Informazione

Desaparecidos & terrorismo di Stato

NOI ACCUSIAMO


Il sequestro dei volontari del “Ponte per” aggiunge un ulteriore
drammatico tassello all’escalation della sporca guerra in Iraq. Il
Ponte è una delle organizzazioni non governative presenti in Iraq da
più tempo. Si sempre adoperata contro l’embargo che ha decimato per più
di un decennio la popolazione irachena, ha in campo da anni progetti di
solidarietà, si è sempre schierata apertamente contro la guerra ed è
stata il motore di numerosi convogli di aiuti umanitari diretti alle
città irachene bombardate e assediate dalle truppe statunitensi e del
governo fantoccio iracheno. Quest’ultimo ruolo sembra essere quello che
ha portato prima il giornalista italiano Baldoni e poi le due Simone e
i cooperanti iracheni del “Ponte per” nel mirino degli squadroni della
morte.

 
Chi ha voluto colpire i testimoni scomodi dell’occupazione in Iraq?

Chi, dunque, ha guidato ed organizzato il commando che è penetrato
direttamente e non casualmente nella sede del Ponte a Bagdad e ne ha
sequestrato gli attivisti? Questo sequestro, come quelli appena
precedenti del giornalista pacifista Baldoni – barbaramente ucciso
insieme al suo interprete palestinese ma di cui ancora non è stato
trovato né si sta cercando il cadavere – insieme a quello di due
giornalisti francesi - cioè di un paese apertamente non belligerante in
Iraq -sono sequestri diversi da quelli precedenti. Lo sono negli
obiettivi e nella pratica.

Il modello operativo dei sequestri appare infatti più simile al modello
degli squadroni della morte latinoamericani che conducono la guerra
sporca al fianco di quella convenzionale condotta dagli eserciti. Il
loro obiettivo è di fare la terra bruciata intorno alle ragioni della
resistenza colpendo giornalisti, attivisti umanitari, schierati contro
la guerra e testimoni scomodi. Queste cose non le insegnano nelle
moschee ma nelle scuole antiguerriglia negli Stati Uniti.
L’ambasciatore statunitense in Iraq, John Negroponte, è un’esperto
della materia essendo stato il plenipotenziario statunitense in
Centro-America negli anni ottanta, quelli dei desaparecidos, degli
squadroni della morte, del genocidio in Guatemala, della repressione
più feroce in Salvador e Honduras e del terrorismo di stato americano
in Nicaragua. Lo stesso “premier” iracheno Allawi, è uno del mestiere
essendo stato addestrato dalla CIA. In una intervista a Le Monde e al
TG3, il capo degli ulema, Al Kubaysi, ha parlato esplicitamente di
servizi segreti di un paese straniero come responsabili del sequestro
dei volontari del “Ponte per”.

 
Perché hanno colpito i testimoni e i volontari italiani?

Una ricostruzione attenta del sequestro e della “morte” del giornalista
Enzo Baldoni aiuta meglio a comprendere il perché siano stati colpiti i
volontari del “Ponte per”. Baldoni e il suo collaboratore, il
palestinese Ghareeb, erano stati tra gli organizzatori di quei convogli
umanitari che in questi mesi hanno forzato gli assedi di Falluja e
Najaf, portando acqua, viveri, medicine alle popolazioni assediate.
Questi convogli sono nati spessi nella sede del “Ponte per” a Bagdad,
diventata un punto di riferimento per tanti giornalisti, volontari,
attivisti che cercano di documentare la vita quotidiana nell’Iraq
occupato militarmente ma non certo normalizzato. Spesso devono forzare
l’inattività della Croce Rossa Italiana che il commissario governativo
Scelli sta privando della sua neutralità e credibilità facendone uno
strumento collaterale e non indipendente delle forze militari di
occupazione. Ma questi convogli umanitari alle città assediate non sono
più tollerati dai comandi militari statunitensi. Il settimanale
“Diario” del 9 settembre, basandosi sulle corrispondenze di
Baldoni, riferisce la frase di un ufficiale americano “Noi vogliamo
prenderli per fame e voi andate a portargli i viveri?”. Il
collaboratore di Baldoni, il palestinese Ghareeb, era un organizzatore
infaticabile di questi convogli e conosceva e collaborava con i
volontari del “Ponte per” a Bagdad.

Dunque non era più tollerabile che giornalisti e attivisti italiani, il
cui governo sostiene la guerra ed ha inviato migliaia di soldati ad
occupare il sud dell’Iraq, potessero continuare a mettersi in mezzo con
iniziative umanitarie che ridicolizzavano anche la Croce Rossa Italiana
del commissario Scelli resa ormai collaterale alla politica del governo
Berlusconi. Costoro avevano bisogno di una lezione, così come gli
attivisti umanitari, i giornalisti ficcanaso o i religiosi troppo
impegnati in Salvador, Guatemala, Nicaragua, Honduras. In realtà gli
Stati Uniti stanno perdendo la loro guerra in Iraq e sono consapevoli
che dovranno farne un vero e proprio mattatoio, per questo non vogliono
testimoni.

 
Un sequestro anomalo e l’ombra del terrorismo di Stato

“Se volessero colpire noi, verrebbero a prenderci direttamente, tutti
sanno che siamo qui”. Queste sono le parole, amaramente profetiche, che
Simona Torretta aveva riferito ad un noto fotoreporter pochi giorni
prima del sequestro e dopo che una bomba di mortaio aveva danneggiato
la sede del “Ponte per” a Bagdad il due settembre scorso (riportato ne
“Il Manifesto”, 8 settembre). Lo stesso fotoreporter riferisce di gente
strana, occidentali, nepalesi, iracheni che si precipitano sul posto
dopo l’esplosione. Il capo del consiglio degli Ulema, Al Kubaysi
testimonia che Simona e Simona il giorno prima del sequestro erano
andate da lui in cerca di protezione perché si sentivano minacciate. Da
chi? Cinque giorni dopo, il 7 settembre, Simona Pari, Simona Torretta e
due cooperanti iracheni Ra’ad Alì Abdul Aziz e Manhaz Bassam, venivano
sequestrati e sparivano nell’inferno iracheno.

Il commando che attua il sequestro è diverso da tutti gli altri che
hanno operato gli altri sequestri in mesi. Il sequestro è mirato. Hanno
i nomi di chi devono portare via. Hanno divise ed armi in dotazione ai
“contractors” (vedi la corrispondenza dell’inviato de“Il Messaggero”
del 12 settembre), hanno grandi fuoristrada e colpiscono in una zona
“protetta” dai militari americani a Bagdad dove hanno sede due
ministeri, l’OMS e diverse organizzazioni umanitarie. Non si tratta
dunque di un gruppo “islamico” di sequestratori arrangiato o
improvvisato che ferma le macchine lungo le strade dell’Iraq e ne
rapisce i passeggeri sperando di ottenere un riscatto. Si tratta invece
di professionisti dell’antiguerriglia che hanno agito con sicurezza
ostentata per terrorizzare giornalisti e volontari e mandare via tutti
i testimoni scomodi. L’esodo delle ONG dall’Iraq, ne è la conferma.

Nessuna delle rivendicazioni arrivate è stata ritenuta credibile. In
altri casi, vedi quello del giornalista statunitense Micah Garen, il
sequestro era stato rivendicato e gestito pubblicamente dal movimento
di Al Sadr (vedi “La Repubblica” del 23 agosto)

E’ un altro stile, un altro modello operativo ed ha un altro obiettivo:
fare terra bruciata degli attivisti e dei testimoni scomodi sulla
barbarie dell’occupazione militare statunitense, inglese e italiana
dell’Iraq. Prende corpo un’altra ipotesi, prima sussurrata o denunciata
da pochi ma che oggi sta venendo fuori con drammatica limpidezza anche
nelle parole di Noam Chomski: il terrorismo di Stato. Saremmo dunque in
presenza di quel modello di squadroni della morte già utilizzato il
Centro-America e di cui l’ambasciatore USA a Bagdad, John Negroponte è
un esperto.

E’ un po’ come fu la strage di Piazza Fontana in Italia: la versione di
comodo (il terrorismo islamico) che perde pezzi mentre prende corpo la
pista più credibile (il terrorismo di Stato da parte dei governi
occupanti in Iraq e del governo fantoccio iracheno).

 
Il governo Berlusconi deve essere inchiodato alle sue responsabilità

Il governo Berlusconi porta già il fardello orribile di aver trascinato
l’Italia nella guerra in Iraq. Lo ha fatto schierandosi prima con
l’ingiustificata aggressione anglo-statunitense e poi inviando tremila
soldati a partecipare all’occupazione militare del paese. Le denunce
che continuano ad arrivare sulle malefatte del contingente militare
italiano a Nassyria (le uccisioni di decine di civili nella battaglia
dei ponti, le rivelazioni dei bersaglieri pubblicate da “Il Manifesto”,
le ambulanze colpite come documentato dal giornalista americano Micah
Garen) stanno togliendo qualsiasi alone di “missione di pace” a quella
che è chiaramente una operazione di guerra. Questa condizione
dell’Italia come “Stato belligerante ed occupante” in Iraq, espone il
paese ai contraccolpi e alle conseguenze della guerra. Lo espone in
Iraq dove ci sono i soldati (già ne sono morti più di venti e decine
sono rimasti feriti) ma anche volontari o giornalisti italiani e lo
espone qui in Italia alle ritorsioni che potrebbero assumere il
carattere di attentati terroristici come avvenuto in Spagna.

Il governo Berlusconi si è già reso responsabile di una sospetta
latitanza nel sequestro del giornalista Enzo Baldoni (per il quale poco
o nulla sta facendo per recuperarne il cadavere, come denunciato
dall’inviato del Corriere della Sera) ed ora lo è ancora di più per il
sequestro di Simona Torretta e Simona Pari.

Il tentativo del governo Berlusconi di nascondersi dietro l’unità
nazionale in nome alla lotta contro il terrorismo, è un orribile
inganno che deve essere sventato, smantellato e rovesciato.

E’ decisamente ridicolo richiamarsi al “modello francese”, in cui tutto
il paese si è stretto e mobilitato per chiedere il rilascio dei due
giornalisti sequestrati. Lo è per due semplici motivi:

1)     Il governo francese si è schierato contro la guerra e non ha
inviato militari ad occupare l’Iraq, ha avviato colloqui con tutto il
mondo arabo e non ha esitato a far sentire la sua voce critica anche
verso gli Stati Uniti che hanno incentivato i bombardamenti a tappeto
sulle città irachene;

2)     Il governo francese, si è rifiutato di incontrare il
“presidente” iracheno Gazi Al Jawar perché le ritiene responsabile
dell’incolumità dei due giornalisti sequestrati. Al contrario
Berlusconi e Ciampi hanno confermato la visita in Italia, hanno stretto
la mano al presidente iracheno, hanno ribadito che non intendono
ritirare le truppe dall’Iraq e continuano ad essere subalterni e
omertosi verso gli Stati Uniti.

 
La sera stessa del sequestro dei volontari del “Ponte per”, il governo
emanava un comunicato in cui forniva la versione di comodo: gli autori
erano un imprecisato “gruppo islamico”. Eppure non c’era stata alcuna
rivendicazione e le uniche indiscrezioni dicevano che il commando di
sequestratori affermava di essere agli ordini del governo iracheno.

