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Chi semina vento raccoglie tempesta

1) OGGI su Radio Città Aperta per VOCE JUGOSLAVA: Riflessioni a seguito delle stragi di Parigi. La Jihad è iniziata nei Balcani
2) In Siria la guerra c'è già e la guidano i servizi segreti di Parigi (Marco Cesario, 2012)

Isto pogledaj:
BAŠAR AL ASAD: U Parizu se desilo ono što u Siriji traje već PET godina! (14. Novembar 2015.)


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VOCE JUGOSLAVA  JUGOSLAVENSKI GLAS 
"Od Vardara do Triglava - Dal fiume Vardar al monte Triglav" 

Svakog drugog utorka u 16:30 sati, na Radio Città Aperta (valu FM 88.9 za regiju Lazio), emisija  "Jugoslavenski glas". Emisija se može se pratiti i preko Interneta: http://radiocittaperta.it/  
Emisija je dvojezična, po potrebi i vremenu na raspolaganju. Podržite taj slobodni i nezavisni glas! Pišite nam na jugocoord@... i potražite na www.cnj.it  
Odazovite se!

Ogni martedì alle ore 16:30 su Radio Città Aperta (FM 88.9 per Roma ed il Lazio) va in onda la trasmissione radiofonica "Voce jugoslava". La trasmissione può essere ascoltata, come del resto tutte quelle della Radio, anche via Internet: http://radiocittaperta.it/ 
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Program  17.XI.2015  Programma

 - Odrazi povodom masakrima u Parizu: Djihad počelo je na Balkanu

 - Riflessioni a seguito delle stragi di Parigi: la Jihad è iniziata nei Balcani

A cura di Andrea M.


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Inizio messaggio inoltrato:

Da: "momotombo" 
Data: 16 novembre 2015 22:17:04 CET
Oggetto: Il terrorismo francese in Libia e Siria



In Siria la guerra c'è già e la guidano i servizi segreti di Parigi


L'Occidente esita a intervenire in Siria. Ma intanto nel Paese si consuma un’altra, sporca, guerra. Quella dei servizi segreti di diversi paesi che va avanti da mesi. In questa guerra delle ombre Assad ha catturato 18 spie di Parigi, fra cui un Colonnello. Una rete di spionaggio che si è allargat...

11 Marzo 2012

Il rullo dei tamburi di un’imminente guerra risuona già lugubre nell’aria. Come se un esercito, invisibile, accerchiasse lentamente e silenziosamente il tiranno Assad, le cui ore sembrano oramai contate. Al Palazzo di Vetro si studia da tempo come decapitarlo senza fare troppo rumore. Francia e Stati Uniti preparano una nuova bozza di risoluzione (aspettando il via libera della Cina), la Francia chiude definitivamente la sua ambasciata a Damasco. Un altro segno funesto per Assad.

Intanto però in Siria si consuma un’altra, sporca, guerra. Quella dei servizi segreti di diversi paesi che va avanti da mesi, una guerra delle ombre e senza esclusione di colpi che ha causato migliaia di morti tra soldati e civili. La punta dell’iceberg emerge alcune settimane fa, ma passa praticamente inosservata. Nel silenzio generale dei media, e dopo l’ennesima offensiva militare nel quartiere di Bab Amr, ad Homs, l’esercito siriano fa più di 1.500 prigionieri, di cui numerosi “stranieri”. Tra questi, figurano almeno diciotto francesi. Chi sono? Non civili, certo. Alla stregua di soldati, chiedono immediatamente di avvalersi dello statuto di prigionieri di guerra, ma rifiutano recisamente di fornire la loro identità, il loro grado militare e l’élite d’appartenenza. Tra di essi, spunta un colonnello del servizio trasmissione della Dsge, il contro-spionaggio dei servizi segreti francesi. Tra le armi ritrovate dall’esercito siriano fucili, mitragliette e lanciarazzi di fabbricazione israeliana.

L’intrigo inizia con un articolo apparso il 23 novembre scorso sul quotidiano satirico francese Le Canard Enchaîné. In esso si racconta che la direzione operativa del Dsge ha inviato agenti speciali nel Nord del Libano ed in Turchia con una missione precisa: istruire e strutturare contingenti armati dell’al-Ǧayš as-Sūrī al-Ḥur, l’Esercito Siriano Libero (Esl), raggruppare migliaia di disertori, reclutare combattenti “stranieri” e scatenare una vera e propria guerra civile in Siria. Detto fatto. Oltre a questi agenti speciali vengono spediti in Siria diversi membri del Comando delle Operazioni Speciali francese (Cos) per iniziare disertori e jihadisti alla guerriglia urbana contro l’esercito regolare di Bachar al-Assad, mescolandosi tra i manifestanti ed altri non meglio identificati “ribelli”. Fucili, mitragliette e lanciarazzi di fabbricazione israeliana vengono fatti passare dal Sud della Turchia, ad Hatay, dove si stabilisce il quartier generale dell’Esl. Il Cos risponde direttamente agli ordini dello Stato Maggiore dell’Esercito francese (Cema). Un articolo apparso sul settimanale Marianne sottolinea come il Cos abbia già fornito assistenza logistica e militare in Libia al Cnt ed abbia “guidato” i bombardamenti aerei e navali della coalizione nella guerra che ha portato alla caduta del colonnello Gheddafi. Ora sta facendo il lavoro sporco di Sarkozy anche in Siria. Tutte le informazioni fornite dal Canard Enchaîné vengono infatti confermate da un ufficiale di alto rango della Direzione del servizio segreto militare francese. Tra le informazioni trapela anche quella di un intervento militare “limitato” della Nato per creare, con l’aiuto della Turchia, un embrione di territorio liberato nel Nord della Siria, una sorta di regione cuscinetto preludio ad una futura no-fly zone. Questo spiegherebbe anche perché Assad s’affretta a dispiegare l’esercito proprio lungo la frontiera con la Turchia.

Il quotidiano turco Milliyet conferma indirettamente le informazioni diffuse dal Canard Enchaîné. Non solo, la rete spionistica nel corso dei mesi si allarga includendo non solo commandos della Dsge ma anche agenti del MI6 britannico e agenti speciali del Milli Istibarat Teskilati (Mit), i servizi segreti turchi. Ad Hatay, nel Sud della Turchia, nasce una temibile e oscura «legione wahhabita» composta da centinaia di mercenari libici ex-lealisti del regime di Gheddafi. Con il consenso di Mustafa Abdul Jalil, presidente del Consiglio Nazionale di Transizione libico (Cnt) e dopo una riunione segreta ad Istanbul tra il Cnt ed il Cns (Consiglio Nazionale Siriano), centinaia di militari libici armati fino ai denti, un tempo fiore all’occhiello dei battaglioni del colonnello Gheddafi, giungono in Siria attraverso la Turchia con l’aiuto del Mit rimpinguando le colonne armate del «libero» esercito siriano, capeggiato da Riad al-Assad. Quest’ultimo guardacaso è in esilio da mesi proprio in Turchia. I servizi segreti turchi controllano tutti i suoi movimenti mentre un agente del ministero degli esteri turco risponde a posto suo alle richieste d’intervista da parte dei giornalisti occidentali. Al-Assad sembra essere una mera creatura del governo francese, turco e dei Fratelli Musulmani siriani. Il traffico di attività di spionaggio e d’infiltrazioni dei servizi segreti nell’Esl serve infatti ad una sola causa: portare ad un «conflitto confessionale» per far emergere i Fratelli Musulmani di Siria, destinati a prendere le redini della «Nuova Siria» nel dopo-Assad (seguendo lo schema d’altri paesi della «primavera araba» quali Egitto e Tunisia). Una vendetta della Francia dopo il colpo di stato siriano in Libano? Il 12 Gennaio del 2011 infatti un colpo di stato «parlamentare» orchestrato dalla Siria, aveva provocato la caduta del primo ministro Saad Hariri, sponsorizzato dai Sauditi e dalla Francia, la quale, dopo aver riammesso nel concerto delle nazioni la Siria, non digerisce (è l’inizio della frattura franco-siriana).

Fatto sta che la Francia rispolvera, per mezzo del segretario generale dei Fratelli Musulmani siriani Riad Chakfi, la carta Abdul Halim Khaddam, in esilio dorato a Parigi. Chi è costui? Ex vice-presidente siriano (si dimette dalla carica nel 2005), testimonia davanti al Tribunale Speciale per il Libano (Tls) contro Assad accusandolo di essere dietro la morte dell’ex-primo ministro libanese Rafiq Hariri, assassinato con altre 21 persone il 14 Febbraio del 2005. Abdul Halim Khaddam capisce immediatamente che vento tira in Medio Oriente e s’avvicina ai Fratelli Musulmani siriani e al loro leader al-Bayanouni. In seguito fonda il Fronte della Salvezza Nazionale Siriana (Syrian National Salvation Front), partito nazionalista d’ispirazione islamica. Attraverso la mediazione della Francia, Abdel Halim Khaddam riceve soldi dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna per finanziare le sue attività anti-Bashar (come rivelerà poi alla televisione israeliana 2 TV). Seguiranno il suo esempio altre fazioni anti-Bashar quali gli ex Fratelli Musulmani del Movimento per la Giustizia e lo Sviluppo che, come ha rivelato il Washington Post basandosi su informazioni diffuse da Wikileaks, ricevono soldi dagli USA sin dal 2005. Con questi fondi creano nel 2007 la televisione anti-Bashar “Barada TV”.

