Informazione

Quelli che vogliono squartare la Russia (10)

1. Le politiche del terrorismo nell'Ossezia Settentrionale:
auto-determinazione e politiche imperiali
di James Petras

2. Gli amici americani dei ceceni
di John Laughland (The Guardian)

3. Putin accusa di 'complicità' l'occidente nell'ospitare
i terroristi ceceni (C. Stephen, The Scotsman)


=== 1 ===

http://www.resistenze.org/sito/te/po/ru/poru4i27.htm
www.resistenze.org - popoli resistenti - russia - 27-09-04

the english version at:
http://archives.econ.utah.edu/archives/a-list/2004w37/msg00031.htm

la versione spagnola in:
http://www.rebelion.org/noticia.php?id=4745


Le politiche del terrorismo nell'Ossezia Settentrionale:
auto-determinazione e politiche imperiali


di James Petras
8 settembre 2004

La mostruosa deliberata strage di più di 330 genitori e bambini nella
scuola di Belsan fatta dai terroristi ceceni non è come dice la BBC
una "tragedia" ma un vile atto criminale.

Per capire la natura del conflitto tra lo stato russo e i terroristi
ceceni è importante mettere a fuoco le forze socio politiche e le
questioni in campo. Per la maggior parte dei media US e UE il problema
è l'autodeterminazione dei ceceni. Ma a chi e a cosa è riferita
l'autodeterminazione? Con la dissoluzione dell'ex Unione Sovietica sia
in Russia sia negli stati baltici, balcanici e caucasici, bande
criminali, alleate con membri corrotti degli apparati di stato
precedenti, confiscarono e saccheggiarono le risorse pubbliche,
controllando le finanze e gli apparati di stato. I gangsters
diventarono miliardari e miliardari i contratti per i sicari per
eliminare rivali, competitori e ogni autorità regolatrice di intralcio
alle loro attività. Secondo Paul Klebnikov - l'editore dell'edizione
russa della rivista Forbes recentemente assassinato - una delle più
brutali e vili bande attiva a Mosca era quella dei mafiosi ceceni.
Alleati con i miliardari russi e tramite questi, con il sistema di
sicurezza russo, essi hanno accumulato grandi fortune che poi
riciclavano nelle banche occidentali e attraverso un'estesa rete con i
loro operatori in Cecenia. Ogni ceceno che protestava o contestava la
mafia cecena veniva rapidamente eliminato. Per la mafia cecena attiva
in Russia, la Cecenia era la sede base, il santuario nel quale poter
sempre trovare un rifugio sicuro. La mafia cecena era uno strumento per
finanziare e provvedere armi, quadri militari e capi al "movimento
indipendentista" ceceno. Quello che era in gioco era la creazione di un
potentato mafioso controllato dalle bande, dai signori della guerra e
dai fondamentalisti islamici.

Scrivendo sulla Prima Guerra Cecena (1994-96), Paul Klebnikov scrisse:

"La Guerra Cecena è stata una guerra di bande di gangster ampiamente
descritta. Le bande del crimine organizzato cecene a Mosca e in altre
città della Russia hanno mantenuto appoggi nella loro patria
ancestrale. La Cecenia era lo snodo centrale per il traffico di
narcotici russo e i gangsters distaccati a Mosca rimettevano gran parte
dei loro profitti alla madrepatria. Gli stessi ufficiali ed agenti di
sicurezza russi che proteggevano i gruppi di crimine organizzato ceceni
a Mosca, proteggevano anche il governo ceceno, permettendogli di
appropriarsi di milioni di tonnellate di petrolio russo a basso costo o
gratis" (Padreterno del Cremlino, Harcourt 2000)

I comandanti ceceni cercarono di guadagnare una parvenza di
'legittimità' per il proprio dominio feudale provocando un conflitto
con la Russia ed assicurandosi l'appoggio di US e UE. Dalla fine degli
anni '80 ma in particolare dopo il 1991, la Cia ha dato la massima
priorità a fomentare la frammentazione dell'Unione Sovietica,
finanziando ed armando i movimenti separatisti locali. La prima ondata
di separatismo ebbe luogo in Kazakistan, Uzbekistan e Georgia.
Washington e Londra non erano del tutto consapevoli se i nuovi capi
fossero fondamentalisti, neostalinisti, o gangsers mafiosi: l'obiettivo
prioritario era distruggere l'URSS, e minare l'influenza russa nel
Caucaso e nelle zone asiatiche. Curando "l'indipendenza" di queste ex
repubbliche sovietiche, gli US si proponevano soprattutto di creare
regimi clientelari, firmare contratti petroliferi e installare basi
militari. "L'autodeterminazione" era uno slogan transitorio verso una
rapida incorporazione nella nuova zona ad egemonia statunitense. La
Russia sotto la gestione clientelare di Yelsin accettò tutte queste
acquisizioni "consigliate" dai gangsters, dai miliardari mafiosi e dai
più corrotti oligarchi della storia recente.

L'impero US, dopo essersi inserito con la prima ondata di acquisizioni,
si mosse ancor più a fomentare una seconda ondata per appropriarsi di
altri territori autonomi della Russia, ancora più vicini ai centri
strategici dello stato russo. La Cecenia fu una scelta individuata con
motivazioni storiche. Nel 1989, durante le sollevazioni islamiche
sponsorizzate dagli US e l'invasione della secolare repubblica afgana,
sulla via delle riforme, Washington si unì con Arabia Saudita, Pakistan
ed altri stati mussulmani, incluso l'Iran, per reclutare, finanziare e
armare decine di migliaia di mussulmani fondamentalisti da tutte le
parti di Medio Oriente, Nord Africa, Caucaso meridionale e Asia del
Sud. Molti reclutati della Cecenia combatterono in Afganistan contro il
Governo afgano e i suoi alleati. Gli US in Afganistan ottennero una
vittoria di Pirro: indebolirono severamente il già precario stato
Sovietico ma crearono una quantità di reti di fondamentalisti islamici
ben armati ed addestrati. Mentre un settore delle forze islamiche andò
ad opporsi agli US in Arabia Saudita, altrove, un altro gruppo, si
prestava alla strategia imperiale statunitense nello smembramento della
Jugoslavia e della Russia.

Migliaia di combattenti dalle armate di fondamentalisti dell'Afganistan
andarono in Bosnia, dove furono armati e finanziati dagli US per
combattere contro gli jugoslavi in favore degli stati separatisti sotto
la tutela US.

Molti scrittori della sinistra hanno ignorato la presenza di questi
'volontari' che stavano ai margini delle pulizie etniche delle enclave
serbe e che fecero scoppiare l'ordigno terroristico nel principale
mercato di Sarajevo, per focalizzare l'opinione Occidentale sul
'genocidio' serbo. In seguito al successivo smembramento delle
principali regioni della Jugoslavia e alla ripartizione dei nuovi
mini-stati in clienti US e UE, gli Stati Uniti si mossero per
aggiungere nuove regioni all'impero. US e UE spalleggiarono l'esercito
di "liberazione" del Kossovo, prima finanziando, addestrando e armando
e poi dichiarando guerra contro quanto restava della Jugoslavia. I
ceceni hanno partecipato con le sedicenti 'armate di liberazione del
Kossovo', un gruppo diffusamente riconosciuto di terroristi che fu
classificato come criminale dall'Interpol, prima di diventare cliente
di Washington. L'Uck era finanziato da diverse "fonti interne". In
parte derivava i fondi dal controllo delle rotte della droga dall'Asia
meridionale e dal Medio Oriente e dal racket sulla prostituzione in
larga scala. Più tardi rastrellava dollari dai bordelli del Kossovo
'liberato'. Oltre a tutto ciò, rubò la terra, le imprese e la proprietà
privata alla popolazione serba espulsa e sottrasse miliardi di dollari
dagli aiuti occidentali. Sotto la protezione Nato, l'Uck perpetrò
pulizia etnica su più di 200.000 residenti che non appartenevano
etnicamente all'Albania, che divenne di fatto uno stato cliente,
vivente sugli aiuti occidentali e con tutte le sue fabbriche e miniere
chiuse. La Halliburton, contraente US, costruì grandi basi militari
nell'Europa più meridionale, in Kossovo, in Bosnia, in Afganistan, in
tutti i campi di battaglia US nei quali Washington aveva sponsorizzato
movimenti separatisti sotto la copertura dell'autodeterminazione. Tutti
questi stanno ora per essere convertiti in stati clienti.

I separatisti ceceni svilupparono, in tutti questi conflitti, strette
relazioni di lavoro e un abile attività terroristica con gli US e l'Est
Europa e divennero beneficiari dell'aiuto diplomatico, politico e
militare degli stati Uniti (attraverso l'Arabia Saudita). Come quelli
kossovari, i capi ceceni vengono dalle fila della rete dei
finanziamenti della mafia, e usano la retorica nazionalista per coprire
la gestione malavitosa. Per gli US una vittoria dei terroristi ceceni
diventerebbe un trampolino di lancio per successivi smembramenti della
Russia nella regione caucasica.

I ceceni, per affermare il loro potere, combinano le tattiche violente
che hanno appreso gestendo l'attività criminale in Russia con il
terrorismo fondamentalista praticato nella guerra afgana,
nell'attaccare scuole rurali femminili, decapitare maestri e
infermieri, tagliare gole e scuoiare vivi i prigionieri 'Comunisti'.

Politica Occidentale

In risposta agli assalti terroristici dei Ceceni, tutti i media
occidentali hanno continuato a parlare di loro come 'nazionalisti',
'militanti', 'ribelli', e come legittimi rappresentanti del popolo
ceceno, anche dopo che hanno massacrato centinaia di scolaretti. Nelle
immediate conseguenze spiacevoli, tutti i mezzi stampa e elettronici,
dalla BBC al Guardian, Le Monde, New York Times ecc. .hanno criticato
la Russia per aver mancato di negoziare con i terroristi - anche mentre
i terroristi stavano assassinando i bambini e piazzando esplosivi per
massacrare questi ragazzini innocenti - Nulla rende meglio il profondo
impegno dei media per l'impero e per la causa dello smembramento della
Russia, che il loro sostegno ai terroristi, assassini di massa. Il
sostegno molto incivile e vile per le richieste dei terroristi, nel
mezzo del dolore nazionale e di un oltraggio internazionale, alla fine
ha portato lo stato russo a reagire con indignazione.

I media russi non hanno fatto eccezione. Molti dei media in mani
private e dei commentatori parteggiavano per il ritorno al periodo di
servilismo e arricchimento yeltsiniano e hanno cercato di screditare e
distruggere il regime di Putin. Molti degli oligarchi miliardari
avevano stretti rapporti di lavoro con i capi ceceni, in particolare
Boris Berezovsky. Gli oligarchi e i loro accoliti, nei media russi,
hanno ripetuto la linea mediatica e politica Occidentale di biasimare
le forze di sicurezza russe piuttosto che i terroristi ceceni. I
testimoni oculari sopravvissuti hanno fatto vive descrizioni di
esplosioni e uccisioni prima delle operazioni di salvataggio russe,
smentendo così le bugie della copertura Occidentale.

In Inghilterra il governo britannico ha dato asilo ai principali capi
terroristi ceceni ricercati dalle autorità russe. Negli US ad uno dei
capi separatisti della Cecenia, Ilia Akhadov, è stato dato asilo lo
scorso Agosto, grazie agli ingenti sforzi dell'associazione di Zbigniew
Brzezinsky e del Segretario di Stato reaganiano Alexander Haig,
principale sostenitore, negli anni '80, dell'invasione fondamentalista
e della distruzione della secolare repubblica afgana. L'ossessione di
tutta una vita di Brzezinsky è stata lo smembramento totale della
Russia e la sua riduzione ad enclave feudali controllate dall'Occidente
per mezzo di oligarchi locali, comandanti e gangster, come quelli che
spalleggia in Cecenia. Brzezinsky, con i suoi colleghi neoconservatori
del National Endowment for Democracy ( la faccia civile della Cia) ha
conferito a questi 'portavoce' finanziamenti, comprendenti indennità
mensili, assicurazione medica, e rimborso spese di viaggio.

I governi US e UK ed il loro "fronte politico" hanno fornito un
santuario ai capi terroristi ceceni, in quanto parte della loro
strategia per sostenere una guerra di logorio contro la Russia e in
particolare contro Putin; usando il popolo ceceno come cavia. Il futuro
di una Cecenia indipendente potrebbe essere molto simile al Kossovo:
uno stato cliente con una grande base militare US, percorso da gangster
e signori della guerra, trafficanti di droga/prostituzione/armi, e
profondamente coinvolto nel fomentare il terrorismo separatista lungo i
confini più meridionali della Russia, segnatamente nella Repubblica
del Daghestan (che è multietnica e vicina alle ricchezze di petrolio e
di gas del Mar Caspio). Il nemico della Russia non è l'autonomia della
Repubblica Cecena ma uno stato terrorista a regime malavitoso,
controllato dalle forze di sicurezza US e britanniche, teso a smembrare
ancor più la Russia e a distruggere gli sforzi di Putin di riformare lo
stato russo.

Una delle possibili conseguenze non previste comunque è che la
carneficina di centinaia di scolari e genitori nella scuola pubblica di
Belsan possa dare a Putin la possibilità di liberarsi di tutti gli
ufficiali della sicurezza 'ereditati' dal regime di Yeltsin. Ciò
potrebbe portare Putin a creare una nuovo modello di sicurezza
efficiente, capace di fare a pezzi le bande e i gangster (ceceni o di
altre matrici) che hanno finanziato i terroristi. Più importante, egli
deve capire che l'imperialismo UK-US non è un partner contro il terrore
ma un complice dei terroristi nella loro missione di frammentare la
Russia e distruggerne la pubblica autorità.

Conclusioni

Per capire l'applicazione di Washington del principio di
auto-determinazione delle nazioni è richiesta una prospettiva critica
di classe del concetto. Washington la applica in casi come il Kossovo e
la Cecenia, dove controlla le forze clientelari, nonostante
l'illegittimità politica del loro uso di metodi terroristici. Per i
costruttori dell'impero angloamericano l'auto-determinazione è usata
come uno slogan per smembrare gli stati avversari in nuove mini-entità
da trasformare in enclave o base militare e cliente politico.

La questione fondamentale che deve essere posta, prioritaria rispetto
l'auto-determinazione, è quale sia la natura delle forze politiche e
sociali che sostengono l'auto-determinazione: fanno parte di un
progetto nazionale o sono semplici fantocci di una lotta di potere
imperiale? (la Cecenia rientra nell'ultimo caso, mentre l'Iraq e la
Palestina rappresentano il caso di lotte per l'indipendenza nazionale
contro l'occupazione coloniale). Il sostegno certamente irragionevole
di molti nella sinistra ai gangster della Cecenia e del Kossovo, in
ordine a principi di auto-determinazione, senza aver analizzato prima
il contesto e le politiche, rivela la loro mediocrità e peggio, la loro
sottomissione servile alla propaganda imperiale.

La questione del giorno è l'espansione globale imperiale angloamericana
- direttamente attraverso guerre coloniali e indirettamente delegando i
terroristi "separatisti". Gli assassini di massa in Cecenia avrebbero
come minimo dovuto provocare alcuni critici ripensamenti sulla
questione di cosa è in gioco nella Guerra Cecena, di chi le sta dietro,
e chi ne aspetta dei benefici.

Negli US i principali sostenitori dei 'separatisti' ceceni sono gli
stessi neoconservatori che hanno promosso l'invasione dell'Iraq e sono
sostenitori incondizionati della pulizia etnica sionista in Palestina:
Perle, Wolfowitz, Ledeen, Feith, e Adelman tra gli altri. La 'sinistra'
filo-cecena viaggia in ben strana compagnia!

La doppia misura che US e UE applicano quando valutano il terrorismo è
ancora più eclatante nel caso dei capi terroristi della Cecenia. A Ilia
Akmadov è stato concesso asilo negli US a dispetto del fatto che gli
investigatori della sicurezza russi reclamassero di avere prove di
legami di Akmadov con i capi del terrorismo ceceno Aslan Maskhadov e il
più noto Shamil Basayev. La Britannia ha garantito asilo ad Akmed
Zakayev, un portavoce di Maskhadov, 'ministro della cultura' del suo
'governo di opposizione'. I regimi occidentali dimostrano che quello
che fanno i terroristi ceceni filo-occidentali - fosse anche
l'uccisione in massa di 150 bambini- non è un reato sufficientemente
brutale da richiedere l'estradizione.

La doppia politica dei regimi occidentali verso il terrorismo ruota
sulla questione verso chi è diretto il terrorismo. E' un mito parlare,
come Washington fa, di una guerra nel mondo intero contro il terrore.
US e UE in passato e nel presente sostengono gruppi terroristi in
Kossovo, Afganistan, Cecenia, così come li sostennero negli anni '80 in
Nicaragua, Mozambico e Angola. Per Washington la questione del terrore
è subordinata alle più fondamentali questioni: Può indebolire nemici o
oppositori dell'impero? Può portare future basi militari? Si possono
riciclare i gruppi terroristici come poteri clientelari? Negli scorsi
13 anni US e UE sono stati attivi nel fomentare movimenti separatisti
nell'ex Unione Sovietica, in Russia, in Jugoslavia affinché
praticassero terrore e violenza per assicurare le loro mire. Solo
recentemente il Presidente Putin è arrivato a realizzare che non c'è
fine all'espansione imperiale, fino alla Piazza Rossa. La sua
cooperazione con Washington nel combattere il terrore diretto contro
gli US (Al Quaeda) non ha ottenuto il risultato di un reciproco aiuto
per i tentativi russi di battere il terrorismo nel Caucaso. La grande
domanda è se Putin sia desideroso o capace di ottenere una completa
riabilitazione in particolare della politica estera russa e una
riabilitazione delle relazioni russo-americane, che sono centrali per
la lotta del Kremlino contro il terrorismo.

Infine ci si può domandare come mai così tanti apparenti 'progressisti'
e 'intellettuali di sinistra' ripetono la linea imperialista US
dell'auto-determinazione per la Cecenia? Non è un voler ignorare le
forze sociali in Cecenia? Essi semplicemente decontestualizzano le
azioni terroristiche e pongono principi astratti, fuori dalle pigre
abitudini mentali? O sono semplicemente piegati dall'incalzare dei loro
colleghi dell'ala destra a "sostenere concretamente
l'autodeterminazione ovunque"? In ogni modo questi filo-imperialisti
sono incurabili: persino mentre i ceceni stavano perpetrando
l'assassinio di massa dei bimbi indifesi di Belsan, essi hanno
biasimato..i russi, per non aver accettato le richieste dei terroristi.
Perché c'è questa reticenza nel sostenere il tentativo di Putin di
estromettere il terrorismo dai confini della Russia? Può essere che
tali progressisti abbiano più cose in comune con i loro governanti
imperiali di quanto si curino di ammettere, specialmente quando si
tratta di questioni di guerra e pace, di terrorismo e
auto-determinazione?

Traduzione dall'inglese Bf


=== 2 ===

IN ENGLISH:
http://www.guardian.co.uk/print/0,3858,5010448-103677,00.html
http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,,1299318,00.html
http://www.artel.co.yu/en/izbor/Krize_u_svetu/2004-09-13.html
http://www.oscewatch.org/pressDetails.asp?ArticleID=25

EN FRANCAIS:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3854

The Guardian September 8, 2004

Gli amici americani dei ceceni

di John Laughland

Una enorme nuvola di vapore si è innalzata alla vista
del Presidente Putin, che viene, in qualche modo,
ritenuto essere il maggior colpevole degli efferati
eventi in Nord Ossetia. Parole e titoli di testa come
"L'afflizione diventa rabbia", "Dure parole contro il
governo", e "Aumentano le critiche a Putin" abbondano,
mentre i corrispondenti della TV e della radio a
Beslan sono stati spinti a trasmettere che la gente,
qui, condannava Mosca tanto quanto i terroristi. Vi
erano stati molti editoriali che ci incoraggiavano a
capire - riporta il Sunday Times - le "cause sottese"
del terrorismo Ceceno (usualmente i Russi usano spesso
la parola "ribelli" per descrivere la gente che spara
ai bambini, cosa mostra una sorprendente indulgenza
davanti a questa estrema brutalità).
A una indagine più vicina, questa cosiddetta "critica
montante" si dimostra, infatti, guidata da un gruppo
specifico dello spettro politico Russo - e dai suoi
supporter statunitensi. I principali critici Russi
della gestione di Putin della crisi di Beslan sono i
politici pro-USA Boris Nemtsov e Vladimir Ryzhkov -
associati con i riformisti ultraliberisti che hanno
devastato l'economia Russa sotto l'amato,
dall'occidente, Boris Yeltsin - e il Carnegie
Endowment's Centre di Mosca. Finanziato dal suo capo
ufficio di New York, questo influente thinktank - che
opera in tandem con la militar-politica Rand
Corporation, invece di produrre documenti sulla
politica e l'aiuto della Russia nella ristrutturazione
USA del "Più Grande Medio Oriente" - ha riportato
diversi rimproveri, negli ultimi giorni, contro Putin
per le atrocità Cecene. Il centro è stato, inoltre,
assiduo nell'ultimo mese, nell'argomentare contro le
dichiarazioni di Mosca che vi fossero dei legami tra
Ceceni e al-Qaida.
Questa gente smercia la stessa linea che è stata
espressa dai leaders Ceceni stessi, come Ahmed Zakaev,
l'esiliato a Londra che ha scritto in queste pagine
ieri. Altra eminente figura che usa la rivolta Cecena
come un bastone per colpire Putin é Boris Berezovsky,
un oligarca Russo che, come Zakaev, ha ottenuto asilo
politico in questo paese, sebbene le autorità Russe lo
ricerchino per numerose accuse. Mosca ha spesso
accusato Berezovsky di aver finanziato i ribelli
Ceceni in passato.
Nello stesso modo, la BBC e altri media hanno trattato
il comportamento della TV Russa nella crisi di Beslan,
mentre solo i canali occidentali hanno fatto la
diretta, l'implicazione è che la Russia di Putin
rimane uno stato di polizia. Ma questa visione dei
media Russi è proprio l'opposto dell'impressione che
ho avuto mentre vedevo sia la CNN che la TV Russa la
settimana scorsa: i canali Russi davano una
informazione e delle immagini migliori da Beslan che i
loro concorrenti occidentali.
Tale durezza verso Putin é forse spiegabile dal fatto
che negli USA, Il gruppo che maggiormente gioca per la
causa Cecena sia l'American Committee for Peace in
Chechnya (ACPC). La lista degli autodenominati
"distinti Americani", che sono i suoi membri, è il
ruolino dei maggiori neoconservatori, entusiastici
supporter della "Guerra al terrore".
Ne fanno parte Richard Perle, il noto consigliere del
Pentagono; Elliott Abrams dalla fama dell'Iran-Contra;
Kenneth Adelman, ex-ambasciatore USA all'ONU che
incitava all'invasione dell'Iraq predicendo che
sarebbe stata una "cakewalk" (passeggiata); Midge
Decter, biografo di Donald Rumsfeld e direttore della
Heritage Foundation di estrema destra; Frank Gaffney
del militarista Centre for Security Policy; Bruce
Jackson, ex-militare USA dell'intelligence e ex
vice-presidente della Lockheed Martin, adesso
presidente del Comitato Usa sulla Nato; Michael Ledeen
dell'American Enterprise Institute, già ammiratore del
fascismo Italiano e adesso principale proponente per
un cambio di regime in Iran; e James Woolsey, ex
direttore della CIA, il primo sostenitore del piano di
Bush per il rimodellamento del mondo mussulmano,
secondo linee pro-USA.
L'ACPC ha pesantemente promosso l'idea che la rivolta
Cecena mostri la natura non democratica della Russia
di Putin, e coltiva il sostegno per la causa Cecena
enfatizzando la serietà delle violazioni dei diritti
umani nella piccola repubblica caucasica. Compara la
crisi Cecena a quelle cause "Mussulmane" di moda,
Bosnia e Kosovo - implicando che solo l'intervento
internazionale nel Caucaso possa stabilizzare la
situazione. In Agosto, l'ACPC ha graziosamente
accordato, in premio, l'asilo politico negli USA, e
pagato dal governo USA, a Ilyas Akhmadov, ministro
degli esteri del governo d'opposizione Ceceno, un uomo
descritto da Mosca come un terrorista.
Composta da membri di entrambi i partiti politici,
l'ACPC rappresenta l'ossatura dell'establishment
diplomatico USA, e la sua visione è quella
dell'amministrazione USA. Sebbene la Casa Bianca abbia
condannato il sequestro di Beslan, la sua visione
ufficiale rimane che il conflitto Ceceno debba essere
risolto politicamente. Secondo il membro dell'ACPC
Charles Fairbanks della Johns Hopkins University, le
pressioni USA su Mosca aumenteranno fino a ottenere
una soluzione politica, piuttosto che militare, in
altre parole a negoziare con i terroristi, una
politica che gli USA risolutamente rigettano da altre
parti. Affermazioni sono state fatte in Russia,
secondo cui l'occidente stesso cerca il modo di
indebolire la Russia, e di cacciarla dal Caucaso. Il
fatto che si ritiene che i Ceceni usino come base la
gola del Pankisi nella vicina Georgia - un paese che
aspira a unirsi alla Nato, che ha un governo
estremista filo-USA, e dove gli USA hanno già una
significativa presenza militare USA - può solo
incoraggiare tali speculazioni. Putin stesso sembra
credere all'idea, nella sua intervista con giornalisti
stranieri di lunedì.
Prove di coinvolgimento occidentale sarebbero
difficili da avere, ma non c'è da meravigliarsi se in
Russia si facciano domande sulla questione, quando la
stessa gente di Washington, che chiede il
dispiegamento di forze militari contro i cosiddetti
nemici terroristi, poi insiste che la Russia vi
capitoli?

John Laughland è membro del British Helsinki Human
Rights Group - www.oscewatch.org

Traduzioni di Alessandro Lattanzio
E-mail: alexlattanzio@ yahoo. it
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Sito Generale:
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Sito sull'11 settembre e Dintorni:
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http://italidiota.cjb.net/
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http://archivio.cjb.net
http://digilander.libero.it/Archiviaurora/


=== 3 ===

http://news.scotsman.com/international.cfm?id=1094802004

The Scotsman September 18, 2004

Putin accusa di 'complicità' l'occidente nell'ospitare
i terroristi Ceceni

Di CHRIS STEPHEN

Il presidente Russo, Vladimir Putin, ieri ha accusato
l'occidente di ospitare i terroristi Ceceni, parlando
una ora dopo che il leader ribelle Shamil Basayev
dichiarava la propria responsabilità nel massacro
della scuola di Beslan.
In una dichiarazione riguardante ulteriori
raffreddamenti nelle relazioni della Russia con
l'Europa e gli USA, Putin ha detto che l'occidente
"sostiene e indulge verso gli assassini, con molte
complicità nel terrore".
Tali affermazioni sono fatte il giorno dopo che, a
Mosca, è stato convocato l'incaricato d'affari inglese
Stephen Wordsworth, presso il ministero degli esteri
Russo per presentare le rimostranze sulla decisone di
Londra di dare asilo a politici Ceceni e miliardari
esiliati Russi.
Wordsworth ha detto che questi uomini, il portavoce
dei ribelli Ceceni Akhmed Zakayev e il miliardario
Boris Berezovsky, sarebbero stati fermati dal fare
"dichiarazioni scandalose". Nel frattempo
l'Organisation for Security and Co-operation in Europe
(OSCE) ha criticato Mosca per non aver dato una
accurata copertura dell'assedio di Beslan e accusato
il governo di aver aperto "un gap di credibilità" tra
stato, media e popolo.
Un giorno di drammatici annunci iniziato con la
dichiarazione, tramite il website ribelle, con cui il
leader della guerriglia Cecena Basayev aveva, infine,
accettato la responsabilità per l'attacco a Beslan,
dicendo che una unità chiamata Riyadus-Salikhin ha
attuato l'operazione. Ma Basayev insisteva nel dire
che le forze del governo, non i suoi ribelli, erano
responsabili del massacro di due settimane fa, che
fece 326 morti e 100 dispersi. "Una terribile tragedia
è accaduta a Beslan. Il Kremlino vampirizza 1.000
bambini e adulti uccisi e feriti" dichiara Basayev.
Ripete una precedente offerta di pace se il Kremlino
darà alla Cecenia l'indipendenza, cosa che Mosca
esclude. "Possiamo garantire che tutti i Mussulmani
della Russia saranno trattenuti dall'uso delle armi
contro la Federazione Russa, almeno per altri 10 o 15
anni." Dice la dichiarazione.
Gli USA ieri hanno denunciato le ammissioni di
Basayev.
Il vice segretario di stato, Richard Armitage, dice:
"Ha provato senza ombra di dubbio di essere disumano."

I commenti di Basayev hanno provocato la speculazione
che il macellaio di Beslan, il leader ribelle, voglia
trarre una pausa nei combattimenti. L'uomo più
ricercato della Russia dice che altri attacchi
seguiranno.
"Non siamo limitati da nessuna circostanza, e da
nessuno, e continueremo a combattere finché ci sarà
conveniente e vantaggioso, e secondo le nostre
regole." ha detto.
Di che tipo di attacchi si tratti non è chiaro, ma la
Russia è stata colpita da una estate di violenti
attacchi che le sue forze di sicurezza non hanno
potuto prevenire.
Putin, intanto, accusa l'occidente di ipocrisia nel
combattere contro Osama bin Laden mentre allo stesso
tempo è il santuario dei ribelli Ceceni. "Affrontiamo
un doppio standards nell'attitudine verso il
terrorismo" ha detto. Putin mette in guardia, i
tentativi di negoziare con i separatisti ceceni sono
pericolosi come l'appeasement con la Germania Nazista
negli anni prima della seconda guerra mondiale.
"Voglio ricordarvi la lezione della storia, gli affari
amichevoli (con Adolf Hitler) a Monaco nel 1938".
"Ogni arresa li conduce ad aumentare le pretese e a
farle peggiori." I commenti di Putin riguardano la
distanza che si è creata tra la Russia e l'occidente
che ha ripetutamente criticato la Russia per le
violazioni dei diritti umani in Cecenia.
Le sopracciglia si sono aggrottate in Europa, questa
settimana, quando Putin ha detto che, come parte della
sua campagna contro il terrorismo, avrebbe sospeso le
elezioni dei governatori regionali della Russia, e che
li avrebbe designati egli stesso.
Gli inglesi sono nel mirino per la loro decisione di
dare asilo a Berezovsky e a Zakayev. La Russia
considera Zakayev un terrorista, e vuole che
Berezovsky, ex mogul della televisione e potente
banchiere, ritorni in Russia per affrontare gli
investigatori per la bancarotta.
Entrambi gli esiliati sono degli assidui critici di
Putin.

Traduzione di Alessandro Lattanzio
E-mail: alexlattanzio@ yahoo. it
URL:
Sito Generale:
http://www.aurora03.da.ru
http://aurora03.cjb.net/
Sito sull'11 settembre e Dintorni:
http://sitoaurora.cjb.net/
Atlante sulla Politica Internazionale:
http://atlante.cjb.net/
L'Italidiota, sulla tragicommedia italiota:
http://italidiota.cjb.net/
Archivio Bollettini:
http://archivio.cjb.net
http://digilander.libero.it/Archiviaurora/

(auf deutsch)

Quelli che vogliono squartare la Russia (11)

1. Tschetschenische Karte (german-foreign-policy.com)

2. Bündnispartner (german-foreign-policy.com)

3. Internationaler Terrorismus: Mischten USA in Beslan mit? jW sprach
mit dem SPD-Politiker Andreas von Bülow


=== 1 ===

http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1094853600.php

11.09.2004

Tschetschenische Karte

BERLIN - Tschetschenische Separatisten genießen seit Beginn der 1990er
Jahre intensive Unterstützung durch verschiedene Vorfeldorganisationen
der deutschen Außenpolitik. Zeitweise standen sie in Kontakt zur
Moskauer Residentur des deutschen Auslandsgeheimdienstes BND. Berlin
wolle ,,trotz der engen Bindung an Russland tschetschenische Karten für
den zukünftigen Machtpoker am Kaukasus in der Hand haben", erklärt der
Geheimdienstexperte Erich Schmidt-Eenboom gegenüber
german-foreign-policy.com.


Mit einer Mahnwache hat die Gesellschaft für bedrohte Völker (GfbV) am
vergangenen Donnerstag gegen den deutsch-russischen ,,Petersberger
Dialog" in Hamburg protestiert. Der russische Staatspräsident Wladimir
Putin solle als ,,Hauptverantwortliche(r) für das Morden im Kaukasus"
vor ein internationales Tribunal gestellt werden, fordert die GfbV, die
sich guter Kontakte zur deutschen Regierung rühmt, anlässlich des
Massakers tschetschenischer Separatisten im südrussischen Beslan.1)
Putin sei nur wegen des Krieges gegen die Separatisten gewählt worden
und habe ,,seine Herrschaft mit dem Tod von bisher 80.000 Menschen
erkauft", erklärt der Generalsekretär der GfbV, Tilman Zülch.2) Berlin
müsse ,,endlich auch einen Dialog mit Tschetschenien (...) beginnen",
fordert die Organisation, die sich eines guten Verhältnisses zur
Vorsitzenden des Bundestags-Menschenrechtsausschusses, Christa Nickels
(Grüne), und zur Entwicklungsministerin Heidemarie Wieczorek-Zeul (SPD)
rühmt. ,,Wir arbeiten immer wieder mit der Bundesregierung zusammen",
erklärt die GfbV-Pressesprecherin und verweist auf
,,Beratungsgespräche" in Berlin.3)

Untergrundkontakte

Die GfbV unterstützt den tschetschenischen Separatismus bereits seit
den 1990er Jahren. Tschetschenien habe bei seiner Sezession im Jahr
1991 ,,von seinem Selbstbestimmungsrecht Gebrauch" gemacht, hieß es
1995 in einem von der GfbV verbreiteten Text. Mit dem Versuch, die
territoriale Souveränität der Russischen Föderation militärisch zu
gewährleisten, habe Moskau ,,das Völkerrecht" gebrochen. Auch die
deutsche Sektion der Paneuropa-Union verfügt über entsprechende
Kontake: Sie begleitete in den 1990er Jahren den Aufbau eines
,,Tschetschenien-Informationsbüros" in München.4) Eine weitere Berliner
Vorfeldorganisation, die Föderalistische Union Europäischer
Volksgruppen (FUEV), ,,betreute" Mitte der 1990er Jahre verschiedene
,,Minderheiten" im Kaukasus.5) Als Zentrum der deutschen
Tschetschenien-Aktivitäten kann die 1996 gegründete Deutsch-Kaukasische
Gesellschaft gelten. Die Organisation arbeitet eng mit Mitgliedern der
illegalen tschetschenischen Exilregierung zusammen und vermittelt
hochrangigen Berliner Außenpolitikern Gespräche mit Kennern des
tschetschenischen Untergrundes. Unterstützt wird sie dabei von der
Heinrich-Böll-Stiftung, die der Regierungspartei Bündnis 90/Die Grünen
nahe steht.6) Anlässlich des Massakers in Beslan fordert auch der
Vorsitzende der Deutsch-Kaukasischen Gesellschaft, Ekkehard Maaß, in
der als rechtsextremistisch bezeichneten Wochenzeitung Junge Freiheit,
den russischen Präsidenten ,,vor das Kriegsverbrechertribunal in Den
Haag" zu stellen. ,,Eine Lösung des Tschetschenien-Konfliktes kann es
nur mit Hilfe der Europäer und Amerikaner geben", erklärt Maaß:
,,Voraussetzung ist aber natürlich der Abzug der Russen."7)

Geostrategisches Kalkül

Wie der Geheimdienstexperte Erich Schmidt-Eenboom gegenüber dieser
Redaktion erklärt, pflegte auch der deutsche Auslandsgeheimdienst BND
Mitte der 1990er Jahre über seine Moskauer Residentur Kontakte zur
tschetschenischen Opposition. Nach dem Ende des Kalten Krieges sei es
das ,,geostrategische Kalkül" mehrerer westlicher Staaten gewesen,
,,dass auf der Achse Georgien, Tschetschenien und Dagestan eine
Landbrücke zum Kaspischen Meer und damit in Richtung auf die ölreichen
zentralasiatischen Republiken unter westliche Kontrolle kommt". Berlin
wolle ,,trotz der engen Bindung an Russland tschetschenische Karten für
den zukünftigen Machtpoker am Kaukasus in der Hand haben", so
Schmidt-Eenboom gegenüber german-foreign-policy.com.

Belastung

Bereits 1996 hatte der deutsche Politikberater Georg Brunner in einem
,,Gutachten" eine ,,territoriale Neuordnung des in ethnisch-politischem
Aufruhr befindlichen nördlichen Kaukasus" in Betracht gezogen. Dies sei
,,außergewöhnlich schwierig", da den ,,in der Region lebenden
islamischen Völker(n)" die ,,Staatsfähigkeit (...) wohl abzusprechen"
sei, erklärte der deutsche Professor damals. Dennoch müsse Moskau sich
fragen, ob es ,,im wohlverstandenen nationalen Interesse Rußlands
liegt, seine staatliche Identität mit dem unlösbaren Problem der
Kaukasischen Bergvölker zu belasten".8)

1) Terroranschläge in Russland als ,,verbrecherische Reaktion" auf den
Genozid in Tschetschenien verurteilt; Pressemitteilung der GfbV
01.09.2004
2) ,,Ohne Tschetschenienkrieg wäre Putin nicht Präsident Russlands
geworden"; Pressemitteilung der GfbV 07.09.2004
3) s. auch Hintergrundbericht: Gesellschaft für bedrohte Völker
[http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1029328369.php%5d
4) s. dazu ,,Dekolonisierung" Russlands gefordert
[http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1018812459.php%5d
und Hintergrundbericht: Die Paneuropa-Union
[http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1025474401.php%5d
5) Die Tschetschenen kämpfen um ihr heiliges Recht; Der Nordschleswiger
14.01.1995. S. auch Hintergrundbericht: Die Föderalistische Union
Europäischer Volksgruppen
[http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1043794801.php%5d
6) s. dazu Deutsche Tschetschenen
[http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1082848818.php%5d
und Modell Kosovo
[http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1087943982.php%5d
7) ,,Europas blutigster Konflikt". Ekkehard Maaß, Vorsitzender der
Deutsch-Kaukasischen Gesellschaft, über den beiderseitigen Terror in
Tschetschenien; Junge Freiheit 10.09.2004
8) Georg Brunner: Gutachten über Nationalitätenprobleme und
Minderheitenkonflikte in Osteuropa, in: Walter von
Goldendach/Hans-Rüdiger Minow: Von Krieg zu Krieg. Die deutsche
Außenpolitik und die ethnische Parzellierung Europas, Berlin/München
1999

Informationen zur Deutschen Außenpolitik
© www.german-foreign-policy.com


=== 2 ===

http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1096927200.php

05.10.2004

Bündnispartner

BERLIN/MOSKAU (Eigener Bericht) - Die deutsche Außenpolitik droht
Russland mit Unterstützung des tschetschenischen Separatismus und
verlangt ersatzweise ,,gestaltenden" Einfluss im Nordkaukasus. Es müsse
ein ,,Dialog" mit der russischen Irredenta begonnen werden, heißt es in
dem jüngsten Tschetschenien-Beschluss von Bündnis 90/Die Grünen. Als
mögliche Partner gelten kaukasische Separatistenclans oder Teile der
zentralrussischen Opposition. Die komplementäre Taktik schlägt das
Bundeskanzleramt ein und offeriert Moskau freie Hand in Grosny, sofern
den deutschen Regionalinteressen Genüge getan wird. Damit aktualisiert
Berlin seine traditionelle Ostpolitik und verteilt ihre
unterschiedlichen Optionen auf beide deutschen Regierungsparteien.

,,Keine innere Angelegenheit"

Wie Bündnis 90/Die Grünen in ihrem aktuellen Parteitagsbeschluss
behaupten, reiche der Bürgerkrieg in der russischen Teilrepublik
Tschetschenien ,,mittlerweile über eine innere Angelegenheit Russlands
hinaus". Er verlange ,,ein aktives Engagement der Staatengemeinschaft"
und insbesondere der Europäischen Union, deren Einfluss auf Russland
nach der Osterweiterung noch gewachsen sei. Der deutschen Regierung
komme die Aufgabe zu, Moskau zu einem ,,Dialog" mit ,,potenziell
verhandlungsbereiten Separatisten" zu drängen, heißt es in dem
Papier.1) Die den Grünen nahe stehende Heinrich-Böll-Stiftung
unterstützt seit Jahren die Deutsch-Kaukasische Gesellschaft und deren
Lobbyarbeit für Mitglieder der illegalen tschetschenischen
Untergrund-Regierung.2) Diese leitet die tschetschenischen Clans bei
ihrem bewaffneten Kampf gegen Moskau an.

,,Externes Konfliktmanagement"

Auch die Berliner Stiftung Wissenschaft und Politik (SWP) plädiert für
eine Internationalisierung des südrussischen Bürgerkriegs. Der Westen
müsse seine ökonomische Macht (,,wirtschaftlich-technologische
Kooperation") ausspielen, um die ,,gegenwärtige autistische
Außenpolitik" Moskaus zu brechen, heißt es in einer gerade erschienenen
SWP-Studie.3) Anzustreben sei die Implantation eines ,,von den
Vereinten Nationen sanktionierten externen Konfliktmanagements",
fordert der offiziöse think tank. Als geeigneter Kooperationspartner
zur Durchsetzung deutscher Interessen gelten Teile der innerrussischen
Opposition (,,Stärkung der am liberalen Rechtsstaat orientierten
Kräfte").

,,Wiederaufbau mitgestalten"

Die aggressiven Versuche, Moskaus Souveränität auf seinem eigenen
Staatengebiet auszuhebeln, federt das Berliner Kanzleramt mit
Komplementärangeboten ab. Wie ein Kanzleramts-Sprecher am gestrigen
Montag bestätigte, setzt Bundeskanzler Schröder auf eine Zusammenarbeit
mit den russischen Behörden.4) Als Gegenleistung müsse Moskau Berlin
die Stärkung der deutschen Position im Nordkaukasus gestatten, verlangt
der Russland-Experte der Deutschen Gesellschaft für Auswärtige Politik
(DGAP), Alexander Rahr: Der Kreml müsse ,,akzeptieren, dass der
Wiederaufbau Tschetscheniens (...) von der EU mitgestaltet werden
könnte", erklärte Rahr.5) Damit hält Berlin die feindliche Variante
seiner Ostpolitik in sichtbarer Bereitschaft (Bündnis 90/Die Grünen)
und lockt gleichzeitig mit einvernehmlichen Lösungen zugunsten
deutscher Machtexpansion (SPD). Beide Optionen sind fester Bestandteil
des Berliner Politik-Arsenals.

Billigung

Unterdessen werben Mitglieder der illegalen tschetschenischen
Untergrundregierung in Deutschland weiter für die Sezession der
südrussischen Teilrepublik und werden dabei von der
Deutsch-Kaukasischen Gesellschaft unterstützt. Ende September warben
der tschetschenische Untergrund-Sozialminister Apti Bisultanov und
Sait-Khassan Abumuslimov, ein ,,spezieller Gesandter" des
tschetschenischen Untergrund-Präsidenten Maschadov, auf dem Deutschen
Orientalistentag in Halle für ihr Anliegen. Die politische Tätigkeit
dieser Personen und ihr Aufenthalt in der Bundesrepublik Deutschland
wären ohne Billigung des Auswärtigen Amtes unmöglich.

1) Zukunft für Tschetschenien; www.gruene-partei.de
2) s. dazu Deutsche Tschetschenen
[http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1082848818.php%5d
und Modell Kosovo
[http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1087943982.php%5d
sowie Tschetschenische Karte
[http://www.german-foreign-policy.com/de/news/article/1094853600.php%5d
3) Rußland ohne Demokratie. Konsequenzen für das Land und die
europäische Politik; SWP-Studie 2004/S 38, Oktober 2004
4) Bundesregierung will deutsche Russland-Politik nicht verschärfen;
ddp 04.10.2004
5) Putin unter Druck; Die Welt 06.09.2004

Informationen zur Deutschen Außenpolitik
© www.german-foreign-policy.com


=== 3 ===

http://www.jungewelt.de/2004/09-11/016.php

11.09.2004

Interview: Peter Wolter

Internationaler Terrorismus: Mischten USA in Beslan mit?

jW sprach mit dem SPD-Politiker Andreas von Bülow

* Andreas von Bülow (SPD) war Parlamentarischer Staatssekretär im
Verteidigungsministerium (1976-1980) und Bundesforschungsminister (1980
– 1982). Er saß 25 Jahre im Bundestag, gehörte der Parlamentarischen
Kontrollkommission für die Geheimdienste an und leitete den
»Schalck-Golodkowski-Untersuchungsausschuß«.


F: Wie sind einer der prominentesten Kritiker der offiziellen Version
über die Attentate in New York vor drei Jahren. Sind Sie ein
Verschwörungstheoretiker?

Nein. Nur – wer mit Geheimdiensten zu tun hat, der weiß, daß sie dazu
da sind, Verschwörungen anzuzetteln. Wer sich dazu keine Theorie
bildet, der kommt hoffnungslos ins Schleudern. Also: Aufstände
inszenieren, organisierte Kriminalität und Drogenhandel ausnutzen, um
Putsche zu finanzieren. Das alles sind Themen, die in den USA intensiv
diskutiert wurden. Meistens nur von Insidern, nicht in den
Massenmedien. Bei diesen Diskussionen geht es in der Regel um das, was
Geheimdienste in ihren verdeckten Operationen anzetteln. Und genau das
sind Verschwörungen.

F: Aber die weitere Berichterstattung über die Attentate scheint
Kritiker wie Sie doch zu widerlegen.

Es ist bisher gar nichts bewiesen. Das ist ein skandalöses Verhalten
der US-Regierung, die in keinem Prozeß – weder in den USA noch in
Deutschland! – Zeugen dafür beibringen konnte, daß Mohammed Atta und
andere im Auftrag von Al Qaida das Verbrechen begangen haben.

F: Haben Sie eine Hypothese, wer die wahren Täter sein könnten?

Es gibt vier Erklärungsmuster. Das erste: Die US-Geheimdienste haben
überhaupt nichts gewußt. Die Regierung hat auch nichts gewußt, war
total ahnungslos. Inzwischen hat sich herausgestellt, daß das nicht
stimmt. Das zweite: Man hat sehr viel gewußt. Das war aber dumm
organisiert, so daß der FBI der CIA nichts mitgeteilt hat und
umgekehrt. Diese Version stellt die US-Regierung in der letzten Zeit
stark in den Vordergrund. Das dritte: Man hat sehr viel gewußt, aber
bewußt nichts getan, um ein geopolitisches Ziel umzusetzen: Den Krieg
gegen 60 Staaten der muslimischen Welt, die meistens Öl und andere
Bodenschätze haben. Das vierte: Kernelemente der US-Regierung haben die
Anschläge bewußt herbeigeführt. Zwischen den zwei letzten Möglichkeiten
ist meines Erachtens die Wahrheit zu finden.

F: Wir haben alle die schrecklichen Bilder aus der russischen Schule
gesehen – meinen Sie nicht, daß die USA mit ihrem proklamierten Krieg
gegen den Terror auf dem richtigen Wege sein könnten?

Die Frage ist doch, welches Ziel die US-Politik hat. Wenn es das Ziel
ist, das russische Reich zu zerschlagen, dann paßt auch der Anschlag
auf die Schule in Beslan gut ins Bild. Aber man müßte noch sehr viel
mehr darüber wissen, was da eigentlich passiert ist.

F: Wollen Sie andeuten, daß möglicherweise US-Geheimdienste mit den
tschetschenischen Terroristen koopieren?

Ich kann das nicht beurteilen, weil ich die Unterlagen nicht habe, die
etwa ein russischer Geheimdienstchef auf dem Tisch hat. Auf jeden Fall
hat der Antiterrorchef des Kreml angedeutet, daß die tschetschenischen
Rebellen von außen angeleitet werden. Aber eine solche Äußerung kann
man nicht für bare Münze nehmen, da muß man genau betrachten, was
dahinter steckt. Hier wird wahrscheinlich geopolitisch die
»Selbständigkeit« von Landesteilen unterstützt, um handhabbare Staaten
und damit den Zugriff auf Öl zu bekommen. Ähnlich ist es mit vielen
asiatischen Republiken der früheren Sowjetunion.

F: Welche Rolle spielen nach Ihren Erkenntnissen deutsche Geheimdienste
bei diesen Vorgängen?

Es ist denkbar, daß die genau das transportieren, was ihnen andere
Geheimdienste über Zwischenträger zugespielt haben. Das ist ein
kompliziertes Spiel der weltweiten Propaganda, in der Geheimdienste
aller Staaten eine Rolle spielen. Da kommen z. B. plötzlich Meldungen
des indischen oder des pakistanischen Geheimdienstes, die dann in der
Presse hochblubbern. Oder es wird eine Sprachregelung über den
russischen Geheimdienst zum BND gesteuert. Unabhängig davon hat dann
die CIA dieselbe Meldung und der Mossad auch. Das wird dann in den
Medien zusammengetragen und schon hat man ein einheitliches Terrorbild.
Das aber letztlich manipuliert ist.

F: Welche Möglichkeiten sehen Sie überhaupt, gegen Terror vorzugehen?

Die USA, Rußland und der Mossad müßten darauf verzichten, über
verdeckte Operationen Weltpolitik zu machen.

(italiano / english)

N. Clark: The spoils of another war

[ Certa sinistra "progessista" comincia lentamente a redersi conto
delle vere ragioni dello squartamento della Repubblica Federativa
Socialista Jugoslava. Leggendo questi articoli sale una rabbia
profonda, ricordando le menzogne che gli stessi giornali - spero
incosapevolmente - hanno profuso della 1990 al 1999. Eppure a tutt'oggi
non mi risulta che abbiano fatto pubblica ammenda, mi augurano che non
si stiano preparando alle prossime "democratizzazioni" del Caucaso, del
Tibet, del Viet Nam... (Luca Sbano) ]

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/02-Ottobre-2004/art70.html

il manifesto - 02 Ottobre 2004
STAMPA DAL MONDO

Voto in Serbia, Kosovo privatizzato. Secondo la Nato

Il Kosovo è più importante del duello tra i radicali e i democratici.
Anche se la Serbia si prepara al ballottaggio delle elezioni
amministrative, sulle prime pagine dei giornali non c'è quasi traccia
del voto di domani. E se i quotidiani di Belgrado sonnecchiano, quelli
inglesi dedicano invece grande spazio al fallimento della politica
regionale dell'Onu. A finire sotto accusa è soprattutto la
«privatizzazione di massa spinta dalle autorità di Pristina». «Guerre,
conflitti - è tutto un business». Inizia così, con una citazione dal
film Monsieur Verdoux di Charlie Chaplin, un articolo pubblicato da The
Guardian che attacca le riforme economiche «volute dalla comunità
internazionale» e ratificate recentemente dal governo provvisorio di
Pristina. «La scintilla che ha provocato l'inizio dei bombardamenti
sulla Jugoslavia nel 1999 - scrive Neil Clark, autore del testo - è
stato il rifiuto dei serbi di firmare il piano di pace proposto a
Rambouillet». E fin qui niente di nuovo. Ma Clark evidenzia che il
trattato, oltre a prevedere l'occupazione militare di tutto il
territorio delle federazione serbo-montenegrina, aveva dei paragrafi
completamente dedicati all'economia del Kosovo. Tra le priorità,
c'erano proprio «la creazione di un libero mercato» e «la
privatizzazione di massa». Allora Belgrado non era membro del Fondo
monetario internazionale, né tanto meno faceva parte del Wto e della
Banca mondiale, e la Jugoslavia era l'ultima «economia europea non
colonizzata dai capitali occidentali». Lo Stato controllava infatti
oltre il 75% delle imprese, e la maggior parte delle aziende erano
ancora «autogestite» come ai tempi di Tito.

«Gli alti prelati neoliberisti non erano soddisfatti», evidenzia Clark.
E così, all'inizio dell'estate del 1999, nel summit di Davos «Blair non
attaccò Belgrado per la situazione in Kosovo», ma criticò Milosevic
«per il fallimento delle riforme economiche». Il resto è storia. E The
Guardian sottolinea che i bombardamenti Nato «distrussero solo 14 carri
armati dell'esercito federale, e ben 372 impianti industriali statali».

Cinque anni dopo l'aggressione della Nato, la Kosovo Trust Agency - che
opera sotto la giurisdizione della missione dell'Onu in Kosovo (Unmik)
- «è felice di annunciare» che il programma di privatizzazione delle
prime 500 aziende statali è avviato. «Persino il governo filoccidentale
di Belgrado - conclude Clark - l'ha definito un vero e proprio furto».

Il Financial Times (Ft) rileva il fallimento delle comunità
internazionale: «Le Nazioni Unite dovrebbero considerare subito la
riduzione del proprio personale in Kosovo, e dovrebbero cercare una
nuova strategia per la soluzione della crisi nella provincia», scrive,
citando un documento ufficioso dell'Onu. Il giornale precisa che le 23
pagine redatte da un inviato del Palazzo di vetro sono state consegnate
a fine luglio a Kofi Annan. Per il rapporto, l'Onu dovrebbe iniziare
«serie discussioni sullo status finale della provincia». Il dossier
prevede inoltre che «tensioni crescenti tra gli albanesi e l'Onu
costringeranno tutti i soggetti coinvolti a incominciare i negoziati
entro la metà del 2005». «La Nato - riporta infine il Ft - deve
mantenere una forte presenza nella provincia. Ridurre il numero di
truppe sarebbe un grave rischio per la sicurezza». A 5 anni dalla fine
della guerra lo status è quello di protettorato militare in preda ad
una nuova contropulizia etnica. E la pace?
(Igor Fiatti)

[ NOTA: La richiesta demagogica di "pace" da parte di Igor Fiatti si
contraddice nel momento in cui egli continua ad usare il concetto
bugiardo di "contropulizia etnica". L'uso di questo concetto
sottintende una presunta precedente "pulizia etnica" che in realta' non
e' mai avvenuta, ma la cui evocazione e' servita alla NATO per
giustificare la guerra, e serve tuttora per motivare la occupazione
coloniale del territorio. Come le "armi di distruzione di massa di
Saddam", anche la "pulizia etnica di Milosevic" e' una mera invenzione
della propaganda imperialista occidentale, della quale i giornalisti
della sinistra italiana continuano ad essere i servi sciocchi. (I.
Slavo) ]

---

http://www.guardian.co.uk/print/0,3858,5020627-103677,00.html
http://www.guardian.co.uk/comment/story/0,3604,1309037,00.html
http://www.artel.co.yu/en/izbor/jugoslavija/2004-09-21.html

Comment

The spoils of another war

Neil Clark

Tuesday September 21, 2004
The Guardian

Five years after Nato's attack on Yugoslavia, its administration in
Kosovo is pushing through mass privatisation


'Wars, conflict - it's all business," sighs Monsieur Verdoux in Charlie
Chaplin's 1947 film of the same name. Many will not need to be
convinced of the link between US corporations now busily helping
themselves to Iraqi state assets and the military machine that prised
Iraq open for global business. But what is less widely known is that a
similar process is already well under way in a part of the world where
B52s were not so long ago dropping bombs in another "liberation"
mission.
The trigger for the US-led bombing of Yugoslavia in 1999 was, according
to the standard western version of history, the failure of the Serbian
delegation to sign up to the Rambouillet peace agreement. But that
holds little more water than the tale that has Iraq responsible for
last year's invasion by not cooperating with weapons inspectors.

The secret annexe B of the Rambouillet accord - which provided for the
military occupation of the whole of Yugoslavia - was, as the Foreign
Office minister Lord Gilbert later conceded to the defence select
committee, deliberately inserted to provoke rejection by Belgrade.

But equally revealing about the west's wider motives is chapter four,
which dealt exclusively with the Kosovan economy. Article I (1) called
for a "free-market economy", and article II (1) for privatisation of
all government-owned assets. At the time, the rump Yugoslavia - then
not a member of the IMF, the World Bank, the WTO or European Bank for
Reconstruction and Development - was the last economy in
central-southern Europe to be uncolonised by western capital. "Socially
owned enterprises", the form of worker self-management pioneered under
Tito, still predominated.

Yugoslavia had publicly owned petroleum, mining, car and tobacco
industries, and 75% of industry was state or socially owned. In 1997, a
privatisation law had stipulated that in sell-offs, at least 60% of
shares had to be allocated to a company's workers.

The high priests of neo-liberalism were not happy. At the Davos summit
early in 1999, Tony Blair berated Belgrade, not for its handling of
Kosovo, but for its failure to embark on a programme of "economic
reform" - new-world-order speak for selling state assets and running
the economy in the interests of multinationals.

In the 1999 Nato bombing campaign, it was state-owned companies -
rather than military sites - that were specifically targeted by the
world's richest nations. Nato only destroyed 14 tanks, but 372
industrial facilities were hit - including the Zastava car plant at
Kragujevac, leaving hundreds of thousands jobless. Not one foreign or
privately owned factory was bombed.

After the removal of Slobodan Milosevic, the west got the "fast-track"
reforming government in Belgrade it had long desired. One of the first
steps of the new administration was to repeal the 1997 privatisation
law and allow 70% of a company to be sold to foreign investors - with
just 15% reserved for workers. The government then signed up to the
World Bank's programmes - effectively ending the country's financial
independence.

Meanwhile, as the New York Times had crowed, "a war's glittering prize"
awaited the conquerors. Kosovo has the second largest coal reserves in
Europe, and enormous deposits of lignite, lead, zinc, gold, silver and
petroleum.

The jewel is the enormous Trepca mine complex, whose 1997 value was
estimated at $5bn. In an extraordinary smash and grab raid soon after
the war, the complex was seized from its workers and managers by more
than 2,900 Nato troops, who used teargas and rubber bullets.

Five years on from the Nato attack, the Kosovo Trust Agency (KTA), the
body that operates under the jurisdiction of the UN Mission in Kosovo
(Unmik) - is "pleased to announce" the programme to privatise the first
500 or so socially owned enterprises (SOEs) under its control. The
closing date for bids passed last week: 10 businesses went under the
hammer, including printing houses, a shopping mall, an agrobusiness and
a soft-drinks factory. The Ferronikeli mining and metal-processing
complex, with an annual capacity of 12,000 tonnes of nickel production,
is being sold separately, with bids due by November 17.

To make the SOEs more attractive to foreign investors, Unmik has
altered the way land is owned in Kosovo, allowing the KTA to sell
99-year leases with the businesses, which can be transferred or used as
loans or security. Even Belgrade's pro-western gov ernment has called
this a "robbery of state-owned land". For western companies waiting to
swoop, there will be rich pickings indeed in what the KTA assures us is
a "very investor-friendly" environment. But there is little talk of the
rights of the moral owners of the enterprises - the workers, managers
and citizens of the former Yugoslavia, whose property was effectively
seized in the name of the "international community" and "economic
reform".

As the corporate takeover of the ruins of Baghdad and Pristina proceeds
apace, neither the "liberation" of Iraq nor the "humanitarian" bombing
of Yugoslavia has proved Chaplin's cynical anti-hero to be wrong.


Neil Clark is a writer and broadcaster specialising in Balkan affairs

SOURCE: alerte_otan @...

Date : Sun, 03 Oct 2004 19:09:17 +0200
De : Anne Frenal
Objet : Armes à l'Uranium Appauvri - Leuren Moret


L’URANIUM APPAUVRI : CHEVAL DE TROIE DE LA GUERRE NUCLEAIRE


Par Leuren Moret, juillet 2004

*The URL of this article is *
http://www.mindfully.org/Nucs/2004/DU-Trojan-Horse1jul04.htm

L’usage des armes à l’uranium appauvri par les Etats-Unis, défiant tous
les traités internationaux, annihilera doucement toutes les espèces sur
terre y compris l’espèce humaine, et pourtant ce pays continue à le
faire en pleine connaissance de leur potentiel destructeur.

Depuis 1991, les Etats-Unis ont mené quatre guerres utilisant des armes
à l’uranium appauvri, illégales devant tous les traités internationaux,
conventions et accords, aussi bien que devant la loi militaire US.
L’usage continu de ces armes radioactives illégales, qui ont déjà
contaminé de vastes régions avec un faible niveau de radiation et qui
contamineront d’autres parties du monde, est vraiment une affaire
mondiale et un sujet international. L’intention plus profonde en est
révélée en comparant les régions maintenant contaminées à l’uranium
appauvri – de l’Egypte, du Moyen Orient, d’Asie Centrale et de la moitié
nord est de l’Inde – avec les impératifs géostratégiques US décrits dans
le livre de Zbigniew Brzezinski en 1997 /Le Grand Echiquier./

Région du Sud* /:«/*/ Cette vaste région secouée de haines versatiles et
entourée de puissants voisins en compétition peut probablement être un
champ de bataille majeur, autant pour des guerres entre états-nations
que plus probablement, pour la prolongation de la violence ethnique et
religieuse. Que l’Inde se restreigne ou qu’elle saisisse l’opportunité
d’imposer sa volonté au Pakistan affectera grandement les possibilités
régionales de conflits probables. Les tensions internes entre la Turquie
et l’Iran vont probablement non seulement s’aggraver/ /mais réduire
considérablement le rôle stabilisateur que ces états sont capables de
jouer dans cette région volcanique. De tels développements rendront plus
difficile l’intégration de la nouvelle Asie Centrale dans la communauté
internationale affectant négativement dans le même temps la sécurité
sous domination US du Golfe Persique. Dans/ /tous les cas, les US et la
communauté internationale peuvent peut-être se retrouver là face à un
challenge qui minimisera la récente crise de l’Ancienne Yougoslavie. »
Brzezinski/

Le fait est que les US et leurs partenaires militaires ont mis en place
quatre guerres nucléaires utilisant de sales bombes et de sales armes
dans les pays qu’ils ont besoin de contrôler. Sous forme d’aérosols
l’uranium appauvri contaminera en permanence de vastes régions et
détruira doucement le futur génétique des populations vivant dans ces
régions où se trouvent des ressources que les US doivent contrôler pour
établir et maintenir leur primauté.

Décrit comme le Cheval de Troie de la guerre nucléaire, l’uranium
appauvri est l’arme qui continue à détruire. La demie-vie de
l’uranium-238 est de 4.5 milliards d’années, l’age de la Terre. Et,
comme l’uranium-238 dégénère en sous-produits radioactifs, en quatre
étapes avant de se transformer en graphite, il continue d’émettre plus
de radiations à chaque étape. Il n’y a pas moyen de l’arrêter, et il n’y
a pas moyen de le nettoyer. *Il s’accorde avec la propre définition du
Gouvernement US des Armes de Destruction Massive.*

Après la formation de microscopiques et nanoscopiques particules
insolubles d’oxyde d’uranium sur le champ de bataille, celles-ci restent
suspendues dans l’air et voyagent autour de la Terre comme composantes
radioactives de la poussière cosmique, contaminant l’environnement,
tuant sans discrimination, mutilant et causant des maladies à tout ce
qui vit là où la pluie, la neige et l’humidité les prélèvent de
l’atmosphère. La contamination radioactive mondiale issue des essais
atmosphériques équivalait à 40.000 bombes d’Hiroshima, et elle continue
à contaminer l’atmosphère et la basse altitude aujourd’hui. La quantité
de pollution de basse-radioactivité à l’uranium appauvri depuis 1991 est
de nombreuses fois supérieure (déposée à l’intérieur du corps) aux
retombées émises lors des tests atmosphériques.

Un rapport indépendant établi en 2003 par le Comité Européen sur le
Risque des Radiations (ECRR) pour le Parlement Européen, déclare sur la
base d’études de Tchernobyl que le risque lié à la basse-radioactivité
est de 100 à 1.000 fois supérieur aux estimations du Comité
International pour la Protection contre les Radiations basées sur des
études erronées conduites par les US. Se référant aux effets extrêmement
meurtriers des radiations sur les systèmes biologiques, Dr Rosalie
Bertell, l’une des 46 experts internationaux en radiations du rapport de
l’ECRR, le décrit ainsi :

« Le concept d’annihilation de l’espèce signifie une fin relativement
prompte et délibérément induite de l’histoire, de la culture, de la
science, de la reproduction biologique et de la mémoire. C’est l’ultime
rejet humain du cadeau de la vie, un acte qui nécessite un nouveau mot
pour le décrire : omnicide. »


Le « Manhattan Project 1943 » modèle pour l’uranium appauvri

* *

Dans une note déclassée au Général Leslie R. Groves, datée du 30 Octobre
1943, trois des plus importants physiciens du Projet Manhattan, Dr James
B. Conant, A.H .Compton et H.C. Urey, firent leurs recommandations, en
tant que membres du Sous-Comité de l’Exécutif S-1, sur l’ « Usage de
Matériaux Radioactifs comme Arme Militaire. » :

« Utilisé comme gaz de guerre, le matériau serait pulvérisé en
particules de taille microscopique pour former de la poussière et de la
fumée et mis à feu au sol par des lance-projectiles, des véhicules de
terrain, ou des bombes aériennes. Sous cette forme, il serait inhalé par
le personnel. La quantité nécessaire pour causer la mort de la personne
qui inhale le matériau est extrêmement petite… Il n’y a pas de méthodes
de traitement connues à de telles blessures… cela traversera un filtre
de masque à gaz standard en quantités assez grandes pour être
extrêmement dommageables. »

Comme Contaminant de Terrain :

« Pour être utilisé de cette manière, le matériau radioactif devrait
être répandu sur le sol soit par voie aérienne ou à partir du sol, si en
territoire contrôlé par l’ennemi. Afin d’interdire le terrain à l’un ou
l’autre côté, excepté aux dépends d’exposer du personnel aux radiations
malfaisantes…Des endroits ainsi contaminés par le matériau radioactif
seraient dangereux jusqu’à ce que la lente décomposition naturelle du
matériau s’effectue…pour le terrain courant il n’y a pas de méthodes de
décontamination connues. Le développement de vêtements de protection
efficaces pour le personnel ne semble pas possible. …Des réservoirs ou
des puits seraient contaminés ou la nourriture empoisonnée avec un effet
similaire à celui résultant de l’inhalation de la poussière ou de la
fumée. »

Exposition interne :

« …Les particules inférieures à 1 micron se déposeraient plus
probablement dans les alvéoles où soit elles resteraient indéfiniment,
soit elles seraient absorbées par le système lymphatique ou le
sang…pourraient pénétrer le système gastro-intestinal à partir de l’eau
polluée, ou de la nourriture, ou de l’air. …pourraient être prélevées
des poumons ou du système G-I par le sang et ainsi, distribuées à
travers le corps. »

Les deux produits de fission et le déchet uranium appauvri issus du
Projet Bombe Atomique devaient être utilisés dans le cadre de ce plan.
La nature pyrophorique de l’uranium appauvri, qui le fait commencer à
brûler à la très basse température de la friction dans le canon de
l’arme, en fit dès lors et jusqu’à maintenant une arme à gaz radioactif
idéale. Il était aussi plus disponible parce que la quantité d’uranium
appauvri produite était beaucoup plus grande que la quantité de produits
de fission produite en 1943.

