Informazione


Medjugorje, Prebilovci, Šurmanci


Dalla pagina dedicata sul nostro sito: https://www.cnj.it/documentazione/varie_storia/prebilovci.htm

1) Michael E. Jones: IL FANTASMA DI ŠURMANCI: REGINA DELLA PACE, PULIZIA ETNICA, VITE DISTRUTTE
2) Giancarlo Bocchi: MEDJUGORJE, LA FABBRICA DELLE APPARIZIONI


Vedi anche:

• Link e documenti utili
• James Martinez: LA REGINA DEI PROFITTI (2000) 
• INTERVISTA a E. Michael Jones, autore di due libri sulle apparizioni della Madonna a Međugorje (marzo 2008)
• News. Medjugorje, il Papa sui veggenti: «Questa non è identità cristiana» ...


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IL FANTASMA DI ŠURMANCI: REGINA DELLA PACE, PULIZIA ETNICA, VITE DISTRUTTE

di Michael E. Jones (estratti – Testo completo, in lingua inglese: The Ghost of Šurmanci: Queen of Peace, Ethnic Cleansing, Ruined Lives)


Durante la primavera e l'estate del 1941, gli ustascia crearono un fugace ma feroce stato croato indipendente (NDH). Gli ustascia del Međugorje esplorarono la zona geologica, traendo nota della maggiore foiba, la più utile per il loro futuro scopo. Poi, nel giugno 1941, circa due mesi dopo la creazione della NDH, ustascia armati si presentarono nel villaggio a prevalenza serba di Prebilovci, sulla sponda est della Neretva, ed in altre enclavi serbe, annunciando ai paesani che verranno tutti deportati a Belgrado. Ai serbi venne detto che verranno riunificati alla loro patria serba. La corsa del treno fu molto più breve del previsto, almeno di quanto pensassero i passeggeri serbi, ai cui venne ordinato di scendere al paese Šurmanci, sulla sponda ovest della Neretva, marciando oltre ai colli per non essere mai più rivisti.

Circa tre mesi più tardi, il predecessore del Vescovo Zanić, Alojsije Mišić, ordinario di Mostar, scrisse al cardinale Stepinac, riferendogli di inquietanti resoconti di atrocità commesse contro i serbi nella sua diocesi. Uomini catturati come animali - scrisse Mišić - massacrati, uccisi; uomini lanciati dai precipizi ... da Mostar e Čapljina un treno con sei carrozze piene di madri, giovani ragazze e bambini ... fino a Šurmanci ... condotti su per la montagna e ... gettati vivi dai precipizi ... A ... Mostar stesso vennero trovati a centinaia, portati in vagoni fuori città e abbattuti come animali.

Circa 600 serbi, incluso preti, donne e bambini, furono gettati nella foiba sopra Šurmanci e poi, dopo avervi gettato granate, le canaglie ustascia li seppellirono, molto probabilmente vivi. Paris riportò la lista dei responsabili, una lista che include nomi come Ostojić e Ivanković, nomi comuni nell'area - nomi, infatti, di persone che ancora oggi vivono a Međugorje. Brian Hall si chiede nel suo libro sullo smembramento della Jugoslavia se l'Ostojić con cui stava a Međugorje era l'Ostojić accusato dell'atrocità di Šurmanci.

Paris sostenne che due preti presero parte al massacro di Šurmanci. Marko Zovko era un prete, ma non un francescano come il più conosciuto Jozo Zovko, l'uomo che, per molti versi, creò le apparizioni di Međugorje. Marko Zovko era il segretario del vescovo Ćule, il successore di Mišić. Imparai ciò dall'attuale vescovo di Mostar, Ratko Perić, che fa risalire la citazione di Paris al libro di Viktor Novak, Magnum Crimen.

La situazione religiosa è complicata ulteriormente dal fatto che la Chiesa Cattolica dell'Erzegovina è divisa in due fazioni, una fedele al vescovo di Mostar, e l'altra ai francescani, in aperta ribellione sia contro l'ordinario locale sia contro l'ordine francescano generale di Roma dal 1976, quando si rifiutarono di consegnare un numero di parrocchie da loro amministrate, alla giurisdizione del vescovo di Mostar. 

Come i suoi predecessori Mišić e Zanić, il vescovo Perić ha dovuto fare i conti con i rabbiosi nazionalisti francescani erzegovesi, la forza motrice dietro alle apparizioni di Međugorje e la collaborazione con le atrocità degli ustascia durante la II Guerra Mondiale. Nel gennaio del 1997, Perić ha dato un'intervista a Yves Chiron nella rivista francese Present, dove ammette che Međugorje è afflitta da disordini ecclesiastici, come francescani esercitanti funzioni ministeriali senza missione canonica; comunità religiose fondate senza permesso, edifici eretti senza l'assenso ecclesiale, e la continua organizzazione di pellegrinaggi laddove è stato determinato non ci fossero apparizioni. "Međugorje - concluse Perić - non promuove la pace e l'unità ma crea confusione e divisione, e non semplicemente nella sua diocesi" (Present, 25 gennaio 1997).

Perić ha sperimentato di prima mano quanto può essere bellicosa la "Regina della Pace" e i suoi sostenitori. Nell'aprile del 1995 il vescovo fu attaccato da una banda nella sua cancelleria, e la sua croce al petto strappata. E' stato poi picchiato, forzato in un'automobile appostata e portato in una cappella non autorizzata gestita dai francescani di Međugorje, e lì tenuto in ostaggio per 10 ore. E' stato solo quando il sindaco di Mostar si presentò con le truppe dell'ONU che il vescovo è stato rilasciato.

Ciò che colpisce ancor più della vicinanza spaziale tra le atrocità e le apparizioni, è l'inquietante coincidenza delle date. Sembra che tutti i maggior eventi della storia balcanica avvengano di giugno. La battaglia di Kosovo Polje si svolse il 28 giugno 1389. L'assassinio dell'Arciduca Ferdinando a Sarajevo il 28 giugno 1914, una specie di strana commemorazione simbolica della battaglia di Kosovo Polje. I croati proclamarono l'indipendenza il 25 giugno 1991, che corrispose al decimo anniversario delle apparizioni di Međugorje, le quali occorsero al quarantesimo anniversario del massacro di Šurmanci.



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Medjugorie, la fabbrica delle apparizioni

di Giancarlo Bocchi – 26 giu 2015
fonte: pagina fb di Giancarlo Bocchi; una versione ridotta del testo è stata pubblicata sabato 27 giugno 2015 sul Manifesto

Altro che miracoli. Estremismo cattolico guerresco e un giro d’affari da 3 miliardi di euro. Il ruolo dei «francescani con il Rolex» e lo spettro delle pulizie etnico-religiose dietro il business delle apparizioni in Erzegovina. Che ora papa Bergoglio si prepara a smontare

Alla fine della guerra, nel dicembre del 1995, la Bosnia era distrutta, senza più attività produttive, con strade e infrastrutture in rovina e gran parte della popolazione senza lavoro.
Una sola attività aveva ripreso utili a ritmi vertiginosi: la “fabbrica di miracoli e apparizioni” della Madonna di Medjugorje, che divenne in breve tempo una specie di miniera d’oro.
Lunghe file di pullman provenienti da tutta Europa intasavano le strade malandate della Croazia e della Bosnia. Frotte di fedeli accorrevano nel paesetto dell’Erzegovina davanti a una chiesa color tortora, stretta tra due aguzzi campanili che se nelle intenzioni avevano voluto sfidare la levità dei minareti, riuscivano solo a ricordare il disegno di un bambino.
Dopo il sanguinoso conflitto che aveva provocato 100 mila morti, fatto tremare i governi europei e aperto una ferita planetaria e non più rimarginabile tra i credenti di diverse religioni, migliaia di cattolici, soprattutto stranieri, si accalcavano a Medjugorje per incontrare i veggenti e invocare l’apparizione della Gospa (la Madonna) che proprio in quei luoghi dilaniati dal feroce nazionalismo croato cattolico era incredibilmente chiamata “la Regina della pace” e si manifestava, secondo i veggenti, a orari fissi.