Intanto il 20 Dicembre, François Loncle, deputato socialista nella regione dell’Eure e membro della Commissione Affari Esteri dell’Assemblea nazionale francese, avvia un’interrogazione parlamentare per tentare di fare luce sulla faccenda. Un altro articolo apparso sul Nouvel Observateur – che parla della Siria come «nuova frontiera della guerra francese» – mette infatti fuoco alle polveri. Il modello libico, fa notare Loncle, sembra ripetersi. Dapprima formazione ed addestramento di un esercito “libero” composto da disertori e jihadisti, poi infiltrazione progressiva della ribellione civile, in seguito supporto logistico e militare alle fazioni nemiche, poi presentazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, poi creazione di una no-fly zone imposta dalle forze della Nato e infine… Incursioni mirate dei Rafale francesi e dei caccia britannici fino alla caduta del tiranno.

In entrambi i casi la Francia, assieme alla Gran Bretagna, diventa la punta di diamante dell’interventismo atlantico, un interventismo che si avvale del prezioso appoggio delle petromonarchie del Golfo. L’idea della Francia è quella di aiutare la dinastia saudita a spezzare l’asse sciita Iran-Siria-Hezbollah e di creare un “blocco sunnita” in Medio Oriente, blocco peraltro già solido in quanto comprende l’Egitto, la Turchia, il Qatar, la Libia, la Tunisia, tutti paesi in cui esiste già un’orientazione politica fortemente islamica anche se, solo ufficialmente, moderata. 






PROPAGANDE

Les sources d’« Apocalypse Staline » sur France2


par  Annie Lacroix-Riz

France2 a diffusé, le 3 novembre 2015, un documentaire remarquable à la fois par la qualité de sa réalisation et par sa malhonnêteté intellectuelle. Sous le titre Apocalypse Staline, il s’agissait d’accuser le « petit père des Peuples » de tous les crimes et de l’assimiler à Hitler. Le professeur émérite Annie Lacroix-Riz, historienne du XXe siècle de réputation internationale, réagit à cet incroyable bourrage de crâne.

RÉSEAU VOLTAIRE | PARIS (FRANCE)  | 6 NOVEMBRE 2015


L’Histoire de la Guerre froide entre Göbbels et l’ère états-unienne

Les trois heures de diffusion de la série Apocalypse Staline diffusée le 3 novembre 2015 sur France 2 battent des records de contrevérité historique, rapidement résumés ci-dessous.
Une bande de sauvages ivres de représailles (on ignore pour quel motif) ont ravagé la Russie, dont la famille régnante, qui se baignait vaillamment, avant 1914, dans les eaux glacées de la Baltique, était pourtant si sympathique. « Tels les cavaliers de l’apocalypse, les bolcheviques sèment la mort et la désolation pour se maintenir au pouvoir. Ils vont continuer pendant 20 ans, jusqu’à ce que les Allemands soient aux portes de Moscou. […] Lénine et une poignée d’hommes ont plongé Russie dans le chaos » (1er épisode, Le possédé).
Ces fous sanguinaires ont inventé une « guerre civile » (on ignore entre qui et qui, dans cette riante Russie tsariste). L’enfer s’étend sous la houlette du barbare Lénine, quasi dément qui prétend changer la nature humaine, et de ses acolytes monstrueux dont Staline, pire que tous les autres réunis, « ni juif ni russe », géorgien, élevé dans l’orthodoxie mais « de mentalité proche des tyrans du Moyen-Orient » (la barbarie, comprend-on, est incompatible avec le christianisme). Fils d’alcoolique, taré, contrefait, boiteux et bourré de complexes (surtout face au si brillant Trotski, intelligent et populaire), dépourvu de sens de l’honneur et de tout sentiment, hypocrite, obsédé sexuel, honteux de sa pitoyable famille, Staline hait et rackette les riches, pille les banques, etc. (j’arrête l’énumération). On reconnaît dans le tableau de cet « asiate » les poncifs de classe ou racistes auxquels le colonialisme « occidental » recourt depuis ses origines.
Vingt ans de souffrances indicibles infligées à un pays contre lequel aucune puissance étrangère ne leva jamais le petit doigt. Il y a bien une allusion sibylline aux années de guerre 1918-1920 qui auraient fait « dix millions de morts » : les ennemis bolcheviques sont encerclés partout par une « armée de gardes blancs ». On n’aperçoit pas la moindre armée étrangère sur place, bien qu’une cinquantaine de pays impérialistes étrangers eussent fondu, de tous les points cardinaux sur la Russie, dont la France, l’Angleterre, l’Allemagne, les États-Unis, etc. (c’est au 2e épisode seulement, L’homme rouge, qu’on apprend que Churchill a détesté et combattu l’URSS naissante : quand ? comment ?).
Pour échapper à cette intoxication sonore et colorée, le spectateur aura intérêt à lire l’excellente synthèsese de l’historien Arno Mayer, sympathisant trotskiste auquel son éventuelle antipathie contre Staline n’a jamais fait oublier les règles de son métier : Les Furies, terreur, vengeance et violence, 1789, 1917 (Paris, Fayard, 2002). L’ouvrage, traduit par un gros éditeur pour des raisons que je ne m’explique pas, vu les habitudes régissant la traduction en France, compare aussi les révolutions française et bolchevique. Comparaison particulièrement utile après une ère Furet où la française a été aussi malmenée que la russe [1]. Pour Isabelle Clarke et Daniel Costelle comme pour les historiens et publicistes qui ont occupé la sphère médiatique depuis les années 1980, la Terreur est endogène, et dépourvue de tout rapport avec l’invasion du territoire par l’aristocratie européenne. Et, de 1789 à 1799, expérience atroce heureusement interrompue par le coup d’État, civilisé, du 18 Brumaire (9 novembre 1799), la France a vécu sous les tortures des extrémistes français (jacobins), mauvaise graine des bolcheviques.
« Le peuple soviétique » est soumis sans répit aux tourments de la faim notamment à « la famine organisée par Staline au début des années trente, catastrophique surtout en Ukraine », où elle aurait fait « 5 millions de morts de faim », victimes de l’« Holodomor » [2], à la répression permanente, incluant les viols systématiques, aux camps de concentration « du Goulag » (« enfer pour les Russes du désert glacé », où toutes les femmes sont violées aussi) si semblables à ceux de l’Allemagne nazie (un des nombreux moments où les séquences soviétique et allemande sont « collées », pour qu’on saisisse bien les similitudes du « totalitarisme »). Mais il gagne la guerre en mai 1945. On comprend d’ailleurs mal par quelle aberration ce peuple martyrisé pendant plus de vingt ans a pu se montrer sensible, à partir du 3 juillet 1941, à l’appel « patriotique » du bourreau barbare qui l’écrase depuis les années 1920. Et qui a, entre autres forfaits, conclu « le 23 août 1939 » avec les nazis une « alliance » qui a sidéré le monde, l’indigne pacte germano-soviétique [3], responsable, en dernière analyse, de la défaite française de 1940 : « Staline avait tout fait pour éviter la guerre, il avait été jusqu’à fournir à Hitler le pétrole et les métaux rares qui avaient aidé Hitler à vaincre la France ».
Il est vrai que l’hiver 1941-1942 fut exceptionnellement glacé, ce qui explique largement les malheurs allemands (en revanche, « le général Hiver » devait être en grève entre 1914 et 1917, où la Russie tsariste fut vaincue avant que les bolcheviques ne décrétassent « la paix »). Il est vrai aussi que l’aide matérielle alliée a été « décisive » dès 1942 (épisodes 2 et 3), avions, matériel moderne, etc. (4 % du PNB, versés presque exclusivement après la victoire soviétique de Stalingrad).
Il n’empêche, quel mystère que ce dévouement à l’ignoble Staline, qui vit dans le luxe et la luxure depuis sa victoire politique contre Trotski, alors que « le peuple soviétique » continue d’être torturé : non pas par les Allemands, qu’on aperçoit à peine dans la liquidation de près de 30 millions de Soviétiques, sauf signalement de leur persécution des juifs d’URSS, mais par Staline et ses sbires. Ainsi, « les paysans ukrainiens victimes des famines staliniennes bénissent les envahisseurs allemands ». Ce n’est pas la Wehrmacht qui brûle, fusille et pend : ces Ukrainiens « seront pendus par les Soviétiques revenus, » et filmés à titre d’exemples comme collabos. Staline fait tuer aussi les soldats tentés de reculer, tendance bien naturelle puisque le monstre « déclare la guerre à son peuple » depuis 1934 (depuis lors seulement ?), qu’il a abattu son armée en faisant fusiller des milliers d’officiers en 1937, etc.
La critique mot à mot de ce « documentaire » grotesque s’avérant impossible, on consultera sur l’avant-guerre et la guerre l’ouvrage fondamental de Geoffrey Roberts, Stalin’s Wars : From World War to Cold War, 1939-1953(New Haven & London : Yale University Press, 2006), accessible désormais au public français : Les guerres de Staline, 1939-1953 (Paris, Delga, 2014) [4]. La politique d’« Apaisement » à l’égard du Reich hitlérien fut l’unique cause du pacte germano-soviétique, que les « Apaiseurs » français, britanniques et états-uniens avaient prévue sereinement depuis 1933 comme la seule voie ouverte à l’URSS qu’ils avaient décidé de priver d’« alliance de revers ». Cette réalité, cause majeure de la Débâcle française, qui ne dut strictement rien à l’URSS, est absente des roulements de tambour de Mme Clarke et de M. Costelle. On en prendra connaissance en lisant Michael Jabara Carley, 1939, the alliance that never was and the coming of World War 2 (Chicago, Ivan R. Dee, 1999), traduit peu après : 1939, l’alliance de la dernière chance. Une réinterprétation des origines de la Seconde Guerre mondiale (Les presses de l’université de Montréal, 2001) ; et mes travaux sur les années 1930, Le Choix de la défaite : les élites françaises dans les années 1930 (Paris, Armand Colin, 2010) et De Munich à Vichy, l’assassinat de la 3e République, 1938-1940 (Paris, Armand Colin, 2008).

