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Stalin, il nazismo e la guerra

1) Stalin e la geopolitica del revisionismo storico (A. Naryashkin / FortRuss, 28.10.2015)
2) Stalin, il nazismo e la guerra (D. Losurdo – (da Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, 2008)
3) La storia mai raccontata del Patto Molotov-Ribbentrop / Perché l’occidente odia Stalin? (Ekatarina Blinova / Sputnik)
4) The Day the West Likes to Forget: 30 September 1938 (M. Jabara Carley, VoltaireNet 25.9.2015)


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The Munich Agreement: West's Political Conspiracy Against Stalin? (Ekaterina Blinova, 1.10.2015)
By signing the Munich Agreement with Adolf Hitler on September, 30, 1938, major European powers, Britain and France signaled to Nazi Germany: 'Move East, and we won't harm you!' Professor Grover Carr Furr of Montclair State University told Sputnik...

The Munich Betrayal: How Western Powers 'Sold' Czechoslovakia to Hitler (Ekaterina Blinova, 26.9.2015)
The Munich Agreement of September 30, 1938, concluded by Europe's major powers with Adolf Hitler, allowed the Nazis to absorb parts of Czechoslovakia and hammered the final nail in the coffin of the concept of European collective security pushed ahead by the USSR, Canadian professor of history Michael Jabara Carley told Sputnik...

Robert Conquest, un anti-necrologio (di Grover Furr | mltoday.com - 11/08/2015)
Robert Conquest, probabilmente il maggior propagandista anti-comunista e anti-stalinista del XX secolo insieme a Leon Trotsky, è morto. Naturalmente, i media capitalisti sono ossequiosi e adulatori nei suoi confronti...

9 mai 1945 (Par Jacques Sapir, 4 mai 2015)
http://russeurope.hypotheses.org/3778
ITAL.: 9 maggio 1945

Il patto sovietico-tedesco di non aggressione: chi aiutò i nazisti? (Zinoviev Club, Oleg Nazarov – 4.5.2015)
Piu di 75 anni fa, il 23 agosto 1939, venne firmato uno dei più famosi documenti diplomatici nella storia dell'umanità, il Patto sovietico-tedesco di non aggressione...
http://it.sputniknews.com/mondo/20150504/339043.html
oppure https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8380


Due novità in libreria:

1) Stalin: Opere scelte - vol. I

2) Grover Furr: Kruschev mentì (Presentazione di Domenico Losurdo)

Napoli: Ed. La Città del Sole, 2015
Distribuzione Messaggerie Libri 
INFO: info@...


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ORIG.: Stalin and the geopolitics of historical revisionism (October 28, 2015 - Albert Naryshkin, PolitRussia)



Stalin e la geopolitica del revisionismo storico

Albert Naryshkin, PolitRussia, 28 ottobre 2015 – Fort Russ

Tra pace e guerra: la questione Stalin
Non sarebbe superfluo ripetere che il mondo è oggi di fronte la minaccia di una grande guerra, ben oltre contraddizioni parrocchiali come Ucraina, Medio Oriente e periodiche incomprensioni nel Mar Cinese Meridionale. Come è noto, la guerra è la politica con altri mezzi. E la politica della guerra mondiale in qualsiasi momento, come nel nostro tempo, consiste nella massa critica di influenti attori globali che cessa di mantenere l’ordine mondiale stabilito. I giganti indeboliti non rinunciano ai propri privilegi e i nuovi arrivati che acquistano slancio non possono migliorare status ed autorità senza combattere.
Vecchie regole
Il problema, o meglio, il segno dei nostri tempi è che viviamo ancora nel mondo di Jalta-Potsdam, lo stesso mondo che i Paesi vincitori della seconda guerra mondiale hanno creato, le cui regole hanno scritto, e le cui frontiere letteralmente e in senso figurato hanno delineato. Quindi, puntano verso questo nuovo ordine mondiale. E’ vero che dopo che i sistemi coloniali inglese e francese furono smantellati, Unione Sovietica e Stati Uniti li ereditarono, ma il resto del mondo non è cambiato molto. Il sistema di Bretton Woods e il dollaro come valuta di riserva sono rimasti, insieme a parità nucleare, limitazione della sovranità di Giappone e Germania, e mantenimento da parte della Russia di uno status elevato, anche dopo il crollo dell’URSS. Germania e Giappone, tra le principali potenze mondiali, sono già stufe della situazione. Molti vorrebbero ridurre status e autorità della Russia, ma gli Stati Uniti vogliono essere ufficialmente i leader mondiali. De jure, per così dire, e non solo de facto. La situazione dell’Asia, liberata da colonialismo e drammaticamente ferita, è stata quasi ignorata nel vecchio sistema. Dopo la guerra per l’eredità dell’Unione Sovietica, i Paesi del Patto di Varsavia furono in guerra per le repubbliche ex-sovietiche. Così, nel 1997, l’Atto istitutivo sulle relazioni reciproche Russia-NATO, in cui i Paesi dell’alleanza dichiaravano di non avere alcuna intenzione di schierare grandi contingenti militari sul territorio dei nuovi membri dell’alleanza, fu firmato. Ma dopo il vertice del Galles nel 2014, la NATO ha deciso di non rispettarlo.
Sull’orlo della guerra
Una lunga lista di contraddizioni globali e regionali può essere stilata. In realtà, le parole “siamo sull’orlo della guerra” sono piuttosto riduttive della situazione reale. Il potenziale militare di Russia e Stati Uniti non ha precedenti nella storia del mondo, e ancora oggi ciò ci tiene “sulla soglia”, e in ogni caso la guerra è già da tempo iniziata, e mai finita. Tutta la nostra vita tranquilla è una vita di debiti. Tutto il nostro benessere è a credito. Ne consegue che il tributo sarà pagato da coloro che vogliono vedere il mondo così com’è, senza lenti rosa. Se le contraddizioni non vengono risolte, la guerra inizierà comunque, non dobbiamo pensare che qualcuno possa abbandonare i propri arsenali nucleari. In realtà, le esercitazioni della NATO sul territorio europeo in questo momento riguardano direttamente scenari di guerra con la Russia in questi Paesi. Leggendo queste righe e torcendosi le mani, si potrebbe esclamare: “Che sciocchezze! Beh, ‘inverno nucleare!’ Distruzione reciproca””. I militari in questo momento già lavorano sugli scenari reali di questa guerra, che “semplicemente non può scoppiare”. Tra l’altro, prima dell’inizio della seconda guerra mondiale, la maggior parte dei Paesi più forti aveva enormi scorte di armi chimiche, più efficaci di quelle attuali. E come sappiamo, semplicemente non furono utilizzate. Firmarono capitolazioni e si arresero all’occupazione, ma (queste armi) semplicemente non furono utilizzate. Non ne consegue che non saranno utilizzate le armi nucleari, ma a giudicare dall’esperienza storica, è possibile.
Il motivo
I risultati della seconda guerra mondiale furono alla base dell’ordine mondiale esistente, e coloro che cercano di distruggerlo sono coloro che di questo ordine mondiale non sono contenti, in un modo o nell’altro. Sì, parliamo della famigerata “revisione dei risultati della seconda guerra mondiale”, che tutto l'”occidente civilizzato” afferma incessantemente essere inaccettabile, e in ciò s’è impegnato costantemente negli ultimi venti anni. L’esperto di relazioni internazionali, il politologo Aleksej Fenenko, dice: “L’amministrazione Clinton ha proclamato il concetto dell'”espansione della democrazia”, l’accettazione dei Paesi ex-socialisti e delle repubbliche dell’ex-Unione Sovietica (tranne la Russia) nelle istituzioni transatlantiche comuni. Gli statunitensi, in tal modo, si assicurano i risultati geopolitici del crollo del Patto di Varsavia e dell’URSS. Questo fu sostenuto da un segmento dell’élite di quei Paesi che sostenevano il massimo distacco dalla Russia. Ecco perché la diplomazia statunitense chiude un occhio alla rinascita di movimenti nazionalisti e anche apertamente filo-fascisti negli Stati baltici, Ucraina e Georgia: per la Casa Bianca la cosa principale è ridurre l’influenza russa nell’ex-blocco sovietico“. In tale ragionamento ovvio c’è un’ulteriore verità: una nuova percezione della seconda guerra mondiale si assesta nella coscienza delle masse, in cui la Russia svolge il ruolo dell’aggressore, nonostante il fatto che fummo vittime di un’aggressione. S’insegna diligentemente che la guerra con l’Unione Sovietica e la collaborazione con l’esercito nazista in quella guerra furono buone e giuste. E’ lecito sfidare le sentenze dei processi di Norimberga e tenere parate dei veterani delle SS. L’occidente ha bisogno semplicemente di un motivo per ridurre lo status della Russia, giustamente meritato dai risultati della seconda guerra mondiale. Per farlo, le interpretazioni gesuitiche dei fatti storici e la menzogna totale, impregnate dal silenzio totale su molti lerci episodi della politica europea di questi anni, vengono diffuse. Ma il ruolo principale qui è la demonizzazione dell’URSS e di Stalin quale leader nel periodo precedente e successivo la guerra.
Come sono arrivati a paragonare Stalin e Hitler
Qui si arriva al punto chiave: l’era di Stalin e la valutazione degli eventi che ebbero luogo in quel momento. Abbiamo a lungo e con affetto creduto che fu proprio questo il nostro problema interno, valutando figure e fatti storici, traendo conclusioni, monumenti e nomi delle strade. Sembra che non valga neanche la pena di scriverne. Ma! La verità dietro le cose di solito è molto più interessante. Ecco cosa ha detto Aleksej Fenenko sulle conseguenze globali di tali decisioni: “La legittimità del moderno ordine mondiale è legata ai risultati della seconda guerra mondiale. Se i Paesi occidentali perseguono la politica di eliminare il Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite nell’attuale composizione (e ci sono segni di ciò), allora è necessario crearne le basi ideologiche. Perché il tema dello stalinismo, anche se Stalin morì a metà del secolo scorso, è così popolare in occidente? Perché è la base per trasformare le Nazioni Unite. Se per un momento si ammette che “Stalin e Hitler erano ugualmente responsabili della guerra”, allora la questione viene immediatamente sollevata: cosa esattamente ci fa la Russia nel Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite? In Germania e in Giappone, credo, un’altra questione si pone, la mera questione dell’esistenza o meno dei confini organizzati dal solo Stalin“. E poi si trae tale conclusione dall’analisi politica del problema: “Qualcosa di molto simile già successe nella storia. Nel 19° secolo, non meno di una frattura fu causato dalla figura di Napoleone Bonaparte. L’imperatore battuto fu adorato e fortemente romanzato in Francia, Paese che volle rivedere i risultati del Congresso di Vienna del 1815. I movimenti nazionali idolatravano Bonaparte, tra cui, polacchi ungheresi irlandesi ed italiani che non avrebbero avuto la possibilità di creare i propri Stati senza nuovi fermenti in Europa. E viceversa le potenze vincitrici, Russia, Gran Bretagna e Austria, non gradivano Bonaparte. Il punto non era nemmeno Napoleone, ma piuttosto le controversie sulla necessità di rivedere i risultati del Congresso di Vienna. Oggi sentiamo un pericolo simile provenire dalle dispute sullo stalinismo e l’inizio della seconda guerra mondiale: non parliamo di Stalin in quanto tale, ma della trasformazione del Consiglio di sicurezza dell’ONU a svantaggio oggettivo della Russia”.
Diplomazia
Le relazioni internazionali contemporanee sono caratterizzate da un’attività senza precedenti dei principali attori nella dinamica vita attiva. Ciò è dimostrato da sorprendente impegno e, in altri casi, da incredibile flessibilità. Il punto è che nella maggior parte delle capitali non s’è dimenticato che tipo di “gioia” sia la guerra mondiale, e cercano di evitarla. Ciò distrugge vecchie alleanze e ne crea di nuove, del tutto inaspettate, come ad esempio la convergenza tra monarchie arabe e Mosca e il netto peggioramento delle loro relazioni con Washington. La famosa mossa in cui i capi di quattro di tali Stati non parteciparono a una cena pianificata con Obama, è più che eloquente. Mentre le guerre regionali già cominciano a diffondersi in molte parti del mondo, e i nostri “partner” d’oltremare sono troppo felici di soffiare sul fuoco, Europa continentale (il Regno Unito, a tal proposito, cessa di appartenere all’Europa), Medio Oriente e Asia cercano di uscire da questa situazione. Perché non iniziare a vendere il nostro petrolio in rubli? Perché non traduciamo i nostri calcoli in yuan cinese? Perché non lasciamo il Consiglio d’Europa? Perché non fare più stupide ma efficaci manovre populiste? Perché ognuno capisca che, da un lato gli Stati Uniti semplicemente non rinunciano a dollaro come moneta mondiale, sistema di Bretton Woods e predomino nel FMI e altre organizzazioni senza una guerra, una vera e propria guerra calda. Dall’altra tutti possono vedere che il corso oggettivo della storia mondale alimenta i problemi interni degli Stati Uniti, gradualmente minandone il potere e, quindi riducendo con il passare del tempo la capacità di scatenare una grande guerra a proprio vantaggio. In tale situazione, Stalin è molto più di un paio di capitoli di un libro di storia. I numeri della “destalinizzazione”, la “riabilitazione” e altre questioni che con insistenza ci vengono imposte dall’occidente vanno considerati non solo piccoli ritocchi sui temi per stabilire la verità storica, ma come i nostri “cari soci” pensano, sono l’arma più forte nel grande gioco geopolitico che con inaudita ferocia si svolge sul pianeta.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora


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www.resistenze.org - cultura e memoria resistenti - storia - 15-09-09 - n. 286

 
Stalin, il nazismo e la guerra
 
di Domenico Losurdo
 
(da Stalin. Storia e critica di una leggenda nera, Carocci, Roma 2008)
 
Nella gara per giungere ad un compromesso o ad un’intesa col nuovo regime insediatosi a Berlino, Stalin arriva decisamente ultimo. E’ del 20 luglio 1933 il Concordato tra la Germania e la Santa Sede, che garantisce la fedeltà dei cattolici tedeschi al nuovo «governo formatosi in conformità alla Costituzione» (verfassungsmässig gebildete Regierung): un riconoscimento che avviene a poca distanza di tempo dal varo delle leggi eccezionali, col ricorso al terrore, e dall’emergere dello Stato razziale, con le prime misure a carico dei funzionari di «origine non ariana». Due settimane prima si era sciolto il partito cattolico del Zentrum, i cui militanti si erano impegnati a fornire «positiva collaborazione» al «fronte nazionale diretto dal signor Cancelliere del Reich» [1]. Per quanto riguarda il mondo protestante, non bisogna dimenticare che i Deutsche Christen si schierano a favore di Hitler già subito dopo il suo avvento al potere, e assumono tale posizione adattando il cristianesimo alle esigenze del Terzo Reich, rileggendo la Riforma protestante in chiave nazionalistica e persino razzistica, per teorizzare una Chiesa fusa con la «comunità popolare» tedesca e fondata sul «riconoscimento della diversità dei popoli e delle razze come un ordinamento voluto da Dio» [2].
 
A dar prova di analoga prontezza nel cercare i favori dei nuovi governanti è anche il movimento sionista. L’organo di quest’ultimo, la «Juedische Rundschau», rimasto sostanzialmente immune dall’ondata di divieti e di persecuzioni che colpisce la stampa tedesca subito dopo l’incendio del Reichstag, poche settimane dopo, il 7 aprile 1933, chiama sionisti e nazisti ad essere «onesti partner». Il tutto sfocia nel 1935 nell’accordo di «trasferimento» in Palestina di 20.000 ebrei, autorizzati a portare con sé quasi 30 milioni di dollari, con un forte impulso alla colonizzazione e al processo che avrebbe poi condotto alla formazione dello Stato di Israele [3]. Più tardi, reagendo all’accordo di «trasferimento», anche il gran muftì di Gerusalemme cerca di ingraziarsi Hitler. Passiamo ora ai partiti politici schierati all’opposizione. «Assai debole» è il discorso pronunciato dal deputato socialdemocratico Otto Wels, in occasione della seduta del Reichstag che concede poteri straordinari a Hitler [4]. A mettere in guardia e ad organizzare la resistenza contro la barbarie ormai al potere è in primo luogo il partito comunista e «staliniano».
 
Il 1935 è anche l’anno in cui viene stipulato l’accordo navale tra Gran Bretagna e Terzo Reich. Intervenendo dopo l’avvio di un febbrile riarmo e la reintroduzione in Germania del servizio militare obbligatorio, esso alimenta le speranze di Hitler di poter giungere ad un’intesa strategica col riconoscimento della preminenza navale della Gran Bretagna e il rispetto reciproco dei due grandi imperi «germanici»: quello britannico d’oltremare e quello continentale tedesco, da edificare con la colonizzazione dell’Est europeo e l’assoggettamento degli slavi. Giustamente si è parlato a tal proposito di «cinico atteggiamento» del governo di Londra, che dà l’impressione di avallare un programma infame, già enunciato a chiare lettere nel Mein Kampf [5]. Non stupiscono le crescenti preoccupazioni di Mosca, la forte irritazione di Parigi [6] e la gioia incontenibile di Hitler, che può così celebrare quello che egli definisce il suo «giorno più felice» [7].
 
Ancora più inquietante è il ruolo della Polonia. Com’è stato osservato, essa diventa «nel suo complesso subalterna alla politica tedesca» a partire dalla firma del patto decennale di non aggressione con la Germania il 26 gennaio 1934. L’anno dopo il ministro degli Esteri Beck dichiara al suo vice: «ci sono due formazioni politiche indubbiamente condannate a scomparire, l’Austria e la Cecoslovacchia» [8]. Chiara è la consonanza col programma di Hitler, e non si tratta solo di parole: «L’ultimatum col quale la Polonia chiedeva alla Cecoslovacchia la restituzione di Teschen indusse definitivamente Beneš, secondo quel che egli stesso raccontò, ad abbandonare ogni idea di opporsi alla sistemazione di Monaco. La Polonia era stata fino a quel momento uno sciacallo più utile per la Germania all’Est di quanto non lo fosse stata l’Italia nel Mediterraneo». La Conferenza di Monaco non segna la fine della collaborazione del governo di Varsavia col Terzo Reich: «Se veramente Hitler aspirava a metter piede in Ucraina, doveva passare per la Polonia; e nell’autunno del 1938 questa non sembrava affatto una fantasia politica» [9]. Sembra persino esserci l’incoraggiamento di Varsavia. Nel gennaio dell’anno successivo, nel corso di un colloquio con Hitler, Beck dichiara: la Polonia «non attribuisce alcun significato al cosiddetto sistema di sicurezza»[10].
 
Stalin ha tutte le ragioni per essere preoccupato o angosciato. Prima della Conferenza di Monaco l’ambasciatore statunitense in Francia, William C. Bullit, aveva osservato che l’importante era di isolare il «dispotismo asiatico», salvando la «civiltà europea» da una guerra fratricida. Dopo il trionfo conseguito da Hitler un diplomatico inglese aveva annotato sul suo diario: «Dall’essere un pugnale puntato contro il cuore della Germania, la Cecoslovacchia è ora rapidamente trasformata in un pugnale contro gli organi vitali della Russia» [11]. In occasione della crisi sfociata nella Conferenza di Monaco, l’Urss era stato l’unico paese a sfidare il Terzo Reich e a confermare il suo appoggio al governo di Praga, mettendo in stato d’allerta più di settanta divisioni. Successivamente, dopo lo smembramento della Cecoslovacchia completato dal Terzo Reich nel marzo 1939, Mosca aveva inoltrato una dura nota di protesta a Berlino [12]. Ben più “composta” era stata la reazione delle altre capitali. E dunque: gli aggressori nazifascisti avevano divorato successivamente l’Etiopia, la Spagna, la Cecoslovacchia, l’Albania e in Asia la Cina, grazie alla complicità diretta o alla passività delle potenze occidentali, inclini ad indirizzare verso il paese scaturito dalla rivoluzione d’ottobre le ulteriori ambizioni e mire espansionistiche del Terzo Reich; ad Est l’Unione sovietica avverte la pressione esercitata dal Giappone sulle frontiere orientali. Si profila così il pericolo di invasione e di guerra su due fronti: solo a questo punto che Mosca comincia a muoversi in direzione del patto di non aggressione con la Germania, prendendo atto del fallimento della politica dei fronti popolari.
 