La Grande-Bretagne pensait à l’utilisation de gaz empoisonné sur l’Irak
bien avant 1991 :

« Je suis fortement favorable à l’utilisation de gaz empoisonné contre
les tribus non-civilisées. L’effet moral devrait être bon…et il
répandrait une vive terreur… » (Winston Churchill commentant l’usage de
gaz empoisonné contre les Irakiens après la Première Guerre Mondiale).

*SYSTEMES D’ARMES GUIDEES*

* *

Les armes à l’uranium appauvri ont été fournies en premier par les US à
Israël pour un usage sous supervision US dans la guerre du Sinaï contre
les Arabes en 1973. A partir de là les US ont testé, manufacturé et
vendu des systèmes d’armes à uranium appauvri à 29 pays. Un tabou
international empêcha leur utilisation jusqu’en 1991, quand les US
brisèrent le tabou et les utilisèrent pour la première fois sur les
champs de bataille d’Irak et du Koweït.

Les militaires US admirent utiliser des projectiles à uranium appauvri
dans des tanks et des avions, mais la présence d’ogives dans des
missiles et des bombes est classifiée ou désignée comme un « dense » ou
« mystérieux métal ». Dai Williams, un chercheur de la Conférence
Mondiale sur les Armes à l’Uranium Appauvri de 2003 a rapporté
l’existence de 11 brevets pour systèmes d’armes guidées utilisant le
terme « uranium appauvri » ou « métal dense », dont la densité ne
peut-être que celles de l’uranium appauvri ou du tungstène pour
s’adapter aux dimensions de l’ogive.

Des bombardements intensifs, des bombardements sélectifs, et l’usage
fréquent de missiles et de balles à l’uranium appauvri sur les
habitations de régions densément peuplées ont eu lieu en Irak, en
Yougoslavie et en Afghanistan. La découverte en 1999 que des cratères de
bombes en Yougoslavie étaient radioactifs, et qu’un missile non-explosé
contenait une ogive d’uranium appauvri, implique que la quantité totale
d’uranium appauvri utilisé depuis 1991 a été grandement sous-estimée. Ce
qui est encore plus inquiétant, est que 100% de l’uranium appauvri des
bombes et missiles est vaporisé dès l’impact et immédiatement libéré
dans l’atmosphère. Cette quantité peut aller jusqu’à 1,5 tonnes pour les
grosses bombes. Pour les balles et les obus, la quantité vaporisée est
de 40-70%, laissant des morceaux et des obus non-explosés dans
l’environnement, qui seront de nouvelles sources de poussière
radioactive et de contamination des eaux souterraines par le métal
dissout de l’uranium appauvri, longtemps après la fin des batailles,
comme rapporté par le Programme de l’ONU pour l’Environnement sur la
Yougoslavie dans un rapport de 2003.

Considérant que les US ont admis avoir utilisé 34 tonnes d’uranium
appauvri sous forme de balles et d’obus en Yougoslavie, et le fait que
35.000 missions de bombardements de l’OTAN y ont eu lieu en 1999, la
quantité potentielle d’uranium contaminant la Yougoslavie et sa dérive
transfrontalière dans les pays environnants est colossale.

A cause de maladies mystérieuses et de naissances défectueuses après la
guerre rapportées parmi des Vétérans du Golfe ainsi que des civils dans
le sud de l’Irak, et de maladies relatives aux radiations chez des
Casques Bleus de l’ONU servant en Yougoslavie, des inquiétudes
grandissantes au sujet des effets des radiations et des dommages causés
à l’environnement ont soulevé l’outrage international quant à
l’utilisation d’armes radioactives par les US après 1991. A la réunion
2003 des membres du Traité de Non-prolifération Nucléaire discutant le
désir US de maintenir leur stock d’armes nucléaires, le Major Tadatoshi
AKIBA d’Hiroshima a déclaré :

« Il incombe au reste du monde…de se lever maintenant et de dire à tous
nos chefs militaires que nous refusons d’être menacés ou protégés par
des armes nucléaires. Nous refusons de vivre dans un monde de peur
continuellement recyclée et de haine. »

*ILLEGALES DEVANT LE DROIT INTERNATIONAL*

* *

Quatre raisons pour lesquelles l’utilisation des armes à uranium
appauvri viole la Convention de l’ONU des Droits Humains :

*TEST DE LEGALITE DES ARMES DEVANT LE DROIT INTERNATIONAL*

* *

*TEST DE TEMPORALITE *– Les armes ne doivent pas continuer à agir une
fois la bataille terminée.

*TEST ENVIRONNEMENTAL –* Les armes ne doivent pas être indûment
malfaisantes pour l’environnement.

*TEST TERRITORIAL* – Les armes ne doivent pas agir hors du champ de
bataille.

*TEST D’HUMANITE *– Les armes ne doivent pas tuer ou blesser
inhumainement.

L’avocate et humanitaire de International Human Rights, Karen Parker, a
déterminé que l’armement à uranium appauvri échoue aux quatre tests des
armes légales devant le droit international, et qu’il est aussi illégal
sous la définition d’une arme « poison ». Grâce aux efforts continus de
Karen Parker, une sous-commission de la Commission des Droits Humains de
l’ONU a déterminé en 1996 que *l’uranium appauvri est une arme de
destruction massive *qui ne devrait pas être utilisée :**

*RESOLUTION 1996/ 16 SUR L’ARRET DE L’UTILISATION DE L’URANIUM APPAUVRI
– UA*

* *

L’utilisation militaire de l’UA viole la législation internationale
humanitaire actuelle, incluant le principe qu’il n’y a pas de droit
illimité au choix des moyens et méthodes de guerre (Art. 22 Convention
VI de La Haye (HCIV) ; Art. 35 du Protocole Additionnel de Genève (GP1)
; l’interdiction de causer d’inutiles souffrances et des blessures
superflues (Art. 23 §le HCIV ; Art. 35 §2 GP1), la guerre aveugle (Art.
51 §4c et 5b GP1) aussi bien que l’utilisation de poison ou d’armes
empoisonnées.

Le déploiement et l’utilisation de l’UA violent les principes de
protection des droits internationaux humains et environnementaux. Ils
contredisent le droit à la vie établi par la résolution 1996/16 du
sous-comité à l’ONU des Droits Humains.

*QUATRE GUERRES NUCLEAIRES*

* *

Bien que restreinte aux champs de bataille d’Irak et du Koweït, la
Guerre du Golfe de 1991 a été l’une des plus toxiques et dévastatrices
pour l’environnement de l’histoire du monde. Incendies de puits de
pétrole, bombardement de pétroliers et de puits qui répandirent des
millions de litres de pétrole dans le Golfe d’Arabie et le désert, et la
dévastation des réservoirs et des équipements lourds ont détruit
l’écosystème du désert. Les effets à long terme et de grande envergure,
et la dispersion d’au moins 340 tonnes d’armes à uranium appauvri, ont
eu un effet environnemental mondial. De la fumée des feux de pétrole a
été trouvée plus tard sous forme de dépôts en Amérique du Sud, dans
l’Himalaya et à Hawaï. Les grands vents de sable annuels qui partent
d’Afrique du Nord, du Moyen-Orient, et d’Asie Centrale répandront
rapidement la contamination radioactive autour du monde, et le fil des
saisons sur les vieilles munitions à uranium appauvri des champs de
bataille et autres régions produira de nouvelles sources de
contamination radioactive dans les années futures. Sous le vent de la
dévastation radioactive de l’Irak, Israël souffre aussi une grande
augmentation de cancers du sein, de leucémies et de diabète infantile.

*LE RAYONNEMENT* *NE RESPECTE AUCUNE FRONTIERE, AUCUNE CLASSE
SOCIO-ECONOMIQUE, AUCUNE RELIGION.*

…/…Près de 700.000 vétérans de la Guerre du Golfe rentrèrent aux US
d’une guerre qui ne dura que quelques semaines. Aujourd’hui plus de
240.000 d’entre eux sont en incapacité médicale permanente, et plus de
11.000 sont morts. Une étude du Gouvernement US sur les bébés nés après
la guerre de 251 vétérans, rapporte que 67% des bébés présentent de
graves maladies ou de graves anomalies congénitales. Ils sont nés sans
yeux, sans oreilles, avaient des organes manquants, les doigts palmés,
des disfonctionnements de la thyroïde et autres. L’uranium appauvri
contenu dans le sperme des soldats a contaminé leurs femmes. De sévères
anomalies congénitales ont été rapportées chez des bébés nés de civils
contaminés en Irak, Yougoslavie, et Afghanistan et l’incidence et la
gravité des anomalies s’accroissent avec le temps. Les femmes de
Yougoslavie, d’Afghanistan et d’Irak ont maintenant peur d’avoir des
bébés, et quand elles accouchent, au lieu de demander si c’est une fille
ou un garçon, elles demandent « est-ce qu’il est normal ? »

…/…

Dr Keith Baverstock, un conseiller expert en rayonnement qui était en
charge à l’OMS, participa à un rapport (
http://www.mindfully.org/Nucs/DU-Radiological-Toxicity-WHO5nov01.htm )
en novembre 2001, avertissant que les effets à long terme de l’uranium
appauvri mettraient en danger les populations civiles d’Iraq, et que la
sécheresse du climat augmenterait l’exposition aux minuscules particules
environnantes qui seraient inhalées pendant des années à venir. L’OMS
lui refusa la permission de publier son étude, cédant à la pression de
l’Agence Internationale à l’Energie Atomique. Dr Baverstock livra le
rapport compromettant aux médias (
/http://www.mindfully.org/Nucs/2004/DU-WHO-Suppressed22feb04.htm/ ) en
février 2004. Pekka Haavisto, président de l’Unité d’Evaluation des
Conflits d’après-guerre du Programme pour l’Environnement de l’ONU à
Genève, partage l’anxiété de Baverstock à propos de l’uranium appauvri,
mais ses experts n’ont pas été autorisés à se rendre en Irak pour
évaluer la pollution.

« PEUR DE L’URANIUM APPAUVRI. » - clamée par G.W.Bush sur le site
officiel de la Maison Blanche :

« Pendant la guerre du Golfe, les forces de la coalition ont utilisé des
munitions perforantes faites en uranium appauvri, lequel est idéal dans
ce cas pour sa grande densité. Ces dernières années, le régime Irakien a
commis de substantiels efforts pour promouvoir la fausse plainte que les
tirs à uranium appauvri des forces de la coalition ont causé des cancers
et des anomalies congénitales en Irak. L’Irak a distribué d’horribles
photos d’enfants avec des malformations de naissance et les a reliés à
l’uranium appauvri. La campagne a deux ateliers de propagande majeurs. »

« Uranium est un nom qui a d’effrayantes associations dans l’esprit de
la moyenne des gens, ce qui fait le mensonge relativement facile à
vendre; et l’Iraq pourrait tirer avantage d’un réseau international
établi d’activistes anti-nucléaires qui ont déjà lancé leur propre
campagne contre l’uranium appauvri. »

« Mais des scientifiques qui travaillent pour l’Organisation Mondiale
pour la Santé, le Programme Environnemental de l’ONU, et l’Union
Européenne n’ont trouvé aucun effet sur la santé lié à l’exposition à
l’uranium appauvri. »

La guerre US en Afghanistan montra clairement que ce n’était pas une
guerre DANS le tiers-monde, mais une guerre CONTRE le tiers-monde. En
Afghanistan où 800 à 1.000 tonnes d’uranium appauvri ont été estimées
avoir été utilisées en 2001, même les Afghans sans instruction
comprennent l’impact que ces armes ont eu sur leurs enfants et sur les
futures générations.

« Après que les Américains aient détruit notre village et tué beaucoup
d’entre nous, nous avons aussi perdu nos maisons et n’avons rien à
manger. Cependant nous aurions enduré ces misères et les aurions même
acceptées, si les Américains ne nous avaient pas tous condamnés à mort.
Quand j’ai vu mon petit-fils déformé, j’ai réalisé que mes espoirs pour
le futur avaient disparu pour de bon, différemment du désespoir du
barbarisme Russe, même si à cette époque j’ai perdu mon fils aîné
Shafiqullah. Cette fois, cependant, je sais que nous faisons partie du
génocide invisible que les US nous ont apporté, une mort silencieuse de
laquelle je sais que nous ne nous évaderons pas. »

(Jooma Khan de la province de Lagham, mars 2003)

En 1990, l’Autorité à l’Energie Atomique du Royaume Uni (UKAEA) écrivit
un rapport avertissant de la catastrophe potentielle pour la santé et
l’environnement de l’utilisation des armes à uranium appauvri. Les
effets sur la santé étaient connus depuis longtemps. Le rapport envoyé
au Gouvernement du Royaume Uni avertissait « dans leur estimation, si 50
tonnes de poussière résiduelle d’UA restent « dans la région » il
pourrait y avoir un demi million de cancers en plus à la fin du siècle
[2000]. » Les estimations d’armes à uranium appauvri utilisées en 1991,
vont maintenant de 325 tonnes admises par le Pentagone, à 900 tonnes
selon d’autres corps scientifiques. Cela porterait l’estimation du
nombre de cancers à 9.000.000, selon la quantité utilisée pendant la
guerre du Golfe de 1991. Dans la guerre du Golfe de 2003, des
estimations de 2.200 tonnes ont été données – causant à peu près
22.000.000 de nouveaux cas de cancer. Dans son ensemble, le nombre total
de patients atteints de cancer estimé en utilisant les données de
l’UKAEA serait de 25.250.000. En juillet 1998, la CIA estimait la
population de l’Iraq aux environs de 24.683.313.

Ironiquement, la résolution 661 de l’ONU appelant à des sanctions contre
l’Irak, a été signée le jour anniversaire d’Hiroshima, le 6 août 1990.

*LES PARALLELES *

« La guerre ne peut réellement causer aucun boum économique, au moins
pas directement, puisque une augmentation de richesse ne peut jamais
résulter d’une destruction de biens. »

- Ludwig von Mises

Les parallèles entre l’Iraq, la Yougoslavie et l’Afghanistan sont
étonnamment similaires. Les armes utilisées, les traités injustes
offerts par les US, et le bombardement et la destruction de
l’environnement et de toutes les infrastructures. Dans chaque ville
d’Irak et de Yougoslavie, la télévision et des stations de radios ont
été bombardées.

Les centres d’éducation étaient visés, et les magasins où était vendu le
matériel éducatif étaient détruits presque le même jour. Pendant la
durée des sanctions de l’ONU, l’Iraq n’avait même pas droit à des stylos
pour les écoliers. Des antiquités culturelles et des trésors historiques
ont été visés et détruits dans les trois pays, un genre de nettoyage
culturel et historique, un traumatisme psychologique national collectif.

La contamination radioactive permanente et la dévastation
environnementale de ces trois pays est sans précédent, s’ensuivant une
énorme augmentation de cancers et de malformations congénitales suite
aux attaques. Celles-ci s’amplifieront au cours du temps d’effets
inconnus dus à l’exposition chronique, à l’augmentation du niveau
interne de rayonnement de la poussière d’UA et des effets génétiques
permanents transmis aux générations futures. En clair, il s’agit d’un
plan de génocide depuis le début.

Qu’est-il arrivé aux Droits Humains, aux Droits de l’Enfant, à la
société civile et à communauté humaine ?

C’est aux citoyens du monde d’arrêter les guerres à l’uranium appauvri,
et les futures guerres nucléaires, responsables de dévastations
irréversibles. Il ne reste que quelques générations épargnées avant
l’effondrement de notre environnement, et après il sera trop tard. Nous
ne pouvons pas être en meilleure santé que ne l’est notre environnement
– nous respirons le même air, buvons la même eau, mangeons la nourriture
du même sol.

« Notre patrimoine génétique collectif, évoluant depuis des millions
d’années, a été sérieusement endommagé ces cinquante dernières années.
Le temps restant pour renverser cette culture de « moutons de Panurge »
nous est compté. Dans le futur, que direz-vous à vos petits-enfants de
ce que vous avez fait du meilleur de votre vie pour contrer ce processus
de mort ? » (Rosalie Bertell, 1982)

*LES RAISONS PROFONDES : G*O*D* [Gold, Oil, Drugs] [ Or, Pétrole,
Drogues]*

« Nous devons devenir les propriétaires, ou à tout prix les contrôleurs
à la source, d’au moins une proportion du pétrole dont nous avons
besoin. »

(Commission Britannique Royale, s’accordant à la politique de Winston
Churchill envers l’Irak 1913 ).

« Il est clair que notre nation soit dépendante d’une grande quantité de
pétrole étranger. De plus en plus de nos importations proviennent
d’outre-mer. »

(US Président G.W. Bush, Beaverton, Oregon, 25 septembre 2000).

« S’ils branchent les radars nous allons faire exploser leurs maudits
SAMs (missiles à décollage vertical). Ils savent que nous possédons leur
pays. Nous possédons leur espace aérien… Nous dictons leur manière de
vivre et de parler. Et c’est ce qu’il y a de grand dans l’Amérique
d’aujourd’hui. C’est une bonne chose, spécialement quand il y a beaucoup
de pétrole là-bas dont on a besoin. »

(US General William Looney en 1999, se référant à l’Irak).


Pour retrouver les messages précédemment envoyés :
http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages

KOFI ANNAN HA IMPIEGATO APPENA ... 18 MESI PER DIRE CHE LA GUERRA IN
IRAQ E' STATA "ILLEGALE"


Da: w.schulz
-----Ursprüngliche Nachricht-----
Von: Lawyers Against The War
Gesendet: Montag, 4. Oktober 2004 16:46
Betreff: Kofi Annan: 18 months delay in saying "illegal"

Kofi Annan:

"I do not think Washington has taken any decision yet as to what to do
about Iraq. But ... any attack on Iraq at this stage would be unwise."

Mr Annan, after talks in London with the prime minister:25 February
2002. (An aggressive unprovoked attack on a sovereign nation is merely
“unwise.”)

On 17 March 2003, Annan was asked point blank by a reporter: "Should
the United States go ahead, and its allies, and use military action
against Iraq without UN Security Council authorisation, would that be
in violation of international law, according to you?"
Annan's less than clear answer was:
"I have made it very clear that in my judgment, if the Council were to
be able to manage this process successfully and muster the collective
will to handle this operation, its own reputation and credibility would
have been enhanced. And I have also said if the action is to take place
without the support of the council, its legitimacy will be questioned
and the support for it will be diminished."

"Yes, if you wish. I have indicated it was not in conformity with the
UN charter from our point of view, from the charter point of view, it
was illegal."
September 2004, BBC interview in which he was pressed on whether the
attack on Iraq was illegal.

****
Assistant Secretary General of the UN Dennis Halliday resigns from his
34 year UN Career.
"Sanctions are starving to death 6,000 Iraqi infants each month,
ignoring human rights of ordinary Iraqis, and turning a whole
generation against the West... I no longer want to be a part of that"
(NYT, 18October, 1998, p.4).
 

L'UNITA' STREPITA ED URLA A FAVORE DELLA "LIBERTA' DI STAMPA" A CUBA,
MA PRATICA LA CENSURA TUTTI I GIORNI


Da AsiCubaUmbria riceviamo e giriamo:

COMUNICATO A TUTTI I NOSTRI CONTATTI IN RETE
 
LA DIREZIONE DE "L'UNITA'" CI HA RIFIUTATO LA PUBBLICAZIONE DEL
COMUNICATO A PAGAMENTO (1530 EURO), UNICO SISTEMA CHE CI RESTAVA PER
FAR CONOSCERE UNA NOTIZIA DI GRANDE RILEVANZA E CHE INVECE -E NON
STRANAMENTE- E' STATA DEL TUTTO CENSURATA.
DA  "L'UNITA'" CHE E' IN TESTA AL CORO CHE RIMPROVERA A CUBA LA
MANCANZA DI LIBERTA' E DI LIBERTA' DI STAMPA VORREMMO SAPERE COSA
DEVONO FARE I CITTADINI QUALSIASI PER FAR CONOSCERE AL MONDO QUEL CHE I
PROPRIETARI DEI GIORNALI VOGLIONO SILENZIARE... NEL NOSTRO PAESE DOVE
ESISTE LA LIBERTA' DI STAMPA !!!!
FATE GIRARE QUESTO COMUNICATO E SE POTETE FATE SENTIRE LA VOSTRA VOCE
ANCHE PRESSO L'EMERITO DEMOCRATICO GIORNALE
AsiCubaUmbria
 
Siporcuba (info@ siporcuba.it)

----- Original Message -----
From: AsiCubaUmbria
To: maurizio.padovan@...
Sent: Wednesday, September 29, 2004 11:14 AM
Subject: inserzione su L'Unità

CHIEDIAMO LA PUBBLICAZIONE NEL GIORNO DI DOMENICA PROSSIMA.
ASPETTIAMO IL BENESTARE PER L'INVIO DEL BONIFICO (PREVIA
VS,COMUNICAZIONE DEGLI ESTREMI PER IL VERSAMENTO)
GRAZIE
Anna Serena Bartolucci -AsiCubaUmbria

---
IN LIBERTA’ 4 TERRORISTI INTERNAZIONALI
Una settimana prima di lasciare il Governo, la Presidente di Panamà,
Mireya Moscoso -accettando le richieste degli U.S.A.- ha ordinato la
scarcerazione di 4 terroristi di origine cubana, già condannati e in
attesa di appello: nel 2000 erano stati scoperti con 9 kg di esplosivo,
destinato ad un attentato a Fidel Castro.
poi ha telefonato all’Ambasciatore U.S.A. rendendogli conto
dell’operazione.
GLI SCARCERATI: TUTTI TERRORISTI, TUTTI DELLA C.I.A.
POSADA CARRILES –collaboratore della CIA nella guerra contro il
Nicaragua, reo confesso dell’esplosione di un aereo cubano nel 1976 (73
morti): condannato ed evaso; reo confesso delle bombe contro il turismo
a Cuba (vittima l’italiano Fabio Di Celmo) e di molti attentati a Fidel
Castro e a diplomatici cubani.
JIMENEZ ESCOBEDO –assassino di un tecnico cubano: arrestato in Messico
ed evaso; istruttore di mercenari contro Cuba.
NOVO SAMPOLL –coinvolto nell’assassinio di Latelier, Ministro del
Governo Allende e di tre diplomatici cubani in Canadà e Argentina.
REMON RODRIGUEZ –assassino di un diplomatico cubano a New York; reo
confesso delle bombe alla Sede diplomatica cubana presso l’ONU.
QUESTO E’ IL TERRORISMO “BUONO” CHE PIACE AGLI U.S.A.
CHE INTANTO DAL 1998 TENGONO IN GALERA 5 CUBANI REI DI
INFORMARE CUBA PROPRIO SU QUESTO TERRORISMO (AsiCubaUmbria)
---

The Hidden Agenda is Oil

[ Dal Kosovo al Sudan, dal Caucaso alla Colombia, sempre naturalmente
passando per l'Iraq martoriato - una unica chiave di interpretazione
riesce a spiegare meglio di tante altre le cause e le dinamiche di
instabilita' e guerre: la corsa per il petrolio... ]

1. The Grand Game. An interview with Vassilis Fouskas ( Z Magazine
Online)

2. US-UK Interventionism. The Hidden Agenda is Oil (by Stephen Gowans)

3. Toward The Petro-Apocalypse (By Yves Cochet - Le Monde, 07 May, 2004)


MORE LINKS:

AMBO Oil Pipeline Construction to Begin (by Marija Lazarova)
http://www.balkantimes.com/
default3.asp?lang=english&page=process_print&article_id=23850

AMBO Plans 563-Mile Trans-Balkan Line
http://www.seeurope.net/en/Story.php?StoryID=49492&LangID=1

Khatami slates US backing of pipeline
http://www.dawn.com/2004/04/30/int8.htm

IPS: Politics of oil in Washington (by Eli Clifton)
http://www.dawn.com/2004/08/01/int14.htm

Oil Exports Via Baltic Flood North Europe
http://www.moscowtimes.ru/stories/2004/06/22/046-print.html

RECENT IMPORTANT ARTICLES ON THE OIL CRISIS:

. "the end of cheap oil" - national geographic (cover story) - june
2004
. "what to use when the oil runs out" - bbc - april 22, 2004
. "adios cheap oil" - interpress news agency - april 27, 2004
. "g7: oil price threatens world economy" - moscow times - 4/26/04
. "world oil crisis looms" - jane's -- 4/21/04
. "us procuring the world's oil" - foreign policy in focus - january
2004
. "are we running out of oil? Scientist warns of looming crisis" - abc
news.com ? 2/11/04
. "blood, money, and oil" - us news - 8/18/03
. "soaring global demand for oil strains production capacity" - wall
street journal ? 3/22/04
. "check that oil" - washington post - 11/14/03
. "china's demand for foreign oil rises at breakneck pace" - knight
ridder ?1/26/04
. 'world oil and gas running out' - cnn - 10/02/03
. "debate rages on oil output by saudis in future" - the new york
times - 2/25/04
. "fossil-fuel dependency: do oil reserves foretell bleak future?" -
san francisco chronicle - 4/02/04
. "the end of the oil age: ways to break the tyranny of oil are coming
into view. Governments need to promote them" - the economist - 10/23/03


=== 1 ===

http://zmagsite.zmag.org/Oct2004/valencic1004.html

Z Magazine Online

October 2004 Volume 17 Number 10

Interview

The Grand Game
An interview with Vassilis Fouskas

By Eric Valencic

Vassilis K. Fouskas is senior research fellow in European and
International
Studies and a Leverhulme Fellow (2002-03) at Kingston University,
United
Kingdom. He is the editor of the Journal of Southern Europe and the
Balkans
and the author of Italy, Europe and the Left (1998) and Zones of
Conflict
(2003).

VALENCIC: A lot of respected scholars, journalists, and historians
argue
there was never a real threat of a war between the USSR and the U.S.
How do
you understand it?

FOUSKAS: The Cold War was the result of an arrangement, basically,
between
Britain, the U.S., and the USSR. I stress the world "arrangement"
because it
points to an agreement between the powerful to divide the world into
zones
and spheres of influence, in order to have an "arranged peace" among
them.
This did not mean, however, that the arrangement was written in stone,
hence
attempts from each side to extend their military and
politico-ideological
influence into new zones, such as Latin America, Southern Asia, and
Iran.
Thus, the superpowers fought wars by proxy. In this sense, the war was
destined to remain cold because it was designed as such. The world did
experience moments during which a "hot" confrontation between the
superpowers was close to becoming reality-the Cuban missile crisis, for
instance.

You say the U.S. uses the IMF, World Bank, the WTO, and NATO to pursue
global domination. How?

The two pillars of U.S. foreign policy towards global domination are
the
successful management of the global economy and trade relations based
on the
dollar as a reserve currency and the successful projection of power
into
zones rich in raw materials. The U.S. "philosophy" of globalization
through
the WTO is for U.S. products to have a free ride across the globe,
while the
U.S. is in a position to impose protective tariffs in case sections of
its
economy can't endure competitive pressure from abroad.

The IMF, a "lender of last resort," is virtually the U.S. Treasury.
The IMF
and conditionality go hand in hand. The U.S. Treasury does not lend
money
without asking in return either political/military reforms favorable
to its
interests and/or other privileges. Virtually all Central-Eastern
European
countries have received, or currently are receiving, IMF injections.
Most of
these countries are now members of NATO. NATO guarantees the security
of
U.S. dollars and oversees any "dangerous" Russian moves in the
Balkans, the
Black Sea region, the Caucasus, and Central Asia. The U.S. would not
have
achieved much if these Cold War institutions had not been transformed
and
modernized.

NATO, after the fall of the USSR and the Warsaw Pact, replaced the Evil
Empire with dozens of rogue states, which, so we are told, threaten the
Western world with nuclear weapons and sponsor international
terrorism. How
do you comment on this new NATO doctrine?

After the collapse of the USSR, terrorism became the ideological scheme
through which NATO, the U.S., and other Western governments defined
their
security agendas. Yet, this scheme is bound to fail. NATO is a military
alliance which acquired an extended political scope after the Cold
War, but
it is in no position to successfully fight terrorist activities.

NATO's technological superiority was visible in its war against
Yugoslavia
in 1999. The official explanation is this was a "humanitarian war." You
claim it was something else.

It was unavoidable that the breakup of Yugoslavia would spark Albanian
claims for national independence and integration in Kosovo and
Macedonia.
The Europeans knew that. The U.S. knew that. The war over Kosovo, the
first
and perhaps the last war that NATO fought together, was primarily a
war to
exclude the Russians from the Balkans and secure the wider Balkan zone
from
German and French influences. The U.S. could not lead the NATO
expansion by
having a Russian client state, Serbia, in its soft underbelly. Then
there is
the "oil factor." An entire network of oil and gas pipelines, old and
new,
are connected or designed to bring oil and gas from the Caspian Sea to
Western markets through the Balkans. In this context, the Balkans is a
fundamental transport corridor and its security could not have been
left to
the Russians or the Europeans.

You claim that military interventions cannot secure peace and bring
about
democracy. Can we understand the current developments in Kosovo as
proof of
this?

Wherever the military goes, it brings about partition and racist forms
of
separation of ethnic groups. The U.S. agenda is not that of ethnic
reconciliation and healing of wounds. Their agenda, from the
beginning, has
been that of partition, of divide and rule. This is an ages old
imperial
tactic. The Romans did it, the British did it, and now the U.S. is
doing it
in the Balkans, Afghanistan, Iraq, and elsewhere.

NATO expansion eastward is causing a lot of tension in Moscow. The
fact that
NATO planes will protect the air space of its new Baltic members
sparked a
lot of criticism there. How do you comment on the establishment of a
NATO-Russia Council in 2002, an event that led commentators and
politicians
to declare the real end of the Cold War?

I never believed that the 2002 agreements were more than a public
relations
exercise with some substantial parts, though, particularly as far as
deals
over oil were concerned. Russia and China remain the U.S.'s foremost
Eurasian competitors, whereas its relationship with the EU is on a
different
scale. It is interesting to note that the Russians also objected to
Europe's
expansion in Poland because they felt their economic interests were
threatened. NATO will continue to expand and encircle Russia and
China. If
the Ukraine, a pivotal state, shifts to the side of NATO and the U.S.,
then
Russia will be in real trouble.

After September 11, 2001, the U.S. vastly increased its military
presence in
the Caucasus, Caspian area, and broader Central Asia. The U.S. is
supplying
military aid to Azerbaijan, Georgia, Uzbekistan, and Kazahstan in
terms of
training troops, providing military equipment, and establishing army
bases.
The U.S. also controls Afghanistan and has put Pakistan in line with
its
interests. The explanation is that this is being done in the name of
war
against terrorism and to secure democracy. How do you comment on this?

The recent discoveries of oil in the Caspian Sea region kicked off an
entirely new geo-political game. Western companies vied for the
acquisition
of lucrative contracts, the construction of new pipelines, and the
rights to
extract oil and gas. They asked NATO and the U.S. to provide them with
security in order to transport these valuable things to Western
markets at
stable prices, in dollars. This, of course, does not mean the Caucasus
area
was an entirely new region in which no oil had been found
previously-for
instance, Hitler's drive through Romania during World War II aimed at
reaching the Baku area, where oil was found. Also, we should mention
the
importance of the Baku-Tbilisi-Ceyhan project for the countries
involved and
the U.S.-UK. After all, the British giant BP is heavily involved in the
construction of the pipeline. These things do not happen in order to
promote
democracy, although some of them may be happening in the name of
democracy.

In Zones of Conflict you write that the principle aim behind U.S.
control of
the Caspian energy resources lies in reducing U.S. dependence on Saudi
Arabia and OPEC countries.

The Caspian discoveries brought a sigh of relief to the U.S. and so
did the
May 2002 agreement with Russia, another non-OPEC source. Overall,
however,
the U.S. needs Saudi Arabia and OPEC more than ever before-and so do
China
and other Eurasian powers. This is because their modernization plans
have
increased their appetite for oil and gas and the Caspian discoveries
alone
are not enough. The grand game has just begun.

Time and again, a headache for the U.S. has been how to stabilize the
Caspian and Caucusus regions. Can they do it?

No, I don't think so. I don't think the U.S. does what it does in
various
Eurasian sub-regions (the Middle East, the Caucasus, etc.) because it
wants
to tame disobedient actors and bring about stability. Of course, the
U.S.
would like to have a certain degree of stability in order to better
coordinate the various groups involved in conflicts, ethnic or
otherwise.
But it was first and foremost the U.S. that instigated and encouraged
ethnic
nationalism in Soviet-dominated zones in order to undermine the
coherence of
the USSR and bring about its collapse. Now the U.S. finds itself in
the odd
position of managing these conflicts. But it will always need to
support
some nationalisms against some others in order to achieve what it
wants.

The Serbo-Croat conflict speaks for itself. Why was Croat nationalism
more
sympathetic to the U.S. than the Serbian one? Are there good and bad
nationalisms? Look at the game the U.S. is playing in Georgia, trying
to
mediate between pro-Russian Abkhazians and Georgians. There is the
problem
of Ossetia, too. These conflicts serve NATO and the U.S. as they can
tell
the conflicting parties and the world: "Look, we are coming here to
mediate
and bring about stability; we want peace and to bring the conflict to
an
end; but to achieve this we need to create some military bases."

