Informazione
Il Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia ONLUS ha aderito ed esorta ad aderire alla manifestazione indetta per il 24 ottobre 2015 a Napoli, contro la NATO e la sua colossale esercitazione "Trident Juncture", contro le spese militari e le spinte verso una nuova guerra mondiale.
- 25-26 novembre: progetto di manifestazione a Firenze in occasione dell'incontro interparlamentare europeo.
Al via in Italia, Spagna e Portogallo, la Trident Juncture 2015 (TJ15), una delle più grandi esercitazioni Nato mai svolte. Secondo la Nato Trident Juncture «dimostrerà il nuovo accresciuto livello di ambizione della Nato nel condurre la moderna guerra congiunta».
Vi partecipano oltre 230 unità terrestri, aeree e navali e forze di 28 paesi alleati e di 7 partner, con 36 mila uomini. Partecipa anche l’industria militare invitata dalla Nato perché trovi “soluzioni tecnologiche per accelerare l’innovazione militare”...
- FERMARE I VENTI DI GUERRA FOMENTATI DA NATO – USA - UE
- COSTRUIRE L’OPPOSIZIONE ALLE ESERCITAZIONI TRIDENT JUNCTURE 2015
- SOSTENERE LA MANIFESTAZIONE NAZIONALE NO WAR DEL 24 OTTOBRE A NAPOLI
- SOSTENERE L’APPELLO NO GUERRA – NO NATO
Interverranno:
Manlio Dinucci (saggista), Franco Dinelli (Pax Chirsti), Emanuela Grifoni (Ross@ Pisa), Federico Dettori (Rete dei Comunisti), Elisabetta Zuccaro (consigliera comunale M5S Pisa).
Durante l’assemblea sarà presentato il libro di Manlio Dinucci “L’Arte della Guerra” – Zambon Editore.
Da sabato 3 ottobre è iniziata una tra le più grandi manovre militari della NATO, che si svolge in Italia, Spagna e Portogallo: la «Trident Juncture 2015». In Italia saranno coinvolte Pisa, Livorno, Poggio Renatico, Pratica di Mare, Napoli, le basi militari in Sicilia e Sardegna.
Contemporaneamente:
L’Unione Europea sta preparando l’operazione “EuNavForMed”, un nuovo intervento militare in Libia, di cui l’Italia si candida a essere capofila.
Il popolo siriano continua a subire una tremenda aggressione da parte di USA, Israele, Unione Europea, Turchia e petromonarchie del Golfo, anche attraverso i crimini del cosiddetto Stato Islamico, Al Qaeda e contractors addestrati dalla CIA.
Il golpe USA/UE in Ucraina ha innescato un sanguinoso conflitto, nel quale sono impiegate truppe neo naziste inquadrate nell’esercito nazionale ucraino.
In tutti i paesi confinanti con la Russia la NATO ha rafforzato la presenza di truppe e armamenti.
Mai il mondo è stato così vicino al rischio di guerra generalizzata.
COMITATO ITALIANO NO GUERRA NO NATO
ROMA 14 OTTOBRE 2015 – DALLE 17,00 ALLE 20,00
PIAZZA SS. APOSTOLI
Manifestazione e volantinaggio di protesta contro la mostruosa esercitazione Trident Juncture che la Nato ha programmato in Spagna, Portogallo, in Italia, e nel Mediterraneo, con epicentro in Sicilia, e comando aereo operativo a Porto Renatico (Ferrara), tra Ottobre e Novembre 2015, con la partecipazione di quasi 40.000 soldati e centinaia di aerei e navi da guerra: una prova di terza guerra mondiale e di aggressione contro i nostri vicini, a partire dall'Italia e dall’Europa usate come portaerei Usa-Nato.
SICILIA: ARTE, NATURA, CULTURA NON LABORATORIO DI GUERRA!
NO TRIDENT, NO WAR!