Nel 1995 alcuni dei sei veggenti originari, di prima della guerra, avevano defezionato, si erano trasferiti altrove, allontanandosi dai discussi francescani croato-bosniaci che fin dal 1981 amministravano la fabbrica delle apparizioni.
Con la guerra fratricida etnico-religiosa, erano resuscitati anche i fantasmi di un angoscioso passato, che aveva visto per protagonisti proprio i francescani di Bosnia e Croazia, l’Ordine che gestiva il tempio di Medjugorje.
Temprati e induriti da una guerra che durava da centinaia di anni, prima contro l’avanzare della chiesa ortodossa e poi contro l’impero ottomano e il diffondersi della religione musulmana, quei francescani avevano visto nella seconda guerra mondiale l’occasione per sterminare i nemici religiosi.
Si erano subito schierati con il dittatore ustascia Ante Pavelić, alleato di fascisti e nazisti, e avevano partecipato alla “pulizia etnico-religiosa”, alle conversioni forzate, alle deportazioni, alle stragi ordinate dagli ustascia e perfino al genocidio nel campo di sterminio di Jasenovac dove furono eliminati almeno 600 mila jugoslavi, serbi, ebrei, rom e dissidenti di altre etnie.
A Jasenovac il comandante delle squadre della morte era un frate francescano, Miroslav Filipović, detto “il satana nero”, che, condannato a morte alla fine della guerra per i crimini commessi, chiese di vestire per l’ultima volta il saio prima di essere fucilato.
Neanche altri esponenti del clero cattolico croato e bosniaco si opposero alle violenze degli ustascia, nell’inanità complice del Vaticano che riceveva a Roma addirittura delegazioni di ustascia e criminali di guerra. Lo storico Marco Aurelio Rivelli scrisse: “Quello attuato dalla dittatura di Pavelić, di forte impronta cattolica e sostenuta apertamente da tutte le strutture del cattolicesimo croato (episcopato, clero, ordini religiosi, francescani in particolare), fu un genocidio dalle esclusive connotazioni religiose, e i più colpiti furono gli “scismatici” serbo-ortodossi”.
Proprio il Vaticano, con la collaborazione dei francescani e del clero croato, alla fine della seconda guerra mondiale organizzò la “ratline”, chiamata come la corda, la “grisella”, che collegata alle sartie, permette ai topi la salita fino alla cima degli alberi dei velieri, l’ultimo rifugio durante un naufragio prima di essere inghiottiti dalle acque. Attraverso la “ratline” sfuggirono alla giustizia criminali nazisti e fascisti, con in testa Ante Pavelić. Riuscirono, passando per l’Italia, a sfuggire ai tribunali di guerra nascondendosi in Sud America, Stati Uniti e Medio Oriente. Il centro operativo della via di fuga, della “grisella”, era un monastero croato, San Girolamo degli Illiri, a poca distanza dai palazzi Vaticani, sulla sponda opposta del Tevere.
Anche il massimo esponente del clero cattolico croato, Alojzije Stepinac, restò in silenzio davanti all’orrore e anzi assicurò ad Ante Pavelić “sincera e leale collaborazione” tanto da meritare l’appellativo di “arcivescovo del genocidio”.
Malgrado i legami con Pavelić, il silenzio complice sui crimini commessi dal suo clero e tutte le ombre sul suo operato, Papa Wojtyła beatificò Alojzije Stepinac, considerandolo una vittima del governo comunista jugoslavo anziché un sostenitore dei fascisti ustascia e campione dell’estremismo religioso.

Ma lo sguardo obliquo del papa aveva forse anche un’altra spiegazione. La beatificazione di Alojzije Stepinac aveva permesso al Vaticano di rientrare in possesso, grazie a un accordo ratificato con l’allora presidente croato Franjo Tuđman, in occasione della visita del papa, delle proprietà immobiliari che il regime comunista aveva sequestrato alla chiesa nel dopoguerra, a causa della complicità criminale con gli ustascia.
Il monastero francescano di Siroki Brijeg, roccaforte ideologico-religioso del movimento ustascia e fulcro spirituale dei cattolici d’Erzegovina durante la seconda guerra mondiale, fu chiuso dal governo jugoslavo, ma intorno rimase per anni il focolaio dell’estremismo nazionalista cattolico.
Per questo, senza conoscere la storia dei francescani di Croazia, di Bosnia e l’intreccio di fanatismo religioso e interessi economici e politici che ne è originato, è difficile discernere anche solo nei contorni la costruzione di un fenomeno come la fabbrica delle apparizioni di Medjugorje.
In Erzegovina la comunità cattolica, circa 400 mila persone, era la più compatta e numerosa dell’intera nazione e diversamente dagli altri cattolici di Bosnia, che seguivano il clero Vaticano, era devotissima ai nazionalisti, secessionisti ed estremisti francescani.
Questi frati già alla metà degli anni ’70 entrarono in conflitto con i vertici della Chiesa per una questione di proprietà immobiliari legate a diverse parrocchie nella loro giurisdizione. Prevalsero e si tennero le parrocchie, ma il contrasto con la diocesi di Mostar (che ha la giurisdizione su Medjugorje) divenne insanabile.
A quel momento risalgono i primi segni del progetto delle apparizioni, come il ritrovamento di rosari di fabbricazione sconosciuta in vari luoghi intorno a Medjugorje. Benché più banali che misteriosi, i francescani li definirono segni premonitori o miracolosi.

Si arrivò così al 24 giugno 1981. Sei ragazzi dissero aver visto “una figura femminile luminosa sul sentiero che costeggia il Podbrdo”. Durante altre apparizioni i sei giovani veggenti, Ivanka Ivanković, Mirjana Dragićević, Vicka Ivanković, Ivan Dragićević, Jakov Čolo e Marija Pavlović, descrissero meglio la figura della presunta “Madonna”: “Tra i 18 e i 20 anni, snella, alta circa 165 cm. Il suo viso è lungo e ovale con capelli neri. Gli occhi sono azzurri con ciglia delicate, il naso è piccolo e grazioso e le guance sono rosee. Ha belle labbra rosse e sottili e il suo sorriso è di una gentilezza indescrivibile. Ha una semplice veste azzurro-grigia che scende liberamente verso il basso mescolandosi con la piccola nuvola biancastra su cui sta in piedi. Il suo velo è bianco e copre la testa e le spalle e scende anch’esso fino alla piccola nuvola. Ha una corona con 12 stelle dorate sulla testa”. Non serve certo un semiologo per capire che quella descrizione risente dell’iconografia classica e popolare tramandata da quadri e santini, ma date l’eco mondiale del fenomeno e la netta presa di distanza del Vaticano occorreva il suffragio scientifico.
Già alla metà degli anni ’80 alcuni medici e studiosi cattolici si impegnarono in sommarie quanto modeste indagini, nel tentativo di avvalorare l’intensa attività mariana di Medjugorje, difforme da quella che si era manifestata in luoghi di culto accreditati dal Vaticano come Fatima, Lourdes, Tepeyac.
Pressato da alcuni colleghi cattolici, iniziò gli studi e le ricerche sulle apparizioni di Medjugorje anche il professor Marco Margnelli, neurofisiologo, già braccio destro di Giulio Maccacaro alla rivista “Sapere”, ricercatore del CNR di Milano, del Karl Ludwig Institut fur Physiologie dell’Università di Lipsia e dell’Università del North Carolina.
Marco Margnelli era uno dei massimo esperti mondiali di stati della coscienza e di estasi e aveva studiato in profondità le relazione tra fenomeni mistico-religiosi e droghe naturali e sintetiche. Dopo la sua prima visita a Medjugorje, tornò in Italia con molti dubbi sui “francescani con il rolex” che gestivano l’attività proficua dei veggenti.
Il francescano Jozo Zovko, parroco di Medjugorje, era già stato arrestato più di una volta per “attentato alla sicurezza e all’unità dello Stato jugoslavo”. Mentre il frate più vicino ai veggenti, il loro “direttore spirituale”, padre Tomislav Vlašić, l’estensore materiale, per loro conto di quella che venne definita una lettera scritta dalla Madonna al Papa (poi smentita dai veggenti) era stato accusato dal vescovo di Mostar Zanic di essere l’ideatore delle apparizioni, ma aveva combinato ben di peggio. Era stato accusato di aver “divulgazione di dubbie dottrine, manipolazione delle coscienze, sospetto misticismo, disobbedienza ad ordini legittimamente impartiti ed addebiti contra sextum” (ossia contro il sesto comandamento, che riguarda i peccati di natura sessuale, ovvero per aver messo incita una suora) ed era stato ridotto dal papa allo stato laicale con l’interdizione perpetua ad essere anche solo ospitato in un convento francescano.
Malgrado questo contorno ambiguo e opaco, Marco Margnelli era incuriosito da alcuni aspetti scientifici ancora da indagare, nati dallo studio dei veggenti. Disse in una intervista: ”Mi irritava l’atteggiamento degli “esperti” dai quali i teologi orecchiavano le loro trattazioni, degli psichiatri o degli psicoanalisti che pontificavano paragoni e confronti tra deliri patologici ed esperienze estatiche, tra menti sane e menti malate senza mai avere visto un estatico da vicino o aver studiato una vera estasi.” Margnelli invece aveva studiato in India degli yogi che sapevano cambiare il loro stato fisiologico, far aumentare i battiti del cuore, aumentare la temperatura del corpo e controllare il dolore. Uno di loro gli aveva detto: “Si può arrivare a controllare tutto, corpo e mente ma che i veri prodigi si hanno quando si acquista il controllo del cervello.” Da neurofisiologo Margnelli voleva spiegare scientificamente “i prodigi” e non certo avventurarsi nella spiegazione di miracoli veri o presunti. Secondo lo scienziato “l’estasi era uno stato di coscienza”. Nulla che avesse una relazione con il soprannaturale. Era questo che cercava di dimostrare scientificamente .
Nella seconda metà degli anni ‘80, Marco Margnelli ritornò a Medjugorje insieme ad una numerosa equipe. Vennero svolte diverse indagini scientifiche e apparve chiaro agli studiosi che i veggenti erano in uno stato alterato di coscienza. Scrisse Margnelli: ”Una condizione che si può ottenere anche attraverso tecniche di meditazione, come l’auto-training, ma non in modo così profondo…” Margnelli lasciava aperta un porta per future indagini, ma le sue dichiarazioni vennero usate e distorte per consolidare la presunta veridicità delle apparizioni. Venne anche diffusa la falsa notizia “che il noto scienziato ateo Marco Margnelli si era convertito al cattolicesimo dopo aver conosciuto i veggenti”. In privato Margnelli ci rise sopra: “Questi sono matti”. Disse senza perdere altro tempo a smentire quegli oscuri manipolatori della verità. In quel periodo fu anche avvicinato da un misterioso personaggio, che sembrava più un agente segreto, anche se era un monsignore, responsabile di una delle strutture più misteriose del Vaticano specializzata nell’indagare e catalogare i fenomeni paranormali.
La questione di “Medjugorje” si era trasformata ormai in una guerra a sfondo politico oltre che religioso tra istituzioni cattoliche. Più aumentava il numero di pellegrini cattolici a Medjugorje (nove milioni registrati solo nel 1987), più si acuivano i contrasti tra la Chiesa e l’Ordine francescano. Per non consegnare alla Chiesa le parrocchie contese fin dagli anni ‘70, i francescani arrivarono perfino a murare l’ingresso delle chiese e addirittura sequestrarono per 15 giorni il loro più strenuo oppositore, il vescovo di Mostar.
Poco prima del definito disfacimento della Repubblica jugoslava, il 10 aprile 1991, i vescovi del paese, riuniti a Zara, emisero una dichiarazione congiunta su Medjugorje: “Sulla base di quanto finora si è potuto investigare, non si può affermare che abbiamo a che fare con apparizioni e rivelazioni soprannaturali”.
Anche frate Jozo Zovko, l’altra anima nera dei veggenti, venne sospeso dalle funzioni pastorali.