I partiti dell’opposizione (Centro-sinistra e PRC) hanno commesso
scientemente un gravissimo errore accettando il tavolo dell’unità
nazionale contro il terrorismo con il governo e abbassando il tiro
sulla richiesta del ritiro immediato delle truppe dall’Iraq, cosa che
invece non hanno fatto Verdi e PdCI pur presenti all'incontro con il
governo. La copertura della lotta al terrorismo è anch’essa un orribile
inganno che porta fuori strada le iniziative da prendere per ottenere
la liberazione degli ostaggi e la fine della complicità dell’Italia con
la guerra in Iraq. Se le dichiarazioni di Bertinotti sulle priorità
dell’oggi hanno provocato discussione, polemiche e prese di distanza
sacrosante nella sinistra e nel movimento contro la guerra, ben più
gravi sono state le dichiarazioni di Violante al Corriere della Sera
secondo cui “chiedere oggi il ritiro delle truppe sarebbe affiancare i
terroristi”. La trappola c’è ed è ben evidente e ci porta direttamente
ad arruolarci dentro la logica della guerra di civiltà. Non siamo
affatto sicuri che i sostenitori di questa posizione avventurista non
ne siano pienamente consapevoli, al contrario ci pare che si prestino
ad un gioco ambiguo che attiene alle garanzie della governabilità di un
prossimo governo di centro-sinistra. Le forze dell’opposizione, al
contrario, potrebbero e dovrebbero incalzare il governo, inchiodarlo
alle sue responsabilità ma non affidargli deleghe in bianco sulle
trattative, chiedergli conto dei suoi alleati (e padroni) nella guerra
in Iraq, avrebbero potuto chiedere l’annullamento della visita del
presidente iracheno Al Jawar in Italia come ha fatto il governo
francese o insistere sul ritiro delle truppe come ha fatto il governo
spagnolo….ma non lo hanno fatto. Se la vicenda dei desaparecidos
italiani in Iraq si concluderà felicemente come auspichiamo tutti…il
merito sarà del governo che ha “coniugato la fermezza con l’unità
nazionale”. Se si concluderà drammaticamente le responsabilità saranno
tutte del “terrorismo islamico e dei movimenti pacifisti”. Se non è una
trappola questa, che cosa lo è?

 
Guerra, terrorismo, resistenza: non facciamo confusione

Respingendo subito al mittente le improprie dichiarazioni di Casini
(“Non voglio più sentir parlare di resistenza in Iraq”), è anche vero
che nel movimento contro la guerra, si è affacciato in questi mesi un
dibattito non concluso né arrivato a sintesi sulla resistenza. A
renderlo pertinente ci hanno pensato proprio gli iracheni, prima ancora
erano stati i palestinesi, ma il discorso si potrebbe e si dovrebbe
allargare all’America Latina o all’Asia. La resistenza degli iracheni
all’occupazione anglo-americana-italiana, è arrivata inaspettatamente,
quando in molti avevano già arrotolato le bandiere ritenendo che la
presa di Bagdad e la demolizione delle statue di Saddam Hussein
avessero posto fine alla guerra. Questa svista è stata resa possibile
anche dalla cancellazione della lotta di liberazione in Palestina
dall’agenda politica di buona parte della sinistra italiana. Non è
casuale il nesso tra il congelamento dell’iniziativa in solidarietà con
la Palestina e la riflessione sulla “spirale guerra-terrorismo” e sulla
nonviolenza avviata nel PRC ma anche nei movimenti.

Quella riflessione infatti non è partita tanto dal dibattito e dalle
lacerazioni sulle Foibe ma dalla “Battaglia d’Algeri”, il noto e
splendido film di Gillo Pontecorvo sulla lotta di liberazione in
Algeria. L’attuale fase della resistenza palestinese infatti somiglia
sempre più alla Battaglia d’Algeri e sempre meno alla prima Intifada
(l’Intifada delle pietre). La stessa situazione in Israele si va
configurando come possibile conflitto tra i coloni (i pied noirs
francesi in Algeria) insieme ai partiti oltranzisti contro un governo
che vorrebbe in qualche modo sganciarsi dalla costosa gestione del
sistema coloniale (come fece De Grulle).

L’escalation della violenza in Palestina, soprattutto attraverso gli
shaid (i “martiri” che da noi vengono definiti impropriamente
kamikaze), ha polarizzato le posizioni anche dentro la sinistra e i
movimenti in Europa. Da un lato si è collocato chi appiattisce questi
attentati suicidi nella categoria del terrorismo, ponendoli sullo
stesso piano degli attentati di Al Quaeda ed assumendo obiettivamente i
criteri della propaganda israeliana; dall’altro chi ha continuato a
rivendicare il diritto alla resistenza armata dei palestinesi contro
l’occupazione coloniale e militare israeliana anche prendendo le
distanze da alcuni attentati suicidi (quelli contro i civili in
Israele). Questa seconda posizione, tra l’altro, è quella sostenuta
dalle principali organizzazioni della sinistra palestinese (FPLP, FDLP).

L’irruzione in campo della resistenza irachena ha però reso gracile e
fuori tempo la prima riflessione. La semplificazione ad una spirale tra
guerra e terrorismo dello scontro tra democrazia e imperialismo, tra
autodeterminazione e colonialismo e finanche agli effetti della
rinnovata competizione intercapitalista, non ha tenuto conto dei
numerosi fattori che sono entrati in scena.

Il carattere di massa della resistenza all’occupazione dell’Iraq è del
tutto conforme a quella dei palestinesi o di altre situazioni analoghe
in Asia o America Latina.

Anche in Iraq si sono susseguiti omicidi orribili, attentati suicidi o
autobomba che in alcuni casi si attagliano alla categoria del
terrorismo, ma in larghissima parte ci sono state e continuano ad
esserci iniziative armate o di massa (vedi i movimenti dei disoccupati
o delle donne) dirette contro le forze militari occupanti che rientrano
nella categoria della resistenza. Confondere soggetti e progetti
diversi in una unica categoria (il terrorismo islamico) è ingiusto e
fuorviante.

Quindi è proprio la resistenza, soprattutto lì dove operano forze
progressiste e non confessionali, il fattore capace di spezzare la
spirale guerra-terrorismo su cui ci vorrebbe appiattire la logica dello
scontro di civiltà ormai fatta propria dal governo Berlusconi e
dall’Ulivo (che sta producendo un’ondata islamofobica assai pericolosa)
ma anche la semplificazione diseducativa della spirale
guerra-terrorismo con cui vengono impostati l’analisi e il dibattito
dentro al movimento per la pace e nella sinistra antagonista.

La conferma che questa semplificazione sia decisamente fuori tempo,
fuori luogo e sostanzialmente eurocentrista è venuta dal Forum Sociale
Mondiale di Mumbay (che continua ad essere per questo rimosso dal
dibattito).

 In quel Forum è emerso nettamente come questa impostazione, vista dal
Sud del mondo (da coloro che “ogni mattina si alzano dal lato sbagliato
del capitalismo” come recitava uno striscione a Mumbay), sia ampiamente
minoritaria e ininfluente, sia cioè una digressione totalmente
eurocentrica del tutto inadeguata per offrire chiavi di lettura ed
indicazioni utili ad un movimento globale che si sta ponendo
concretamente il problema di cambiare i rapporti di proprietà a livello
internazionale. Se per porre fine a questa divergenza si vuole buttare
a mare la capacità di discernere tra le forze in campo o l’intero
Novecento, si è liberi da farlo ma che ciò produca risultati positivi o
innovativi nelle prospettive dei movimenti o della sinistra in Europa è
già stato smentito dai fatti, ed i fatti, come è noto, hanno la testa
dura.

 
                                     La Rete dei comunisti


Info: cpiano@ tiscali.it; www.contropiano.org; tel.06 4394750

Albania/Grecia

1. Rivendicazioni pan-albanesi contro la Grecia
(ANSA 15/3/2004)
2. Quando il calcio fa geopolitica
(Osservatorio Balcani, settembre 2004)

Vedi anche / SEE ALSO:

Greek minority in Albania: American Hellenic Institute

Statement in Response to the State Department's Publication of False
and Misleading Census Data for the Greek Minority in Albania

http://www.unpo.org/news_detail.php?arg=23&par=1060


=== 1 ===

ALBANIA: PROTESTE PER RESTITUZIONE PROPRIETA' IN GRECIA

(ANSA) - TIRANA, 15 MAR Alcune centinaia di albanesi di originari
della Cameria, territorio nel nord-ovest della Grecia abitato fino
alla seconda guerra mondiale da albanesi, hanno protestato oggi a
Tirana davanti alla sede del parlamento e quella della Commissione
europea per chiedere la restituzione delle loro proprieta'.
La popolazione di Cameria venne cacciata dalle proprie terre e
perseguitata dalle autorita' greche alla fine della seconda guerra
mondiale. Circa 70 villaggi abitati dagli albanesi vennero svuotati,
i beni confiscati e la popolazione espulsa con l'accusa di aver
collaborato con i fascisti e con i tedeschi.
Gli albanesi della Cameria chiedono l'intervento del parlamento
albanese e dell'Unione Europea, di cui la Grecia e' membro, per
riavere le loro proprieta', anche perche' alla fine di quest'anno
dovrebbero scadere gli effetti di una legge del governo di Atene per
il riconoscimento dei patrimoni. Chi non avra' presentato richiesta
entro questo termine, perdera' ogni diritto legale sulla proprieta'.
Il parlamento greco non ha ancora ratificato l'abolizione dello
stato di guerra fra Albania e Grecia, formalmente ancora in vigore
dal 1944. Gli albanesi accusano Atene di ritardare questa ratifica
proprio per non procedere alla restituzione dei beni ancora trattati
al pari di bottino di guerra. (ANSA) BLL-COR 15/03/2004
18:24

http://www.ansa.it/balcani/fattidelgiorno/200403151824141903/
200403151824141903.html


=== 2 ===

http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=3359

Albania-Grecia: quando il calcio fa geopolitica

Il 4 settembre l’Albania batte la Grecia 2 a 1, partita valevole per la
qualificazione ai mondiali del 2006. Gli Albanesi di tutto il mondo
festeggiano la vittoria, ma in Grecia le cose finiscono male e si
riaccendono tensioni latenti tra i due paesi

(09/09/2004)

Di Indrit Maraku

Era dalla guerra in Kosovo che l’orgoglio albanese sembrava sfumare
sempre di più, ma è bastata una partita di calcio per farlo sfociare
ovunque nel mondo. Il 4 settembre l’Albania ha battuto a Tirana 2-1 la
Grecia campione d’Europa, ed ovunque è esplosa la festa. Le bandiere
rosse con l’aquila nera hanno acceso le strade di Tirana, Pristina,
Skopje, Londra, New York, ecc. Ma ad Atene agli emigranti albanesi non
è stato permesso di festeggiare. Scontri tra la tifoseria albanese e
quella greca si sono registrati in tutte le maggiori città elleniche,
mentre un giovane albanese è stato accoltellato a morte da un suo
coetaneo greco nell’isola di Zakinthos.

Una storica sfida

L’attesa era grande e già un una settimana prima Tirana aveva
cominciata ad arrossirsi dalle bandiere che spuntavano in ogni angolo.
Il giorno prima della partita – valida per la qualificazione al
campionato del mondo del 2006 - la tifoseria, gran parte della quale
proveniente dal Kosovo e dalla Macedonia, aveva iniziato i
festeggiamenti per le strade della capitale. I greci speravano di
sfatare una tradizione che non li ha mai visti vincere a Tirana, mentre
la nazionale albanese puntava a mantenere il primato dell’imbattibilità
a casa sua che dura ormai da due anni.

Oltre alle due squadre, in competizione erano anche i due tecnici,
entrambi tedeschi: Hans Peter Brigel per l’Albania e Otto Rehhagel per
la Grecia, acerrimi nemici dai tempi in cui allenavano insieme il
Kaiserslautern in Germania. Ma la vera rivalità era geo-politica:
nonostante gli ottimi rapporti politici tra i due Stati, il
tradizionale antagonismo dei due popoli non è mai svanito. Come se non
bastasse, uno stimolo in più è arrivato anche dal Governo albanese. Il
Premier Fatos Nano aveva promesso un premio di 500 mila dollari in caso
di vittoria. Vista la singolare delicatezza dell’incontro, la polizia
sin dall’inizio ha predisposto eccezionali misure di sicurezza per
proteggere gli oltre 3000 tifosi greci.

