successivi alla fine della guerra in Croazia, i nomi di alcuni ex-legionari spesso apparvero nel contrabbando di armi dai territori della ex-Jugoslavia alla Francia. Nel 2001, il gruppo di Ante Zorica fu arrestato per la vendita di una notevole quantità di armi, ma le accuse furono respinte dal tribunale. Uno dei principali protagonisti di questa storia, Lukić Zvonko Konjic, ex-legionario, fu arrestato nel 2007 in quanto organizzatore di un gruppo di 14 persone che vendevano armi a varie organizzazioni terroristiche. In quella occasione, furono trovati 54 Kalashnikov e 350 kg di esplosivo.

Traduzione 
Alessandro Lattanzio
(Sito Aurora

Fonte 
Slobodna Dalmacija (Croazia)


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11.01.2016. u 07:55
FRANCUSKE VLASTI ISTRAŽUJU 

Oružje za Charlie Hebdo prodao hrvatski branitelj

Kalašnjikov kojim je Amedy Coulibaly prije godinu dana počinio pokolj u trgovini košer hranom Hyper Hide, u vrijeme napada na redakciju Charlie Hebdo, bio je s područja bivše Jugoslavije, vjerojatno iz rashodovanih arsenala koji su rasprodavani posljednjih godina, objavili su francuski mediji.

Prethodno je istragom nedavnih pokolja u Parizu utvrđeno da su i ti teroristi koristili oružje proizvedeno prije rata u tvornici "Crvena zastava" u Kragujevcu.

Zbog prodaje puške pronađene kod Coulibalyja, ovih je dana u Francuskoj saslušan Claude Hermant, bivši legionar i deklarirani desničar koji je, kako također navode mediji, jedno vrijeme proveo u ratu na ovim prostorima boreći se kao dobrovoljac na hrvatskoj strani.

'Crvena zastava'

On je preko tvrtke registrirane na njegovu suprugu preko interneta od jedne slovačke tvrtke kupio veću količinu onesposobljenog oružja, koje je zatim u svojoj radionici popravljao i preprodavao. To je dokazano mikroskopskom analizom tragova na pušci koji odgovaraju tragovima koje ostavlja alat pronađen u Hermantovoj radionici.

Dio oružja prodao je preko jednog poznanika kurdske nacionalnosti, koji je bio u vezi s islamističkim ekstremistima u Bruxellesu, pa je moguće i da je dio oružja korištenog u nedavnim napadima u Parizu do terorista stigao ovim kanalom.

Herman je zbog prodaje oružja završio u pritvoru nekoliko mjeseci prije napada na Charlie Hebdo, a ovih je dana ponovno saslušan nakon što je utvrđeno da je kalašnjikov iz pokolja u Hyper Hideu bio proizveden u "Crvenoj zastavi".

Činjenica je da su početkom 2012. godine i Hrvatska i Srbija prodale veće količine otpisanog oružja – hrvatski MUP objavio je prodaju 15.500 komada raznog oružja, uglavnog zaplijenjenog u raznim policijskim akcijama, a vojska susjedne države u isto je vrijeme na prodaju stavila čak 60.000 komada raznog oružja. Iz čijeg je arsenala sporno oružje, francuski mediji ne navode.

Ovakva trgovina nije neuobičajena u europskim zemljama, a nakon posljednjih terorističkih napada u Parizu Europska komisija najavila je restrikcije i strožu kontrolu u prodaji polovnog i onesposobljenog naoružanja. Kako je nedavno ustvrdio hrvatski MUP, do sada nije stigao ni jedan upit vezan uz onesposobljeno oružje koje je prodano iz naše zemlje.

Trgovina s Hrvatskom
 

Claude Hermant (52) iza sebe ima prilično burnu biografiju. Bio je padobranac u Legiji stranaca, iz koje izlazi 1982. godine, a poslije toga sudjelovao je u raznim ratnim previranjima. Osim Hrvatske, bio je angažiran i u Kongu i Angoli. I ovaj detalj iz biografije dijeli s mnogim hrvatskim bivšim legionarima. Poznato je da je James Cappiau, atentator na Vjeku Sliška, legionar i sudionik rata u Hrvatskoj, preko svoje tvrtke "Joy Slovakia" radio za Jacquesa Monsieura, jednog od najvećih trgovaca oružjem na svijetu.