Les réalisateurs, leurs objectifs et leur conception de l’Histoire

La seule émission de France Inter du 30 octobre au matin (disponible sur Internet jusqu’au 28 juillet 2018) a donné une idée des conditions du lancement « apocalyptique », tous médias déployés, de cette série Staline qui rappelle, par les moyens déployés, l’opération Livre noir du communisme en 1997. Elle éclaire aussi sur les intentions des réalisateurs installés depuis 2009 dans la lucrative série Apocalypse [5]
La musique et le son de ces trois heures éprouvantes sont adaptés à leurs objectifs. La « colorisation », qui viole les sources photographiques, porte la marque de fabrique de la série Apocalypse : elle s’impose pour attirer « les jeunes gens », faire sortir l’histoire de la case poussiéreuse où elle était confinée, argue Isabelle Clarke, éperdue de gratitude (bien compréhensible) à l’égard de France2 qui « a remis la grande histoire en prime time (sic) » ; aussi modestement, le coauteur Daniel Costelle attribue cette place d’honneur sur nos écrans domestiques à la qualité du travail accompli par le tandem depuis les origines de la série (2009). La « voix de Mathieu Kassovitz » est jugée « formidable » par les auteurs et leur hôtesse, Sonia Devillers : l’acteur débite, sur un ton sinistre et grandiloquent, le " scénario de film d’horreur » soviétique et stalinien qui fascine tant Mme Clarke.
Pour que la chose soit plus vivante, les auteurs, qui font « des films pour [s’] enthousiasmer [eux]-mêmes », ont décidé qu’ils n’auraient « pas de parti pris chronologique » : ils ont plus exactement pris le parti de casser la chronologie, par de permanents retours en arrière supposés rendre le « travail un peu plus interactif ». La méthode empêche toute compréhension des événements et des décisions prises, 1936 ou 1941 précédant l’avant-Première Guerre mondiale, le conflit et 1917, une de ses conséquences. On sautille sans arrêt d’avant 1914 à 1945 dans chaque épisode et en tous sens : il est d’autant plus impossible de reconstituer le puzzle des événement morcelés que les faits historiques sont soigneusement épurés, sélectionnés ou transformés en leur exact contraire (c’est ainsi que les perfides bolcheviques auraient attaqué la Pologne en 1920, alors que c’est Varsovie qui assaillit la Russie déjà envahie de toutes parts). On nous explique souvent que le montage d’un film est fondamental, l’escroquerie Apocalypse Staline, qui y ajoute le mensonge permanent et les ciseaux du censeur, le confirme.
La conjoncture est au surplus du côté des auteurs :
- 1. La propagande antisoviétique est depuis 1917 obsédante en France comme ailleurs en « Occident », mais elle a été infléchie pendant quelques décennies, à la fois par une fraction du mouvement ouvrier (surtout) et des intellectuels et par les circonstances, en particulier celles qui ont précédé et accompagné la Deuxième Guerre mondiale. Ce n’est plus le cas depuis les années 1990 où le mouvement ouvrier, toutes tendances confondues, s’est aligné sur les développements du Livre noir du communisme : seul défenseur de l’URSS depuis la naissance de la Russie soviétique, le PCF ne cesse depuis 1997 d’expier ses affreuses années staliniennes et de déplorer sa non-condamnation du si funeste pacte germano-soviétique. Rappelons que sa mise en œuvre offrit aux Soviets un répit de près de deux ans et leur permit de doubler les effectifs de l’armée rouge à leurs frontières occidentales (portés de 1,5 à 3 millions d’hommes). Laurent Joffrin, dans un article qui se veut nuancé sur le « bourreau » Staline, auquel cependant « nous devons beaucoup », a légitimement relevé qu’il était délicat naguère de raconter en France absolument n’importe quoi sur l’URSS mais que l’obstacle a été levé par les rapports de forces internationaux et intérieurs [6].
- 2. La liquidation de l’histoire scientifique française de l’URSS a été d’autant plus aisée depuis les années 1980 que l’offensive antisoviétique et anticommuniste s’est accompagnée d’une entreprise de démolition de l’enseignement général de l’histoire, soumis à une série de « réformes » toutes plus calamiteuses les unes que les autres. Le corps enseignant du secondaire l’a déploré, mais sa protestation n’est plus guère soutenue par des organisations autrefois combatives sur le terrain scientifique comme sur les autres. « Les jeunes gens », auxquels la casse de l’enseignement historique inflige désormais 1° la suppression de pans entiers de la connaissance, 2° l’abandon de la chronologie, sans laquelle on ne peut pas saisir les origines des faits et événements, et 3° le sacrifice des archives originales au fameux « témoignage », se sont trouvés, s’ils ont eu le courage de supporter les trois heures de ce gavage, en terrain particulièrement familier.
- 3. L’histoire scientifique relative à la Russie, anglophone notamment, est en fort développement depuis une vingtaine d’années mais elle est en général inaccessible au public français : les ouvrages idoines sont traduits dans les six mois, les autres pratiquement jamais, sauf exception. Quelques-uns de ces « trous » percés dans le Rideau de Fer de l’ignorance historique du monde russe ont été mentionnés ci-dessus. Quoi qu’il en soit, quand les ouvrages sérieux sont traduits, ils sont ensevelis dans le néant, tous médias confondus.

De l’histoire, quelle histoire ? 
Svetlana Aleksievitch, conseillère en « témoignages »

Isabelle Clarke admet qu’Apocalypse Staline ne relève pas de la catégorie de l’histoire, elle le revendique même. Elle se déclare fascinée par l’immense travail de Svetlana Alexievitch, dont l’attribution du prix Nobel de littérature d’octobre 2015 rappelle le couronnement « occidental » de l’œuvre d’Alexandre Soljenitsyne, lauréat de 1970, avec des motivations semblables. Quelles que soient ses éventuelles qualités littéraires, Mme Alexievitch n’a été promue que pour des raisons idéologico-politiques, conformément à une tradition d’après-guerre que la documentariste et historienne britannique Frances Stonor Saunders a exposée en 1999, dans un ouvrage essentiel sur la Guerre froide culturelle [7] : c’est l’intervention expresse des États-Unis, via l’action clandestine pratiquée sur les questions culturelles (comme sur les opérations politiques et même militaires) par le truchement de la CIA ou d’institutions financées par elle. Ce fut en l’occurrence via le Congress for Cultural Freedom (CCF) [8] fondé, après une série d’initiatives préalables, en juin 1950, et qui bloqua l’attribution du prix Nobel de littérature à Pablo Neruda au début des années 1960 : Neruda fut écarté en 1964, au profit de Jean-Paul Sartre, dont Washington suivait de près et appréciait les démêlés avec le PCF, mais qui eut l’élégance de le décliner [9]. Le pouvoir positif de soutien des États-Unis, depuis 1945, aux « dissidents » ou à des anticommunistes très divers a été aussi efficace que leur capacité de nuisance contre les intellectuels combattus : le Nobel de littérature a récompensé un nombre tout à fait disproportionné d’adversaires notoires du communisme en général et de l’URSS ou de la Russie en particulier : la consultation systématique est éclairante.
Isabelle Clarke se félicite du « travail de témoignage » réalisé par Svetlana Alexievitch, grâce à laquelle « les crimes communistes », jamais jugés, ont enfin pu être recensés : en l’absence d’instruction et d’accès aux faits, il a fallu compter sur les témoignages, très longs à obtenir, et autrement plus éclairants que la recherche historique. Ces témoignages égrenés au fil des trois films, jamais liés à l’établissement des faits, forment donc la trame historique du « scénario de film d’horreur ». Svetlana Alexievitch ne prétend pas, elle, faire œuvre d’historienne. Obsédée par la quête de l’Homo sovieticus, concept proclamé impossible, puisqu’on ne saurait changer les humains en changeant le mode de production, l’auteur de La Fin de l’homme rouge ou le temps du désenchantement(Actes Sud, 2013) « enregistre sur magnétophone les récits des personnes rencontrées, et collecte ainsi la matière dont elle tire ses livres : « Je pose des questions non sur le socialisme, mais sur l’amour, la jalousie, l’enfance, la vieillesse. Sur la musique, les danses, les coupes de cheveux. Sur les milliers de détails d’une vie qui a disparu. C’est la seule façon d’insérer la catastrophe dans un cadre familier et d’essayer de raconter quelque chose. De deviner quelque chose... L’Histoire ne s’intéresse qu’aux faits, les émotions, elles, restent toujours en marge. Ce n’est pas l’usage de les laisser entrer dans l’histoire. Moi, je regarde le monde avec les yeux d’une littéraire et non d’une historienne ».
Nous sommes donc avisés que ce spectacle « émotionnel » et « occidental », organisé à grand tapage par les responsables de la série Apocalypse Staline, est fondé sur de la littérature antisoviétique larmoyante, appréciée et récompensée comme telle par « l’Occident » civilisé.

