Documentazione online
Riportiamo l'intervista a Josip Broz "Tito" apparsa sul periodico francese Paris-Match del 16 novembre 1968 (pagine 92-95)
Riportiamo estratti da Patria Indipendente, periodico dell'Associazione Nazionale Partigiani d'Italia, riguardanti la figura di Josip Broz "Tito"
Riportiamo l'intervista di Alberto Moravia a Josip Broz "Tito" apparsa su L'Espresso del 1 agosto 1971
Il testo che segue è alla base dell'articolo pubblicato sul giornale triestino di lingua slovena "Primorski Dnevnik" il 20 novembre 2020
SLOVENI ALLE TREMITI
L’Italia fascista fu per l’intero ventennio disseminato di luoghi di detenzione ed isolamento in cui, oltre ai delinquenti comuni, furono reclusi, a migliaia, oppositori politici, ma anche omosessuali, protestanti, testimoni di Geova e centinaia di allogeni che, va ricordato, con la stipula del Trattato di Rapallo del 1920, erano stati annessi entro i confini del Regno d'Italia (secondo i vecchi censimenti asburgici, ammontavano a 490.000 di cui circa 170.000 Croati e circa 320.000 Sloveni risiedenti nei distretti di Tolmino, Gorizia circondario, Sesana, Volosca, Idria e Fusine, Vipacco, Postumia e Bisterza, nei quali gli Sloveni rappresentavano la quasi totalità della popolazione).
Con l'avvento del fascismo fu inaugurata nei confronti della comunità slovena una politica d'italianizzazione forzata, infatti gran parte degli impieghi pubblici furono assegnati agli appartenenti al gruppo etnico italiano, l'insegnamento della lingua slovena fu abolito nelle scuole, furono imposti d'ufficio nomi unicamente italiani a centinaia di località dei territori assegnati (R. Decreto N. 800 del 29 marzo 1923), furono italianizzati molti cognomi sloveni o di diversa origine (Regio Decreto Legge N. 494 del 7 aprile 1927), furono chiusi i giornali in lingua diversa da quella italiana, le banche e gli istituti di credito locali.
Tra la fine degli anni venti e l’inizio del secondo conflitto bellico non pochi furono gli sloveni sanzionati dal Tribunale Speciale ed inviati al confino per attività e diffusione di stampa antifascista, propaganda sovversiva o più frequentemente comunista, vilipendio di Regime, appartenenza all’associazione slovena Edinost, oltre al favoreggiamento di espatri clandestini. Tra i tanti che per queste ragioni finirono al confino pugliese, un rimarco particolare merita Vrabec Vittorio; meccanico nativo di Comeno, nel 1934 viene ammonito per organizzazione comunista, quindi condannato al confino di Ponza dove si unisce ad un’agitazione collettiva che gli costa 10 mesi di carcere di Poggioreale, prosegue la detenzione a Tremiti, scarcerato è vigilato dalla polizia politica fino al 1943 quando si arruola nella resistenza.
Con l’invasione della Jugoslavia della primavera 1941 e l’occupazione italiana della Slovenia sud-occidentale, della Banovina nord-occidentale, della Dalmazia e delle Bocche di Cattaro, la persecuzione e la repressione degli allogeni sloveni oltre che degli sloveni stessi conobbe una notevole recrudescenza man mano che la resistenza slovena si faceva via via più irriducibile.
Il flusso, così, di internati sloveni verso i luoghi di detenzione italiana crebbe a dismisura riversandosi per buona parte in Puglia dove, in quegli anni, erano allocati ben quattro campi: Tremiti, Manfredonia, Alberobello, Gioia del Colle.
Il più importante, non solo in ambito regionale ma anche nazionale, fu senza dubbio Tremiti che, dopo Ventotene, era il sito che ospitava il numero maggiore di internati ed oppositori politici.
Le isole Tremiti sono un arcipelago del mare Adriatico a nord del promontorio del Gargano composto da sei isole in cui nelle maggiori, San Domino e San Nicola, sin dalla seconda metà dell’Ottocento, furono reclusi delinquenti comuni, prigionieri della guerra libica, e poi, a partire dalla fine degli anni venti, gli antifascisti.
Da un recentissimo censimento condotto dai ricercatori dell’IPSAIC di Bari, è emerso che gli allogeni reclusi nell’arcipelago garganico furono quasi 190, una novantina gli sloveni.
Un universo concentrazionario multiforme che, pur comprendendo principalmente uomini, annoverava anche numerose donne, tra cui ricordiamo la negoziante comunista, classe 1909, Rejna Sonia di Comeno condannata dal Tribunale Speciale a 5 anni perché “politicamente pericolosa” implementati a 9 dal Tribunale Militare, la sarta comunista Bren Majda nativa di Trbovlje, Cepon Giovanna consorte del confinato Molek Giovanni, la ricamatrice Juvenec Ljudmilla, la professoressa Kocic Meta, la domestica Kokoly Maria, la casalinga Morsic Emilia.
I detenuti erano principalmente giovani e adulti, ma non mancarono anche soggetti di una certa età come Baciavilla Valentino di Poljana, classe 1881, mentre tra i più giovani figuravano Robic Edoardo di Lubiana e il ferroviere Zega Vladimiro di S. Daniele, entrambi nati nel 1924.
Per quanto attiene all’estrazione sociale si segnala una composizione eterogenea che andava dai proletari (contadini e operai), ai piccoli artigiani (cesellatori, calzolai, mugnai, falegnami), ai borghesi ed ai liberi professionisti come l’avvocato Kuster Augusto, il professore di statistica Volgenik Adolfo, il giornalista Bevk Franc, originario di Circhina, oltre al cancelliere Svagelj Lodovico (arrestato con l’accusa di aver agevolato la fuga di ebrei dalla persecuzione nazista).
Particolarmente significativa è poi la presenza alle Tremiti di due veterani della guerra di Spagna nelle Brigate Internazionali, arrestati nell’estate del 1941 e condannati a 5 anni di confino. Si tratta di Bobnar Stanko originario di Devica Maria e l’aviatore Ravter Dusan, nato a Novo Mesto nel 1917.
La matrice politica degli internati allogeni attesta una netta prevalenza di comunisti, seguita da quella generica di antifascisti e da qualche irredentista slavo. Assenti gli anarchici.
Le imputazioni più frequenti vanno da atteggiamento antifascista ad appartenenza o favoreggiamento di banda partigiana, propaganda antinazionale, attività comunista, disfattismo, tuttavia è sufficiente dichiararsi comunista (Baciavilla Valentino), salutare col pugno (Dolnicer Giovanni), scrivere una poesia (Iagodic Antonio), danneggiare un ritratto di Mussolini (Bogataj Raffaele), gridare “Avanti bandiera rossa!” (Krapez Francesco) per essere condannati 5 anni di confino.
L’internamento nell’arcipelago garganico si conclude con la caduta del fascismo. In verità tra i detenuti politici gli allogeni sono gli ultimi a lasciare l’internamento garganico, infatti il Ministero dell’Interno provvide a disporre la liberazione dei prigionieri politici il 17 agosto col dispaccio n. 49615, ma solo l’8 settembre, ovvero in concomitanza con la notizia dell’Armistizio, sono liberati gli allogeni (non prima di averne chiesto autorizzazione ai Questori di Gorizia, Trieste, Pola e Fiume).
Sul successivo destino degli internati allogeni, le ricerche in corso lasciano presupporre che una parte consistente sia stata condotta nei campi di addestramento di Carbonara e Gravina per essere inquadrati nelle file dell’EPLJ con cui, sbarcati in Jugoslavia, avrebbero, nei mesi successivi, combattuto e concorso alla lotta di liberazione jugoslava.
L’Italia fascista fu per l’intero ventennio disseminato di luoghi di detenzione ed isolamento in cui, oltre ai delinquenti comuni, furono reclusi, a migliaia, oppositori politici, ma anche omosessuali, protestanti, testimoni di Geova e centinaia di allogeni che, va ricordato, con la stipula del Trattato di Rapallo del 1920, erano stati annessi entro i confini del Regno d'Italia (secondo i vecchi censimenti asburgici, ammontavano a 490.000 di cui circa 170.000 Croati e circa 320.000 Sloveni risiedenti nei distretti di Tolmino, Gorizia circondario, Sesana, Volosca, Idria e Fusine, Vipacco, Postumia e Bisterza, nei quali gli Sloveni rappresentavano la quasi totalità della popolazione).
Con l'avvento del fascismo fu inaugurata nei confronti della comunità slovena una politica d'italianizzazione forzata, infatti gran parte degli impieghi pubblici furono assegnati agli appartenenti al gruppo etnico italiano, l'insegnamento della lingua slovena fu abolito nelle scuole, furono imposti d'ufficio nomi unicamente italiani a centinaia di località dei territori assegnati (R. Decreto N. 800 del 29 marzo 1923), furono italianizzati molti cognomi sloveni o di diversa origine (Regio Decreto Legge N. 494 del 7 aprile 1927), furono chiusi i giornali in lingua diversa da quella italiana, le banche e gli istituti di credito locali.
Tra la fine degli anni venti e l’inizio del secondo conflitto bellico non pochi furono gli sloveni sanzionati dal Tribunale Speciale ed inviati al confino per attività e diffusione di stampa antifascista, propaganda sovversiva o più frequentemente comunista, vilipendio di Regime, appartenenza all’associazione slovena Edinost, oltre al favoreggiamento di espatri clandestini. Tra i tanti che per queste ragioni finirono al confino pugliese, un rimarco particolare merita Vrabec Vittorio; meccanico nativo di Comeno, nel 1934 viene ammonito per organizzazione comunista, quindi condannato al confino di Ponza dove si unisce ad un’agitazione collettiva che gli costa 10 mesi di carcere di Poggioreale, prosegue la detenzione a Tremiti, scarcerato è vigilato dalla polizia politica fino al 1943 quando si arruola nella resistenza.