Portata avanti da Stalin con convinzione e decisione, la politica dei fronti popolari era costata non poco. Essa aveva rafforzato l’opposizione e l’agitazione trotskista in particolare nelle colonie: che credibilità poteva avere un anticolonialismo che risparmiava – così suonava l’accusa – le principali potenze coloniali del tempo, per concentrare il fuoco su un paese, la Germania, che a Versailles aveva perso anche le poche colonie prima possedute? Soprattutto, per gli stessi popoli coloniali era difficile accettare la svolta. L’Inghilterra era largamente screditata. Nella primavera del 1919 essa non solo si era resa responsabile del massacro di Amritsar, che era costato la vita a centinaia di indiani inermi, ma aveva fatto ricorso a «pubbliche fustigazioni» e a una de-umanizzante punizione collettiva e una terribile umiliazione nazionale e razziale, con l’obbligo per gli abitanti della città «di doversi trascinare a quattro zampe per tornare a casa od uscirne» [13]. Più tardi, mentre divampa la seconda guerra mondiale, il governo imperiale reprime le manifestazioni indipendentiste, mitragliandole dall’alto con l’aviazione (infra, cap. VI, § 4). Sono gli anni in cui Gandhi afferma: «In India abbiamo un governo hitleriano, sia pure camuffato in termini più blandi». E ancora: «Hitler è stato “il peccato della Gran Bretagna”. Hitler è solo la risposta all’imperialismo britannico» [14]. Anzi, a guerra ormai conclusa, Gandhi si spingerà sino a rendere omaggio a Subhas Chandra Bose che, pur di conseguire l’indipendenza, aveva combattuto a fianco dell’Asse: «Subhas era un grande patriota e ha dato la vita per il bene del paese» [15].
 
In conclusione: non era stato facile per l’Urss far passare l’idea che, nonostante le apparenze, anche per i popoli delle colonie il pericolo principale era pur sempre costituito dalla coalizione nazi-fascista, dall’asse Germania-Giappone-Italia, e in particolare dal Terzo Reich, deciso a riprendere e radicalizzare la tradizione coloniale, facendo ricorso anche a mezzi estremi. Per paesi come l’Inghilterra e la Francia la politica dei fronti popolari comportava dei costi assai più ridotti, e tuttavia essi l’avevano sabotata. A questo punto l’Urss non aveva altra scelta che l’intesa con la Germania, una mossa che è stata definita come «un’improvvisazione dell’ultimo minuto, drammatica», a cui Mosca fa ricorso in mancanza di altre alternative, «all’immediata vigilia di una nuova guerra europea» [16].
 
Si verifica così una svolta, che viene in genere valutata con lo sguardo rivolto esclusivamente all’Europa. Ma non c’è motivo per ignorare le ripercussioni in Asia. Mao Zedong esprime la sua soddisfazione: «Il patto rappresenta un colpo per il Giappone e un aiuto per la Cina», in quanto «dà maggiori possibilità all’Unione sovietica» di appoggiare «la resistenza della Cina contro il Giappone» [17]. Proprio per questa ragione il governo giapponese considera «proditorio e imperdonabile» il comportamento di Berlino [18]. In effetti, assai consistente è il flusso di armi e munizioni russe in direzione della Cina. Ben diverso è l’atteggiamento dell’Occidente:
 
«E’ una macchia nel gran libro della storia l’indifferenza con la quale l’Europa e l’America, mostrando di non avere chiara nozione della realtà, si astennero dal compiere spontaneamente il minimo sforzo per sbarrare la strada ai fascisti di Tokyo; non solo, ma quel che è peggio, gli Stati Uniti continuarono a inviare in Giappone petrolio e benzina fin quasi al grande attacco a Pearl Harbor»[19].
 
Lasciamo ora da parte l’Asia per concentrarci sull’Europa. La diffidenza reciproca tra Unione sovietica e Terzo Reich e la preparazione di entrambi allo scontro frontale non sono mai dileguate neppure durante i mesi del patto di non aggressione. Ancora prima della firma, parlando con l’alto commissario della Società delle nazioni a Danziga, Hitler charisce:
 
«Tutto ciò che io intraprendo è rivolto contro la Russia. Se l’Occidente è troppo stupido e cieco per capirlo, sarò costretto a raggiungere un’intesa con i Russi e a battere poi l’Occidente, in modo che dopo la sua sconfitta io possa rivolgermi contro l’Unione sovietica con tutte le forze da me riunite» [20].
 
A giudicare da questo brano, obiettivo costante del Führer è la costruzione di un’alleanza occidentale a guida tedesca per l’abbattimento dell’Unione sovietica; se questa alleanza non si riesce a stipulare con un’intesa preventiva, allora non resta che imporla ai partner recalcitranti dopo averli sconfitti; l’intesa transitoria con Mosca è solo un espediente per conseguire la vittoria e realizzare in tal modo l’alleanza occidentale necessaria per la definitiva resa dei conti col bolscevismo. Il patto di non aggressione è strumentale al conseguimento dell’obiettivo principale e permanente del Terzo Reich, che scatena l’operazione Barbarossa presentandola come una crociata per l’Europa alla quale sono chiamati a contribuire e in effetti contribuiscono, in varia misura e con risorse umane o materiali, paesi e popoli europei.
 

[1] Ruge, Schumann 1977, p. 50. 
[2] In Kupisch 1965, pp. 256-58. 
[3] Losurdo 2007, cap. V, § 1. 
[4] Hitler 1965, p. 238 (così si esprime il curatore). 
[5] Shirer 1974, p. 453. 
[6] Baumont 1969, p. 161. 
[7] Riportato in Goebbels 1992, p. 867 (nota 22 del curatore). 
[8] Baumont 1969, pp. 92-93 e 281. 
[9] Taylor 1996, p. 259. 
[10] Wolkogonow 1989, p. 468. 
[11] In Gardner 1993, pp. 36 e 44. 
[12] Wolkogonow 1989, pp. 465 e 460. 
[13] Brecher 1965, pp. 89-90. 
[14] Gandhi 1969-2001, vol. 80, p. 200 (Answers to Questions, 25 aprile 1941) e vol. 86, p. 223 (intervista a Ralph Coniston dell’aprile 1945). 
[15] Gandhi 1969-2001, vol. 98, p. 293. 
[16] Roberts 2006, p. 5. 
[17] Mao Zedong 1969-75, vol. 2, pp. 271 e 275. 
[18] Coox 1990, pp. 898 e 900. 
[19] Romein 1969, p. 261. 
[20] In Nolte 1987, pp. 313-14.


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ORIG.: Untold Story of Molotov-Ribbentrop Pact (23.08.2015 – Ekaterina Blinova)
The Molotov-Ribbentrop pact, inked by the USSR and Nazi Germany on August 23, 1939, is now used by Western "experts" and mainstream media to accuse the Soviet Union of "colluding" with Hitler and "betraying" his would be French and British allies, but evidence suggests otherwise...
http://sputniknews.com/politics/20150823/1026098760/molotov-ribbentrop-pact-untold-story.html


https://aurorasito.wordpress.com/2015/09/01/la-storia-mai-raccontata-del-patto-molotov-ribbentrop/

La storia mai raccontata del Patto Molotov-Ribbentrop


EKATERINA BLINOVA SPUTNIK, 25/08/2015
Il patto Molotov-Ribbentrop, firmato da Unione Sovietica e Germania nazista il 23 agosto 1939, è ora utilizzato da “esperti” e media occidentali er accusare l’Unione Sovietica di “collusione” con Hitler e “tradimento” degli alleati francese e inglesi, ma le prove suggeriscono il contrario.