Početkom dvijetisućitih Cappiau je vodio i angažiranje ljudi s vojnim iskustvom radi obuke snaga u Kongu. Hermant, prenose francuski mediji, tvrdi kako je bio suradnik francuske tajne službe, iste one pod čijim je blagoslovom Jacques Monsieur, kako se moglo čuti na suđenju nakon što je uhićen 2009. godine zbog kršenja embarga prema Iranu, prodavao oružje Hrvatskoj od 1991. do 1995. godine.

U godinama nakon završetka Domovinskog rata, imena pojedinih bivših legionara često su se pojavljivala u slučajevima krijumčarenja oružja s područja bivše Jugoslavije u Francusku. Tako je 2001. godine uhićena cijela skupina oko pukovnika Ante Zorice zbog preprodaje veće količine oružja, no optužbe su na sudu odbačene. No, jedan od glavnih aktera te priče, Zvonko Lukić iz Konjica, bivši legionar, uhićen je 2007. godine kao organizator skupine od 14 osoba koja je prodavala oružje raznim terorističkim skupinama. Tom je prilikom pronađeno 54 kalašnjikova i 350 kilograma eksploziva.

MARIJO KAVAIN


=== 2: Tagliagole ISIS dei Balcani “devono conoscere l’italiano” ===

Vedi anche:

Dopo la Libia, il pericolo Balcani: per l’Italia si apre un nuovo fronte (02/01/2016 ANDREA MALAGUTI)
Nel solo Kosovo ci sono 900 foreign fighters e oltre cento hanno combattuto in Siria Timori per le rotte dell’immigrazione. Nel 2015 il Viminale ha espulso 65 estremisti...

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L’Isis: “Attacchi nei Balcani per vendicare Srebrenica”

In un video gli jihadisti aprono un nuovo fronte: “Colpire in Europa”

27/10/2015
MAURIZIO MOLINARI
CORRISPONDENTE DA GERUSALEMME

«L’Islam sta tornando in Europa per difendere i musulmani e terrorizzare gli infedeli»: con un video di 20 minuti il Califfato preannuncia attacchi nei Balcani, invitando alla lotta armata i «seguaci di Allah» in Bosnia, Albania, Kosovo e Macedonia. 

 

Realizzato da «Al-Hayat», il centro di produzione dello Stato Islamico (Isis), il filmato «Onore nella Jihad» è stato postato alla vigilia della visita di Papa Francesco a Sarajevo e ha come tema centrale la volontà di estendere al Califfato gli Stati a maggioranza musulmana dell’ex Federazione Jugoslava.  

 

Sullo sfondo di una ricostruzione storica della «prima conquista musulmana dell’Europa» dai toni epici, e con tecniche hollywoodiane, il video si affida ai volti di un gruppo di mujaheddin balcanici che, parlando a volto scoperto e in lingua slava, preannunciano «terrore contro i Crociati». Abu Jihad Al-Bosni, sui 40 anni, chiede ai musulmani dei Balcani di «unirsi al Califfato passando dal buio alla luce, con le parole o con le armi». E Salahuddin Al-Bosni, trentenne, imbraccia un kalashnikov sullo sfondo della «terra delle montagne» per spingere i bosniaci a «usare esplosivi contro macchine e case degli infedeli» fino ad «avvelenargli il cibo» perché «Allah ci premierà con terre spaziose».  

 

Il richiamo a Srebrenica  
È costante il richiamo alla strage di Srebrenica, la località bosniaca dove nel 1995 le milizie serbe di Ratko Mladic massacrarono oltre 8000 musulmani. «Dobbiamo fare strage di crociati in Europa se vogliamo impedire la ripetizione di Srebrenica», dice Abu Safiah Al-Bosni mentre un altro mujaheddin, Abu Muhammad Al-Bosni, invita alla «rivolta contro gli attuali leader» della Bosnia-Erzegovina identificandoli con i responsabili di «stragi del passato» raffigurate sovrapponendo immagini di blindati Onu, aerei da guerra Usa e generali serbo-bosniaci. Una cartina dettagliata accompagna i fotogrammi, indicando nei confini di Bosnia, Albania, Macedonia e Kosovo le aree dove il Califfato è destinato ad estendersi portando ai «seguaci di Allah» la stessa «vita nel rispetto del Corano» che Abu Maryam Al Albani illustra nelle strade di una città siriana, mostrandosi mentre passeggia nei giardini con una moglie coperta dal chador e un bambino per mano. 