Nel 1992, con lo scoppio della guerra di Bosnia si esaurirono i pellegrinaggi, ma gli echi di notizie di fatti miracolosi, sapientemente amministrate dai francescani di Medjugorje vennero propagate sui mezzi di comunicazione.
Diffusero perfino una foto di un missile piantato davanti al santuario con la notizia che la Madonna ne aveva mutato la traiettoria salvando chiesa e i fedeli. Il fotoreporter Claudio Olivato che in quel periodo passò da Medjugorje, si reso conto che si trattava di una bufala, anche perché il missile non aveva minimamente scalfito il selciato davanti alla chiesa.
I francescani di Croazia e Bosnia, come già era accaduto durante la seconda guerra mondiale, durante la guerra di Bosnia, smentendo la loro “Regina della pace”, furono la punta di diamante dell’estremismo cattolico guerresco. Con la copertura di alcune associazioni umanitarie, come “Il Pane di Sant’Antonio” e la “Caritas di Ghedi”, (da non confondere con la Caritas italiana) si misero ad aiutare la loro fazione secessionista.
Il responsabile di queste attività era un frate croato, Bozo Blazevic, che smistava gli aiuti umanitari, ma anche altro, dal centro logistico della Caritas francescana di Spalato, diretta da padre Leonar Orec. Riguardo le attività misteriose del frate il giornalista Luca Rastello scrisse: “Il 29 maggio del 1993 un piccolo convoglio di un gruppo di volontari bresciani viene contattato a Spalato da Spomenka Bobas e padre Orec. Poiché vanno in Bosnia centrale, i religiosi li pregano di consegnare quattro pacchi a Vitez: con questa scusa li forniscono di documenti con il marchio del pane di sant’Antonio, un po’ come se firmassero l’ignara spedizione dei bresciani… Poche ore dopo, appena transitati da Gornji Vakuf, i cinque bresciani vengono intercettati da una banda di irregolari bosniaci che sequestra il carico e i documenti e uccide a freddo Fabio Moreni insieme a Sergio Lana e Guido Puletti.” Non si seppe mai cosa contenessero i 4 pacchi del frate Bozo Blazevic, ma il 22 dicembre 1993, a bloccare un altro convoglio umanitario fu il comandante Goran Cisic. Sotto i generi alimentari chiamati “aiuto umanitario” saltarono fuori lanciarazzi, mortai e altro. Due giornalisti italiani, Ettore Mo ed Eros Bicic, involontariamente testimoni dei traffici in corso vennero arrestati per qualche ora mentre il frate Blazevic, amico personale del presidente Tudjman, ripartì senza problemi.

Alla fine della guerra, le numerose e segrete attività dei francescani di supporto alle fazioni estremiste e secessioniste cattoliche, vennero ignorate dai tribunali locali, ma anche da quelli internazionali, e caddero nell’oblio.
Il grande business delle apparizione e dei miracoli di Medjugorje riprese a pieno ritmo senza più ostacoli.
Nel 1996 Tarcisio Bertone, allora segretario della Congregazione per la dottrina della Fede, in una lettera concluse che «i pellegrinaggi ufficiali a Medjugorje, intesa come luogo di autentiche apparizioni della Vergine, non possono essere organizzati né a livello parrocchiale, né diocesano». Ma lasciò aperte le porte al proficuo turismo religioso: “Ai pellegrinaggi a Medjugorje che si svolgono in maniera privata
Qualcuno ha stimato stimato che dal 1981 al 2013, “l’ammontare totale delle spese turistiche prodotte a Medjugorje si sia aggirato intorno ai 2,85 miliardi di euro. Inoltre, valutando in circa 23 milioni i pellegrini arrivati nel paesino dell’Erzegovina negli anni presi in considerazione, le spese di viaggio ammonterebbero a quasi 8,5 miliardi di euro, per un giro d’affari mondiale di circa 11 miliardi di euro”. Non sappiamo se queste cifre sia esatte al centesimo, ma sono molto verosimili.
Alla fine degli anni ‘90, chi scrive incontrò il Prof. Marco Margnelli con l’idea di fare un documentario su Medjugorje. Lo conoscevo fin dagli anni ‘70 e ne apprezzavo le sue capacità e la sua rettitudine. L’incontrò durò parecchie ore. Margnelli nel corso degli anni aveva approfondito alcuni studi sull’ipnosi e sugli stati coscienza e aveva un’idea precisa sui veggenti. Ma il progetto documentaristico venne rimandato a causa dello scoppiò del conflitto in Kosovo e qualche tempo dopo il prof. Margnelli si ammalò gravemente. L’idea documentaristica venne abbandonata definitivamente ma ho ancora il nastro con quello che mi disse e ricordo la risposta che lo scienziato diede alla mia domanda se quello che i veggenti vedevano fosse un fatto sovrannaturale.
Nessun miracolo… Si tratta di autosuggestione”. Rispose Margnelli in modo netto.

A distanza di quindici anni dalle ultime ricerche del prof. Marco Margnelli, tra poco la parola su Medjugorje passerà a Papa Bergoglio. Anche se in questi giorni è stata diffusa ad arte la notizia che “si rischia lo scisma (tra i croati) se sconfesserà le apparizioni della Madonna”, dopo aver fatto pulizia dei preti pedofili, dei monsignori affaristi, dello Ior e della finanza vaticana, quale sarà l’orientamento del Papa, che ha preso il nome di Francesco, con i francescani di Bosnia e la loro fabbrica delle apparizioni?
La Madonna è madre! E ama tutti noi. Ma non è un capo ufficio della posta, per inviare messaggi tutti i giorni”. Ha detto qualche settimana fa riguardo le visioni quotidiane dei veggenti di Medjugorje.





Il fascismo della Chiesa uniate

1) Molotov nelle chiese ortodosse di Kiev (8 dicembre 2014)
2) Firenze, colletta nella chiesa ucraina per comprare equipaggiamenti militari (15 gennaio 2015)
3) In Ucraina proclamata una crociata contro l'ortodossia (4 marzo 2015)
4) Metropolita Antonij: Sugli scandali che circondano la Chiesa non si può costruire una politica decente dello Stato (19 ottobre 2015)
5) Ucraina: "Dio non ascolta chi prega in russo" (2 dicembre 2015)


Si vedano anche:

Agosto 2014: a Bologna il sacerdote promuove la raccolta fondi per l'equipaggiamento dell'esercito di Kiev
https://www.cnj.it/documentazione/ucraina/bologna190814.jpg

Settembre 2014: al funerale di un caduto dell'organizzazione filo nazista "Pravy Sektor" il prete della Chiesa greco-cattolica Nikolaj Zaliznjak ha urlato: «Per ognuno dei nostri decine di loro cadranno!» 
Gennaio 2015: Firenze, colletta nella chiesa ucraina per comprare equipaggiamenti militari

Vatican clergy and Ukrainian nationalism (I) (By Andrew KORYBKO (USA), Wed, Apr 22, 2015)
http://orientalreview.org/2015/04/22/vatican-clergy-and-ukrainian-nationalism-i/
Vatican clergy and Ukrainian nationalism (II) (By Andrew KORYBKO (USA), Thu, Apr 23, 2015)
http://orientalreview.org/2015/04/23/vatican-clergy-and-ukrainian-nationalism-ii/
Papa Francesco è l’agente del nazionalismo ucraino più influente al mondo (di Andrew Korybko, 22-23 aprile 2015)
http://sakeritalia.it/europa/ucraina/papa-francesco-e-lagente-del-nazionalismo-ucraino-piu-influente-al-mondo/