Il 23 agosto 1939 Unione Sovietica e Germania nazista stipularono un trattato di non aggressione, noto anche come patto Molotov-Ribbentrop; il documento fa scattare ancora un aspro dibattito spingendo l’occidente ad accusare l’URSS di “collusione” con Hitler alla vigilia della seconda guerra mondiale. Inoltre, dal 2008, questo giorno viene segnato nei Paesi europei come “Giornata europea di commemorazione delle vittime dello stalinismo e del nazismo”. “E’ un evento annuale (23 agosto), atteso con ansia dai propagandisti russofobi occidentali, per ricordarci del ruolo iniquo sovietico nell’avviare la seconda guerra mondiale. Oggi, naturalmente, quando i media dicono “sovietico”, vogliono che si pensi alla Russia e al suo presidente Vladimir Putin. I “giornalisti occidentali non sanno decidersi su Putin: a volte è un altro Hitler, a volte un altro Stalin“, dice il professor Michael Jabara Carley dell’Università di Montreal in un articolo per Strategic Culture Foundation. Curiosamente, “esperti” e mass media occidentali tacciono sul fatto che la maggior parte delle potenze europee firmò trattati simili con Adolf Hitler prima dell’Unione Sovietica.
La Grande Alleanza che non ci fu
Ad esempio, la Polonia, “vittima” dichiarata del patto di non aggressione sovietico-germanico, firmò un patto di non aggressione con la Germania nazista il 26 gennaio 1934. “Negli anni ’30 la Polonia ebbe un ruolo cruciale. Era una semi-dittatura di estrema destra, antisemita e vicina al fascismo. Nel 1934, mentre l’URSS lanciava l’allarme su Hitler, la Polonia firmava il patto di non aggressione con Berlino. Chi ha pugnalato alla schiena chi?” Carley si chiede retoricamente. Accusando l’URSS di prendersi territori della “Polonia” (quando alcun Stato polacco esisteva più dopo l’invasione tedesca del 1° settembre, 1939) alcuni storici occidentali ancora dimostrano una peculiare forma di amnesia, dimenticando che questi territori, Ucraina e Bielorussia occidentali, furono annessi dalla Polonia durante la guerra sovietico-polacca (1919-1921). La guerra fu scatenata unilateralmente da Varsavia contro l’URSS lacerata e devastata dalla guerra civile. In generale, l’URSS si riprese il suo territorio, con l’eccezione di un frammento di Bucovina, preso da altri attori europei durante il caos della rivoluzione del 1917 e della guerra civile del 1920, osserva la storica, politica e diplomatica russa Natalija Naroshnitskaja nel suo libro “Chi stavamo combattendo e per cosa”. “Fino al 1939, la Polonia fece di tutto per sabotare gli sforzi sovietici per costruire un’alleanza antinazista, basata sulla coalizione antitedesca della Prima Guerra Mondiale tra Francia, Gran Bretagna, Italia e dal 1917 Stati Uniti… Nel 1934-1935, quando l’Unione Sovietica cercò un patto di mutua assistenza con la Francia, la Polonia tentò di ostacolarla“, ha sottolineato Carley. E Gran Bretagna e Francia? Sorprendentemente, negli anni ’30 né Londra, né Parigi si affrettarono ad unirsi alla coalizione anti-tedesca dell’URSS. Carley sottolinea il fatto che Maksim Litvinov, il commissario sovietico per gli Affari Esteri sostenuto dal leader sovietico Josif Stalin, “per primo concepì la ‘Grande Alleanza’ contro Hitler“. Tuttavia “la coalizione di Litvinov divenne la grande alleanza che non ci fu“.
Congiurando con Hitler: le élites europee si affidano ai nazisti
Gli storici concordano sul fatto che le élite conservatrici europee vedevano in Adolf Hitler un “male” minore della Russia sovietica. Inoltre, secondo l’economista statunitense Guido Giacomo Preparata, per le istituzioni inglesi e statunitensi il nazismo era una forza trainante in grado di smantellare l’Unione Sovietica, finendo ciò che fu avviato dalla prima guerra mondiale, la completa dissoluzione dell’ex-impero russo. “A Churchill, (Stanley) Baldwin (primo ministro del Regno Unito) così riassunse nel luglio 1936: ‘Se c’è una lotta in Europa da fare, vedrei i bolscevichi (bolscevichi) e nazisti farla'”, ha scritto Preparata nel suo libro “Congiurando con Hitler: come Gran Bretagna e USA crearono il Terzo Reich“. Nel frattempo, le élite europee e statunitensi non erano solo disposte a creare eventuali alleanze contro l’Unione Sovietica, ma anche finanziarono l’economia della Germania nazista, favorendo la costruzione della macchina da guerra nazista. La prestigiosa industria bellica inglese Vickers-Armstrong fornì armi pesanti a Berlino, mentre le aziende statunitensi Pratt&WhitneyDouglasBendix Aviation, per citarne solo alcune, rifornirono aziende tedesche, BMW, Siemens e altre, di brevetti, segreti militari e avanzati motori aerei, sottolinea Preparata.
Il tradimento di Monaco del 1938
Conclusione di tale gioco fu l’accordo di Monaco firmato dalle maggiori potenze d’Europa (Gran Bretagna, Germania, Francia, Italia) escludendo Unione Sovietica e Cecoslovacchia, il 30 settembre 1938, permettendo alla Germania nazista di annettersi le regioni di confine settentrionali e occidentali della Cecoslovacchia. Imbarazzanti i documenti d’archivio inglesi pubblicati nel 2013 che denuncino come il Regno Unito non solo tradì la Cecoslovacchia, consentendo a Hitler d’invaderla, ma anche come volontariamente consegnò 9 milioni di dollari d’oro appartenenti alla Cecoslovacchia alla Germania nazista. I lingotti d’oro cecoslovacchi furono immediatamente inviati a Hitler nel marzo 1939, quando prese Praga. Il tradimento di Monaco di Baviera del 29-30 settembre 1938 è la data effettiva dell’inizio della seconda guerra mondiale, dice il direttore del Centro per gli Studi russi dell’Università di Lettere di Mosca e storico e pubblicista dell’Istituto di analisi dei sistemi strategici Andrej Fursov, citando la lettera di Churchill al maggiore Ewal von Kleist, membro del gruppo della resistenza tedesco ed emissario dello Stato Maggiore tedesco, poco prima dell’occupazione di Hitler della Cecoslovacchia: “Sono sicuro che la violazione della frontiera cecoslovacca di eserciti e aerei tedeschi porterà a una nuova guerra mondiale… Tale guerra, una volta iniziata, verrebbe combattuta come l’ultima (prima guerra mondiale) ad oltranza, e va considerato non ciò che potrebbe accadere nei primi mesi, ma dove saremo tutti alla fine del terzo o quarto anno“. E non è tutto. Per quanto incredibile possa sembrare, il governo inglese in realtà impedì un complotto contro Adolf Hitler nel 1938. Un gruppo di alti ufficiali tedeschi programmava di arrestare Hitler al momento di ordinare l’attacco alla Cecoslovacchia. Inspiegabilmente, la dirigenza politica inglese non solo rifiutò di aiutare la resistenza, ma ne rovinò i piani. Nel suo saggio “Il nostro miglior cambio di regime del 1938: Chamberlain ‘perse il treno’?“, l’autore inglese Michael McMenamin narra: “non c’è dubbio storico che la resistenza tedesca abbia ripetutamente avvertito gli inglesi sull’intenzione di Hitler di invadere la Cecoslovacchia nel settembre 1938… In risposta, tuttavia, il governo Chamberlain fece ogni passo diplomatico possibile… minando l’opposizione a Hitler“. Qualunque sia la motivazione di Chamberlain, invece di allarmare sull’aggressione di Hitler all’Europa, il 28 settembre 1939 “propose al (Fuhrer) una conferenza tra Gran Bretagna, Germania, Cecoslovacchia, Francia e Italia in cui Chamberlain assicurò Hitler che la Germania poteva ‘avere tutte le risorse essenziali senza guerra e senza indugio'”, scrive McMenamin citando documenti ufficiali e aggiungendo che Chamberlain chiuse un occhio sul fatto che la Germania escludesse la Cecoslovacchia dalla conferenza. Dopo che le quattro potenze decisero di accettare l’occupazione tedesca di Sudeti della Cecoslovacchia, prima di qualsiasi plebiscito e costringendo i cechi ad accettarla, Chamberlain e Hitler firmarono l’accordo di non aggressione anglo-tedesca, sottolinea l’autore. È interessante notare che, narra il professor Carley, durante la crisi cecoslovacca la Polonia (l’aspirante “vittima” del patto Molotov-Ribbentrop) si chiese se “Hitler ottiene i territori dei Sudeti, la Polonia dovrebbe avere il distretto di Teschen (in Cecoslovacchia). In altre parole, se Hitler si prende il bottino, noi polacchi ne vogliono uno“. Quindi, chi colluse con chi? Chi erano i traditori?
Perché l’occidente demonizza il patto Molotov-Ribbentrop?
Secondo Andrej Fursov, a Monaco di Baviera le quattro potenze crearono un “blocco proto-NATO” contro l’URSS. Il complesso industriale della Cecoslovacchia doveva facilitare la crescita della potenza militare tedesca e garantirne la capacità di scatenare una grande guerra contro i “bolscevichi” in Oriente, al fine di estendere il Lebensraum tedesco. E le élite europee erano interessate a tale guerra, che avrebbe esaurito Germania e Russia. Alla luce di ciò, l’unica mossa per minare questo piano e rimandarne la realizzazione fu concludere un simile patto di non aggressione tra URSS e Germania. Inoltre, il ritardo aiutò l’Unione Sovietica ad accumulare risorse al fronte per l’invasione inevitabile da occidente. Michael Jabara Carley cita Winston Churchill, allora Primo Lord dell’Ammiragliato, che disse il 1° ottobre 1939, in un’intervista all’emittente nazionale inglese, che l’azione sovietica “era chiaramente necessaria per la sicurezza della Russia contro la minaccia nazista“. Perché allora l’occidente fa ogni sforzo per demonizzare il trattato di non aggressione sovietico-tedesco, il patto Molotov-Ribbentrop? Il professor Carley nota che sia un vano tentativo di banalizzare i gravi errori nell’Europa degli anni ’30, vale a dire l’incapacità (o non volontà?) di arrestare l’avanzata della Germania nazista e di creare un’alleanza anti-hitleriana nei primi anni ’30. “Oggi i governi occidentali e i giornalisti da essi ‘ispirati’, se si possono chiamare giornalisti, non si badano agli argomenti ‘tendenziosi’ quando si tratta d’infangare la Federazione Russa. Tutto è permesso. Dovremmo lasciarli equiparare il ruolo di URSS e Germania nazista nell’avvio della seconda guerra mondiale? Certamente no. Fu Hitler che voleva la guerra, e francesi e inglesi, in particolare questi ultimi, più volte ne furono strumento rifiutando le proposte sovietiche sulla sicurezza collettiva e spingendo la Francia a fare lo stesso“, osserva il professor Carley.

Traduzione di Alessandro Lattanzio – SitoAurora

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ORIG.: Who Controls the Past Controls the Future: Why Does West Hate Stalin? (25.08.2015 – Ekaterina Blinova)
On August 23 Europe marked a so-called "European Day of Remembrance for Victims of Stalinism and Nazism" coinciding with the date of the signing of the Molotov-Ribbentrop Pact; one of the purposes of this "day of remembrance" is to equate Stalin with Hitler, the USSR with Nazi Germany, Professor Grover Carr Furr told Sputnik...
http://sputniknews.com/politics/20150825/1026165590/why-does-west-hate-stalin.html


http://sputniknews.com/politics/20150825/1026165590/why-does-west-hate-stalin.html

Perché l’occidente odia Stalin?

EKATERINA BLINOVA SPUTNIK 25/08/2015

Il 23 agosto l’Europa ha imposto la cosiddetta “Giornata europea di commemorazione delle vittime dello stalinismo e del nazismo”, in coincidenza con la data della firma del patto Molotov-Ribbentrop; scopo di tale “giorno della memoria” è equiparare Stalin a Hitler, l’URSS alla Germania nazista, dice a Sputnik il Professor Grover Carr Furr. Attaccando e stigmatizzando l’Unione Sovietica, Stati Uniti ed alleati della NATO puntano alla Russia di oggi e alla sua leadership, che non è disposta ad inchinarsi all’occidente; in ogni caso, l’Unione Sovietica non ha mai fatto nulla di lontanamente paragonabile a ciò che i principali Paesi occidentali hanno fatto nel secolo scorso, Stati Uniti e NATO furono di gran lunga le potenze più aggressive e criminali nel mondo dalla Seconda Guerra Mondiale, dice lo storico statunitense Professor Grover Carr Furr della Montclair State University, a Sputnik. Illogica per quanto può sembrare, nonostante l’Unione Sovietica sia crollata decenni fa, la macchina della propaganda occidentale continua a diffamare la Russia sovietica; prima lo storico anglo-statunitense Robert Conquest e poi lo studioso statunitense Timothy Snyder hanno contribuito molto alla propaganda antisovietica e antirussa. “Perché c’è tanto odio verso Stalin e il comunismo? L’anticomunismo perché il comunismo è l’antitesi del capitalismo. E l’antistalinismo perché il periodo di Stalin dell’URSS fu il periodo in cui il movimento comunista mondiale agì molto bene. Inoltre, vi è antistalinismo e anticomunismo davanti per via delle atrocità del capitalismo e dell’imperialismo nel 20° secolo, che continuano ancor oggi“, ha osservato il Professor Furr.
Guerra fredda: gli storici occidentali dell’intelligence service
Il professore ha sottolineato che lo storico Robert Conquest (autore de “Il Grande Terrore: le purghe di Stalin negli anni ’30” deceduto il 3 agosto 2015) aveva lavorato per l’Information Research Department (IRD) inglese dalla creazione al 1956. L’IRD, originariamente chiamato Communist Information Bureau, fu fondato nel 1947, quando la guerra fredda iniziò. “Il compito principale era combattere l’influenza comunista nel mondo diffondendo storie tramite politici, giornalisti e altri in grado d’influenzare l’opinione pubblica”, ha spiegato il Professor Furr. Il lavoro di Conquest era contribuire alla cosiddetta “storia nera” dell’Unione Sovietica, ha osservato il professore, “in altre parole, diffondere storie false tra giornalisti e altri in grado d’influenzare l’opinione pubblica”. “Il suo libro Il Grande Terrore, testo anticomunista sul tema della lotta di potere in Unione Sovietica nel 1937, in realtà lo compilò quando lavorava per i servizi segreti. Il libro fu pubblicato con l’aiuto dell’IRD. La terza edizione fu opera della Praeger Press che pubblicava testi provenienti dalla CIA“, ha sottolineato il Professor Furr, che osserva che oggi Conquest rimane una delle più importanti fonti sull’Unione Sovietica degli storici anticomunisti e russofobi. La propaganda era mascherata da borsa di studio contro l’URSS e coordinata dai servizi segreti anglostatunitensi. Furr nota che Conquest riceveva periodicamente pesanti critiche da eminenti studiosi occidentali, che l’accusavano di “falsificazioni consapevoli” sull’Unione Sovietica. Infatti Conquest usò qualsiasi fonte ostile a Stalin e all’URSS, chiudendo un occhio sul fatto se fosse affidabile o meno. Inutile dire che lo storico anglo-statunitense Robert Conquest ha molti “seguaci”, soprattutto oggi, quando le relazioni russo-occidentali sono peggiorate enormemente. La palese falsificazione della storia è uno strumento tradizionale della guerra fredda che viene rivitalizzato. “Chi controlla il passato controlla il futuro. Chi controlla il presente controlla il passato“, come George Orwell scrisse nel suo famoso libro “1984”. Non sorprende, però, che il discorso storico occidentale sia attualmente invaso dai miti politicizzati su URSS e Josif Stalin. Uno di coloro che infangano la Russia sovietica è Timothy Snyder, professore di Storia di Yale e autore di Bloodlands. Come Conquest, è un celebre autore occidentale lodato da liberali e destra statunitensi. Attaccando Stalin, Snyder cerca di convincere i lettori che Hitler non fosse peggiore, ma in un certo senso “migliore” del leader sovietico. Snyder si spinge a suggerire che “per assassinare degli ebrei (Olocausto), … Adolf Hitler dipendesse da Stalin (e dai suoi metodi)”, come il Professor David A. Bell ha osservato nella sua recente revisione di “Terra Nera” di Snyder per National Interest. Sorprendentemente, Snyder segue le orme di Conquest, il suo racconto si basa su fonti controverse, voci, semi-verità sempre ostili all’URSS, come il professor Furr ha denunciato nel suo libro “Bugie di sangue: la prova che ogni accusa contro Josif Stalin e l’Unione Sovietica su Bloodlands di Timothy Snyder è falsa“.
Patto Molotov-Ribbentrop: verità e bugie
La storia del patto Molotov-Ribbentrop del 1939 narrato da Snyder e altri storici anticomunisti è anche piena di presupposti errati. “Dicono che nel trattato Unione Sovietica e Germania nazista decisero di dividersi l’Europa. Questo è falso. Il trattato, in una clausola segreta, assegnava la Polonia orientale alla ‘sfera d’influenza sovietica’. Questo significava che quando l�

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SABATO 16 GENNAIO 2016
GIORNATA NAZIONALE DI MOBILITAZIONE CONTRO LA GUERRA
MANIFESTAZIONI NAZIONALI a ROMA (Piazza Esquilino) e MILANO (Piazza San Babila)


Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS aderisce ed invita ad aderire alle iniziative promosse nella giornata nazionale di mobilitazione indetta nel 25.mo Anniversario della aggressione occidentale e italiana contro l'Iraq, che fu momento topico dell'insanabile sfregio alla Costituzione repubblicana e prodromo di tutte le aggressioni successive, inclusa quella alla RF di Jugoslavia


1) INIZIATIVE IN TUTTA ITALIA VERSO IL 16 GENNAIO: ROVATO (BS), BOLOGNA, ROMA, TORINO, PISA...
2) TRIESTE, ROMA, MILANO... SABATO 16 GENNAIO: MOBILITAZIONE NAZIONALE CONTRO LA GUERRA
3) Il 16 gennaio le piazze gridino No alla guerra (Sergio Cararo)
4) Comunicato sul 25° Anniversario della Guerra del Golfo (Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO)


Vedi anche:

*** LUCIO MANISCO, DA NEW YORK PER SAMARCANDA IL 14 FEBBRAIO 1991
Un intervento del giornalista di Rai Tre che durante la Prima Guerra del Golfo per un verso godette di grande popolarità e per un altro verso suscitò furibonde polemiche a causa delle sue posizioni ritenute pregiudizialmente antiamericane e pacifiste...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=UAqzDZggilY ***

A TUTTE LE ORGANIZZAZIONI CHE RIFIUTANO LA GUERRA,  GLI INTERVENTI MILITARI DEL GOVERNO ITALIANO, IL MERCATO DELLE ARMI (Campagna EUROSTOP, 5 dicembre 2015)

Roma 16 gennaio 2016 IN PIAZZA CONTRO LA GUERRA

SANZIONI ALLA SIRIA: LE MANI INSANGUINATE DELL'ITALIA (F. Santoianni, 25 dic 2015)
Il crimine delle sanzioni alla Siria: una catastrofe umanitaria che nessuno vi racconta mentre si spargono lacrime di coccodrillo sui profughi della guerra (alimentata anche dall’Italia) che muoiono davanti alle nostre coste...
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=eSrIjwVG5k0

La Notizia di Manlio Dinucci: 
BOTTI DI FINE ANNO: IL PIANO USA DI GUERRA NUCLEARE (29.12.2015)
LE 300 HIROSHIMA DELL’ITALIA (5.12.2015)
La potenza stimata delle nuove bombe nucleari Usa  B61-12, che stanno per essere schierate in Italia al posto delle B-61, equivale a quella di circa 300 bombe di Hiroshima 


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INIZIATIVE IN TUTTA ITALIA VERSO IL 16 GENNAIO:

*** ROVATO (BS), VENERDI' 8 GENNAIO
Assemblea NO guerra NO austerità

*** BOLOGNA, SABATO 9 GENNAIO 
ore 16.00, sala Quartiere Porto – Via dello Scalo 21
Assemblea cittadina
Prenotazioni pullman da Bologna: 349 492 5092 (Davide) - 328 66 75 326 (Letizia)

*** ROMA, MARTEDÌ 12 GENNAIO
Assemblea all'Università in preparazione della manifestazione del 16

*** TORINO, MARTEDÌ 12 GENNAIO
alle 17 presso il Campus Luigi Einaudi, Lungo Dora Siena 100, aula F3
Dibattito con Fulvio Scaglione (vicedirettore "Famiglia Cristiana"), Marco Santopadre (Contropiano.org). Introduce Piattaforma Eurostop Torino

*** PISA, MERCOLEDÌ 13 GENNAIO
alle 17:30 in Piazza XX settembre, di fronte al Comune di Pisa 
Presidio / Conferenza stampa 


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TRIESTE, sabato 16 gennaio 2016
alle ore 16 

Manifestazione in concomitanza con le manifestazioni nazionali contro le guerre di Roma e Milano


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ROMA e MILANO, 16 GENNAIO 2016 

MANIFESTIAMO CONTRO LA GUERRA E LA PARTECIPAZIONE ITALIANA ALLA GUERRA PER I DIRITTI DEI POPOLI E PER LA DEMOCRAZIA

25 ANNI DI GUERRA SONO DAVVERO TROPPI ORA BASTA!

BISOGNA FINALMENTE RISPETTARE L'ARTICOLO 11 DELLA COSTITUZIONE, L'ITALIA RIPUDI LA GUERRA E LE POLITICHE NEOCOLONIALI.

ESSERE NEUTRALI NELLA GUERRA E CONTRO LA GUERRA È IL SOLO MODO DI AGIRE PER FAR FINIRE LA GUERRA 

VOGLIAMO:

- Il ritiro immediato delle truppe e l'annullamento di tutte le missioni militari italiane in scenari di guerra. La cancellazione dell'acquisto degli F35 il taglio delle spese militari la fine dello sporco commercio delle armi.

- La fine degli interventi militari, dei bombardamenti, dell'ingerenza esterna e dell'ipocrita esportazione della democrazia. Invece della concorrenza tra i bombardieri è necessario un confronto politico che porti ad un accordo tra tutti gli stati coinvolti nella guerra in Medio Oriente, Solo così si isola è sconfigge il terrorismo Isis.

- La fine della NATO che non ha più alcuna giustificazione se non in una logica perversa di guerra mondiale e in ogni caso l'uscita da essa dell'Italia.

- La fine della politica coloniale d'Israele , la restituzione dei territori occupati a un stato libero di Palestina. L'autodeterminazione per il popolo curdo.

- Accoglienza e dignità per i rifugiati e i migranti.

PIATTAFORMA SOCIALE EUROSTOP

Per adesione individuali scrivere a
eurostop.it@...



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Il 16 gennaio le piazze gridino No alla guerra

di Sergio Cararo, 3 Gennaio 2016

Il prossimo 16 gennaio, una giornata di manifestazioni a livello nazionale ricorderà l’inizio di quella che possiamo definire come “La Guerra dei Trent’anni”.  La prima Guerra del Golfo con i bombardamenti sull’Iraq del 16 gennaio 1991, indica infatti l’apertura di quel Vaso di Pandora della guerra che si manifesta ormai con una escalation di cui è difficile – e allo stesso tempo inquietante – prevedere una conclusione. 

La convocazione della giornata di mobilitazione nazionale contro la guerra si è rivelata opportuna davanti al totale e assurdo vuoto di iniziativa politica su questo terreno (a parte le manifestazioni di Napoli, Firenze, Trapani, Capo Teulada).  Di fronte ad una escalation che ogni giorno può presentare il “casus belli” scatenante,  abbiamo visto ex attivisti del movimento pacifista diventati nel frattempo ministri della difesa o altissimi responsabili della sicurezza europea; una parte della sinistra che ha letteralmente sfarfallato di fronte a quanto accadeva in Libia e Siria, ostinandosi a leggere come rivolte popolari quelle che si sono rivelate ben presto come interventi di “regime change” da parte delle potenze imperialiste; un governo italiano che gioca sul consueto doppio binario della “cautela” sul piano bellico ma su atti concreti di coinvolgimento militare nei teatri di guerra (armi all’Arabia Saudita, invio di soldati in Iraq, flotta davanti alle coste libiche, sanzioni a Siria e Russia). Era tempo dunque che un pezzo di questo paese riprendesse la parola e le piazze per riaffermare quel concetto semplice e importante che dice basta guerre, le guerre sono le vostre ma i morti sono sempre i nostri.