China's need for oil is expected to rise 40 percent by 2010. How
serious a
rival is China?

China is fully involved in the pan-Eurasian pipeline and it is also
flirting
with the Russians to construct jointly another pipeline, which
by-passes its
competitor, Japan. Sinopec Group, the Chinese state-owned
petrochemicals
giant, confirmed recently that it was holding talks with the Iranians
on a
major purchase agreement for liquefied natural gas. China's
unprecedented
economic growth has made it the world's second largest oil consumer
behind
the U.S.

Many people see the war against Iraq as just another U.S. attempt to
control
Central Asian energy resources. Would you agree?

In many ways, it is a war to prevent Iraq and other OPEC countries from
switching their oil reserve holdings from dollars to euros. Iraq had
pushed
OPEC to start a similar process in November 2000. This would have
caused
havoc to U.S. management of global currency markets, signaling the end
of
its economic hegemony.

Another reason, of course, has to do with control over Iraqi's oil
reserves,
the second largest in the world after Saudi Arabia.

A third reason is what the U.S. calls "democratization of the Middle
East."
The U.S. and Israel think that by violently imposing their brand of
liberal
democracy, everything will be a bed of roses for them and terrorism
will
wither away. There is nothing more wrong than that, as the roots of
terrorism can be found in the way in which Israel has dealt with the
Palestinian problem, at least since 1967, and in the way the U.S. has
dealt
with world politics, at least since 1989.

The U.S. won the war in Iraq, but lost the peace. Now it might lose
the war,
too. How do you see the present situation in Iraq?

Even if the U.S. manages to suppress the uprising, there will be many
others
in the months and years to come. The U.S. managed to turn a first world
country, full of educated and highly qualified people, into a huge
shanty
town. They will hold their ground in Iraq, no matter what. They won't
hesitate to carpet bomb Iraq, killing hundreds of thousands.

The EU states have been completely divided on the issue of whether to
support and participate in a U.S.-led occupation of Iraq. One of the
biggest
blows to the EU was the so-called Vilnius Group, composed of all ten
new EU
member states, which openly committed themselves to the U.S. disarming
of
Iraq. Was something like this on Brzezinski's mind, when he wrote: "A
larger
Europe will expand the range of American influence?"

The real winner of EU enlargement is NATO and the U.S. If the Europeans
manage to create a coherent political block with an autonomous
security and
defense structure, then we can talk of Europe as an independent
political
actor, as you say. The newcomers, in my view, did nothing unusual.
They are
saying, "I'm going with Europe as far as geo-economics are concerned,
but I'
m going with the U.S. and NATO as far as geo-politics are concerned."

You write in Zones of Conflict: "The U.S. and Britain are the strongest
supporters of Turkey joining the EU 'as soon as possible' because,
among
other reasons, huge amounts of the IMF cash now pouring into Turkey's
ailing
economy would be replaced by Europe's regional and structural funds."
How
soon can we expect Turkey to join the EU?

The biggest obstacle to Turkey joining the EU is its geographical
location-Turkey is surrounded by tension and war zones and I'm not
sure that
the Europeans want that at present. Another problem is Turkey's special
relationship with the U.S. and Israel. These are the things that the
Europeans dislike. I tend to believe that the issues of "human
rights," the
"Kurdish question," and so on, are being used as a pretext to cover
deeper
strategic reasons. But if there is an improvement in the security
conditions
of its neighborhood, then we can expect Turkey's entry by 2010-2012.

The EU lacks a firm security policy, which was most obvious in the
Balkans
in the 1990s. There has been an initiative to field 60,000 troops
independent of the U.S.-dominated NATO. The Pentagon has been negative
about
this all along. Why?

Because the U.S. is afraid of having a force that competes with NATO.
What
is going to happen if both the EU and NATO want to go there because
their
interests dictate so?

Eurasia is arming itself: Russia is talking about expanding its nuclear
arsenal due to the unfriendly extension of NATO to Russia's western and
southern borders; China has announced it will increase its defense
budget,
as has Japan; North Korea is showing no signs of ending its nuclear
programs
and neither are Pakistan and India. The U.S. is setting up more
military
bases in Asia using the war against terrorism as an excuse. Middle East
countries are modernizing their armies with new high-tech weapons. NATO
demands that its new member states increase their military budgets.
How do
you comment on the current developments in Eurasia as a whole?

Eurasia has been, is, and will be the major playground for the Great
Powers'
national interests. Unfortunately, this will be another "century of
war," as
the historian of war and diplomacy, Gabriel Kolko, argued
convincingly. We
may not see a war after the pattern of the two world wars of the 20th
century. More likely we'll see wars of the scale and endurance of the
current ethnic conflicts and terrorist activities, which damage a
humane and
democratic development of societies, but benefit grand and small
imperialisms. The main playground for all this will be Eurasia. I'm not
saying that other deprived parts of the world, such as sub-Saharan
Africa or
Latin America, will be conflict-free. But I'm saying that Eurasia will
continue to be the main theater for world hegemony both because it is
rich
in resources and because it hosts three or four major competitors to
U.S.
interests-such as China, Europe, Russia, and even Japan.
Can you imagine what havoc an understanding between these Eurasian
powers
would cause the U.S.? Practically, it would mean the end of U.S.
hegemony in
world affairs.


=== 2 ===

www.globalresearch.ca

Centre for Research on Globalisation
Centre de recherche sur la mondialisation

US-UK Interventionism. The Hidden Agenda is Oil

Sudan: Round Gazillion

by Stephen Gowans

Stephen Gowans .  27  July 2004
www.globalresearch.ca 30 July 2004

The URL of this article is:
http://globalresearch.ca/articles/GOW407B.html


The United States and Britain are playing the ethnic cleansing and
genocide cards. Again. This time in Sudan.

And while there may indeed be a genocide going on, it's very unlikely
either country  cares overly much about ethnic cleansing and the
destruction of a people.

After all, they have always been quite willing to live with, even
perpetrate, atrocities every bit as vile, if, somewhere down the line,
there's a buck in it.

And in Kosovo, where they said there was a genocide planned and ordered
by Slobodan Milosevic (but have failed to produce any evidence or
testimony to that effect at the Hague Tribunal), and where in the
aftermath of the NATO war thousands of Serbs, Jews, and Roma have been
driven from their homes, ethnic cleansing has been both a pretext to
wage war, and, where it offers no geo-strategic benefit, something to
be ignored.

What's more likely to be the case is that the conflict in Sudan
provides a compelling pretext for military intervention, one which
could eventually see the US and Britain stumble into Sudanese oil
wells, while claiming to be rescuing the victims of ethnic cleansing.

Here's what's said to be going on: Arab militias, the Janjaweed, have
pursued a campaign of ethnic cleansing, displacing more than one
million from their homes in Sudan's Darfur region and driving them into
filthy, disease ridden refugee camps in neighboring Chad, (much as
numberless Afghans were driven by US bombs into filthy, disease ridden
refugee camps in neighboring Pakistan.)

On the surface, it seems simple enough. Ethnic cleansing. Maybe
genocide. An obligation on the part of the international community to
act. But it's not quite as simple as that.

For one thing, Sudan has oil -- lots of it.

And there's been a 21-year long civil war raging in the country, with
the secessionist Sudanese People's Liberation Army, which seeks
self-determination in the south, battling the government in Khartoum,
not one of Washington's favorites.

The SPLA, backed by the US, is said to employ terrorism against
civilians to further its aims -- hardly the kind of organization the US
is supposed to be backing, yet precisely the kind of organization the
US government takes a shine to, if its interests are served. The US
doesn't abhor terrorism so much as terrorism that works against its
interests, rather than for them.

And there's China. Dangerously dependent on US controlled sources of
oil, it's involved in a consortium developing Sudan's oil. China needs
to cultivate sources of supply outside the US orbit.

Problems is, at every turn, the US is there to thwart its plans.

The Shanghai Five,  a security organization China established to
protect a planned pipeline to carry petroleum resources from the oil
rich Caspian Sea, fell apart when the US invaded Afghanistan and set up
bases throughout Central Asia—along the proposed pipeline route.

And China also had a deal to develop Iraqi oil -- one that's unlikely
to be honored, now that the US has 141,000 troops in the country, and
has installed its own people in Iraq's interim government to look out
for the interests of corporate America.

Blocking Chinese oil deals in Iraq, scuppering the Shanghai Five, and
working to undermine Chinese oil field development in Sudan serves a
strategic goal of the US: to limit the rise of a great power rival.
Keeping China (along with the European Union and Japan) dependent on
the US for access to oil, is one way of ensuring US primacy remains
unchallenged.

Is it any wonder then that China is reluctant to approve a proposed UN
Security Council Resolution imposing sanctions on Sudan, or that it
refused to authorize the US invasion of Iraq (or that the US is seeking
one in Sudan, and sought a UN imprimatur to conquer Iraq)?

Face it. The US doesn't care about ethnic cleansing. It's seeking to
dominate the oil producing regions of the world: to secure its own oil
supply; to ensure oil sales continue to be denominated in US dollars
(thus propping up the dollar in the face of a yawning trade deficit);
and to ensure strategic competitors Japan, Europe and China remain
dependent on the US for access to oil.

It doesn't give a damn about ethnic cleansing. Look around at who the
US steadfastly supports.

Israel, one of Washington's favorites, was founded on ethnic cleansing.
Hundreds of thousands of Arabs were driven into squalid, disease-ridden
refugee camps in neighboring countries, where they and their
descendants still live, many decades later.

If Washington is so concerned about ethnic cleansing, why isn't it
threatening Israel with sanctions and military intervention?

And as far as US legislators are concerned, the right of Palestinians
to return to the homes they were driven from or fled – a measure that
would reverse ethnic cleansing – is completely out of the question.

Indeed, rather than opposing Israel's actions, the US abets the Zionist
state, and facilitates the ongoing expansion of its borders -- at the
Palestinians' expense. Is this the behavior of a country that abhors
ethnic cleansing and genocide?

A closer parallel is Colombia, in which a decades long civil war has
raged between the government, right-wing paramilitaries, and Leftist
guerilla groups. While the government and paramilitaries have engaged
in the same activities the Janjaweed are accused of, US policy has been
to support the government, and to oppose the guerillas.

If they can, the US and its British ally will use the civil war in
Sudan as a pretext to intervene militarily, to secure control of the
country's oil resources, in the same way they've done in Iraq, and in
the same way they may soon do – even if there's a Democrat in the White
House – in Iran.

Great capitalist powers don't care about the fate of people abroad, or
about most people who live within their own borders, for that matter.
There's too much evidence of their indifference to believe otherwise.

But what they do care about is markets, and opportunities for
profitable investment, and sources of raw materials, especially oil.

Civil wars, ethnic cleansing, and genocide come in handy when the
commercial interests of a country's business class can be pursued by
military means. They offer a ready made justification for invasion.

But more than that, these grim events are often outcomes of the very
same scramble for markets, investment opportunities and raw materials.

The US, UK and Germany were very much involved in fomenting the ethnic
conflict in the former Yugoslavia, encouraging Slovenia, Croatia and
Bosnia to secede. The US funneled arms to the Bosnian Muslims,
facilitated the flow of Mujahedeen into Bosnia, provided intelligence
to the Croats, and, with Germany and Britain, trained and equipped the
KLA, among other things.

Once the kindling of ethnic conflict was carefully gathered in a pile,
and a spark added, the roaring fire was cited as a rationale to hurry
to the scene, with fire hoses at the ready. Problem is, the fire hoses
were just props -- pass keys to gain entry. The fires were left to rage
unchecked.

And the US, as backer of the SPLA, is hardly innocent of involvement in
Sudan's long running civil war, or, through the billions of dollars in
aid it provides Israel every year, of the ethnic cleansing carried out
by Israel in Palestine.

Western intervention in trouble spots, then, can hardly be meliorative.
The West itself is in many instances at least partly, if not wholly
responsible for the very conflicts it proposes to resolve through
intervention.

In the long running serial of imperialist intervention, Sudan is just
another episode.

*******

A group calling itself al-Qaeda's European branch has threatened
terrorist attacks against Australia if it doesn't withdraw its troops
from Iraq.

"You came to our lands to loots its wealth," a communiqué from the
group charges, "and God willing we will move the battle to your country
as you did to our countries." ("Al Qaeda threatens Australia and
Italy," Associated Press, July 25, 2004.)

By this analysis, the war on terrorism is imperialism in disguise, and
attacks on the imperialist countries are salvos in a war of national
liberation.

What makes this war different from those of the past is that the
resistance hasn't limited its attacks to imperialist forces within the
occupied countries, but has "moved the battle" to the imperialist
countries themselves.

However morally reprehensible the attacks are, they are still an
inevitable response to imperialist plunder, and will almost certainly
continue so long as the United States and its subalterns loot the
wealth of Northern Africa, Western Asia and Central Asia.

The only effective protection against these attacks is to put an end to
the imperialism that prompts them in the first place. And since what
lies behind the exploiting, subjugating, and plunder is the incessant
drive to accumulate that lies at the heart of capitalism, the task of
achieving genuine "homeland security" is inseparable from the task of
replacing capitalism itself.

Stephen Gowans

© Copyright belongs to the author, 2004. For fair use only/ pour usage
équitable seulement


=== 3 ===

[ Yves Cochet è parlamentare verde al parlamento Francese. ]

Toward The Petro-Apocalypse

By Yves Cochet

07 May, 2004
Le Monde (Paris)

In a few years, the global production of conventional oil will fall,
while
the global demand continues to rise. The resulting shock of this
structural
oil famine is inevitable, so great are the dependency of our economies
on
cheap oil and, related to the first, our inability to wean ourselves
from
this dependency in a short period of time.

We can hope to soften the shock, but only if its imminence immediately
becomes the unique reference point for a general mobilization of our
societies, with, as a consequence, drastic consequences in every sector.
The alternative is chaos. This prospect is based on the work of the
American geologist King Hubbert, who predicted in 1956 the peak in US
domestic production of oil in 1970. This occurred exactly as predicted.

Transposing Hubbert's approach today to other countries has given
similar
predictive results: at present, the production of every giant oilfield
--
and only the giant ones matter -- is in decline, except in the "black
triangle" of Iraq-Iran-Saudi Arabia.

The Hubbert's peak of the oil-producing Middle East should be reached
around 2010, depending on the more or less rapid recovery of full Iraqi
production and the growth rate of demand in China.

The sectors most affected by the steady rise in the price of crude oil
will
be, first, aviation and intensive agriculture, since the price of jet
fuel
for one, and of nitrogenous fertilizer as well as diesel fuel for the
other, are directly linked to the price of crude oil.

This will occur unless stabilizing policies are used -- for a time and
in
some other sectors -- to lower taxes on oil as prices rise. But
afterwards
ground transport, tourism, the petrochemical industry, and the
automotive
industry will feel the depressive effects of a reduction in the
quantity of
oil (depletion). To what extent will this situation lead to a general
recession? No one knows, but the blindness of politicians and the usual
panicked overreaction of markets allows us to fear the worst.

This unavoidable prophecy is being universally ignored, denied, or
underestimated. Rare are those who realize exactly how close and how
great
is its advent. Michael Meacher, formerly UK minister of the environment
(1997-2003), wrote recently in the Financial Times that unless there is
a
general awakening and decisions at the planetary scale to bring radical
change in the domain of energy, "civilization will confront the most
acute
and no doubt most violent upheaval in recent history."

If, in spite of everything, we want to maintain a bit of humanity in
life
on Earth in the 2010s, we ought, as the geologist Colin Campbell has
suggested, to call on the United Nations to agree immediately on the
following: to guarantee that poor countries will still be able to
import a
little oil; to forbid oil profiteering; to encourage saving energy; to
promote renewable sources of energy. In order to attain these
objectives,
this universal agreement should impose the following measures: every
State
must regulate oil imports and exports; no oil-exporting country may
produce
more oil than its annual depletion, scientifically calculated, allows;
every State must reduce its oil imports to an agreed-upon global
depletion
rate.

This necessary priority granted to physical econometrics will not suit
economists and politicians, especially in America. No government of the
United States has ever accepted questioning the American way of life.
Since
the first oil shock of 1973-1974, every American military intervention
can
be analyzed in the light of the fear of running short of cheap oil. It
was,
moreover, the American production peak in 1970 that enabled OPEC to
seize
the occasion and cause the first shock, which coincided with the Yom
Kippur
War. Countries in the West then attempted to regain control and conjure
away the specter of shortage, less through energy sobriety than by
means of
opening oilfields in Alaska and the North Sea. In 1979, the Iranian
revolution and the second oil shock once again allowed OPEC to regain
preeminence, as Western economies paid dearly for their thirst for oil
through the recession of subsequent years.

At the beginning of the 1980s, the financing and arming of Saddam
Hussein
to fight Iran was part of the American reconquest of the price and flow
of
oil, as was the cooperation obtained from King Fahd of Saudi Arabia to
increase crude oil exports to the West. That allowed the oil price
crash of
1986, a return of Western growth through unlimited oil abundance, the
extension of the thirst for energy up to the Iraq wars (1991, 2003) no
matter how many died from them (100,000? 300,000?), no matter how much
they
cost ($100 billion? $300 billion?), by no matter what means (annual
Dept.
of Defense budget: $400 billion).

During these same last fifteen years, the multiple conflicts in the
Balkans
had their source and their resolution in the American desire to keep
Russia
away from the oil transport routes from the Black Sea and the Caspian to
the ports on the Adriatic, by way of Bulgaria, Macedonia, and Albania.
Oil
geopolitics authorizes any pact with Islamist devils, from central Asia
to
Bosnia, and all the cynical connivances with terrorists, right up to
Tony
Blair's recent trip to Libya to allow Shell to bring its volume of
reserves
in return for several hundred million dollars.

The present American Greater Middle East Initiative is dressed up in
humanitarian and democratic considerations, but it is nothing but an
attempt to get control once and for all of every source of oil in the
region.

More than thirty years of worrying about oil has not opened the eyes of
American and European leaders concerning the energy crisis that is
looming
just before us. Despite what René Dumont and the ecologists were saying
from the 1974 presidential campaign on, the governments of
industrialized
countries have continued and continue to believe in almost inexhaustible
cheap oil -- to the detriment of the climate and human health, both
perturbed by greenhouse gas emissions -- instead of organizing a
reduction
in their economies' reliance on hydrocarbons.

However, the oil shock that promises to strike before the end of the
decade
is not like the ones that preceded it. What is at stake this time is not
geopolitical, but geological. In 1973 and 1979, the shortage had a
political origin in OPEC's decision. Then the supply was restored.

Today, it is the wells themselves that are declining. Even if the United
States succeeded in imposing its hegemony on all the oilfields in the
world
(outside of Russia), their army and their technology will not be able to
prevail against the coming depletion of conventional oil. In any case,
there is not enough time to replace a fluid so cheap to produce, so
rich in
energy, so easy to use, store, and transport, with so many uses
(domestic,
industrial, fuel, raw material...), in order to reinvest $100 billion in
another source of abundance that doesn't exist.

Natural gas? It does not have the just-named qualities of oil and will
reach its global production peak in around 2020 -- about ten years after
the other peak. The only viable path is immediate oil sobriety organized
through an international agreement along the lines I have sketched out
above, authorizing a prompt weaning from our addiction to black gold.

Without waiting for this delicate international agreement, our new
regional
elected officials and our soon-to-be-elected European representatives
should set for themselves as a top priority the local realization of
these
objectives by organizing, on their own territory, an oil shrinkage.
Otherwise, rationing will come from the market through the coming rise
in
oil prices, and then be propagated by inflation, with the shock reaching
every sector. Since the price will soon reach $100 a barrel, this will
no
longer be a simple oil shock -- it will be the end of the world as we
know it.


--Yves Cochet (Green) represents Paris in the National Assembly, and is
former land and environment minister (ministre du territoire et de
l'environnement).

(Translated from Le Monde, Paris by Mark K. Jensen, Associate Professor
of
French, Chair, Department of Languages and Literatures, Pacific Lutheran
University, Tacoma, WA. - Webpage: http//:www.plu.edu/~jensenmk/ )

USA, OLTRE 600 RISERVISTI NON SI FANNO TROVARE


Oltre 600 riservisti delle Forze Armate americane, richiamati in
servizio a luglio, non si sono fatti trovare: lo hanno indicato in
serata a Washington responsabili dell'esercito Usa. Alcune altre
centinaia di uomini, temendo di finire in Afghanistan o in Iraq, hanno
chiesto una esenzione o di venire mobilitati più tardi.

FONTE: La Repubblica online, 2 ottobre 2004, ore 01:14
http://www.repubblica.it/2004/j/dirette/sezioni/esteri/iraq/2ott/
index.html

Quelli che vogliono squartare la Russia (9)

1. LE AZIONI DELLE AUTORITA’ RUSSE E IL FRONTE UNITO CONTRO PUTIN
(Dmitrij Jakushev - http://www.left.ru)

2. Sangue, potere e petrolio. Partita mortale tra le macerie di Grozny
e Beslan (Giacomo Catrame - UMANITA' NOVA)

3. Una nuova lettera a Liberazione di MAURO GEMMA: Sui numeri di
Bertinotti sulla Cecenia...


=== 1 ===

LE AZIONI DELLE AUTORITA’ RUSSE E IL FRONTE UNITO CONTRO PUTIN

di Dmitrij Jakushev

http://www.left.ru/2004/13/yakushev112.html


All’ultima sequela di atti di diversione, le autorità russe hanno
risposto con il cambiamento del sistema di elezione dei governatori e
dei presidenti delle repubbliche, con il passaggio alla formazione
della Duma di Stato esclusivamente sulla base di liste di partito, ed
anche con la fusione di “Gasprom” e di “Rosneft”. Tutte queste azioni
rispondono pienamente alla logica del rafforzamento delle posizioni del
potere centrale in tutti gli ambiti. Proprio così sono state valutate
dai più autorevoli “media” russi e stranieri. Come ci si doveva
attendere, i tentativi di rafforzare economicamente e politicamente il
potere centrale russo, hanno provocato in questi stessi “media”
un’ondata di indignazione.

Si è agitata in particolare la stampa occidentale. Basti citare i
titoli dei più autorevoli giornali europei e americani: “La Russia
potrebbe intossicarsi con la medicina di Putin” (“The Financial Times”,
Gran Bretagna), “Ogni dittatore ha bisogno della sua Beslan” (“The
Times”, Gran Bretagna), “Come rispondere al putch di Putin” (“The
Washington Post”, USA), “La democrazia del KGB” (“The Wall Street
Journal”, USA), “Le nuove tendenze economiche: “Gazpromizatsja” e
“Jukosizatsja” (“The Financial Times”, Gran Bretagna), “Il monopolio
energetico: veleno per l’economia russa” (“Die Welt”, Germania) “Putin
ritiene che in Russia ci sia un deficit di dittatura” (“Die Presse”,
Austria), e altri dello stesso tenore.

Colpisce il livello particolarmente mediocre di tutto questo
giornalismo. In generale, salvo qualche rara eccezione, nella lettura,
non è necessario andare oltre i titoli di tutti questi articoli.
Dovunque ricorre il cliché dell’agente del KGB, della dittatura,
dell’abbandono delle riforme, del ritorno ai tempi dell’URSS. Ancora
una volta si ha la conferma che la libertà di parola, nelle condizioni
dell’imperialismo, è prerogativa delle forme più primitive di
propaganda.

Per noi l’importante è che tutta questa – se si utilizza il termine del
conduttore del programma “Però” Mikhail Leontyev – “mediatica” dimostra
eloquentemente l’intimo rapporto esistente tra l’imperialismo e il
moderno potere russo. Nel “Washington Post”, il giornale portavoce
dell’establishment USA, il collaboratore dell’istituto Carnegie Robert
Kegan scrive: “la dittatura in Russia non è meno pericolosa per gli
interessi USA, della dittatura in Iraq”. Dal che si deduce quale
potrebbero essere le misure nei confronti della Russia, quando se ne
presenterà l’occasione. Come si può allora criticare le autorità russe
per il deciso incremento dei fondi destinati alla difesa?

L’atteggiamento dell’Occidente imperialista nei confronti delle Russia
e delle sue autorità del momento dimostra in modo convincente anche il
fallimento della politica che Putin aveva intrapreso per far entrare la
Russia nel club imperialista. Non vi verrà mai inclusa, come si sarebbe
dovuto capire già in precedenza. La Russia interessa all’Occidente,
come territorio da cui poter estrarre petrolio e gas, senza alcun
riguardo per la popolazione locale, e non come partner paritario
nell’ambito del club imperialista. Così, è evidente che l’Occidente
preferirebbe la prosecuzione della politica eltsiniana, fino alla
dissoluzione dello stato unitario. E per perseguire ciò sono
indispensabili politici del tipo Rizhkov e Javlinskij (noti esponenti
liberali, nota del traduttore), non certo Putin. Non c’è dubbio sul
fatto che le autorità russe comprendono in pieno questa situazione. Ma
sorge la domanda: sono pronte a cambiare la loro politica? E ci sono
nella società e nella classe dirigente le forze su cui appoggiarsi per
ottenere ciò? Si capisce che, per cambiare la politica in senso
antimperialista, il presidente borghese Putin dovrebbe individuare
nella classe dirigente un partito patriottico su cui anch’egli,
innanzitutto, potrebbe contare. Oppure questo stesso partito dovrebbe
delinearsi ed esigere da Putin una politica antimperialista e, nel caso
egli si dimostrasse inadeguato nel far fronte alla situazione, dovrebbe
proporre al paese un nuovo leader.

Nel frattempo, alcuni segnali positivi nelle azioni delle autorità
russe, che parlano della possibilità di un serio cambiamento del
vettore politico, sono visibili già oggi. La Russia ha dato
l’impressione di schierarsi più apertamente e decisamente dalla parte
dell’Ossezia meridionale e dell’Abkhazia, il che dà la speranza che la
volontà dei popoli di queste repubbliche di riunificarsi alla Russia
verrà realizzata e che essi non saranno lasciati alla mercé del regime
di Saakashvili. All’incontro dei capi di stato della CSI ad Astana (nel
Kazakhstan, dove si sono fatti grandi passi avanti nella definizione di
uno spazio economico comune eurasiatico e dove i leader di Kazakhstan,
Bielorussia e Ucraina hanno inteso difendere Putin dagli attacchi
occidentali dopo la tragedia di Beslan, nota del traduttore), Putin,
per la prima volta, ha parlato in modo inaspettatamente benevolo di
Lukashenko, da cui in precedenza era solito prendere le distanze. E’
naturale che, quando Putin pensava di essere in procinto di entrare nel
club imperialista, il suo atteggiamento nei confronti di Lukashenko,
che l’imperialismo aveva definito malfattore internazionale e canaglia,
fosse in notevole misura sprezzante. Non conviene certo avere rapporti
amichevoli con i malfattori e le canaglie. Ora, invece, sembra quasi
che Putin abbracci il caro amico Lukashenko e affermi che lo ha sempre
amato come un fratello. Chissà cosa succederà, quando l’Occidente
presenterà anche Putin come un malfattore.

In Russia le energiche misure assunte da Putin per la centralizzazione
del potere e il rafforzamento del controllo statale sul settore del
petrolio e del gas rappresentano il catalizzatore di un processo,
avviato da lungo tempo, di formazione di un fronte unito contro il
presidente che va da Maskhadov e Kasparov fino a Zjuganov e Tiulkin
(presidente del Partito Comunista Operaio Russo). L’opinione che del
regime hanno tutte queste, a prima vista, diverse forze, è
letteralmente coincidente. Dovunque, in primo piano viene posta la
democrazia borghese che, nel contesto dato, significa solo libertà di
saccheggio della Russia per le compagnie multinazionali, e dovunque
viene completamente dimenticato il ruolo dell’imperialismo e la
posizione del regime di Putin nei suoi confronti. E’ comprensibile che
“non si accorgano” dell’imperialismo Javlinskij o Kasparov, ma
convenite che è strano che a non voler riconoscere il suo ruolo siano
Tiulkin o Zjuganov. Allora spontaneamente sorgono gli interrogativi
sugli sponsor oligarchici dei “comunisti” e sul loro ruolo nella
formazione dell’attuale posizione dei partiti formalmente di sinistra.
Questo fronte unito contro Putin, senza ombra di dubbio, verrà
appoggiato da molti governatori, dal grande capitale privato e
dall’imperialismo straniero.

Una descrizione precisa della manifestazione congiunta di PCFR e “Mela”
(il partito liberale di Javlinskij, tra i maggiori fruitori dei
finanziamenti dei gruppi oligarchici, nota del traduttore), con la
partecipazione della Novodvorskaya e dei nazionalisti tatari, è offerta
dal giornale “Kommersant” del 17 settembre: “Il conduttore del meeting,
il leader dell’ala giovanile di “Mela” ha dato la parola a Valerja
Novodvorskaya, leader di “Unione Democratica” (formazione legata
all’oligarca Berezovskij, “esule” in Gran Bretagna, nota del
traduttore), che in quel momento stava concedendo un’intervista a
giornalisti occidentali…Ma, indicando una bandiera dell’URSS, impugnata
da uno dei comunisti intervenuti al meeting, ha risposto che non
sarebbe intervenuta, “fino a quando da qui non se ne vanno quegli
idioti di comunisti”. Al posto della signora Novodvorskaya è
intervenuto il primo segretario del comitato cittadino di Mosca
Vladimir Ulas (che ha sostituito il leader della sinistra del partito
Kuvayev, tra i fondatori del “Partito Comunista Panrusso del Futuro”,
che raccoglie parte consistente del vecchio gruppo dirigente del PCFR,
nota del traduttore), il quale ha annunciato “che guarda con
soddisfazione all’unità raggiunta tra PCFR e “Mela”.

La Novodvorskaya e il PCFR a ranghi serrati: non è un aneddoto, ma,
come possiamo constatare, un dato di fatto. Non è neanche un segreto
che PCFR e “Mela” abbiano sponsor in comune e, di conseguenza,
posizioni comuni e manifestazioni comuni.

Ecco, a proposito, anche un frammento della dichiarazione del leader
del PCOR Tiulkin in merito alle riforme proposte degli organi di
potere, la quale, nel complesso, se non fosse per il rituale
riferimento al socialismo, non si differenzia praticamente in nulla
dalle valutazioni dei partiti neoliberali e della stampa occidentale ed
oligarchica russa:

“In pratica si propone di introdurre un meccanismo di nomina dei
governatori, che segue la precedente riforma della camera alta,
trasformandola di fatto in un organo svuotato di funzioni, composto
sempre di più da uomini vicini al presidente, non comprendente nessun
esponente dell’opposizione. Esso avvicina il moderno sistema politico
russo all’assolutismo dei tempi di Nicola “il sanguinario”. Non si
possono nutrire dubbi sul fatto che la proposta di introduzione del
sistema proporzionale puro di elezione della camera bassa, unitamente
alla riforma del sistema elettorale e della legislazione sui partiti
politici, farà in modo che in pratica nel paese venga annientato il
cosiddetto multipartitismo politico, e che in tutti i rami del potere
rimanga un solo partito: il partito del sostegno alla persona del
presidente…Il sistema della cosiddetta “direzione anticrisi”, creato da
Putin, sfocerà nella formazione di uno stato di polizia con la continua
paura dei cittadini di fronte al pericolo di nuove tragedie, con il
controllo totale da parte delle strutture di sicurezza della vita
politica e privata dei cittadini, con la definitiva trasformazione dei
diritti e delle libertà democratici in una finzione”.

E’ evidente che in questa dichiarazione non c’è nulla dell’essenziale
che un comunista avrebbe l’obbligo di dire. E in che cosa consiste
l’essenziale? Che le azioni di Putin sono provocate dalla necessità di
rafforzare lo stato di fronte all’imperialismo, che cerca di farlo a
pezzi. Questo pensiero è stato espresso con chiarezza nelle
dichiarazioni del presidente. E allora, chi, se non i comunisti, è
obbligato a dire che non si può respingere l’imperialismo, se si resta
sul terreno della proprietà privata, del mercato, vale a dire sul
terreno del capitalismo, su cui anche l’imperialismo è sorto. Che le
azioni di Putin da sole non potranno salvare la Russia
dall’annientamento: ecco cosa è obbligato a dire un comunista.

Che è indispensabile un movimento di massa antimperialista, socialista,
che è necessaria una decisa espropriazione delle corporazioni, che è
necessaria una lotta senza quartiere contro la “quinta colonna”,
rappresentata dalla propria borghesia, che aspetta di vedere
l’instaurazione del dominio imperialista in Russia, nella convinzione
che solo l’imperialismo è in grado di garantire le sue posizioni. Nulla
di ciò o di simile a ciò è riscontrabile nelle posizioni di Tiulkin e
nemmeno in quelle di Zjuganov. Del resto, non potrebbe andare
diversamente.

Il fatto è che, approdando all’unità con i neoliberali, non è possibile
per definizione approntare un programma comunista. Come è possibile, in
alleanza con “Mela” e “Comitato-2008” (accozzaglia di ultraliberisti e
radicali “alla Pannella”, diretti dall’ultramiliardaria Irina
Khakamada. Costoro si propongono, usufruendo di enormi finanziamenti
russi e occidentali e di emittenti e giornali – tra cui “Novaya
Gazeta”, fonte privilegiata di informazione russa della “sinistra
moderata” e di quella “più a sinistra” del nostro paese - come
“alternativa democratica” a Putin, nota del traduttore), esigere
l’espropriazione delle corporazioni, la lotta con la borghesia, la
rovina del “mercato”? (…) Di socialismo, in un blocco con costoro, si
può parlare solo astrattamente, proprio come fa Tiulkin, ricordando che
“si può fuoruscire dall’attuale situazione – risolvendo le
contraddizioni tra le nazionalità, politiche e sociali – solo
avviandosi sulla strada del socialismo”. Quale socialismo? Quello
svedese? Quello di Schroeder o di Blair? Di quale socialismo parli
Tiulkin non è assolutamente chiaro. In ogni caso, non del socialismo
marxista, che liquida la proprietà privata ed espropria gli
espropriatori, ma, al contrario di che cosa fare nel blocco con i
neoliberali.