Quelle convergenze tra il Papa e Putin (di Gianni Valente - 9/6/2015)
La seconda visita del presidente al Pontefice: la Chiesa cattolica non si allinea al «cordone sanitario» anti-russo dei circoli occidentali. Lo zar pronto a chiarire a Francesco la posizione russa...
http://vaticaninsider.lastampa.it/vaticano/dettaglio-articolo/articolo/francesco-francisco-francis-putin-41650/ 


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Molotov nelle chiese ortodosse di Kiev

Scritto da Ukraina.ru - 8 dicembre 2014

Nella notte del 2 dicembre, persone non identificate hanno incendiato la Chiesa ortodossa ucraina nel complesso memoriale Babi Yar "Una bottiglia Molotov è stata gettata all’interno attraverso la grata della finestra. Il fuoco ha attaccato le pareti, la finestra e alcune parti infiammabili della Chiesa". Ha dichiarato Padre Serhiy Temnik. Egli ha detto che il guardiano della chiesa ha visto le fiamme e si è messo subito a spegnere il fuoco, salvando le reliquie che erano sull’altare. Padre Serhiy ha aggiunto che la chiesa era stata minacciata molte volte negli ultimi tempi e anche recentemente, ma questa è stata la prima volta che la chiesa è stata attaccata.
Questo non è il primo attacco ad una chiesa ortodossa in Ucraina. Nel mese di ottobre, un gruppo di 50 persone accompagnati dalla polizia ha sequestrato la Chiesa ortodossa di Intercessione della Vergine Santa in Turka, una città nella regione di Lviv. Nel mese di agosto, facinorosi ucraini avevano interrotto un servizio nella Chiesa dell'Intercessione, nel villaggio di Chervona Motovylivka e hanno intimato a Padre Volodymyr Navozenko di "lasciare l'Ucraina in una settimana", o lo avrebbero ucciso.

Da Ukraina.ru  - Traduzione di Enrico V. per CISNU/CIVG


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Firenze, colletta nella chiesa ucraina per comprare equipaggiamenti militari

Raccolta tra i fedeli per donare una termocamera. Il sacerdote dei Santi Simone e Giuda: permettono di identificare i nemici di notte vogliamo salvare delle vite. Ma è polemica sul web: sono delle armi e vengono usate per uccidere, state finanziando una guerra. L'Arcidiocesi si dissocia: "Non siamo stati informati"

di GERARDO ADINOLFI
15 gennaio 2015

Sul volantino giallo, sopra la scritta: "Il popolo deve essere unito per non far morire l’Ucraina" c’è un’immagine ripresa da un videogioco di guerra, Battlefield. Un soldato, sguardo fiero e arrabbiato con metà corpo avvolto dalle fiamme. E dietro un carro armato che avanza verso il nemico. Un’immagine che contrasta con il luogo dove viene e sarà diffuso: la chiesa dei Santi Simone e Giuda a Firenze e la chiesa di San Francesco, a Prato, luoghi di ritrovo della comunità ucraina delle due città toscane. Il volantino è pubblicato anche sulla pagina Facebook della “Chiesa Greco- Cattolica Ucraina in Firenze”. 
Sul foglio c’è un annuncio che invita la comunità a lasciare un’offerta libera per «comprare - si legge - una buona imager Pulsar Quantum HD50S per un gruppo di soldati ucraini che adesso combattono in prima linea del fronte sul territorio di Donetsk e Lugansk in Ucraina». La Pulsar è una termocamera, uno strumento capace di individuare persone in condizioni di buio, fumo o nebbia attraverso il rilevamento del calore. Costa sui 3.100 euro ed è acquistabile anche su Internet. Una tecnologia comune che, però, in contesti di guerra può diventare un‘arma capace di scovare il “nemico” di notte. A confermarlo anche un video, pubblicato sul sito uahelp.center, (Centro di aiuto per l’Ucraina), in cui si spiegano le caratteristiche della termocamera. "Nel buio assoluto imager può aiutare a fare questo - si legge sopra il link del video che mostra l’uccisione di quattro soldati scovati tramite immagini termiche - scusate la crudeltà, siamo in guerra". 
Sul volantino si spiega che la termocamera «può salvare la vita dei ragazzi ucraini". "Noi vogliamo che loro tornino vivi - si legge - lì dove ce l’hanno, i soldati possono dormire tranquilli sapendo che la pattuglia notturna segnalerà i cambiamenti delle temperature nella zona circostante, sia l’uomo che le macchine in movimento. E quindi permette di agire con successo sia nell’attacco, sia per la difesa".

Per partecipare alla colletta il volantino indica alcuni numeri telefonici, oppure un codice Iban dove inviare i fondi intestato alla Chiesa rettoria dei Santi Simone e Giuda. Un annuncio che, lanciato dalla pagina della chiesa, ha creato polemiche in rete. «Ritirate subito questa colletta - scrive un italiano - come Chiesa state finanziando la guerra», si legge in un post poi non più visibile sulla pagina. Altri commenti, pro e contro, sono scritti in ucraino o in russo. La Chiesa dei Santi Simone e Giuda fa parte dell’Arcidiocesi di Firenze e ha come sacerdote padre Volodymir Voloshyn: "Non ho messo un annuncio per comprare le armi - spiega il sacerdote che spiega di non aver avvertito la Curia dell’iniziativa - la termocamera viene usata anche per altri scopi. In Italia forse tutto è visto come un’arma ma in Ucraina bisogna salvare la gente, bisogna aiutarla". La comunità, negli scorsi mesi, ha organizzato marce e raccolto medicine, abiti caldi, cibo da inviare in Ucraina. "Non è un’arma - ribadisce padre Voloshyn - serve per difendere i nostri soldati dagli attacchi notturni. Il nostro è un esercito che è stato completamente distrutto. Ci mancano apparecchi costosi". Una volta raccolti i fondi la termocamera andrà a un gruppo di volontari in Ucraina che la donerà ad un battaglione del fronte. "Non è un’iniziativa della Chiesa - spiega Yulia, uno dei numeri da chiamare sul volantino - ma di tutta la comunità. Anche se siamo all’estero non possiamo veder morire i nostri connazionali, se possiamo aiutarli li aiutiamo in tutti i modi che possiamo". Sul sito uahelp si legge: "Questione di vita o di morte, questa robetta vale come minimo 3 vite umane".

Dopo l'articolo pubblicato su Repubblica l'Arcidiocesi di Firenze si dissocia "L’Arcivescovo e i suoi collaboratori nel governo pastorale - si legge - segnalano di non essere stati messi al corrente e si dissociano dall’iniziativa che viene giudicata impropria per una realtà ecclesiale".


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In Ucraina proclamata una crociata contro l'ortodossia