Alla presa di responsabilità di chi ha rotto gli indugi ed ha convocato le manifestazioni del 16 gennaio, non potevano mancare i consueti “ lamenti delle vedove”,  eterni assegnatari di mutande al resto del mondo che riescono a leggere le motivazioni della mobilitazione del 16 gennaio in modi diametralmente opposti (troppo filo russo-siriana o troppo anti russa-siriana, piattaforma troppo generica o piattaforma troppo escludente etc. etc.). Per chi ha memoria del recente passato non c’è da meravigliarsi. Meraviglia invece questo soffermarsi sulle righe e sulle sfumature piuttosto che sulla posta in gioco e l’urgenza di far entrare in campo un pezzo di società – ancora minoritario per ora – che dichiari pubblicamente il proprio No alla guerra e all’attacco alla democrazia che ne deriva in tutti i paesi coinvolti. 

La guerra del XXI Secolo oggi sta devastando la Siria, l’Iraq e la Libia, ha prodotto morti e macerie in Ucraina, prima ancora aveva devastato Jugoslavia, Cecenia, Afghanistan e l’Iraq, sollecita tensioni ricorrenti in Asia. Non sono state vissute come guerre nelle agende politiche o nell’opinione pubblica occidentali, ma paesi come la Somalia, il Sudan, le repubbliche africane sono stati destabilizzati e tribalizzaie con l’intervento militare decisivo delle potenze neocoloniali – dalla Francia agli Usa, dalla Gran Bretagna all’Italia.

La Guerra dei Trent’anni cominciata dagli Usa usciti egemoni e vittoriosi nel 1991 dallo scontro globale con l’Urss, è oggi uno scenario agente che conformerà più o meno bruscamente anche il mondo che abbiamo conosciuto, anche in una Europa che molti si ostinano ad assolvere come mera esecutrice delle manovre statunitensi riducendone così le responsabilità e i pericoli che ne derivano.

Sullo sfondo di una competizione globale, feroce e a tutto campo, tra le maggiori potenze  imperialiste o non ancora tali come il polo islamico costituitosi intorno alla petromonarchia saudita, la guerra sta uscendo dalla narrazione storica o dalla testimonianza diretta delle vecchie generazioni, per entrare di prepotenza dentro l’attualità e la vita quotidiana. In molti avevano ritenuto di poter rimuovere questo scenario limitandosi ad osservare il suo manifestarsi in paesi lontani. Non erano bastate le stragi di Madrid e Londra negli anni scorsi,  ci sono volute quelle più recenti di Parigi per strappare il velo dagli occhi e far capire che se anche gli stati europei portano la guerra in giro per il mondo, prima o poi qualcuno la guerra te la restituisce anche dentro casa. La risposta dei governi non è la fuoriuscita dalle guerre e dagli interventi in cui sono coinvolti ma lo stato d’emergenza e l’aumento delle spese militari.

Meglio dunque che qualcuno cominci a denunciarlo nelle piazze piuttosto che correre come criceti sulla ruota rimanendo sempre fermi.  Altre iniziative potranno seguire,  crescere e qualificarsi successivamente al 16 gennaio. La giornata di mobilitazione offre finalmente una cornice di mobilitazione No War che ognuno potrà declinare con i propri contenuti. Riteniamo che questo possa e debba essere l’auspicio di chi scenderà in piazza il 16 gennaio, per gridare già da ora: basta con la guerra.

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COMUNICATO SUL 25° ANNIVERSARIO DELLA GUERRA DEL GOLFO

Comitato promotore della campagna #NO GUERRA #NO NATO

19 dic 2015 — Venticinque anni fa, nelle prime ore del 17 gennaio 1991, iniziava nel Golfo Persico l’operazione «Tempesta del deserto», la guerra contro l’Iraq che apriva la fase storica che stiamo vivendo.
Questa guerra, preparata e provocata da Washington con la politica del «divide et impera», veniva lanciata nel momento in cui, dopo il crollo del Muro di Berlino, stavano per dissolversi il Patto di Varsavia e la stessa Unione Sovietica. Approfittando della crisi del campo avversario, gli Stati Uniti rafforzavano con la guerra la loro presenza militare e influenza politica nell’area strategica del Golfo. 

La coalizione internazionale, formata da Washington, inviava nel Golfo una forza di 750 mila uomini, di cui il 70 per cento statunitensi, agli ordini di un generale Usa. Per 43 giorni, l’aviazione statunitense e alleata effettuava, con 2800 aerei, oltre 110 mila sortite, sganciando 250 mila bombe, tra cui quelle a grappolo che rilasciavano oltre 10 milioni di submunizioni. Partecipavano ai bombardamenti, insieme a quelle statunitensi, forze aeree e navali britanniche, francesi, italiane, greche, spagnole, portoghesi, belghe, olandesi, danesi, norvegesi e canadesi. Il 23 febbraio le truppe della coalizione, comprendenti oltre mezzo milione di soldati, lanciavano l’offensiva terrestre. Essa terminava il 28 febbraio con un «cessate-il-fuoco temporaneo» proclamato dal presidente Bush. 

La guerra del Golfo fu la prima guerra a cui partecipava sotto comando Usa la Repubblica italiana, violando l’articolo 11, uno dei principi fondamentali della propria Costituzione. I caccia Tornado dell’aeronautica italiana effettuarono 226 sortite, bombardando gli obiettivi indicati dal comando statunitense. 

Nessuno sa con esattezza quanti furono i morti iracheni nella guerra del 1991: sicuramente centinaia di migliaia, per circa la metà civili. Ufficiali statunitensi confermavano che migliaia di soldati iracheni erano stati sepolti vivi nelle trincee con carri armati trasformati in bulldozer. Alla guerra seguiva l’embargo, che provocava nella popolazione più vittime della guerra: oltre un milione, tra cui circa la metà bambini. 

Subito dopo la guerra del Golfo, gli Stati Uniti lanciavano ad avversari e alleati un inequivocabile messaggio: «Gli Stati Uniti rimangono il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione – politica, economica e militare – realmente globali. Non esiste alcun sostituto alla leadership americana» (Strategia della sicurezza nazionale degli Stati Uniti, agosto 1991).

La Nato, pur non partecipando ufficialmente in quanto tale alla guerra del Golfo, metteva a disposizione sue forze e strutture per le operazioni militari. Pochi mesi dopo, nel novembre 1991, il Consiglio Atlantico varava, sulla base della guerra del Golfo, il «nuovo concetto strategico dell'Alleanza». Nello stesso anno in Italia veniva varato il «nuovo modello di difesa» che, stravolgendo la Costituzione, indicava quale missione delle forze armate «la tutela degli interessi nazionali ovunque sia necessario». 

Nasceva così con la guerra del Golfo la strategia che ha guidato le successive guerre sotto comando Usa – contro la Jugoslavia nel 1999, l’Afghanistan nel 2001, l’Iraq nel 2003, la Libia nel 2011, la Siria dal 2013 – accompagnate nello stesso quadro strategico dalle guerre di Israele contro il Libano e Gaza, della Turchia contro i curdi del Pkk, dell’Arabia Saudita contro lo Yemen, dalla formazione dell’Isis e altri gruppi terroristi funzionali alla strategia Usa/Nato, dall’uso di forze neonaziste per il colpo di stato in Ucraina funzionale alla nuova guerra fredda e al rilancio della corsa agli armamenti nucleari. 

Su tale sfondo il Comitato No Guerra No Nato ricorda la guerra del Golfo di 25 anni fa, nel massimo spirito unitario e allo stesso tempo nella massima chiarezza sul significato di tale ricorrenza, chiamando a intensificare la campagna per l’uscita dell’Italia dalla Nato, per una Italia sovrana e neutrale, per la formazione del più ampio fronte interno e internazionale contro il sistema di guerra, per la piena sovranità e indipendenza dei popoli.

Comitato No Guerra No Nato



(english / italiano)

Turkish Influence in the Balkans

1) Turkey’s Islamist Agenda in Kosovo (D.L. Phillips)
2) Erdogan Fulfilling His NeoOttoman Dream Through Bosnia (G. Carter) / MR. IZETBEGOVIC’S MEIN KAMPF
3) FLASHBACK: Il caso Cesur– Ikanovic– Bektasevic (2005-2006)


Vedi anche:

JIHAD DAL KOSOVO? CHE BELLA SCOPERTA... [JUGOINFO 1.12.2015]

IL RUOLO DELLA TURCHIA NELLA CRISI JUGOSLAVA (1999)


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The World Begins to See (but after the damage was done)

by Grey Carter – December 31, 2015


Our minarets are our bayonets,Our domes are our helmets, Our mosques are our barracks.  We will put a final end to ethnic segregation. No one can ever intimidate us.  If the skies and the ground were to open against us,   If floods and volcanoes were to burst, We will not turn from our mission.  My reference is Islam.”  – Tayyip Regep Erdogan, then Mayor of Istanbul, 1997.

I was surprised by an honest article concerning the ressurection of one of the bloodiest states ever – the Ottoman empire in Balkans. The article/analysis  appeared in Huffington post, and, even though some figures have been reduced (i.e.  number of the newly built mosques throughout Kosovo i Metohija) the author hits the nail and breaks the taboo and grave silence concerning the true nature of the so called state (quasi state)  of Kosovo.
Unfortunately, the author, despite his prominece and experience, at the end has completely missed the  point.
Another twenty years  period and perhaps they will make right conclusions.
I guess.

Turkey’s Islamist Agenda in Kosovo

by David L. Phillips – 12.29.2015.