La Sicilia, isola più grande del Mediterraneo, ha davvero tanto da offrire a partire dal suo bagaglio storico ,artistico- culturale e sociale. Ben 7 siti siciliani rientrano nel Patrimonio UNESCO e con i suoi 5 parchi e le sue 72 riserve naturali protette avrebbe già tracciata la rotta del proprio destino. Invece la Sicilia è, come ebbe a dire un ex ministro "una portaerei naturale nel cuore del Mediterraneo". Dal 3 ottobre al 6 novembre lo scalo aereo di Birgi sarà centro nodale Trident Juncture 2015, la più grande esercitazione NATO dalla fine della guerra fredda come è stata definita dallo stesso Comando Generale dell’Alleanza Atlantica. Cacciabombardieri, grandi velivoli da trasporto e aerei spia decolleranno dalle piste di Birgi per simulare attacchi contro unità navali, sottomarini e target terrestri e testare i nuovi sistemi di distruzione di massa. Le esercitazioni a fuoco vere e proprie si svolgeranno dal 21 ottobre al 6 novembre nello spazio aereo e terrestre di Italia, Spagna e Portogallo e nelle acque del Mediterraneo centrale.L’utilizzo della Sicilia per tali finalità la renderanno, in soldoni, laboratorio di sperimentazione bellica USA- Nato violandone la sua vera natura, rendendola luogo in cui si testano tecniche atte alla sopraffazione (e all’annientamento) dei popoli, al respingimento dei migranti ( vedi Frontex-Triton, con sede a Catania) e non più preziosa perla di natura e cultura. Dati ufficiali rendono noto che l’Italia, facendo parte della Nato, impegna risorse finanziarie pari all'1% del PIL, circa 20 miliardi di euro annui e secondo gli impegni assunti dal governo nel quadro dell’Alleanza, la spesa militare italiana dovrà essere portata al 2% del PIL, cioè circa 40 miliardi di euro all'anno Un colossale esborso di denaro pubblico, sottratto alle spese e alle tante e gravi emergenze sociali, per un’alleanza la cui strategia non è difensiva, come essa proclama, ma offensiva come ricordano le guerre in Iraq, Jugoslavia, in Afghanistan, in Libia e le azioni di destabilizzazione in Ucraina, in alleanza con forze fasciste locali, ed in Siria. Noi siciliani, nello specifico, già ben conosciamo gli effetti del processo di militarizzazione della nostra terra portato avanti negli anni da USA e NATO: il Muos di Niscemi (sistema di antenne ad elevatissima potenza elettromagnetica della Marina Militare Americana), la base di Sigonella, capitale mondiale dei micidiali droni (aerei senza pilota),gli impianti di radio telecomunicazione, le installazioni radar e le postazioni per le guerre elettroniche presenti a Lampedusa, il radar della135^ Squadriglia dell’Aeronautica militare di contrada Perino a Marsala hanno avuto effetti devastanti sulla salute della gente e sull’ambiente. Incremento del rischio di insorgenza di tumori,inquinamento acustico, fenomeni di estinzione animale e vegetale, malformazioni fetali. La mobilitazione No Muos ad esempio, che va avanti a Niscemi da anni, ci ha insegnato che solo la lotta e la partecipazione in prima persona possono fermare i signori della guerra. Davanti a tutto questo e guardando alla nostra regione come a un bene prezioso da salvaguardare non possiamo che opporci alle esercitazioni militari che si terranno nell’area di Birgi, alla presenza della Nato nei nostri territori e alle sue strategie di guerra votando e promuovendo tutti i necessari processi finalizzati alla pace, alla salvaguardia del territori, all'incolumità della gente.
MANIFESTAZIONE REGIONALE NO TRIDENT 31 OTTOBRE
CONCENTRAMENTO ORE 14.00 MARSALA
* Contro le esercitazioni Nato a Birgi
*Contro le devastazioni ambientali
* In difesa della salute * Per la smilitarizzazione della Sicilia
DICO NO ALLA NATO PERCHE’ QUI SONO NATO!
Coordinamento provincia di Trapani contro la guerra e la Nato
Coordinamento regionale dei comitati No Muos
Info-adesioni: comunica@..., chiara_paladino@...
Trident Juncture 2015, la Nato prepara altre guerre
Tommaso Di Francesco Manlio Dinucci
Prende il via oggi in Italia, Spagna e Portogallo, dopo due anni di preparazione, la Trident Juncture 2015 (TJ15), una delle più grandi esercitazioni Nato. Vi partecipano oltre 230 unità terrestri, aeree e navali e forze per le operazioni speciali di 28 paesi alleati e 7 partner, con 36 mila uomini, oltre 60 navi e 200 aerei da guerra, anzitutto cacciabombardieri a duplice capacità convenzionale e nucleare. La prima fase (3-16 ottobre) testerà la capacità strategica e operativa dei comandi Nato; la seconda (21 ottobre-6 novembre) si svolgerà «dal vivo» con l’impiego delle unità militari.
La TJ15, annuncia un comunicato ufficiale, «dimostrerà il nuovo accresciuto livello di ambizione della Nato nel condurre la moderna guerra congiunta». Dimostrerà in particolare «la capacità della Forza di risposta della Nato nel pianificare, preparare, dispiegare e sostenere forze nelle operazioni di risposta alle crisi non previste dall’articolo 5, al di fuori del territorio dell’Alleanza».
Quale sia il raggio d’azione della «Grande Nato», che dal Nord Atlantico è arrivata sulle montagne afghane e mira oltre, lo dimostra il fatto che alla Trident Juncture 2015 partecipa l’Australia. Significativo è che vi prenda parte anche l’Ucraina, paese che la Nato sta ormai incorporando, dopo essersi estesa a sette paesi dell’ex Patto di Varsavia, tre dell’ex Urss e due della ex Jugoslavia (demolita con la guerra nel 1999). Gli altri paesi non-Nato partecipanti alla TJ15 sono Austria, Svezia, Finlandia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia.