I festeggiamenti

L’arbitro spagnolo Gonzales fischia: 2-1, l’Albania batte per
l’ennesima volta la Grecia, togliendo la corona ai campioni d’Europa.
Un fiume di 300 mila persone scende in piazza a festeggiare, bloccando
ovunque le strade della capitale albanese. Con la bandiera nazionale in
mano, la festa si propaga in tutte le altre città del Paese, mentre
arrivano le prime notizie di festeggiamenti da Pristina e da altre
città del Kosovo. Anche a Skopje e a Tetovo colonne di automezzi con la
bandiera rosso-nera hanno circolato per le vie delle due città. Per
festeggiare la vittoria con la Grecia sono scesi per strada pure gli
emigranti albanesi a Londra e a New York. In quest’ultima, circa 400
albanesi hanno addirittura bloccato per un po’ di tempo la
metropolitana della città, ma le autorità americane pare abbiano capito
la loro gioia e non hanno intrapreso nessun azione nei loro confronti.

…ma in Grecia non è permesso!

Pensando di vivere in un Paese membro dell’Ue e della Nato, dove
festeggiare sarebbe dovuto essere più che legittimo, anche gli oltre
500 mila emigranti albanesi che da anni lavorano in Grecia hanno
pensato di uscire per le strade delle città nelle quali vivono,
unendosi così al coro di “Vittoria!” dei loro compaesani in tutto il
mondo. Ma per le autorità elleniche garantire questo diritto pare
essere troppo difficile! Centinaia di cittadini albanesi si sono
radunati ad Atene in piazza “Omonia”, un luogo in cui quotidianamente
vanno a cercare lavoro, ma sono stati attaccati da alcuni tifosi greci,
in furia per la perdita della loro squadra. La polizia greca ha tentato
di disperdere la folla, usando i manganelli ed il gas lacrimogeno,
anche nei confronti di chi quella notte voleva soltanto festeggiare.
Inutile, poiché gli scontri tra le due tifoserie si sono spostati per
le vie della capitale greca. A decine anche le macchine con targhe
albanesi andate a fuoco. Lo stesso scenario si è ripetuto anche a
Salonicco e in tutte le maggiori città dello Stato balcanico. Il
risultato è di 300 albanesi finiti in ospedale, dei quali 10 in coma.

Ma la festa è stata fatale per un giovane albanese di 20 anni che
viveva nell’isola di Zakinthos. Gramoz Palushi è stato accoltellato a
morte da un suo coetaneo greco perché aveva osato tenere pubblicamente
in mano la bandiera albanese, mentre esultava insieme ai suoi amici.
Gli stessi che hanno raccontato ai giornalisti che il primo aiuto
medico per il giovane emigrato è arrivato con mezz’ora di ritardo.

Le reazioni

Sensibilissimi verso l’ondata di violenza in Grecia i media albanesi, i
primi ad informare e protestare di quello che accadeva. Poi è toccato
alle autorità di Tirana. Il Parlamento albanese ha tenuto un minuto di
silenzio in onore delle vittime, protestando, in una dichiarazione
approvata all’unanimità, verso le autorità elleniche. Il Ministro
dell’Interno, Igli Toska, si messo subito in contatto col suo omologo
greco chiedendoli di far cessare la violenza nei confronti degli
albanesi, mentre l’ambasciatore greco a Tirana è stato chiamato al
Ministero degli esteri per dare spiegazioni.

Anche il Governo greco, tramite il suo portavoce, ha condannato la
violenza anti-albanese. Un consigliere del Premier Karamanlis ha
dichiarato che responsabile dell’accaduto era il Governo di Tirana che
aveva promesso alla squadra un premio di 500 mila dollari, facendola
diventare “una questione d’onore”!

Duri anche la maggior parte dei media greci, parte dei quali sotto
inchiesta per incitamento all’odio. “Eleftherotipia”, uno dei maggiori
quotidiani del Paese, definisce la violenza post-partita come “la
seconda sconfitta entro la stessa notte”. Mentre gli opinionisti greci
esprimono la loro preoccupazione per l’immagine “ormai rovinata” della
Grecia creatasi durante l’Olimpiade.

Le autorità elleniche non hanno iniziato nessun indagine “perché
mancano le deposizioni”, ha fatto sapere Theodhori Rusopulos, portavoce
del Premier greco. E come è successo ogni qual volta che negli ultimi
15 anni ci sono stati dei problemi tra i due Stati, è scattato il
famigerato ricatto denominato “Fshesa” (La scopa). Un’operazione della
polizia greca che rimpatria violentemente gli emigranti albanesi: circa
300 quelli cacciati tra martedì e mercoledì.

» Fonte: © Osservatorio sui Balcani

UN PICCOLO PASSO PER DASSAULT, UN GRANDE PASSO PER L'Humanité


La rituale festa del giornale del Partito Comunista Francese,
L'Humanité, si è svolta lo scorso fine settimana a Parigi. Quest'anno
l'occasione era particolarmente importante, trattandosi del centenario
dalla fondazione: e si è vista in effetti una mastodontica kermesse,
con aspetti fieristici, da supermercato del divertimento e da luna
park, che peraltro stridevano parecchio con la gravità del momento che
si sta vivendo a livello internazionale. Ma la nota forse più surreale
è stata la sponsorizzazione di una grande fabbrica di armi, che detiene
una percentuale di proprietà del quotidiano e la cui pubblicità
campeggiava sfacciatamente sul programma ufficiale della festa, come ci
spiega Michel Collon...


Un petit pas pour Dassault,
un grand pas pour L'Humanité

MICHEL COLLON

Surréaliste, la fête du journal communiste L'Humanité, où je me
trouvais ce week-end à Paris. Quand vous aviez, de stand en stand, fait
le plein de tracts appelant à la lutte ouvrière pour le progrès social,
la justice et la paix, vous aviez la possibilité de rassembler ce lourd
paquet dans un sac plastique. Généreusement offert par... la société
française d'armement Dassault, sponsor officiel de la Fête ! Oui, un
des hommes les plus riches de France. Qui pour mieux vendre ses canons,
fait main basse sur tous les éditeurs et tous les médias français qu'il
peut. Avec censure à la clé. Un petit pas publicitaire pour Dassault,
un grand pas vers la chute finale pour L'Humanité.
Malencontreuse coïncidence ? Non, quand vous ouvrez le programme
officiel de la fête, la première page qui se présente à vos yeux, c'est
une pub pleine page pour une autre multinationale de l'armement : EADS.
Avec les symboles de toutes ses armes qui ont déjà assassiné aux quatre
coins de la planète : l'hélico de combat Eurocopter, l'avion de combat
Eurofighter, le système d'espionnage Gladio, le missile Meteor. Sans
oublier l'Airbus A400M, qui peut transporter des centaines de soldats
français au coeur de l'Afrique afin que les multinationales y gardent
leur pouvoir de piller ses richesses...
Bref, on se serait cru à un vulgaire Salon de l'armement, et on doute
que les membres de base aient été consultés sur cette orientation.
Triste pour un journal dont le fondateur Jean Jaurès disait à l'époque
« Le capitalisme porte en lui la guerre, comme la nuée porte l'orage » !

(14/9/04) Bientôt les images de ceci sur : www.michelcollon.info

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ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci  27
00043 Ciampino (Roma)
tel/fax +39-06-4828957
email: icdsm-italia @ libero.it

Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC

sito internet:
http://www.pasti.org/linkmilo.htm
==========================


Source:  alerte-otan  @yahoogroups.com

    Date : Wed, 15 Sep 2004 18:51:29 +0200
      De : "Roland Marounek"
   Objet : Stephen Gowans sur le procès Milosevic

15 septembre 2004

Le procès Milosevic

Contre ces lois, la législation internationale (et Milosevic) n'ont pas
l'ombre d'une chance

par Stephen Gowans

http://www3.sympatico.ca/sr.gowans/trial.html

Traduction de J-M Flémal


Il serait naïf de s'attendre à autre chose, là-bas, qu'à un verdict de
culpabilité, dans l'affaire Milosevic, ne serait-ce que parce que le
procès - organisé par les mêmes parties dont l'intérêt dans le
démembrement de la Yougoslavie a finalement amené un président
démocrate à lui faire la guerre au printemps 1999 - a servi un but
clairement politique dès son commencement.

Tout ce qui concerne le tribunal, depuis sa genèse jusqu'à son statut
légal et jusqu'à l'échec de l'accusation à citer des preuves ou des
témoignages établissant que Milosevic a ordonné des crimes de guerre,
voire un génocide - pue.

Mais, dans ce cas, à quoi vous attendez-vous ?

Le tribunal apparaît comme étant une sorte de courtoisie ficelée dans
un emballage cadeau de la part des mêmes affabulateurs qui ont surpassé
Bush dans le mensonge en prétendant que des centaines de milliers de
Kosovars d'ethnie albanaise avaient été exterminés par les équivalents
démoniaques des nazis - les Serbes, prétendument assoiffés de sang et
partisans des épurations ethniques.

Cette prétention relevait uniquement du cinéma politique, un fait
attesté par la réalité : jamais la moindre preuve d'un génocide, à
l'instar des armes de destruction massive en Irak, n'a été découverte.

Cela fait aujourd'hui des années que les journaux traditionnels nous
abreuvent régulièrement de comptes rendus d'officiers de police, de
journalistes et de médecins légistes qui se sont rendus au Kosovo pour
collecter des preuves de génocide et qui sont en revenus pleins
d'amertume parce qu'on s'était moqué d'eux et à cause également de la
mauvaise volonté de l'Otan et des fonctionnaire du tribunal à entendre
parler de la moindre chose qui allait à l'encontre de ces mensonges
soigneusement manigancés.

Qui plus est, bien qu'il ait disposé d'une année entière pour préparer
son procès contre Milosevic et deux ans pour citer des centaines de
témoins, le tribunal n'est pas parvenu à exhiber un canon fumant -
quelque preuve ou témoignage que l'ancien président yougoslave ait
ordonné le moindre crime de guerre ou crime contre l'humanité.

En outre, cela n'a même pas pénétré les crânes de la gauche politique,
qui continue à croire que se moquer de Milosevic revient à monter sur
ses grands chevaux plutôt qu'au mieux, faire preuve d'ignorance
grossière ou, pire, à commettre un acte de pusillanimité politique.

Mais alors, si l'on s'attend à beaucoup de choses de la part de la
section américaine de la gauche - actuellement  préoccupée à faire
pencher les élections en faveur d'un démocrate promettant de rattraper
l'échec de Bush à s'occuper militairement des deux membres restants de
l'Axe du Mal -, cela revient à s'attendre à un verdict de
non-culpabilité dans le procès Milosevic : c'est la voie la plus sûre
vers la désillusion.

La dernière insulte à la justice faite à La Haye n'est autre que la
décision du juge président, Patrick Robinson, d'imposer un conseiller à
Milosevic. Robinson s'est empressé de montrer que lui aussi avait tiré
ses leçons de l'affaire Milosevic.

Je dis « lui aussi » parce que le premier à prétendre avoir tiré une
leçon importante était Salem Chalabi, neveu d'Ahmad Chalabi. Ce
dernier,  qui, naguère, avait la côte et, aujourd'hui, est tombé en
disgrâce et tente de s'insinuer à nouveau dans les bonnes grâces, était
le dirigeant du Congrès national irakien et le descendant d'une famille
qui, dans le temps, fut l'une des plus riches de l'Irak. Salem, le
neveu, a été chargé de monter un tribunal pour crimes de guerre en vue
de juger Saddam Hussein, tribunal qui, selon ses dires, serait conçu de
façon à « montrer que nous avons tiré les leçons du procès de Milosevic
», à savoir, ne pas laisser l'accusé prendre la parole, en raison des
révélations trop embarrassantes qui pourraient s'échapper de sa bouche
et mettre à mal tout ce qui, dans la cause soigneusement élaborée de la
guerre, peut servir de prétexte du jour.