Les conseillers historiques d’Apocalypse Staline 
L’Institut d’histoire sociale de Bouris Souvarine et Pierre Rigoulot

Quand on passe à « l’histoire » stricto sensu, le bilan est pire, et caractérisé par des pratiques malhonnêtes et non explicitées. Isabelle Clarke se flatte d’avoir « remis en prime time (sic) la grande histoire » et de ne pas avoir négligé l’histoire qu’elle aime moins que la littérature : elle aurait étudié tous les ouvrages « recommandés par nos conseillers historiques » : « Robert Service, Jean-Jacques Marie, Simon Sebag Montefiore » (ce dernier toujours traduit dans les mois qui suivent ses publications anglophones), dont les travaux sont caractérisés par une vision à peu près caricaturale du monstre, avec des nuances dont le lecteur de leurs travaux peut seul juger. Quels « conseillers historiques » ? On a pourtant le choix parmi les historiens français de l’URSS, presque également soviétophobes et médiatiques : aucune carrière académique n’étant depuis trente ans ouverte à un spécialiste de l’URSS soviétophile, il n’en existe pas.
Dans la rubrique « crédits » du 3e épisode, figure la mention de citation(s) d’un seul ouvrage d’historien, le Staline de Jean-Jacques Marie, spécialiste du monstre sur la base d’ouvrages de seconde main (les seules autres citations proviennent de Mme Alexievitch). Les « conseillers historiques » allégués n’ont pas été mentionnés, mais on relève, parmi les sept personnalités qui ont fait l’objet de « remerciements », juste nommées mais non présentées, un seul « historien » présumé : Pierre Rigoulot (les six autres sont artistes ou spécialistes techniques [10]).
M. Rigoulot dirige l’Institut d’histoire sociale [11], fondé en 1935 par Boris Souvarine, célèbre et précoce transfuge du communisme (1924) qui, fut, selon une tradition née en même temps que le PCF, embauché par le grand patronat français. Souvarine, trotskiste proclamé antistalinien (catégorie de « gauche » très appréciée pour la lutte spécifique contre les partis communistes [12]), fut employé comme propagandiste par la banque Worms. Il fut un des rédacteurs de la revue les Nouveaux Cahiers, fondée en 1937 en vue de la scission de la CGT, financée et tuteurée par le directeur général de la banque Jacques Barnaud, futur délégué général aux relations économiques franco-allemandes (1941-1943). La revue, qui chanta sans répit les louanges d’une « Europe » sous tutelle allemande, fut publiée entre la phase cruciale de la scission, d’origine patronale, de la CGT (n° 1, 15 mars 1937) [13], et la Débâcle organisée de la France (n° 57, mai 1940). Souvarine y voisinait avec la fine fleur de la « synarchie » issue de l’extrême droite classique (Action française) qui allait peupler les ministères de Vichy : il n’y était requis qu’en tant que spécialiste de (l’insulte contre) l’URSS et de la croisade contre la république espagnole assaillie par l’Axe Rome-Berlin [14].
Cette « petite revue jaune », qui attira bien des « collaborations », selon l’expression du synarque et ami de Barnaud, Henri Du Moulin de Labarthète, chef de cabinet civil de Pétain [15], est annonciatrice de presque tous les aspects de la Collaboration. Elle est conservée dans les fonds d’instruction de la Haute Cour de Justice des Archives nationales (W3, vol. 51, en consultation libre : régime de la dérogation générale, série complète jusqu’au n° de décembre 1938) et des archives de la Préfecture de police (série PJ, vol. 40, sous dérogation quand je l’ai consultée). Le lecteur curieux constatera que « Boris Souvarine, historien » (ainsi qualifié au 3e épisode, Staline. Le maître du monde), dans ses articles, réguliers, dresse entre 1937 et 1940 un portrait de l’URSS (et) de Staline en tout point conforme à ce que le spectateur français a appris, le 3 novembre 2015, sur le cauchemar bolchevique. Souvarine partit pour New York en 1940, y passa la guerre, et prit alors contact avec les services de renseignements alors officiellement voués à la seule guerre contre l’Axe (notamment l’Office of Strategic Services (OSS), ancêtre de la CIA, mais fort antisoviétiques. Il ne revint en France qu’en 1947 C’est le soutien financier clandestin du tandem CCF-CIA qui lui permit d’éditer et de faire triompher son Staline : en panne d’éditeur et de public de la Libération à la fin des années 1940, le chef de l’« Institut d’Histoire sociale et de Soviétologie » (définitivement reconstitué en mars 1954) accéda ainsi au statut d’« historien » que lui accorde Apocalypse Staline [16].
Deuxième « historien », non signalé comme tel, mais « remercié » dans les crédits, Pierre Rigoulot, présumé cheville ouvrière des films sur Staline, fait peser sur les trois épisodes de la série une triple hypothèque.
- 1. M. Rigoulot n’est pas un historien mais un idéologue, militant au service de la politique extérieure des États-Unis, officiellement apparenté depuis les années 1980 aux « néo-conservateurs », selon Wikipedia, qu’on ne saurait taxer d’excessive complaisance pour le communisme : aucun des ouvrages qu’il a rédigés sur l’URSS, la Corée du Nord (sa nouvelle marotte depuis sa contribution sur le sujet dans Le Livre noir du communisme), Cuba, ne répond aux exigences minimales du travail scientifique.
- 2. Faussaire avéré sous couvert de prendre la défense « des juifs », il a été, pour son ouvrage L’Antiaméricanisme(éditions Robert Laffont, 2005), condamné en diffamation par jugement de la 17e chambre du TGI de Paris, le 13 avril 2005, « ayant inventé de toutes pièces [une] fausse citation » antisémite (absente) d’un ouvrage de Thierry Meyssan, adversaire manifestement jugé sans péril.
- 3. L’IHS, que M. Rigoulot a rejoint en 1984 comme bibliothécaire, puis « chargé des recherches et publications », et dont il est le directeur, n’est pas une institution scientifique : c’est une officine de Guerre froide et, après la Libération, de recyclage des collaborationnistes de sang et/ou de plume issus de l’extrême droite classique et de la gauche anticommuniste. Cet organisme a été depuis la Libération financé par la banque Worms, le CNPF et, quasi officiellement, par la CIA. Il a été intimement lié à Georges Albertini, second de Marcel Déat déjà employé avant-guerre par la banque Worms et recyclé à sa sortie de prison (1948) dans la propagande anticommuniste et antisoviétique de tous ces bailleurs de fonds. On trouvera sur tous ces points une ample bibliographie, fondée à la fois sur les archives policières françaises (de la Préfecture de police) et sur les fonds américains qui établit la convergence de tous les auteurs [17].
Les trois volets d’Apocalypse Staline traitent, et sur le même ton haineux, tous les thèmes serinés depuis sa fondation par l’IHS, notamment ceux du Goulag (« la terreur et le goulag sont la principale activité du Politburo », in 3e épisode, Staline. Le maître du monde), dont M. Rigoulot a fait depuis 1984, date de son entrée dans cette officine, un des thèmes privilégiés de ses travaux, et de l’« Holodomor », « organisé » par Staline.

Conclusion

On pourrait proposer au spectateur de visionner, en supprimant le son de cette projection grotesque, les bandes de « rushes » (les auteurs des films prétendent avoir livré du pur document brut, particulièrement authentique, mais le film de fiction, soviétique d’ailleurs, y occupe une part non négligeable). Il percevrait ainsi immédiatement qu’on pourrait faire une toute autre histoire de l’URSS sous Staline que celle qui s’appuie sur un matériau frelaté.
Là n’est pas l’essentiel. Le service public de télévision français a une fois de plus, en matière d’histoire, bafoué les principes minimaux de précaution scientifique et ridiculisé les spectateurs français, en leur servant un brouet de pure propagande antisoviétique : il avait déjà ouvert, entre 2011 et 2013, le service public aux seuls héritiers de Louis Renault, venus se lamenter, avec ou sans historiens complices, sur la spoliation de leur grand-père quasi-résistant. Est-il normal que la société France Télévisions, financée par la redevance versée par tous les contribuables, se prête à une opération digne du « ministère de l’Information et de la Propagande » de Göbbels ? On attend le « débat » qu’impose la malhonnêteté avérée de l’entreprise. J’y participerai(s) volontiers.

[1] Atmosphère historiographique générale depuis l’ère Furet, Lacroix-Riz, L’histoire contemporaine toujours sous influence, Delga-Le Temps des cerises, 2012

[2] À propos de ce concept emprunté, non pas à l’Ukraine soviétique de l’entre-deux-guerres mais né dans la Galicie polonaise, et devenu un thème allemand et états-unien de la stratégie de scission URSS ou « Russie »-Ukraine depuis 1933, ma mise au point archivistique et bibliographique « Ukraine 1933 mise à jour de novembre-décembre 2008 », Téléchargement ; et Mark Tauger, ouvrage à paraître chez Delga en 2016 sur les famines en Russie tsariste et en Union Soviétique, dont je rédigerai la préface.

[3] « Ce jour que l’Occident préfère oublier », par Michael Jabara Carley, Traduction Sophie Brissaud, Strategic Culture Foundation(Russie), Réseau Voltaire, 4 octobre 2015.

[4] Voir aussi Lacroix-Riz, « Le rôle de l’URSS dans la Deuxième Guerre mondiale (1939-1945) », mai 2015.

[5] Voir le site sur le France2.

[6] « Staline : gros sabots contre un bourreau », Laurent Joffrin, Libération, 3 novembre 2015.

[7] Frances Stonor Saunders, Who Paid the Piper ? : CIA and the Cultural Cold War (1999, Granta). Version française : Qui mène la danse ? La CIA et la Guerre froide culturelle (Denoël, 2003).

[8] « Quand la CIA finançait les intellectuels européens » et « Les New York Intellectuals et l’invention du néo-conservatisme », par Denis Boneau, Réseau Voltaire, 27 novembre 2003 et 26 novembre 2004. « Quand la CIA finançait les intellectuels italiens », par Federico Roberti, Réseau Voltaire, 5 septembre 2008.

[9] Frances Stonor Saunders, The cultural Cold War : the CIA and the world of art and letters (New York, The New Press, 1999), p. 347-351 sur Neruda ; sur Sartre, souvent cité, index.

[10] Seuls les noms des sept sont cités, pas leur qualité : Emi Okubo est musicien ; Sonia Romero, artiste ; Karine Bach, monteuse sur France Télévisions ; Thomas Marlier, réalisateur ; Kévin Accart, assistant monteur ; Philippe Sinibaldi, gérant de société de production.