Turkey’s President Recep Tayyip Erdogan addressed an audience in Prizren during an official visit to Kosovo in October 2013: “We all belong to a common history, common culture, common civilization. We are the people who are brethren of that structure. Do not forget, Turkey is Kosovo, Kosovo is Turkey!”
Turkey’s foreign policy in the Balkans promotes a neo-Ottoman agenda, aimed at expanding its influence in former territories of the Ottoman Empire. Turkey exports Islamism under the guise of cultural cooperation. It also seeks economic advantage, using business as leverage to consolidate its national interests.
The Turkish International Cooperation and Development Agency (TIKA) is a vehicle through which Turkey advances its ideological agenda. TIKA is the vanguard of Turkey’s Justice and Development Party (AKP), which supports Muslim Brotherhood chapters around the world. TIKA runs a parallel and complementary foreign policy to official state institutions, coordinating with Turkey’s Ministry of Culture and the Presidency of Religious Affairs to promote the AKP’s Islamist agenda.
TIKA operates like a social welfare agency. In Kosovo, it supports more than 400 projects in the fields of agriculture, health and education. Affordable health care is offered in Kosovo at Turkish-run hospitals and clinics, sponsored by TIKA.
Despite its extensive activities, Zeri reports that the Central Bank of Kosovo has logged only 2.7 million Euros transferred by TIKA to its Kosovo account between 2009 and 2014. TIKA transfers most funds in cash with no official record. It does not want to draw attention to its activities.
Most TIKA funds are used to restore Ottoman monuments and build mosques. For example, TIKA supported restoration of the Sultan Murat Tomb in Kosovo. It rebuilt Ottoman religious sites like the Fatih Mosque and the Sinan Pasha Mosque, which cost 1.2 million Euros. Since 2011, TIKA has restored approximately 30 religious structures from the Ottoman period and 20 new mosques across Kosovo. Erdogan personally pledged funds to build the country’s biggest mosque in Pristina.
In addition, TIKA supports regional Islamic unions and institutions. It subsidizes community based social mobilization projects, which promote Islam. TIKA’s network of Muslim community leaders and imams, which includes imams from Turkey, actively promotes Islam. Its benevolence includes food for the Iftar meal during Ramadan, delivered to impressionable Kosovars (“Kosovars” is a global media invention to mark exclusively Albanians who have flooded Kosovo Metohija after the aggression on Serbia 1999.  – G. Carter) in poor rural areas.
TIKA also sponsors schools in Pristina, Prizren, Gjakova  Djakovica – Albanization of toponymes is a crime, (someone should have warn western journalists – G. Carter) , and Peja ( it’s Pec). Some schools provide Qur’anic instruction, as well as Turkish language instruction. As many as 20,000 Turks reside in Kosovo, where Turkish is an official language. The Turkish Embassy in Pristina awards 100 scholarships for Kosovars (i.e. – Albanians, again); to study in Turkey each year.
But not all schools supported by TIKA are part of the formal education sector. Some function like madrassas, offering Islamic education, thereby contributing to the radicalization of Kosovar  (i.e. Albanian) youth. The Government of Kosovo acknowledges that more than 300 Kosovars have joined the Islamic State in Syria. The figure dates back a couple of years. Today’s number may be much higher.
Yunus Emre Turkish Cultural Centers are also vehicles for Turkish influence. According to its charter, Yunus Emre Centers “provide services abroad to people who want to have education in the fields of Turkish language, culture and art, to improve the friendship between Turkey and other countries.”
Support for educational institutions is a propaganda tool to foster a positive impression of Turkey among Kosovars. Turkey’s Minister of Education visited Kosovo and publicly asked Kosovo institutions to change history texts in order to portray Ottomans as liberators, rather than as occupants and aggressors.
Erdogan asked the Government of Kosovo to close schools established by Fetullah Gulen, with whom he had a falling out. Kosovo officials acquiesced, though Gulen schools offered quality education to Kosovars.
Turkish businessmen also benefit from Turkey’s aggressive religious and cultural promotion. A well-respected Turkish scholar asks of the AKP, “Are they Islamists or just thieves with a religious rhetoric?”
Turkey is Kosovo’s largest trading partner, after Serbia. The trade volume between Turkey and Kosovo was 206.5 million Euros in 2012. (Export to Kosovo was 199.5 million Euros; import from Kosovo only 7 million Euro). Trade volume slightly decreased in 2013-14 due to an economic slowdown in the region.
Tenders for some of the biggest public projects in Kosovo have been won by Turkish companies. The Limak Holding Company won the concession to manage the Pristina International Airport. The Çalık-Limak Consortium also acquired the Kosovo Energy Distribution Services. Limak pledged to invest 300 million Euros in the transmission system, but its investment still has not materialized.
The Merdare-Morina highway connecting Kosovo to Albania was built by the Turkish construction company, Enka, in consortium with Bechtel. Çalik-Limak has just started construction of the Pristina-Hani Elezit highway between Kosovo and Macedonia.
The award of tenders may be subject to political influence. Çalik Holding and Limak are politically well-connected. Erdogan’s son-in-law is a major shareholder in Limak.
The Turkish banking system dominates the financial sector in Kosovo. A majority of Kosovo’s major banks are Turkish, including the Turkish Economic Bank (TEB).
More than 900 Turkish companies operate in Kosovo. About 7,000 Kosovars are employed by Turkish companies in, for example, the food processing and textile sectors. It is hard to be accepted or keep a job in a business where the owner is Turkish if you don’t speak Turkish.
Kadri Veseli, a prominent Kosovo politician, was a former critic of Turkish concerns acquiring Kosovo state enterprises. Veseli bemoaned Turkey’s penetration as bad for both Kosovo’s economy and its EU aspirations.
Since becoming Speaker of Kosovo’s Parliament, however, Vaseli has not said a word about Turkey’s economic dominance. He and other prominent Kosovo politicians, including Foreign Minister Hashim Thaci, have close ties to Erdogan, as well as Turkish business and political leaders.
Turkey has cemented its influence through security cooperation. Around 2,000 Turkish soldiers were deployed as part of the KFOR peacekeeping mission in 1999. There are still 350 Turkish soldiers in Pristina and Prizren. Turkey has indicated its willingness to assume control of Bondsteel, the US base in Kosovo, as US forces withdraw.
Turkey has also shown itself a reliable political partner. Ankara was reluctant to endorse Kosovo’s independence, lest a parallel be drawn with its Kurdish minority. However, Turkey was one of the first countries to recognize Kosovo when it declared independence from Serbia in 2008. Prime Minister Ahmet Davutoğlu’s notion of “strategic depth” views Turkey as a regional power and an alternative to the EU for countries like Kosovo. Muslim solidarity is the centerpiece of Davutoğlu’s strategy to expand Turkey’s influence.
Davutoğlu explicitly linked Turkey’s foreign policy to its Ottoman legacy during a trip to Bosnia-Herzegovina in 2009. “The Ottoman centuries of the Balkans were a success story. Now we have to reinvent this.” He announced, “Turkey is back.”
Faster integration into Euro-Atlantic institutions is the best antidote to Turkey’s influence in Kosovo and the Western Balkans. US interests would also be served through intensified engagement in the region.
Closer cooperation between the US and Kosovo would be a bulwark against Turkey’s export of Islamism. It would also prevent the further radicalization of Kosovo society, staunching the flow of Kosovars (i.e. Albanian invaders in Kosovo Metohija) to join ISIS.
Mr. Phillips is Director of the Program on Peace-building and Rights at Columbia University’s Institute for the Study of Human Rights. He served as a Senior Adviser and Foreign Affairs Experts to the US Department of State during the Clinton, Bush, and Obama administrations. Phillips is author of “Liberating Kosovo: Coercive Diplomacy and US Intervention” (Kennedy School at Harvard University and NBC


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Erdogan Fulfilling His NeoOttoman Dream Through Bosnia 

Posted on October 19, 2015 by Grey Carter

ERDOGAN: Alija left Bosnia to me to take care of –

Bosnia and Herzegovina today marks 12th anniversary of the death of former president Alija Izetbegovic, and on this occasion Turkish President Recep Tayyip Erdogan stated that he “… with great respect recalls the “first and great leader of Bosnia and Herzegovina”.
– On the occasion of the 12th anniversary of his death, I remember with great respect and late first and great leader of Bosnia and Herzegovina, Alija Izetbegovic – wrote Erdogan on his Fb profile as it was quoted in Bosnia i Hercegovina.
Erdogan, in his earlier statement, said that Izetbegovic “despite all pressures, evil, assimilation attempts, has never gone out of his way.”
– In spite of years of life spent in prison, Alija did not abandon the fight for their country and people. The ability and leadership that he has shown during the last war in Bosnia and Herzegovina is ranked as one of the greatest statesmen of the 20th century and history – said Edrogan and reminded that the author of Islamic declaration had left “a legacy to him – to take care of BiH”.

Alija Izetbegovic was born on 8 August 1925 in Bosanski Samac. He was one of the founders of the Party of Democratic Action (SDA) in 1990. That same year he was elected member of the Presidency of Bosnia and Herzegovina, and later was president of the Presidency of Bosnia and Herzegovina and in its place was from 1992 until 1995. On 19 October 2003, the Muslim Fundamentalist (or Islamist) leader, Alija Izetbegovic, age 78, died of heart failure. During the Bosnian war of the 1990s, European and Muslim governments and the US referred to Izetbegovic as the president of the so-called Bosnian government. 

MR. IZETBEGOVIC’S MEIN KAMPF
After so many Bosnian Muslims continuosly support and join ISIS and other similar organizations, i.e. Muslim brotherhood, Jabhat al Nusra, many (mostly American and Western in general) nations seemed sursprised.
How, on Earth, one so great nation that has been supported, a new nation that enjoyed every possible aid from the West, turned to be so hateful towards those who were ready to kill Christians in the middle of Europe in order to support them?
Only those naive and  kept in dark by mainstream media could be surprised. Neither Bosnian muslims were the victims, nor Bosnian war was a fight for freedom nor against some Serbian aggression as it has been media – portrayed for decades.
President Alija Izetbegovic’s Islamic Declaration, first published in 1970 when it earned him a prison sentence, demanded a fully-fundamentalist Muslim state in Bosnia without scope for non-Muslim institutions or any division between religion, politics, and economics. The book was republished in 1990 in Sarajevo (by Mala Muslimanska Biblioteka). It scathingly attacks Attaturk’s reforms and holds up Pakistan as a model to be followed.
“… Do we want the Muslim nations to cease moving in circles, to stop being dependent, backward and poverty-stricken;
do we want them to once again with a sure step climb the road of dignity and enlightment and to become masters of their own fate;
do we want the springs of courage, genius and virtue to come forth strongly once again;
then we must show the way which leads to that objective:
The implementation of Islam in all fields of individuals’ personal lives, in family and in society, by renewal of the Islamic religious thought and creating a uniform Muslim community from Morocco to Indonesia. …“
… A nation, and an individual, who has accepted Islam is incapable of living and dying for another ideal after that fact. It is unthinkable for a Muslim to sacrifice himself for any tzar or ruler, no matter what his name may be, or for the glory of any nation, party or some such, because acting on the strongest Muslim instinct he recognizes in this a certain type of godlessness and idolatry. A Muslim can die only with the name of Allah on his lips and for the glory of Islam, or he may run away from the battlefield. …“             (page 17)
“… In perspective, there is but one way out in sight: creation and gathering of a new intelligence which thinks and feels along Islamic lines. This intelligence would then raise the flag of the Islamic order and together with the Muslim masses embark into action to implement this order. …” (18)
“… The shortest definition of the Islamic order defines it as a unity of faith and law, upbringing and force, ideals and interests, spiritual community and state, free will andforce. As a synthesis of these components, the Islamic order has two fundamental premises: an Islamic society and Islamic authority. The former is the essence, and the latter the form of an Islamic order. An Islamic society without Islamic power is incomplete and weak; Islamic power without an Islamic society is either a utopia or violence.
A Muslim generally does not exist as an individual. If he wishes to live and survive as a Muslim, he must create an environment, a community, an order. He must change the world or be changed himself. History knows of no true Islamic movement which was not at the same time a political movement as well. This is because Islam is a faith, but also a philosophy, a set of moral codes, an order of things, a style, an atmosphere – in a nutshell, an integral way of life. …”   page 18
Despite the hype in the Western media, Izetbegovic was not fighting to affirm (let alone reaffirm!) some supposed Bosnian nationhood. Rather, he called for:
“…the implementation of Islam in all aspects of individuals’ personal lives, in family and in society, by the renewal of Islamic religious thought, and by creating a uniform Muslim community from Morocco to Indonesia. …”[4]
In other words, the Islamist takeover of Bosnia was intended as a step towards the creation of a unified Muslim world-state.  Quite the opposite of preserving the nonexistent ‘Bosnian nation’! And yet the fiction of a Bosnian nation, threatened by supposed Serb secessionists (the Serbs were in fact the people who didn’t want to secede from Yugoslavia) was sold to ordinary people in the West.
” FOR ALL MUSLIMS THERE IS BUT ONE SOLUTION: TO CONTINUE TO FIGHT, TO STRENGTHEN AND BROADEN IT, FROM DAY TO DAY, FROM YEAR TO YEAR, NO MATTER THE VICTIMS AND NO MATTER THE TIME” ….
pages 53-54
— END —


