France2 a diffusé, le 3 novembre 2015, un documentaire remarquable à la fois par la qualité de sa réalisation et par sa malhonnêteté intellectuelle. Sous le titre Apocalypse Staline, il s’agissait d’accuser le « petit père des Peuples » de tous les crimes et de l’assimiler à Hitler. Le professeur émérite Annie Lacroix-Riz, historienne du XXe siècle de réputation internationale, réagit à cet incroyable bourrage de crâne.
Informazione
Svakog drugog utorka u 16:30 sati, na Radio Città Aperta (valu FM 88.9 za regiju Lazio), emisija "Jugoslavenski glas". Emisija se može se pratiti i preko Interneta: http://radiocittaperta.it/
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Ogni martedì alle ore 16:30 su Radio Città Aperta (FM 88.9 per Roma ed il Lazio) va in onda la trasmissione radiofonica "Voce jugoslava". La trasmissione può essere ascoltata, come del resto tutte quelle della Radio, anche via Internet: http://radiocittaperta.it/
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Inizio messaggio inoltrato:Da: "momotombo"Data: 16 novembre 2015 22:17:04 CETOggetto: Il terrorismo francese in Libia e Siria
In Siria la guerra c'è già e la guidano i servizi segreti di Parigi
L'Occidente esita a intervenire in Siria. Ma intanto nel Paese si consuma un’altra, sporca, guerra. Quella dei servizi segreti di diversi paesi che va avanti da mesi. In questa guerra delle ombre Assad ha catturato 18 spie di Parigi, fra cui un Colonnello. Una rete di spionaggio che si è allargat...
Il rullo dei tamburi di un’imminente guerra risuona già lugubre nell’aria. Come se un esercito, invisibile, accerchiasse lentamente e silenziosamente il tiranno Assad, le cui ore sembrano oramai contate. Al Palazzo di Vetro si studia da tempo come decapitarlo senza fare troppo rumore. Francia e Stati Uniti preparano una nuova bozza di risoluzione (aspettando il via libera della Cina), la Francia chiude definitivamente la sua ambasciata a Damasco. Un altro segno funesto per Assad.
Intanto però in Siria si consuma un’altra, sporca, guerra. Quella dei servizi segreti di diversi paesi che va avanti da mesi, una guerra delle ombre e senza esclusione di colpi che ha causato migliaia di morti tra soldati e civili. La punta dell’iceberg emerge alcune settimane fa, ma passa praticamente inosservata. Nel silenzio generale dei media, e dopo l’ennesima offensiva militare nel quartiere di Bab Amr, ad Homs, l’esercito siriano fa più di 1.500 prigionieri, di cui numerosi “stranieri”. Tra questi, figurano almeno diciotto francesi. Chi sono? Non civili, certo. Alla stregua di soldati, chiedono immediatamente di avvalersi dello statuto di prigionieri di guerra, ma rifiutano recisamente di fornire la loro identità, il loro grado militare e l’élite d’appartenenza. Tra di essi, spunta un colonnello del servizio trasmissione della Dsge, il contro-spionaggio dei servizi segreti francesi. Tra le armi ritrovate dall’esercito siriano fucili, mitragliette e lanciarazzi di fabbricazione israeliana.
L’intrigo inizia con un articolo apparso il 23 novembre scorso sul quotidiano satirico francese Le Canard Enchaîné. In esso si racconta che la direzione operativa del Dsge ha inviato agenti speciali nel Nord del Libano ed in Turchia con una missione precisa: istruire e strutturare contingenti armati dell’al-Ǧayš as-Sūrī al-Ḥur, l’Esercito Siriano Libero (Esl), raggruppare migliaia di disertori, reclutare combattenti “stranieri” e scatenare una vera e propria guerra civile in Siria. Detto fatto. Oltre a questi agenti speciali vengono spediti in Siria diversi membri del Comando delle Operazioni Speciali francese (Cos) per iniziare disertori e jihadisti alla guerriglia urbana contro l’esercito regolare di Bachar al-Assad, mescolandosi tra i manifestanti ed altri non meglio identificati “ribelli”. Fucili, mitragliette e lanciarazzi di fabbricazione israeliana vengono fatti passare dal Sud della Turchia, ad Hatay, dove si stabilisce il quartier generale dell’Esl. Il Cos risponde direttamente agli ordini dello Stato Maggiore dell’Esercito francese (Cema). Un articolo apparso sul settimanale Marianne sottolinea come il Cos abbia già fornito assistenza logistica e militare in Libia al Cnt ed abbia “guidato” i bombardamenti aerei e navali della coalizione nella guerra che ha portato alla caduta del colonnello Gheddafi. Ora sta facendo il lavoro sporco di Sarkozy anche in Siria. Tutte le informazioni fornite dal Canard Enchaîné vengono infatti confermate da un ufficiale di alto rango della Direzione del servizio segreto militare francese. Tra le informazioni trapela anche quella di un intervento militare “limitato” della Nato per creare, con l’aiuto della Turchia, un embrione di territorio liberato nel Nord della Siria, una sorta di regione cuscinetto preludio ad una futura no-fly zone. Questo spiegherebbe anche perché Assad s’affretta a dispiegare l’esercito proprio lungo la frontiera con la Turchia.
Il quotidiano turco Milliyet conferma indirettamente le informazioni diffuse dal Canard Enchaîné. Non solo, la rete spionistica nel corso dei mesi si allarga includendo non solo commandos della Dsge ma anche agenti del MI6 britannico e agenti speciali del Milli Istibarat Teskilati (Mit), i servizi segreti turchi. Ad Hatay, nel Sud della Turchia, nasce una temibile e oscura «legione wahhabita» composta da centinaia di mercenari libici ex-lealisti del regime di Gheddafi. Con il consenso di Mustafa Abdul Jalil, presidente del Consiglio Nazionale di Transizione libico (Cnt) e dopo una riunione segreta ad Istanbul tra il Cnt ed il Cns (Consiglio Nazionale Siriano), centinaia di militari libici armati fino ai denti, un tempo fiore all’occhiello dei battaglioni del colonnello Gheddafi, giungono in Siria attraverso la Turchia con l’aiuto del Mit rimpinguando le colonne armate del «libero» esercito siriano, capeggiato da Riad al-Assad. Quest’ultimo guardacaso è in esilio da mesi proprio in Turchia. I servizi segreti turchi controllano tutti i suoi movimenti mentre un agente del ministero degli esteri turco risponde a posto suo alle richieste d’intervista da parte dei giornalisti occidentali. Al-Assad sembra essere una mera creatura del governo francese, turco e dei Fratelli Musulmani siriani. Il traffico di attività di spionaggio e d’infiltrazioni dei servizi segreti nell’Esl serve infatti ad una sola causa: portare ad un «conflitto confessionale» per far emergere i Fratelli Musulmani di Siria, destinati a prendere le redini della «Nuova Siria» nel dopo-Assad (seguendo lo schema d’altri paesi della «primavera araba» quali Egitto e Tunisia). Una vendetta della Francia dopo il colpo di stato siriano in Libano? Il 12 Gennaio del 2011 infatti un colpo di stato «parlamentare» orchestrato dalla Siria, aveva provocato la caduta del primo ministro Saad Hariri, sponsorizzato dai Sauditi e dalla Francia, la quale, dopo aver riammesso nel concerto delle nazioni la Siria, non digerisce (è l’inizio della frattura franco-siriana).