[11] « L’Institut d’histoire sociale, une officine anti-sociale », par Annie Lacroix-Riz, Réseau Voltaire, 2 novembre 2005.

[12] Frédéric Charpier, Histoire de l’extrême gauche trotskiste : De 1929 à nos jours, Paris, Éditions 1, 2002.

[13] Lacroix-Riz, Impérialismes dominants, réformisme et scissions syndicales, 1939-1949, Montreuil, Le Temps des cerises, 2015, chap. 1, et De Munich à Vichy, l’assassinat de la 3e République, 1938-1940, Paris, Armand Colin, 2008, chap. 3 et 6.

[14] Sur Jacques Barnaud, tuteur depuis 1933-1934 de l’héritier présomptif de Jouhaux René Belin, directeur de cabinet de Belin (juillet 1940-février 1941) et véritable ministre du Travail quand son pupille occupait officiellement le poste ; sur les Nouveaux Cahiers, Lacroix-Riz, Le choix de la défaite, De Munich à Vichy et Industriels et banquiers français sous l’Occupation, Paris, Armand Colin, 2013.

[15] Du Moulin de Labarthète, « La synarchie française », article publié le 25 mai 1944 dans la revue helvétique Le Curieux, sous le pseudonyme de Philippe Magne, joint au rapport de « l’inspecteur spécial » de la PJ Vilatte, chargé à la Libération de l’enquête « sur la synarchie », 1er juin 1947, PJ 40, Barnaud, APP.

[16] Roger Faligot et Rémi Kauffer, « La revanche de M. Georges » (Albertini), in Éminences grises (Paris, Fayard, 1999), p. 150 (p. 135-170) ; Emmanuelle Loyer, Paris à New York. Intellectuels et artistes français en exil (1940-1947) (Paris, Hachette, 2007) ; Peter Coleman, The Liberal Conspiracy : the Congress for Cultural Freedom and the Struggle for the Mind of Postwar Europe (New York, Free Press, 1989), index, ouvrage non traduit dans lequel Pierre Grémion, Intelligence de l’Anticommunisme : Le Congrès pour la Liberté de la Culture à Paris 1950-1975 (Paris : Fayard, 1997), a très largement puisé ; Lacroix-Riz, « La Banque Worms et l’Institut d’histoire sociale » et « Des champions de l’Ukraine indépendante et martyre à l’institut d’histoire sociale ».

[17] N. 10, et Jean Lévy, Le Dossier Georges Albertini. Une intelligence avec l’ennemi (L’Harmattan-Le Pavillon 1992) ; Charpier, Génération Occident (Paris, Seuil, 2005) ; La CIA en France : 60 ans d’ingérence dans les affaires françaises (Paris, Seuil, 2008) ; Les valets de la Guerre froide : comment la République a recyclé les collabos, (Paris, François Bourin éd., 2013) ; Benoît Collombat et David Servenay, dir., Histoire secrète du patronat : de 1945 à nos jours (Paris, La Découverte, Arte éditions, 2e édition, 2014, dont article de Charpier) ; Lacroix-Riz, tous les op. cit. supra ; Saunders, op. cit., etc.

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Iniziative e testi di e con Manlio Dinucci

* Bari 19/11: Presentazione del libro di Manlio Dinucci "L’arte della guerra"
* Indice del libro / Nota di redazione di Jean Toschi Marazzani-Visconti / Prefazione di Alex Zanotelli
* Pinotti, droni e padri padroni (Manlio Dinucci e Tommaso Di Francesco sul Manifesto dell'8/11/2015)
* Nato, il tabù della sinistra (Manlio Dinucci sul Manifesto del 10/11/2015)

Vedi anche: 

La guerra è alle porte: Manlio Dinucci e Jean Toschi Marazzani Visconti a Milano, 23 Ottobre 2015
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=9pHPUZLkpKI

Intervento di Manlio Dinucci per il Comitato No Guerra No NATO a Roma, 26 Ottobre 2015
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=Uuc_CI8n1HM


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Da: andrea catone <andreacatone2013  @gmail.com>
Data: 6 novembre 2015 16:34:14 CET
Oggetto: I: Bari, giovedì 19 novembre. Con Manlio Dinucci: L’arte della guerra. Analisi della strategia USA/NATO (1990-2015)

  

associazione politico-culturale Marx XXI

II strada priv. Borrelli 34 – 70124 Bari

marx.xxi.bari@...

Giovedì 19 novembre

Ore 18.00 - Via Borrelli 32 – Bari

 

Presentazione del libro di Manlio Dinucci

L’arte della guerra

Analisi della strategia USA/NATO (1990-2015)


Prefazione di Alex Zanotelli

Nota redazionale di Jean Toschi Marazzani Visconti

Zambon editore, 2015, pp. 550, euro 18,00

 

Ne discutono con l’autore

 

Andrea Catone

condirettore della rivista MarxVentuno

 

Antonello Rustico, Pax Christi 

 

Michele De Luisi


Coordinamento nazionale Giovani comunisti, per la Costituente comunista

 

Proiezione del video (7’) dell’intervento di Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Corte di Cassazione, al Convegno No Guerra No Nato (Roma, 26 ottobre 2015).

 

 

INFO: 345 4114728

Il libro è disponibile anche presso la sede delle edizioni MarxVentuno, II strada privata Borrelli 34.

 

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IIl titolo del libro, L’Arte della guerra, si richiama al classico di teoria militare dell’antica Cina, attribuito al generale e filosofo Sun Tzu vissuto fra il VI e il V secolo a.C., considerato uno dei più importanti trattati di strategia di tutti i tempi. L’antico manuale insegna che la guerra, di somma importanza per lo Stato, deve essere combattuta non solo sul campo di battaglia e per ottenere la vittoria occorrono tre strumenti: politico, diplomatico e militare. Particolarmente importanti, in tale quadro, l’inganno, la corruzione, lo spionaggio, le operazioni segrete, la capacità di provocare dissensi in campo nemico. Assolutamente contemporaneo dopo venticinque secoli, questo testo viene ancora studiato nelle accademie militari e anche nelle grandi scuole di business. L’antica arte della guerra conserva quindi la sua tragica attualità.

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Manlio Dinucci giornalista e saggista, ha vissuto e lavorato a Pechino negli anni Sessanta, contribuendo alla pubblicazione della prima rivista cinese in lingua italiana e alla diffusione delle Lettere dalla Cina della giornalista statunitense Anna Louise Strong. Sulla base di tale esperienza ha pubblicato, con Mazzotta editore, La lotta di classe in Cina / 1949-1974 (1975) e Economia e organizzazione del lavoro in Cina (1976). Negli anni Ottanta, ha diretto la rivista Lotta per la pace (nata dall’«Appello contro l’installazione dei missili nucleari in Italia», lanciato nel 1979 da Ludovico Geymonat e altri) ed è stato direttore esecutivo per l’Italia della International Physicians for the Prevention of Nuclear War, associazione vincitrice del premio Nobel per la pace nel 1985. Coautore, con Tonino Bello e altri, di Fianco Sud/Puglia, Mezzogiorno, Terzo Mondo: rapporto sui processi di militarizzazione (Piero Manni, 1989). Coautore, col premio Nobel per la Medicina Daniel Bovet, di Tempesta del deserto/Le armi del Nord, il dramma del Sud, con la presentazione di Ernesto Balducci (Edizioni Cultura della Pace, 1991). Con la stessa casa editrice ha pubblicato Hyperwar. Dalla “iperguerra” del Golfo alla Conferenza sul Medio Oriente (1991) e La strategia dell’impero/Dalle direttive del Pentagono al Nuovo Modello di Difesa (1992), scritto con U. Allegretti e D. Gallo e presentato da R. La Valle. Autore de L’oro e la spada/Imperi economici e guerre di conquista nell’era del capitale globale (Comitato Golfo, 1993). Autore de Il potere nucleare / Storia di una follia da Hiroshima al 2015 (Fazi Editore, 2003). Coautore, con A. Burgio e V. Giacché, di Escalation/Anatomia della guerra infinita (DeriveApprodi, 2005). Collaboratore de il manifesto, con articoli e la rubrica settimanale «L’arte della guerra». È anche autore di testi scolastici di geografia umana. 

 

 

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Indice

 

Nota di redazione (Jean Toschi Marazzani Visconti)                         7

Prefazione (Alex Zanotelli)                                                               15

 

1990-1999

 

1- Golfo: la prima guerra del dopo guerra fredda                              21

2- Il riorientamento Usa/Nato per nuove guerre                                77

3- Jugoslavia: la seconda guerra del dopo guerra fredda                   127

 

 

2000-2009

 

4- La «guerra globale al terrorismo»                                                  173

5- Afghanistan: la terza guerra del dopo guerra fredda                      201

6- Iraq: la quarta guerra del dopo guerra fredda                                241

 

 

2010-2015

 

7- Libia: la quinta guerra del dopo guerra fredda                              303

8- Siria: la strategia delle guerre coperte                                            353

9- Ucraina: la nuova guerra fredda                                                    435

10- Corsa agli armamenti verso la guerra nucleare                            499

 

Bibliografia                                                                                        543

 

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Nota di redazione di Jean Toschi Marazzani-Visconti

 

Il titolo del libro, L’Arte della guerra, come quello dell’omonima rubrica che l’autore pubblica su il manifesto, si richiama al classico di teoria militare dell’antica Cina, attribuito al generale e filosofo Sun Tzu vissuto fra il VI e il V secolo a.C., considerato uno dei più importanti trattati di strategia di tutti i tempi. L’antico manuale insegna che la guerra, di somma importanza per lo Stato, deve essere combattuta non solo sul campo di battaglia e per ottenere la vittoria occorrono tre strumenti: politico, diplomatico e militare. Particolarmente, importanti, in tale quadro, l’inganno, la corruzione, lo spionaggio, le operazioni segrete, la capacità di provocare dissensi in campo nemico. Assolutamente contemporaneo dopo venticinque secoli, questo testo viene ancora studiato nelle accademie militari e anche nelle grandi scuole di business. L’antica arte della guerra conserva quindi la sua tragica attualità.