Nell’esercitazione, la Nato coinvolge alcune organizzazioni e agenzie internazionali (come la Croce Rossa e la Usaid). Si scopre così una «Nato umanitaria», impegnata nel «mantenimento della pace»: il segretario generale Stoltenberg, il 28 settembre a New York, ha assicurato che «la Nato è pronta ad appoggiare le Nazioni Unite per rendere le sue operazioni di peacekeeping più sicure ed efficaci».
Partecipa alla prima fase della TJ15 anche l’Unione europea. Il coinvolgimento della Ue nella grande esercitazione di guerra della Nato riporta in primo piano la questione politica di fondo. L’art. 42 del Trattato sull’Unione europea stabilisce che «la politica dell’Unione rispetta gli obblighi di alcuni Stati membri, i quali ritengono che la loro difesa comune si realizzi tramite l’Organizzazione del Trattato del Nord Atlantico». Poiché sono membri della Alleanza 22 dei 28 paesi della Ue, è evidente il predominio della Nato. Inoltre, il protocollo n. 10 sulla cooperazione istituita dall’art. 42 sottolinea che la Nato «resta il fondamento della difesa collettiva» della Ue, e che «un ruolo più forte dell'Unione in materia di sicurezza e di difesa contribuirà alla vitalità di un'Alleanza atlantica rinnovata». Rinnovata sì, ma rigidamente ancorata alla vecchia gerarchia: il Comandante supremo alleato in Europa è sempre nominato dal presidente degli Stati uniti e sono in mano agli Usa tutti gli altri comandi chiave.
Tramite la Nato, al cui interno i governi dell’Est sono legati più a Washington che a Bruxelles, gli Usa influiscono non solo sulla politica estera e militare della Ue, ma complessivamente sui suoi indirizzi politici ed economici. Sono così riusciti a trasformare l’Europa in prima linea di una nuova guerra fredda, che si sta allargando alla regione Asia/Pacifico, continuando allo spesso tempo a usarla come ponte di lancio delle operazioni militari Usa/Nato in Medioriente e Africa. Con la collaborazione delle oligarchie politiche ed economiche europee che, pur in concorrenza con quelle statunitensi e anche l’una con l’altra, convergono (pur a differenti livelli) quando si tratta di difendere l’«ordine economico mondiale» dominato dall’Occidente, oggi messo in discussione dai Brics e altri paesi emergenti.
In tale quadro l’Italia continua a distinguersi per la sua subalternità agli Stati uniti e quindi per la sua «fedeltà atlantica». Riguardo alla Trident Juncture 2015, comunica il governo, «sin dal 2013 l'Italia aveva anticipato all'Alleanza una prima offerta di assetti, basi e poligoni»: il centro di Poggio Renatico (Ferrara), il primo divenuto operativo del nuovo Sistema di comando e controllo aereo Nato, che potrà lanciare operazioni di guerra aerea in un’area di oltre 10 milioni di km quadrati, dall’Europa orientale all’Asia e all’Africa; e, per il dispiegamento delle forze aeree, «le basi di Trapani, Decimomannu, Pratica di Mare, Pisa, Amendola e Sigonella». Partecipano alla TJ15 anche le navi impegnate nell’esercitazione «Mare Aperto» e unità dell’esercito inviate a Capo Teulada (Sardegna), in Spagna e Portogallo.
Il governo nega il coinvolgimento del Joint Force Command di Napoli (con uno staff di 800 militari al quartier generale di Lago Patria), in quanto la TJ15 è guidata dal Joint Force Command di Brunssum (Olanda). Sconfessato dalla stessa Nato: il comando Nato di Napoli – diretto dall’ammiraglio Usa Ferguson che è anche comandante delle Forze navali Usa in Europa, delle Forze navali Usa del Comando Africa e delle Forze Nato in Kosovo – svolge nel 2015 il ruolo di comando operativo della «Forza di risposta» (40mila effettivi) che viene testata nella Trident Juncture. Nel 2016 il comando passerà a Brunssum, alternandosi annualmente con Napoli.
Dulcis in fundo, la Nato annuncia che ha «invitato quest’anno alla Trident Juncture, per la prima volta, un gran numero di industrie della difesa perché, partecipando all’esercitazione, trovino soluzioni tecnologiche per accelerare l’innovazione militare». La Trident Juncture 2015, il cui costo è segreto ma sicuramente ammonta a miliardi di dollari, prepara così altre enormi spese per l’acquisto di armamenti. Il tutto pagato con denaro pubblico, ossia direttamente e indirettamente dai cittadini.
(il manifesto, 3 ottobre 2015)
L’arte della guerra
Missione Nato in «East Cerasia»
Manlio Dinucci
«Nella East Cerasia (Cerasia dell’Est), un paese ha invaso un paese vicino più piccolo e minaccia di invaderne un altro. Le implicazioni della crisi sono globali. La Nato lancia una missione internazionale di assistenza e appoggio per proteggere gli Stati minacciati»: questo è lo scenario che viene «simulato» dall’esercitazione Trident Juncture 2015 (TJ15).
I nomi, spiega la Nato, sono «fittizi». Non ci vuole però molta immaginazione per capire che la «Cerasia dell’Est» è l’Europa dell’Est e «il paese invasore» è la Russia, accusata dalla Nato di aver invaso l’Ucraina e di minacciare altri Stati dell’Est. Quella in corso in Italia, Spagna e Portogallo è dunque una prova reale di guerra sul fronte orientale.
Nella fase iniziale (3-16 ottobre), nel centro di Poggio Renatico (Ferrara), il primo operativo del nuovo Sistema di comando e controllo aereo Nato, 400 militari di 15 paesi «simulano gli eventi da affrontare». Quindi, dal 21 ottobre al 6 novembre, si svolge la Livex, l’esercitazione «dal vivo» con oltre 230 unità terrestri, aeree e navali e forze speciali di 28 paesi alleati e 7 partner (tra cui l’Ucraina), comprendenti 36 mila uomini, oltre 60 navi e 200 aerei da guerra.
Nella TJ15, le operazioni terrestri sono controllate dal Landcom, il Comando delle forze terrestri Nato con quartier generale a Izmir (Turchia), agli ordini del generale Usa Nicholson, che ha inviato sul campo oltre 250 membri del suo staff. Quelle marittime, dal Marcom, il Comando delle forze navali Nato con quartier generale a Northwood (Gran Bretagna), agli ordini dell’ammiraglio britannico Hudson. Quelle aeree, dallo Aircom, il Comando delle forze aeree Nato con quartier generale a Ramstein (Germania), agli ordini del generale Usa Gorenc che è anche comandante delle forze aeree Usa in Europa e di quelle per l’Africa.
La TJ15 serve a testare la capacità della «Forza di risposta» (40mila uomini), in particolare della sua «Forza di punta ad altissima prontezza operativa» proiettabile in 48 ore fuori dall’area Nato sia verso Est che verso Sud, il cui comando operativo viene esercitato nel 2015 dal Joint Force Command di Lago Patria (Napoli), agli ordini dell’ammiraglio Usa Ferguson che è anche comandante delle Forze navali Usa in Europa e di quelle per l’Africa.
L’Italia, comunica il governo, ha fornito per l’esercitazione «assetti, basi e poligoni». Particolarmente importanti le basi e i poligoni per le forze aeree, che la Nato così elenca: Pisa e Grosseto in Toscana, Pratica di Mare nel Lazio, Amendola in Puglia, Decimomannu e Teulada in Sardegna, Sigonella e Trapani in Sicilia, cui si aggiunge la portaerei Cavour come base galleggiante.
Alla vigilia della Livex, il 19 ottobre, si svolgerà all’aeroporto di Trapani Birgi la cerimonia di apertura, con la partecipazione di alcuni dei massimi rappresentanti militari italiani e Nato, seguita da una conferenza stampa e dal sorvolo degli aerei da guerra (Eurofighter 2000, F-16, Amx e altri), italiani, polacchi, greci e canadesi, più un aereo.radar Awacs rischierato a Trapani dalla base Nato di Geilenkirchen (Germania).
Niente cerimonie, invece, alla base di Decimomannu, usata anche da aerei sloveni, e al poligono di Teulada dove si eserciteranno anche forze terrestri. L’esercitazione Livex «dal vivo», con bombe e missili che esplodendo spargeranno nell’ambiente uranio impoverito, altri metalli pesanti e sostanze chimiche tossiche, seminerà altra morte provocando tumori e malformazioni genetiche. Pagando con denaro pubblico, ricavato dai tagli alle spese sociali, le spese vive della Livex.
(il manifesto, 13 ottobre 2015)
Neil Clark is a journalist, writer, broadcaster and blogger. He has written for many newspapers and magazines in the UK and other countries including The Guardian, Morning Star, Daily and Sunday Express, Mail on Sunday, Daily Mail, Daily Telegraph, New Statesman, The Spectator, The Week, and The American Conservative. He is a regular pundit on RT and has also appeared on BBC TV and radio, Sky News, Press TV and the Voice of Russia. He is the co-founder of the Campaign For Public Ownership @PublicOwnership. His award winning blog can be found at www.neilclark66.blogspot.com. He tweets on politics and world affairs @NeilClark66
Crescono gli allarmi per le manifestazioni più eclatanti e, in diverse occasioni, sfacciatamente provocatorie, di neofascismo, antisemitismo, neonazismo, revisionismo storico, in vari paesi dell'Europa orientale. La questione ha toccato picchi di aperta esternazione, anche simbolica, con l'apparizione dei battaglioni neonazisti in Ucraina, i cui capimanipolo sono stati a suo tempo addestrati da istruttori USA, quindi usati sul fronte del Donbass, dove hanno terrorizzato la popolazione civile, “istituzionalizzati” dal potere golpista di Kiev e, ovviamente, bellamente ignorati – quando non addirittura romanzescamente riverniciati di buonismo – dalla maggior parte dei media nostrani.
Ma, prima e oltre che in Ucraina, dove l'eroicizzazione di elementi e gruppi a suo tempo al servizio delle SS è frutto della “democratizzazione” degli ultimi anni, l'area di più radicata e stagionata memoria nazista è quella del Baltico. Negli ultimi tempi anche in Polonia e in Moldavia si assiste a un crescendo di distruzione di monumenti dedicati ai soldati sovietici caduti nella Seconda guerra mondiale e alla rimozione dei resti di militari dell'Armata Rossa dai cimiteri e loro trasferimento in località remote. Nel migliore dei casi, i monumenti vengono trasferiti in periferie lontane delle città; in altre occasioni, si recintano aree apposite in cui vengono raccolti busti, monumenti, targhe legati alle gesta dei soldati rossi o che in qualche modo ricordino il periodo sovietico – è stato così, a suo tempo, nella stessa Russia – e, più di recente, in alcuni di quei paesi, è scoppiata la moda dei “musei dell'occupazione sovietica”, a volte semplicemente “musei dell'occupazione”, equiparando il periodo sovietico all'invasione nazista. In Estonia, i veterani russi dell'Armata Rossa, anche i decorati come Eroi dell'Unione Sovietica, sono equiparati per legge agli scagnozzi locali al soldo delle SS naziste: alle parate vengono fatti sfilare insieme come “partecipanti alla Seconda guerra mondiale”! Si demoliscono i monumenti ai caduti sovietici, ma si investono solide cifre in quelli alle Divisioni SS baltiche, i cui reduci possono riunirsi ufficialmente, in uniforme nazista, a differenza dei veterani rossi, cui si vietano le assemblee e persino l'esibizione di decorazioni sovietiche. Il 16 marzo è già dal 1994 pressoché ricorrenza ufficiale in Lettonia, a ricordo dell'ingresso in battaglia delle Divisioni lettoni, contro l’Armata Rossa e nelle file delle SS. E se i membri del Comitato antifascista lettone organizzano controparate con la bandiera dell'Urss, a finire in galera sono proprio loro, per esibizione di “simboli antistatali” e non i nazisti della Legione volontaria SS.
Il sempre più traballante primo ministro ucraino Arsenij Jatsenjuk – costretto ora a inventarsi anche falsi attentati, per cercare di risollevare l'audience intorno alla sua persona – non escogita nulla di nuovo, quando parla di “Untermenschen” a proposito dei russi che vivono in Ucraina o quando, come nel gennaio scorso, nell'intervista alla TV tedesca ARD, aveva parlato di “aggressione dell'Urss alla Germania e all'Ucraina” nel 1941: nei paesi baltici, gli omaggi alle ex SS locali, i pianti contro la “occupazione sovietica” o l'esclusione dalla categoria dei vivi di chiunque non sia “nativo etnico”, sono da tempo istituzionalizzati.
Per la verità, ogni tanto anche lì sono costretti a fare qualche passo indietro, quando il passato di qualcuno di quegli “eroi” rischia davvero di compromettere il paese agli occhi della comunità internazionale che, se volge la testa o addirittura amplifica gli urli sulla “invasione bolscevica delle piccole repubbliche” baltiche, è costretta a esternare commenti sdegnati a proposito dell'oltraggio ad alcuni “principi fondanti” della democrazia, come è il caso dell'olocausto. E' così che in Lituania lo scandalo è scoppiato quando si è scoperto che un “eroe nazionale” aveva partecipato, durante la guerra, non solo alle uccisioni di cittadini sovietici – e questo poteva passare: anzi, per questo aveva avuto una medaglia – ma anche alle stragi di ebrei. Dopo quindici anni che Pranas Končius, combattente antisovietico della cosiddetta Unione dei partigiani per la libertà della Lituania (attiva dal 1944 fino a metà anni '50) era stato insignito dell'ordine della Croce di Vytis, la presidente Dalja Gribauskajte si è vista costretta a cancellare il provvedimento, “in considerazione dell'appello del Centro per il genocidio e la resistenza”, che accusava Končius di aver partecipato ad almeno tre fucilazioni in massa di donne e bambini ebrei lituani. Sottufficiale dell'esercito lituano, con l'occupazione tedesca Končius entrò a far parte della polizia al servizio dei nazisti; nel '44, con il ritorno del potere sovietico, si dette alla macchia nelle file dei cosiddetti “fratelli dei boschi”. Accerchiate le bande più volte dai reparti del Ministero degli interni, Končius riuscì sempre a sottrarsi alla cattura, fino al 1965, allorché fu ucciso in un ultimo scontro a fuoco con la polizia sovietica.
Proprio a quei “fratelli dei boschi”, che agivano non solo in Lituania, ma in tutti i paesi baltici, è dedicato il monumento inaugurato lo scorso 11 settembre a Ile, in Lettonia, alla presenza di alte cariche militari ed esponenti della repubblica, tra cui lo speaker della Sejm, il parlamento lettone. Attivi dalla fine della guerra fino a buona parte degli anni '50, i “fratelli dei boschi” erano composti per lo più di ex legionari baltici delle Waffen SS e si resero responsabili dell'uccisione di alcune migliaia di civili sovietici. Di recente, una pubblicazione del Ministero degli esteri di Riga - in Lettonia, nel 1935, gli ebrei costituivano il 5% della popolazione - contiene una perla del tipo: “solo dopo l'indipendenza, nel 1991, si è cominciato a studiare la storia dell'olocausto in Lettonia, durante l'occupazione nazista e sovietica, dal 1940 al 1956” e si sono portati alla luce “aspetti prima distorti dalla propaganda e disinformazione nazista e sovietica”. Bontà sua, si ammette che “alcuni elementi locali” aiutarono i battaglioni di sterminio delle SS anche in Lettonia, per essere poi trasferiti in Russia e Bielorussia; nel massacro di 25mila ebrei del ghetto di Riga, la polizia lettone, secondo la pubblicazione, svolse “solo”(!) il lavoro di sorveglianza, nelle cosiddette “Schutzmannschaften”.
Nei tre paesi baltici, l'odio per le nazionalità diverse si è sempre manifestato sotto forma della loro estraniazione ufficiale dalla vita sociale e pubblica. Se in Estonia, sin dagli anni '20 si sottoposero a emarginazione, discriminazione e saccheggio quelle decine di migliaia (di quel milione di emigrati bianchi russi dopo la rivoluzione d'Ottobre) di “fratelli di classe” russi fuggiti alla “peste bolscevica”, solo per il fatto di non essere estoni puri, ecco che oggi addirittura il preambolo della Costituzione lettone sancisce ufficialmente il principio per cui chi non è lettone è “non cittadino”, e in tale categoria rientra quasi il 15% della popolazione. Vi si parla infatti esclusivamente di “terre lettoni storiche”, “nazione lettone”, “lingua e cultura lettoni”. Nessuna menzione del 27% di popolazione russa, 3,5% bielorussa, 2,2% ucraina e altrettanto polacca; semplicemente, non esistono: non votano, non hanno lingua propria, insomma, come anticipava 90 anni fa il bulgakoviano Poligraf Poligrafič “alla persona senza documenti è severamente vietato esistere”.
Ma tant'è, in nome della “indipendenza”! Recentemente, Oleg Nazarov, del Club Zinovev, scriveva che “il 10 ottobre 1939 fu firmato il trattato sovietico-lituano di mutua assistenza, secondo cui l'Urss passava alla Lituania la città di Vilna (l'attuale capitale Vilnius) e la regione di Vilna. Su tale conseguenza della cosiddetta "occupazione sovietica" (la cui negazione è punibile per legge) i politici lituani tacciono. Non ricordano che durante "l'occupazione" la popolazione della Lituania era in crescita e ora invece si riduce. Tale silenzio non è un caso. La Lituania, che era nell'Urss la vetrina delle conquiste del socialismo, nei 24 anni dalla sua indipendenza non ha ottenuto prosperità, ma si è trasformata in una colonia dell'UE”. Nel complesso, a partire dal 1920 e durante la guerra civile scatenata dagli eserciti bianchi e dalle potenze straniere contro la giovane Repubblica sovietica russa, la Lituania è passata attraverso l'occupazione polacca di vasti territori, mire bielorusse su altri, dittatura fascista e “lituanizzazione” di territori e popolazione e, infine, invasione nazista. Alla fine della guerra il paese riacquistò i territori persi e inoltre, scrive Nazarov – non certo imputabile di simpatie staliniane – si allargò grazie a Stalin con altre aree, in precedenza tedesche o bielorusse. Nel 1990, in occasione del 50° dei trattati sottoscritti dall'Urss con le repubbliche baltiche, “Meždunarodnaja Žizn”, pubblicava alcuni rapporti inviati nel 1939 a Mosca da fiduciari o plenipotenziari sovietici. In tali rapporti si evidenziava come quei vari patti (di mutua assistenza, commerciali o di non aggressione) facessero sorgere forte apprensione nelle classi dominanti di quei paesi: apprensione per la possibile “bolscevizzazione” che sarebbe seguita all'arrivo di reparti dell'Armata Rossa a difesa delle basi concesse all'Urss e che erano invece salutati con entusiasmo dalle forze rivoluzionarie, convinte della prossima fine dei regimi fascisti locali.
Dunque, ancora una volta, si rileva come il nucleo centrale di ogni contrapposizione – nazionale, culturale, religiosa, ecc. - abbia una radice di classe e come l'odierna canea attorno alla presunta “minaccia russa” o a qualunque tema che abbia a che fare con l'esperienza sovietica, risponda a precisi interessi di classe. Gli atti di contrizione per l'olocausto nazista tacciono di fronte alle odierne sfilate degli ultimi avanzi di quelli che Der Spiegel, nel 2009, definiva “Die Komplizen”, se si tratta di abbattere le frontiere di fronte ai capitali occidentali; le genuflessioni quotidiane dinanzi all'icona della democrazia liberale passano in secondo piano allorché sono in gioco gli interessi del polo imperialista europeo, che ha bisogno di allargare il proprio mercato interno e la propria riserva di forza lavoro. Così che, ben vengano gli eredi delle Waffen SS a irrobustire la UE e a cedere territori alle esigenze dell'Alleanza atlantica contro la “minaccia russa”: dopo tutto, si tratta di repubbliche democratiche, anche se la democrazia è limitata a una fetta sola della popolazione.