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FLASHBACK 2005–2006: 

Il caso Cesur– Ikanovic– Bektasevic

In ordine cronologico inverso:
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TERRORISMO: BOSNIA, RINVIO A GIUDIZIO PER TRE PERSONE

(ANSA) - SARAJEVO, 13 APR - I giudici del tribunale statale bosniaco hanno rinviato a giudizio oggi Mirsad Bektasevic, cittadino svedese originario della Serbia/Montenegro, di 19 anni, il turco Abdulkadir Cesur, 21 anni e il bosniaco Bajro Ikanovic, per reati di terrorismo. Lo ha reso noto un comunicato del Tribunale. I tre sono stati arrestati nell'ottobre dell'anno scorso, secondo la stampa su segnalazione dei servizi di sicurezza svedesi e turchi, perche' progettavano un attentato suicida contro un'ambasciata, non si sa se quella britannica o quella americana, a Sarajevo. Sono seguiti sei arresti in Danimarca, in base alle informazioni delle autorita' bosniache. Sei mesi fa erano stati arrestati altri due bosniaci, Amir Bajric e Hasanovic Senad, oggi rinviati a giudizio per detenzione illegale di armi. Esplosivi di diverso tipo, armi e munizioni e una cintura da adoperare per farsi esplodere, sono stati trovati all'epoca dell'arresto del gruppo nella casa affittata dal Bektasevic. (ANSA). COR-LG
13/04/2006 18:39 

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http://www.slobodan-milosevic.org/news/dr041206.htm

Danish terror case led police to Al-Qa'idah hacker

BBC Monitoring Europe (Political) - April 12, 2006, Wednesday
Source: Danmarks Radio website, Copenhagen, in Danish 0532 gmt 12 Apr 06
Copyright 2006 British Broadcasting Corporation. Posted for Fair Use only.
Text of report by Danish radio website on 12 April; subheadings as published:

The terrorism case in Bosnia against a Danish-Turkish man and a Swedish citizen has yielded a big result for the American authorities.
The arrests led to the exposure of an infamous computer specialist who called himself the Arabic terrorist James Bond or "Irhabi 007."
Terrorist 007 – "Irhabi", which means terrorist in Arabic, has been causing both the British and American intelligence services problems for a couple of years and acted as an Al-Qa'idah warrior on the Internet, for example by hacking into the Arkansas' traffic ministry's Internet site.
From there "Irhabi 007" published everything from decapitations in Iraq to Al-Qa'idah recruitment films and weapons manuals, Newsweek magazine recently revealed. The magazine bases its information on unnamed sources in the American intelligence services.
The Al-Qa'idah hacker is also suspected of training terrorist sympathizers in fighting on the Internet.
Plans for attacking the White House – Two days after the action in the Balkans the British police went into action against three people who are suspected of planning a terrorist attack on the White House.
One of the three people arrested is 22-year-old Younis Tsouli. According to well-informed American intelligence services he later turned out to be the man behind the alias "Irhabi 007", Newsweek reports. The hacker's identity was revealed by chance.
Central sources in the American anti-terrorism authorities are talking of a major catch. It is said that the Arab "Terrorist 007" is an extremely clever computer specialist who has been linked with many Islamic terrorists online, including the Iraqi insurgent groups which are thought to be led by infamous Al-Qa'idah leader Abu Musab al-Zarqawi.
Al-Zarqawi has taken responsibility for several terrorist bombings in Iraq.
Big fish – Site, a private American organization which monitors Islamic extremists on the Internet, is also talking about a big fish. "Irhabi" is described as an infamous hacker who has been peerless in supplying Islamic extremists on the Internet with knowledge and expertise.
"He played an important role for Islamic extremists on the Internet. He enabled them to communicate, recruit and spread their radical ideology over the Internet. For example, Irhabi published horrific images from the war in Iraq and various weapons manuals on the Internet. He is also an expert in hacking and taught others how to spy on their enemies on the Internet without being detected," the head of Site, Rita Katz, tells Ritzaus [Danish news agency].
The British prosecuting authorities are now preparing a case against Younis Tsouli/Irhabi 007. This covers conspiracy to kill and planning terrorist acts.
According to Newsweek the trial will begin next January and if the Arab James Bond is convicted it will be a long time before he is online again.

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http://www.slobodan-milosevic.org/news/dr041106.htm

DANISH TURK CHARGED WITH TERRORISM IN BOSNIA

BBC Monitoring International Reports - April 11, 2006 Tuesday
Source: Danmarks Radio website, Copenhagen, in Danish 1908 gmt 11 Apr 06
Copyright 2006 Financial Times Information
Copyright 2006 BBC Monitoring/BBC Source: Financial Times Information Limited. Posted for Fair Use only.
Text of report by Danish radio website on 11 April; subheadings as published:

The prosecuting authorities in Bosnia have decided to charge a Danish Turk, a Swede and a Bosnian with terrorism offences. Two others who were accused in the case have been charged with illegal possession of weapons and the possession of dangerous materials.
The court has to decide within a week whether the charges are sufficient for a court case. Court time will then be allocated to the case. If the three terror suspects are found guilty they risk between one and 15 years' imprisonment.
Terrorist attacks in Europe – The investigations in Bosnia have been underway for almost half a year since Danish Turk CA and Swede MB were arrested and imprisoned in Sarajevo on 19 October.
They are suspected of planning a terrorist attack at an unspecified location in Europe. The Bosnian police found 20 kilograms of explosive, body belts for suicide attacks and something resembling a farewell video in association with the arrests.
According to a source in the prosecuting authorities in Sarajevo no further terrorism charges are being prepared but investigations are continuing.
Evidence from Denmark – During the trial the prosecuting authorities will probably use evidence from Denmark. Deputy Chief Constable Finn Ravnborg and Detective-Inspector Sten Skovgaard of the Glostrup Police, who are investigating the Danish part of the case, were in Sarajevo in December, where they met the Bosnian prosecuting authorities to exchange information and evidence.
The Swede's defence solicitor, Idris Kamenica, does not believe the prosecuting authorities have sufficient evidence to convict his client. However, he has not yet seen the prosecuting authorities' material.

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TERRORISMO: BOSNIA, INDAGATI UN TURCO E UNO SVEDESE

(ANSA) - SARAJEVO, 4 NOV - La procura bosniaca ha aperto un'inchiesta per reati di terrorismo e detenzione illegale di armi ed esplosivi a carico di due cittadini stranieri, arrestati in Bosnia il 19 ottobre e in stato di fermo. Lo ha reso noto la procura, riferisce l'agenzia di stampa Fena. Si tratta di Mirsad Bektasevic, cittadino svedese originario della Serbia/Montenegro e del turco Abdulkadir Cesur. L'inchiesta, ha reso noto la procura, viene condotta da un appositamente costituito team di magistrati e si sviluppa positivamente, ma per la delicatezza del caso non e' possibile rivelare per ora altri dettagli. Secondo la stampa, i due sono stati arrestati su segnalazione dei servizi di sicurezza svedesi e turchi, perche' progettavano un attentato suicida contro un'ambasciata, britannica o Usa, a Sarajevo. Insieme a loro era stato fermato anche un bosniaco, poi rilasciato perche' avrebbe solo affittato un appartamento a uno dei due arrestati. Nella casa affittata dal giovane svedese, sempre secondo la stampa, sono stati rinvenuti armi, esplosivi di diverso tipo, munizioni e una cintura da adoperare per farsi esplodere. Sono seguiti sei arresti in Danimarca, in base alle informazioni delle autorita' bosniache. (ANSA). COR
04/11/2005 18:18

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TERRORISMO: BOSNIA, ARRESTATI SVEDESE, TURCO E BOSNIACO

(ANSA) - SARAJEVO, 21 OTT - La polizia di Sarajevo ha reso noto di aver arrestato ieri tre persone, un cittadino svedese, uno turco e un bosniaco, sospettati di aver preparato un attacco terroristico in Bosnia. Per il momento, ha detto il portavoce della polizia Robert Cvrtak, non e' possibile rendere noti altri dettagli nell'interesse delle indagini. Sono state perquisite anche due case nell'area di Sarajevo nelle quali sono state trovate armi, esplosivi e altro materiale militare. Secondo la stampa locale, uno dei tre arrestati e' un diciottenne, gia' 'tenuto d'occhio' in diversi paesi europei, Germania, Svezia, Francia, e che si preparava a compiere un attentato suicida contro l'ambasciata di un paese dell'Unione europea a Sarajevo. Proprio a casa sua sarebbero state trovate armi ed esplosivo. (ANSA) COR
21/10/2005 12:31




Deportati, liberatori e falce e martello fuori da Auschwitz. Lo scempio è compiuto!

Nel  70° anniversario della liberazione di Auschwitz da parte dell’Armata Rossa, il memoriale italiano che ricorda tutti i deportati italiani, l’antifascismo, la resistenza e i liberatori, è stato rimosso dal blocco 21 di Auschwitz per motivi revisionisti e negazionisti e forse sarà ricollocato accanto all’Ipercoop di Firenze.  

Vergogna ai responsabili di questa offesa.
Il 27 gennaio 2016, Giorno della Memoria, tutti con l’Armata Rossa. 

Gherush92 Committee for Human Rights 

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Per questo scempio si ringraziano, in ordine di non-apparizione:
Le istituzioni della Repubblica Italiana
Gli Istituti di Storia della Resistenza e dell'Età Contemporanea
Elie Wiesel
I giornalisti del TG1, TG2, TG3 e di tutti i quotidiani
Vittorio Sgarbi
I partiti "democratici"
Gianni Pittella e il suo padrino Martin Schulz

Sulla campagna contro lo smantellamento del Memoriale Italiano di Auschwitz si veda: