France2 a diffusé, le 3 novembre 2015, un documentaire remarquable à la fois par la qualité de sa réalisation et par sa malhonnêteté intellectuelle. Sous le titre Apocalypse Staline, il s’agissait d’accuser le « petit père des Peuples » de tous les crimes et de l’assimiler à Hitler. Le professeur émérite Annie Lacroix-Riz, historienne du XXe siècle de réputation internationale, réagit à cet incroyable bourrage de crâne.
Informazione
La strage di Parigi
La strage di Parigi è senza precedenti. E' dal 1961 che la capitale francese non si trovava in stato d'eccezione. All'epoca era in corso un tentativo di putsch da parte dei terroristi di estrema destra dell'OAS, contrari all'indipendenza dell’Algeria, contro il gen. De Gaulle.
La rivolta delle banlieu del 2005 non è assolutamente raffrontabile alla situazione attuale.
Di fatto si è trattato di un'azione di guerra, compiuta da gente che la guerra la conosce, l'ha fatta e la sa fare. La dinamica di piccole unità che entrano in azione autonomamente ma in modo coordinato praticando il terrorismo contro la popolazione civile al fine di seminare la strage e colpire la convivenza e la vita civile di una comunità richiama alla mente azioni analoghe compiute in Siria nel 2011 (e da allora in poi), con i gruppi terroristi di matrice jihadista e salafita che bestemmiavano Dio al grido di "Allah Akhbar!" mentre trucidavano le loro vittime.
All'epoca, i media mainstream e settori dell'antagonismo di matrice "idiotista" parlavano di rivolta democratica brutalmente repressa dal regime di Assad. Questa volta sembrano mostrare una maggior decenza e non arrivano ad accusare Hollande delle vittime.
Il fine dei gruppi terroristi in Siria consisteva e consiste nello scardinare lo Stato, abbattere la Repubblica, rendere impossibile la convivenza, far collassare la società.
Anche a Parigi le finalità sono parzialmente analoghe: far saltare la convivenza civile, polarizzando la società, innescando meccanismi di rifiuto delle minoranze musulmane e permettendo così la radicalizzazione delle stesse, al fine di allargare il bacino di reclutamento per i jihadisti.
Gli utili idioti di questa strategia sono coloro che credono nello scontro di civiltà o che pensano di cavalcarlo per il loro piccolo tornaconto immediato nel teatrino della politica. Coloro che si bevono la storia dello scontro tra Occidente e Islam e ne fanno gran cassa. Come se il mondo musulmano fosse un monolite.
Eppure, le prime e principali vittime del fenomeno islamista radicale reazionario sono proprio i paesi dell'area arabo-islamica contro cui questi gruppi agiscono. Sul campo a combattere l’Isis c’è l’Esercito Arabo Siriano, la Repubblica Islamica dell’Iran, il partito di Dio libanese Hezbollah.
Vale a dire arabi o musulmani. Mentre i Salvini di turno non fanno altro che scandalizzarsi perché si chiede di togliere il crocifisso dagli uffici pubblici o si scompensano per le richieste di diete differenziate che piovono sulle mense scolastiche…
Quanto al ruolo dell’Occidente, i gruppi jihadisti foraggiati dai satrapi dal Golfo sono stati armati, finanziati e addestrati proprio dai paesi occidentali, in primo luogo dagli Stati Uniti, proprio per travolgere nazioni che nel Vicino oriente si opponevano ai piani dell'imperialismo: come la Libia, la Siria, etc...
La Francia, voltando le spalle all'eredità gollista, è stata in questi ultimi anni in prima fila nel nutrire il mostro, sia per rovesciare Gheddafi e distruggere la Libia (e si è visto cosa sia diventata), che per distruggere la Siria e rovesciare Assad, fortunatamente senza riuscirci, in questo ultimo caso.
Sono molti i combattenti, mercenari e terroristi che dalla Francia sono partiti per portare la morte in Siria. Non a caso le milizie terroriste che contrastano il governo siriano hanno innalzato sin dal primo momento la bandiera che sventolava sul paese arabo all’epoca del mandato coloniale francese.
Ora è arrivato su Parigi il boomerang di ritorno della politica di collusione con i jihadisti e con l'imperialismo statunitense.
Non può che venire in mente la facile profezia del presidente Putin, che in tempi non sospetti, rivolgendosi agli occidentali per la loro politica di collusione con il terrorismo di matrice islamista salafita, metteva in guardia circa il pericolo costituito dai combattenti, dalla minaccia che avrebbero rappresentato per i loro paesi di origine una volta tornati alle loro case dopo una simile esperienza.
Come non dare ragione al presidente russo?
E pensare che quando era la Russia ad essere nel mirino (con i fatti della scuola di Beslan nel 2004, ad esempio) stando ai nostri giornali sembrava quasi che la colpa fosse del Cremlino. Come se i bambini fossero stati sequestrati da Putin in persona. Nessuna occasione viene sprecata per fare della russofobia da quattro soldi.
L’Europa si trova a fare i conti con le conseguenze della sua politica estera. Una politica disegnata con cieca e stupida acquiescenza ai desiderata di Washington, perché coloro che ruggiscono nei salotti televisivi poi si guardano bene dal disturbare la digestione dei potenti.
Quanta acquiescenza c’è stata, anche in Italia, nei confronti delle reti che hanno sostenuto il terrorismo contro la Siria? L’Italia ha o no partecipato al tavolo degli sponsor che sostenevano l’aggressione alla Siria, camuffato pietosamente sotto l’etichetta di “Amici della Siria”?
Le responsabilità di questo disastro possono essere, tanto per cambiare, equamente distribuite tra il così detto centrodestra e il così detto centrosinistra. Perché se è la destra che ha fatto la guerra alla Libia, è stato con il plauso di un certo Bersani, che ha salutato le prime bombe cadute sul paese arabo con la celebre frase “alla buon’ora!”.
Sarebbe la buon’ora, invece, di rivedere la collocazione internazionale del nostro paese e di sganciarci una buona volta dall’avventurismo statunitense. Le sponde ci sono. Solo chi ha lasciato il proprio cervello sotto le macerie del Muro di Berlino e continua a belare di un’Europa che non c’è non se ne è accorto.
Non ha molto senso nemmeno aumentare le misure di sicurezza, per forza di cose parziali. La natura della sfida fa sì che chi decide di colpire abbia sempre un vantaggio: la sorpresa.
Presidiare i monumenti mentre si spara sui caffè non ha molto senso.
L’unica opzione è smantellare le reti di sostegno a questi gruppi. Ma non si può farlo in modo veramente efficace senza chiamare in causa i loro sponsor e i loro protettori. Cioè senza una visione internazionale del problema.
Questa terza guerra mondiale non è quella tra l’Islam e l’Occidente, ma è quella tra il tentativo di egemonia dell’imperialismo statunitense e la forze che si battono per un ordine multipolare nelle relazioni internazionali. Lo scontro principale è tra gli Usa e i loro antagonisti strategici: Russia, Cina e, nel contesto del Vicino oriente, Iran e Siria.
Il terrorismo islamista reazionario è una derivata dell’avventurismo con cui Washington persegue il suo progetto di un altro secolo americano. Perché nonostante la strage di queste ore pare difficile una netta inversione della politica seguita dagli Usa verso le petromonarchie del Golfo e verso tutta la regione. Segnerebbe semplicemente la probabile fine della loro influenza su un’area cruciale per gli equilibri mondiali. Purtroppo c’è chi potrebbe continuare a ritenere che Parigi valga bene una messa, per continuare con il tradizionale, sordido e pericoloso gioco delle amicizie inconfessabili dietro le quinte. Toccherebbe ai paesi europei, a partire dalla Francia, trarre le logiche conseguenze dalla tragedia di questi giorni e rifiutare un gioco al massacro che va avanti ormai da troppo tempo.
L’arte della guerra
La strategia del caos
Manlio Dinucci
Bandiere a mezz’asta nei paesi Nato per «l’11 Settembre della Francia», mentre il presidente Obama annuncia ai media: «Vi forniremo accurate informazioni su chi è responsabile». Non c’è bisogno di aspettare, è già chiaro. L’ennesima strage di innocenti è stata provocata dalla serie di bombe a frammentazione geopolitica, fatte esplodere secondo una precisa strategia.
Quella attuata da quando gli Usa, vinto il confronto con l’Urss, si sono autonominati «il solo Stato con una forza, una portata e un'influenza in ogni dimensione - politica, economica e militare - realmente globali», proponendosi di «impedire che qualsiasi potenza ostile domini una regione – l'Europa occidentale, l'Asia orientale, il territorio dell'ex Unione sovietica e l'Asia sud-occidentale – le cui risorse sarebbero sufficienti a generare una potenza globale».
A tal fine gli Usa hanno riorientato dal 1991 la propria strategia e, accordandosi con le potenze europee, quella della Nato. Da allora sono stati frammentati o demoliti con la guerra (aperta e coperta), uno dopo l’altro, gli Stati ritenuti di ostacolo al piano di dominio globale – Iraq, Jugoslavia, Afghanistan, Libia, Siria, Ucraina e altri – mentre altri ancora (tra cui l’Iran) sono nel mirino.
Queste guerre, che hanno mietuto milioni di vittime, hanno disgregato intere società, creando una enorme massa di disperati, la cui frustrazione e ribellione sfociano da un lato in reale resistenza, ma dall’altro vengono sfruttate dalla Cia e altri servizi segreti (compresi quelli francesi) per irretire combattenti in una «jihad» di fatto funzionale alla strategia Usa/Nato. Si è così formata una armata ombra, costituita da gruppi islamici (spesso concorrenti) impiegati per minare dall’interno lo Stato libico mentre la Nato lo attaccava, quindi per una analoga operazione in Siria e Iraq.
Da questa è nato l’Isis, nel quale sono confluiti «foreign fighters» tra cui agenti di servizi segreti, che ha ricevuto miliardi di dollari e moderne armi dall’Arabia saudita e da altre monarchie arabe, alleate degli Usa e in particolare della Francia.
Strategia non nuova: oltre 35 anni fa, per far cadere l’Urss nella «trappola afghana», furono reclutati tramite la Cia decine di migliaia di mujaidin da oltre 40 paesi. Tra questi il ricco saudita Osama bin Laden, giunto in Afghanistan con 4 mila uomini, lo stesso che dopo avrebbe fondato Al Qaeda divenendo «nemico numero uno» degli Usa.
Washington non è l’apprendista stregone incapace di controllare le forze messe in moto. È il centro motore di una strategia che, demolendo interi Stati, provoca una caotica reazione a catena di divisioni e conflitti da utilizzare secondo l’antico metodo del «divide et impera».
L’attacco terroristico di Parigi, eseguito da una manovalanza convinta di colpire l’odiato Occidente, è avvenuto con perfetto tempismo nel momento in cui la Russia, intervenendo militarmente, ha bloccato il piano Usa/Nato di demolire lo Stato siriano e ha annunciato contromisure militari alla crescente espansione della Nato ad Est.
L’attacco terroristico, creando in Europa un clima da stato di assedio, «giustifica» un accelerato potenziamento militare dei paesi europei della Nato, compreso l’aumento della loro spesa militare richiesto dagli Usa, e apre la strada ad altre guerre sotto comando Usa. La Francia che finora aveva condotto «contro l’Isis in Siria solo attacchi sporadici», scrive il New York Times, ha effettuato domenica notte «come rappresaglia, il più aggressivo attacco aereo contro la città siriana di Raqqa, colpendo obiettivi Isis indicati dagli Stati uniti». Tra questi, specificano funzionari Usa, «alcune cliniche e un museo».
(il manifesto, 17 novembre 2015)
Svakog drugog utorka u 16:30 sati, na Radio Città Aperta (valu FM 88.9 za regiju Lazio), emisija "Jugoslavenski glas". Emisija se može se pratiti i preko Interneta: http://radiocittaperta.it/
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Inizio messaggio inoltrato:Da: "momotombo"Data: 16 novembre 2015 22:17:04 CETOggetto: Il terrorismo francese in Libia e Siria
In Siria la guerra c'è già e la guidano i servizi segreti di Parigi
L'Occidente esita a intervenire in Siria. Ma intanto nel Paese si consuma un’altra, sporca, guerra. Quella dei servizi segreti di diversi paesi che va avanti da mesi. In questa guerra delle ombre Assad ha catturato 18 spie di Parigi, fra cui un Colonnello. Una rete di spionaggio che si è allargat...
Il rullo dei tamburi di un’imminente guerra risuona già lugubre nell’aria. Come se un esercito, invisibile, accerchiasse lentamente e silenziosamente il tiranno Assad, le cui ore sembrano oramai contate. Al Palazzo di Vetro si studia da tempo come decapitarlo senza fare troppo rumore. Francia e Stati Uniti preparano una nuova bozza di risoluzione (aspettando il via libera della Cina), la Francia chiude definitivamente la sua ambasciata a Damasco. Un altro segno funesto per Assad.
Intanto però in Siria si consuma un’altra, sporca, guerra. Quella dei servizi segreti di diversi paesi che va avanti da mesi, una guerra delle ombre e senza esclusione di colpi che ha causato migliaia di morti tra soldati e civili. La punta dell’iceberg emerge alcune settimane fa, ma passa praticamente inosservata. Nel silenzio generale dei media, e dopo l’ennesima offensiva militare nel quartiere di Bab Amr, ad Homs, l’esercito siriano fa più di 1.500 prigionieri, di cui numerosi “stranieri”. Tra questi, figurano almeno diciotto francesi. Chi sono? Non civili, certo. Alla stregua di soldati, chiedono immediatamente di avvalersi dello statuto di prigionieri di guerra, ma rifiutano recisamente di fornire la loro identità, il loro grado militare e l’élite d’appartenenza. Tra di essi, spunta un colonnello del servizio trasmissione della Dsge, il contro-spionaggio dei servizi segreti francesi. Tra le armi ritrovate dall’esercito siriano fucili, mitragliette e lanciarazzi di fabbricazione israeliana.
L’intrigo inizia con un articolo apparso il 23 novembre scorso sul quotidiano satirico francese Le Canard Enchaîné. In esso si racconta che la direzione operativa del Dsge ha inviato agenti speciali nel Nord del Libano ed in Turchia con una missione precisa: istruire e strutturare contingenti armati dell’al-Ǧayš as-Sūrī al-Ḥur, l’Esercito Siriano Libero (Esl), raggruppare migliaia di disertori, reclutare combattenti “stranieri” e scatenare una vera e propria guerra civile in Siria. Detto fatto. Oltre a questi agenti speciali vengono spediti in Siria diversi membri del Comando delle Operazioni Speciali francese (Cos) per iniziare disertori e jihadisti alla guerriglia urbana contro l’esercito regolare di Bachar al-Assad, mescolandosi tra i manifestanti ed altri non meglio identificati “ribelli”. Fucili, mitragliette e lanciarazzi di fabbricazione israeliana vengono fatti passare dal Sud della Turchia, ad Hatay, dove si stabilisce il quartier generale dell’Esl. Il Cos risponde direttamente agli ordini dello Stato Maggiore dell’Esercito francese (Cema). Un articolo apparso sul settimanale Marianne sottolinea come il Cos abbia già fornito assistenza logistica e militare in Libia al Cnt ed abbia “guidato” i bombardamenti aerei e navali della coalizione nella guerra che ha portato alla caduta del colonnello Gheddafi. Ora sta facendo il lavoro sporco di Sarkozy anche in Siria. Tutte le informazioni fornite dal Canard Enchaîné vengono infatti confermate da un ufficiale di alto rango della Direzione del servizio segreto militare francese. Tra le informazioni trapela anche quella di un intervento militare “limitato” della Nato per creare, con l’aiuto della Turchia, un embrione di territorio liberato nel Nord della Siria, una sorta di regione cuscinetto preludio ad una futura no-fly zone. Questo spiegherebbe anche perché Assad s’affretta a dispiegare l’esercito proprio lungo la frontiera con la Turchia.
Il quotidiano turco Milliyet conferma indirettamente le informazioni diffuse dal Canard Enchaîné. Non solo, la rete spionistica nel corso dei mesi si allarga includendo non solo commandos della Dsge ma anche agenti del MI6 britannico e agenti speciali del Milli Istibarat Teskilati (Mit), i servizi segreti turchi. Ad Hatay, nel Sud della Turchia, nasce una temibile e oscura «legione wahhabita» composta da centinaia di mercenari libici ex-lealisti del regime di Gheddafi. Con il consenso di Mustafa Abdul Jalil, presidente del Consiglio Nazionale di Transizione libico (Cnt) e dopo una riunione segreta ad Istanbul tra il Cnt ed il Cns (Consiglio Nazionale Siriano), centinaia di militari libici armati fino ai denti, un tempo fiore all’occhiello dei battaglioni del colonnello Gheddafi, giungono in Siria attraverso la Turchia con l’aiuto del Mit rimpinguando le colonne armate del «libero» esercito siriano, capeggiato da Riad al-Assad. Quest’ultimo guardacaso è in esilio da mesi proprio in Turchia. I servizi segreti turchi controllano tutti i suoi movimenti mentre un agente del ministero degli esteri turco risponde a posto suo alle richieste d’intervista da parte dei giornalisti occidentali. Al-Assad sembra essere una mera creatura del governo francese, turco e dei Fratelli Musulmani siriani. Il traffico di attività di spionaggio e d’infiltrazioni dei servizi segreti nell’Esl serve infatti ad una sola causa: portare ad un «conflitto confessionale» per far emergere i Fratelli Musulmani di Siria, destinati a prendere le redini della «Nuova Siria» nel dopo-Assad (seguendo lo schema d’altri paesi della «primavera araba» quali Egitto e Tunisia). Una vendetta della Francia dopo il colpo di stato siriano in Libano? Il 12 Gennaio del 2011 infatti un colpo di stato «parlamentare» orchestrato dalla Siria, aveva provocato la caduta del primo ministro Saad Hariri, sponsorizzato dai Sauditi e dalla Francia, la quale, dopo aver riammesso nel concerto delle nazioni la Siria, non digerisce (è l’inizio della frattura franco-siriana).
Fatto sta che la Francia rispolvera, per mezzo del segretario generale dei Fratelli Musulmani siriani Riad Chakfi, la carta Abdul Halim Khaddam, in esilio dorato a Parigi. Chi è costui? Ex vice-presidente siriano (si dimette dalla carica nel 2005), testimonia davanti al Tribunale Speciale per il Libano (Tls) contro Assad accusandolo di essere dietro la morte dell’ex-primo ministro libanese Rafiq Hariri, assassinato con altre 21 persone il 14 Febbraio del 2005. Abdul Halim Khaddam capisce immediatamente che vento tira in Medio Oriente e s’avvicina ai Fratelli Musulmani siriani e al loro leader al-Bayanouni. In seguito fonda il Fronte della Salvezza Nazionale Siriana (Syrian National Salvation Front), partito nazionalista d’ispirazione islamica. Attraverso la mediazione della Francia, Abdel Halim Khaddam riceve soldi dagli Stati Uniti e dalla Gran Bretagna per finanziare le sue attività anti-Bashar (come rivelerà poi alla televisione israeliana 2 TV). Seguiranno il suo esempio altre fazioni anti-Bashar quali gli ex Fratelli Musulmani del Movimento per la Giustizia e lo Sviluppo che, come ha rivelato il Washington Post basandosi su informazioni diffuse da Wikileaks, ricevono soldi dagli USA sin dal 2005. Con questi fondi creano nel 2007 la televisione anti-Bashar “Barada TV”.
Intanto il 20 Dicembre, François Loncle, deputato socialista nella regione dell’Eure e membro della Commissione Affari Esteri dell’Assemblea nazionale francese, avvia un’interrogazione parlamentare per tentare di fare luce sulla faccenda. Un altro articolo apparso sul Nouvel Observateur – che parla della Siria come «nuova frontiera della guerra francese» – mette infatti fuoco alle polveri. Il modello libico, fa notare Loncle, sembra ripetersi. Dapprima formazione ed addestramento di un esercito “libero” composto da disertori e jihadisti, poi infiltrazione progressiva della ribellione civile, in seguito supporto logistico e militare alle fazioni nemiche, poi presentazione di una risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’Onu, poi creazione di una no-fly zone imposta dalle forze della Nato e infine… Incursioni mirate dei Rafale francesi e dei caccia britannici fino alla caduta del tiranno.
In entrambi i casi la Francia, assieme alla Gran Bretagna, diventa la punta di diamante dell’interventismo atlantico, un interventismo che si avvale del prezioso appoggio delle petromonarchie del Golfo. L’idea della Francia è quella di aiutare la dinastia saudita a spezzare l’asse sciita Iran-Siria-Hezbollah e di creare un “blocco sunnita” in Medio Oriente, blocco peraltro già solido in quanto comprende l’Egitto, la Turchia, il Qatar, la Libia, la Tunisia, tutti paesi in cui esiste già un’orientazione politica fortemente islamica anche se, solo ufficialmente, moderata.
Les sources d’« Apocalypse Staline » sur France2
L’Histoire de la Guerre froide entre Göbbels et l’ère états-unienne
Les réalisateurs, leurs objectifs et leur conception de l’Histoire
De l’histoire, quelle histoire ?
Svetlana Aleksievitch, conseillère en « témoignages »
Les conseillers historiques d’Apocalypse Staline
L’Institut d’histoire sociale de Bouris Souvarine et Pierre Rigoulot
Conclusion
[1] Atmosphère historiographique générale depuis l’ère Furet, Lacroix-Riz, L’histoire contemporaine toujours sous influence, Delga-Le Temps des cerises, 2012
[2] À propos de ce concept emprunté, non pas à l’Ukraine soviétique de l’entre-deux-guerres mais né dans la Galicie polonaise, et devenu un thème allemand et états-unien de la stratégie de scission URSS ou « Russie »-Ukraine depuis 1933, ma mise au point archivistique et bibliographique « Ukraine 1933 mise à jour de novembre-décembre 2008 », Téléchargement ; et Mark Tauger, ouvrage à paraître chez Delga en 2016 sur les famines en Russie tsariste et en Union Soviétique, dont je rédigerai la préface.
[3] « Ce jour que l’Occident préfère oublier », par Michael Jabara Carley, Traduction Sophie Brissaud, Strategic Culture Foundation(Russie), Réseau Voltaire, 4 octobre 2015.
[4] Voir aussi Lacroix-Riz, « Le rôle de l’URSS dans la Deuxième Guerre mondiale (1939-1945) », mai 2015.
[5] Voir le site sur le France2.
[6] « Staline : gros sabots contre un bourreau », Laurent Joffrin, Libération, 3 novembre 2015.
[7] Frances Stonor Saunders, Who Paid the Piper ? : CIA and the Cultural Cold War (1999, Granta). Version française : Qui mène la danse ? La CIA et la Guerre froide culturelle (Denoël, 2003).
[8] « Quand la CIA finançait les intellectuels européens » et « Les New York Intellectuals et l’invention du néo-conservatisme », par Denis Boneau, Réseau Voltaire, 27 novembre 2003 et 26 novembre 2004. « Quand la CIA finançait les intellectuels italiens », par Federico Roberti, Réseau Voltaire, 5 septembre 2008.
[9] Frances Stonor Saunders, The cultural Cold War : the CIA and the world of art and letters (New York, The New Press, 1999), p. 347-351 sur Neruda ; sur Sartre, souvent cité, index.
[10] Seuls les noms des sept sont cités, pas leur qualité : Emi Okubo est musicien ; Sonia Romero, artiste ; Karine Bach, monteuse sur France Télévisions ; Thomas Marlier, réalisateur ; Kévin Accart, assistant monteur ; Philippe Sinibaldi, gérant de société de production.
[11] « L’Institut d’histoire sociale, une officine anti-sociale », par Annie Lacroix-Riz, Réseau Voltaire, 2 novembre 2005.
[12] Frédéric Charpier, Histoire de l’extrême gauche trotskiste : De 1929 à nos jours, Paris, Éditions 1, 2002.
[13] Lacroix-Riz, Impérialismes dominants, réformisme et scissions syndicales, 1939-1949, Montreuil, Le Temps des cerises, 2015, chap. 1, et De Munich à Vichy, l’assassinat de la 3e République, 1938-1940, Paris, Armand Colin, 2008, chap. 3 et 6.
[14] Sur Jacques Barnaud, tuteur depuis 1933-1934 de l’héritier présomptif de Jouhaux René Belin, directeur de cabinet de Belin (juillet 1940-février 1941) et véritable ministre du Travail quand son pupille occupait officiellement le poste ; sur les Nouveaux Cahiers, Lacroix-Riz, Le choix de la défaite, De Munich à Vichy et Industriels et banquiers français sous l’Occupation, Paris, Armand Colin, 2013.
[15] Du Moulin de Labarthète, « La synarchie française », article publié le 25 mai 1944 dans la revue helvétique Le Curieux, sous le pseudonyme de Philippe Magne, joint au rapport de « l’inspecteur spécial » de la PJ Vilatte, chargé à la Libération de l’enquête « sur la synarchie », 1er juin 1947, PJ 40, Barnaud, APP.
[16] Roger Faligot et Rémi Kauffer, « La revanche de M. Georges » (Albertini), in Éminences grises (Paris, Fayard, 1999), p. 150 (p. 135-170) ; Emmanuelle Loyer, Paris à New York. Intellectuels et artistes français en exil (1940-1947) (Paris, Hachette, 2007) ; Peter Coleman, The Liberal Conspiracy : the Congress for Cultural Freedom and the Struggle for the Mind of Postwar Europe (New York, Free Press, 1989), index, ouvrage non traduit dans lequel Pierre Grémion, Intelligence de l’Anticommunisme : Le Congrès pour la Liberté de la Culture à Paris 1950-1975 (Paris : Fayard, 1997), a très largement puisé ; Lacroix-Riz, « La Banque Worms et l’Institut d’histoire sociale » et « Des champions de l’Ukraine indépendante et martyre à l’institut d’histoire sociale ».
[17] N. 10, et Jean Lévy, Le Dossier Georges Albertini. Une intelligence avec l’ennemi (L’Harmattan-Le Pavillon 1992) ; Charpier, Génération Occident (Paris, Seuil, 2005) ; La CIA en France : 60 ans d’ingérence dans les affaires françaises (Paris, Seuil, 2008) ; Les valets de la Guerre froide : comment la République a recyclé les collabos, (Paris, François Bourin éd., 2013) ; Benoît Collombat et David Servenay, dir., Histoire secrète du patronat : de 1945 à nos jours (Paris, La Découverte, Arte éditions, 2e édition, 2014, dont article de Charpier) ; Lacroix-Riz, tous les op. cit. supra ; Saunders, op. cit., etc.
Derniers ouvrages parus :L’intégration européenne de la France. La tutelle de l’Allemagne et des Etats-Unis, (Le Temps des cerises, 2007). De Munich à Vichy, l’assassinat de la 3e République, 1938-1940(Armand Colin, 2008). Le Vatican, l’Europe et le Reich de la Première Guerre mondiale à la Guerre froide (1914-1955) (Armand Colin, 2010). Le Choix de la défaite : les élites françaises dans les années 1930(Armand Colin, 2010). Aux origines du carcan européen, 1900-1960. La France sous influence allemande et américaine (Delga-Le Temps des cerises, 2014).
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=9pHPUZLkpKI
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=Uuc_CI8n1HM
Da: andrea catone <andreacatone2013 @gmail.com>Data: 6 novembre 2015 16:34:14 CETOggetto: I: Bari, giovedì 19 novembre. Con Manlio Dinucci: L’arte della guerra. Analisi della strategia USA/NATO (1990-2015)
associazione politico-culturale Marx XXI
II strada priv. Borrelli 34 – 70124 Bari
Giovedì 19 novembre
Ore 18.00 - Via Borrelli 32 – Bari
Presentazione del libro di Manlio Dinucci
L’arte della guerra
Analisi della strategia USA/NATO (1990-2015)
Prefazione di Alex Zanotelli
Nota redazionale di Jean Toschi Marazzani Visconti
Zambon editore, 2015, pp. 550, euro 18,00
Ne discutono con l’autore
Andrea Catone
condirettore della rivista MarxVentuno
Antonello Rustico, Pax Christi
Michele De Luisi
Coordinamento nazionale Giovani comunisti, per la Costituente comunista
Proiezione del video (7’) dell’intervento di Ferdinando Imposimato, presidente onorario della Corte di Cassazione, al Convegno No Guerra No Nato (Roma, 26 ottobre 2015).
INFO: 345 4114728
Il libro è disponibile anche presso la sede delle edizioni MarxVentuno, II strada privata Borrelli 34.
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Il titolo del libro, L’Arte della guerra, si richiama al classico di teoria militare dell’antica Cina, attribuito al generale e filosofo Sun Tzu vissuto fra il VI e il V secolo a.C., considerato uno dei più importanti trattati di strategia di tutti i tempi. L’antico manuale insegna che la guerra, di somma importanza per lo Stato, deve essere combattuta non solo sul campo di battaglia e per ottenere la vittoria occorrono tre strumenti: politico, diplomatico e militare. Particolarmente importanti, in tale quadro, l’inganno, la corruzione, lo spionaggio, le operazioni segrete, la capacità di provocare dissensi in campo nemico. Assolutamente contemporaneo dopo venticinque secoli, questo testo viene ancora studiato nelle accademie militari e anche nelle grandi scuole di business. L’antica arte della guerra conserva quindi la sua tragica attualità.
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Manlio Dinucci giornalista e saggista, ha vissuto e lavorato a Pechino negli anni Sessanta, contribuendo alla pubblicazione della prima rivista cinese in lingua italiana e alla diffusione delle Lettere dalla Cina della giornalista statunitense Anna Louise Strong. Sulla base di tale esperienza ha pubblicato, con Mazzotta editore, La lotta di classe in Cina / 1949-1974 (1975) e Economia e organizzazione del lavoro in Cina (1976). Negli anni Ottanta, ha diretto la rivista Lotta per la pace (nata dall’«Appello contro l’installazione dei missili nucleari in Italia», lanciato nel 1979 da Ludovico Geymonat e altri) ed è stato direttore esecutivo per l’Italia della International Physicians for the Prevention of Nuclear War, associazione vincitrice del premio Nobel per la pace nel 1985. Coautore, con Tonino Bello e altri, di Fianco Sud/Puglia, Mezzogiorno, Terzo Mondo: rapporto sui processi di militarizzazione (Piero Manni, 1989). Coautore, col premio Nobel per la Medicina Daniel Bovet, di Tempesta del deserto/Le armi del Nord, il dramma del Sud, con la presentazione di Ernesto Balducci (Edizioni Cultura della Pace, 1991). Con la stessa casa editrice ha pubblicato Hyperwar. Dalla “iperguerra” del Golfo alla Conferenza sul Medio Oriente (1991) e La strategia dell’impero/Dalle direttive del Pentagono al Nuovo Modello di Difesa (1992), scritto con U. Allegretti e D. Gallo e presentato da R. La Valle. Autore de L’oro e la spada/Imperi economici e guerre di conquista nell’era del capitale globale (Comitato Golfo, 1993). Autore de Il potere nucleare / Storia di una follia da Hiroshima al 2015 (Fazi Editore, 2003). Coautore, con A. Burgio e V. Giacché, di Escalation/Anatomia della guerra infinita (DeriveApprodi, 2005). Collaboratore de il manifesto, con articoli e la rubrica settimanale «L’arte della guerra». È anche autore di testi scolastici di geografia umana.
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Indice
Nota di redazione (Jean Toschi Marazzani Visconti) 7
Prefazione (Alex Zanotelli) 15
1990-1999
1- Golfo: la prima guerra del dopo guerra fredda 21
2- Il riorientamento Usa/Nato per nuove guerre 77
3- Jugoslavia: la seconda guerra del dopo guerra fredda 127
2000-2009
4- La «guerra globale al terrorismo» 173
5- Afghanistan: la terza guerra del dopo guerra fredda 201
6- Iraq: la quarta guerra del dopo guerra fredda 241
2010-2015
7- Libia: la quinta guerra del dopo guerra fredda 303
8- Siria: la strategia delle guerre coperte 353
9- Ucraina: la nuova guerra fredda 435
10- Corsa agli armamenti verso la guerra nucleare 499
Bibliografia 543
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Nota di redazione di Jean Toschi Marazzani-Visconti
Il titolo del libro, L’Arte della guerra, come quello dell’omonima rubrica che l’autore pubblica su il manifesto, si richiama al classico di teoria militare dell’antica Cina, attribuito al generale e filosofo Sun Tzu vissuto fra il VI e il V secolo a.C., considerato uno dei più importanti trattati di strategia di tutti i tempi. L’antico manuale insegna che la guerra, di somma importanza per lo Stato, deve essere combattuta non solo sul campo di battaglia e per ottenere la vittoria occorrono tre strumenti: politico, diplomatico e militare. Particolarmente, importanti, in tale quadro, l’inganno, la corruzione, lo spionaggio, le operazioni segrete, la capacità di provocare dissensi in campo nemico. Assolutamente contemporaneo dopo venticinque secoli, questo testo viene ancora studiato nelle accademie militari e anche nelle grandi scuole di business. L’antica arte della guerra conserva quindi la sua tragica attualità.
In quest’ottica Manlio Dinucci ha per anni pubblicato settimanalmente sul manifesto un commento sugli avvenimenti del momento cercando di chiarire ai suoi lettori le strategie e le operazioni belliche nascoste.
L’editore Zambon ha pensato di riunire tutti questi testi e altri dell’autore in un volume.
Il sottotitolo Annali della strategia USA/Nato (199012015) indica il percorso scelto attraverso il materiale raccolto in questi venticinque anni; la strategia americana nel mondo e l’impiego della NATO in operazioni dii sostegno e affiancamento. Ogni capitolo è annunciato da una citazione, liberamente tradotta, di Sun Tzu che ne guida il significato.
Il testo ha una cadenza temporale e tematica: per decennio e per accadimenti. Questo permette al lettore di sfogliare gli annali e scoprire la struttura degli avvenimenti futuri attraverso il passato recente in una sequela consequenziale che conduce a una realtà inquietante. Perché quello, che potrebbe succedere oggi, era già nella logica degli avvenimenti trascorsi. E il risultato è straordinario.
Il primo degli annali raccontai fatti dal 1990 al 2000 ed è diviso in tre capitoli. Golfo: la prima guerra del dopo guerra fredda, parla della guerra all’Iraq nel 1991, le premesse e lo svolgimento di quella che è stata denominata hyperwar, la guerra chirurgica con perdite umane zero. Da navi alla fonda in mari lontani, da basi remote un computer puntava e un razzo colpiva l’obiettivo. Vengono impiegati cacciabombardieri B 52 a lungo raggio, compaiono i droni. Gli Stati Uniti reduci dalla sconfitta in Vietnam, dove la perdita di uomini e d’immagine era stata molto pesante, non volevano sacrifici. Non un soldato doveva morire. Le notizie erano trionfali, rassicuranti. Ma trascuravano che l’uranio impoverito avrebbe avuto conseguenze letali anche sulle loro truppe e su quelle degli alleati. La sindrome del golfo è stata per anni sottovalutata se non rinnegata.
Con la caduta del Muro di Berlino, gli Stati Uniti si trovano a essere l’unica potenza mondiale e la NATO, sciolto il Patto di Varsavia, cerca un diverso impiego. La guerra fredda è terminata, l’Unione Sovietica non esiste più. Il secondo capitolo, Il riorientamento USA/NATO per nuove guerre, inizia con una dichiarazione del presidente Bush senior che traccia la nuova strategia statunitense e sostiene che nel nuovo ordine mondiale la leadership americana è indispensabile. Gli obiettivi politico-militari della nuova strategia statunitense sono enunciati nella National Security Strategy of the United States. Dinucci spiega documentatamente le direttrici strategiche regionali, il nuovo concetto strategico della NATO, il duplice ruolo della UEO, la posizione politico militare italiana e sua collocazione geostrategica.
Un’altra conseguenza della caduta del Muro, sarà la disintegrazione della Jugoslavia, non più utile cuscinetto fra Est e Ovest, corrotto da facili e − come si vedrà − pericolosi prestiti di milioni di dollari. In questa circostanza gli Stati Uniti vedono di buon occhio l’alleata Germania prendersi una rivincita sulla Serbia, colpevole di aver trattenuto con gli attacchi partigiani le divisioni tedesche dal fronte russo e accettano che estenda la sua influenza, in modo controllato, su Slovenia e Croazia. Importante è l’eliminazione degli ultimi bolscevichi. Accontentano le ambizioni della Turchia e dei paesi arabi petrolieri, appoggiando i Serbi musulmani, i Bosgnak secondo denominazione inventata, in Bosnia-Erzegovina, ma soprattutto sperimentano nuovi sistemi e tecniche di disinformazione, di divisione e frammentazione degli Stati che saranno impiegate in seguito.
Jugoslavia: la seconda guerra del dopo guerra fredda parla di quest’argomento, dell’uso dell’embargo come arma di pressione sulla popolazione. Le presunte ragioni umanitarie e le stragi inventate in Kosovo sono la ragione ufficiale per bombardare secondo un piano prestabilito. Stati Uniti e NATO impiegano nuovi ordigni: bombe a grappolo, a uranio impoverito, alla grafite (deflagrando a 500/1000 d’altezza assorbono tutta l’elettricità di una vasta area sottostante). Dieci giorni dopo la firma della pace di Kumanovo, gli Stati Uniti acquisiscono un vasto terreno in Kosovo, dove sorgerà la più grande base americana in Europa: Bondsteel Camp. Quest’acquartieramento segue l’utilizzazione del grande aeroporto sotterraneo di Tuzla (voluto da Tito nel 1948 dopo la rottura con l’Unione Sovietica) al territorio musulmano della Federazione croato-musulmana in BiH. La NATO è formalmente incaricata di peace-keeping nei Balcani e viene rafforzata in Europa quale canale dell’influenza e della partecipazione statunitensi negli affari della sicurezza europea.
Il decennio 2000/2009 conta tre capitoli che trattano della posizione degli USA in un mondo senza rivali, unici arbitri di pace e di guerra. La guerra “globale a1 terrorismo”: l’attentato dell’11 settembre alle torri del World Trade Center di New York sono “atti di guerra” dichiara George W Bush ai membri della Camera e del Congresso. E prepara il terreno militare, politico e psicologico all’azione militare. Il Consiglio Nord Atlantico si allinea affermando che si tratta di un’azione che rientra nell’articolo 5 contro “un nemico che si nasconde nell’ombra”. In una relazione diffusa dopo gli attacchi, Dinucci descrive le falle della versione ufficiale della distruzione delle torri. Bush è solo al comando con il suo staff di persone tutte legate in modi diversi alle holding del petrolio e di conseguenza delle armi. I mujaheddin afgani, armati dalla CIA contro la Russia, Osama ben Laden e al Qaeda si trasformano, da preziosi alleati-mercenari, in “nemici oscuri”.
Afghanistan; la terza guerra del dopo guerra fredda: la decisione di dislocare forze in Afghanistan, quale primo passo per estendere la presenza militare statunitense nell’Asia centrale. Oggi ci concentriamo sull’Afghanistan ... Qualsiasi governo sponsorizzi i fuorilegge diventa egli stesso assassino ... Bush si prepara a una guerra di lunga durata. L’operazione americana Libertà duratura scavalca, nella prima fase, la NATO e opera per sottrarre alla Russia l’esportazione di gas naturale e petrolio dalle zone del mar Caspio. Il complesso militare-industriale americano fa ricchi guadagni con la guerra in Afghanistan. Affiora la presenza italiana nella costruzione delle bombe. La NATO è a Kabul con un mandato robusto, però nessuno ha assistito a una investitura dell’ONU. I prigionieri e le torture: l’Italia si occupa della costruzione e riabilitazione di infrastrutture, carceri e tribunali.