Fatto sta che la Francia rispolvera, per mezzo del segretario generale dei Fratelli Musulmani siriani Riad Chakfi, la carta Abdul Halim Khaddam, in esilio dorato a Parigi. Chi è costui? Ex vice-presidente siriano (si dimette dalla carica nel 2005), testimonia davanti al Tribunale Speciale per il Libano (Tls) contro Assad accusandolo di essere dietro la morte dell’ex-primo ministro libanese Rafiq Hariri, assassinato con altre 21 persone il 14 Febbraio del 2005. Abdul Halim Khaddam capisce immediatamente che vento tira in Medio Oriente e s’avvicina ai Fratelli Musulmani siriani e al loro leader al-Bayanouni. In seguito fonda il Fronte della Salvezza Nazionale Siriana (Syrian National Salvation Front), partito nazionalista d’ispirazione islamica. Attraverso la mediazione della Francia, Abdel Halim Khaddam riceve soldi dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna per finanziare le sue attività anti-Bashar (come rivelerà poi alla televisione israeliana 2 TV). Seguiranno il suo esempio altre fazioni anti-Bashar quali gli ex Fratelli Musulmani del Movimento per la Giustizia e lo Sviluppo che, come ha rivelato il Washington Post basandosi su informazioni diffuse da Wikileaks, ricevono soldi dagli USA sin dal 2005. Con questi fondi creano nel 2007 la televisione anti-Bashar “Barada TV”.
Intanto il 20 Dicembre, François Loncle, deputato socialista nella regione dell’Eure e membro della Commissione Affari Esteri dell’Assemblea nazionale francese, avvia un’interrogazione parlamentare per tentare di fare luce sulla faccenda. Un altro articolo apparso sul Nouvel Observateur – che parla della Siria come «nuova frontiera della guerra francese» – mette infatti fuoco alle polveri. Il modello libico, fa notare Loncle, sembra ripetersi. Dapprima formazione ed addestramento di un esercito “libero” composto da disertori e jihadisti, poi infiltrazione progressiva della ribellione civile, in seguito supporto logistico e militare alle fazioni nemiche, poi presentazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, poi creazione di una no-fly zone imposta dalle forze della Nato e infine… Incursioni mirate dei Rafale francesi e dei caccia britannici fino alla caduta del tiranno.
In entrambi i casi la Francia, assieme alla Gran Bretagna, diventa la punta di diamante dell’interventismo atlantico, un interventismo che si avvale del prezioso appoggio delle petromonarchie del Golfo. L’idea della Francia è quella di aiutare la dinastia saudita a spezzare l’asse sciita Iran-Siria-Hezbollah e di creare un “blocco sunnita” in Medio Oriente, blocco peraltro già solido in quanto comprende l’Egitto, la Turchia, il Qatar, la Libia, la Tunisia, tutti paesi in cui esiste già un’orientazione politica fortemente islamica anche se, solo ufficialmente, moderata.
Les sources d’« Apocalypse Staline » sur France2
L’Histoire de la Guerre froide entre Göbbels et l’ère états-unienne
Les réalisateurs, leurs objectifs et leur conception de l’Histoire
De l’histoire, quelle histoire ?
Svetlana Aleksievitch, conseillère en « témoignages »
Les conseillers historiques d’Apocalypse Staline
L’Institut d’histoire sociale de Bouris Souvarine et Pierre Rigoulot
Conclusion
[1] Atmosphère historiographique générale depuis l’ère Furet, Lacroix-Riz, L’histoire contemporaine toujours sous influence, Delga-Le Temps des cerises, 2012
[2] À propos de ce concept emprunté, non pas à l’Ukraine soviétique de l’entre-deux-guerres mais né dans la Galicie polonaise, et devenu un thème allemand et états-unien de la stratégie de scission URSS ou « Russie »-Ukraine depuis 1933, ma mise au point archivistique et bibliographique « Ukraine 1933 mise à jour de novembre-décembre 2008 », Téléchargement ; et Mark Tauger, ouvrage à paraître chez Delga en 2016 sur les famines en Russie tsariste et en Union Soviétique, dont je rédigerai la préface.
[3] « Ce jour que l’Occident préfère oublier », par Michael Jabara Carley, Traduction Sophie Brissaud, Strategic Culture Foundation(Russie), Réseau Voltaire, 4 octobre 2015.
[4] Voir aussi Lacroix-Riz, « Le rôle de l’URSS dans la Deuxième Guerre mondiale (1939-1945) », mai 2015.
[5] Voir le site sur le France2.
[6] « Staline : gros sabots contre un bourreau », Laurent Joffrin, Libération, 3 novembre 2015.
[7] Frances Stonor Saunders, Who Paid the Piper ? : CIA and the Cultural Cold War (1999, Granta). Version française : Qui mène la danse ? La CIA et la Guerre froide culturelle (Denoël, 2003).
[8] « Quand la CIA finançait les intellectuels européens » et « Les New York Intellectuals et l’invention du néo-conservatisme », par Denis Boneau, Réseau Voltaire, 27 novembre 2003 et 26 novembre 2004. « Quand la CIA finançait les intellectuels italiens », par Federico Roberti, Réseau Voltaire, 5 septembre 2008.
[9] Frances Stonor Saunders, The cultural Cold War : the CIA and the world of art and letters (New York, The New Press, 1999), p. 347-351 sur Neruda ; sur Sartre, souvent cité, index.
[10] Seuls les noms des sept sont cités, pas leur qualité : Emi Okubo est musicien ; Sonia Romero, artiste ; Karine Bach, monteuse sur France Télévisions ; Thomas Marlier, réalisateur ; Kévin Accart, assistant monteur ; Philippe Sinibaldi, gérant de société de production.
[11] « L’Institut d’histoire sociale, une officine anti-sociale », par Annie Lacroix-Riz, Réseau Voltaire, 2 novembre 2005.
[12] Frédéric Charpier, Histoire de l’extrême gauche trotskiste : De 1929 à nos jours, Paris, Éditions 1, 2002.
[13] Lacroix-Riz, Impérialismes dominants, réformisme et scissions syndicales, 1939-1949, Montreuil, Le Temps des cerises, 2015, chap. 1, et De Munich à Vichy, l’assassinat de la 3e République, 1938-1940, Paris, Armand Colin, 2008, chap. 3 et 6.
[14] Sur Jacques Barnaud, tuteur depuis 1933-1934 de l’héritier présomptif de Jouhaux René Belin, directeur de cabinet de Belin (juillet 1940-février 1941) et véritable ministre du Travail quand son pupille occupait officiellement le poste ; sur les Nouveaux Cahiers, Lacroix-Riz, Le choix de la défaite, De Munich à Vichy et Industriels et banquiers français sous l’Occupation, Paris, Armand Colin, 2013.
[15] Du Moulin de Labarthète, « La synarchie française », article publié le 25 mai 1944 dans la revue helvétique Le Curieux, sous le pseudonyme de Philippe Magne, joint au rapport de « l’inspecteur spécial » de la PJ Vilatte, chargé à la Libération de l’enquête « sur la synarchie », 1er juin 1947, PJ 40, Barnaud, APP.
[16] Roger Faligot et Rémi Kauffer, « La revanche de M. Georges » (Albertini), in Éminences grises (Paris, Fayard, 1999), p. 150 (p. 135-170) ; Emmanuelle Loyer, Paris à New York. Intellectuels et artistes français en exil (1940-1947) (Paris, Hachette, 2007) ; Peter Coleman, The Liberal Conspiracy : the Congress for Cultural Freedom and the Struggle for the Mind of Postwar Europe (New York, Free Press, 1989), index, ouvrage non traduit dans lequel Pierre Grémion, Intelligence de l’Anticommunisme : Le Congrès pour la Liberté de la Culture à Paris 1950-1975 (Paris : Fayard, 1997), a très largement puisé ; Lacroix-Riz, « La Banque Worms et l’Institut d’histoire sociale » et « Des champions de l’Ukraine indépendante et martyre à l’institut d’histoire sociale ».
[17] N. 10, et Jean Lévy, Le Dossier Georges Albertini. Une intelligence avec l’ennemi (L’Harmattan-Le Pavillon 1992) ; Charpier, Génération Occident (Paris, Seuil, 2005) ; La CIA en France : 60 ans d’ingérence dans les affaires françaises (Paris, Seuil, 2008) ; Les valets de la Guerre froide : comment la République a recyclé les collabos, (Paris, François Bourin éd., 2013) ; Benoît Collombat et David Servenay, dir., Histoire secrète du patronat : de 1945 à nos jours (Paris, La Découverte, Arte éditions, 2e édition, 2014, dont article de Charpier) ; Lacroix-Riz, tous les op. cit. supra ; Saunders, op. cit., etc.
Derniers ouvrages parus :L’intégration européenne de la France. La tutelle de l’Allemagne et des Etats-Unis, (Le Temps des cerises, 2007). De Munich à Vichy, l’assassinat de la 3e République, 1938-1940(Armand Colin, 2008). Le Vatican, l’Europe et le Reich de la Première Guerre mondiale à la Guerre froide (1914-1955) (Armand Colin, 2010). Le Choix de la défaite : les élites françaises dans les années 1930(Armand Colin, 2010). Aux origines du carcan européen, 1900-1960. La France sous influence allemande et américaine (Delga-Le Temps des cerises, 2014).
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=9pHPUZLkpKI
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=Uuc_CI8n1HM
Da: andrea catone <andreacatone2013 @gmail.com>Data: 6 novembre 2015 16:34:14 CETOggetto: I: Bari, giovedì 19 novembre. Con Manlio Dinucci: L’arte della guerra. Analisi della strategia USA/NATO (1990-2015)
associazione politico-culturale Marx XXI
II strada priv. Borrelli 34 – 70124 Bari
Giovedì 19 novembre
Ore 18.00 - Via Borrelli 32 – Bari
Presentazione del libro di Manlio Dinucci
L’arte della guerra
Analisi della strategia USA/NATO (1990-2015)
Prefazione di Alex Zanotelli
Nota redazionale di Jean Toschi Marazzani Visconti
Zambon editore, 2015, pp. 550, euro 18,00
Ne discutono con l’autore
Andrea Catone
condirettore della rivista MarxVentuno
Antonello Rustico, Pax Christi
Michele De Luisi
Coordinamento nazionale Giovani comunisti, per la Costituente comunista
Proiezione del video (7’) dell’intervento di Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Corte di Cassazione, al Convegno No Guerra No Nato (Roma, 26 ottobre 2015).
INFO: 345 4114728
Il libro è disponibile anche presso la sede delle edizioni MarxVentuno, II strada privata Borrelli 34.
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Il titolo del libro, L’Arte della guerra, si richiama al classico di teoria militare dell’antica Cina, attribuito al generale e filosofo Sun Tzu vissuto fra il VI e il V secolo a.C., considerato uno dei più importanti trattati di strategia di tutti i tempi. L’antico manuale insegna che la guerra, di somma importanza per lo Stato, deve essere combattuta non solo sul campo di battaglia e per ottenere la vittoria occorrono tre strumenti: politico, diplomatico e militare. Particolarmente importanti, in tale quadro, l’inganno, la corruzione, lo spionaggio, le operazioni segrete, la capacità di provocare dissensi in campo nemico. Assolutamente contemporaneo dopo venticinque secoli, questo testo viene ancora studiato nelle accademie militari e anche nelle grandi scuole di business. L’antica arte della guerra conserva quindi la sua tragica attualità.