4 marzo 2015

In Ucraina è in corso una vera e propria guerra religiosa. E’ in corso preordinato attivamente dal cattolicesimo. Bruciano le chiese ortodosse. I preti ortodossi cercano di i modi per trasferire la loro famiglia fuori dall’Ucraina occidentale verso altre regioni del paese.
Di questo ha riferito a Kiev l'attivista per i diritti umani, coordinatore del movimento «Madri dell'Ucraina» Galina Zaporozhzeva, commentando gli ultimi avvenimenti a Sumy.
Come saputo precedentemente, il 1° marzo, nella Settimana del trionfo dell'Ortodossia, all'ingresso della Cattedrale Spaso-Preobrazhenskij di Sumy, 20 persone in maschera e tuta militare con il logo del «Settore di Destra» hanno organizzato una nuova provocazione.
Fra loro c'era il «libertario» (del Partito fascista Svoboda “Libertà” ndt)Vladimir Ganzin, che è proprio durante la messa ha picchiato il custode della cattedrale. Quindi i «Destri» hanno bloccato l'ingresso e minacciato di violenza il Vescovo, clero e fedeli. È stato segnalato che una parte di aggressori erano sotto l'effetto di droghe. Tuttavia i fedeli hanno respinto i radicali lontano dal Vescovo e gli aggressori hanno dovuto ritirarsi.
Due settimane fa, il 12 febbraio, i nazionalisti hanno profanato le chiese delle regioni di Volynsk e Rivno: sfondato le porte della Cattedrale Voskresen’kaja della città di Kovel’ e della chiesa di San Giovanni Battista-Teologico è stata danneggiata la recinzione e rotti i vetri di una finestra. In precedenza, nella regione di Rivne vandali avevano profanato otto chiese e altre due sono state date alle fiamme a Kiev.
Ricordiamo che, nella notte del 27 gennaio 2015, aggressori hanno dato fuoco ad una delle chiese del Patriarcato di Mosca a Kiev, alla vigilia hanno tentato di bruciare l’edificio nazionale storico-commemorativo, la chiesa nella riserva naturale «Babi Jar». A Natale è stata ridotta in cenere la centennale chiesa di Leopoli.
Un enorme numero di chiese distrutte nella zona ATO. In particolare colpite con i «Grad». Dieci chiese nella Diocesi di Donezk durante i bombardamenti dell’artiglieria trasformate in rovine e più di 70 distrutte in parte. Galina Zaporozhzeva ha fatto notare come tutti i fatti di sangue e gli atti di vandalismo si svolgano in Ucraina in occasione delle feste ortodosse.
Lo confermano gli eventi dello scorso anno. A Natale e all’Epifania sono avvenuti scontri sul Kreschatkik a Kiev. La Domenica delle Palme ci sono stati disordini a Zaporozhe quando i manifestanti hanno circondato cinquemila radicali arrivati da Dnepropetrovsk. Alla vigilia di Pasqua hanno inondato le persone di farina e colpite con uova.
L’attivista dei diritti umani ha anche ricordato la tragedia della Casa dei Sindacati verificatasi il 2 maggio 2014, quando molti ortodossi si stavano recando al cimitero per commemorare i defunti. In quell’occasione tutta la polizia era presente ed i radicali, approfittando di questo, hanno organizzato nella Casa dei Sindacati la «Chatyn odessita».
«Tutto quello che accade in Ucraina è una crociata contro l’ortodossia. Si sono già rivolti a me preti dell’Ucraina occidentale che hanno chiesto di aiutarli a trasferire le loro famiglie in altre regioni. Ci sono attacchi non solo contro noi sacerdoti, ma contro le nostre mogli ed i nostri figli. Loro non possono andarsene perché è necessario il permesso del Patriarcato.
I media non fanno luce su questo, ma in Ucraina davvero è in corso una guerra religiosa in piena regola che mira a dividere il paese», riassume la Zaporozhzeva. Nel Patriarcato di Mosca credono anche che distruggendo le chiese ortodosse in Ucraina determinati circoli politici attuali di Kiev perseguano molteplici obiettivi politici e cerchino di dare all'opposizione della parte occidentale ed orientale del paese un carattere religioso.
«È molto triste che qualcuno stia cercando di attaccare le chiese forse perseguendo molteplici obiettivi politici. Anche durante le più terribili guerre le zone sacre, di solito sono rimaste indenni, le parti in guerra non le hanno toccate. Anche nei momenti più acuti delle lotte a Kiev la gente ha trovato rifugio nelle chiese. E gli appelli al sequestro di questo o quell’edificio di culto, grazie a Dio, non sono mai arrivati. Nessuno ha cercato di organizzare atti di vandalismo contro le chiese», così ha commentato gli atti di vandalismo il Presidente del Dipartimento Sinodale per la cooperazione fra chiesa e società del Patriarcato di Mosca, padre Vsevolod.
Ecco cosa disse in precedenza il Patriarca di Mosca e di tutta la Rus’ Kirill.
I «Pravoseki» non solo si fanno beffa delle icone e degli oggetti sacri, ma anche deridono crudelmente i servitori della Chiesa.
Così i nazionalisti hanno ucciso tre preti ortodossi e arrestato più di una dozzina di monaci. I ministri ortodossi sono costantemente sottoposti a torture, umiliazioni e vengono cacciati dai «sostenitori di Bandera». Pochi giorni fa armati del «Settore Destro» hanno occupato la chiesa del villaggio Butin della regione di Ternopil nell'ovest dell'Ucraina.
I radicali hanno rifiutato di far entrare i fedeli in chiesa, a causa di ciò i credenti non sono stati in grado di seguire la  liturgia mattutina. E quando il sacerdote russo è entrato in chiesa questa era già stata occupata da rappresentanti del patriarcato di Kyiv. E quando i nazionalisti ucraini hanno celebrato l'anniversario della fondazione dell'esercito ribelle ucraino, in Ucraina sono stati distribuiti volantini contenenti appelli alla distruzione del clero della chiesa Ucraina del Patriarcato di Mosca.
I fascisti fanno di tutto per sradicare la chiesa ortodossa in Ucraina e a riguardo della cosiddetta «pulizia» non viene intrapresa nessuna azione per fermare queste terribili azioni né da parte del governo, né da parte di semplici ucraini residenti. Ricordiamo che i «banderovci» negli anni 1941-1945 hanno organizzato un vero terrore contro l'Ortodossia in Ucraina. Avendo costruire la loro tanto ambita indipendente Ucraina con la loro chiesa indipendente, in cinque anni l’UPA ha ammazzato più di 900 preti ortodossi.


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Metropolita Antonij: Sugli scandali che circondano la Chiesa non si può costruire una politica decente dello Stato

Scritto da RIA Novosti Ucraina – 19 ottobre 2015


In Ucraina, la comunità è talmente affascinata dalla politica da non prestare attenzione quando invadono le cose sacre, quando si verificano attacchi e razzie nelle chiese e nei templi. La Chiesa Ortodossa Ucraina ha avuto 30 templi sequestrati in tutto il paese ha e le razzie spesso si spiegano con "sentimenti patriottici". Sul ruolo dei politici, di "Settore Destro" e dello Stato in questi processi, RIA Novosti Ucraina ha intervistato il responsabile amministrativo della Chiesa Ortodossa Ucraina, il metropolita Antonij di Borispol e Brovary.

Cosa pensa che motivi la gente a invadere i templi come aggressori, entrando così in conflitto aperto?

Gli uomini sono spesso manipolati. Ora, lo stato d'animo di molti è stato influenzato negativamente dalla televisione. Non tutti possono sopravvivere quando su base quasi quotidiana si riversano sulla Chiesa fiumi di menzogne ​​e falsità, che battono sempre sullo stesso punto. Che la Chiesa Ortodossa Ucraina (COU) è una "quinta colonna" di "traditori" che lavorano per l'FSB. È interessante notare che non è mai stata mostrata alcuna prova. Ne esce un'immagine ben fatta e un testo costruito in modo gesuitico. Nelle persone patriottiche, ripetere questa disinformazione comincia a provocare un'ondata di rifiuto, ma non verso gli autori di provocazioni contro la COU, bensì contro la nostra Chiesa. Di questi sentimenti pubblici si servono alcuni politici, soprattutto a livello di autorità locali, e i rappresentanti del patriarcato di Kiev. Abbiamo registrato un sacco di casi in cui i residenti di alcune località hanno deliberatamente contrastato la COU. A tal fine, in particolare, hanno usato metodi di campagna personale attiva e distribuzione di volantini con falsi "fatti" della nostra Chiesa. Come risultato, la gente è sospinta verso uno "pseudo-patriottismo." Bandendo la comunità della COU dal loro tempio, pensano di partecipare a una causa santa e di aiutare il loro stato. In realtà ne esce un quadro diverso – di ucraini che opprimono altri ucraini, creando gravi focolari aggiuntivi di destabilizzazione della situazione sociale nel paese. Alla luce di questo vorrei sottolineare l'enorme responsabilità delle forze che provocano tali confronti. Per aumentare il numero dei loro beni ecclesiastici, così come per ottenere preferenze politiche o altri vantaggi, stanno spingendo la società verso un abisso di odio e inimicizia. Questa posizione non può essere chiamata patriottica. Mina chiaramente i fondamenti della vita e dello sviluppo del nostro paese.

Pensa che la società ucraina sia ora divisa anche dall'intolleranza per motivi religiosi?

Questo è un problema. Le linee di frattura ora dividono anche le famiglie. Le faccio un esempio concreto. Recentemente, nel villaggio di Katerinovka nella regione di Ternopil, il "Settore Destro" e la polizia hanno picchiato fedeli disarmati della COU. Una delle donne ferite è stata intervistata dai media, e ha parlato di quest'incidente. Secondo le sue parole, ora non sa come vivere, ha paura, ha timore di tornare a casa. L'intervista ha provocato una forte reazione della figlia di questa donna, che ha contestato in modo aggressivo il fatto che sua madre aveva difeso la loro fede e la loro comunità dall'illegalità. Il risultato – una famiglia divisa, un legame tra madre e figlia strappato da un sequestro di una nostra chiesa. E ci sono molti di questi esempi. A causa delle avventure dei politici, dell'irresponsabilità di alcuni media, del desiderio di trarre profitto dalle proprietà altrui, ci sono gravi drammi familiari, e i fratelli, gli amici, i parenti diventano di ieri acerrimi nemici. Tutto questo è una bomba a orologeria per la stabilità della nostra società e del nostro stato.

Ha delle statistiche sulle chiese catturate fino a oggi? Continua un processo di sequestri? Quali sono le previsioni?