Ce problème - soulevé, dans l'affaire Milosevic, par les plaintes
prétendant que l'accusé passait son temps à faire des discours
politiques - a été soigneusement traité par le juge Robinson, qui n'est
pas tant un juge, mais surtout un agent politique affublé d'un rôle
prépondérant au sein d'une troupe spécialisée dans le théâtre politique.

Imposer un conseiller à un accusé constitue une violation des lois
internationales d'usage et une violation, en effet, des statuts mêmes
du tribunal (voir "International Tribunal or Star Chamber? The ICTY's
decision to impose counsel on Slobodan Milosevic" - « Tribunal
international ou Chambre étoilée ? La décision de l'ICTY d'imposer un
conseiller à S.M. »). Lui-même, Robinson a déjà pris des mesures, par
le passé, contre une motion de poursuite visant à imposer un conseiller
à un accusé, et il avait cité à ce propos la législation internationale
et les règles mêmes du tribunal !

Que Robinson ait retourné sa veste et engagé le tribunal dans une
position légalement intenable, est à peine surprenant. Le tribunal est
soutenu par l'Otan, qui a violé la législation internationale et sa
propre charte en vue d'attaquer la Yougoslavie, et le tribunal -
pourquoi n'y a-t-il pas de tribunaux pour crimes de guerre en ce qui
concerne les guerres américaines contre le Vietnam, l'Afghanistan et
l'Irak ? - est lui-même illégal. La loi n'a déjà pas été un élément de
dissuasion auparavant, pourquoi le deviendrait-elle maintenant ?

Les seules lois qui comptent ici- et je le dis sans vouloir trop
ressembler à l'un de ces démagogues bavards et gesticulants dégoisant
son socialisme au coin d'une rue fort animée - sont celles qui poussent
les nations capitalistes développées à étendre leur domination
économique aussi loin qu'elles le peuvent, sans le moindre égard pour
les barrières de la souveraineté nationale ou pour les lois
internationales qui pourraient se trouver dans leur chemin.

« Nous agirons multilatéralement là où nous le pourrons, et
unilatéralement là où nous le devrons », avait fait remarquer un jour
la secrétaire d'Etat de Clinton, Madeleine Albright, proposant ainsi
une bonne description de la façon habituelle d'agir de l'administration
Bush - et de toute autre administration américaine.

Pour être plus complète, elle aurait pu ajouter :

« Nous agirons également dans la légalité là où nous le pourrons, et
dans l'illégalité là où nous le devrons, mais nous agirons chaque fois,
légalement ou illégalement, dans les intérêts de l'ouverture des
marchés, de la garantie des occasions d'investissement et de la
possibilité d'accès aux matières premières, y compris le pétrole, parce
que nous sommes obligés d'agir de la sorte.

Ceci ne figure pas dans les lois américaines, mais c'est une loi quand
même, une loi à laquelle tous les pays capitalistes, y compris les
Etats-Unis, doivent obéir, qu'ils soient dirigés par des conservateurs,
des libéraux ou des social-démocrates.

Ne pas le faire signifierait que nous serions écrasés et dépassés par
nos rivaux, qui agissent également en vue d'ouvrir les mêmes marchés,
de s'assurer les mêmes possibilités d'investissement, de s'assurer
l'accès aux mêmes matières premières, y compris les mêmes sources de
pétrole.

Nous ne serons ni écrasés ni dépassés. Par conséquent, là où des
économies fermées doivent être ouvertes et annexées, là où des régions
productrices de pétrole, où que ce soit dans le monde, doivent être
dominées, là où des pipelines doivent être protégés et là où il faut
installer des concessions minières, nous agirons en utilisant tous les
moyens à notre disposition. »

Avec la disparition du socialisme en Europe, une Yougoslavie laissée
seule contre une Otan en chasse n'avait pas l'ombre d'une chance.

Milosevic - lui-même, autant dire laissé seul, y compris par ceux qui
s'étaient intéressés de près à Wesley Clark, nominé malheureux en tant
que candidat démocrate à la présidence, et le véritable boucher de
Belgrade - n'a pas eu l'ombre d'une chance. En fait, il n'a aucune
chance.

C'était une reconnaissance implicite de ce qui précède (en même temps
que le fait que ce procès est un simulacre et qu'il fallait faire en
sorte que le procès aille très vite, par conséquent, et qu'on lui
épargne le risque d'être transformé en plate-forme politique au profit
de Milosevic) que d'avoir imposé ce conseiller, qu'on impose le silence
à l'accusé et qu'on sabote sa cause.

[ in italiano / en francais:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3812 ]


http://komunist.free.fr/arhiva/sep2004/collon.html
Arhiva : : Septembar 2004.

Tradicionalna smotra komunističkih partija u Parizu

prevod: Olga Darić

Proslava komunističkog dnevnika "L'Humanité" kojoj sam prisustvovao
prošlog vikenda u Parizu zaista je živi nadrealizam. Obilazeći štandove
i sakupljajući brošure i letke sa borbenim pokličima za socijalni
napredak radničke klase, za mir i pravičnost, pruža vam se prilika da
svu tu hrpu materijala složite u prikladnu najlon kesu koju vam
velikodušno poklanja Daso (Dassault), francuska ratna industrija i
zvanični sponzor proslave. Gospodin Daso je jedan od najvećih bogataša
Francuske. Da, to je onaj koji je bacio laso na gotovo sve medije i
izdavačke kuće u zemlji zarad što boljeg plasmana svojih topovnjača i
zaveo bespoštednu cenzuru. Mala reklama za Dasoa a za "L'Humanité"
krupan korak ka sigurnoj propasti.

Da nije po sredi bahata greska? Ne! Otvorite zvanični program tog
komunističkog lista, pa ćete već na samom početku opet naći preko
čitave stranice reklamu za jednu drugu vojnu multinacionalnu kompaniju:
EADS upriličenu u simbolima oružja koje se već širom sveta pokazalo
kroz svoj krvavi učinak: vojni helikopter Eurokopter, borbeni avion
Eurofajter, raketa Meteor, sistem za špijunažu Gladio, Erbus A400M,
zahvaljujući kojem na stotine francuskih vojnika biva transportovano u
samu unutrašnjost Afrike kako bi multinacionalnim kompanijama bilo
zagarantovano pravo na nesmetanu pljačku prirodnog blaga tog kontinenta.

Čovek bi mogao pomisliti da se obreo na kakvom prozaičnom sajmu ratne
tehnike i teško da je baza po tom pitanju konsultovana. Žalosno za
novinu čiji je osnivač, Žan Žores, u svoje vreme govorio: KAPITALIZAM
NOSI RAT, KAO OBLAK KIŠU.

Michel Collon
www.michelcollon.info

http://komunist.free.fr/arhiva/sep2004/nkpj_letak.html
Arhiva : : Septembar 2004.

Predizborni letak Nove komunističke partije Jugoslavije

Drugarice i drugovi, građani Srbije!

Četiri i po decenije živeli smo u socijalizmu koji je imao stotine mana
i hiljade vrlina. Sada smo ugurani u divlji kapitalizam koji ima
hiljade mana i nijednu vrlinu.

Praksa je nepobitno pokazala da je za običnog čoveka, za ogromnu većinu
stanovništva i najgori socijalizam bolji od najboljeg kapitalizma.

Socijalizam je bio bolji

Socijalizam u našoj zemlji i Evropi bio je mlad društveni sistem. Morao
je da savlađuje teške posledice I i II svetskog rata, mnogobrojne
nasleđene probleme i kapitalističku blokadu. Morao je da izdvaja velika
sredstva za odbranu.

Stoga, prirodno, nije bilo izobilja. Ali je bilo para za sve što je
neophodno svakom pojedincu i društvu. Bilo je para za redovne plate,
penzije, socijalna davanja, za vojsku, besplatno zdravstvo i školstvo,
za komunalije, kulturu, nauku i sport... Zakonom je bilo zagarantovano
pravo na rad i svi su bili zaposleni. Sada, ogromna većina stanovništva
nema posla, nema para i neći ih biti sve dok je na vlasti vazalna
buržoazija, ustoličena NATO bajonetama i dolarima, kojima se kupuju
prodane duše.

Šta su za poslednje 4 godine donele vladavine DOS-a i koalicije DSS,
G-17 i NS?

Prvo, izgubili smo državu. Spregom vazalne vlasti i NATO država
Jugoslavija je prestala da postoji. Sistematski, podmuklo i izdajnički
nastavlja se razdvajanje Srbije i Crne Gore.

Drugo, kao rezultat NATO agresije okupiran je Kosmet iz koga je
proterano stotine hiljada Srba. Upravljači u Južnoj srpskoj pokrajini
postali su albanski teroristi i secesionisti. Na teritoriji Srbije
stvara se druga albanska država na Balkanu. Po instrukcijama Zapada,
novi gospodari naše zemlje ucenili su preostali srpski živalj na
Kosmetu i izbeglice da izađu na montirane izbore i time daju
legitimitet okupaciji.

Treće, izručenjem haškoj inkviziciji rukovodilaca otpora NATO agresiji,
na čelu sa Slobodanom Miloševićem, vazalna vlast faktički je odobrila
agrsiju NATO. Kao završni čin te izdaje, priprema se izručenje Hagu
četvorice generala, koja su neposredno komandovala vojskom i policijom
u vreme suprostavljanja agresiji.

Zakon o saradnji sa Hagom predstavlja ozakonjenu izdaju i jedan je od
najsramnijih dokumenata u našoj istoriji.

Najsiromašniji u Evropi

Četvrto, za nepune četiri godine vladavine DOS-a i tročlane koalicije
/DSS, SPO, NS/ život je izgubio daleko više ljudi nego u svim nesrećama
tokom 45 godina socijalizma.

Peto, pod vlašću vazalne vlade naše zemlja je postala najsiromašnija
država u Evropi. Dug inostranstvu dostigao je blizu 16 milijardi
dolara. Svaka prosečna jugoslovenska porodica (od četiri člana) danas
duguje oko 8,5 hiljada dolara. Uvoz je pokriven sa svega 20 odsto, a
spoljnotrgovinski dficit iznosi preko 6 milijardi dolara. Strani
kapital ne dolazi da donese već da odnese.

Šesto, preko 60 odsto industrijskih kapaciteta ne radi, delimično radi
ili je zatvoreno. Približno 40 hiljada firmi je u stečaju ili pred
stečajem. Sva velika (ili gotovo sva) preduzeća su prodata u bescenje
(uz proviziju za mafiju) stranom kapitalu i novopečenim domaćim
buržujima, a za to vreme nije izgrađen nijedan veći industrijski
objekat. Sve što imamo izgrađeno je u socijalizmu. Mafija je pravila
jedino kioske za šverc.

Ako se uračuna celokupno radno sposobno stanovništvo, broj nezaposlenih
prelazi 2 miliona ljudi. Vlasti Srbije i Crne Gore u nezaposlene
ubrajaju samo one koji se vode na biroima rada. Broj nezaposlenih se
stalno povećava. Prosečna dnevna zarada zaposlenih je znatno manja od 2
dolara, ako se uzme u obzir koliko članova svoje porodice jedan
zaposleni izdržava.

Radnička klasa je obespravljena i pretvorene u najamne radnike stranih
kapitalista i domaće mafije. Uz podršku korumpiranih vođa sindikata
donet je najreakcionarniji u Evropi Zakon o radu.