Con l’invasione della Jugoslavia della primavera 1941 e l’occupazione italiana della Slovenia sud-occidentale, della Banovina nord-occidentale, della Dalmazia e delle Bocche di Cattaro, la persecuzione e la repressione degli allogeni sloveni oltre che degli sloveni stessi conobbe una notevole recrudescenza man mano che la resistenza slovena si faceva via via più irriducibile.
Il flusso, così, di internati sloveni verso i luoghi di detenzione italiana crebbe a dismisura riversandosi per buona parte in Puglia dove, in quegli anni, erano allocati ben quattro campi: Tremiti, Manfredonia, Alberobello, Gioia del Colle.
Il più importante, non solo in ambito regionale ma anche nazionale, fu senza dubbio Tremiti che, dopo Ventotene, era il sito che ospitava il numero maggiore di internati ed oppositori politici.
Le isole Tremiti sono un arcipelago del mare Adriatico a nord del promontorio del Gargano composto da sei isole in cui nelle maggiori, San Domino e San Nicola, sin dalla seconda metà dell’Ottocento, furono reclusi delinquenti comuni, prigionieri della guerra libica, e poi, a partire dalla fine degli anni venti, gli antifascisti.
Da un recentissimo censimento condotto dai ricercatori dell’IPSAIC di Bari, è emerso che gli allogeni reclusi nell’arcipelago garganico furono quasi 190, una novantina gli sloveni.
Un universo concentrazionario multiforme che, pur comprendendo principalmente uomini, annoverava anche numerose donne, tra cui ricordiamo la negoziante comunista, classe 1909, Rejna Sonia di Comeno condannata dal Tribunale Speciale a 5 anni perché “politicamente pericolosa” implementati a 9 dal Tribunale Militare, la sarta comunista Bren Majda nativa di Trbovlje, Cepon Giovanna consorte del confinato Molek Giovanni, la ricamatrice Juvenec Ljudmilla, la professoressa Kocic Meta, la domestica Kokoly Maria, la casalinga Morsic Emilia.
I detenuti erano principalmente giovani e adulti, ma non mancarono anche soggetti di una certa età come Baciavilla Valentino di Poljana, classe 1881, mentre tra i più giovani figuravano Robic Edoardo di Lubiana e il ferroviere Zega Vladimiro di S. Daniele, entrambi nati nel 1924.
Per quanto attiene all’estrazione sociale si segnala una composizione eterogenea che andava dai proletari (contadini e operai), ai piccoli artigiani (cesellatori, calzolai, mugnai, falegnami), ai borghesi ed ai liberi professionisti come l’avvocato Kuster Augusto, il professore di statistica Volgenik Adolfo, il giornalista Bevk Franc, originario di Circhina, oltre al cancelliere Svagelj Lodovico (arrestato con l’accusa di aver agevolato la fuga di ebrei dalla persecuzione nazista).
Particolarmente significativa è poi la presenza alle Tremiti di due veterani della guerra di Spagna nelle Brigate Internazionali, arrestati nell’estate del 1941 e condannati a 5 anni di confino. Si tratta di Bobnar Stanko originario di Devica Maria e l’aviatore Ravter Dusan, nato a Novo Mesto nel 1917.
La matrice politica degli internati allogeni attesta una netta prevalenza di comunisti, seguita da quella generica di antifascisti e da qualche irredentista slavo. Assenti gli anarchici.
Le imputazioni più frequenti vanno da atteggiamento antifascista ad appartenenza o favoreggiamento di banda partigiana, propaganda antinazionale, attività comunista, disfattismo, tuttavia è sufficiente dichiararsi comunista (Baciavilla Valentino), salutare col pugno (Dolnicer Giovanni), scrivere una poesia (Iagodic Antonio), danneggiare un ritratto di Mussolini (Bogataj Raffaele), gridare “Avanti bandiera rossa!” (Krapez Francesco) per essere condannati 5 anni di confino.
L’internamento nell’arcipelago garganico si conclude con la caduta del fascismo. In verità tra i detenuti politici gli allogeni sono gli ultimi a lasciare l’internamento garganico, infatti il Ministero dell’Interno provvide a disporre la liberazione dei prigionieri politici il 17 agosto col dispaccio n. 49615, ma solo l’8 settembre, ovvero in concomitanza con la notizia dell’Armistizio, sono liberati gli allogeni (non prima di averne chiesto autorizzazione ai Questori di Gorizia, Trieste, Pola e Fiume).
Sul successivo destino degli internati allogeni, le ricerche in corso lasciano presupporre che una parte consistente sia stata condotta nei campi di addestramento di Carbonara e Gravina per essere inquadrati nelle file dell’EPLJ con cui, sbarcati in Jugoslavia, avrebbero, nei mesi successivi, combattuto e concorso alla lotta di liberazione jugoslava.
Massimiliano Desiante