In quest’ottica Manlio Dinucci ha per anni pubblicato settimanalmente sul manifesto un commento sugli avvenimenti del momento cercando di chiarire ai suoi lettori le strategie e le operazioni belliche nascoste.

L’editore Zambon ha pensato di riunire tutti questi testi e altri dell’autore in un volume.

 

Il sottotitolo Annali della strategia USA/Nato (199012015) indica il percorso scelto attraverso il materiale raccolto in questi venticinque anni; la strategia americana nel mondo e l’impiego della NATO in operazioni dii sostegno e affiancamento. Ogni capitolo è annunciato da una citazione, liberamente tradotta, di Sun Tzu che ne guida il significato.

 

Il testo ha una cadenza temporale e tematica: per decennio e per accadimenti. Questo permette al lettore di sfogliare gli annali e scoprire la struttura degli avvenimenti futuri attraverso il passato recente in una sequela consequenziale che conduce a una realtà inquietante. Perché quello, che potrebbe succedere oggi, era già nella logica degli avvenimenti trascorsi. E il risultato è straordinario.

 

Il primo degli annali raccontai fatti dal 1990 al 2000 ed è diviso in tre capitoli. Golfo: la prima guerra del dopo guerra fredda, parla della guerra all’Iraq nel 1991, le premesse e lo svolgimento di quella che è stata denominata hyperwar, la guerra chirurgica con perdite umane zero. Da navi alla fonda in mari lontani, da basi remote un computer puntava e un razzo colpiva l’obiettivo. Vengono impiegati cacciabombardieri B 52 a lungo raggio, compaiono i droni. Gli Stati Uniti reduci dalla sconfitta in Vietnam, dove la perdita di uomini e d’immagine era stata molto pesante, non volevano sacrifici. Non un soldato doveva morire. Le notizie erano trionfali, rassicuranti. Ma trascuravano che l’uranio impoverito avrebbe avuto conseguenze letali anche sulle loro truppe e su quelle degli alleati. La sindrome del golfo è stata per anni sottovalutata se non rinnegata.

 

Con la caduta del Muro di Berlino, gli Stati Uniti si trovano a essere l’unica potenza mondiale e la NATO, sciolto il Patto di Varsavia, cerca un diverso impiego. La guerra fredda è terminata, l’Unione Sovietica non esiste più. Il secondo capitolo, Il riorientamento USA/NATO per nuove guerre, inizia con una dichiarazione del presidente Bush senior che traccia la nuova strategia statunitense e sostiene che nel nuovo ordine mondiale la leadership americana è indispensabile. Gli obiettivi politico-militari della nuova strategia statunitense sono enunciati nella National Security Strategy of the United States. Dinucci spiega documentatamente le direttrici strategiche regionali, il nuovo concetto strategico della NATO, il duplice ruolo della UEO, la posizione politico militare italiana e sua collocazione geostrategica.

 

Un’altra conseguenza della caduta del Muro, sarà la disintegrazione della Jugoslavia, non più utile cuscinetto fra Est e Ovest, corrotto da facili e − come si vedrà − pericolosi prestiti di milioni di dollari. In questa circostanza gli Stati Uniti vedono di buon occhio l’alleata Germania prendersi una rivincita sulla Serbia, colpevole di aver trattenuto con gli attacchi partigiani le divisioni tedesche dal fronte russo e accettano che estenda la sua influenza, in modo controllato, su Slovenia e Croazia. Importante è l’eliminazione degli ultimi bolscevichi. Accontentano le ambizioni della Turchia e dei paesi arabi petrolieri, appoggiando i Serbi musulmani, i Bosgnak secondo denominazione inventata, in Bosnia-Erzegovina, ma soprattutto sperimentano nuovi sistemi e tecniche di disinformazione, di divisione e frammentazione degli Stati che saranno impiegate in seguito. 

Jugoslavia: la seconda guerra del dopo guerra fredda parla di quest’argomento, dell’uso dell’embargo come arma di pressione sulla popolazione. Le presunte ragioni umanitarie e le stragi inventate in Kosovo sono la ragione ufficiale per bombardare secondo un piano prestabilito. Stati Uniti e NATO impiegano nuovi ordigni: bombe a grappolo, a uranio impoverito, alla grafite (deflagrando a 500/1000 d’altezza assorbono tutta l’elettricità di una vasta area sottostante). Dieci giorni dopo la firma della pace di Kumanovo, gli Stati Uniti acquisiscono un vasto terreno in Kosovo, dove sorgerà la più grande base americana in Europa: Bondsteel Camp. Quest’acquartieramento segue l’utilizzazione del grande aeroporto sotterraneo di Tuzla (voluto da Tito nel 1948 dopo la rottura con l’Unione Sovietica) al territorio musulmano della Federazione croato-musulmana in BiH. La NATO è formalmente incaricata di peace-keeping nei Balcani e viene rafforzata in Europa quale canale dell’influenza e della partecipazione statunitensi negli affari della sicurezza europea.

 

Il decennio 2000/2009 conta tre capitoli che trattano della posizione degli USA in un mondo senza rivali, unici arbitri di pace e di guerra. La guerra “globale a1 terrorismo”: l’attentato dell’11 settembre alle torri del World Trade Center di New York sono “atti di guerra” dichiara George W Bush ai membri della Camera e del Congresso. E prepara il terreno militare, politico e psicologico all’azione militare. Il Consiglio Nord Atlantico si allinea affermando che si tratta di un’azione che rientra nell’articolo 5 contro “un nemico che si nasconde nell’ombra”. In una relazione diffusa dopo gli attacchi, Dinucci descrive le falle della versione ufficiale della distruzione delle torri. Bush è solo al comando con il suo staff di persone tutte legate in modi diversi alle holding del petrolio e di conseguenza delle armi. I mujaheddin afgani, armati dalla CIA contro la Russia, Osama ben Laden e al Qaeda si trasformano, da preziosi alleati-mercenari, in “nemici oscuri”.

 

Afghanistan; la terza guerra del dopo guerra fredda: la decisione di dislocare forze in Afghanistan, quale primo passo per estendere la presenza militare statunitense nell’Asia centrale. Oggi ci concentriamo sull’Afghanistan ... Qualsiasi governo sponsorizzi i fuorilegge diventa egli stesso assassino ... Bush si prepara a una guerra di lunga durata. L’operazione americana Libertà duratura scavalca, nella prima fase, la NATO e opera per sottrarre alla Russia l’esportazione di gas naturale e petrolio dalle zone del mar Caspio. Il complesso militare-industriale americano fa ricchi guadagni con la guerra in Afghanistan. Affiora la presenza italiana nella costruzione delle bombe. La NATO è a Kabul con un mandato robusto, però nessuno ha assistito a una investitura dell’ONU. I prigionieri e le torture: l’Italia si occupa della costruzione e riabilitazione di infrastrutture, carceri e tribunali.

 

Iraq: la quarta guerra del dopo guerra fredda. A causa dell’embargo muoiono oltre cinquantamila bambini all’anno. A questi decessi si aggiungono le vittime dell’Uranio Impoverito impiegato nel 1991. Un piano programmato e mortale. L’Iraq è sotto controllo da parte dei paesi con maggiori interessi nel petrolio, ma le riserve energetiche irachene diventano per gli Stati Uniti un obiettivo urgente per la scarsità di forniture energetiche interne. La teoria del PNAC (Project for a New American Conception), formulata da un gruppo di intellettuali legati al Partito repubblicano, già dal 1997 influenza la politica USA. La loro dottrina prevede di stabilire una presenza strategica militare in tutto il mondo attraverso una rivoluzione tecnologica in ambito militare, scoraggiare l’emergere di qualsiasi super potenza competitiva, lanciare attacchi preventivi contro qualsiasi potere che minacci gli interessi americani. Il piano per attaccare l’Iraq è pronto da un anno. Si tratta non solo di attaccare, ma di occupare l’Iraq. Viene trafugato e manipolato il rapporto sulle armi chimiche consegnato da Bagdad alle Nazioni Unite. Bush comunica che qualsiasi cosa decida il Consiglio di sicurezza annuncerà che l’Iraq ha violato la risoluzione delle NU che richiedeva di dichiarare tutte le armi. Invaso l’Iraq, le cose non sono semplici e le perdite di soldati statunitensi si aggravano, Bush si trova in un pantano e non riesce a ottenere dall’ONU più soldati e più soldi per controllare il paese. Riappare il fantasma del Vietnam e l’immagine degli Stati Uniti viene infangata dalle immagini delle torture nella prigione di Abu. Graib e in altri luoghi. Crolla il castello di menzogne è intitolato un sotto capitolo che spiega in un rapporto della NSCT come Al Qaeda non è più il principale nemico … ma un movimento transnazionale di organizzazioni, reti e individui terroristi... che sfruttano l’Islam e usano il terrorismo per fatti ideologici. L’attacco al Libano diventa un’immagine speculare di quanto potrebbe succedere con l’Iran. Anche qui come a Falluja viene impiegato il fosforo bianco e nuove anni anche a Gaza. Mentre Israele si esercita all’attacco nucleare contro l’Iran, i leader del G8 denunciano i rischi di proliferazione posti dal programma nucleare iraniano.