Fino ad oggi, alla COU sono state sequestrate più di 30 chiese. Le zone più problematiche sono Ternopil e Rivne. I sequestri avvengono direttamente o con la forza, con sostegno di radicali di "Settore Destro" e organizzazioni simili, o con svolgimento di "referendum" illegali. La loro essenza è semplice – votare per il passaggio del tempio dalla COU al patriarcato di Kiev, ma non tra i membri della comunità, bensì tra tutti gli abitanti del villaggio in cui si trova il tempio. Di conseguenza, votano atei, credenti di altre religioni o persone che si fanno vedere in una chiesa ortodossa, nella migliore delle ipotesi, una o due volte l'anno. Ci sono state occasioni in cui hanno fermato la gente per strada e hanno chiesto loro di mettere una firma nei posti giusti. O in cui hanno formato neonati che vivono nelle rispettive località. Vi è una flagrante violazione della legge. Siamo in attesa delle elezioni, ed è possibile che alcune forze politiche cercheranno di aumentare il loro rating con la partecipazione ai processi di sequestro dei nostri templi. Non possono mostrare al loro elettorato la prova dei propri successi in altri settori, quali l'economia. E per nascondere il loro tasso di fallimento si gettano nello pseudo-patriottismo e nella "lotta contro la quinta colonna". Alla luce di questo sembra molto rivelatore il recente sequestro della chiesa della COU nella città di Konstantinovka nella regione di Donetsk. Nella chiesa a noi sequestrata il patriarcato di Kiev ha celebrato un "servizio", a cui hanno partecipato solo i militari a guardia del posto. Nessun credente residente a Konstantinovka era nella chiesa. Tuttavia, anche questo non è importante. Il patriarcato di Kiev ha abbandonato le proprie chiese sul territorio non controllato dell'Ucraina. E invece di pensare a come prendersi cura del loro gregge abbandonato al proprio destino, preferiscono occuparsi di scorrerie e cercare parrocchiani stranieri per la strada.

 

Intervista del Centro per l'Informazione della Chiesa Ortodossa Ucraina

RIA Novosti Ucraina - Traduzione di Padre Ambrogio per CISNU- civg.it



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Ucraina: "Dio non ascolta chi prega in russo"

di FP, 2 Dicembre 2015

L'agenzia UINP (Portale Indipendente Ucraino di Notizie) riportava il 27 novembre scorso un fatto quantomeno curioso, ma perfettamente inquadrato nell'odierna “democrazia” Poro-Jatsenukiana. Il Metropolita della diocesi Lutskaja e Volynskaja (quella Volynija che, negli anni della guerra, fu teatro dei più feroci massacri perpetrati dai filonazisti ucraini ai danni di polacchi e ebrei) della chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Kiev, Mikhail Zinkevič, rivolto ai fedeli ha detto: ”Voi oggi vi trovate nella vostra cattedrale e dovete pregare nella vostra lingua ucraina e non nella lingua dell'occupante. Chi prega in un'altra lingua … che non si inganni. Perché dio ascolta noi e mai loro”. Zinkevič avrebbe anche accusato coloro che frequentano le parrocchie della chiesa ortodossa ucraina del patriarcato di Mosca, di finanziare con ciò stesso la guerra civile nel Donbass: “Chi sostiene quelle chiese, chi fa delle offerte, chi compra le candele, porta soldi agli uccisori dei vostri figli. Ogni candela acquistata nelle chiese del patriarcato di Mosca, è una pallottola per uccidere i vostri figli”. 
Terminando l'omelia, scrive UINP, il metropolita avrebbe minacciato di morte coloro che simpatizzano per la Russia.
La sortita del metropolita Zinkevič fa il paio con la supplica rivolta da Petro Porošenko a papa Bergoglio per la beatificazione del capo della chiesa greco-cattolica ucraina, Andrej Šeptitskij, schierato coi nazisti tedeschi e i filonazisti ucraini durante la seconda guerra mondiale. Non a caso, pare che proprio dal 1941, con l'occupazione nazista dell'Ucraina, dati la separazione del patriarcato di Kiev da quello di Mosca e la nascita della cosiddetta chiesa ortodossa autocefala ucraina, con le conseguenti persecuzioni, uccisioni e terrorismo contro i seguaci moscoviti da parte dei nazionalisti e filonazisti ucraini e la susseguente fuga, nel 1943 e 1944 dei vescovi autocefali a fianco dei nazisti in ritirata.



(deutsch / english / italiano)

Alla NATO non interessa l'opinione dei Montenegrini

1) Nato, sfida alla Russia: Montenegro sarà il 29° membro. Mosca: “Reagiremo” (Il Fatto Quotidiano)
2) L'annunciato ingresso del Montenegro nella NATO: tensione alle stelle con la Russia (RT / Marx21)
3) The Article 5 World (NATO: new strategy, further expansion) / Die Artikel-5-Welt (NATO: Neue "Südstrategie", neue Erweiterung)


Nostro commento:
La NATO ha annunciato lo scorso 2 dicembre che il Montenegro dovrà entrare a far parte dell'Alleanza. 
L'annuncio viene presentato come un "invito" dai nostri media, che alla NATO sono asserviti, nonostante l'opposizione della popolazione montenegrina sia stata fragorosamente evidenziata da recenti proteste conclusesi anche con pesanti scontri di piazza. (1) D'altronde, quegli stessi media hanno preferito dipingere le proteste come genericamente "antigovernative" sottacendo la questione cruciale della ventilata annessione del Montenegro alla NATO.
La possibilità di tale adesione è il frutto delle manovre del governo di destra e del "leader eterno", il contrabbandiere di sigarette e fiancheggiatore della camorra (2) Milo Djukanovic, ininterrottamente in sella nel paese da un quarto di secolo nonostante tutto, il quale non a caso menziona il "referendum del 2006 per l’indipendenza" come il suo altro grande successo: un referendum-truffa vinto grazie ai brogli elettorali avallati dalla UE. (3)
Giustamente il Segretario Generale Stoltenberg ritiene che li "attende un grande lavoro (...) per assicurare l'appoggio dell'opinione pubblica all'adesione del Montenegro alla NATO", vale a dire un grande lavoro di repressione delle proteste di piazza, disinformazione strategica sui media e, all'occorrenza, strategia della tensione e stragismo, così come avvenuto ad esempio nella vicina Italia, dove durante la Guerra Fredda solo dosi massicce di propaganda e bombe nelle piazze hanno potuto ridurre al silenzio l'opposizione in quello che era il paese con il più forte partito comunista d'Occidente.
(a cura di Italo Slavo) 

(1) Si vedano JUGOINFO del 16 e 28 ottobre 2015
(2) Si vedano: 
Le pesanti accuse rivolte dalla magistratura italiana contro Milo Djukanovic
Montenegro: Mafia as Guarantor of Euro-Atlantic Integration – By Boris Aleksic (2014)
(3) Referendum truccato, secessione e complicità UE (2003)


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Nato, sfida alla Russia: Montenegro sarà il 29° membro. Mosca: “Reagiremo”


L'invito all'ex paese comunista è stato formalizzato dai ministri degli Esteri dell'Alleanza Atlantica riuniti a Bruxelles. IL segretario generale Jens Stoltenberg: "Decisione storica di avviare colloqui di adesione presa all’unanimità. 

di F. Q. | 2 dicembre 2015

La Nato apre le porte al Montenegro e la Russia minaccia reazioni. L’invito all’ex paese comunista è stato formalizzato dai ministri degli Esteri dell’Alleanza Atlantica riuniti per il secondo giorno a Bruxelles. Dopo la Croazia e l’Albania, entrati nel 2009, il Montenegro sarà dunque il terzo stato dei Balcani Occidentali a diventare membro, il 29esimo dell’Alleanza. Ad annunciarlo è stato il segretario generale della Nato, Jens Stoltenberg, sottolineando come “la decisione storica di avviare colloqui di adesione con il Montenegro” sia stata presa all’unanimità. Il premier montenegrino Milo Djukanovic ha parlato di “giornata storica”. “E’ il giorno più importante per il Montenegro dopo il referendum del 2006 per l’indipendenza”, ha aggiunto il premier.

La Nato conferma dunque l”’impegno alla ‘politica delle porte aperte'”. Anche se restano ancora fuori Georgia, la Bosnia e Macedonia: i tre paesi candidati verso i quali – nella dichiarazione della ministeriale esteri che ha dato il via libera al Montenegro – viene comunque “ribadito” l’impegno e la “riconferma” della dichiarazione di Bucarest che nel 2008 inaugurò allargamento della Nato nell’est europeo. La nuova mossa dell’Alleanza occidentale sullo scacchiere politico militare non ha provocato l’immediata reazione della Russia. “La continua espansione della Nato verso est, di certo, non può che portare ad azioni di risposta da parte russa” per motivi di sicurezza, ha dichiarato il portavoce di Putin, Dmitri Peskov. Più esplicito il presidente della Commissione Difesa del Senato russo, Viktor Ozerov: “Il Montenegro oggi diventa per la Russia un paese che è un membro potenziale della minaccia alla sua sicurezza”. Per questo vengono resi “impossibili molti programmi che prima erano realizzati con la Russia, anche di cooperazione tecnico-militare”.

Dopo il negoziato di accesso e la successiva ratifica dei parlamenti dei 28 stati membri dell’Alleanza, il Montenegro diventerà il 29 paese membro. Sui tempi del processo di adesione, il segretario generale ha indicato di attendersi che si possano concludere “all’inizio” del 2017, poi – ha detto – “ci sarà la procedura di ratificazione nei 28 parlamenti” che l’ultima volta ha “richiesto circa un anno”. Da subito, compreso il summit dei leader dell’Alleanza in programma l’8-9 luglio prossimo a Varsavia, il Montenegro però “potrà partecipare, senza diritto di voto” a tutti gli incontri istituzionali della Nato.