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Manlio Dinucci giornalista e saggista, ha vissuto e lavorato a Pechino negli anni Sessanta, contribuendo alla pubblicazione della prima rivista cinese in lingua italiana e alla diffusione delle Lettere dalla Cina della giornalista statunitense Anna Louise Strong. Sulla base di tale esperienza ha pubblicato, con Mazzotta editore, La lotta di classe in Cina / 1949-1974 (1975) e Economia e organizzazione del lavoro in Cina (1976). Negli anni Ottanta, ha diretto la rivista Lotta per la pace (nata dall’«Appello contro l’installazione dei missili nucleari in Italia», lanciato nel 1979 da Ludovico Geymonat e altri) ed è stato direttore esecutivo per l’Italia della International Physicians for the Prevention of Nuclear War, associazione vincitrice del premio Nobel per la pace nel 1985. Coautore, con Tonino Bello e altri, di Fianco Sud/Puglia, Mezzogiorno, Terzo Mondo: rapporto sui processi di militarizzazione (Piero Manni, 1989). Coautore, col premio Nobel per la Medicina Daniel Bovet, di Tempesta del deserto/Le armi del Nord, il dramma del Sud, con la presentazione di Ernesto Balducci (Edizioni Cultura della Pace, 1991). Con la stessa casa editrice ha pubblicato Hyperwar. Dalla “iperguerra” del Golfo alla Conferenza sul Medio Oriente (1991) e La strategia dell’impero/Dalle direttive del Pentagono al Nuovo Modello di Difesa (1992), scritto con U. Allegretti e D. Gallo e presentato da R. La Valle. Autore de L’oro e la spada/Imperi economici e guerre di conquista nell’era del capitale globale (Comitato Golfo, 1993). Autore de Il potere nucleare / Storia di una follia da Hiroshima al 2015 (Fazi Editore, 2003). Coautore, con A. Burgio e V. Giacché, di Escalation/Anatomia della guerra infinita (DeriveApprodi, 2005). Collaboratore de il manifesto, con articoli e la rubrica settimanale «L’arte della guerra». È anche autore di testi scolastici di geografia umana.
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Indice
Nota di redazione (Jean Toschi Marazzani Visconti) 7
Prefazione (Alex Zanotelli) 15
1990-1999
1- Golfo: la prima guerra del dopo guerra fredda 21
2- Il riorientamento Usa/Nato per nuove guerre 77
3- Jugoslavia: la seconda guerra del dopo guerra fredda 127
2000-2009
4- La «guerra globale al terrorismo» 173
5- Afghanistan: la terza guerra del dopo guerra fredda 201
6- Iraq: la quarta guerra del dopo guerra fredda 241
2010-2015
7- Libia: la quinta guerra del dopo guerra fredda 303
8- Siria: la strategia delle guerre coperte 353
9- Ucraina: la nuova guerra fredda 435
10- Corsa agli armamenti verso la guerra nucleare 499
Bibliografia 543
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Nota di redazione di Jean Toschi Marazzani-Visconti
Il titolo del libro, L’Arte della guerra, come quello dell’omonima rubrica che l’autore pubblica su il manifesto, si richiama al classico di teoria militare dell’antica Cina, attribuito al generale e filosofo Sun Tzu vissuto fra il VI e il V secolo a.C., considerato uno dei più importanti trattati di strategia di tutti i tempi. L’antico manuale insegna che la guerra, di somma importanza per lo Stato, deve essere combattuta non solo sul campo di battaglia e per ottenere la vittoria occorrono tre strumenti: politico, diplomatico e militare. Particolarmente, importanti, in tale quadro, l’inganno, la corruzione, lo spionaggio, le operazioni segrete, la capacità di provocare dissensi in campo nemico. Assolutamente contemporaneo dopo venticinque secoli, questo testo viene ancora studiato nelle accademie militari e anche nelle grandi scuole di business. L’antica arte della guerra conserva quindi la sua tragica attualità.
In quest’ottica Manlio Dinucci ha per anni pubblicato settimanalmente sul manifesto un commento sugli avvenimenti del momento cercando di chiarire ai suoi lettori le strategie e le operazioni belliche nascoste.
L’editore Zambon ha pensato di riunire tutti questi testi e altri dell’autore in un volume.
Il sottotitolo Annali della strategia USA/Nato (199012015) indica il percorso scelto attraverso il materiale raccolto in questi venticinque anni; la strategia americana nel mondo e l’impiego della NATO in operazioni dii sostegno e affiancamento. Ogni capitolo è annunciato da una citazione, liberamente tradotta, di Sun Tzu che ne guida il significato.
Il testo ha una cadenza temporale e tematica: per decennio e per accadimenti. Questo permette al lettore di sfogliare gli annali e scoprire la struttura degli avvenimenti futuri attraverso il passato recente in una sequela consequenziale che conduce a una realtà inquietante. Perché quello, che potrebbe succedere oggi, era già nella logica degli avvenimenti trascorsi. E il risultato è straordinario.
Il primo degli annali raccontai fatti dal 1990 al 2000 ed è diviso in tre capitoli. Golfo: la prima guerra del dopo guerra fredda, parla della guerra all’Iraq nel 1991, le premesse e lo svolgimento di quella che è stata denominata hyperwar, la guerra chirurgica con perdite umane zero. Da navi alla fonda in mari lontani, da basi remote un computer puntava e un razzo colpiva l’obiettivo. Vengono impiegati cacciabombardieri B 52 a lungo raggio, compaiono i droni. Gli Stati Uniti reduci dalla sconfitta in Vietnam, dove la perdita di uomini e d’immagine era stata molto pesante, non volevano sacrifici. Non un soldato doveva morire. Le notizie erano trionfali, rassicuranti. Ma trascuravano che l’uranio impoverito avrebbe avuto conseguenze letali anche sulle loro truppe e su quelle degli alleati. La sindrome del golfo è stata per anni sottovalutata se non rinnegata.
Con la caduta del Muro di Berlino, gli Stati Uniti si trovano a essere l’unica potenza mondiale e la NATO, sciolto il Patto di Varsavia, cerca un diverso impiego. La guerra fredda è terminata, l’Unione Sovietica non esiste più. Il secondo capitolo, Il riorientamento USA/NATO per nuove guerre, inizia con una dichiarazione del presidente Bush senior che traccia la nuova strategia statunitense e sostiene che nel nuovo ordine mondiale la leadership americana è indispensabile. Gli obiettivi politico-militari della nuova strategia statunitense sono enunciati nella National Security Strategy of the United States. Dinucci spiega documentatamente le direttrici strategiche regionali, il nuovo concetto strategico della NATO, il duplice ruolo della UEO, la posizione politico militare italiana e sua collocazione geostrategica.
Un’altra conseguenza della caduta del Muro, sarà la disintegrazione della Jugoslavia, non più utile cuscinetto fra Est e Ovest, corrotto da facili e − come si vedrà − pericolosi prestiti di milioni di dollari. In questa circostanza gli Stati Uniti vedono di buon occhio l’alleata Germania prendersi una rivincita sulla Serbia, colpevole di aver trattenuto con gli attacchi partigiani le divisioni tedesche dal fronte russo e accettano che estenda la sua influenza, in modo controllato, su Slovenia e Croazia. Importante è l’eliminazione degli ultimi bolscevichi. Accontentano le ambizioni della Turchia e dei paesi arabi petrolieri, appoggiando i Serbi musulmani, i Bosgnak secondo denominazione inventata, in Bosnia-Erzegovina, ma soprattutto sperimentano nuovi sistemi e tecniche di disinformazione, di divisione e frammentazione degli Stati che saranno impiegate in seguito.
Jugoslavia: la seconda guerra del dopo guerra fredda parla di quest’argomento, dell’uso dell’embargo come arma di pressione sulla popolazione. Le presunte ragioni umanitarie e le stragi inventate in Kosovo sono la ragione ufficiale per bombardare secondo un piano prestabilito. Stati Uniti e NATO impiegano nuovi ordigni: bombe a grappolo, a uranio impoverito, alla grafite (deflagrando a 500/1000 d’altezza assorbono tutta l’elettricità di una vasta area sottostante). Dieci giorni dopo la firma della pace di Kumanovo, gli Stati Uniti acquisiscono un vasto terreno in Kosovo, dove sorgerà la più grande base americana in Europa: Bondsteel Camp. Quest’acquartieramento segue l’utilizzazione del grande aeroporto sotterraneo di Tuzla (voluto da Tito nel 1948 dopo la rottura con l’Unione Sovietica) al territorio musulmano della Federazione croato-musulmana in BiH. La NATO è formalmente incaricata di peace-keeping nei Balcani e viene rafforzata in Europa quale canale dell’influenza e della partecipazione statunitensi negli affari della sicurezza europea.
Il decennio 2000/2009 conta tre capitoli che trattano della posizione degli USA in un mondo senza rivali, unici arbitri di pace e di guerra. La guerra “globale a1 terrorismo”: l’attentato dell’11 settembre alle torri del World Trade Center di New York sono “atti di guerra” dichiara George W Bush ai membri della Camera e del Congresso. E prepara il terreno militare, politico e psicologico all’azione militare. Il Consiglio Nord Atlantico si allinea affermando che si tratta di un’azione che rientra nell’articolo 5 contro “un nemico che si nasconde nell’ombra”. In una relazione diffusa dopo gli attacchi, Dinucci descrive le falle della versione ufficiale della distruzione delle torri. Bush è solo al comando con il suo staff di persone tutte legate in modi diversi alle holding del petrolio e di conseguenza delle armi. I mujaheddin afgani, armati dalla CIA contro la Russia, Osama ben Laden e al Qaeda si trasformano, da preziosi alleati-mercenari, in “nemici oscuri”.
Afghanistan; la terza guerra del dopo guerra fredda: la decisione di dislocare forze in Afghanistan, quale primo passo per estendere la presenza militare statunitense nell’Asia centrale. Oggi ci concentriamo sull’Afghanistan ... Qualsiasi governo sponsorizzi i fuorilegge diventa egli stesso assassino ... Bush si prepara a una guerra di lunga durata. L’operazione americana Libertà duratura scavalca, nella prima fase, la NATO e opera per sottrarre alla Russia l’esportazione di gas naturale e petrolio dalle zone del mar Caspio. Il complesso militare-industriale americano fa ricchi guadagni con la guerra in Afghanistan. Affiora la presenza italiana nella costruzione delle bombe. La NATO è a Kabul con un mandato robusto, però nessuno ha assistito a una investitura dell’ONU. I prigionieri e le torture: l’Italia si occupa della costruzione e riabilitazione di infrastrutture, carceri e tribunali.
Iraq: la quarta guerra del dopo guerra fredda. A causa dell’embargo muoiono oltre cinquantamila bambini all’anno. A questi decessi si aggiungono le vittime dell’Uranio Impoverito impiegato nel 1991. Un piano programmato e mortale. L’Iraq è sotto controllo da parte dei paesi con maggiori interessi nel petrolio, ma le riserve energetiche irachene diventano per gli Stati Uniti un obiettivo urgente per la scarsità di forniture energetiche interne. La teoria del PNAC (Project for a New American Conception), formulata da un gruppo di intellettuali legati al Partito repubblicano, già dal 1997 influenza la politica USA. La loro dottrina prevede di stabilire una presenza strategica militare in tutto il mondo attraverso una rivoluzione tecnologica in ambito militare, scoraggiare l’emergere di qualsiasi super potenza competitiva, lanciare attacchi preventivi contro qualsiasi potere che minacci gli interessi americani. Il piano per attaccare l’Iraq è pronto da un anno. Si tratta non solo di attaccare, ma di occupare l’Iraq. Viene trafugato e manipolato il rapporto sulle armi chimiche consegnato da Bagdad alle Nazioni Unite. Bush comunica che qualsiasi cosa decida il Consiglio di sicurezza annuncerà che l’Iraq ha violato la risoluzione delle NU che richiedeva di dichiarare tutte le armi. Invaso l’Iraq, le cose non sono semplici e le perdite di soldati statunitensi si aggravano, Bush si trova in un pantano e non riesce a ottenere dall’ONU più soldati e più soldi per controllare il paese. Riappare il fantasma del Vietnam e l’immagine degli Stati Uniti viene infangata dalle immagini delle torture nella prigione di Abu. Graib e in altri luoghi. Crolla il castello di menzogne è intitolato un sotto capitolo che spiega in un rapporto della NSCT come Al Qaeda non è più il principale nemico … ma un movimento transnazionale di organizzazioni, reti e individui terroristi... che sfruttano l’Islam e usano il terrorismo per fatti ideologici. L’attacco al Libano diventa un’immagine speculare di quanto potrebbe succedere con l’Iran. Anche qui come a Falluja viene impiegato il fosforo bianco e nuove anni anche a Gaza. Mentre Israele si esercita all’attacco nucleare contro l’Iran, i leader del G8 denunciano i rischi di proliferazione posti dal programma nucleare iraniano.
Il periodo 2010-2015 mostra una forte accelerazione. Il quinquennio è diviso in quattro capitoli. Libia: la quinta guerra del dopoguerra fredda: il capitolo inizia con un articolo sulla nuova spartizione dell’Africa. Il braccio di ferro fra USA e Cina. L’insorgere delle primavere arabe è la scusa per inscenare una presunta insurrezione libica. Vi è una possibilità di un intervento militare USA/NATO per fermare il bagno di sangue. Il Consiglio di sicurezza autorizza a prendere tutte le misure necessarie. Gli Stati Uniti dirigono l’operazione nell’ombra. Conosciamo il seguito di cui stiamo pagando le conseguenze. L’Italia era al primo posto nelle importazioni libiche.
Siria e la strategia delle guerre coperte. L’eliminazione di Osama Ben Laden ottenuta con l’impiego di una comunità d’intelligence. Si parla di servizi con licenza di uccidere. L’impiego della disinformazione per far cadere la Siria. L’uscita delle truppe americane dall’Iraq lascia una catastrofe umana e sociale. Per non impiegare militari in Afghanistan, come già in Iraq, assumono mercenari, denominati contractors, dipendenti da società associate a importanti holding diversificate. L’interesse statunitense per il Sud Sudan si risveglia per l’esistenza di giacimenti petroliferi. L’Accordo di sicurezza bilaterale USA/Afghanistan permette agli Stati Uniti di mantenere le basi sotto bandiera afgana. L’Ocean Shield composto di navi da guerra e supporto aereo ha la missione di contrastare la pirateria lungo le coste e al largo del Corno d’Africa. La strategia del Grande oriente di Obama mira a sfidare la Cina e la Russia.
Ucraina: la nuova guerra fredda. Le basi europee si svuotano di truppe statunitensi fisse per riempirsi di maggiori forze rotanti. La NATO compie sessantatré anni e ha nuovi compiti, non solo militari, ma economici. La potenza della Cina e la sua avanzata economica infastidiscono gli Stati Uniti. La Russia di Putin è nuovamente temibile e Mosca si oppone allo scudo antimissile. Gli Stati Uniti e la NATO aumentano la pressione sulla Russia con esercitazioni ai suoi confini. La NATO riesce a tessere una rete di legami con le forze armate ucraine. La guerra per il controllo dell’Ucraina inizia con un operazione di guerra psicologica. Il plotone dei caschi blu di Maidan, organizzato e addestrato da un uomo d’affari israeliano, applica le tecniche di combattimento di Gaza in Ucraina. Dopo le sanzioni europee Putin firma accordi bilaterali con la Cina, non solo in campo economico. La tecnica collaudata del casus belli dell’aereo malese ricorda altre provocazioni preludio ad altri casi che precedevano un attacco bellico. Con il coinvolgimento della NATO su due fronti si è ritornati a una situazione più pericolosa di quella della guerra fredda. Putin rinnova l’alleanza con la Cina e gli USA si allarmano. La Russia rinuncia all’oleodotto South Stream, perché gli USA obbligano la Bulgaria a impedirne il passaggio. L’addestramento dei neonazisti ucraini rientra nell’iniziativa del Dipartimento di Stato. Infine il tentativo di cancellare la storia della seconda guerra mondiale.
Corsa agli armamenti verso la guerra nucleare. La corsa agli arm
di A. Martocchia, segretario Coord. Naz. per la Jugoslavia ONLUS – 3 ottobre 2015
Stevan Mirković, Veljko Kadijević i beskompromisni jugoslavizam
A. Martocchia, sekretar ItalijanskeKoordinacije za Jugoslaviju (CNJ ONLUS)
3.10.2015.
Dana 1.10.2015. održao se u Beogradu sprovod druga i prijatelja Stevana Mirkovića (Valjevo 27.10.1927 – Beograd 26.09.2015).
Partizan na Sremskom frontu, zatim general-pukovnik Jugoslavenske narodne armije, komandant Treće armije, i načelnik Generalštaba JNA, “Stevo” je i nakon umirovljenja i raspada države, nastavio aktivnu borbu za spasavanje Jugoslavije kritikujući politiku podjele, čiji su korenipoticali iz inozemstva a koju su sprovodili izdajnici u raznim republikama. Sve do kraja svoga života Stevo je ostao jugoslavenski patriota, antifašist, komunist i internacionalist, osjetljiv na velika pitanja našega vremena, što potvrđuju mnoge teme kojima se bavio zadnjih godina.
Okončao je svoju vojnu karijeru najprestižnijom funkcijom načelnika Generalštaba JNA (1987–1989), u vreme kada je federativna i socijalistička Jugoslavija propadala u krizi koja se pretvorila u bratoubilački rat, dok se Savez komunista, čiji je bio član već od godine 1944. – raspala.
Uvođenjem multipartijskog sistema, Mirković je sudjelovao u osnivanju novog "Saveza komunista, Pokreta za Jugoslaviju" (SK-PJ), ali ubrzo, nakon spajanja SK-PJ sa Jugoslavenskom udruženom levicom (JUL) Mire Marković, Stevan napušta organizaciju kao beskompromisni zastupnik jugoslavističkih i antikapitalističkih stavova, u kontinuitetu sa vrijednostima iz Titova razdoblja i čuvajući Titov lik kaosimboličan i idejni uzor.
Mirkovićevo jugoslavenstvo odnosilo se na državu "od Vardara do Triglava", budući da je bio i ostao pobornik Jugoslavije svih Jugoslavena, nasuprot "realističkom" ili "minimalističkom" jugoslavenstvu JUL-a i socijalista, po kojima su Jugoslaviju mogli sagraditi samo oni "koji u njoj žele ostati", a to se odnosilo na Srbe... Ali utvrditi ko "stvarno" želi biti unutar ili van Jugoslavije u vremenu medijske manipulacije i ratne dezinformacije, bila je nemoguća i besmislena misija, kao što je bila i ostaje nemoguća i besmislena svaka "pravedna" granična demarkacija između raznih jugoslavenskih naroda. Mirković je neprestano ponavljao: Uzmite kao primjer Srbe, koji su u SFRJ po Ustavu bili "konstitutivan narod" i to ne samo u Srbiji, nego i u Hrvatskoj i Bosni... a danas su ipak svugdje "stranci" (možda čak i u samoj Srbiji). Ni jedan narod cijepanjem nije stekao pravu domovinu, nitko ne živi u unitarnoj državi, nego su svi podijeljeni unutar novih prokletih granica! Kako se dakle pomiriti sa "činjenicama" secesija? – prebacivao je Mirković ljevicama u vladi.
Kadijevićev slučaj i JNA kao poslednja nada
Taj Mirkovićev stav moguće je uporediti sa stavovima koje je zastupao poslednji Savezni sekretar za Narodnu odbranu SFRJ, Veljko Kadijević, koji je u februaru-martu 1991. pokušao uvjeriti najviše državne rukovodioce u neophodnost uvođenja izvanrednog stanja, kako bi se onemogućilo djelovanje secesionističkih milicija i spriječio raspad Federativne Republike. Na sastanku na Topčideru u prisustvu svih šest predsjednika Republika i autonomnih pokrajina, predsjednika Federacije i najviših vojnih kadrova, Kadijević je tvrdio da bi uvođenjem vanrednog stanja blagovremeno trebalo zaustaviti paravojne formacije prisutne u državi, koje su podržavali vanjski i unutrašnji neprijatelji. I pored toga što je Kadijevićeva teza bila potkrijepljena argumentovanim i pouzdanim dokazima, ne samo političkim ili subjektivnim, – na primjer skandal iz 1990., kada su tajne službe snimile sastanak Hrvatskog ministra odbrane Martina Špegelja koji je imao učešća u tajnoj nabavci oružja sa Zapada preko Mađarske u organizovanju borbe protiv JNA – ishod glasanja je bio negativan: stavljen je veto, "posle dugih i teških diskusija, tokom kojih je Stipe Mesić stalno bio na vezi sa Franjom Tuđmanom, Makedonac Vasil Tupurkovski 'sa američkom ambasadom u Beogradu' [sic], a Janez Drnovšek sa Milanom Kučanom" (Tanjug 07.10.2007). Uz to, i predstavnik Srbije je imao slabu poziciju: Borislav Jović je praktički odgodio svoju odluku pravdajući to potrebom da se konsultuje sa SSSR-om, što je međutim rezultiralo neuspjehom. U Kadijevićevom prisustvu je Jazov u Moskvi telefonom razgovarao sa poslednjim predsjednikom SSSR-a Mihailom Gorbačovom, koji nije želeo da primi Kadijevića, kao ni šest mjeseci prije toga. "Odgovori su bili negativni i svodili su se na to da na podršku SSSR-a ne možemo računati", rekao je Kadijević i dodao da je odgovor "bio neprijateljski i da je Gorbačovljeva politika prema Jugoslaviji bila destruktivna".
Odluka da se ne uvede izvanredno stanje u tom trenutku pokazat će se ubitačnom greškom koja će usloviti sudbinu Federativne Socijalističke Republike. Izvesno je da je Jugoslavija tada imala mnogo nemilosrdnih vanjskih neprijatelja, počev od SSSR-a do NATO-a koji je možda bio spreman da izvrši napad na Beograd, ali na kraju krajeva nije izbjegnut jedan drugi rat, puno bolniji, bratoubilački rat. Tu grešku neće nikada oprostiti vojnici starog kova, patriote kao što su bili Veljko Kadijević i Stevan Mirković. Uslijedili su i drugi prijedlozi o "državnom udaru", a jedan je predviđao čak i Gedafijevo posredovanje (Tanjug 07.10.2007.), mada je već bilo prekasno, i rizično jer je postojala realna opasnost izbijanja građanskog rata između samih Srba. Ono što će uslijediti, bilo je prihvatanje činjeničnog stanja.
Nekoliko mjeseci kasnije Kadijević će morati prekinuti suradnju s rukovodstvom Srbije i Crne Gore, zbog realističke i defetističke linije koju je zastupalo. Prihvatanjem otcepljenja Slovenije i Hrvatske, "srpski narod se deli i svodi na nacionalnu manjinu izlaženu opasnosti uništenja". U istom intervjuu 2007. godine Kadijević je dakle, kritizirao Miloševića i predsjednika Predsjedništva SFRJ Jovića: "Već tada su vodili dvostruku igru prema Srbima u Bosni, Hercegovini i Hrvatskoj". Kadijević "tvrdi da mu je Milošević, kada su počeli sukobi u Sloveniji i Hrvatskoj, predlagao da se JNA povuče sa svih teritorija na kojima joj 'pucaju u leđa'. Kadijević navodi kao primer zahtev vojske da joj se upute dve pešadijske brigade, jedna iz Srbije a druga iz Crne Gore, kako bi se razoružale slovenačke snage, čemu su se predstavnici Srbije i Crne Gore u Predsedništvu SFRJ usprotivili". Jović je "'bio glavni akter distanciranja Srbije od Srba s one strane Drine i Une', smatrajući da 'jedni i drugi Srbi' nemaju ničeg zajedničkog osim imena. 'Srpski narod je stoga uništen, definitivno pobeđen i na taj način podjeljen”, smatrao je Kadijević.
Oktobra 1991, su mu s jedne strane nudili mjesto Predsjednika Federacije i čak mogućnost izvršenja kvazi državnog udara protiv eventualnih unutrašnjih neprijatelja nove mini-Federacije, s druge je bio izložen pritisku da prihvati nove unutrašnje granice nametnute od strane Evropske Zajednice i NATO-a. Pošto se protivio tom cenkanju, Kadijević je napustio poziciju Saveznog sekretara za Narodnu odbranu 6. januara 1992., t.j. samo nekoliko dana prije zloglasnog međunarodnog priznanja "nezavisnosti" Slovenije i Hrvatske.
Kadijević je, kao i Mirković, nedavno, 2. novembra prošle godine preminuo i to u Moskvi, gdje se nalazio u egzilu. Rođen kod Imotskog 21.11.1925, od oca Srbina i majke Hrvatice, kao vrlo mlad postao je partizan, a zatim je u vojsci dostigao najviše funkcije. U trenutku samoproglašenja neovisnosti Slovenije i Hrvatske bio je na poziciji Saveznog ministra obrane SFRJ-a. Zbog toga ga je hrvatski režim kasnije optužio za ratne zločine, tako da je za njim bila izdata Interpolova poternica, dok Haški Tribunal/MKSJ nije ikad izdao nalog za njegovo hapšenje. 2001, nakon prozapadnog državnog udara u Srbiji, odlučio je da traži politički azil u Rusiji, od koje je 2008. dobio i državljanstvo.
Pred optužbama iz Zagreba, Veljko Kadijević je uvijek branio svoje postupke, navodeći da je JNA bila u obavezi da odgovori na akcije neoustaških formacija. U autobiografiji objavljenoj na srpskohrvatskom 2010. – Kontraudar. Moj pogled na raspad Jugoslavije – optužio je vrlo detaljno i obiljem dokaza prije svega SAD i Njemačku zbog njihovog doprinosa raspadu Jugoslavije i pogoršanju ratnih sukoba devedesetih.
Stevan Mirković, odnosno drama jednog vizionara
Za razliku od Kadijevića, kao da je prst sudbine odlučio, Stevan Mirković nije imao nikakvu vojnu ili političku funkciju u najgorim trenucima jugoslavenske krize; ali i da je bilo drugačije, izvjesno je da njegov stav ne bi bio bitno drugačiji od Kadijevićevog. Upoznali smo dakle Mirkovića u ulozi običnog, ogorčenog i oštrog komentatora tragičnih događaja s početka devedesetih godina. Naša suradnja s njim je započela odmah: najprije je učestvovao kao telefonski gost u emisiji "Jugoslavenski glas" na Radio Città Aperta, zatim je sudjelovao u Rimu na Mitingu mira i prijateljstva među naroda nekadašnje klanice (1993). Narednih godina smo ga posjećivali u Beogradu gdje bismo skupljali njegove izjave i tekstove, koje smo prevodili i širili koliko su to dopuštala naša mizerna sredstva.
1997. godine Mirković se zalagao za "obnovu" Saveza komunista Jugoslavije, koja se u septembru pojavila i na političkim izborima, dobivši 6786 glasova (1,64%), zavidan rezultat u kontekstu prilične fragmentacije komunističkih političkih snaga. Mjesec dana nakon toga bili smo u Beogradu na međunarodnoj demonstraciji protiv NATO pakta, koju je organizovao novi SKJ, zajedno s bivšim Glasom radnika. Kao mnogo puta prije toga, Mirković nas je ugostio u svojem domu, na čijem balkonu do današnjeg dana visi zastava SFRJ-a.
Iste godine osnovano je kulturno udruženje "Centar Tito", koje je sljedećih godina trebalo da animira proslave vezane za lik Josipa Broza, posebno povodom "kanoničnih" godišnjica (4. maj – smrt – i 25. maj – Dan mladosti) i da sudjeluje u široj mreži "Društava Josipa Broza Tita" osnovanih u svim bivšim federalnim republikama.
Neslaganja i podjele unutar antikapitalističke ljevice nisu specifične isključivo za italijansku realnost: i u Srbiji je situacija danas veoma teška, zbog oštre podjele između titoističke i "kominformističke" frakcije (vjerne SSSR-u, Lenjinu i Staljinu) koju zastupa Nova komunistička partija Jugoslavije (NKPJ), kao temeljno organizirana politička partija nenaklonjena ustupcima u izbornim koalicijama.
U ovom kontekstu bremenitom subjektivizmima i poteškoćama, dok se i u drugim Republikama pokušavalo organizirati komunističku političku aktivnost, Mirkovićeva organizacija je promijenila naziv i postala "Savez komunista Jugoslavije u Srbiji" (SKJ u Srbiji).
Godine su prošle donoseći puno gorčine: najprije bratoubilački rat, nakon toga NATO agresija protiv onoga što je ostalo od Jugoslavije, napokon građanska, kulturna i politička dekadencija u Srbiji, ubrzana uspostavljanjem prozapadnog režima. Mirković je uvijek igrao ulogu portparola, nepoželjnu i nezavidnu ali ipak neophodnu i još uvijek potrebnu. Bio je vrlo strog kritičar svih vlada u zadnjih 25 godina: od socijaldemokratskih iz Miloševićeva doba do nacional-liberalne desnice još uvijek na vlasti, poslije državnog udara oktobra 2000.
Njegova se kritika ljevici u vladi (1991-2000) temeljila na pozicijama koje su bile radikalno suprotne tobožnjim "demokratskim" opozicijama omiljenim na Zapadu. Mirković se suprostavljao retoričkom samo prividno patriotskom nazionalizmu, a prije svega je pobijao postepeno ukidanje glavnih postignuća jugoslavenskog socijalizma, počev od radničkog samoupravljanja sredstvima za proizvodnju.
Tokom bombardiranja 1999, koje je predstavljalo šok za sve političke subjekte u Srbiji, Stevan se usprotivio svakoj kapitulaciji po pitanju Kosova kao kulturnog i povijesnog srca "male domovine" Srbije, kao i teritorije ogromne strateške vrijednosti zbog prirodnih bogatstava i znatnih proizvodnih pogona koji su bili plod rada generacija Jugoslavena.
Nakon "zaokreta" 2000, Mirkovićev kritički stav prema novom režimu nije se bitno izmenio. Nastavljala se borba protiv privatizacije, ali iznad svega bilo je potrebno povisiti glas protiv revizionističkog, pročetničkog, monarhističkog i u suštini profašističkog trenda na snazi u ovoj državi koja je već bila talac NATO-a. Mirković je stajao u prvom redu uvijek ali prije svega kad je trebalo podsjetiti na tekovine Narodno-oslobodilačke borbe, odbraniti i odati počast sjećanju na pale drugove, na ključne trenutke u stvaranju Titove Jugoslavije ili nepokolebljivo odbraniti lik Josipa Broza, neprestano izložen napadima i klevetama.
Sa simboličke tačke gledišta izuzetno ozbiljna bila je - za sve bivše borce kao što su Mirković i militantni antifašisti pa i autor ovih redova -, povijesna i sudska rehabilitacija Dragoljuba "Draže" Mihajlovića, bivšeg jugoslavenskog generala i četničkog vođe. Tokom Drugog svjetskog rata, ubeđeni antikomunista, Mihajlović se opredijelio za savez s talijanskim fašistima pa čak i sa hrvatskim ustašama, umjesto da se bori rame uz rame s Titovim partizanima, što je doprinijelo da narednih decenija postane simbol izdaje.
U Srbiji kojom vladaju izdajnici, utemeljitelj izdajnika Domovine nije mogao da ne bude rehabilitiran. Dosljedni i savršeno čisti ljudi kao što je bio Stevan Mirković, zajedno sa srpskim partizanskim pokretom (SUBNOR), jedini su jasno i glasno digli svoj glas protiv takve sramote, koja liči na druga i slična uništavanja povijesnog sjećanja na snazi ovih godina na Balkanu, u cijeloj Evropi i u samoj Italiji.
Italijanska Koordinacija za Jugoslaviju, koja za svoje postojanje puno duguje idealnoj inspiraciji i humanom primjeru Stevana Mirkovića, izražava najiskrenije saučešće obitelji, drugovima iz Srbije i Stevinimštovateljima, raspršenim širom Jugoslavije. Jedan partizan nas je napustio, rodiće se stotinu novih! Hvala Stevo! Borba se nastavlja!