In tal senso il “putinismo rosso” - termine con cui alcuni demagoghi
intendono spaventare un pubblico poco istruito -, vale a dire una
parziale coincidenza delle posizioni dei comunisti a proposito
dell’imperialismo con quelle di un nascente gruppo patriottico di
borghesia ha più fondamento per esistere, di quanto ne abbia il
“neoliberalismo rosso” dei sostenitori di Tiulkin e Zjuganov. In ogni
caso, in un’alleanza antimperialista, nessuno impedirà ai comunisti di
sviluppare e sostenere con coerenza il proprio programma. Ci sono tutti
i presupposti, dal momento che si capisce che nessuna borghesia
nazionale, rimanendo sul terreno del capitalismo, difenderà la Russia e
che la salvezza è possibile solo avviandosi sulla strada del comunismo.
In tale alleanza i comunisti non avranno difficoltà a dimostrare al
popolo che le azioni della borghesia nazionale non sono sufficienti,
che solo i comunisti rappresentano i più conseguenti antimperialisti
(...)

 
Traduzione dal russo di Mauro Gemma


=== 2 ===

Umanità Nova, numero 27 del 12 settembre 2004, Anno 84

http://www.ecn.org/uenne/archivio/archivio2004/un27/art3356.html

Sangue, potere e petrolio

Partita mortale tra le macerie di Grozny e Beslan


Il Caucaso torna a far parlare di sé a seguito del duplice attentato
aereo avvenuto ai danni di due apparecchi delle aviolinee russe e al
sequestro mostre di Beslan dove alcune decine di guerriglieri ceceni
hanno preso in ostaggio bambini e genitori di un complesso scolastico
della città della Repubblica autonoma dell'Ossezia del nord
appartenente alla Federazione Russa. La guerra in Cecenia sembra essere
diventata permanente e a pagarne le spese sono sempre di più le
popolazioni civili della Federazione Russa e della stessa repubblica
secessionista ormai pesantemente martirizzata. Lo scontro ceceno, però,
non è l'unica guerra in corso nella tormentata penisola ponte tra
l'Europa e l'Asia. In Georgia il neo presidente Mikheil Saakashvili,
dopo aver piegato la repubblica secessionista dell'Adzaria, posta tra
la Georgia e la Turchia, ha iniziato le manovre di attacco all'Ossezia
del Sud la cui popolazione è etnicamente e culturalmente la stessa del
nord, ma il cui territorio è situato
all'interno della Georgia. L'Ossezia del Sud è indipendente de facto
dal 1993 quando emerse vittoriosa dalla breve guerra di secessione
contro Tblisi all'indomani dello scioglimento dell'URSS. Tale
secessione venne appoggiata dalla Russia che, grazie ai movimenti
indipendentisti in Ossezia, Abkhazia e Adzaria poterono rientrare nella
repubblica caucasica diventata indipendente in funzione di
peace-keepers, costruendo basi militari sul suo territorio in zone non
controllate da Tblisi. La cacciata del Presidente Shevardnadze avvenuta
a dicembre del 2003 con l'appoggio degli Stati Uniti è stato il primo
segnale del palesarsi di un progetto nazionalista georgiano per
recuperare i territori perduti nel 1991-93. Tale progetto viene posto
in essere oggi grazie all'appoggio esplicito degli USA che contano
alcune centinaia di militari sul campo, ufficialmente in funzione
antiterrorista, ma in pratica con quella di addestratori dell'esercito
della repubblica caucasica. L'appoggio di
Washington non nasce da spiccate propensioni americane a favorire la
Georgia nella sua disputa territoriale con osseti ed abkhazi, ma dalla
volontà di isolare in modo drastico Mosca dal trasporto degli
idrocarburi del Mar Caspio verso l'Europa. Il nuovo presidente
georgiano, infatti, si è impegnato alla costruzione dell'oleodotto
Baku-Ceyan che dovrebbe portare il petrolio del Caspio dall'Azerbaigian
al porto turco attraversando il territorio di Tblisi, mettendo così
fuori gioco la linea di trasporto verso il porto russo di Novorossijsk
sul Mar Nero. Inoltre, questo secondo oleodotto passa all'interno della
Cecenia. Diventa così chiaro perché il conflitto in Cecenia ha
un'importanza strategica nei rapporti Usa-Russia e perché Washington si
stia mobilitando per consentire ai georgiani di piegare due piccole
repubbliche ribelli e per espellere le basi e le truppe russe dalla
repubblica caucasica. La costruzione di un oleodotto completamente
controllato dalla Georgia nel momento in cui
l'oleodotto concorrente è a continuo rischio di sabotaggio da parte
della guerriglia cecena comporterebbe l'esclusiva USA nel controllo
delle risorse petrolifere del Caspio meridionale, l'isolamento della
Russia verso l'Europa e il completamento dell'accerchiamento dell'Iran.

All'interno di questo quadro deve essere posta la mobilitazione
progressiva di decine di migliaia di soldati della Georgia ai confini
dell'Ossezia e il rinnovato appoggio di Tblisi alla guerriglia cecena.
Saakashvili spera di scatenare una guerra di breve durata che pieghi
gli osseti, ne provochi la fuga verso il territorio russo e gli
consenta di annettersi il territorio ribelle. Gli osseti da parte loro
sanno, in caso di sconfitta di doversi aspettare una feroce pulizia
etnica che "georgizzi" il loro paese e si preparano a una guerra di
resistenza che probabilmente assumerà tratti di una ferocia
inimmaginabile, dal momento che nessuno degli osseti si è dimenticato i
20.000 morti (quasi tutti civili) subiti da questa popolazione nel
corso della guerra di secessione dalla Georgia. I russi dal canto loro
sanno che la loro cacciata dalle basi ossete ed abkhaze vorrebbe dire
l'emarginazione di Mosca da qualsiasi gioco caucasico e il diffondersi
della ribellione all'interno delle molte
repubbliche autonome della Federazione. Anche Mosca, quindi, non
abbandonerà la mano se non a seguito di un conflitto catastrofico che
potrebbe portare alla dissoluzione della stessa Russia in un insieme di
staterelli oligarchici gestiti da locali feudatari di Washington.

La questione dell'oleodotto è quella attorno alla quale si è venuto a
costruire il conflitto che più di ogni altro sta portando Russia e USA
sulla strada del confronto armato, sia pure per interposto esercito.
Inoltre Ossezia ed Abkhazia , in quanto stati de facto ma non
riconosciuti sono da sempre basi perfette per il contrabbando, il
traffico d'armi, di droga e di uomini, totalmente controllati dalla
mafia russa e dai suoi molti appoggi all'interno del Kremlino e
dell'Armata Russa; una ragione in più per la quale Mosca non può
permettersi di abbandonare le due repubbliche caucasiche secessioniste.

Chi soffia sul fuoco: padri e padrini dell'indipendentismo ceceno

L'assalto alla scuola di Beslan e la successiva carneficina attuata
dalla guerriglia cecena tra gli ostaggi (bambini, maestre e qualche
genitore) in seguito all'attacco all'edificio condotto dalle forze
speciali russe con il consueto mix di ferocia ed incapacità al quale
hanno abituato il mondo negli ultimi anni si inserisce in questa
partita come un episodio della stessa guerra che devasta il Caucaso
dalla fine dell'URSS ad adesso. È vero, infatti, come ricordano molti
commentatori sui media occidentali che la guerra coloniale russa in
Cecenia è iniziata nella prima metà dell'Ottocento quando
l'espansionismo russo toccò le terre del Caucaso meridionale e non è
mai davvero finita, ma è altrettanto vero che la nuova fiammata
indipendentista iniziata con la dichiarazione d'indipendenza del 1991 e
con la successiva guerra voluta e persa da Eltsin nel biennio 1994-96,
ha sponsor e padrini in parte coincidenti con quelli che oggi
sponsorizzano la ventata nazionalista ed aggressiva
georgiana. Il moderno indipendentismo ceceno nasce laico e guidato da
ex ufficiali dell'esercito sovietico decisi ad approfittare dello
sfascio russo seguito ai convulsi giorni dell'Autunno del 1991 per
affermare l'indipendenza di un territorio che avrebbe potuto contare
sulla rendita del transito petrolifero per garantirsi una certa
prosperità. Gli anni successivi vedono la progressiva emarginazione
della leadership laica e la sua sostituzione con una religiosa a base
wahabita il cui finanziamento veniva effettuato in primo luogo dalla
monarchia saudita desiderosa di estendere la propria influenza politica
su tutti i territori a maggioranza islamica tramite l'esportazione
della versione reazionaria ed oscurantista della religione musulmana
nata in Arabia nel corso del XVIII secolo ed adottata dalla dinastia
dei Saud, allora re beduini del Neged in perenne conflitto con gli
altri regni della penisola arabica e con gli Sceriffi della Mecca
appartenenti alla dinastia Hascemita (quella
per intendersi che tuttora esprime il Re di Giordania). Accanto al
wahabismo saudita opera all'islamizzazione dell'indipendentismo ceceno
e alla sua trasformazione in una guerriglia feroce, capace di
utilizzare l'attentato suicida come la strage di ostaggi, la guerra
aperta come l'infiltrazione nel territorio russo, anche una delle
principali compagnie petrolifere mondiali: la Chevron-Texaco, la cui
consigliere per l'area caucasica, responsabile per le politiche locali,
è una signora che tutto il mondo ha imparato a conoscere negli ultimi
quattro anni: Condoleeza Rice, l'attuale ministro per la Sicurezza
nazionale dell'amministrazione Bush. La presenza di volontari wahabiti
della più diversa estrazione nazionale (arabi, algerini, egiziani,
afgani, bengalesi.) tra i guerriglieri ceceni indica, inoltre, che il
reclutamento degli effettivi delle formazioni wahabite cecene avveniva
fin dalla prima metà degli anni Novanta a cura dell'ISI, il famigerato
servizio segreto pakistano
inventore e sostenitore del regime talebano afgano e delle
organizzazioni politiche e militari wahabita e deobandiste (un'altra
scuola islamica a forte orientamento reazionario nata nel XIX secolo
nell'India musulmana). Insomma, come in Afganistan la sinergia tra
petroldollari ed ideologia religiosa saudita, logistica ed
addestramento pakistani e supervisione geopolitica e geoeconomico a
cura dell'intreccio tra dirigenza economica e politica a stelle e
strisce. L'interesse della multinazionale americana nello sviluppo
della guerriglia cecena è chiaro: mettere fuori gioco la concorrenza
europea ed asiatica nel trasporto del greggio del Mar Caspio e tagliare
le gambe al monopolio russo. Questi obiettivi vengono perseguiti con
una politica di sostegno sempre più marcato alle oligarchie che
governano in modo autocratico gli stati asiatici creati dalla
disintegrazione dell'URSS, in primis l'Azerbaigian che possiede i
giacimenti maggiormente sviluppati, e al contempo con una spinta
aggressiva tendente a sabotare le linee di trasporto del greggio
costruite al tempo dell'Unione Sovietica che, invariabilmente passano
tutte all'interno della Russia. Da questo punto di vista l'insurrezione
della Cecenia sul cui territorio passa la condotta che porta a
Novorossijsk, il porto russo sul Mar Nero specializzato
nell'esportazione petrolifera, viene colta come un'occasione unica per
il perseguimento dell'obiettivo di inglobamento del controllo del
petrolio. Le amministrazioni americane, dal canto loro, hanno
continuato a perseguire una politica volta ad impedire che la Russia
potesse ripresentarsi come potenza autonoma dagli Stati Uniti, capace
di continuare la tradizione sovietica di contrapposizione alla potenza
americana e a costruire le condizioni per le quali l'immenso paese
potesse diventare una buona occasione per la speculazione finanziaria
internazionale a guida USA. D'altro canto in questa politica hanno
trovato l'interessata collaborazione all'interno del paese
di una nuova classe di ex funzionari del Partito Comunista riciclatisi
grazie alla loro posizione nei capitalisti della "nuova Russia",
distruttivi dal punto di vista dello sviluppo produttivo ma
estremamente abili nel fare profitti nel campo finanziario. Sono loro
che hanno gonfiato al massimo la bolla della finanza russa esplosa poi
nel 1998 travolgendo il risparmio nazionale del paese ma salvaguardando
le immense fortune che questa classe di capitalisti senza imprenditoria
avevano accumulato negli anni precedenti.

La guerra in Cecenia è sempre stata un buon affare per questa neo
classe dominante; a prescindere dai profitti realizzati con il
contrabbando e il commercio delle armi con il "nemico", in questi anni
la guerriglia cecena è stata soprattutto un ottimo pretesto per
indirizzare il malcontento della popolazione verso un obiettivo esterno
e per decidere i destini politici della Russia del XXI secolo; Eltsin e
la sua banda vengono definitivamente sacrificati grazie a una strana
offensiva della guerriglia a suon di bombe a Mosca ed occupazione di
ospedali in Daghestan (azioni, guarda caso, condotte dall'incredibile
capo guerrigliero Dasayev, concorrente del Presidente ceceno in esilio
Maskhadov, responsabile anche del rapimento carneficina di Beslan) nel
1999, mentre Putin viene presentato alla nazione come il futuro
Presidente grazie all'offensiva che porta alla rioccupazione del
martoriato paese caucasico e che tuttora non ha trovato la sua
conclusione. Oggi non si può che sospettare che
la stessa classe di grandi capitalisti finanziari, proprietari di
tutte le risorse strategiche del paese, sia interessata a contrastare
il tentativo del gruppo dirigente riunito attorno a Putin di costruire
un capitalismo nazionale nel paese, sviluppando la propria base
produttiva e rafforzando i propri legami commerciali e politici con i
paesi europei e, necessariamente, esautorando questa classe di
oligarchi legata a doppio filo al capitale finanziario americano e alla
svendita delle materie prime del paese.

La facilità con la quale i guerriglieri ceceni sono riusciti a far
saltare in aria due aviogetti, a far scoppiare due ordigni nella
metropolitana di Mosca e, infine, ad assaltare la scuola osseta,
rimandano alla presenza di sicure complicità all'interno del paese
oltre che ai suoi vulnerabili confini con la Georgia con la quale, come
abbiamo visto, è in corso una vera e propria guerra sul procinto di
diventare calda con sullo sfondo l'appoggio statunitense a Tblisi.

Dietro alle tragedie russe di questi giorni si configura un'alleanza
spuria tra gli interessi strategici americani, quelli economici delle
multinazionali petrolifere USA, quelli del nazionalismo georgiano e del
fondamentalismo wahabita a guida saudita e quelli dell'oligarchia
finanziaria russa. L'obiettivo di questa alleanza oggi è quello di
dimostrare che l'amministrazione Putin non è in grado di difendere la
Russia e di suscitare un clima che ne permetta la sostituzione con
un'altra più morbidamente incline ad assecondare gli interessi interni
ed esteri legati alla finanza internazionale.

L'assalto criminale con il quale le forze di sicurezza russe hanno
chiuso la vicenda del sequestro di Breslan, con il corollario di
centinaia di morti tra bambini ed adulti rinchiusi nella scuola osseta
rimanda alla necessità per il gruppo dirigente putiniano di mostrarsi
deciso e feroce nei confronti della guerriglia cecena per ottenere
l'obiettivo di impadronirsi realmente della Russia defenestrandone i
padroni finanziari che continuano a muovere i fili fondamentali del
potere nell'immenso paese eurasiatico.

La posta in gioco è enorme e le conseguenze della vittoria di uno o
dell'altro dei due contendenti sono tali che i massacri della
popolazione civile, carne da macello e massa di manovra per gli
interessi contrastanti dei contendenti in campo, sono destinati a
continuare e ad approfondirsi, tanto più adesso quando, dopo il
massacro di Breslan, l'ultimo dei tabù comunemente accettati
dall'umanità, quello del rispetto della vita dei bambini, è stato
definitivamente violato tanto dalla guerriglia che dalle forze di
sicurezza russe in diretta televisiva mondiale.

Giacomo Catrame


=== 3 ===

Sui numeri di Bertinotti sulla Cecenia

http://www.resistenze.org/sito/os/ip/osip4i23.htm

www.resistenze.org - osservatorio - italia - politica e società -
23-09-04

Lettera a "Liberazione" - 22 settembre 2004

Cari compagni,

Sulle esagerazioni delle cifre delle vittime della guerra in Cecenia
(vi ricordate la Jugoslavia?) ho avuto modo di scrivere in un articolo
apparso recentemente in alcuni siti internet e in una lettera a
“Liberazione” che, naturalmente, non è stata neppure presa in
considerazione (e in ogni caso te la rispedisco).

Tra le cifre (diffuse in Italia dai nostri amici radicali al servizio
della NATO) c’è anche quella dei 40.000 bambini ceceni che sarebbero
stati massacrati dall’esercito russo (non sovietico, compagno
Bertinotti!). La cifra è stata considerata pienamente attendibile dal
nostro segretario, tanto che l’ha ripetuta più volte nella trasmissione
[ballarò, rai3, 21-09-04, ndr], in cui Floris ci ha proposto un
“toccante” documentario magistralmente preparato con la collaborazione
di alcuni “difensori dei diritti umani” russi (le giornaliste e i
giornalisti di “Novaja Gazeta”, ad esempio), notoriamente al servizio
dei magnati accusati di frode, malversazione e crimini economici,
commessi in nome dei propri interessi e di quelli dei loro protettori
americani.

Vista la certezza con cui il compagno Bertinotti sostiene la
fondatezza di queste cifre, vorrei solo far presente che la popolazione
della Cecenia (secondo dati pubblicati dall’ultima edizione dell’
enciclopedia UTET) ammonta a 780.400 abitanti ed è quindi inferiore a
quella della città in cui risiedo, cioè Torino. Se poi consideriamo
anche l’Inguscezia, di poco si supera il milione. Putin deve essere
davvero andato casa per casa come l’Angelo vendicatore o come Erode,
per aver eseguito un lavoro così meticoloso, in grado di fare sparire
quasi per intero l’ultima generazione della piccola regione caucasica!

Per favore, dite ai vostri informatori russi e ai loro amici italiani
di spararle meno grosse. Ma, soprattutto, prima di dar loro credito,
informatevi a fondo e con rigore.

Grazie per l’attenzione.
Fraterni saluti
Mauro Gemma
Torino


Segue precedente lettera a Liberazione

Lettera a "Liberazione"

Cari compagni,

Incredibile appare l’esaltazione che “Liberazione”del 9 settembre
("Anna Politkovskaya, la giornalista che fa paura al Cremlino" di
Sabina Morandi) fa del ruolo dei personaggi che gravitano attorno ai
vari comitati e fondazioni “per i diritti umani”, dirette emanazioni
delle lobby statunitensi che intendono spartirsi la Russia, e la cui
attività è coordinata direttamente negli "States" dal centro diretto
dallo stratega della politica russa di Washington, vale a dire Zbignew
Brzezinski.

Tali organismi, di cui sono noti i legami con gli attivisti radicali
italiani filo-NATO, che da tempo conducono un’isterica campagna
antirussa nel nostro paese, hanno il compito, esattamente come è
avvenuto nella ex Jugoslavia, di preparare le condizioni per ogni
genere di interferenza occidentale negli affari interni della Russia,
proponendo uno scenario da “emergenza umanitaria”, ingigantendo i
numeri delle vittime e delle distruzioni  che sarebbero provocate dalla
presenza militare russa, giustificando di fatto la bestiale ondata
terroristica (questa si ad aver provocato ormai migliaia e migliaia di
vittime in diverse località della Russia, in particolare tra gli
appartenenti ad etnie caucasiche, musulmani e cristiani ortodossi),
dimenticando che molti osservatori internazionali sono pronti a
riconoscere che le consultazioni condotte dall’amministrazione russa
circa la proposta di autonomia alla Cecenia in ambito federale non
possono essere considerate una farsa.

Non è privo di significato, poi, che gli stessi personaggi (a
cominciare dalla Politkovskaya), così ostinatamente schierati a fianco
del micronazionalismo dei banditi ceceni (solo perché così piace ai
loro amici americani), non esitino a scagliarsi contro le autonomie
presenti all’interno della confinante Georgia (occorrerebbe ricordare
che in Abkhasia - dove Sabina Morandi che ha appena esaltato le ragioni
dell'apertura all'indipendentismo ceceno, senza preoccuparsi della
coerenza delle proprie affermazioni, non ha alcuna esitazione ad
accreditare la tesi di Politkvskaya e soci su presunte “pulizie
etniche” da parte dei russi - l’80% della popolazione ha tuttora il
passaporto della Federazione Russa!), in predicato per entrare nella
NATO, frequentata dalle truppe americane e retroterra del terrorismo
ceceno, avamposto dell’accerchiamento in atto della Federazione Russa.

Quanto poi al ruolo di "Novaja Gazeta", bastino le sue campagne contro
le "persecuzioni" nei confronti del truffatore ed evasore Khodorkovskij
e contro le pretese, considerate evidentemente anch'esse lesive della
libertà (la pensa così anche Sabina Morandi?), di accrescere il ruolo
pubblico nell'economia nazionale, per capire immediatamente da dove può
trarre fondi e sostegni politici il giornale "capofila delle battaglie
democratiche" in Russia.

Grazie per l'attenzione.
Fraternamente

Mauro Gemma
Torino

[ Visto l'approssimarsi delle elezioni presidenziali statunitensi,
Diana Johnstone ci invita a riflettere su una questione decisamente
trascurata: la politica di guerra dei Democratici e' - qualitativamente
e/o quantitativamente - diversa da quella dei Repubblicani? Oppure, ad
ispirare la "logica del bombardamento preventivo" sono sempre le stesse
ragioni strutturali e la stessa delirante convinzione di avere ogni
diritto sulla vita e sulla morte di interi paesi e popoli? Non sono
domande solo retoriche: mentre il candidato Democratico Kerry dichiara
che, in caso di una sua vittoria, non ritirerà le truppe di
occupazione dall'Iraq, la lobby pan-albanese sostiene la campagna
elettorale dei Democratici. Il Kosovo colonia degli USA, governato
dalle mafie che trafficano in droghe, armi ed esseri umani, e ridotto a
lager nazista per i serbi e le altre minoranze, e' infatti un prodotto
genuino delle politiche dei Democratici Clinton e Tenet.
Un articolo importante, questo della Johnstone, di quelli che i
commentatori della “sinistra” italiana non scriverebbero mai... ]

http://www.counterpunch.org/johnstone06242004.html

24 giugno 2004

Clinton, Kerry e il Kosovo
L’Impostura di una “Guerra Buona”

di DIANE JOHNSTONE
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

Per i politici Statunitensi, se tutte le loro guerre sono “buone”,
alcune sono più “buone” delle altre.
I Democratici preferiscono le guerre di Clinton, mentre le preferenze
dei Repubblicani vanno alle guerre di Bush. Comunque, alla fine, tutti
insieme, in completa unanimità danno appoggio a tutte le loro guerre.
Le differenze riguardano solamente la scelta della specifica
giustificazione logica ufficiale…

Mentre esprimono un elusivo ed astuto critismo contro la guerra
repubblicana all’Iraq, ma mettono in chiaro che questo non significa
un’opposizione alla guerra come tale, coloro che conducono la campagna
Democratica per le elezioni Presidenziali del 2004 sono sempre pronti
alla glorificazione della guerra in Kosovo. A fare questo, in modo
assolutamente lampante nel campo Democratico, ci pensa il Generale
Wesley Clark.

Il consigliere per la politica estera di John Kerry, Will Marshall
dell’Istituto per le Politiche Progressiste, autore di “Democratic
Realism: the Third Way – il Realismo Democratico: la Terza Via",
sottolinea la natura esemplare dell’intervento del 1999 in Kosovo con
alla testa gli USA.
Si trattava di “una politica consapevolmente basata su un mix di valori
morali e di interessi per la sicurezza con gli obiettivi paralleli di
arrestare una tragedia umanitaria e di assicurare credibilità alla NATO
come forza efficace per la stabilità della regione.”

La giustificazione “umanitaria” suona meglio delle “armi di distruzione
di massa” o dei “collegamenti con Al Qaeda", che non sono mai esistiti.
Ma nemmeno è mai esistito il “genocidio” dal quale la guerra della NATO
si supponeva dovesse salvare gli Albanesi!

Però, mentre il ritrovamento di armi di distruzione di massa è stato
smascherato, si presta fede ancora completamente all’impostura sulla
quale si è basata la guerra del Kosovo. In effetti si viene distolti
dalla vera esistenza di quello che Marshall definisce come “obiettivo
parallelo”, il rafforzamento e il radicamento della NATO. A parte la
distruzione materiale rovinosa inflitta alla regione presa come
bersaglio, la menzogna sul Kosovo ha prodotto danni ancor più
irreparabili alle relazioni fra le popolazioni Serba ed Albanese del
Kosovo.

La situazione in quella piccola provincia della Serbia multietnica era
il risultato di una lunga storia complessa di conflitti, frequentemente
incoraggiati e sfruttati da potenze esterne, in particolare con
l’appoggio al nazionalismo Albanese da parte delle potenze dell’Asse
nella Seconda Guerra Mondiale. Una comunità accusava l’altra di mettere
in atto la “pulizia etnica”, fino al “genocidio”. Ma in entrambe le
fazioni vi erano persone ragionevoli che tentavano di elaborare
progetti per conseguire soluzioni di compromesso. Il ruolo costruttivo
di esterni avrebbe dovuto essere quello di calmare le tendenze
paranoidi presenti in entrambe le etnie e di appoggiare le iniziative
costruttive. Invece, l’esistenza del problema del Kosovo, che avrebbe
potuto essere facilmente gestito e col tempo risolto, era desiderata
fortemente dalle Grandi Potenze. Come nel passato, le Grandi Potenze
hanno sfruttato e aggravato i conflitti etnici per i loro propri
interessi. In totale ignoranza della storia complessa della regione,
politici pecoroni e i mezzi di informazione hanno fatto da cassa di
risonanza alla più estremista
propaganda nazionalista degli Albanesi. Questo ha fornito il pretesto
alla NATO di dimostrare la sua “credibilità”.
Le Grandi Potenze hanno appoggiato gli Albanesi, riconoscendo che le
loro peggiori accuse contro i Serbi erano vere. Perfino gli Albanesi
noti per conoscere meglio la verità (come Veton Surroi) venivano fatti
oggetto di intimidazioni e ridotti al silenzio dai nazionalisti
razzisti manovrati dagli Stati Uniti.

Il risultato è stato disastroso. Autorizzati dal loro status ufficiale
di uniche vittime dell’iniquità Serba, gli Albanesi del Kosovo – e in
particolar modo i giovani, fatti oggetto di un decennio di miti
nazionalisti – hanno potuto dare libero sfogo al loro odio ben
coltivato sui Serbi.
I nazionalisti Albanesi hanno proceduto con le armi a scacciare fuori
della provincia la popolazione Serba e gli zingari. I pochi rimasti non
osano avventurarsi fuori dei loro ghetti. Gli Albanesi che desiderano
vivere assieme ai Serbi corrono il rischio di venire massacrati.
Sin da quando la KFOR, forza armata a guida NATO, si è introdotta in
Kosovo nel giugno del 1999, si è scatenata la persecuzione violenta
contro i Serbi e i Rom, regolarmente descritta come “vendetta” –che
nella tradizione Albanese viene considerata il massimo di un
comportamento virtuoso. Descrivendo l’assassinio di donne anziane nelle
loro case, o di bambini mentre giocano, come atti di “vendetta”, questo
è un modo per giustificare la violenza, o addirittura di approvarla.

Il 17 marzo ultimo scorso, in seguito alla falsa accusa che i Serbi
erano responsabili dell’annegamento avvenuto accidentalmente di tre
piccoli Albanesi, bande organizzate di Albanesi, che vedevano la
presenza di molti giovinastri, avevano scorazzato per il Kosovo,
distruggendo 35 chiese Serbe Cristiano-Ortodosse e monasteri, molti di
questi dei veri gioielli d’arte risalenti al quattordicesimo secolo.
Per di più, ben oltre un centinaio di chiese erano state assalite con
il fuoco ed esplosivi negli ultimi cinque anni. L’obiettivo è
assolutamente chiaro, di cancellare qualsiasi traccia secolare della
presenza Serba, per meglio rivendicare il loro diritto ad un Kosovo
Albanese etnicamente puro.

L’autocompiacimento della “comunità internazionale” veniva severamente
scosso dalle violenze di marzo. Le unità KFOR che saltuariamente
tentavano di proteggere i siti Serbi dovevano esse stesse impegnarsi in
scontri armati con le bande Albanesi.
Nel corso dello scatenarsi della furia, l’uomo politico Finlandese
Harri Holkeri rassegnava le dimissioni due mesi prima dello scadere del
suo mandato rinnovabile annualmente come capo della Missione ONU in
Kosovo (UNMIK), che supponeva essere l’ente amministratore della
provincia. Egli era il quarto ad uscirsene dall’incarico il più
velocemente possibile. Evidentemente sull’orlo di un esaurimento
nervoso, in una conferenza stampa Holkeri si lamentava che l’UNMIK
fosse priva di un suo proprio servizio di intelligence, e che perciò
non aveva ricevuto in anticipo alcun segnale dei pogroms di marzo.
In breve, la massa di funzionari amministrativi internazionali, le
forze militari di occupazione e le agenzie non-governative non avevano
l’idea di quello che stava per capitare nella provincia, cosa che
teoricamente doveva avvenire. Indicando la loro inconsapevolezza, che
il solo ruolo lasciato all’UNMIK era quello di capro espiatorio,
Holkeri metteva in guardia dei “giorni difficili a venire”. Questa
risultava una facile predizione!


I giorni difficili a venire

L’11 giugno, l’ex comandante dell’Esercito di Liberazione del Kosovo,
Hashim Thaci, il protetto di Madeleine Albright e del suo portavoce
James Rubin, denunciava l’UNMIK come un “completo fallimento” e
dichiarava che, se lui fosse risultato vincente alle prossime elezioni
di ottobre 2004, avrebbe dato realizzazione alla sua “visione di un
Kosovo, stato indipendente e sovrano”.

Le circostanze suggeriscono che non solo Thaci, ma ogni altro nuovo
eletto possono fare la medesima cosa. La proclamazione
dell’indipendenza del Kosovo alla vigilia delle elezioni del Presidente
degli Stati Uniti può risultare di un astuto tempismo. Con l’Iraq in
esplosione, i leaders Americani hanno la necessità di conservare il
mito del “successo” in Kosovo. Gettarsi in un conflitto aperto con gli
Albanesi potrebbe risultare politicamente un disastro!

Allo stesso tempo, molti Europei hanno visto i pogroms di marzo contro
i Serbi come la prova provata che il Kosovo è ben lontano dal
conseguire gli “standards” di diritti umani democratici e l’armonia
etnica che costituivano il mandato che l’UNMIK doveva assolvere prima
di qualsiasi decisione finale sullo status di questa provincia.
Esistono serie ragioni per non accogliere la richiesta Albanese di un
“Kosovo indipendente e sovrano”.

1. Legalità.

Prima di tutto, vi è la questione… minore della legalità: minore, visto
che i poteri della NATO hanno ignorato questa problematica fin
dall’inizio. La guerra stessa era completamente priva di ogni base di
legittimità secondo il diritto internazionale. La guerra ufficialmente
si concludeva nel giugno del 1999 con un accordo di pace che veniva
incorporato nella Risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU 1244,
che, fra le altre cose, obbligava le Potenze di occupazione a:

-- “assicurare condizioni per una vita normale e pacificata per tutti
gli abitanti del Kosovo” – che logicamente doveva significare “per
tutti”, e non solamente per gli Albanesi;

-- “assicurare la sicurezza e il ritorno libero per tutti i profughi e
le persone sfollate” – probabilmente i negoziatori USA pensavano che
costoro fossero solo gli Albanesi che erano fuggiti durante i
bombardamenti, ma visto che questi era immediatamente ritornati alle
loro case, senza difficoltà, questa clausola in realtà doveva far
riferimento ai Serbi, ai Rom e agli altri non-Albanesi costretti ad
andarsene;

-- stabilire una struttura politica ad interim “ che preservi
completamente i valori dei principi di sovranità e integrità della
Repubblica Federale di Yugoslavia” – che equivale a riconoscere che il
Kosovo rimane parte di una entità politica più larga costituita da
Serbia e Montenegro;

-- consentire il ritorno di un convenuto numero di funzionari Yugoslavi
e Serbi, compresi poliziotti per il controllo dei confini e agenti di
dogana;

-- ottenere il mantenimento della legge e dell’ordine civile e la
protezione dei diritti umani.

In realtà, da quando gli Stati Uniti hanno inserito la loro grande
zampa militare attraverso la porta, la Risoluzione 1244 ha assunto
valore a mala pena pari a quello della carta sulla quale è stata
scritta.
Gli Stati Uniti avevano altre priorità:

-- Prima di tutto, a tempo di record, il Pentagono ha costruito
un’enorme base militare,”Camp Bondsteel”, su migliaia di campi di
fattorie espropriate illegalmente, localizzata nei pressi di strade di
comunicazione trans-Balcaniche, che permettono il trasporto di petrolio
dal Medio Oriente e il Mar Caspio.