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ORIG.: "Rusia tendrá que responder": La OTAN invita a Montenegro a engrosar sus filas (RT, 2 dic 2015)



L'annunciato ingresso del Montenegro nella NATO: tensione alle stelle con la Russia

2 Dicembre 2015

da rt.com

Traduzione di Marx21.it

Il portavoce della presidenza russa, Dmitri Peskov, ha dichiarato che l'espansione verso est dell'infrastruttura militare della NATO non potrà che provocare un'azione di rappresaglia da parte della Russia.

La NATO è tornata a manifestare la sua volontà di espansione invitando oggi il Montenegro a far parte dell'alleanza. La “decisione storica” è stata presa nella riunione di fine anno del Consiglio dei ministri della NATO svoltasi a Bruxelles.

“I ministri degli Esteri dei paesi membri della NATO hanno assunto la decisione storica di invitare il Montenegro a diventare il 29° membro dell'alleanza”, recita un comunicato Twitter della rappresentante ufficiale della NATO, Oana Lungescu.

“Ci felicitiamo con il Montenegro. E' l'inizio di un'alleanza molto buona”, ha commentato il segretario generale della NATO, Jens Stoltenberg. A suo parere, si tratta di una “decisione storica” ed è solo l'inizio di un cammino che comprende il processo negoziale.

“Ci attende un grande lavoro, tanto in relazione alle riforme garantite dal dettato della legge in questo paese quanto per assicurare l'appoggio dell'opinione pubblica all'adesione del Montenegro alla NATO, ha sottolineato. Stoltenberg ha assicurato che il processo di incorporazione comporterà del tempo e terminerà entro 18 mesi.

Allo stesso tempo, il segretario generale della NATO ha rimarcato il fatto che la Bosnia ed Erzegovina, la Georgia e la Macedonia stanno procedendo verso l'adesione all'alleanza. Stoltenberg ha aggiunto che l'organizzazione ha deciso di tornare a convocare il consiglio Russia-NATO”, per riannodare la cooperazione con la Russia.

Come ha reagito la Russia?

La Russia, da parte sua, ha reagito alla notizia affermando che cesserà i suoi programmi in corso con il Montenegro, se esso entrerà nella NATO.

“Dal punto di vista della sicurezza collettiva in Europa, dal punto di vista dell'unità di fronte alle nuove sfide e minacce, qualsiasi espansione della NATO rappresenta un passo indietro e non un passo avanti”, ha dichiarato il responsabile del Comitato degli Affari Internazionali del Consiglio della Federazione, Konstantin Kosachov.

Nello stesso tempo,la Russia ha avvertito che prenderà misure per rafforzare la sua capacità difensiva e la preparazione per il confronto qualora il Montenegro entri nella NATO.

Da parte sua, il portavoce della presidenza russa, Dmitri Peskov, ha dichiarato che l'espansione verso est dell'infrastruttura militare della NATO non potrà che provocare un'azione di rappresaglia da parte della Russia. 


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Der Originaltext:
Die Artikel-5-Welt (NATO: Neue "Südstrategie", neue Erweiterung – GFP 01.12.2015)
Eine neue NATO-"Südstrategie" und eine erneute Erweiterung des Kriegsbündnisses stehen auf der Tagesordnung des heute beginnenden NATO-Außenministertreffens in Brüssel. Die südeuropäischen Mitgliedstaaten drängten schon eine Weile darauf, die Bündnisaktivitäten nicht ausschließlich auf Osteuropa zu fokussieren und einen neuen Schwerpunkt in der arabischen Welt zu bilden, berichtet der Präsident der Bundesakademie für Sicherheitspolitik (BAKS), Karl-Heinz Kamp. Dies stehe nun zur Debatte. Dabei gehe es auch darum, Länder wie Jordanien oder Tunesien als "Partner" enger als bisher anzubinden - und sie für die Kriegführung in der arabischen Welt exklusiv aufzurüsten und zu trainieren. Dass die NATO darüber hinaus Montenegro jetzt den Beitritt vorschlagen will, richtet sich Kamp zufolge gegen Russland: Man wolle Moskau demonstrieren, dass man bei der Aufnahme neuer Mitglieder nicht zur Rücksichtnahme auf die Interessen anderer Mächte bereit sei. Wie der BAKS-Präsident äußert, werde man sich stärker als bisher nicht mit der etwaigen Aufnahme der Ukraine als vielmehr mit einer Aufnahme Finnlands und Schwedens in das Kriegsbündnis befassen müssen...
http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/59263



The Article 5 World
 
2015/12/01

BERLIN/BRUSSELS
 
(Own report) - NATO's new "Southern Strategy" and further expansion of this war alliance are on the agenda of the NATO Foreign Ministers Conference, which begins today in Brussels. Since some time, Southern European member nations have been pushing for broadening the focus of the alliance's activities beyond the limits of Eastern Europe, to concentrate more on the Arab World, reported Karl-Heinz Kamp, President of the Federal College for Security Studies (BAKS). This is now up for debate. The idea is to reinforce the ties to countries, such as Jordan or Tunisia, as "partners" - and exclusively equip and provide them with training for waging war in the Arab World. The fact that NATO also will propose membership to Montenegro, Kamp explains, is primarily directed at Russia. NATO wants to show Moscow that, in its acceptance of new members, NATO is not willing to take other powers' interests into consideration. As the President of BAKS points out, the accent will now be oriented much stronger toward accepting Finland and Sweden's membership into the war alliance, rather than an eventual Ukrainian membership.

An Ambiguous Picture

Just before the foreign ministers of NATO countries convene, today, Tuesday, the President of the Federal College for Security Studies (BAKS), Karl-Heinz Kamp, has published an assessment of the alliance's current situation. Kamp takes the next NATO Summit, scheduled for July 8 - 9 in Warsaw, as his point of reference. The current foreign ministers' meeting is in preparation of that summit. According to Kamp, NATO currently projects "an ambiguous picture."[1] On the one hand, the new conflict with Russia "has unified the alliance and reactivated its primary function as a defense alliance," ... "being again exposed to the reality of an 'Article 5 world,' in which alliance solidarity, along the lines of Article 5 of the Washington Treaty, has the highest priority." On the other, there is disagreement on NATO's geographical focus. Particularly Southern European NATO members have been dissatisfied with the alliance's current focus on the power struggle with Russia, causing a concentration on Eastern Europe. They are calling for expanding activities into the Arab World.

Arab World Nations of Anchor

Because larger NATO countries are also sympathizing with this recommendation, the western war alliance is, in fact, preparing a new "Southern Strategy." A preliminary report on the question is expected to be presented at the NATO Foreign Ministers meeting, which begins today in Brussels. The western war alliance's Secretary General, Jens Stoltenberg, expects the strategy to be passed at the July 8 - 9, 2016 NATO Summit in Warsaw. According to current plans, this will not involve developing mission scenarios and providing the necessary means. Above all, it will involve strengthening ties to regional partners - as examples, naming Iraq, Jordan, and Tunisia - and preparing them to wage war. (german-foreign-policy.com reported.[2]) "Partnerships" will be introduced as a new type of instrument. As BAKS President, Karl-Heinz Kamp explains, in the future, NATO "in accordance with its needs," will choose "states - to the extent they are willing - to carry out NATO activities in partnership." "This involves the partners' support, for example in crisis management, in exchange for receiving training or arms assistance, to render them capable of efficiently engaging." These new "partners" would quasi become NATO "nations of anchor," initially mainly, or even exclusively, in the Arab World.

Aggressive to the East

In his summary, Kamp also analyses the most recent aggressive NATO activities in Eastern and Southeastern Europe directed at Russia. "To the surprise of some of the NATO partners, Germany, of all countries, has played a particularly prominent role in building up the defense capabilities in Eastern Europe," wrote the president of BAKS. In fact, the Bundeswehr has assumed a leading role in the creation of NATO's "Spearhead" (Very High Readiness Joint Task Force, VJTF). (german-foreign-policy.com reported.[3]) In the case of an intervention, the VJTF would be led by the Multinational Corps Northeast, in Szczecin, Poland, in which the Bundeswehr provides 100 (of the 400) soldiers, as well as the commander, Lt. Gen. Manfred Hofmann. In the context of the VJTF's creation, NATO has set up so-called NATO Force Integration Units (NFIU) in six Eastern and Southeastern European member countries. NFIUs are small bases, with a permanent presence of around 40 soldiers, which, when necessary, can be used, within the shortest delay, by NATO's "Spearhead" forces. NFIUs are in Estonia, Latvia, Lithuania; Poland; Rumania, and Bulgaria, others are planned for Hungary and Slovakia.

Russia in the Crosshairs

The particular significance of the power struggle with Russia is exemplarily mirrored in Kamp's analysis. With their "Snap Exercises," the Russian Armed Forces demonstrated that "within two to three days, they can mobilize and concentrate tens-of-thousands of military personnel," explains BAKS president. "In a serious crisis, the less than 5,000 strong VJTF rapid reaction force, would be no match for them," especially since their true time of reaction "would be, at best, five to seven days." That must be worked on. Aware, however, of its inferiority to NATO, particularly in the field of conventional weapons - Moscow is developing concepts "aimed, in times of conflict, at blocking NATO's reinforcements with 'area denial' measures in regions of Eastern Europe, or aimed at fomenting splits in the alliance with nuclear threats," writes Kamp, and recommends the development of "appropriate counter-concepts."