ANEDDOTTI, STORIE E POESIE LEGATE ALLA VITA DELLA KAFANA
La giovinezza è una follia / Iscriversi agli astemi / Scrittore senza mestiere / Si è giustificato / Un uomo strano / L’interpretazione maestosa di Rucović / Il resto / Scarsa memoria / Sremac a proposito di Zio Ilija / Per poco non perì Janko / Nušić e il passante / La donna è una cosa costosa / Un consiglio buono vale oro / Il consiglio di Dojcin / La bottiglia piena / Due disgrazie per il popolo serbo / Inutile salvataggio del beone / Il lasciapassare / L’acqua fa male / La vista debole / Non vado più in kafana / Sete / Il credito / L’ingresso vietato agli attori / L’inquilino / Piccolo capitale / La vedova allegra / Il museo “?”
UBRIACHEZZA: Vladislav Petković Diš
IL CANTO ALLA DONNA: Jovan Dučić
MILA: Đura Jakšić
SKADARLIJA: Đura Jakšić
NOSTALGIA DI SKADARLIJA: Gustav Krklec
SKADARLIJA / TRE CAPPELLI: Gustav Krklec
QUANDO PENSO: Jovan Jovanović Zmaj
ICONA: Miroslav Antić
UN LENTO MORIRE NELLA KAFANA: Rade Drainac
AMORE: Miroslav Antić
IL PECCATO: Duško Trifunović
Dal testo è tratto uno spettacolo già rappresentato a Trieste e Milano
LINKS / Vulin: "Hrvatska humanost trajala samo dva dana" / Croatia refuses to accept refugees, partly closes borders with Serbia (18 Sep, 2015) / Hungary stops train with 1,000 asylum seekers, blocks and expels 40 Croatian police officers / Evropa zaboravlja da je Srbija sama primila 900.000 izbeglica tokom devedesetih!
Depuis mercredi soir, minuit, la Serbie a interdit l’importation de toute marchandise croate. En retour, Zagreb interdit l’entrée sur son territoire, au poste de frontière de Bajakovo, à tout ressortissant serbe et à tout véhicule immatriculé en Serbie. Des milliers de camions attendent toujours de passer...
http://www.rt.com/op-edge/316182-eu-migrants-influx-crisis/
Solo pochi mesi fa, in primavera, il flusso di migranti era relativamente basso, ma ora è nell'ordine delle centinaia di migliaia di persone. Che cosa è cambiato?
ZJ: Penso che ci sia stato un crescente afflusso nei centri di accoglienza e nei campi in Turchia, Siria, Giordania, Libano e altri paesi circostanti adiacenti alle zone di conflitto in Medio Oriente. Di conseguenza, abbiamo una quantità tremenda di rifugiati in arrivo e di immigrati che attraversano i Balcani. Per esempio, la Serbia ha ricevuto negli ultimi due mesi oltre 170.000 immigrati e rifugiati. Ieri sera (20 Settembre 2015) la Serbia ha ricevuto un gruppo di 5.000 nuovi rifugiati. Allo stesso tempo, i valichi di frontiera tra Serbia, Ungheria e Croazia sono stati quasi chiusi. In Croazia sette valichi di frontiera sono stati chiusi ad autocarri e commercio per diversi giorni. Solo i passeggeri possono passare questi varchi. Gravi incidenti si sono verificati nella zona di confine con l'Ungheria, dove le autorità ungheresi hanno eretto un recinto di filo per impedire agli immigrati di continuare a viaggiare verso l'Austria, la Germania e paesi scandinavi. Oggi (21 settembre, 2015) il portavoce ufficiale della Commissione europea ha annunciato che i paesi dell'UE hanno il diritto di rimandare i rifugiati o gli immigrati in Serbia. La Serbia ne sta ricevendo un gran numero da sud, dalla Grecia e Macedonia, e ora sembra che possa essere obbligata a ricevere indietro dal nord coloro che non sono accettati nei paesi dell'UE. Ciò rende la situazione molto difficile per la Serbia e può portare a tensioni nelle relazioni con i paesi vicini.
La Germania ha puntato il dito sulla politica estera statunitense. Ma quali sono le colpe dell’Europa?