-- L’altra ovvia priorità degli USA era di conservare l’alleanza
clandestina del tempo di guerra con l’”Esercito di Liberazione del
Kosovo-KLA”, non solo contro i Serbi, ma anche, implicitamente, contro
qualsiasi alleato Europeo che cercasse di imporre nel Kosovo
post-conquista la propria influenza.
Dopo un “disarmo” fittizio che eliminava poche armi leggere obsolete,
la KLA veniva ribattezzata come “Forza di Protezione del Kosovo” e
posta sul libro paga dell’ONU.
Alcuni dei suoi ufficiali hanno provveduto ad organizzare azioni armate
per allargare “la Grande Albania” sui confini della Macedonia e su zone
nel Sud della Serbia vicino al Kosovo. Queste operazioni sono state
lanciate dal settore Americano, in prossimità di Camp Bondsteel.

-- Rispetto all’organizzazione interna dello stesso Kosovo, la priorità
degli USA è, come al solito, la privatizzazione dell’economia. In
pratica, la privatizzazione ha inizio con lo smantellamento di
qualsiasi servizio sociale governativo esistente, in base alla teoria
che senza interferenza del governo e dello Stato l’iniziativa privata
diventerà fiorente.

In questa occasione veramente emblematica, tutto questo non ha fornito
proprio un’utile dimostrazione della teoria. Il Kosovo, già zona di
transito per la maggior quantità di eroina contrabbandata dalla Turchia
verso l’Europa Occidentale, è diventato rapidamente il centro di un
nuovo commercio di schiave del sesso. La mafia Albanese è di molto
l’operatore più grosso in questi traffici. Gli “internazionali”, che
erano arrivati per “civilizzare” la provincia, hanno costituito un
mercato locale floridissimo per le prostitute. Anche se dovessero
ritornarsene a casa, la mafia Albanese può contare su una rete che si è
sviluppata in tutta l’Europa Occidentale che consentirebbe di
continuare nell’affare.

2. Economia.

Nella Yugoslavia socialista, il Kosovo era di gran lunga l’area più
povera della Yugoslavia, con il più alto rapporto di disoccupazione
cronica. Questo sussiste ancora. Ma allora, il Kosovo beneficiava
dell’apporto della quantità più ampia di fondi per lo sviluppo
provenienti dal resto della nazione. Sebbene l’opinione che la sua
povertà fosse il risultato di sfruttamento abbia contribuito al sorgere
del nazionalismo Kosovaro Albanese, resta il fatto che il Kosovo sempre
in modo pesante aveva ricevuto sovvenzioni dal resto della Yugoslavia,
e il risultato era che il suo sviluppo era decisamente più elevato
rispetto alla confinante Albania.

Dal momento dell’occupazione della NATO, il Kosovo vive sfruttando
altre fonti di reddito, principalmente i traffici fiorenti di droghe e
del sesso. La “comunità internazionale” ha messo ha disposizione un
mosaico rabberciato di servizi sociali, dalla polizia UNMIK fino ai
cooperatori delle Organizzazioni Non Governative ONG, che vanno a
sostituire provvisoriamente i funzionari espulsi dei settori locali
dell’amministrazione Serba. Camp Bondsteel fornisce il numero più
importante di impieghi legali agli Albanesi, e questo potrà continuare
a farlo anche dopo che la richiesta di autisti ed interpreti andrà ad
esaurirsi, quando le ONG si ritireranno. Possono contare sui
finanziamenti dell’Arabia Saudita per la costruzione di moschee. Ma con
un reddito pro capite di circa 30 dollari$ al mese, è difficile vedere
dove un “Kosovo indipendente” possa racimolare la tassazione di base
per sostenere finanziariamente un governo, specialmente poi se molto
del reddito reale è di provenienza illecita, fuori della portata di
esattori delle imposte.

Il Kosovo è solo un caso estremo della “transizione” dal socialismo al
libero mercato, così come imposto all’Europa dell’Est dalla “comunità
internazionale”. Lo Stato e i suoi servizi sono stati eliminati
attraverso la forza militare della NATO, mentre altrove il processo di
demolizione è avvenuto in modo più graduale e meno drammatico, come
risultato delle pressioni del Fondo Internazionale Monetario FIM, la
Banca Mondiale e l’Unione Europea. La massa di giovani disoccupati
hanno poche prospettive di guadagnarsi da vivere, se non quella di
gettarsi in affari criminosi. Risulta difficile prevedere quello che
potrà impedire ad un “Kosovo indipendente” di diventare un centro
incontrollabile del crimine.

Alla fine della Seconda Guerra Mondiale, allo scopo di sconfiggere i
Fascisti e combattere i Comunisti, i servizi dell’intelligence USA con
una buona dose di cinismo avevano riportato la Mafia in Sicilia. Il
parallelo con il Kosovo non ci porta molto lontano da questo. Ma, a
differenza del Kosovo, la Sicilia è un’isola effettivamente piena di
ricchezze, con un’economia diversificata e numerosi centri urbani
raffinati vecchi di secoli, dove larghi settori di una popolazione
altamente educata hanno coraggiosamente fatto resistenza alla
corruzione e alla violenza della mafia. Questo aspetto della società
Siciliana non è sufficientemente apprezzato in ambienti esterni, dove è
molto più “romantico” glorificare i gangsters. Per confronto, la
società Albanese del Kosovo semplicemente non possiede tali risorse
materiali e culturali per resistere al potere delle nuove mafie che,
mentre si alimentano di certe tradizioni tribali, comunque risultano
tutte prodotto del globalismo neoliberista.

3. Diritti umani

La protezione dei “diritti umani” è stata il pretesto per la guerra del
1999. In termini di relazioni umane quotidiane, la situazione odierna è
ben peggiore di quella precedente. Questo non viene opportunamente
messo in evidenza per due ragioni. La prima, dal momento che Milosevic
è sotto accusa in carcere, l’interesse dei media della “comunità
internazionale”rispetto al Kosovo si è decisamente volatilizzato. La
seconda, le vittime delle persecuzioni e delle vessazioni, i bambini i
cui scuola-bus sono stati presi a sassate, i vecchi che sono stati
bastonati e le cui case sono state date alle fiamme, i contadini che
non osano più andare a coltivare i loro campi, le centinaia di migliaia
di profughi a causa della “pulizia etnica”…sono Serbi! O, a volte,
Zingari.
I media occidentali hanno immediatamente identificato “i Serbi” come i
nemici della “società multi-etnica” e gli esecutori materiali della
“pulizia etnica”. Il risultato curioso sembra essere che l’assenza dei
Serbi viene intesa come la migliore garanzia di una
società…multietnica. Questa, in ogni caso, è la logica del
comportamento tenuto dalla comunità internazionale nei riguardi della
valle dell’Ibar, la regione del Kosovo a nord di Mitrovica.

Questa regione, che forma una sorta di punta che si immerge nel centro
della Serbia, è la più vasta parte rimanente del Kosovo dove i Serbi
conservano una maggioranza tradizionale sufficiente a difendersi dalle
intimidazioni Albanesi. Quando appartenenti a milizie Albanesi
provenienti dalla regione purificata etnicamente della valle sud
dell’Ibar hanno tentato di attraversare il fiume, ogni volta che è
accaduto, sono stati bloccati dalle guardie Serbe. In questa
situazione, i portavoce della “comunità internazionale” quasi
invariabilmente hanno assunto la linea che erano…gli estremisti Serbi
ad opporsi ad un Kosovo “multietnico”.
Il fatto viene deliberatamente trascurato che, mentre un certo numero
di Albanesi vivono tranquillamente a nord di Mitrovica sotto controllo
Serbo, tutti i Serbi e i Rom sono stati cacciati via dalla regione a
sud di Mitrovica, e che se agli attivisti Albanesi fosse garantito il
libero accesso al nord, il risultato probabile sarebbe quello di una
ulteriore pulizia etnica di quello che rimane della popolazione Serba.

Per qualcuno della “comunità internazionale”, questo potrebbe essere la
soluzione ideale.Una qualvolta i non-Albanesi fossero stati cacciati
via, gli umanitari di professione avrebbero la possibilità di
dichiarare il Kosovo “multietnico” e non resterà nessuno a contestare
questa trionfale asserzione!

Ora la preoccupazione Occidentale prevalente è di uscire dal disordine
del Kosovo in una maniera che sia permesso ancora di continuare a
celebrare la guerra in Kosovo come un grande successo umanitario. Dopo
aver ridotto i Balcani in un mattatoio, i guerrieri per i diritti umani
allora possono andare verso altre vittorie. La sola cosa che li può
fermare, forse può essere il riconoscimento, comunque tardivo, della
verità.


Diane Johnstone è l’autrice di “Fools' Crusade: Yugoslavia, Nato, and
Western Delusions – La Crociata degli Inganni: Yugoslavia, Nato e
Allucinazioni Occidentali” pubblicato da Monthly Review Press.

11 Settembre

”Dando evidenza alle menzogne” sull’11 settembre si rende eterna la
“Grande Menzogna”

by Michel Chossudovsky
(traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)

Michel Chossudovsky è l’autore di “War and Globalization”, “The Truth
behind September 11” a
http://globalresearch.ca/globaloutlook/truth911.html
 
Testo della relazione conclusiva di Michel Chossudovsky alla sessione
pubblica plenaria del 27 maggio 2004 presso la Commissione
Internazionale d’Inchiesta dei Cittadini sull’11 settembre, a Toronto
(Canada), 25-30 Maggio 2004.  
http://www.globalresearch.ca 27 may 2004/

L’URL di questo articolo a:
http://globalresearch.ca/articles/CHO404C.html
L’amministrazione Bush ha avuto numerosi avvertimenti di intelligence.
"L’esternazione di menzogne" da parte dei funzionari di Bush, questi
"avvertimenti di intelligence" sono serviti a sostenere che Al Qaeda
costituisce un’autentica minaccia, un "nemico esterno", che minaccia la
sicurezza dell’America, quando di fatto Al Qaeda è una creazione degli
apparati di intelligence USA.

L’11 settembre ne è la giustificazione.

Secondo la Sicurezza Nazionale "attacchi a scadenza ravvicinata saranno
della stessa entità o addirittura superiori agli attacchi dell’11
settembre ".
Un "attacco terroristico” sul territorio Americano porterebbe in
effetti alla sospensione del governo civile e all’instaurarsi della
legge marziale. Ecco le parole del Ministro alla Sicurezza Nazionale,
Tom Ridge: "Se noi arriviamo al Rosso [codice di allerta]... è
fondamentale chiudere i battenti della nazione."
"Tu ti potrai chiedere, 'È seria questa cosa?' Sì, è in gioco la nostra
esistenza. La gente non fa questo se non si trattasse di una situazione
seria." (Donald Rumsfeld)
La "Criminalizzazione dello Stato", avviene quando criminali di guerra
occupano in modo legittimo posizioni di autorità, che consentono loro
di decidere "chi sono i criminali", nel momento in cui di fatto sono
proprio loro i criminali.

Smascherare una menzogna non necessariamente conduce a stabilire la
verità.

Di fatto la Commissione per l’11 settembre, che ha il mandato di
investigare sugli attacchi dell’11 settembre, ha dimostrato esattamente
l’opposto.
Noi sappiamo che l’amministrazione Bush aveva avuto numerosi
“avvertimenti dall’intelligence”. Sappiamo inoltre che l’"intelligence"
aveva confermato che i terroristi avevano la capacità di dirottare
aerei e di usare questi velivoli per colpire edifici pubblici.
Il Procuratore Generale era stato chiaramente messo in guardia dall’FBI
nell’agosto 2001 di evitare aerei di linea commerciali, ma questa
informazione non era stata resa pubblica. (Vedi Eric Smith a
http://www.globalresearch.ca/articles/SMI402A.html)
Il Pentagono aveva svolto un’esercitazione, del tutto sotto copertura,
di un aeroplano che andava a schiantarsi sul Pentagono. (Vedi
http://globalresearch.ca/articles/RYA404A.html)
Sappiamo inoltre che funzionari di Bush, come Donald Rumsfeld e
Condoleezza Rice hanno mentito sotto giuramento alla Commissione per
l’11 settembre, quando hanno affermato di non aver avuto nessuna
informazione, o preavviso alcuno, tali da impedire attacchi
terroristici.

Ma noi sappiamo anche da una ricerca attentamente documentata che:
sono stati impartiti ordini di allentare la guardia per quell’11
settembre. Infatti la Forza Aerea USA non è intervenuta.
(Vedi http://www.globalresearch.ca/articles/ELS305A.html,
Szamuely a http://www.globalresearch.ca/articles/SZA112A.html)

é avvenuto l’insabbiamento delle inchieste sul World Trade Center (WTC)
e sul Pentagono. Le macerie del WTC sono state messe sotto sequestro.
(Vedi Bill Manning a http://www.globalresearch.ca/articles/MAN309A.html)

i rottami dell’aereo al Pentagono sono scomparsi.
(Vedi Thierry Meyssan a
http://www.globalresearch.ca/articles/MEY204C.html)

come risultato dell’11 settembre, sono stati realizzati massicci
guadagni finanziari attraverso operazioni di Borsa sulla base di
informazioni riservate che riconducevano all’11 settembre.
(Vedi Michael Ruppert,
http://www.globalresearch.ca/articles/RUP110A.html .)

esiste tuttora un imbroglio finanziario che sta sotto alla richiesta di
7.1 miliardi di dollari di assicurazioni reclamati dal locatario del
WTC, in seguito al crollo delle due Torri.
(Vedi Michel Chossudovsky,
http://www.globalresearch.ca/articles/CHO403B.html)

un mistero circonda l’edificio 7-WTC, che è collassato (o è stato
“buttato giù” misteriosamente) nel pomeriggio dell’11/9
(Per i particolari su WTC-7 vedi Scott Loughrey a
http://www.globalresearch.ca/articles/LOU308A.html).
La Casa Bianca è stata accusata dai suoi critici di "criminale
negligenza", per avere trascurato con indifferenza le informazioni di
intelligence fornite al Presidente Bush e alla sua squadra per la
sicurezza nazionale e per non essersi messi in azione per prevenire
l’attacco terroristico dell’11/9.
L’opinione prevalente che si sta diffondendo è: "Loro sapevano, ma non
hanno fatto nulla per agire".
A questa linea di ragionamento si appellano molti critici sull’11/9 e
"i picchiatori di Bush", e sempre più in modo palese vengono mosse
accuse all’amministrazione Bush.

Ora, per amara ironia, il processo reale che porta a smascherare queste
menzogne e ad esprimere il pubblico sdegno ha contribuito a rinforzare
gli insabbiamenti sui fatti dell’11 settembre.
"Smascherare le menzogne" serve a presentare Al Qaeda come una minaccia
effettiva, come un "nemico esterno", che minaccia la sicurezza
dell’America, quando di fatto Al Qaeda è una creazione della struttura
di intelligence USA.

La congettura è che questi avvertimenti e i documenti di intelligence
emanati dall’organizzazione spionistica hanno costituito una vera ed
obiettiva rappresentazione della minaccia terroristica.
Nel frattempo, la storia di Al Qaeda e della CIA è stata tenuta
schiacciata nel retroscena. Del fatto che governi successivi USA,
dalla guerra Sovietico- Afgana in poi, abbiano sostenuto e incoraggiato
la rete terroristica Islamica non se ne fa da tempo cenno, per ovvie
ragioni.

Risulta necessario stroncare l’opinione generale riguardante Al Qaeda
come nemico esterno dell’America, che costituisce il costrutto
fondamentale dell’intera dottrina per la Sicurezza Nazionale.
Questa proposizione centrale che i terroristi Islamici siano i
responsabili per l’11 settembre serve a giustificare qualsiasi cosa,
quindi il Patriot Act, le guerre contro l’Afghanistan e l’Iraq, i
bilanci in crescita vertiginosa per la difesa e la sicurezza nazionale,
la detenzione di migliaia di persone di fede Musulmana con accuse
inventate, l’arresto e la deportazione a Guantanamo di presunti “nemici
combattenti”, ecc.

Il ruolo centrale di Al Qaeda nella Dottrina Bush sulla Sicurezza
Nazionale e nella Dottrina militare USA.


Come spiegato dettagliatamente nella Strategia per la Sicurezza
Nazionale (NSS), la dottrina della “guerra di difesa” preventiva e la
“guerra al terrorismo” contro Al Qaeda costituiscono i due fondamentali
costrutti della campagna propagandistica del Pentagono.
"Il Pentagono deve prepararsi per ogni possibile evenienza,
specialmente adesso che dozzine di paesi e molti gruppi terroristici si
sono impegnati in programmi segreti di sviluppo di armamenti."
(riportato da William Arkin, Secret Plan Outlines the Unthinkable - Un
Piano Segreto delinea l’Inimmaginabile, Los Angeles Times, 9 Marzo 2002)
La dottrina nucleare dell’Amministrazione post 11 settembre indica Al
Qaeda come una qualche sorta di potenza nucleare.

La effettiva esistenza di Al Qaeda fornisce la giustificazione per una
guerra preventiva contro gli Stati canaglia e le organizzazioni
terroristiche. Questo è la parte centrale dell’indottrinamento delle
truppe USA che combattono in Medio Oriente. Inoltre così si possono
giustificare i cosiddetti “abusi” sui prigionieri di guerra.

L’obiettivo è di presentare l’ "azione militare preventiva"- vale a
dire la guerra - come un atto di "auto-difesa" contro due categorie di
nemici, gli " Stati canaglia" e i " terroristi Islamici":
"La guerra contro i terroristi ad estensione globale è una impresa
globale di incerta durata. …L’America si muoverà contro queste minacce
emergenti prima che queste possano completamente essere messe in atto.

…Stati canaglia e terroristi non cercano di attaccarci usando mezzi
convenzionali. Loro sanno bene che questi attacchi andrebbero incontro
ad un fallimento. Invece, fanno affidamento su azioni terroristiche e,
potenzialmente, sull’uso di armi di distruzione di massa (…)
Gli obiettivi di questi attacchi sono le nostre forze militari e le
nostre popolazioni civili, in diretta violazione di una delle
principali norme del diritto in situazioni di guerra. Come è stato
dimostrato dal numero di perdite subite l’11 settembre 2001, lo
specifico obiettivo dei terroristi è causare il maggior numero di
vittime civili e queste vittime potrebbero aumentare esponenzialmente
in modo molto severo se i terroristi entrassero in possesso e usassero
armi di distruzione di massa.

Gli Stati Uniti già da tempo hanno tenuta salda l’opzione di azioni
preventive per parare i colpi di un’efficace minaccia alla loro
sicurezza nazionale. La minaccia più grande, il rischio più grande è
l’inazione – e diventa sempre più impellente entrare anticipatamente in
azione per difendere noi stessi, (…). Per anticipare o prevenire
questi atti ostili da parte dei nostri avversari, gli Stati Uniti, se
necessario, agiranno preventivamente." (da Strategia per la Sicurezza
Nazionale, Casa Bianca, 2002, http://www.whitehouse.gov/nsc/nss.html)
Per giustificare queste azioni militari preventive, compreso l’uso di
armi nucleari in teatri di guerra convenzionale (con approvazione del
Senato nel 2003), la Dottrina per la Sicurezza Nazionale esige la
"costruzione" di una minaccia terroristica, cioè di "un nemico
esterno." Inoltre risulta necessario vincolare queste minacce
terroristiche a "Stati che le sponsorizzano ", ai cosiddetti "Stati
canaglia".
Ma allora questo significa che i vari "eventi che hanno prodotto
vittime in massa", che vengono addossati ad Al Qaeda (il Nemico
Costruito), fanno parte di una manovra propagandistica che consiste nel
sostenere La Leggenda di un Nemico Esterno.

Nessuna Al Qaeda
Nessuna guerra al terrorismo
Nessuno stato canaglia che sponsorizza Al Qaeda
Nessun pretesto per scatenare la guerra
Nessuna giustificazione per invadere ed occupare l’Afghanistan e l’Iraq
Nessuna giustificazione per l’invio di forze speciali USA in tante
regioni in tutto il mondo.

Nessuna giustificazione per lo sviluppo di armi nucleari tattiche da
usare nei teatri di guerra convenzionale contro i terroristi Islamici,
che secondo documenti ufficiali costituiscono una minaccia nucleare.
(Vedi  http://globalresearch.ca/articles/CHO405A.html).

L’11 settembre e la propaganda di guerra
In altre parole, gli avvertimenti di intelligence hanno dato sostegno
alla leggenda di Al Qaeda, leggenda che costituisce la pietra angolare
della “guerra al terrorismo”. E quest’ultima serve come giustificazione
per le “guerre preventive” dell’America, con l’obiettivo di “proteggere
la Patria!”

Un anno prima dell’11 settembre 2001, il Progetto per un Nuovo Secolo
Americano (PNAC) invocava “qualche evento catastrofico e catalizzante,
del tipo un nuovo Pearl Harbor,” che avrebbe dovuto galvanizzare
l’opinione pubblica USA in favore di una agenda di guerra. (Vedi
http://www.globalresearch.ca/articles/NAC304A.html)
Gli architetti del Progetto PNAC sembravano aver anticipato con cinica
accuratezza l’uso degli attacchi dell’11 settembre come “un pretestuoso
incidente per la guerra.”
L’obiettivo dichiarato dal PNAC è “La Difesa della Patria” e
“Combattere e vincere in modo definitivo guerre di teatro molteplici e
simultanee”, complessivamente esercitare funzioni di polizia e azioni
militari punitive in tutto il mondo, ed operare per la cosiddetta
“rivoluzione negli affari militari”, che essenzialmente significa
sviluppare nuovi tipi di sistemi d’arma, come la militarizzazione dello
spazio esterno, lo sviluppo di una nuova generazione di armi nucleari,
ecc. (su armi nucleari, vedi
http://globalresearch.ca/articles/CHO405A.html,
sul PNAC, vedi  http://www.globalresearch.ca/articles/NAC304A.html)
Il riferimento del Progetto PNAC ad un "evento catastrofico e
catalizzante" fa eco ad una dichiarazione del tutto simile di David
Rockefeller alla Commissione per il Commercio delle Nazioni Unite nel
1994:
"Noi ci troviamo ai limiti di una trasformazione globale. Tutto quello
di cui noi necessitiamo è una crisi sicuramente di maggior spessore e
le nazioni allora accoglieranno con favore il Nuovo Ordine Mondiale."
Ugualmente, nelle parole di Zbigniew Brzezinski nel suo libro, La
Grande Scacchiera:
 "…può risultare molto difficile costruire un consenso [in America] su
problemi di politica estera, se non in presenza di circostanze di una
minaccia proveniente dall’esterno, veramente massiccia e ampiamente
percepita."
Zbigniew Brzezinski, che è stato Consigliere per la Sicurezza Nazionale
del Presidente Jimmy Carter, è stato uno degli architetti chiave della
rete organizzativa di Al Qaeda, creata dalla CIA all’attacco in
occasione della guerra Sovietico-Afghana (1979-1989).
(Vedi Brzezinski a
http://www.globalresearch.ca/articles/BRZ110A.print.html)
L’"evento catastrofico e catalizzante", come stabilito dal Progetto
PNAC, risulta parte integrante della pianificazione
spionistico-militare degli USA.
Il Generale Franks, che ha condotto la campagna militare nell’Iraq,
recentemente ha sottolineato il ruolo di un “evento che produce
moltissime vittime” (ottobre 2003) per raccogliere il consenso ad
imporre la Legge Marziale in America.
(Vedi il Generale Tommy Franks invoca l’abrogazione della Costituzione
USA, novembre 2003, a
http://www.globalresearch.ca/articles/EDW311A.html).
Franks identifica lo scenario preciso in cui si potrà instaurare la
Legge Marziale:
"un evento terroristico, da qualche parte del mondo Occidentale - forse
anche negli Stati Uniti d’America –, con una impressionante quantità di
vittime, dovrebbe indurre la popolazione a mettere in forse la nostra
stessa Costituzione e ad accettare l’ inizio della militarizzazione del
nostro Paese, in modo da evitare il ripetersi di un altro evento con
grandi quantità di vittime." (Ibid)
Questa affermazione da parte di un soggetto, che è stato attivamente
coinvolto nella pianificazione militare e di intelligence ai più alti
livelli, suggerisce che la “militarizzazione del nostro Paese” è un
assunto operativo in sviluppo. Questo fa parte della più estesa
“opinione prevalente a Washington”, che può essere identificata con la
"roadmap" di guerra dell’Amministrazione Bush e con la “Difesa della
Patria.” Inutile dire che è anche parte integrante dell’agenda
neoliberal.

L’”evento terroristico che produce un’impressionante quantità di
vittime” viene presentato dal Generale Franks come punto cruciale del
cambiamento politico. La crisi e il disordine sociale che ne
deriverebbero vengono intesi come facilitazioni ad una più rilevante
deriva antidemocratica nelle strutture politiche, sociali ed
istituzionali degli USA.
La dichiarazione del Generale Franks riflette la generale opinione
all’interno dell’Esercito USA relativamente a quello che gli eventi
terroristici potrebbero scatenare. La “guerra al terrorismo” fornisce
la giustificazione per abrogare la Norma di Legge, la Costituzione, con
l’obiettivo ultimo di “preservare le libertà civili”.

L’intervista di Franks suggerisce che un attacco terroristico messo in
atto da Al Qaeda verrà usato come “meccanismo di innesco” di un colpo
di stato militare negli Stati Uniti. L’”evento tipo Pearl Harbor” del
Progetto PNAC dovrebbe essere usato come giustificazione per dichiarare
lo Stato di emergenza, con il conseguente insediamento di un governo
militare.

Dopo molte considerazioni, si può concludere che la militarizzazione
delle istituzioni civili dello Stato negli USA può certamente essere
operativa sotto la facciata di una falsa democrazia.

Effettivi attacchi terroristici

Per essere “effettiva”, la campagna di terrore e di disinformazione non
può fare affidamento unicamente su “avvertimenti” inconsistenti di
futuri attacchi, essa richiede anche accadimenti terroristici “reali” o
“incidenti” che producano credibilità ai piani di guerra di Washington.
Questi eventi terroristici vengono usati per giustificare la messa in
atto di “misure di emergenza”, accompagnate ad “azioni militari di
rappresaglia”. Questi eventi terroristici sono necessari, nel contesto
presente, per creare la falsa idea di “un nemico esterno” che sta
minacciando la Patria Americana.

Lo scatenamento di “incidenti pretestuosi di guerra” fa parte della
strategia del Pentagono. Di fatto risulta parte integrante della storia
militare degli USA.
(Vedi Richard Sanders, War Pretext Incidents, How to Start a War,
Global Outlook, - Incidenti pretestuosi di guerra, Come scatenare una
guerra, Panoramica globale, capitoli 2 e 3, 2002-2003).
Nel 1962, i Capi di Stato Maggiore Riuniti avevano considerato un piano
segreto, sotto il titolo di "Operazione Northwoods", per provocare
deliberatamente vittime civili, in modo da giustificare l’invasione di
Cuba:
"Noi potremmo far saltare in aria una nave USA nella Baia di Guantanamo
ed accusare di questo Cuba," "Potremmo sviluppare una campagna
terroristica da imputare ai Comunisti Cubani nell’area di Miami, in
altre città della Florida ed anche a Washington" "gli elenchi delle
perdite pubblicati nei quotidiani USA potrebbero produrre una
vantaggiosa ondata di indignazione nazionale." (Vedi il documento
declassificato Top Secret 1962 dal titolo "Justification for U.S.
Military Intervention in Cuba - Giustificazione per un intervento
militare a Cuba")
(Vedi Operation Northwoods a
http://www.globalresearch.ca/articles/NOR111A.html).
Non vi sono prove che il Pentagono o la CIA abbiano giocato un ruolo
diretto nei recenti attacchi terroristici, come quelli in Indonesia
(2002), India (2001), Turchia (2003) e Arabia Saudita. (2003).
Secondo i rapporti, questi attacchi sono stati condotti da
organizzazioni (o da cellule di queste organizzazioni), che operano in
maniera del tutto indipendente, con un certo grado di autonomia. Questa
indipendenza caratterizza la vera natura di un’operazione segreta di
intelligence. La “struttura di intelligence” non è mai in contatto
diretto con i suoi sponsors segreti, e non necessariamente è a
conoscenza del ruolo che sta giocando a vantaggio dei suoi sponsors di
intelligence.

Le domande fondamentali sono:
Chi sta nel retroscena?
Attraverso quali fonti arrivano i finanziamenti?
Da chi è costituita la rete di base dei collegamenti?

Per esempio, nel caso dell’attentato a Bali del 2002, la presunta
organizzazione terroristica Jemaah Islamiah aveva legami con il
servizio di spionaggio militare Indonesiano (BIN), che a sua volta era
in collegamento con la CIA e l’intelligence Australiana.
Gli attacchi terroristici del dicembre 2001 al Parlamento Indiano – che
hanno contribuito a spingere India e Pakistan sull’orlo di una guerra –
con molta probabilità sono stati condotti da due gruppi di rivoltosi
con basi in Pakistan, il Lashkar-e-Taiba ("Esercito della Purezza") e
lo Jaish-e-Muhammad ("Esercito di Maometto"), entrambi appoggiati
dall’ISI Pakistano, secondo la Commissione per le Relazioni con
l’Estero (CFR).
(Commissione per le Relazioni con l’Estero, Washington 2002 a
http://www.terrorismanswers.com/groups/harakat2.html).
Quello che la CFR trascura di mettere a conoscenza è la relazione
cruciale che intercorre fra l’ISI e la CIA e il fatto che l’ISI
continua a supportare il Lashkar, lo Jaish e il militante Jammu e
Kashmir Hizbul Mujahideen (JKHM), che collaborano tutti con la CIA.
(Per ulteriori particolari, vedi Michel Chossudovsky, Fabricating an
Enemy – Come fabbricare un nemico, marzo 2003, a
http://www.globalresearch.ca/articles/CHO301B.html)
Un fascicolo classificato nel 2002, redatto come guida per il
Pentagono, " raccomanda la formazione di un cosiddetto “Gruppo di
Azione per Operazioni Preventive” (P2OG), atto ad innescare operazioni
segrete rivolte a "stimolare reazioni " fra i terroristi e gli Stati in
possesso di armi di distruzione di massa – per esempio, sollecitando
cellule terroristiche all’azione ed esponendo poi gli stessi terroristi
ad attacchi “a risposta rapida” da parte delle forze USA." (William
Arkin, The Secret War-La Guerra Segreta, The Los Angeles Times, 27
ottobre 2002)
L’iniziativa del P2OG non è assolutamente nuova. Essenzialmente, viene
estesa una struttura già esistente per operazioni segrete. Come
ampiamente documentato, la CIA ha appoggiato gruppi terroristici già
dai tempi della Guerra Fredda.

Per "indurre gruppi terroristici" a compiere operazioni sotto copertura
di intelligence, spesso vengono richieste infiltrazioni e addestramento
di gruppi estremisti collegati con Al Qaeda.
A questo riguardo, l’appoggio di copertura da parte delle strutture
militari e spionistiche Statunitensi è stato incanalato verso diverse
organizzazioni terroristiche Islamiche attraverso una rete complessa di
intermediari e di agenti dello spionaggio. (Vedi più avanti, in
relazione con le questioni Balcaniche)

Prevedere (attentati terroristici) costruisce una pista falsa.

La previsione di attentati implica e richiede l’esistenza di questo
"nemico esterno", che è sempre sul punto di aggredire l’America.
Come ampiamente documentato, le brigate Islamiche ed Al Qaeda, le
scuole coraniche madrassas e i campi di addestramento in Afghanistan
sono una creazione della CIA. I Talebani erano i "laureati" delle
scuole religiose madrassas, e sono loro che hanno formato un governo
nel 1996, con l’appoggio degli USA.

Durante la Guerra Fredda, ma anche in tempi successivi, la CIA, usando
la struttura dello Spionaggio Militare del Pakistan come intermediaria,
ha giocato un ruolo decisivo nell’addestramento dei Mujahideen. D’altro
canto l’addestramento alla guerriglia appoggiato dalla CIA veniva
integrato con gli insegnamenti sull’Islam.
Ogni amministrazione USA, a partire da Jimmy Carter, ha favorito in
modo consistente la cosiddetta "Base Militante Islamica", compresa Al
Qaeda di Osama bin Laden, come parte integrante della propria agenda di
politica estera.
A questo riguardo, i Democratici e i Repubblicani hanno operato di
concerto. Di fatto, è l’organizzazione spionistico-militare USA che ha
dato continuità alla politica estera degli Stati Uniti.

Informazioni dai media su Al Qaeda e il Servizio Spionistico Militare
(ISI) del Pakistan

Bisogna mettere in evidenza che in tutti gli eventi terroristici
effettivamente accaduti dopo l’11/9, viene riferito dai media e dai
documenti ufficiali che le organizzazioni terroristiche sono sempre in
"stretto collegamento con Al Qaeda di Osama bin Laden". Questo in sé
costituisce solo un frammento di informazione. Naturalmente, negli
articoli di stampa non si fa mai menzione che di fatto Al Qaeda è una
creazione della CIA, e assolutamente non si considera rilevante capire
bene cosa sta sotto questi avvenimenti terroristici.
I collegamenti di queste organizzazioni terroristiche, particolarmente
quelle Asiatiche, con l’intelligence militare Pakistana (ISI) vengono
messi in risalto solo in pochi casi dalle fonti ufficiali e dai
dispacci della stampa. Per conferma della Commissione per le Relazioni
con l’Estero (CFR), alcuni di questi gruppi appaiono avere legami con
l’ISI Pakistano, senza però che venga mai specificata la natura di
questi legami. Inutile dire che queste informazioni risulterebbero
essenziali per identificare chi sponsorizza questi attentati
terroristici.
In altri termini, l’ISI appoggia queste organizzazioni terroristiche, e
allo stesso tempo è in stretto collegamento con la CIA.