 

Il periodo 2010-2015 mostra una forte accelerazione. Il quinquennio è diviso in quattro capitoli. Libia: la quinta guerra del dopoguerra fredda: il capitolo inizia con un articolo sulla nuova spartizione dell’Africa. Il braccio di ferro fra USA e Cina. L’insorgere delle primavere arabe è la scusa per inscenare una presunta insurrezione libica. Vi è una possibilità di un intervento militare USA/NATO per fermare il bagno di sangue. Il Consiglio di sicurezza autorizza a prendere tutte le misure necessarie. Gli Stati Uniti dirigono l’operazione nell’ombra. Conosciamo il seguito di cui stiamo pagando le conseguenze. L’Italia era al primo posto nelle importazioni libiche.

 

Siria e la strategia delle guerre coperte. L’eliminazione di Osama Ben Laden ottenuta con l’impiego di una comunità d’intelligence. Si parla di servizi con licenza di uccidere. L’impiego della disinformazione per far cadere la Siria. L’uscita delle truppe americane dall’Iraq lascia una catastrofe umana e sociale. Per non impiegare militari in Afghanistan, come già in Iraq, assumono mercenari, denominati contractors, dipendenti da società associate a importanti holding diversificate. L’interesse statunitense per il Sud Sudan si risveglia per l’esistenza di giacimenti petroliferi. L’Accordo di sicurezza bilaterale USA/Afghanistan permette agli Stati Uniti di mantenere le basi sotto bandiera afgana. L’Ocean Shield composto di navi da guerra e supporto aereo ha la missione di contrastare la pirateria lungo le coste e al largo del Corno d’Africa. La strategia del Grande oriente di Obama mira a sfidare la Cina e la Russia.

 

Ucraina: la nuova guerra fredda. Le basi europee si svuotano di truppe statunitensi fisse per riempirsi di maggiori forze rotanti. La NATO compie sessantatré anni e ha nuovi compiti, non solo militari, ma economici. La potenza della Cina e la sua avanzata economica infastidiscono gli Stati Uniti. La Russia di Putin è nuovamente temibile e Mosca si oppone allo scudo antimissile. Gli Stati Uniti e la NATO aumentano la pressione sulla Russia con esercitazioni ai suoi confini. La NATO riesce a tessere una rete di legami con le forze armate ucraine. La guerra per il controllo dell’Ucraina inizia con un operazione di guerra psicologica. Il plotone dei caschi blu di Maidan, organizzato e addestrato da un uomo d’affari israeliano, applica le tecniche di combattimento di Gaza in Ucraina. Dopo le sanzioni europee Putin firma accordi bilaterali con la Cina, non solo in campo economico. La tecnica collaudata del casus belli dell’aereo malese ricorda altre provocazioni preludio ad altri casi che precedevano un attacco bellico. Con il coinvolgimento della NATO su due fronti si è ritornati a una situazione più pericolosa di quella della guerra fredda. Putin rinnova l’alleanza con la Cina e gli USA si allarmano. La Russia rinuncia all’oleodotto South Stream, perché gli USA obbligano la Bulgaria a impedirne il passaggio. L’addestramento dei neonazisti ucraini ri­entra nell’iniziativa del Dipartimento di Stato. Infine il tentativo di cancellare la storia della seconda guerra mondiale.

 

Corsa agli armamenti verso la guerra nucleare. La corsa agli arm


(Il testo originale, in lingua italiana:
Stevan Mirković, Veljko Kadijević e lo jugoslavismo intransigente
di A. Martocchia, segretario Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS – 3 ottobre 2015

 

Stevan Mirković, Veljko Kadijević i beskompromisni jugoslavizam

 

A. Martocchia, sekretar ItalijanskeKoordinacije za Jugoslaviju (CNJ ONLUS)

3.10.2015.

 

 Dana 1.10.2015. održao se u Beogradu sprovod druga i prijatelja Stevana Mirkovića (Valjevo 27.10.1927 – Beograd 26.09.2015).

Partizan na Sremskom frontu, zatim general-pukovnik Jugoslavenske narodne armije, komandant Treće armije, i načelnik Generalštaba JNA, “Stevo” je i nakon umirovljenja i raspada države, nastavio aktivnu borbu za spasavanje Jugoslavije kritikujući politiku podjele, čiji su korenipoticali iz inozemstva a koju su sprovodili izdajnici u raznim republikama. Sve do kraja svoga života Stevo je ostao jugoslavenski patriota, antifašist, komunist i internacionalist, osjetljiv na velika pitanja našega vremena, što potvrđuju mnoge teme kojima se bavio zadnjih godina.

Okončao je svoju vojnu karijeru najprestižnijom funkcijom  načelnika Generalštaba JNA (1987–1989), u vreme kada je federativna i socijalistička Jugoslavija propadala u krizi koja se pretvorila u bratoubilački rat, dok se Savez komunista, čiji je bio član već od godine 1944. – raspala.

Uvođenjem multipartijskog sistema, Mirković je sudjelovao u osnivanju novog "Saveza komunista, Pokreta za Jugoslaviju" (SK-PJ), ali ubrzo, nakon spajanja SK-PJ sa Jugoslavenskom udruženom levicom (JUL) Mire Marković, Stevan napušta organizaciju kao beskompromisni zastupnik jugoslavističkih i antikapitalističkih stavova, u kontinuitetu sa vrijednostima iz Titova razdoblja i čuvajući Titov lik kaosimboličan i idejni uzor.

Mirkovićevo jugoslavenstvo odnosilo se na državu "od Vardara do Triglava", budući da je bio i ostao  pobornik Jugoslavije svih Jugoslavena, nasuprot "realističkom" ili "minimalističkom" jugoslavenstvu JUL-a i socijalista, po kojima su Jugoslaviju mogli sagraditi samo oni "koji u njoj žele ostati", a to se odnosilo na Srbe... Ali utvrditi  ko "stvarno" želi biti unutar ili van Jugoslavije u vremenu medijske manipulacije i ratne dezinformacije, bila je nemoguća i besmislena misija, kao što je bila i ostaje nemoguća i besmislena svaka "pravedna" granična demarkacija između raznih jugoslavenskih naroda. Mirković je neprestano ponavljao: Uzmite kao primjer Srbe, koji su u SFRJ po Ustavu bili "konstitutivan narod" i to ne samo u Srbiji, nego i u Hrvatskoj i Bosni... a danas su ipak svugdje "stranci" (možda čak i u samoj Srbiji). Ni jedan narod cijepanjem  nije stekao pravu domovinu, nitko ne živi u unitarnoj državi, nego su svi podijeljeni unutar novih prokletih granica! Kako se dakle pomiriti sa "činjenicama" secesija? – prebacivao je Mirković ljevicama u vladi.

   

Kadijevićev slučaj i JNA kao poslednja nada

Taj Mirkovićev stav moguće je uporediti sa stavovima koje je zastupao poslednji Savezni sekretar za Narodnu odbranu SFRJ, Veljko Kadijević, koji je u februaru-martu 1991. pokušao uvjeriti najviše državne rukovodioce u neophodnost uvođenja izvanrednog stanja, kako bi se onemogućilo djelovanje secesionističkih milicija i spriječio raspad Federativne Republike. Na sastanku na Topčideru u prisustvu svih šest predsjednika Republika i autonomnih pokrajina, predsjednika Federacije i najviših vojnih kadrova, Kadijević je tvrdio da bi uvođenjem vanrednog stanja blagovremeno trebalo zaustaviti paravojne formacije prisutne u državi, koje su podržavali vanjski i unutrašnji neprijatelji. I pored toga što je Kadijevićeva teza bila potkrijepljena argumentovanim i pouzdanim dokazima, ne samo političkim ili subjektivnim,  – na primjer skandal  iz 1990., kada su tajne službe snimile sastanak Hrvatskog ministra odbrane Martina Špegelja koji je  imao učešća u tajnoj nabavci oružja sa Zapada preko Mađarske u organizovanju borbe protiv JNA – ishod glasanja je bio negativan: stavljen je veto, "posle dugih i teških diskusija, tokom kojih je Stipe Mesić stalno bio na vezi sa Franjom Tuđmanom, Makedonac Vasil Tupurkovski 'sa američkom ambasadom u Beogradu' [sic], a Janez Drnovšek sa Milanom Kučanom" (Tanjug 07.10.2007). Uz to, i predstavnik Srbije je imao slabu poziciju: Borislav Jović je praktički odgodio svoju odluku pravdajući to potrebom da se konsultuje sa SSSR-om, što je međutim rezultiralo neuspjehom. U Kadijevićevom prisustvu je Jazov u Moskvi telefonom razgovarao sa poslednjim predsjednikom SSSR-a Mihailom Gorbačovom, koji nije želeo da primi Kadijevića, kao ni šest mjeseci prije toga. "Odgovori su bili negativni i svodili su se na to da na podršku SSSR-a ne možemo računati", rekao je Kadijević i dodao da je odgovor "bio neprijateljski i da je Gorbačovljeva politika prema Jugoslaviji bila destruktivna".                                                                                                                       

Odluka da se ne uvede izvanredno stanje u tom trenutku pokazat će se ubitačnom greškom koja će usloviti sudbinu Federativne Socijalističke Republike. Izvesno je da je Jugoslavija tada imala mnogo nemilosrdnih vanjskih neprijatelja, počev od SSSR-a do NATO-a koji je možda bio spreman da izvrši napad na Beograd, ali na kraju krajeva nije izbjegnut jedan drugi rat, puno bolniji, bratoubilački rat. Tu grešku neće nikada oprostiti  vojnici starog kova, patriote kao što su bili Veljko Kadijević i Stevan Mirković. Uslijedili su i drugi prijedlozi o "državnom udaru", a jedan je predviđao čak i Gedafijevo posredovanje (Tanjug 07.10.2007.), mada je već bilo prekasno, i rizično jer je postojala realna opasnost izbijanja građanskog rata između samih Srba. Ono što će uslijediti, bilo je prihvatanje činjeničnog stanja.