Iraq: la quarta guerra del dopo guerra fredda. A causa dell’embargo muoiono oltre cinquantamila bambini all’anno. A questi decessi si aggiungono le vittime dell’Uranio Impoverito impiegato nel 1991. Un piano programmato e mortale. L’Iraq è sotto controllo da parte dei paesi con maggiori interessi nel petrolio, ma le riserve energetiche irachene diventano per gli Stati Uniti un obiettivo urgente per la scarsità di forniture energetiche interne. La teoria del PNAC (Project for a New American Conception), formulata da un gruppo di intellettuali legati al Partito repubblicano, già dal 1997 influenza la politica USA. La loro dottrina prevede di stabilire una presenza strategica militare in tutto il mondo attraverso una rivoluzione tecnologica in ambito militare, scoraggiare l’emergere di qualsiasi super potenza competitiva, lanciare attacchi preventivi contro qualsiasi potere che minacci gli interessi americani. Il piano per attaccare l’Iraq è pronto da un anno. Si tratta non solo di attaccare, ma di occupare l’Iraq. Viene trafugato e manipolato il rapporto sulle armi chimiche consegnato da Bagdad alle Nazioni Unite. Bush comunica che qualsiasi cosa decida il Consiglio di sicurezza annuncerà che l’Iraq ha violato la risoluzione delle NU che richiedeva di dichiarare tutte le armi. Invaso l’Iraq, le cose non sono semplici e le perdite di soldati statunitensi si aggravano, Bush si trova in un pantano e non riesce a ottenere dall’ONU più soldati e più soldi per controllare il paese. Riappare il fantasma del Vietnam e l’immagine degli Stati Uniti viene infangata dalle immagini delle torture nella prigione di Abu. Graib e in altri luoghi. Crolla il castello di menzogne è intitolato un sotto capitolo che spiega in un rapporto della NSCT come Al Qaeda non è più il principale nemico … ma un movimento transnazionale di organizzazioni, reti e individui terroristi... che sfruttano l’Islam e usano il terrorismo per fatti ideologici. L’attacco al Libano diventa un’immagine speculare di quanto potrebbe succedere con l’Iran. Anche qui come a Falluja viene impiegato il fosforo bianco e nuove anni anche a Gaza. Mentre Israele si esercita all’attacco nucleare contro l’Iran, i leader del G8 denunciano i rischi di proliferazione posti dal programma nucleare iraniano.
Il periodo 2010-2015 mostra una forte accelerazione. Il quinquennio è diviso in quattro capitoli. Libia: la quinta guerra del dopoguerra fredda: il capitolo inizia con un articolo sulla nuova spartizione dell’Africa. Il braccio di ferro fra USA e Cina. L’insorgere delle primavere arabe è la scusa per inscenare una presunta insurrezione libica. Vi è una possibilità di un intervento militare USA/NATO per fermare il bagno di sangue. Il Consiglio di sicurezza autorizza a prendere tutte le misure necessarie. Gli Stati Uniti dirigono l’operazione nell’ombra. Conosciamo il seguito di cui stiamo pagando le conseguenze. L’Italia era al primo posto nelle importazioni libiche.
Siria e la strategia delle guerre coperte. L’eliminazione di Osama Ben Laden ottenuta con l’impiego di una comunità d’intelligence. Si parla di servizi con licenza di uccidere. L’impiego della disinformazione per far cadere la Siria. L’uscita delle truppe americane dall’Iraq lascia una catastrofe umana e sociale. Per non impiegare militari in Afghanistan, come già in Iraq, assumono mercenari, denominati contractors, dipendenti da società associate a importanti holding diversificate. L’interesse statunitense per il Sud Sudan si risveglia per l’esistenza di giacimenti petroliferi. L’Accordo di sicurezza bilaterale USA/Afghanistan permette agli Stati Uniti di mantenere le basi sotto bandiera afgana. L’Ocean Shield composto di navi da guerra e supporto aereo ha la missione di contrastare la pirateria lungo le coste e al largo del Corno d’Africa. La strategia del Grande oriente di Obama mira a sfidare la Cina e la Russia.
Ucraina: la nuova guerra fredda. Le basi europee si svuotano di truppe statunitensi fisse per riempirsi di maggiori forze rotanti. La NATO compie sessantatré anni e ha nuovi compiti, non solo militari, ma economici. La potenza della Cina e la sua avanzata economica infastidiscono gli Stati Uniti. La Russia di Putin è nuovamente temibile e Mosca si oppone allo scudo antimissile. Gli Stati Uniti e la NATO aumentano la pressione sulla Russia con esercitazioni ai suoi confini. La NATO riesce a tessere una rete di legami con le forze armate ucraine. La guerra per il controllo dell’Ucraina inizia con un operazione di guerra psicologica. Il plotone dei caschi blu di Maidan, organizzato e addestrato da un uomo d’affari israeliano, applica le tecniche di combattimento di Gaza in Ucraina. Dopo le sanzioni europee Putin firma accordi bilaterali con la Cina, non solo in campo economico. La tecnica collaudata del casus belli dell’aereo malese ricorda altre provocazioni preludio ad altri casi che precedevano un attacco bellico. Con il coinvolgimento della NATO su due fronti si è ritornati a una situazione più pericolosa di quella della guerra fredda. Putin rinnova l’alleanza con la Cina e gli USA si allarmano. La Russia rinuncia all’oleodotto South Stream, perché gli USA obbligano la Bulgaria a impedirne il passaggio. L’addestramento dei neonazisti ucraini rientra nell’iniziativa del Dipartimento di Stato. Infine il tentativo di cancellare la storia della seconda guerra mondiale.
Corsa agli armamenti verso la guerra nucleare. La corsa agli arm