In conclusione, l’aver posto l’attenzione sulle previsioni di attentati
è servito a distrarre utilmente l’attenzione dalle relazioni da lungo
tempo stabilite da parte dei governi USA con le reti terroristiche fin
dalla guerra Sovietico-Afghana, cosa che inevitabilmente solleva le più
larghe questioni del tradimento e dei crimini di guerra.
Il tema della previsione di attentati in un certo senso cancella una
documentazione storicamente oggettiva, in quanto non riconosce la
stretta relazione fra Al Qaeda e le amministrazioni USA che si sono
succedute.

L’amministrazione viene accusata di non aver reagito agli avvertimenti
di attacchi terroristici.

Queste le parole di Richard Clarke:
"Noi dobbiamo tentare di raggiungere un livello di dibattito pubblico
su questi argomenti che sia nello stesso tempo energico e mutuamente
rispettoso…Noi tutti desideriamo sconfiggere i jihadisti. [questo è di
consenso unanime] Per fare questo, abbiamo bisogno di stimolare in
America un dibattito attivo, critico ed analitico su quanto sarà meglio
fare. E se avvenisse un altro attacco terroristico catastrofico contro
il nostro Paese, non dobbiamo più cadere nel panico o soffocare la
discussione, come abbiamo fatto per troppo tempo dopo l’11 settembre."
(New York Times, 25 aprile 2004)
Bush e il team di intelligence della Casa Bianca sembrano avere
trascurato gli avvertimenti di possibili aggressioni terroristiche.
Richard Clarke, che fino al febbraio 2003 era in forza al
contro-terrorismo nel Consiglio per la Sicurezza Nazionale, ha
"chiesto scusa" al popolo Americano e ai famigliari delle vittime. Se
si fosse agito in maniera responsabile, se fossero stati presi
seriamente in considerazione i rapporti di intelligence, l’11 settembre
2001, 3000 vite avrebbero potuto essere salvate.
Ma tenete a mente che Richard Clarke faceva parte di un gruppo di
spionaggio che a suo tempo forniva appoggio ad Al Qaeda nei Balcani!
(Vedi più avanti)
Questo nuovo parere unanime contro Bush rispetto agli attentati
dell’11/9 ha fatto inabissare parte del movimento per la verità sui
fatti dell’11/9. Le spudorate menzogne sono state denunciate in coro
con testimonianze giurate presso la Commissione per l’11/9; le famiglie
delle vittime hanno espresso la loro indignazione.
La discussione si incentra se l’amministrazione risulta responsabile
per un "deficit di intelligence" o se tutto ciò è il risultato di
"incompetenza."
In entrambi i casi, il mito di Al Qaeda rimane incontestato, e rimane
incontestato il fatto che i dirottatori di Al Qaeda siano i veri
responsabili per l’11 settembre 2001.

Fonti di avvertimenti di terrorismo

Lasciando perdere la retorica, nessuno sembra aver chiesto informazioni
sulle fonti di questi avvertimenti emanati da un apparato di
intelligence, che, come è noto, ha sostenuto Al Qaeda per l’intero
periodo successivo alla Guerra Fredda.
In altre parole, questi avvertimenti di minacce terroristiche
provenienti esternamente dalla CIA sono una rappresentazione "vera" di
una minaccia terroristica o fanno parte del processo di disinformazione
che cerca di sostenere con precisione che Al Qaeda risulta "Nemico
della Patria".
Invece, le imputazioni di "copertura e di complicità" ai più alti
livelli dell’amministrazione Bush, che sono state sollevate sulla scia
immediata degli attacchi dell’11/9, sono state respinte.
Ed è stato posto sotto silenzio il ruolo dei funzionari di Bush, i loro
collegamenti documentati con la rete terroristica, i vincoli
affaristici fra le famiglie dei Bush e dei bin Laden, il ruolo del
Servizio di Spionaggio Militare del Pakistan (ISI) che appoggia e rende
complice Al Qaeda, mentre lavorano fianco a fianco con le loro
controparti USA (la CIA e l’Agenzia di Intelligence per la Difesa DIA),
il fatto che diversi funzionari di Bush sono stati gli artefici di Al
Qaeda durante l’amministrazione Reagan, come dimostrato dalle indagini
Iran Contra. (vedi Michel Chossudovsky,
http://www.globalresearch.ca/articles/CHO303D.html)

"Sono i Sauditi ad aver fatto questo"
Tutto questo, che pure risulta ampiamente documentato, non è più di
tanto rilevante. Non sembra risultare più di tanto argomento di
dibattito e di inchiesta. Quello che i media, come molti degli
investigatori importanti sull’11/9, stanno accreditando è che "sono
stati i Sauditi a fare questo". Il Nemico Esterno Al Qaeda sembra
essere stato appoggiato dai Sauditi.

Questa linea di analisi, che caratterizza l’azione legale da 1 miliardo
di dollari promossa dal Giurista Ted Motley per le famiglie delle
vittime, è evidentemente incrinata. Mentre vengono messi in luce i
collegamenti di affari tra i Bush e i bin Laden, non viene rigettata la
leggenda del nemico esterno.
L’affermazione "Sono i Sauditi ad aver fatto questo " allora fa parte
dell’agenda di politica estera USA, eventualmente può essere usata per
gettare discredito sulla monarchia Saudita e destabilizzare i mercati
finanziari Sauditi, che trattano il 25% delle riserve di petrolio del
mondo, dieci volte più di quelle degli USA.
Di fatto, questo processo si è già innescato con il programma di
privatizzazioni in Arabia Saudita, che cerca di trasferire la ricchezza
e le risorse Saudite nelle mani straniere degli Anglo-Americani.

Gli uomini della finanza Sauditi non sono stati mai i motori primi.
Loro sono stati dei mandatari, e quindi hanno giocato in ruoli
subordinati. Hanno sempre operato a stretto contatto con lo spionaggio
USA e con i loro equivalenti soggetti finanziari Americani. Lavorando
in collegamento con la CIA, sono stati implicati nella pulitura e nel
riciclaggio del denaro sporco proveniente dal traffico di droga.
Importanti sette Wahabite dall’Arabia Saudita sono state inviate in
Afghanistan per informare le scuole religiose madrassas. I Sauditi
hanno inviato segretamente finanziamenti ai vari movimenti rivoltosi
Islamici, per conto della CIA.
In altre parole l’affermazione comune "Sono stati i Sauditi a fare
questo" principalmente contribuisce a dare una mano di bianco
all’amministrazione Bush e nel contempo fornisce il pretesto per
destabilizzare l’Arabia Saudita.

Il giudizio unanime che " Bush mente " sorregge "La Grande Menzogna" 
Il giudizio unanime che sta emergendo sui fatti dell’11 settembre,
("Nemico esterno", deficit di intelligence, negligenze criminali, "Sono
i Sauditi ad aver fatto questo", ecc.), che sta prendendo piede nei
libri di storia Americani, è che "loro sapevano, ma sono venuti meno
nell’azione". 
Vi è stata incompetenza o negligenza criminale, ma non vi è stato alto
tradimento. Le guerre in Afghanistan e nell’ Iraq erano "guerre
giuste", sono state intraprese in accordo con la dottrina della
Sicurezza Nazionale, che individua Al Qaeda come il Nemico Esterno.
Inutile dire che all’inizio della guerra contro l’Afghanistan, un
numero consistente di eminenti intellettuali Occidentali, di leaders
sindacali e della società civile ha appoggiato il concetto di "Guerra
Giusta".
Mentre sull’amministrazione Bush si addensano le nubi delle colpe, la
"guerra al terrorismo"  e il suo mandato umanitario rimangono
funzionalmente intatti.
Comunque, ognuno ha gli occhi puntati sul fatto che funzionari di Bush
hanno mentito sotto giuramento rispetto agli avvertimenti di attentati
terroristici.

Ora non sembra che qualcuno abbia formulato l’interrogativo
fondamentale:
Che significato hanno questi avvertimenti emanati da una struttura di
intelligence, sapendo che la CIA ha creato Al Qaeda e che Al Qaeda è
una "risorsa di intelligence "?
In altri termini, la CIA è lo sponsor di Al Qaeda e allo stesso tempo
controlla gli avvertimenti per impedire gli attacchi terroristici. Ed
inoltre, funzionari di Bush in testimonianze giurate presso la
Commissione per l’11 settembre, stanno mentendo sotto giuramento su
qualcosa che è vero, o addirittura stanno mentendo su qualcosa che è
una menzogna ancora più grossa?

La Leggenda del “Nemico Esterno”

L’attacco dinamitardo al WTC del 1993 era stato annunciato
dall’amministrazione Bush come uno dei primi attentati di Al Qaeda alla
Patria. Dall’11 settembre, l’attacco dinamitardo al WTC del 1993 è
divenuto parte della "leggenda dell’11 settembre", che descrive Al
Qaeda come "un nemico esterno."
Questo veniva dichiarato dal Consigliere per la Sicurezza Nazionale
Condoleezza Rice, nell’aprile 2004, in una testimonianza giurata
davanti alla Commissione per l’11/9:
"La minaccia terroristica alla nostra Nazione non viene alla luce solo
dopo l’11 settembre 2001. Già da tanto tempo, prima di quel giorno,
terroristi radicali, che odiano la libertà, hanno dichiarato guerra
all’America e al mondo civilizzato. L’attentato agli acquartieramenti
dei Marines in Libano nel 1983, l’atto di pirateria nei confronti dell’
Achille Lauro nel 1985, la nascita di al-Qaida e l’attentato
dinamitardo al World Trade Center nel 1993, gli attacchi contro
installazioni Americane in Arabia Saudita nel 1995 e nel 1996, gli
attentati dinamitardi alle Ambasciate in Africa Orientale nel 1998,
tutte queste e altre atrocità facevano parte di una potente,
sistematica campagna per diffondere devastazioni e caos e per ammazzare
Americani innocenti." (Vedi la completa trascrizione di questa
deposizione a http://www.globalresearch.ca/articles/RIC404A.html)
 
Di seguito forniamo le prove della collaborazione USA-Al Qaeda desunte
da fonti ufficiali che confermano senza ombra di equivoci che Al Qaeda
è stata una "risorsa di intelligence " appoggiata dagli Stati Uniti,
per tutto l’intero periodo successivo alla Guerra Fredda.

Periodo post Guerra Fredda: successione temporale della collaborazione
Al Qaeda- USA

1993-1994: Bosnia-gate. 
L’Amministrazione Clinton collabora con Al Qaeda (1993-1994) 
Al tempo dell’attentato dinamitardo al WTC del 1993, l’Amministrazione
Clinton stava collaborando attivamente con al Qaeda in operazioni
militari congiunte in Bosnia, come è stato confermato da un rapporto
ufficiale del Congresso reso pubblico dal Partito Repubblicano.
Il coinvolgimento “attivo” dell’Amministrazione Clinton con la linea di
rifornimento di armamenti alle organizzazioni Islamiche comprendeva
anche il collaudo di missili dall’Iran da parte di ufficiali
governativi Statunitensi.
La Rete Islamica Militante (pagina 5): Assieme alle armi sono entrati
in Bosnia in grande numero Guardiani della Rivoluzione Iraniana e
agenti segreti VEVAK, con migliaia di mujahedin ("Santi guerrieri")
provenienti da tutto il mondo Islamico. Quindi sono stati coinvolti
nello sforzo bellico diversi paesi Musulmani( fra questi il Brunei, la
Malesia, il Pakistan, l’Arabia Saudita, il Sudan, e la Turchia) e un
grande numero di organizzazioni estremiste Musulmane. Ad esempio, è
stato ben documentato il ruolo di una “organizzazione umanitaria” con
base in Sudan, denominata Agenzia per il Soccorso del Terzo Mondo.
Il coinvolgimento “attivo” dell’Amministrazione Clinton con la linea di
rifornimento di armamenti alle organizzazioni Islamiche comprendeva
anche il collaudo di missili dall’Iran da parte di ufficiali
governativi Statunitensi.

(...)
In breve, la politica dell’Amministrazione Clinton di favorire la
distribuzione di armi ai Musulmani Bosniaci de facto ha associato
l’Amministrazione con la rete internazionale in pieno sviluppo dei
governi e delle organizzazioni che mettono al primo posto della loro
agenda politica la Bosnia…Ad esempio, uno di questi gruppi, intorno al
quale si è fatta luce in modo dettagliato, è l’Agenzia per il Soccorso
del Terzo Mondo (TWRA), un’organizzazione con base in Sudan, a parole
umanitaria, che ha costituito il più importante collegamento nel flusso
di armi verso la Bosnia. ["Come i Musulmani di Bosnia hanno eluso
l’embargo sulle armi: Agenzie di Soccorso hanno mediato l’aiuto dalle
nazioni e dai gruppi estremisti, " Washington Post, 22/9/96; vedi anche
"I Sauditi finanziano il traffico di armi per la Bosnia. Un ufficiale
afferma: un programma da 300 milioni di dollari$ ha ricevuto la
cooperazione segreta degli USA" Washington Post, 2/2/96]
La TWRA è risultata essere in stretta connessione con particolari
figure della rete del terrore Islamico, come Sheik Omar Abdel Rahman
(la mente responsabile dietro all’attentato dinamitardo del 1993 contro
il World Trade Center ) e Osama Binladen, un ricco emiro Saudita
ritenuto il finanziatore di numerosi gruppi militanti. [WP, 22/9/96]
appendice
L’Amministrazione Clinton ha appoggiato la “Base Militante Islamica” ,
articoli con autorizzazione alle stampe del Senato, Congresso degli
USA, 16 gennaio 1997, a
http://www.globalresearch.ca/articles/DCH109A.html

Il presunto terrorista Sheik Omar Abdul Rahman veniva processato come
ideatore dell’attentato dinamitardo del 1993 al WTC, e quindi
condannato all’ergastolo.

Per amara ironia, lo stesso individuo Omar Abdul Rahman veniva
identificato in un documento del 1997 del Comitato Politico del Partito
Repubblicano del Senato degli USA come collaborante con ufficiali di
Clinton nel trasporto di armi e di Mujahideen in Bosnia. In altre
parole, il Partito Repubblicano confermava che Omar Abdul Rahman e Al
Qaeda erano "organizzazioni di intelligence " appoggiate dagli Stati
Uniti.
Documento originale del Senato a
http://www.senate.gov/~rpc/releases/1997/iran.htm

Quando Bill Clinton, apparso davanti alla Commissione per i fatti
dell’11/9 nell’aprile 2004, è stato interrogato se avesse stretto
collegamenti con la rete terroristica, compreso l’ideatore
dell’attentato dinamitardo del 1993 al WTC, rispose decisamente di “No!”
Possiamo concludere questo: esisteva un Triangolo Clinton-Osama-Abdel
Rahman.
Noi stiamo trattando con le categorie di “Tradimento” ed
“Insabbiamento” in relazione alle vicende dei legami
dell’Amministrazione Clinton con il supposto “Nemico Esterno”. La
categoria “Tradimento” viene così definita: “L’agire consapevole e
intenzionale in favore del nemico.”

1995-1999: La Nato e l’Esercito degli Stati Uniti hanno collaborato con
Al Qaeda in Kosovo

Di seguito presentiamo diversi estratti da documenti del Congresso che
puntualizzano il sostegno degli Stati Uniti all’organizzazione
terroristica in Kosovo nel periodo 1995-1999 e che confutano perciò
largamente l’esistenza di un “Nemico Esterno”.

Frank Ciluffo del Programma sul Crimine Organizzato Globalmente, in una
testimonianza presentata alla Commissione Giuridica della Camera dei
Rappresentanti:
Quello che viene largamente nascosto all’opinione pubblica è il fatto
che l’Esercito di Liberazione del Kosovo(KLA-UCK) acquisisce parte dei
suoi finanziamenti dalla vendita di narcotici. L’Albania e il Kosovo
sono situati nel cuore della Rotta dei Balcani che congiunge la
“Mezzaluna Dorata” dell’ Afghanistan e del Pakistan ai mercati della
droga di Europa. Per questa Rotta avvengono traffici per 400 miliardi
di dollari$ l’anno e si tratta l’80% dell’eroina destinata all’Europa.
(Congresso USA, Testimonianza di Frank J. Ciluffo, Direttore Sostituto
del Programma sul Crimine Organizzato Globalmente, alla Commissione
Giuridica della Camera dei Rappresentanti, Washington DC, 13 dicembre
2000)

Ralf Mutschke della Divisione di Intelligence Criminale dell’Interpol,
in una testimonianza sempre alla Commissione Giuridica della Camera dei
Rappresentanti:
Il Dipartimento di Stato USA ha catalogato la KLA-UCK come una
organizzazione terroristica, indicando che sta finanziando le sue
operazioni con il denaro proveniente dal traffico internazionale
dell’eroina e con prestiti dai paesi Islamici o individuali; come
esempio di finanziatore individuale viene portato Osama bin Laden. Un
altro collegamento con bin Laden resta il fatto che il fratello di un
leader della organizzazione Jihad Egiziana, e anche comandante militare
di Osama bin Laden, era alla testa di una unità di elite della KLA
durante il conflitto in Kosovo.
(Congresso USA, Commissione Giuridica della Camera dei Rappresentanti,
Washington DC, 13 dicembre 2000)

Il Deputato John Kasich della Commissione per i Servizi armati della
Camera dei Rappresentanti:
 "Proprio noi abbiamo creato un collegamento, nel 1998-99, con la KLA
che costituiva il punto per l’entrata in scena di bin Laden."
(Congresso USA, Trascrizioni dei verbali della Commissione per i
Servizi armati della Camera dei Rappresentanti, Washington, DC, 5
ottobre 1999) 

Nel 1999, il Senatore Jo Lieberman affermava autorevolmente che:
"Combattere per la KLA vale quanto combattere per i diritti umani e per
i valori Americani."
Quando esprimeva questo concetto, il Senatore sapeva bene che la KLA
veniva appoggiata da Osama bin Laden .
Che conclusioni possiamo trarre dall’analisi di queste dichiarazioni?
Le trascrizioni dei documenti Congressuali confutano l’esistenza del
“nemico esterno”.
Al Qaeda (una nostra "risorsa di intelligence") ha sostenuto e continua
a sostenere la KLA. L’Amministrazione Clinton ha appoggiato la KLA. La
Segretaria di Stato Madeleine Albright trovava desiderabile
ardentemente il comandante della KLA Hashim Thaci.
Le Military Professional Resources – Risorse Professionali Militari
(MPRI), una compagnia di mercenari sotto contratto per il Pentagono era
implicata nell’addestramento della KLA. La KLA veniva anche addestrata
dalle Forze Speciali USA e Britanniche. Ma la KLA riceveva
addestramento anche da Al Qaeda. Quindi, gli USA hanno collaborato
nell’addestramento di un’organizzazione terroristica che è collegata
con Al Qaeda, con il traffico della droga e con il crimine organizzato.

L’amministrazione Bush ha seguito di pari passo l’Amministrazione
Clinton. La KLA viene appoggiata dall’esercito Statunitense, mentre
nello stesso tempo viene sostenuta da Al Qaeda.


2001.

1 agosto 2001: L’Organizzazione Militante Islamica, la Nato e
l’Esercito USA si stringono la mano in Macedonia.
Appena poche settimane prima dell’11 settembre 2001, nell’agosto,
consiglieri militari superiori USA venivano informati da una compagnia
privata di mercenari sotto contratto del Pentagono, la MPRI,
dell’autoproclamazione dell’Esercito di Liberazione Nazionale (NLA) di
Macedonia.
Un distaccamento di Mujahideen di Al Qaeda provenienti dal Medio
Oriente e dall’Asia Centrale stavano combattendo in una formazione
armata paramilitare, che riceveva anche supporto dall’esercito degli
Stati Uniti e dalla Nato.

La NLA agisce per procura dell’Esercito di Liberazione del Kosovo
(KLA). Inoltre, la KLA e il Corpo di Protezione del Kosovo (KPC),
sponsorizzato dall’ONU, sono le medesime istituzioni con i medesimi
comandanti e con il medesimo personale militare. I Comandanti del KPC
in paga dell’ONU stanno combattendo nella NLA a fianco dei Mujahideen.
Per ironia, mentre viene appoggiata e finanziata da Al Qaeda di Osama
bin Laden, la KLA-NLA viene anche supportata dalla NATO e dalla
Missione delle Nazioni Unite in Kosovo (UNMIK).
Inoltre, l’Organizzazione Militante Islamica, utilizzando l’Inter
Service Intelligence (ISI) del Pakistan e la CIA come intermediari,
sicuramente costituisce una parte integrante nelle operazioni
spionistico-militari sotto copertura di Washington sia in Macedonia che
nel sud della Serbia.

I terroristi della KLA-NLA sono finanziati con aiuti militari degli
USA, con i fondi del bilancio delle Nazioni Unite destinati ad azioni
di peace-keeping, e da diverse organizzazioni Islamiche, compresa Al
Qaeda di Osama bin Laden. Vengono usati anche i proventi del traffico
di droga per finanziare i terroristi con la complicità del governo
Statunitense. Il reclutamento dei Mujahideen per combattere nelle file
della NLA in Macedonia viene realizzato attraverso vari gruppi Islamici.
Consiglieri militari USA sono mescolati con i Mujahideen all’interno
delle stesse formazioni paramilitari; mercenari Occidentali provenienti
dai paesi della NATO combattono fianco a fianco con i Mujahideen
reclutati in Medio Oriente ed in Asia Centrale.

Ma questo non è avvenuto durante la Guerra Fredda! È avvenuto in
Macedonia nei mesi che hanno preceduto l’11 settembre. E questo è stato
confermato da molti articoli di stampa, da testimonianze oculari, da
prove fotografiche e dalle affermazioni del Primo Ministro Macedone,
che ha accusato l’alleanza militare Occidentale di appoggiare il
terrorismo. In più, l’Agenzia ufficiale di Informazioni Macedone (MIA)
ha puntualizzato sulla complicità fra l’Ambasciatore plenipotenziario
di Washington James Pardew e i terroristi della NLA.
In altri termini, le cosiddette “risorse di intelligence” stanno
sicuramente servendo gli interessi dei loro sponsors USA.

6 agosto 2001: L’informativa presidenziale di intelligence (PDB)

L’informativa presidenziale di intelligence (PDB) del 6 agosto 2001
preparata dal Presidente George W. Bush recava il titolo "Bin Ladin ha
deciso di colpire negli Stati Uniti".
L’informativa era stata preparata al quartier generale della CIA a
Langley e veniva presentata al Presidente Bush su un ordine del giorno
in forma di relazione orale dal Direttore della CIA George Tenet.
Di seguito vengono riportati brani selezionati di questa informativa.
Il testo completo della PDB del 6 agosto 2001 può essere consultato a
http://www.globalresearch.ca/articles/WHI404A.html

Nei media venivano riportate notizie che presupponevano questa
informativa riguardante una effettiva minaccia terroristica. Di fatto,
quello che si riprometteva la PDB era la costruzione di una minaccia
terroristica. Di seguito vengono riportati brani scelti.

"Un governo straniero, in clandestinità, e rapporti di mezzi di
informazione ci avvertono che già dal 1997 Bin Ladin aveva l’intenzione
di condurre attacchi terroristici negli USA.”
[Questa affermazione è disinformazione. Durante quel periodo, gli USA
stavano collaborando con AL Qaeda nei Balcani, vedi prima]

"Noi abbiamo trascurato di prendere in giusta considerazione alcune
informazioni di minacce le più sensazionali, come quella da un…(testo
non riprodotto)…servizio di intelligence nel 1988 che affermava che Bin
Ladin aveva l’intenzione di dirottare un aereo USA per ottenere la
liberazione dello “Sceicco Cieco” ’Umar ’Abd al-Rahman e di altri
estremisti imprigionati negli USA.
Ciò nondimeno, da quel periodo il servizio d’informazione dell’FBI ha
indicato varie modalità di intelligence in questo paese, che
comprendono anche la recente sorveglianza di edifici federali a New
York, su attività sospettate di preparare dirottamenti o altri tipi di
attentati.
[Il Direttore della CIA ha informato il Presidente che una
organizzazione patrocinante lo Sceicco Abdu Rahman stava in realtà
collaborando in Bosnia con ispettori dell’esercito USA, come confermato
da una relazione del 1997 della Commissione del Partito Repubblicano??]

L’FBI ha in corso approssimativamente 70 inchieste a tutto campo negli
Stati Uniti con oggetto Bin Ladin. La CIA e l’FBI stanno investigando
su un avvertimento di maggio alla nostra Ambasciata negli Emirati Arabi
Uniti che un gruppo di sostenitori di Bin Ladin stava pianificando
negli USA attentati con esplosivi.
[Il Direttore della CIA ha informato il Presidente che Osama bin Laden
si trovava in luglio di quell’anno negli Emirati Arabi Uniti per
ricevere cure specifiche per una malattia renale proprio presso
l’Ospedale Americano a Dubai e che l’Ospedale Americano era in stretto
collegamento con l’Ambasciata USA?? (Vedere l’articolo pubblicato da Le
Figaro, http://www.globalresearch.ca/articles/RIC111B.html)]
27-30 agosto: Missione ad Islamabad e a Rawalpindi per consultazioni di
intelligence

Dal 27 al 30 agosto 2001, quasi un paio di settimane prima dell’11
settembre, i rappresentanti delle Commissioni per i servizi di
intelligence per il Senato e la Camera dei Rappresentanti,
rispettivamente i Senatori Bob Graham e Jon Kyl e il Deputato Porter
Goss, si trovavano ad Islamabad per "consultazioni".  Si incontravano
con il Presidente Musharraf e con ufficiali Pachistani dell’esercito e
dei servizi segreti, compreso il capo dell’Inter Services Intelligence
(ISI) del Pakistan, Generale Mahmoud Ahmad.
(vedi http://www.globalresearch.ca/articles/CHO111A.html)
Un rapporto dell’Agenzia France Presse (AFP) conferma che la
delegazione del Congresso degli USA si era incontrata anche con
l’Ambasciatore Afgano in Pakistan, Abdul Salam Zaeef. A questo
incontro, che non veniva quasi menzionato dai media Statunitensi,
"Zaeef assicurava la delegazione USA [per conto del governo Afgano] che
i Talebani non avrebbero mai permesso a bin Laden di usare
l’Afghanistan per lanciare attacchi contro gli Stati Uniti o qualsiasi
altro paese." (Agenzia France Presse (AFP), 28 agosto 2001.)
Il Rapporto dell’FBI di settembre
Un rapporto dell’FBI rilasciato ad ABC News alla fine di settembre
2001, che in seguito riceveva conferma da un documento sul Times of
India, informa che il Military Intelligence (ISI) Pachistano, guidato
dal Generale Mahmoud Ahmad, aveva giocato un ruolo importante nel
trasferimento di denaro agli attentatori dell’11 settembre.
Infatti il Generale Mahmoud Ahmad aveva ordinato il trasferimento di
100.000 dollari$ al supposto capo dei dirottatori terroristi dell’11
settembre, Mohamed Atta. (vedi Michel Chossudovsky, War and
Globalization, The Truth behind 9/11, - Guerra e Globalizzazione, la
Verità dietro all’11 settembre;
http://globalresearch.ca/globaloutlook/truth911.html)
Per quel che riguarda l’11 settembre, autorità federali avevano
riferiro a ABC New che avevano ora trovato le tracce del passaggio di
più di 100.000$ da banche in Pakistan a due banche in Florida, su conti
in possesso del supposto capo dei dirottatori terroristi Mohammed Atta.
Parimenti, questa mattina, il Time Magazine riportava che parte di quel
denaro era arrivato proprio pochi giorni prima dell’attentato e se ne
potevano trovare traccia direttamente presso la gente collegata con
Osama bin Laden. Tutto questo faceva parte di quello che era stato fino
ad ora uno sforzo a buon esito dell’FBI di avvicinarsi al comandante in
capo dei dirottatori, agli uomini del denaro, ai pianificatori degli
attentati e alla mente.21
Tenete ben presente la sequenza di questi incontri. Bob Graham e Porter
Goss erano ad Islamabad alla fine di agosto del 2001, ed incontravano
il Generale Mahmoud Ahmad, il presunto "uomo del denaro" sul retroscena
dell’11 settembre. Gli incontri con il Presidente Musharraf e
l’Ambasciatore Afgano erano del 27 agosto, la missione si trovava
ancora ad Islamabad il 30 agosto.

4-13 settembre: Il comandante del Servizio di Intelligence del Pakistan
(ISI) arriva a Washington il 4 settembre, e parte il 13 settembre.

Il Generale Mahmoud Ahmad era arrivato a Washington per una visita
ufficiale di consultazioni alcuni giorni più tardi, il 4
settembre.Durante questa visita a Washington, incontrava il suo
corrispettivo direttore della CIA George Tenet ed ufficiali di alto
grado dell’amministrazione Bush, come Richard Armitage e Colin Powell.
Nella sede del Congresso degli USA, il Generale incontrava il 13
settembre il Senatore Joseph Biden, Presidente della Commissione per i
Rapporti con l’Estero, il Senatore Bob Graham e il Deputato Porter Goss.
Graham e Goss, gli uomini che avevano ricevuto il Generale, verranno
chiamati ad istituire la Commissione Congiunta Senato-Camera dei
Rappresentanti per l’inchiesta sull’11 settembre.

9 settembre: L’assassinio del Comandante dell’Alleanza del Nord, Ahmad
Shah Massood.

Il leader dell’Alleanza del Nord, Comandante Ahmad Shah Masood veniva
ferito gravemente in un attacco kamikaze, il 9 settembre 2001.
Mancavano due giorni dagli attentati al WTC e al Pentagono dell’11
settembre. Più tardi, sabato 15 settembre, Masood moriva per le ferite
riportate nell’attentato suicida.
Sulla scia degli attentati dell’11 settembre, l’uccisione di Ahmad Shah
Masood veniva praticamente fatta passare sotto silenzio. L’opinione
generale dei media era che i due eventi erano totalmente privi di
correlazione. Invece l’Alleanza del Nord aveva informato
l’amministrazione Bush tramite un comunicato ufficiale che l’ISI
Pachistano era sicuramente implicato nell’assassinio:
"Un asse ISI del Pakistan-Osama-Talebani era responsabile per aver
progettato l’assassinio per mezzo di due attentatori suicidi Arabi. Noi
pensiamo che si sia costituito un triangolo tra Osama bin Laden, l’ISI,
che è la sezione dello spionaggio dell’esercito Pakistano e i Talebani".
( Il documento dell’Alleanza del Nord veniva reso pubblico il 14
settembre 2001, e riportato dalla Reuters il 15 settembre 2001)
L’ISI (Inter-Services Intelligence), i Talebani e Osama bin Laden
sembrano avere ordito questo complotto. "
In altri termini, vi sono ragioni per pensare che gli accadimenti del 9
e dell’11 settembre non siano isolati e privi di correlazione.
Secondo i documenti e i rapporti ufficiali, l’ISI era certamente
implicata in entrambi gli eventi: l’assassinio di Shah Masood il 9
settembre e il finanziamento degli attentati dell’11 settembre. In
entrambi i casi erano direttamente implicati ufficiali di grado
superiore dell’amministrazione Bush.
Mentre i media USA riconoscevano implicitamente il ruolo dell’ISI
Pachistano nell’assassinio di Shah Masood, mancavano però di
soffermarsi su una questione più sostanziale: “Come mai il Capo
dell’ISI si trovava a Washington, in visita ufficiale, ed incontrava
funzionari dell’amministrazione Bush nello stesso giorno in cui veniva
ammazzato Masood?
Se Masood non fosse stato assassinato, l’amministrazione Bush non
sarebbe stata in grado di insediare a Kabul il suo fantoccio politico
Hamid Karzai.
Masood, piuttosto che Hamid Karzai (un ex dipendente della compagnia
petrolifera UNOCAL), sarebbe diventato la guida del governo
post-Talebani formato in seguito ai bombardamenti USA sull’Afghanistan.
10 settembre: Osama ricoverato in ospedale un giorno prima degli
attentati al WTC.