Sedmo, penzioneri su postali (bar ogromna većina) bespomoćni prosjaci.

Osmo, selo je izloženo strahovitim nametima i pljački i prepušteno samo
sebi.

Deveto, po nalogu zapadnih centara sistematski se smanjuje i slabi naša
vojska. Ko ne hrani svoju vojsku - hraniće tuđu.

Nema "poštene " privatizacije

Deseto, privatizacija državne, društvene i zadružne svojine strani i
novopečeni domaći kapitalisti oteli su našem narodu ono što su krvlju i
znojem decenijama stvarali naši preci, naši očevi i majke i mi sami.

Nema "poštene" privatizacije niti je može biti. Svaka privatizacija je
legalizovana pljačka. Naivno je verovati da je prelazak u privatne
ruke, pogotovu u ruke stranaca, naših preduzeća i prirodnih bogatstava
u interesu običnih građana ili jugoslovenske privrede u celini.

Nameće se pitanje: odakle para novopečenoj finansijskoj mafiji i
oligarhiji da "kupuje" (tačnije otima) čitave fabrike, robne kuće,
banke, rudnike, banje, hotele?... Niko po zakonima ove zemlje nije
mogao na pošten način da zaradi toliko para da bi bio u stanju da
kupuje preduzeća koja često vrede i stotine miliona dolara.

NKPJ nema ništa protiv privatne svojine ukoliko čovek sam ili udružen
sa nekim radi i ne eksploatiše druge. Ali nikada takvim radom on ne
može na pošten način da zaradi toliko da bi kupovao fabrike, banke i
rudnike.

Ne u NATO i EU

Jedanesto, NKPJ je izričito protiv ulaska naše zemlje u NATO i
Partnerstvo za mir. NATO je citadela svetskog terorizma i agresije. On
je organizator, podstrekač i učesnik gotovo svih masovnih krvoprolića,
pritisaka i blokada u kojima je posle II svetskog rata stradalo preko
30 miliona i obogaljeno više od 100 miliona ljudi. NATO - to su potoci
krvi, razaranja i otimačine. NATO je rat. NATO je neprijatelj
Jugoslavije i stoga se tužba naše zemlje protiv njega ne sme povući.

Evropska unija je nova tamnica naroda u kojoj bi mi bili sluge,
konjušari i izmećari. EU je pravljena po kriterijumu i u interesu
krupnog zapadnoevropskog kapitala. Na nedavnim izborima za Parlament EU
glasalo je samo 27% stanovništva. Od toga je 18% bilo protiv EU koja se
čudovišnom propagandom mašinerijom i fabrikama laži nameće narodima
Evrope. NKPJ je kategorički protiv utapanja naše zemlje u EU.

Nema socijalne pravde - bez socijalizma

Političke partije i pojedinci koji obećavaju da bi njihovim izborom
našom otadžbinom potekli med i mleko obmanjuju narod, prodajući im
šarene laže.

Bez rešavanja fundamentalnih političkih, ekonomskih, odbrambenih,
socijalnih i finansijskih problema, bez istinske nezavisnosti, ne može
se uspešno rešiti nijedno važno opštedržavno niti lokalno pitanje u
Beogradu i na celokupnoj teritoriji Srbije. Preblemi privrede ne mogu
se rešavati parcijalno, jer su njeni najvitalniji delovi već u tuđim
rukama. A bez prihoda od industrije i poljoprivrede nema sredstava za
normalno i uspešno funkcionisanje države i lokalne samouprave.

Samo orijentacija na istinski socijalizam može izvući našu zemlju iz
kolapsa u koji ga je uvukla vazalna vlast.

Sadašnja kontrarevolucija je prolazno, retrogradno i sramno poglavlje u
istoriji civilizacije.

Socijalizam je zakonomerna etapa u razvoju ljudskog društva i stoga je
neuništiv. Danas socijalističke zemlje imaju daleko najbrži ekonomski
rast u svetu. A pod zastavom socijalizma i dalje maršira oko 1,5
milijardi ljudi.

Dok god u svetu i kod nas postoje u masovnim razmerama socijalni i
obespravljeni, siti i gladni, siromašni i bogati postojaće i težnja za
socijalnom pravdom. A socijalne pravde nema bez socijalizma. Niti ima
istinskog socijalizma bez komunista.

NKPJ je jedina politička organizacija na prostorima bivše SFRJ koja je
član Svetskog komunističkog pokreta.

Budućnost pripada socijalizmu! Jedino u njemu ogromna većina ljudi može
celovito i istinski da ostvaruje svoje političke, ekonomske, socijalne,
radne, slobodarske i druge interese.

Naša je snaga u svakom našem radnom čoveku i patrioti, a ne u lopovima.

Dvadeset prvi vek biće vek trijumfa socijalizma!

Socijalizam je bio i ostao bolji!

NOVA KOMUNISTIČKA PARTIJA JUGOSLAVIJE
Beograd, Nemanjina 34/III
Tel/faks: O11-2642-985

Sabato 18 settembre mobilitazione in tutta Italia contro la guerra

COMUNICATO STAMPA URGENTE


Il governo Berlusconi va inchiodato apertamente per le sue
responsabilità nella guerra e nelle conseguenze che ne derivano sulla
società, in Italia come in Iraq.E' sempre più drammaticamente chiaro
che la scelta del governo italiano diessere parte belligerante ed
occupante in Iraq sia la causa che sta esponendo il paese ai
contraccolpi di una guerra che continuiamo a definire illegale ed
ingiusta.

Il sequestro delle cooperanti del "Ponte per…" è solo l'ultimo tassello
di un processo avviato con la complicità nella guerra di Bush e l'invio
del contingente militare italiano in Iraq. E' questo il passaggio che
ha messo il paese nella condizione di subire ogni sorta di ricatto,
incluso quello dei mandanti degli squadroni della morte che sono
entrati in azione a Bagdad contro giornalisti, cooperanti e testimoni
"scomodi". Invocare a tale scopo l'unità nazionale contro il terrorismo
o il "modello francese" è un orribile inganno che vorrebbe assolvere il
governo Berlusconi dalle sue responsabilità.

Noi invochiamo invece quellaunità popolare contro la guerra che
continua a rappresentare la maggioranza della societàe che ha detto sin
da subito no alla partecipazione italiana alla guerra, che chiede il
rilascio delle cooperanti italiane ed irachene del "Ponte per…"
sequestrate e il ritiro immediato del contingente militare italiano in
Iraq come atto concreto teso a mettere fine alla complicità e al
coinvolgimento dell'Italia nella guerra.


Su questo torniamo a fare appello alla massima mobilitazione con una
giornata di manifestazioni in tutta Italia per sabato 18 settembre che
inchiodino il governo alle sue responsabilità per aver trascinato il
paese nella guerra.


Comitato per il ritiro dei militari italiani dall'Iraq

Info: v i a d a l l i r a q o r a @ l i b e r o . i t ;
tel.348-7213312

La crise du pluripartisme

PAR ARMANDO HART DAVALOS, spécialement pour Granma international

AU terme du processus de désintégration de l'URSS, qui a également
mis fin à la dénommée «bipolarité», en décembre 1991, j'ai signalé
que ce n'était pas seulement la fin du socialisme en Europe de l'Est
et de l'Union soviétique mais l'échec évident de l'équilibre
politique forgé à partir de la Seconde Guerre mondiale, en précisant
que le caractère de cet équilibre n'était pas précisément socialiste.
C'est pour cette raison que j'avais trouvé très juste le mot
d'Eduardo Galeano, selon lequel il fallait «chercher un autre
défunt». Lors du déclenchement de l'intervention des États-Unis et
des principaux membres de l'OTAN aux Balkans, j'ai conclu que si la
chute du mur de Berlin avait fermé le cycle ouvert par la Révolution
russe, l'agression contre la région des Balkans fermait, elle, le
cycle de la Révolution française.

Après les événements du 11 septembre 2001, une époque incertaine,
ténébreuse, aux conséquences imprévisibles pour l'humanité a
commencé. Quelqu'un a déclaré que les États-Unis ne seraient plus
jamais comme avant. En fait, nous avons pu constater qu'à la suite de
ces événements et de leurs conséquences douloureuses, un nouveau
chapitre de l'histoire s'était ouvert, précédé de la disparition du
camp socialiste en Europe de l'Est et de l'Union soviétique ainsi que
de l'agression des Balkans. Les faits survenus depuis les attentats
criminels de New York et de Washington et la guerre, tout aussi
criminelle, déclenchée contre l'Irak, marquent sans doute une
nouvelle étape.

La réaction de l'aile extrémiste de la droite au pouvoir aux États-
Unis face aux attentats criminels commis contre le peuple nord-
américain était exprimée dans le discours que le président Bush a
prononcé dans les jours qui ont suivi ces dramatiques événements. La
lecture de ses paroles m'a rappelé, toutes proportions gardées, le
coup d'Etat du 10 mars 1952 orchestré à Cuba par Fulgencio Batista
dans la mesure où, par ce coup de force, ce dictateur mettait
définitivement un terme à l'équilibre juridique constitutionnel, déjà
particulièrement précaire, de la république néocoloniale et
instaurait la dernière tyrannie que Cuba allait connaître.

En premier lieu, l'Organisation des Nations unies, qui représente le
système juridique international, a été totalement et radicalement
ignorée et affectée par la nouvelle la nouvelle politique
réactionnaire instaurée par Washington depuis le 11 septembre 2001.
Les attentats ont secoué les États-Unis sur le plan intérieur et les
faits ultérieurs ont eu de graves répercussions sur l'économie et la
politique mondiale. Lors de sa récente intervention devant la
convention du parti démocrate, l'ex-président Clinton a signalé que
l'administration Bush s'est servie du drame du 11 septembre 2001 pour
pousser les États-Unis de plus en plus vers la droite.

La crise du vieux système et de la soi-disant démocratie
représentative est si évidente, dans l'actuelle conjoncture
internationale, que toute référence au pluripartisme est désormais
totalement absente de réalisme. En même temps, de nombreuses
nations à travers le monde sont devenues ingouvernables. Un
phénomène dont l'exemple le plus frappant a eu lieu en Argentine.
L'analyse de la grave crise de la démocratie représentative et du
pluripartisme s'avère une nécessité pressante de notre époque.
Cette crise s'exprime par l'absence de crédibilité du système aux
yeux des citoyens, par l'abstentionnisme croissant et l'apparition
d'organisations alternatives qui tentent de canaliser
l'insatisfaction des citoyens.

La naissance de la conception moderne du parti politique en tant
qu'institution est associée au parlementarisme britannique, d'abord
aux vieilles factions des Whigs et des Tories, et ensuite à la
Révolution française. Ces mouvements politiques étaient le reflet de
l'affrontement des classes sociales ou des groupes aux intérêts
économiques opposés. C'est précisément au sein de l'Assemblée
constituante française que sont apparus girondins et jacobins, deux
mouvances républicaines opposées aux royalistes. Ces tendances
agissantes de la vie politique française ont exercé une influence
considérable sur les autres nations européennes donnant ainsi lieu à
l'apparition de partis qui représentaient des idées progressistes
tandis que d'autres suivaient une ligne conservatrice. Ce schéma
politique serait ensuite reproduit en Amérique latine et dans les
Caraïbes, même en l'absence des classes sociales qui avaient
déterminé son apparition en Europe.

Actuellement, la plupart des partis traditionnels, hier opposés au
nom des idéologies les plus diverses, se trouvent insérés dans une
trame d'intérêts et de privilèges mesquins et luttent en fait pour
l'obtention de positions et de postes dans un climat de corruption et
de soumission aux intérêts des exploiteurs, généralement étrangers,
comme le démontre l'apparition du néolibéralisme. C'est ainsi que,
pour la grande majorité des électeurs, la politique est devenue
quelque chose de sale, de la politicaillerie. C'est un phénomène
universel et l'on se souviendra certainement que George W. Bush est
lui-même arrivé à la présidence sans avoir obtenu la majorité des
suffrages émis et à la suite d'une élection dont tout indique qu'elle
a été entachée par la fraude.

Dans chaque pays, ce processus de décomposition a sa propre histoire.
Dans le cas précis de Cuba, les années 50 ont été particulièrement
marquées par la destruction la plus évidente du pluripartisme dans la
mesure où les partis politiques traditionnels existant à l'époque
s'étaient avérés incapables de fournir une réponse cohérente au coup
d'État de Fulgencio Batista, violation flagrante de l'ordre
constitutionnel. Le même scénario s'est reproduit plus tard au Chili,
pays où le système pluripartiste le plus élaboré et le plus culte de
l'Amérique latine avait sanctionné la victoire électorale de Salvador
Allende, dont le gouvernement serait renversé par un putsch fasciste
alors qu'il défendait l'ordre constitutionnel.

La situation actuelle de l'Argentine est particulièrement éclairante.
Dans cette nation, la démocratie représentative n'a pas su apporter
de réponse valable au chaos dérivé de la crise provoquée par la
politique néolibérale et par la soumission des gouvernants aux
intérêts étrangers. Les vieilles cliques corrompues et soumises au
grand capital occidental n'ont plus aucun prestige dans ce pays. Et
la crise continue. Il suffit de voir l'excellent documentaire Memoria
del saqueo, du cinéaste argentin Pino Solanas, pour constater
l'envergure du drame. Quant aux possibilités de trouver une issue à
la débâcle économique argentine, les analystes ont signalé que ce
qu'il fallait, ce qu'il faut toujours, est une alternative politique.
Roberto Gargarella, professeur argentin de Théorie constitutionnelle,
a déclaré à ce propos: «Ce qui s'est passé ces derniers mois, la
présence dans les rues de milliers de citoyens prêts à protester,
semble nous démontrer que quelque chose s'est cassé, qu'il y a une
majorité qui en a assez de ne pas pouvoir s'exprimer, de ne pas
disposer des moyens pour le faire, d'être narguée après avoir pris
certaines promesses pour de l'argent comptant, d'être ignorée après
avoir exprimé son opinion à travers le suffrage, de voir que ses
décisions électorales sont mal interprétées et de manière mal
intentionnée¼ »

Plus de 200 ans après l'entrée en vigueur de la démocratie
constitutionnelle, le moment est venu pour le monde de repenser un
système institutionnel qui, depuis lors, n'a fait que vieillir nous
laissant peu à peu en marge de tout ce qui nous concerne réellement.

La faim et le mécontentement populaire ont mis en faillite le régime
en Argentine. Dans l'étroite marge de manœuvre que lui laissait le
système des partis, le peuple a trouvé un chemin et il a élu
président Nestor Kirchner en dépit des desseins de la vielle de
politiciens soumis à l'étranger.

Dans la conjoncture actuelle, le vieux principe selon lequel il
faut «diviser pour régner», qui avait trouvé son expression politique
dans la multiplication des partis, a été dramatiquement dépassé par
les réalités de la mondialisation. José Marti nous propose lui aussi
une définition valable de ce que doit être la politique: «La
politique est l'art d'inventer un expédient à chaque nouvel expédient
des adversaires, de transformer les revers en bonne fortune, de
s'adapter au moment présent sans que cette adaptation ne représente
le sacrifice ou la diminution importante de l'idéal que l'on
poursuit, de tomber sur l'ennemi avant qu'il ne soit arrivé à
disposer ses armées et à s'apprêter pour la bataille.»

Dans son important essai Notre Amérique, José Marti signalait, il y a
110 ans: «L'incapacité n'est pas le fait du pays naissant, qui
demande des méthodes qui lui soient appropriées et de la grandeur
utile, mais de ceux qui entendent gouverner des peuples autochtones,
de composition singulière et violente, avec des lois héritées de
quatre siècles de pratique libre aux États-Unis, de dix-neuf siècles
de monarchie en France. Ce n'est pas avec un décret de Hamilton que
le cavalier encourage son cheval sur les plaines du Venezuela. Une
phrase de Sieyès est inutile s'il s'agit de chauffer le sang glacé
des indiens latino-américains. (¼ ) Le gouvernement doit naître de la
nation. L'esprit du gouvernement doit être celui de la nation. La
forme de gouvernement doit être adaptée à la formation même de la
nation. Le gouvernement n'est rien d'autre que l'équilibre entre les
éléments naturels qui composent la nation.»

C'est à la lumière de ces paroles qu'il faut analyser aujourd'hui le
cas précis du Venezuela, en raison de la répercussion économique et
sociale qu'aurait une rupture du régime de droit établi par la
Constitution bolivarienne adoptée en 1999. C'est pour cela que la
victoire des partisans du Non au récent referendum doit être
interprétée comme le refus opposé par le peuple vénézuélien à ceux
qui cherchent à le remettre sur la voie qui mène au chaos, puisque le
seul choix valable dans son pays est celui que représente Hugo
Chavez, l'autre étant le retour à l'absence généralisée de contrôle,
ce qui saute aux yeux quand on analyse la question du pétrole et ses
facettes financières, économiques et productives. À ce qu'il semble,
certaines personnes sensées sont en train de s'en apercevoir dans le
monde de la bourgeoisie. Un déséquilibre au Venezuela, comme celui
que provoquerait le renversement du président Hugo Chavez,
déclencherait un processus aux conséquences imprévisibles pour
l'économie mondiale.


CUBA SOLIDARITY PROJECT
http://perso.club-internet.fr/vdedaj/cuba/
"Lorsque les Etats-Unis sont venus chercher Cuba, nous n'avons rien
dit, nous n'étions pas Cubains."

Evo nas opet nakon duze ljetne pauze!

Svakog utorka, od 14,00 do 14,30 sati, na Radio Città Aperta, i valu
FM 88.9 za regiju "Lazio", emisija "Jugoslavenski glas". Emisija je u
direktnom prijenosu. Moze se pratiti i preko Interneta:
www.radiocittaperta.it. Kratke intervencije na telefon (0039) 06
4393512. Emisija je dvojezicna, po potrebi i vremenu na raspolaganju.
Podrzite taj slobodni i nezavisni glas,kupujuci knjige, video kazete,
brosure, koje imamo na raspolaganju. (Par kopija, "Jugoslavia: Prima
vittima del Nuovo ordine mondiale" (Jugoslavija, prva zrtva "Novog
svjetskog poretka), Robina De Ruitera i "Menzogne di guerra"- Nato
lazi, od J. Elsesera,na talijanskom jeziku. Video "I dannati del
Kosovo", "Da se ne zaboravi" -tri dokunetarca), itd. Pisite nam na
Jugocoord@tiscali .it, ili fax +39 06 4828957.
Trazimo zainteresirane za usvajanje na daljinu, t.j. djacke stipendije
za djecu prognanika. Odazovite se.

Torna "Voce jugoslava" dopo una prolungata vacanza!

Ogni martedì dalle ore 14,00 alle 14,30, "VOCE JUGOSLAVA" su Radio
Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio. Si può seguire, come del resto
anche le altre trasmissioni della Radio, via Internet:
www.radiocittaperta.it. La trasmissione è in bilingue (secondo tempo
disponibile e necessità). La trasmissione è in diretta. Brevi
interventi allo 06 4393512.
Sostenete questa voce libera e indipendente acquistando video
cassette, libri, bollettini a nostra disposizione.("Jugoslavia: Prima
vittima del Nuovo ordine mondiale" di Robin de Ruiter, "Menzogne di
guerra " di J. Elsasser, video "I dannati del Kosov" di M.Collon,
etc).Possibili adozioni a distanza (borse di studio). Scriveteci al
e.mail: Jugocoord@tiscali .it, tel/fax 06 4828957. Contattateci.

Program - programma 14.IX. 2004
1. Jucer, danas sutra, datumi ...da se ne zaboravi.
2. "Od Triglava do Vardara....".
3. Tri haska slucaja: Milosevic, Seselj, Jelisic, plus slucaj Sisic.

1. Ieri, oggi, domani, date da non dimenticare.
2. "Dal monte Triglav al fiume Vardar, dal Danubio al Mare
Adriatico...".
3. Tre casi al Tribunale dell'Aia: Milosevic, Seselj, Jelisic più il
caso Sisic.


Da se podsjetimo - Da ricordare:

Budemo li ujedinjeni, ne trebamo se nikoga bojati
Se saremo uniti non dovremo temere nessuno! Tito

[The original text, in english, at:
http://globalresearch.ca/articles/FOE408A.html ]

http://komunist.free.fr/arhiva/sep2004/foerstel.html
Arhiva : : Septembar 2004.

Rat kao trgovina

Lice i naličje američkih osvajačkih ratova

prevod: Olga Darić

Svet obično misli da kada država stupi u rat, to njena vojska i vojni
sektor na sopstvenim plećima iznose teret rata. Što nije tačno.
Izvestan broj privatnih preduzeća, odnosno njihovi generalni direktori,
u današnje vreme odlučuju u stvarima koje su ranije bile isključiva
nadležnost predsednika države i Kongresa. Stvarni nosioci rata danas su
zapravo privatna vojna preduzeća, odnosno privatna lica kao njihovi
pravni zastupnici. Po nalogu takvih slani su plaćenici u Hrvatsku,
Makedoniju, Kolumbiju, Avganistan i Irak. Da bi izvrdao Kongres i ratne
izveštače, bez kojih je konvencionalni rat nezamisliv, režim
Sjedinjenih Američkih Država danas ratuje preko prenosnog lanca, tj.
služi se privatnim preduzećima kao rukavicama.

Američka vlada se oslanja u sve većoj meri na firme (tipa Military
Professional Resources Incorporated - MPRI) specijalizovane za vojnu
obuku i pružanje usluga, kako američkom, tako i režimima drugih
zemalja. Rat je za tu firmu unosan posao i ništa više. Hrvatski
ministar odbrane se 24. marta 1994. obratio SAD za pomoć protiv Srbije.
Da bi izigrao odluku OUN o zabrani isporuke oružja republikama iz
sastava Jugoslovenske federacije, Pentagon je hrvatskog ministra
jednostavno uputio na adresu MPRI. Samo nekoliko meseci nakon što su
unajmili MPRI, Hrvati su izveli vanredno uspešnu operaciju "oluja"
agresijom na Krajinu, naseljenu mahom srpskim življem. MPRI je
upotrebio vazduhoplovstvo, artiljeriju i pešadiju, stradalo je
nebrojeno Srba a 250.000 je izbeglo. Eto kako je Krajina etnički
očišćena.

Veliki je broj takvih uslužnih preduzeća koja su prevršila meru bilo
nezakonitim poslovanjem bilo unajmljivanjem lica sa kriminalnim
dosijeom za račun sumnjivih klijenata. Kongres, Ministarstvo odbrane i
Pentagon ne vode računa o tome kako i na koji način posluju ove firme,
dajući im slobodu da neometano krše važeće zakone i oslobađajući ih
svake odgovornosti i kontrole.

Po ugovoru o delu u Iraku je raspoređeno nekih 15.000 ili 20.000
plaćenika. Na svakih deset vojnika okupatorskih snaga nalazi se po
jedan plaćenik koji može da postupa sa iračkim građanima po sopstvenom
nahođenju bez da o tome nekome polaže račun. Kao plaćenici oni ne
podležu Povelji Ujedinjenih Nacija, Ženevskoj Konvenciji niti
Nirnberškoj doktrini. "Washington Times" od 6. oktobra 2003. izveštava
da su plaćenici unajmljeni kao čuvari pojedinih ministarstava ubili
izvestan broj Iračana. Niti su bili pozvani na odgovornost za počinjeni
zločin, niti je pokrenuta istraga povodom ubistava. Mnogi od tih
plaćenika nisu američki državljani pa ne podležu Amerikim zakonima.

Blackwater USA, jedna od najzapaženijih firmi koje trguju plaćenicima,
isporučila je šezdeset plaćenika, bivših komandosa iz Čilea od kojih su
mnogi bili obučeni i unajmljeni u vreme vojne diktature A. Pinočea.
Filipince, Bosance, i Amerikance obučava i unajmljuje bilo kao
instruktore, obaveštajce, borce ili telohranitelje namesnika kakav je
Pol Bremer. Dnevnice tih najamnika variraju između 1000 i 1500 dolara.
Filipinci obično dobijaju 4000 $ mesečno i njihovi poslodavci neretko
bez ustezanja ispoljavaju rasne predrasude prema tom narodu.

Vremena su veoma povoljna za trgovinu plaćenicima pošto je oko 6
miliona vojnika otpušteno nakon završetka hladnog rata i po biroima za
nezaposlene traži uhlebljenje. Bez stvarnih kvalifikacija, njima često
ne preostaje drugo osim da za visoke nadnice prodaju svoje vojno umeće
privatnim firmama za promet plaćenika.

Te firme danas ostvaruju godišnji promet od nekih 100 miliona dolara.
Najveći deo tog obrta otpada na krupne koncerne SAD kakav je
Halliburton i filijale Kellogg, Brown i Root, ili na DynCorp i
Raytheon. Često od vlade papreno naplaćuju za usluge, pa su i Kongres i
Pentagon pokrenuli postupak da bi se utvrdila namena uplaćenih
sredstava. Blokirano je trenutno 1.6 miliona dolara koliko je
Halliburton naplatio za obroke namenjene vojnicima u Iraku.(1)
Raskrinkana je još jedna podvala te firme: naplatila je papreno
otpremanje vojne opreme u Irak a kamioni su bili potpuno prazni. Na
slične podvale potrošeno je stotine hiljada dolara iz sredstava
prikupljenih od američkih poreskih obveznika.(2)

DynCorp je dobio ugovor vredan više miliona dolara da bi njegovi
plaćenici obučili buduće iračke policajce. Dotično preduzeće je
svojevremeno isto tako obučavalo snage u Bosni pa je pukla bruka jer su
istovremeno plaćenici trgovali belim robljem iz Istočne Evrope i
seksualno zlostavljali mlade devojke. Niko nije krivično gonjen, samo
su otpuštene dve osobe koje su otkrile tu bruku.

DynCorp posluje i kao obaveštajni servis Pentagona i CIA. Po preporuci
te firme, američke okupacione snage na Haitiju uvrstile su plaćenike
"odreda smrti" diktatora Fransoa Duvaliea u redove regularne Nacionalne
policije i postavile na visoke položaje vojne oficire kompromitovane u
vojnom udaru 1991.(3)

Privatne vojne korporacije su toliko razgranale svoje pipke da na njih
otpada najveći deo koalicionih snaga u Iraku posle američkih. Oduvek su
privatne firme igrale izvesnu ulogu u ratnim uslovima, međutim, nikada
tako flagrantno i nadmoćno. Kada se pak stavlja pod lupu način njihovog
poslovanja, brane se osporavanjem prava države na uplitanje u privatne
privredne poslove. Potpredsednik Čejni (Cheney) je odbio da stavi na
uvid Vrhovnom sudu odgovarajuću dokumentaciju Energetskog programa za
koji je nadležan, izgovarajući se "zaštitom državne bezbednosti" i
"privilegijama koje proističu iz njegovog položaja izvršne vlasti". A u
stvari, sve se svodi na to da on štiti interese svoje privatne firme.

Američki vojni zvaničnici su procenili da ce od 87 milijardi dolara iz
budžeta za 2004. namenjenih za operacije na ratištima u Iraku,
Avganistanu i Centralnoj Aziji, 30 milijardi otpasti na privatne vojne
firme. Predstavnički dom je 22. jula velikom većinom glasova usvojio
predloženih preko 400 milijardi dolara izdataka za odbranu, od čega 25
milijardi vanrednih sredstava za operacije u Avganistanu i Iraku.
Predstavnički dom glatko izdvaja milijarde za ratne troškove dok
drastično opadaju izdvajanja za zbrinjavanje maloletne sirotinje,
bolesnih i starih, i dok 36 sjedinjenih država grca u dubokoj krizi. Pa
ne samo što su američki građani uskraćeni za odgovarajuće socijalne
usluge, nego je režim još zapao u deficit od 444 milijarde dolara.

Prema procenama objavljenim u "US Law Report" i u "US Labor Against
War" (Radnici SAD protiv rata) u junu 2004. rat u Iraku koštao je SAD
već 118.518.293.319 $. Kako se budemo primicali 2005. povećanje budžeta
za izgradnju Iraka samo će nastaviti da raste.

Lenora Foerstel


Izvori:
(1) Associated Press, 14/05/2004
(2) Guardian, UK, članak Ian Traymore, 10. Decembar,2003.
(3) Silverman, Ken, "Privatizing War", The Nation, 28. jul 1997.
Opširnije o Halliburton-u čitalac može naći u knjizi pod naslovom: "The
Halliburton Agenda" autora Dan Briody u izdanju John Wiley and Sons.

Napomena: Tekst Lenore Foerstel "The Cost of the US Colonial War
Against Iraq" izvorno je objavio Centar za istraživanje globalizacije
(Centre for Research on Globalisation)
http://globalresearch.ca/articles/FOE408A.html. © Copyright Lenora
Foerstel.

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[ SONO FINALMENTE DISPONIBILI ONLINE LE TRASCRIZIONI DELLA RIPRESA DEL
"PROCESSO":
31 agosto
http://www.un.org/icty/transe54/040831ED.htm
1 settembre
http://www.un.org/icty/transe54/040901IT.htm
2 settembre
http://www.un.org/icty/transe54/040902IT.htm
NEI PROSSIMI GIORNI NE DIFFONDEREMO AMPI STRALCI, E
SUCCESSIVAMENTE ANCHE IN LINGUA ITALIANA ]

---

Da: "Vladimir Krsljanin"
Data: Gio 9 Set 2004  17:13:21 Europe/Rome
Oggetto: Uvodna rec Predsednika Milosevica / Opening speech of
President Milosevic

*****************************
www.sloboda.org.yu
*****************************

Uvodna rec Predsednika Milosevica u Hagu 31. avgusta i 1. septembra
2004. moze se naci na adresi:
The opening speech of President Milosevic at The Hague of 31 August - 1
September 2004 (in Serbian) can be found at:
http://www.sloboda.org.yu/uvodnarecC.htm%c2%a0 (cirilica / Cyrillic
alphabet) ili na / or at:
http://www.sloboda.org.yu/uvodnarecL.htm%c2%a0 (latinica / Latin alphabet)

Grubi (ali "zvanicni") stenogram na engleskom, moze se naci na sajtu
tribunala:
Rough (but "official") transcript in English, can be found at the
tribunal's web site:
http://www.un.org/icty/transe54/040831ED.htm%c2%a0 (prvi dan / first day) i
/ and
http://www.un.org/icty/transe54/040901IT.htm%c2%a0%c2%a0 (drugi dan / second day).

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www.sloboda.org.yu
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THE LIFE OF PRESIDENT MILOSEVIC AND THE INTERNATIONAL LAW ARE IN PERIL.

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THE ILLEGAL HAGUE PROCESS MUST END.
Statement by the President of the World Peace Council Orlando Fundora
(Cuba)
http://www.icdsm.org/more/fundora.htm
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VIDOVDAN PEOPLE'S RALLY IN BELGRADE ORGANIZED BY SLOBODA
to mark the third anniversary of kidnapping of President Milosevic
http://www.icdsm.org/more/galery2806.htm
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Milosevic)
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http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.pasti.org/milodif.htm (ICDSM Italy)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)

---

RINNOVIAMO I NOSTRI DUE APPELLI:

1. AD OFFRIRSI COME TRADUTTORI

La battaglia per la difesa di Milosevic non va sottovalutata.
Essa ha un valore strategico, e non solo etico, in quanto puo'
avere conseguenze importanti per tutte le altre battaglie
internazionaliste del movimento contro la guerra.

Infatti, con il processo-farsa contro Milosevic, le grandi potenze
imperialiste vogliono creare un precedente. Esse vogliono avere
mano libera in futuro nelle loro decisioni sugli assetti del pianeta;
vogliono avere formalmente riconosciuta la facolta' di stabilire
ad arbitrio quali guerre scatenare, contro chi e con quali mezzi;
esse vogliono garantirsi la impunita' su tutti i propri crimini
di guerra, e si arrogano la facolta' di giudicare e condannare -
anche formalmente, non solo mediaticamente - le loro stesse
vittime... condannandole persino al risarcimento dei danni causati
da loro stesse, con le loro guerre imperialiste!
Dopo Milosevic, potrebbe essere la volta di Saddam; e non
illudiamoci: la "guerra preventiva e permanente" non finisce certo
in Iraq. Ma intanto, i crimini di Pancevo (1999) o di Falluja (2004)
chi li dovrebbe giudicare? Il "tribunale" dell'Aia si e' ostinatamente
rifiutato di aprire qualsivoglia procedimento per tutti quei crimini di
guerra, ben documentati, commessi dalla NATO nella primavera del
1999, in spregio alle richieste formali e nonostante tutta la
documentazione pervenuta.

Dunque, dobbiamo impedire che la storia tragica e vergognosa di
questi anni in Jugoslavia sia scritta esclusivamente sulla base delle
"sentenze giudiziarie" dettate dai servizi di intelligence della NATO.

Per questo, noi possiamo essere di grande aiuto, in effetti.
Sara' sufficiente far circolare i testi di cio' che e' stato e verra'
detto in quell'aula. Ne' piu' ne' meno.
I giornalisti hanno evitato finora di fare cronaca sul "processo",
perche' non conviene ai loro datori di lavoro: percio' dobbiamo
pensarci noi.
E' necessario costituire subito una rete di persone disponibili
a TRADURRE DALL'INGLESE IN LINGUA ITALIANA. Ogni
giorno le pagine di nuovi verbali saranno decine e decine: si
trattera' di selezionarne una parte e di dividerci il lavoro di
traduzione e diffusione dei testi.
Affinche' tutti sappiano, e nessuno possa dire: "Io non sapevo".

Per contatti, per offrirsi volontari nel lavoro di traduzione:
segreteria: tel/fax +39-06-4828957
email: icdsm-italia@ libero. it

2. PER LA CAMPAGNA DI AUTOFINANZIAMENTO

Nello scontro che si sta svolgendo al "Tribunale ad hoc" dell'Aia, gli
interessi imperialisti della NATO sono rappresentati da uno staff di
1300 persone profumatamente pagate (circa 100mila dollari l'anno a
testa), mentre gli interessi della Jugoslavia e di tutti i suoi popoli
sono rappresentati dal solo Slobodan Milosevic, il quale dispone
esclusivamente dei poveri mezzi del suo comitato internazionale di
sostegno: l'ICDSM.

L'impresa cui deve far fronte Milosevic appare dunque titanica, ma non
puo' comunque essere abbandonata. Se pure essa avesse solo valore
testimoniale, tale valore sarebbe comunque inestimabile, poiche' si
tratta di testimoniare a proposito di almeno un decennio di
macchinazioni e crimini finalizzati alla distruzione di un paese
europeo, ovvero - nelle parole dello stesso Milosevic - finalizzati al
"capovolgimento degli esiti della Seconda Guerra Mondiale" nei
Balcani. Crimini e macchinazioni su cui nessun altro e' stato o sara'
mai intenzionato a fare chiarezza.