 

L’intento è preannunciare l’avvento del Califfato in Europa ovvero l’estensione ai Balcani dell’area controllata dai jihadisti di Abu Bakr al-Baghdadi. «La nostra forza - conclude Abu Muqatil Al-Kosovi - è di amare la morte più di quanto voi infedeli amate la vita, vi porteremo la morte nelle case, negli uffici, nelle strade e anche dentro i vostri sogni quando dormite». 

 

Il veterano settantenne  
Le ultime immagini sono per un veterano settantenne della guerra di Bosnia che sceglie di tornare a indossare la divisa e riprende in mano il fucile per continuare contro «crociati e infedeli» la guerra iniziata a metà degli Anni 90. Se a Bruxelles ancora qualcuno aveva dubbi sulla minaccia del Califfo per Ue e Nato, questo video è mirato a fugarli nella maniera più brutale.

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L’Isis cerca reclutatori nei Balcani: “Devono conoscere l’italiano”

Due inchieste svelano una rete dall’Albania ad Ancona. Offerti duemila euro al mese per arruolare jihadisti

13/01/2016
MARCO GRASSO
GENOVA

I requisiti richiesti sono due, «un’ottima conoscenza della lingua italiana» e «buone capacità informatiche». I soldi offerti tanti, soprattutto per gli standard locali: «circa 2 mila euro al mese». Ad allarmare l’intelligence italiana è un ultimo inquietante report su una rete di fiancheggiatori dell’Isis che sta arruolando nuovi «reclutatori». L’obiettivo è infiltrare ambienti islamici italiani, e farlo attraverso insospettabili di nazionalità albanese. 

 

Lo dicono i dossier dei servizi segreti, lo confermano le inchieste: l’Albania è un problema enorme per l’Italia (e di conseguenza per l’Europa), il nuovo fronte di lotta al terrorismo islamico. A raccontarlo sono due inchieste parallele, che partono dalla rete di contatti che ha aiutato Giuliano Delnevo, il giovane italiano convertito ucciso ad Aleppo nel 2013, a raggiungere la Siria e arrivano a un imprenditore italiano sospettato di trafficare varie sostanze, fra cui un derivato del mercurio, diretto in Siria e destinato a fini bellici. In mezzo ci sono i destini di due vicini di casa opprimenti per Tirana, il Kosovo, che secondo l’ultimo rapporto delle forze Kfor della Nato ospita 900 foreign fighters, e la Grecia, che, falcidiata da una crisi economica e politica che l’ha quasi spinta fuori dalla Ue, non è più in grado (o non ha la volontà) di controllare tutto ciò che passa attraverso i suoi confini. 

 

L’opinione pubblica mondiale non conosceva ancora l’Isis quando Giuliano Ibrahim Delnevo trovò la morte in Siria. Giuliano, giovane genovese convertito, disoccupato e frustrato, nella sua testa sognava di lottare contro un dittatore che opprimeva il suo popolo. La milizia in cui andò a combattere, hanno poi dimostrato le indagini, era la Brigata internazionale Muhajiriin, una formazione guidata dall’«emiro rosso» Abu Omar Al Shishani, diventato uno dei massimi leader militari di Daesh in Siria. Chi aiutò lo studente genovese a entrare nelle fila di quella frangia di combattenti di fede musulmana radicale? Secondo la procura di Genova, che poco più di un mese fa ha trasferito il fascicolo ai colleghi delle Marche, una rete di reclutatori che fa base ad Ancona, scalo strategico per gli scambi con i Balcani e ideale per affari poco puliti perché fuori dalle rotte principali. 

 

È qui che inizia la seconda parte della storia. Gli accertamenti in questo caso partono da un imprenditore italiano, che finisce nel mirino delle Fiamme Gialle per i suoi frequenti viaggi in Albania. Ad attirare le attenzioni su di lui è un traffico internazionale di sostanze tossiche, fra cui ci sono componenti che, per gli inquirenti, potrebbero essere utilizzati per la costruzione di razzi artigianali, destinazione finale, ancora una volta, la Siria. La porta d’accesso è il confine greco, un colabrodo attraverso cui passano facilmente uomini e merci. In questo crocevia si inserisce una rete di attivisti e predicatori islamici radicali, molti dei quali albanesi arrivati dal vicino Kosovo. Cercano gente che parli bene l’italiano e l’Albania ne è piena. E questo elemento spiega perché l’allerta sui rischi in arrivo dai Balcani non è mai stata così alta.