No Consideration

NATO's current policy of expansion is also directed against Russia. At the meeting, according to reports, NATO's foreign ministers will offer Montenegro membership in the Alliance. In December 2006, only six months after its secession from Serbia, Montenegro joined NATO's "Partnership for Peace" and soon began efforts to join that war alliance. Its participation with 14 soldiers in the Afghanistan mission is only of symbolic significance. The plan to join NATO is very contested inside the country and is currently provoking protests. The western Alliance, however, is expressing interest. "Montenegro's contribution to NATO is extremely small," BAKS President Kamp concedes. But, its accession to NATO would be "a political signal also to Russia" that the Alliance "holds on to its open door policy and does not accept a Russian veto of the principle of a free choice of an alliance." This is also aimed at the debate around Ukraine's eventual NATO membership - although Kamp writes that Berlin is still opposed because "the integration ... of Ukraine, a state paralyzed by political bickering, corruption and poor governance" would be "extremely difficult" - an accurate argument, promoted to a strategic pretext.

NATO's Northern Expansion

Plans to integrate Sweden and Finland - still officially neutral - into NATO, could, in the long run, have more serious consequences. In both countries, membership in the war alliance "has only been considered a very distant option ... in the past," notes Kamp. But this has "radically changed" with the conflict over Ukraine. "The Warsaw Summit will have to deal with the growing debate on NATO membership," BAKS President Kamp recommends, "whenever Helsinki and Stockholm express their wish to join." If both countries should actually join, the last remnants of military neutrality in northern Europe would dissipate and the northern encirclement of Russia would be complete.[4]

[1] Zitate hier und im Folgenden aus: Karl-Heinz Kamp: Die Agenda des NATO-Gipfels von Warschau. Arbeitspapier Sicherheitspolitik Nr. 9/2015.
[2] See NATO's Southern Strategy.
[3] See 21st Century Warfare (I)21st Century Warfare (II) and Message to the World.
[4] See Die NATO-Norderweiterung.







Kosovo. Quello “Stato Islamico” voluto dalla Nato a due passi dall'Europa

di Sergio Cararo
Mercoledì, 2 Dicembre 2015

Do you remember le bombe su Belgrado e la “guerra umanitaria?” A cavallo tra il 1998 e il 1999, il progetto di disintegrazione della Jugoslavia – ostacolato dalla sola Repubblica Serba – portò la guerra in Europa e l'Europa in guerra per la prima volta dopo la Seconda Guerra Mondiale. Le potenze della Nato, Usa e governi europei, decisero che la Serbia andava punita definitivamente per essersi opposta alla dissoluzione della federazione jugoslava avviata unilateralmente dalla Germania (e dal Vaticano) ed imposta al resto dei paesi nel 1991.
In questo progetto un ruolo decisivo le ebbero le milizie croate nella prima fase e le milizie islamiche nella seconda. Prima in Bosnia e poi in Kosovo, i militari e i servizi segreti statunitensi, tedeschi, francesi, inglesi e italiani, addestrarono e supportarono militarmente i jihadisti locali e i foreign fighters che l'Arabia Saudita aveva arruolato prima in Afghanistan e poi in Cecenia. Dal 1993 in Bosnia e dal 1998 in Kosovo, gli uomini della Jihad globale hanno combattuto contro la Serbia per conto della Nato. L'Uck, l'armata delle ombre, erano esattamente questo. Quando poi è diventato indispensabile, hanno potuto usufruire direttamente dei bombardamenti della Nato contro le città della Repubblica Serba di Bosnia nel 1995 e contro Belgrado e le principali città serbe nel 1999.
Alla fine di un lungo e sanguinoso conflitto, una volta diradata la polvere, sul terreno rimaneva una Jugoslavia fatta a pezzi, una grande base militare statunitense in Kosovo (Campo Bondsteel), un nuovo stato indipendente e islamizzato (il Kosovo), gruppi armati jihadisti attivi in Bosnia, in Macedonia, in Albania e, ovviamente al governo, in Kosovo dove sono diventate le forze armate ufficiali di un narcostato.
In pratica con diversi anni di anticipo, le potenze della Nato hanno creato un precedente statuale di quello che oggi è lo Stato Islamico in Medio Oriente, il terribile regno dell'Isis. Lo hanno fatto coscientemente in funzione antiserba prima e antirussa subito dopo. Il risultato è che adesso a ridosso delle frontiere dell'Unione Europea (e nel prossimo futuro addirittura dentro), c'è un Isis giù fatto stato e riconosciuto internazionalmente, dove i gruppi jihadisti godono di basi di addestramento, appoggi logistici e possibilità di movimento. La cellula jihadista a cavallo tra l'Italia e il Kosovo, non è la prima che viene scoperta, e si scavasse appena un po' più in profondità se ne scoprirebbero molte di più. A confermare questo scenario è l'articolo di Enrico Piovesana, comparso ieri su Il Fatto Quotidiano e l'articolo di oggi del gen. Fabio Mini, che conosce assai bene la materia essendo stato il comandante del contingente Nato in Kosovo (la Kfor) per alcuni anni, anni in cui si è scontrato direttamente con la rete di complicità di cui gli jihadisti in Kosovo godevano da parte dei governi in Europa e negli Stati Uniti. In Siria si è ripetuto esattamente questo scenario e adesso, come allora, arrivano i bombardamenti della Coalizione Internazionale.

 

Il Kosovo “dimenticato dalla Nato” diventa il primo centro di reclutamento dell’Isis

di Enrico Piovesana (da Il Fatto Quotidiano del 1 dicembre)
L’operazione dell’Antiterrorismo e della Digos di Brescia, che ha portato all’arresto di quattro sospetti terroristi kosovari legati all’Isis, è un campanello d’allarme che riaccende l’attenzione su fenomeno pericolosamente sottovalutato e per certi versi incomprensibile. Il protettorato euro-atlantico del Kosovo è diventato il principale vivaio dell’Isis in Europa, nonostante sul suo piccolo territorio siano presenti 5000 soldati della missione Nato Kfor a guida italiana e 1.500 agenti della missione di polizia europea Eulex.
Secondo i dati del Ministero degli Interni di Pristina, sono almeno trecento i kosovari che sono andati in Siria a combattere con il Califfato e che fanno regolarmente avanti e indietro via Turchia e Macedonia, trasformando il Kosovo in una una pericolosa rampa di lancio per azioni terroristiche in Europa. Questo dato fa del Kosovo, che ha solo un milione e 800 mila abitanti, il principale serbatoio europeo pro-capite di foreign fighter dello Stato Islamico.
Referente dei quattro kosovari arrestati dalla polizia italiana è il comandante della ‘brigata balcanica’ dell’Isis formata da kosovari, bosniaci, albanesi, macedoni e montenegrini: il sanguinario jihadista kosovaro Lavdrim Muhaxheri (nome di battaglia, Abu Abdullah al Kosova), originario di Kačanik, ex roccaforte dell’Uck divenuta oggi principale centro di reclutamento dell’Isis in Kosovo – come racconta un recente servizio delle Iene.
Non solo Kačanik si trova a pochi chilometri dalla mega-base militare americana di Camp Bondsteel, ma Muhaxheri in quella base ci aveva anche lavorato fino al 2010 – come altri futuri jihadisti kosovari, tra cui il giovane kamikaze Blerim Heta – per poi continuare a lavorare per la Nato in Afghanistan fino al 2012, subito prima di partire per la Siria. Com’è possibile che tutto questo accada sotto gli occhi dell’apparato militare e di intelligence Nato e Ue che opera in Kosovo? “Kačanik e la storia di Muhaxheri sono solo la punta dell’iceberg – spiega a ilfattoquotidiano.it il generale Fabio Mini, ex comandante della missione Nato in Kosovo – perché tutto il territorio kosovaro, penso alla vale di Dreniča, pullula da anni di imam radicali che predicano la guerra santa e operano come reclutatori nelle centinaia di moschee finanziate dalle monarchie arabe. Questa situazione è potuta maturare nonostante le missioni internazionali presenti sul territorio, perché da tempo l’Europa e la Nato si disinteressano al Kosovo, e ai Balcani in generale, nonostante questa evoluzione fosse chiara da anni”.
L’allarme, in effetti, lo aveva già lanciato in modo molto chiaro nel 2009 Antonio Evangelista, ex comandante de missione Unmik in Kosovo e tra i massimi esperti europei di antiterrorismo. Nel suo libro Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa spiegava come gli orfani delle guerre balcaniche fossero preda, in Kosvo come in Bosnia, di una rete di caritatevoli predicatori wahabiti finanziata da organizzazioni pseudo-umanitarie di Arabia Saudita, Emirati Arabi, Kuwait Qatar e Turchia, che li sottoponevano a un lavaggio del cervello trasformandoli in futuri martiri della jihad. Oggi quei ragazzi sono diventati grandi, pronti a combattere per l’Isis in Siria ma anche a casa loro, in Europa.