Senza mezzi finanziari, la difesa di Milosevic non ha chances.
Si valuta che sia indispensabile raccogliere diverse migliaia euro
ogni mese per far fronte a tutte le necessita' di assistenza legale,
di documentazione e di comunicazione.
La Sezione Italiana dell'ICDSM, ringraziando tutti quelli che
hanno finora contribuito alla campagna di autofinanziamento
(in Italia sono gia' state raccolte alcune migliaia di euro), chiede
che lo sforzo in tal senso prosegua, cosi' come sta proseguendo
in tutte le altre realta' nazionali.
Si badi bene:
NON ESISTONO ALTRE FONTI DI FINANZIAMENTO.
Una recente legge passata dal Parlamento serbo - che
in linea di principio avrebbe garantito una parziale copertura
delle spese - e' stata subito "congelata" in seguito alle
minacce occidentali. Una qualsivoglia campagna di finanziamento
su basi volontarie a Belgrado e' praticamente irrealizzabile:
a causa delle scelte estremistiche, in senso neoliberista, del regime
instaurato il 5 ottobre 2000 la situazione sociale e' disastrosa, la
disoccupazione dilaga, i salari sono da fame, chi ha i soldi per
mangiare li tiene ben stretti e non rischia certo la galera (o peggio:
vedi le torture in carcere nella primavera 2003, durante la
cosiddetta "Operazione Sciabola") in attivita' politiche o di
solidarieta' a favore di Milosevic, che viene tuttora demonizzato
dai media locali - oramai tutti in mano a societa' occidentali,
soprattutto tedesche - esattamente come da noi.
I nuovi ricchi votano i partiti filo-occidentali e di destra, e
preferiscono che Milosevic marcisca in carcere, insieme alla
loro cattiva coscienza. A tutti deve essere infine chiaro - se ancora
ci fosse bisogno di ripeterlo - che al di la' delle menzogne
giornalistiche non esiste e non e' mai esistito alcun "tesoro
nascosto" di Milosevic, e che il nostro impegno per la sua
difesa e' insostituibile oltreche' indispensabile.

Contribuite dunque e fate contribuire, attraverso il

*** Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC ***

Da: "pedroslavo"
Data: Gio 9 Set 2004 15:38:45 Europe/Rome
A: "Coord. Naz. per la Jugoslavia"
Oggetto: Re: IN MERITO AL FILM “IL CUORE NEL POZZO”

Vi sottopongo il seguente articolo, inerente al tema da voi affrontato,
apparso su "Plebe", fanzine autoprodotta dal collettivo comunista
AgitProp
di Foggia. Saluti.


È notizia recente: la Raifiction di Agostino Saccà, sta ultimando il suo
nuovo sceneggiato sulle foibe – dal titolo emblematico di “Cuori nel
pozzo” – che già promette di far palpitare all’unisono i ventricoli
dell’
immemore platea televisiva.


Que viva Novak!

Stai fermo, in silenzio, e ascolta il tuo cuore. Quando poi ti parla,
alzati
e va'... dove lui ti porta (Susanna Tamaro)


La società dello spettacolo non poteva lasciarsi sfuggire l’occasione di
mettere in scena la “madre di tutte le fiction”; quella che dovrà
rappresentare l’Italian Style del momento; che dovrà corrispondere al
pensiero unico imposto; che porterà sulle labbra di un esercito di
massaie i
dolori e lo strazio – tutto politico - appartenuti, sino a questo
momento, a
pochi alati messaggeri della stirpe dei Pansa e dei Mieli: le foibe.

I moderni sciovinisti cantastorie sembrano sempre più certe streghe
della
tradizione nordica, di quelle che tastavano il grembo delle donne per
carpirne fertilità e disposizione alla prole. In circostanze simili ad
essere tastati nel basso ventre sono le evidenti vergogne della nostra
memoria storica. I dispensatori di pathos patriottico, coadiuvati da
stormi
di esperti negazionisti-sceneggiatori, danno il segnale: la nazione è
pronta! Può essere fecondata. Tra nove mesi partorirà – senza alcun
dolore –
l’ennesimo aborto.

Il regista in questione è Alberto Negrin, già autore di “capolavori”
quali
“Il sequestro dell’Achille Lauro” e “Perlasca”. Ha avuto modo di
dichiarare:
“ho sempre fatto film per il gusto di raccontare storie e non per
ragioni
politiche”. Un’autodifesa ineccepibile, ormai divenuta canovaccio
classico
per ogni vassallo dell’intellighenzia impegnato in opere di “rilettura
storica”, che dietro alla tranquillizzante facciata buonista nascondono
evidentissimi gli intenti anticomunisti dei committenti e che – quanto
più
attaccano ferocemente, a testa bassa – gli eredi disarmati di quella
tradizione tanto più parlano di “memoria condivisa” per improbabili
“pacificazioni nazionali”. Per avere una conferma degli intenti, basta
scorrere la trama, pregna di ogni elemento fondante del nuovo, forzato e
forzoso, immaginario collettivo.

Un bambino, figlio di uno stupro etnico, innocenza violentata, a cui
vengono
sottratti i genitori. Un orfano accolto, nella dissoluzione dei
riferimenti,
da – manco a dirlo – un prete (interpretato da Leo Gullotta, in quota
Prc),
che cercherà di guidarlo verso la salvezza. Il quadro, di una banalità
che
irrita e dona raccapriccio a chiunque abbia un minimo di conoscenza
degli
eventi, viene completato da due personaggi fondamentali: il partigiano
sloveno e il partigiano italiano. Entrambi comunisti, ma profondamente
divisi da quella linea di civiltà che i produttori pretendano passi per
Trieste. Il primo, Novak, è uno stupratore con la stella rossa sul
berretto,
un crudele assassino immotivato, una bestia che – nelle intenzioni della
fiction – dovrà catalizzare, come un magnete titoista – l’odio del
pubblico.
Il secondo è un idealista, membro del Cln, che si trova a fare i conti
con
la vera essenza del comunismo: regime tirannico bestiale e antisportivo.
Costui farà da parafulmine: da una parte mostrerà le pecche del
comunismo
italiano, servo di Mosca e di Belgrado giustificandone e
rimproverandone le
mosse passate dei singoli militanti in buona fede; dall’altro fingerà di
tendere la mano alla parte laica del Paese, in nome di un “non passa lo
straniero” che dovrà superare le divisioni ideologiche per aderire
plasticamente ai sacri confini nazionali. Il martirio del comunista
buono
per mano del comunista cattivo, chiuderà cattolicamente il cerchio. La
fine
di questa offensiva pagliacciata, costata 4 milioni e mezzo di euro al
produttore Angelo Rizzoli, è tenuta segreta. Ma stando alle scarse doti
innovative del pool di cervelli impegnato nelle riprese, il pubblico
italiano non dovrà attendersi sorprese. Catarsi.

Le considerazioni da fare sono quasi ovvie. Una, di carattere
storico-politico, rimanda all’accurato studio di ciò che l’occupante
fascista italiano riuscì a perpetrare, in termini di violenza assoluta
e di
sopruso, nelle terre annesse di Dalmazia e di Slovenia. E, in un secondo
momento, alla presa di coscienza (specie da parte di una sinistra oramai
piegata al politicamente corretto imposto da una ciurma di reazionari
senza
scrupoli filologici) che la reazione slava fu assolutamente,
completamente,
totalmente legittima. E non colpì, come amano farci credere, nel
mucchio. Ma
con una selettività persino difficile da rilevare in altri episodi
simili
della Storia dell’umanità. Una selettività che non appartenne di sicuro
al
fascista invasore, esportatore armato d’un razzismo genocida. La seconda
considerazione è di carattere estetico. Si prenda atto della
scientificità
con cui, nell’arco di cinque-dieci anni, la tv si è popolata di
produzioni
made in Italy impegnate nell’opera di ricostruzione d’un tessuto
legittimista, nazionalista e iper-istituzionale tra le cosiddette “masse
popolari”. Dal poliziotto all’ispettore, dalla squadra anti-crimine al
maresciallo. Mentre la società reale si evolveva in senso repressivo e
carcerario, l’uomo medio era chiamato ad applaudire ed a mostrarsi
orgoglioso degli eroi in divisa che, saltando al di qua dello schermo,
moltiplicavano la loro presenza concreta nelle nostre vite reali.
Consolati
dal nuovo arrembante cattolicesimo dei preti di pellicola, furbi e
misericordiosi a riempire il vuoto di valori e di ideologie. E non
bastasse,
la tv matrigna ha spinto all’assunzione in blocco di esempi storici di
dubbio gusto attraverso mielose e melodrammatiche soap-opera: Madre
Teresa,
Giovanni XIII, Padre Pio. Altare, tribunale e transistor nell’epoca del
crollo della pubblica istruzione e dell’umiliazione dei docenti.

Sta di fatto che “Cuori nel pozzo” è riuscito, in un colpo solo, a
riunire
nelle critiche la Jugoslavia. I quotidiani serbi, sloveni e persino
croati
hanno titolato: "Vendetta cinematografica di Silvio Berlusconi su
Tito”. E –
aggiungiamo noi – sul vecchio Dipartimento Spettacolo a guida ulivista,
reo – a suo tempo – di non aver concesso i benefici del finanziamento
pubblico a "Foibe, un processo mancato", film diretto dal regista
Gabriele
Polverosi. Jože Gacnik, presidente dell'Associazione di
partigiani-veterani,
ha fatto presente che il film di Negrin rappresenta il tentativo di
reinterpretare la storia e che il governo italiano sta facendo di tutto
per
mantenere alto il mito della “pulizia etnica” nonostante i risultati
raggiunti dalla Commissione di studio italo-slovena. Proprio la
Slovenia ha
annunciato bruschi peggioramenti nei rapporti bilaterali con l’Italia.
Guido
Cace, presidente dell'Associazione nazionale dalmata, ha risposto alle
critiche dichiarando (incredibilmente): “è come se tedeschi si
arrabbiassero
perché si ricordano i campi di concentramento nazisti'”. Assurdo. Un
rovesciamento storico degno di un lottatore di greco-romana!

Nonostante la recente cinematografia italiota non sia parca di
rappresentazioni di partigiani “brutti, sporchi e cattivi”. Basti, su
tutti,
ricordare l’esempio di “Porzus” di Renzo Martinelli o dei comunisti –
brutti fra i brutti, fanatici e intolleranti – ne “I piccoli maestri” di
Daniele Lucchetti o, caso diverso ma parificabile, quello de “Il
partigiano
Johnny” di Guido Chiesa. Il sunto? Questo Paese di anime pie e
pusillanimi
non deve sapere quel che è realmente accaduto fra il 1943 e il 1945.
Deve
lasciarsi cullare dalla mesta tranquillità borghese. Deve farsi
guidare; non
deve mai essere sollecitato – da esempi concreti – all’azione, al
cambiamento; deve accontentarsi delle briciole e, per quelle,
ringraziare
dio e Stato. Non deve mai credere nella sua forza. E indubbiamente la
visione fenogliana della Resistenza era quella che più si adattava al
costituendo epos nazionale. Franza o Spagna.

Un Paese inetto e una pubblica opinione arrogante nella sua raffazzonata
conoscenza dei fenomeni storici, appresi per sentito dire al corso
accelerato della fiction televisiva. Questo stiamo diventando. Così,
tra un
“viva la Rai!” e un “que viva Novak”, noi – ostinatamente, nel gorgo
delle
contraddizioni – non possiamo che ribellarci alla fucilazione mediatica
urlando la seconda.

Plebe
plebe@ agitproponline. com