Nekoliko mjeseci kasnije Kadijević će morati prekinuti suradnju s rukovodstvom Srbije i Crne Gore,  zbog  realističke i defetističke linije koju je zastupalo. Prihvatanjem otcepljenja Slovenije i Hrvatske, "srpski narod se deli i svodi na nacionalnu manjinu izlaženu opasnosti uništenja". U istom intervjuu 2007. godine Kadijević je dakle, kritizirao Miloševića i predsjednika Predsjedništva SFRJ Jovića: "Već tada su vodili dvostruku igru prema Srbima u Bosni, Hercegovini i Hrvatskoj". Kadijević "tvrdi da mu je Milošević, kada su počeli sukobi u Sloveniji i Hrvatskoj, predlagao da se JNA povuče sa svih teritorija na kojima joj 'pucaju u leđa'. Kadijević navodi kao primer zahtev vojske  da joj se upute dve pešadijske brigade, jedna iz Srbije a druga iz Crne Gore, kako bi se razoružale slovenačke snage, čemu su se predstavnici Srbije i Crne Gore u Predsedništvu SFRJ usprotivili". Jović je "'bio glavni akter distanciranja Srbije od Srba s one strane Drine i Une', smatrajući da 'jedni i drugi Srbi' nemaju ničeg zajedničkog osim imena. 'Srpski narod je stoga uništen, definitivno pobeđen i na taj način podjeljen”, smatrao je Kadijević. 

Oktobra 1991, su mu s jedne strane nudili mjesto Predsjednika Federacije i čak mogućnost izvršenja kvazi državnog udara protiv eventualnih unutrašnjih neprijatelja nove mini-Federacije, s druge je bio izložen pritisku da prihvati nove unutrašnje granice nametnute od strane Evropske Zajednice i NATO-a. Pošto se protivio tom cenkanju, Kadijević je napustio poziciju Saveznog sekretara za Narodnu odbranu 6. januara 1992., t.j. samo nekoliko dana prije zloglasnog međunarodnog priznanja "nezavisnosti" Slovenije i Hrvatske.

Kadijević je, kao i Mirković, nedavno, 2. novembra prošle godine preminuo i to u Moskvi, gdje se nalazio u egzilu. Rođen kod Imotskog 21.11.1925, od oca Srbina i majke Hrvatice, kao vrlo mlad postao je partizan, a zatim je u vojsci dostigao najviše funkcije. U trenutku samoproglašenja neovisnosti Slovenije i Hrvatske bio je na poziciji Saveznog ministra obrane SFRJ-a. Zbog toga ga je hrvatski režim kasnije optužio za ratne zločine, tako da je za njim bila izdata Interpolova poternica, dok Haški Tribunal/MKSJ nije ikad izdao nalog za njegovo hapšenje.  2001, nakon prozapadnog državnog udara u Srbiji, odlučio je da traži politički azil u Rusiji, od koje je 2008. dobio i državljanstvo.

Pred optužbama iz Zagreba, Veljko Kadijević je uvijek branio svoje postupke, navodeći da je JNA bila u obavezi da odgovori na akcije neoustaških formacija. U autobiografiji objavljenoj na srpskohrvatskom 2010. – Kontraudar. Moj pogled na raspad Jugoslavije – optužio je vrlo detaljno i obiljem dokaza prije svega SAD i Njemačku zbog njihovog doprinosa raspadu Jugoslavije i pogoršanju ratnih sukoba devedesetih.

 

Stevan Mirković, odnosno drama jednog vizionara

Za razliku od Kadijevića, kao da je prst sudbine odlučio, Stevan Mirković nije imao nikakvu vojnu ili političku funkciju u najgorim trenucima jugoslavenske krize; ali i da je bilo drugačije, izvjesno je da njegov stav ne bi bio bitno drugačiji od Kadijevićevog. Upoznali smo dakle Mirkovića u ulozi običnog, ogorčenog i oštrog komentatora tragičnih događaja s početka devedesetih godina. Naša suradnja s njim je započela odmah: najprije je učestvovao kao telefonski gost u emisiji "Jugoslavenski glas" na Radio Città Aperta, zatim je sudjelovao u Rimu na Mitingu mira i prijateljstva među naroda nekadašnje klanice (1993). Narednih godina smo ga posjećivali u Beogradu gdje bismo skupljali njegove izjave i tekstove, koje smo prevodili i širili koliko su to dopuštala naša mizerna sredstva.

1997. godine Mirković se zalagao za "obnovu" Saveza komunista Jugoslavije, koja se u septembru pojavila i na političkim izborima, dobivši 6786 glasova (1,64%), zavidan rezultat u kontekstu prilične fragmentacije komunističkih političkih snaga. Mjesec dana nakon toga bili smo u Beogradu na međunarodnoj demonstraciji protiv NATO pakta, koju je organizovao novi SKJ, zajedno s bivšim Glasom radnika. Kao mnogo puta prije toga, Mirković nas je ugostio u svojem domu, na čijem balkonu do današnjeg dana visi zastava SFRJ-a.

Iste godine osnovano je kulturno udruženje "Centar Tito", koje je sljedećih godina trebalo da animira proslave vezane za lik Josipa Broza, posebno povodom "kanoničnih" godišnjica (4. maj – smrt – i 25. maj – Dan mladosti) i da sudjeluje u široj mreži "Društava Josipa Broza Tita" osnovanih u svim bivšim federalnim republikama.

Neslaganja i podjele unutar antikapitalističke ljevice nisu  specifične isključivo za italijansku realnost: i u Srbiji je situacija danas veoma teška, zbog oštre podjele između titoističke i "kominformističke" frakcije (vjerne SSSR-u, Lenjinu i Staljinu) koju zastupa Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ), kao temeljno organizirana politička partija nenaklonjena ustupcima u izbornim koalicijama.

U ovom kontekstu bremenitom subjektivizmima i poteškoćama, dok se i u drugim Republikama pokušavalo organizirati komunističku političku aktivnost, Mirkovićeva organizacija je promijenila naziv i postala "Savez komunista Jugoslavije u Srbiji" (SKJ u Srbiji).

Godine su prošle donoseći puno gorčine: najprije bratoubilački rat, nakon toga NATO agresija protiv onoga što je ostalo od Jugoslavije, napokon građanska, kulturna i politička dekadencija u Srbiji, ubrzana uspostavljanjem prozapadnog režima. Mirković je uvijek igrao ulogu portparola, nepoželjnu i nezavidnu ali ipak neophodnu i još uvijek potrebnu. Bio je vrlo strog kritičar svih vlada u zadnjih 25 godina: od socijaldemokratskih iz Miloševićeva doba do nacional-liberalne desnice još uvijek na vlasti, poslije državnog udara oktobra 2000.

Njegova se kritika ljevici u vladi (1991-2000) temeljila na pozicijama koje su bile radikalno suprotne tobožnjim "demokratskim" opozicijama omiljenim na Zapadu. Mirković se suprostavljao retoričkom samo prividno patriotskom nazionalizmu, a prije svega je pobijao postepeno ukidanje glavnih postignuća jugoslavenskog socijalizma, počev od radničkog samoupravljanja sredstvima za proizvodnju.

Tokom bombardiranja 1999, koje je predstavljalo šok za sve političke subjekte u Srbiji, Stevan se usprotivio svakoj kapitulaciji po pitanju Kosova kao kulturnog i povijesnog srca "male domovine" Srbije,  kao i teritorije ogromne strateške vrijednosti zbog prirodnih bogatstava i znatnih proizvodnih pogona koji su bili plod rada generacija Jugoslavena.

Nakon "zaokreta" 2000, Mirkovićev kritički stav prema novom režimu nije se bitno izmenio. Nastavljala se borba protiv privatizacije, ali iznad svega bilo je potrebno povisiti glas protiv revizionističkog, pročetničkog, monarhističkog i u suštini profašističkog trenda na snazi u ovoj državi koja je već bila talac NATO-a. Mirković je stajao u prvom redu uvijek ali prije svega kad je trebalo podsjetiti na tekovine Narodno-oslobodilačke borbe, odbraniti i odati počast sjećanju na pale drugove, na ključne trenutke u stvaranju Titove Jugoslavije ili nepokolebljivo odbraniti lik Josipa Broza, neprestano izložen napadima i klevetama.

Sa simboličke tačke gledišta izuzetno ozbiljna bila je - za sve bivše borce kao što su Mirković i militantni antifašisti pa i autor ovih redova -, povijesna i sudska rehabilitacija Dragoljuba "Draže" Mihajlovića, bivšeg jugoslavenskog generala i četničkog vođe. Tokom Drugog svjetskog rata, ubeđeni antikomunista, Mihajlović se opredijelio za savez s talijanskim fašistima pa čak i sa hrvatskim ustašama, umjesto da se bori rame uz rame s Titovim partizanima, što je doprinijelo da narednih decenija postane simbol izdaje.

U Srbiji kojom vladaju izdajnici, utemeljitelj izdajnika Domovine nije mogao da ne bude rehabilitiran. Dosljedni i savršeno čisti ljudi kao što je bio Stevan Mirković, zajedno sa srpskim partizanskim pokretom (SUBNOR), jedini su jasno i glasno digli svoj glas protiv takve sramote, koja liči na druga i slična uništavanja povijesnog sjećanja na snazi ovih godina na Balkanu, u cijeloj Evropi i u samoj Italiji.

   

Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju, koja za svoje postojanje puno duguje idealnoj inspiraciji i humanom primjeru Stevana Mirkovića, izražava najiskrenije saučešće obitelji, drugovima iz Srbije i Stevinimštovateljima, raspršenim  širom Jugoslavije. Jedan partizan nas je napustio, rodiće se stotinu novih! Hvala Stevo! Borba se nastavlja!