ZJ: Ho sentito la valutazione di un analista tedesco, che ha detto che la marea di immigrati è un progetto congiunto degli Stati Uniti, della Turchia e degli islamisti estremisti. Non posso confermarlo, ma credo che ci sia qualcosa di vero. Tuttavia, l'Europa è da biasimare. A me sembra che l'Europa stia raccogliendo i frutti della propria politica sbagliata. In primo luogo, l'Europa ha seguito quasi ciecamente gli interessi degli Stati Uniti e la loro strategia di interventismo globale, a cominciare dall’aggressione della NATO contro la Jugoslavia nel 1999, poi in Afghanistan, Iraq, Siria, Libia, Yemen, Mali e molti altri paesi. In secondo luogo, dopo la decolonizzazione, invece di aiutare gli africani, gli asiatici e gli altri paesi a promuovere il proprio sviluppo economico e sociale, l’Europa ha continuato a sfruttarli ancora più duramente, in particolare le loro risorse energetiche e minerarie. Ora l'Europa si trova ad affrontare le conseguenze della propria politica sbagliata. Spero solo che l'Europa in futuro penserà due volte su come condurre i propri interesse a lungo termine e la propria politica.
Vi è una crescente preoccupazione che ci possano essere dei terroristi che si nascondono tra i rifugiati. Quanto è reale questo rischio?
ZJ: Si stima che più di un milione di immigrati arriveranno in Europa dal Medio Oriente e Nord Africa entro la fine di quest'anno. La sola Germania ha acconsentito di accettarne 800.000. Se non gestirà questo problema correttamente, come sembra succederà, invece dei 1,5 milioni di quest'anno, l'Europa potrà averne due o tre milioni l'anno prossimo. Quando si ha a che fare con cifre così elevate si può tranquillamente supporre, per la legge dei grandi numeri, che tra loro potrà esservi qualunque tipo di persona. Visto che i migranti sono provenienti da una zona di guerra, c’è il rischio che arrivino anche dei terroristi.
Il governo serbo ha appena annunciato di star preparando una nuova strategia antiterrorismo. Anche se questo documento governativo non può essere visto semplicemente come una causa dei flussi migratori, è significativo che sia stato presentato contemporaneamente all’incremento del numero degli immigrati.
Finora l'Europa ha risposto con recinzioni, controlli alle frontiere, polizia e truppe militari. Questi provvedimenti dureranno a lungo?
ZJ: Ovviamente no. Ciò riflette una unilateralità a breve termine, una disperata mancanza di capacità strategiche dei politici europei. Cercano di risolvere il problema intervenendo sulle conseguenze, non capendo o evitando di affrontare le cause reali. La cosa peggiore di tutte è l'uso di militari contro i rifugiati e gli immigrati, le loro barche.
Si teme che l'afflusso di rifugiati cambierà inevitabilmente il volto dell'Europa. Sono queste preoccupazioni giustificate?
ZJ: Sì, ci sono dei timori, alcuni reali, alcuni ingranditi da politici che, per i propri interessi, sfruttano la situazione degli immigrati per favorire l'estremismo di destra e fascista. La nuova situazione degli immigrati, l’incompetenza o la mancanza di volontà dei politici di affrontarlo, ha notevolmente contribuito a promuovere l’estremismo di destra che ormai da anni è una realtà in Europa. In ogni caso, il flusso di immigranti ha messo in luce molte carenze e problemi profondi all'interno dell'UE. Alcuni pilastri della struttura dell'UE come la solidarietà, gli accordi di Dublino, Lisbona e di Schengen sono apparsi deboli e svalutati di fronte ad un'improvvisa eruzione di egoismi nazionali dei singoli paesi membri.
Quindi, che cosa secondo lei dovrebbe essere fatto?
ZJ: È molto difficile prevedere ulteriori sviluppi e ancor più offrire soluzione. Ma, personalmente, credo che il quadro includa questi elementi:
In primo luogo, è necessario porre fine alla guerra e spargimento di sangue in Siria, attraverso negoziati sotto l'ombrello delle Nazioni Unite. Dopo tutto, la maggior parte dei rifugiati e degli immigrati provengono dalla devastante guerra in Siria, e in secondo luogo in Iraq, in Afghanistan e nel resto del destabilizzato Oriente e dell'Africa;
In secondo luogo, è necessario che UE, ONU, G-20, governi e agenzie internazionali si impegnino per valutare con urgenza le esigenze immediate e a medio termine dei profughi sul posto - in Siria, Turchia, Iraq, Giordania, Libano – per fornire risorse e logistica per soddisfare tali esigenze, mentre si lavora per soluzione pacifica del conflitto;
In terzo luogo, rafforzare l'autorità dei principi fondamentali delle relazioni internazionali, come la sovranità, l'integrità territoriale e la non ingerenza negli affari interni di altri paesi;
In quarto luogo, fermare la militarizzazione e la politica aggressiva, l'interventismo militare globale sotto qualsiasi copertura, che si tratti del "diritto di proteggere" (RTP), del "ruolo-guida" (missione), della democratizzazione, della lotta contro il terrorismo internazionale e simili;
In quinto luogo, riconoscere la realtà del mondo multipolare, accettare la responsabilità condivisa per la pace, la stabilità e lo sviluppo basata sulla Carta delle Nazioni Unite e del sistema delle Nazioni Unite.
(Parte di questa intervista è stata pubblicata su RT Tv,il 21 settembre 2015)
Traduzione di Andrea B. per Forum Belgrado Italia/ civg.it