Don Rumsfeld dichiarava che non si sapeva dove Osama si trovasse in
quel periodo. Invece, secondo Dan Rather, CBS, Bin Laden era stato
ricoverato in ospedale il 10 settembre, un giorno prima degli
attentati, questa volta per gentile concessione dell’indefettibile
alleato dell’America, il Pakistan.
L’Intelligence dell’Esercito Pachistano (ISI) ha confermato alla CBS
che bin Laden era stato sottoposto alla dialisi a Rawalpindi, al
quartier generale dell’Esercito Pachistano:
[trascrizione del servizio della CBS a
http://www.globalresearch.ca/articles/CBS203A.html, e a
http://www.cbsnews.com/stories/2002/01/28/eveningnews/main325887.shtml ]
Bisogna sottolineare come l’ospedale fosse direttamente sotto la
giurisdizione delle Forze Armate del Pakistan, che era a stretto
contatto con il Pentagono. I consiglieri militari USA di base a
Rawalpindi lavoravano in connessione diretta con le Forze Armate
Pachistane. Ancora, non era stato messo in atto alcun tentativo per
arrestare il ben noto ricercato dagli Stati Uniti, ma forse bin Laden
stava servendo ad un altro “miglior obiettivo”. Rumsfeld, in quel
periodo, affermava di non conoscere nulla relativamente allo stato di
salute di Osama. (vedi la trascrizione del servizio della CBS
precedente).
Inutile dire, il servizio della CBS è un pezzo cruciale di informazioni
sul puzzle dell’11 settembre. In questo servizio viene rifiutata
l’asserzione dell’amministrazione che non si conosceva il luogo dove si
trovava bin Laden. Si puntualizza la connessione con il Pakistan,
viene suggerita una copertura ai più alti livelli dell’amministrazione
Bush.
Però Dan Rather e Barry Petersen mancano di sottolineare le
implicazioni del loro servizio del gennaio 2002, mancano di porre la
domanda, dove si trovasse Osama l’11 settembre. Se l’avessero fatto nel
loro servizio, la conclusione sarebbe stata ovvia: l’amministrazione
stava mentendo riguardo a dove si trovava Osama.
Se il servizio della CBS è puntuale, e quindi Osama si trovava
ricoverato nell’ospedale militare in Pakistan il 10 settembre, con il
permesso dell’alleato dell’America, allora l’11 settembre si trovava
ancora in ospedale a Rawalpindi, durante gli attentati.
Con tutta probabilità, dove Osama si trovasse era ben noto ai
funzionari USA anche nella mattina del 12 settembre, quando il
Segretario di Stato Colin Powell iniziava trattative con il Pakistan,
con l’obiettivo di arrestare ed estradare bin Laden.
Queste trattative, condotte dal Generale Mahmoud Ahmad, capo dei
servizi di spionaggio del Pakistan, per conto del governo del
Presidente Pervez Musharraf,  avvenivano il 12 e il 13 settembre
nell’ufficio del Sottosegretario di Stato Richard Armitage. Inoltre, il
13 settembre il Generale incontrava al Dipartimento di Stato Colin
Powell per continuare la discussione.

11 settembre: “Un incontro a seguire” con il Generale Mahmoud Ahmad,
mediante una colazione di lavoro al Campidoglio.

La mattina dell’11 settembre, i tre giuristi Bob Graham, Porter Goss e
Jon Kyl (che avevano fatto parte della delegazione del Congresso in
Pakistan) tenevano una colazione di lavoro in Campidoglio con il
Generale Ahmad, il presunto “uomo del denaro” nel retroscena dei
dirottamenti dell’11 settembre. Presenti a questo incontro c’erano
anche l’Ambasciatore del Pakistan presso gli Stati Uniti, Maleeha
Lodhi, e diversi membri delle Commissioni per i Servizi Segreti del
Senato e della Camera dei Rappresentanti.
Questo incontro veniva descritto da un articolo di stampa come “un
incontro a seguire” quello tenutosi in Pakistan, lo scorso agosto.
(vedi in precedenza). "Il 30 agosto, il Presidente della Commissione
per i Servizi Segreti del Senato, Sen. Bob Graham (D-FL) si trovava in
missione per acquisire informazioni ulteriori sul terrorismo. (…) L’11
settembre, Graham, ritornato a Washington DC, riceveva in un “incontro
a seguire” il capo dell’agenzia di spionaggio Pakistana Mahmud Ahmed e
il Presidente della Commissione per i servizi di Intelligence della
Camera dei Rappresentanti Porter Goss (R-FL)" 3 (The Hotline, 1 ottobre
2002):
Sebbene banalizzi l’importanza di questa colazione-incontro dell’11
settembre, The Miami Herald (16 settembre 2001) conferma che il
Generale Ahmad aveva incontrato anche il Segretario di Stato Colin
Powell sulla scia degli attentati.
Comunque il significato politico della relazione personale tra il
Generale Mahmoud (il presunto “uomo del denaro” dietro l’11 settembre)
e il Segretario di Stato Colin Powell viene ignorato con indifferenza.
Secondo il The Miami Herald , l’incontro ad alto livello fra i due
uomini non era stato pianificato in precedenza. Era avvenuto sulla
spinta del momento, a causa del blocco del traffico aereo che aveva
impedito al Generale Mahmoud di tornarsene a casa ad Islamabad su un
aereo commerciale di linea, quando con tutta probabilità il Generale e
la sua delegazione avevano viaggiato su un aereo concesso dal governo.
Fatta eccezione per la stampa della Florida ( e di Salon.com, 14
settembre), non veniva fatta parola nei media USA di settembre, che
trattavano dei fatti del giorno 11, rispetto a questa misteriosa
riunione a colazione.

Otto mesi più tardi, il 18 maggio 2002, due giorni dopo che era apparso
a titoli cubitali su giornali a diffusione popolare "BUSH KNEW-BUSH
SAPEVA", il Washington Post pubblicava un articolo su Porter Goss,
intitolato: "Un mantello, non un pugnale! Una ex spia dichiara di
cercare spiegazioni, non capri espiatori per l’11 settembre".
Concentrandosi sulla di lui carriera di agente della CIA, l’articolo
serviva ampiamente a sottolineare l’integrità e l’impegno di Porter
Goss nell’ingaggiare una “guerra contro il terrorismo”. Inoltre, in un
paragrafo isolato, l’articolo rendeva noto il misterioso incontro a
colazione dell’11 settembre con il Capo dell’ISI Mahmoud Ahmad,
confermando ancora che "Ahmad dirigeva un’agenzia di spionaggio
notoriamente in contatto stretto con Osama bin Laden e i Taliban":
Mentre il Washington Post sottolinea i collegamenti “notoriamente
stretti” tra il Generale Ahmad e Osama bin Laden, trascura la più
importante questione: perché il Deputato Porter Goss e il Senatore Bob
Graham ed altri membri delle Commissioni per i servizi di intelligence
del Senato e della Camera dei Rappresentanti hanno incontrato a
colazione nella mattinata dell’11 settembre il presunto “uomo del
denaro” che sta nel retroscena degli attentati?
In altri termini, l’articolo del Washington Post non fa proprio un
passo più avanti nel dare corso alla problematica reale: che
significato aveva questo misterioso incontro a colazione? “una svista
politica”, un deficit di intelligence o qualcosa di più serio? Gli
stessi individui, Goss e Graham, che hanno sviluppato un rapporto
personale con il Generale Ahmad, dovrebbero essere sottoposti
all’inchiesta di una commissione congiunta “per stabilire la verità
sull’11 settembre”.

I media non danno molto peso alla colazione-incontro, che viene
presentata come un diversivo e non vengono tirate le opportune
conclusioni. Nemmeno si porta a conoscenza il fatto, ampiamente
documentato, che l’”uomo del denaro” che stava dietro ai dirottatori
era stato incaricato dal governo del Pakistan di discutere i termini
precisi della “collaborazione” del Pakistan nella “guerra contro il
terrorismo” in incontri riservati a porte chiuse al Dipartimento di
Stato, il 12 e il 13 settembre 2001. 11 7(vedere Michel Chossudovsky,
op cit)
12-13 settembre: La conclusione, il presunto uomo del denaro incontra
Colin Powell e Richard Armitage
Tenete a mente che lo scopo di questo incontro del 13 settembre al
Dipartimento di Stato veniva reso pubblico solo dopo gli attentati
terroristici dell’11 settembre, quando l’amministrazione Bush aveva
preso la decisione di cercare formalmente la cooperazione del Pakistan
nella sua “campagna contro il terrorismo internazionale”, malgrado i
collegamenti dell’ISI Pachistano con Osama bin Laden e i Talebani e
il suo presunto ruolo nell’assassinio del Comandante Massoud, due
giorni prima dell’11 settembre.
Ciò nonostante, i media Occidentali, pur in presenza di una crescente
evidenza, rimanevano silenti sull’insidioso ruolo dell’Agenzia di
Intelligence Militare del Pakistan (ISI). Veniva citato l’assassinio
di Massoud, ma non il suo significato politico in relazione all’11
settembre e la conseguente decisione di scatenare la guerra contro
l’Afghanistan veniva a mala pena accennata. Senza una discussione o
dibattito, il Pakistan veniva annunciato come amico e alleato
dell’America. In una logica completamente capovolta, i media
Statunitensi concludevano in coro che:
“Funzionari USA avevano cercato la cooperazione con il Pakistan proprio
perché era l’originale sostenitore dei Talebani, la leadership Islamica
dalla linea dura in Afghanistan accusata da Washington di dare asilo a
bin Laden.”

L’Amministrazione Bush non solo aveva fornito un’accoglienza da tappeto
rosso al presunto”uomo del denaro” che stava nel retroscena degli
attentati dell’11 settembre, ma anche aveva cercato la sua
“cooperazione” nella “guerra al terrorismo”. I precisi termini di
questa “cooperazione” venivano pattuiti tra il Generale Mahmoud Ahmad,
rappresentante del governo del Pakistan e il Sottosegretario al
Dipartimento di Stato Richard Armitage, in incontri al Dipartimento di
Stato il 12 e il 13 settembre. In altre parole, l’Amministrazione
decideva, nella scia immediata dell’11 settembre, di cercare la
“cooperazione” dell’ISI Pachistano nell’”inseguimento di Osama”,
malgrado il fatto (documentato dall’FBI) che l’ISI aveva finanziato ed
era complice dei terroristi dell’11 settembre. Qualche contraddizione?
Ma no! É come dire che “ si sta chiedendo ad Al Capone di prestare
aiuto nella lotta contro il crimine organizzato”!

11 SETTEMBRE: CRONOLOGIA

1. Periodo della guerra fredda, nasce Al Qaeda.

1979, viene lanciata in Afghanistan l’operazione a più grande
copertura e segretezza nella storia della CIA, con la creazione delle
brigate islamiche per combattere nella guerra Sovietico Afghana. Nasce
Al Qaeda.  

1985, il Presidente Reagan firma la direttiva 166 decisionale sulla
sicurezza nazionale che autorizza di aumentare segretamente gli aiuti
militari ai Mujahideen.
1989, fine della guerra Sovietico Afghana, fine della guerra fredda,
aumento delle operazioni segrete nella ex Unione Sovietica e nei
Balcani.
1996, i Talebani formano un governo con l’appoggio degli Stati Uniti.

2. Post guerra fredda; appoggio ad Al Qaeda nei Balcani.

1991, inizia la guerra civile in Yugoslavia
1993-1994, l’amministrazione Clinton collabora con Al Qaeda in Bosnia
1995-1999, la Nato e l’esercito USA collaborano con Al Qaeda in Kosovo
2000-2001, la rete militante islamica, la Nato, l’esercito USA e la
missione delle Nazioni Unite in Kosovo uniscono le forze in Macedonia
in appoggio alla NLA


3. Breve cronologia: luglio-settembre 2001.
1 luglio: Osama bin Laden in ospedale Americano a Dubai, Emirati Arabi
Uniti.

6 agosto: informativa presidenziale di intelligence (pdb).
27-30 agosto: missione del Senatore Bob Graham e del Deputato Porter
Goss a Islamabad e a Rawalpindi per consultazioni di intelligence con
il Presidente Musharraf e il Capo dell’ISI, Generale Mahmoud Ahmad.
4<br/><br/>(Message over 64 KB, truncated)

(english / italiano)

3 ottobre 1990 - 3 ottobre 2004

Quattrordici anni fa la annessione della DDR alla Rep. Fed. Tedesca

1. Quando cade il Muro... (Tonino Bucci, da Liberazione del 7/8/2004)

2. Germany: Ostalgia for the GDR. NO CHANCE TO MOURN ITS PASSING (P.
Linden, D. Vidal, B. Wuttke, Le Monde diplomatique, August 2004)

VEDI ANCHE:

ERICH HONECKER: AUTODIFESA DINANZI AL TRIBUNALE DI BERLINO

http://digilander.libero.it/lajugoslaviavivra/CRJ/DOCS/honeck.html

L'INNO NAZIONALE DELLA DDR:

http://www.olympic.it/anthems/gdr.mid

SEE ALSO, IN ENGLISH:

East Germans display deepening discontent (by Bertrand Benoit)
http://news.ft.com/cms/s/a49a9e54-f52b-11d8-85e9-00000e2511c8.html

dpa: East Germans say communism is a good idea
http://www.expatica.com/source/
site_article.asp?subchannel_id=52&story_id=10955


=== 1 ===

http://www.liberazione.it/giornale/040807/archdef.asp

Quando cade il Muro...

Quando cade il Muro, Jana Hensel ha soltanto tredici anni e vive a
Lipsia, una della maggiori città dell'allora Ddr, la Germania
orientale. Quasi non c'è il tempo per rendersi conto del precipitare
degli eventi. In men che non si dica un intero mondo crolla. Soltanto
dopo oltre un decennio - e metà della propria vita trascorsa nella
"nuova" Germania - Jana Hensel
realizza di non essere più in grado di ricordare il tempo prima della
Wende, della svolta.
La Germania di oggi si muove tra l'immagine pacificata di un paese
finalmente riunificato, senza più conti in sospeso col passato, e la
ricerca tormentata di un'identità collettiva dalla quale buona parte di
tedeschi sono tuttora esclusi, come stranieri in patria. Come una sorta
di fiume carsico improvvisamente tornato in superficie, è esploso negli
ultimi anni il problema della memoria, della raccolta di ricordi e
testimonianze sulla quotidianità della vita nella Ddr, persi via via
per strada. Ad incarnare questa tendenza non è soltanto quella moda
conosciuta con il neologismo di «ostalgia», che spinge molti tedeschi a
collezionare vecchi simboli e oggetti d'uso quotidiano della Germania
dell'Est. Si tratta, piuttosto, di un fermento più diffuso che ha nella
letteratura e nel cinema i suoi momenti di maggiore espansione e che
pure fatica a valicare i confini tedeschi - se si fa eccezione per il
film "Goodbye Lenin" del regista Wolfgang Becker che ha riscosso
successo anche in altri paesi europei.
Quegli «ultimi giorni della nostra infanzia dei quali, naturalmente,
non sapevo allora che fossero gli ultimi, sono per noi oggi una specie
di porta in un altro tempo che ha il sapore di una fiaba e per il quale
non ci è possibile trovare le parole giuste». Questa frase di Jana
Hensel, tratta dal romanzo Zonenkinder che le è valso, nonostante la
giovanissima età, una notevole popolarità in Germania, mette il dito
sulla piaga. Fare i conti con l'identità tedesca significa anzitutto
affrontare un problema letterario, «trovare le parole giuste» per
descrivere un passato e un'infanzia definitivamente perdute.
«Come tutto il nostro paese aveva desiderato non è rimasto nulla della
nostra infanzia e all'improvviso, quando siamo cresciuti e ci sembra
già troppo tardi, mi rendo conto di tutti i ricordi persi. Ho paura di
conoscere poco il terreno sul quale cammino, di aver guardato raramente
indietro e sempre davanti. Vorrei di nuovo sapere da dove veniamo, così
mi sono
messa alla ricerca dei ricordi smarriti e delle esperienze sconosciute,
anche se temo di non trovare più la strada all'indietro».
Da qui prende corpo un viaggio nella memoria, un sentiero narrativo che
attraversa diversi momenti della quotidianità della Ddr: la scuola, il
rapporto genitori-figli, l'architettura delle città, i trasporti,
l'educazione, l'amore, l'amicizia, lo sport. E tuttavia l'impresa non
ha una chiara marca politica, è piuttosto un flusso di ricordi che si
sottrae alla trappola della censura o del divieto di parlare dell'Est
se non in termini di demolizione. «Quelli dell'Ovest - spiega Hensel in
un'intervista - si fanno sempre forti della domanda "perché raccontate
la Ddr in maniera naif? Perché non prendete posizione?" Non ho più
voglia di difendermi dall'accusa di "ostalgia". La Ddr è stata già
indagata criticamente a tutto campo, messa in scena, persino
musealizzata. Si ha la sensazione che tutti quanti o lavoravano per la
Stasi o attaccavano manifesti. Che sia esistita una
quotidianità reale, concreta: questo dobbiamo raccontare».
E' una quotidianità raccontata senza pudori e celebrazioni, afferrata
in dettagli all'apparenza insignificanti, come quando «dopo il crollo
del Muro scomparirono per primi i quadri di Lenin e Honecker dall'aula
scolastica» e «gran parte dei compagni di classe» si misero in viaggio
con i genitori per «prendersi il soldo del benvenuto», seguiti ben
presto anche dagli insegnanti. Spariscono anche i «sabati», le giornate
di mobilitazione e di lavoro volontario, le raccolte di alimenti per la
rivoluzione sandinista, le manifestazioni di solidarietà per Nelson
Mandela.
Con Jana Hensel, un'intera generazione di autori nati nella Ddr intorno
al 1970 si è resa visibile con un'esplosione di testi di narrativa che
affrontano il rapporto tra est e ovest a partire dalle medesime
categorie esistenziali e biografiche. Julia Schoch, classe 1974,
descrive nei suoi racconti - pubblicati nella raccolta Il corpo della
salamandra - i conflitti interni a una
generazione in cerca di felicità e benessere, che si imbatte però, ogni
volta, nei ricordi dell'ex Ddr.
Jacob Hein, classe 1971, ritorna sulla propria gioventù nel volume di
racconti La mia prima T-Shirt, mentre il romanzo d'esordio di André
Kubiczek (classe 1969) Giovani talenti tratteggia l'orizzonte culturale
dell'ultima fase di vita della Ddr. In tutti domina però una percezione
comune, una crescente disillusione nei confronti delle aspettative che
in tanti, dopo il crollo del Muro, avevano nutrito verso le sirene del
capitalismo occidentale. L'amara scoperta che l'ideologia continua a
dominare incontrastata proprio laddove tutti ne decretano la scomparsa.

Tonino Bucci


=== 2 ===

http://mondediplo.com/2004/08/04ostalgia

Le Monde diplomatique, August 2004

NO CHANCE TO MOURN ITS PASSING

Germany: Ostalgia for the GDR

Germany is now in economic distress; the Socialist-Green coalition in
power is selling off public assets and dismantling the social welfare
system. Unemployment, especially in what was East Germany, is high. No
wonder the Easterners are nostalgic for their protected past.

by Peter Linden and Dominique Vidal and Benjamin Wuttke


GEORGE Tabori recently staged Gotthold Lessing’s The Jews for the
Berliner Ensemble and added a few lines of his own: "Ah, the good old
days - alas, long gone, by the grace of God." Was he thinking of
Ostalgia, the ambivalent nostalgia felt by many former citizens of East
Germany (1)?

Marianne Birthler presides over a mound of paper, old files belonging
to the Stasi, the state security arm of the former German Democratic
Republic (GDR). She says about the Ostalgic movie Good Bye, Lenin!: "I
have happy memories of particular tunes or objects. But I don’t feel
any nostalgia for the GDR." She thinks Ostalgia is a reaction by "those
who think any criticism of socialism undermines their own life
history". Sigmund Jähn, a former cosmonaut who was "president" of East
Germany in Good Bye, Lenin!, sees Ostalgia as "the expression of an
American-style lack of true culture. They [West Germans] focus on
making money . . . leaving East Germans to calm down, stewing in their
own juice."

Professor Jens Reich (2) does not dispute his fellow citizens’
attachment to their past but sees it as "a passing fad exaggerated by
the media". After the fall of the Berlin wall those in favour of
democratic transformation of the GDR, including the Greens, only picked
up 5% of votes. He adds: "The remaining 95%, who wanted an end to
communism, shouted us down." He thinks Ostalgia marks the "deliberate,
collective end of an epoch". The last chance to reform communism had
been wrecked in 1968 when Soviet forces crushed the Prague spring.

The writer Thomas Brussig says the GDR "disappeared without us having a
chance to mourn its passing. Ostalgia is a delayed reaction . . .
Nostalgia is part of human nature. Everyone likes to remember their
youth. The passing of time makes everything rosier." Particularly as
the official line is that there was nothing worth keeping in the GDR
besides the green arrow traffic signal (3). Brigitte Rauschenbach, a
lecturer at the Freie Universität Berlin, is convinced that mourning
will never be complete until "former East Germans acknowledge the
ambivalence of their feelings about the regime". In 1945 people felt a
subconscious mixture of love and hate for Hitler. "Ostalgia", she adds,
"is more like unfocused melancholy."

Jana Hensel had a major success with her book Zonenkinder (4), which
she believes helped "to bridge the gap between individual and
collective memories": her fellow citizens at last realised that "their
story was not of marginal interest but a key issue". Whether they
stayed in the East or moved West, each is trying to find traces of the
GDR in songs, food or broadcasts.

Surprisingly Egon Krenz, the last president of the GDR, now out of
prison (5), is dismissive. In his modest home on the Baltic coast he
starts by emphasising the negative side of Ostalgia. Rather than really
testing memories, it is a "caricature . . . making fun of life in the
GDR". Stefan Arndt, the producer of Good Bye, Lenin!, uses the same
term: "People caricature things, saying ’Their cola was awful,’ ’They
never had any bananas’ or ’That ghastly wallpaper’ but there’s no
mention of real life." Krenz acknowledges that there is a good side to
Ostalgia: "People who lived in the East have experienced two types of
society and can compare them." At least 17 million people know there
was more to the GDR than "Trabants or the Stasi . . . Despite all the
things that turned out badly everyone had work, with cheap housing and
a good health service free of charge . . . They miss all those
benefits."

Peter Ensikat, a cabaret artist, sees the trend as a "reaction to what
has happened since the wall came down". People in the East "threw
everything away without thinking . . . All they wanted was to join West
Germany, though they knew nothing about it beyond its ads on
television".

So perhaps the nostalgia is a combination of disappointment with the
present and longing for the past. Wolfgang Herr, a journalist, says:
"The more you get to know capitalism the less inclined you are to
wonder what was wrong with socialism." Cynics will comment that this is
because he used to work for the communist daily Neues Deutschland. But
many Ossis say it wasn’t all so bad then and it’s not that great now.
We spoke to two other journalists, Gerhard Leo, 81, and his grandson
Maxim, 34. Gerhard thinks Ostalgia reflects "the rejection of the new
society by a steadily increasing number of East Germans, who are so
desperate they forget the shortcomings of the GDR." Maxim justifies "a
legitimate desire to defend a lifestyle that has disappeared" but also
refers to "memories of a GDR that never existed". Gerhard thinks that
the socialist principle of secur ity for all should apply in western
society. Maxim disagrees, convinced it came at too high a price in
freedom and efficiency: "Security rhymes with mediocrity. If you deny
people success, you stifle the driving force behind society. If they
achieve prosperity it can be redistributed afterwards."

Christian Schletze, a young member of the IG Metall trade union, is
still looking for the rosy future promised by Chancellor Helmut Kohl.
He says: "The economy in my area was destroyed and with the shortage of
funds the schools, health service and arts centres no longer work
properly." What happened to the €1,250bn invested in the Länder of the
former GDR, where there are now only 6m jobs, compared with 9.7m in
1989? Journalist Renate Marschall remembers how people were convinced
hard work was all that was needed and how hurt they were to discover
the truth. They were told: "We don’t need your skills any more. We have
no use for you." Instead of the promised 30 years of prosperity and
growth they had 10 years of disaster.

Rita Kuczynski has published two collections of interviews with former
Ossis (6). She thinks reunification marked "the beginning of the end
for the welfare state" and sees a similarity between "the present
stagnation of the GDR and the Federal Republic of Germany in the
1980s". That is why there is no justification for Ostalgia: "Why did 4
million people move out? It went bankrupt."

Irene Dolling, a teacher at Potsdam University, says of women’s rights:
"In the East women went out to work; in the West they stay home and
mind the kids." In the GDR women had to do much of the housework too,
but rising unemployment and the disappearance of many kindergartens has
undermined the relative liberation of work: "In the GDR 86% of all
women worked. Now only 56% do." The birth rate has been halved in 15
years, plummeting to the 1929 level. Stefan Arndt says: "Single mothers
with kids managed quite well in the GDR. Now they are in danger of
falling into the poverty trap. Even if they manage to find a space in a
kindergarten, it opens at 9am and closes at 2pm. You can’t make a
living working only three or four hours a day."

Reich thinks Ossis miss "a peaceful, congenial lifestyle without
competition, hinging on the family" much more than the welfare system:
during morning and afternoon breaks at work everyone had a chance to
chat. Wolfgang Engler, lecturer in the sociology of culture at a drama
school, explains: "East Germans adjusted very well to a collective
lifestyle including their workplace and the kindergarten. Their ego
could flourish between individual and collective demands, with the
group having to strike a balance at all times." Too much pressure from
the authorities threatened the group. Too much pressure from below
threatened the state. He adds: "The awareness of togetherness nourished
a sense of solidarity."

And security, adds Pascal Thibault, a French journalist working in
Berlin. He believes that because of their history Germans have come to
fear the future. He explains: "For the French the worst is never
certain to happen, for the Germans it’s always a possibility." What
Ossis miss most is the tranquillity of the GDR, described by writer
Volker Braun as the most boring country in the world. But says Enkisat,
it’s a boredom that "the homeless, jobless and temporary workers really
miss". It was a niche society. Everyone, providing they stayed within
limits, could enjoy "a safe, mediocre existence without being bothered
by the system . . . It was easier then to escape the pressures of
bureaucracy than it is now to avoid the pressures of money." Ossis feel
just as powerless as before. Enkisat concludes: "Of course we can make
a fuss, but what’s the point?"

Almost no one referred to the wall and the Stasi. Those most hostile to
the communist regime talked of a second dictatorship, although the
comparison is absurd. (The first dictatorship of the Nazi regime, and
the second world war, killed 60 million people, including several
million genocide victims.) Birthler’s statistics are impressive,
though: drawing on an army of informers (perhaps 2% of the nation), the
Stasi compiled some 40m files whose contents covered half the
population. There were 250,000 political prisoners.

"If you weren’t politically active you never met the Stasi," says Marie
Borkowski, the widow of a dissident who spent many years in prison.
People were exclusively concerned with their own affairs and knew
nothing of what was going on. Kuczynski agrees that it was possible to
spend your whole life without problems, providing you played by the
rules. Brussig agrees: "All you had to do was not attract attention,
not tell jokes against the system." According to Herr: "Telling jokes
about Honecker [Communist party leader for many years] could lead to
serious trouble, but calling your foreman at work a fool was OK.
Nowadays anyone can call [Chancellor] Schröder names, but not their
supervisor, unless they want to get the sack."

Some are amazed anyone hankers after a grey communist past. Birthler
remarks: "Slaves can’t do anything wrong - and not everyone likes
freedom." Brussig theorises: "Many people are afraid of freedom. They
would rather be safe." He adds that the communist regime suited people
"you wouldn’t want to talk to for more than half an hour - emotional
and intellectual primitives". Iris Radisch, a literary critic, praises
Wolfgang Hilbig, the first writer to describe the GDR "as it really was
- dead, cold and grey" (7). The painter Jens Bisky uses the term
Duldungstarre to describe the Ossi mindset. It’s an almost
untranslatable word used by farmers to describe the look of sows who
are paralysed by the pheromones of the hog as they wait to mate (8).
Dazed and seduced, perhaps.

Intellectuals, Hensel says, "wanted to restore democracy in the GDR and
failed". They blame the people. "They have no idea what 35%
unemployment means, wrecked lives and a country gone bust." Engler
thinks the snobs’ scornful attitude to ordinary people is "unbearable.
As if they wanted to make Ossis pay for their own failure in 1990. They
hate the people who didn’t vote them into power, preferring
reunification and the Deutschmark" (9).

The other peoples of liberated eastern Europe were able to keep their
nation states, but not the East Germans. The GDR disappeared and
advocates of reunification did their best to remove all trace of its
existence. "Our country no longer existed and nor did we," says Maxim
Leo. His grandfather blames it on the western legal system: "A third of
Ossis had to leave their homes, re appropriated by someone from the
West. But not a single one of us benefited from this law - not even
Jews dispossessed by the Nazis."

This is grist to the Ostalgic mill. Anja Weinhold was hurt by the
closure of DT64, a popular radio station: "In our village it was the
only link with the outside world.When it stopped I felt like a
foreigner in my own country." Even the Ossis’ favourite chocolate bar,
Raider, was renamed Twix. Vincent Von Wroblewski, a philosopher, says:
"By denying our past, they stole our dignity."

For Michael Gauling, former contributor to the satirical weekly
Eulenspiegel, there is a different Ostalgia for each generation: "Young
people focus on the 1989-90 revolution which failed but left a deep
impression." Gerhard Leo remembers those feverish months, torn between
the advocates of democracy and their slogan, "We are the people" and
those in favour of reunification, who replied "We are one people". The
GDR was awash with democratic process, flyers, meetings and
demonstrations. Some people still say "if only it could have lasted".
But, Leo adds, the Deutschmark prevailed over "the revolution that so
many, including communists, had so long awaited". Kuczynski says many
in the West wanted it too: "The leftists involved in the student
uprisings of the late 1960s were counting on the GDR." When the wall
fell, they thought it marked the start of the revolution. "After
reunification they complained: ’But why did you sacrifice the
alternative society?’ "

Ostalgia does not only concern the past. We talked to students in a
cafe on Rosa Luxemburg Platz. Uwe Lorenz, computer scientist, said: "In
the East the future looks promising for organisations campaigning for
an alternative global market, especially Attac." The new Länder are
more active opponents of Schröder’s attempts to dismantle the welfare
state than their western counterparts. They are also the first to
suffer. In Berlin even Humboldt University, in the East, now has bigger
strikes than the Freie Universität. Luigi Wolf, a student of political
science, is adamant: the anti-war movement is more radical in the GDR.

"The Ossis", explains Lorenz, "can draw on a clearer identity than
people in the West, having experienced a form of socialism. If they
think up another form, everything will change." Schelze interrupts,
saying that they know what kind of socialism they want "having been
subjected to Stalinism . . . My grandfather used to say: ’The GDR isn’t
a socialist state.’ It’s yet to be achieved. We thought it could be
done in 1989 and we are still fighting for it." He is convinced that,
with their experience, Ossis have huge potential. Lorenz rejects any
comparison of Stalinism and capitalism, explaining: "The GDR was a
bureaucratic workers’ state, but it was also more egalitarian."

Weinhold is less optimistic. On the basis of past experience, only 2%
of Ossis think they can exert any influence on politicians. The
communist regime did not listen to them, and its capitalist successor
has turned them into second-class citizens. Ostalgia, she adds, "helps
them to regain confidence", rehabilitating the parts of their past that
deserve to be saved and defended by collective action: "I know what I
feel proud of and want to win back, but also what I don’t want any
more." Lorenz is not so sure: "Another world is possible, but how is it
to be achieved? There are only a few answers to such questions and any
reference to Eastern bloc countries is taboo."

Someone shouted: "We should reconcile the movement of emancipation and
our utopian ideals." Von Wroblewski has no intention of giving up his
socialist ideals "but you have to make it clear what can and can’t be
done". Commenting on the speed with which Ossis have matured, he says:
"History has cheated them so many times they have no illusions left."
Resignation, a complete lack of interest in politics, and xenophobia
are dominant attitudes. And what does he think of the 25% of the
electorate who vote for the Party of Democratic Socialism (PDS), the
rebranded Communist party? He believes that it reflects the social
malaise, rejection of change and longing for the past. Lacking a
plausible alternative, even intellectuals focus all their energy on
careers, trying to find a cosy niche and adapt to the system. If
anything, he suggests, Ostalgia is a "flight from reality for lack of
an alternative".

Engler thinks an alternative is taking shape: "My optimism has grown
out of the present crisis. More and more people are going to refuse to
accept the consequences." He is convinced of the need for radical
social reforms, unthinkable under the present system, and sees the
GDR’s good points as "a utopian possibility based on the satisfaction
of human needs" (10). That is why the memory of 1989-90 is important, a
time when everyone - workers, farmers and intellectual - discussed
everything. As the former cosmonaut Jähn says: "Doesn’t everybody want
a country providing work and justice for all?" He misses its humanism
and dreams "of a society based on social justice, devoted to education
and culture, without any exaltation of violence". He adds: "We are
further away from that goal now than we were." Dieter Borkowski, a
dissident, says, "No one likes to say goodbye to the dreams of their
youth."

Bertolt Brecht wrote in a 1953 poem, Der Radwechsel: "I am sitting
beside the road/ The driver is changing a wheel/ I don’t like where I
am/ I don’t like where I am going/ Why do I watch the changing of the
wheel/ With impatience?"

See also :

  Retro fittings, by Benjamin Wuttke,

  The museum of GDR daily life, by Peter Linden.

* Peter Linden and Benjamin Wuttke are journalists based in Munich and
Berlin

(1) As in Ost Deutschland. Its citizens are still called Ossis.
(2) Co-founder of New Forum Political Movement in 1989 and member of
parliament until German unification in 1990.
(3) For vehicles filtering right at traffic lights.
(4) Zone kids, a reference to the Soviet zone, as the GDR was often
called.
(5) He was found guilty, without proof, of giving the order to fire on
people trying to escape from the GDR and was sentenced to six and a
half years in prison. He served four, the last two in a day-release
centre. He owes the state€500,000.
(6) Die Rache der Ostdeutschen (The vengeance of East Germans) and Im
Westen was neues? (What’s new in the West?), Parthas, Berlin, 2002 and
2003.
(7) Literaturkritik.de, n° 3, March 2002
(8) Berliner Zeitung, Berlin, 11 March 2004.
(9) The Berlin wall fell in November 1989. In the elections in March
1990 the eastern branch of Kohl’s Christian Democrat party, in favour
of reunification, won an easy majority, defeating the civil rights
activists who advocated a separate, but democratic state. The first
pan-German elections were held in December.
(10) In the East the most highly rated values are order, security,
justice, freedom, solidarity and equality. See Wolfgang Engler, Die
Ostdeutschen als Avantgarde, Aufbau-Verlag, Berlin, 2002.

Translated by Harry Forster

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