Informazione
È disponibile per la visione online l'importante documentario curato da Anna Roberti sulle ricerche delle salme dei partigiani sovietici caduti nella Resistenza italiana
VIDEO: https://www.youtube.com/watch?v=J6_Q4D5cGAE
*** Tra i caduti di Pozza è da annoverare JOVAN KARADAGLIĆ, montenegrino: le vicende sue, di suo fratello NIKOLA – anch'egli perito nella lotta al nazifascismo – e della intera famiglia sono state ricostruite dal nipote, Dejan Karadaglić, in un accurato e interessante video realizzato proprio per questa Giornata della Vittoria e non a caso intitolato "Il Reggimento Immortale":
=== 1 ===
Chi desidera ma non agisce, alleva pestilenza»
William Blake, Il matrimonio del Cielo e dell’Inferno
A tarda sera dell’8 maggio 1945 il capo dell’Oberkommando der Wehrmacht, ovvero delle forze armate tedesche, firmava la resa della Germania di fronte al generale sovietico Žukov, come poche ore prima un altro vertice delle truppe naziste, Alfred Jodl, aveva fatto a Reims sul fronte occidentale della guerra.
A Mosca era già il 9 maggio, e perciò tale data segna la conclusione effettiva della terribile tragedia della Seconda Guerra Mondiale in Europa, nonostante vi furono ancora strascichi e scontri fino a settembre.
L’eredità lasciata da una tale esperienza di morte e distruzione non poteva che essere quella di un forte anelito di pace e collaborazione, e come per ricollegarsi a questo desiderio il 9 maggio è celebrata nell’Unione Europa la Festa dell’Europa.
Ma, come scriveva William Blake, chi desidera ma non agisce, crea le condizioni per la diffusione di una malattia. Anche le modalità della costruzione di una prospettiva di pace sono, in un certo senso, un campo di battaglia, e dove coloro che vogliono davvero raggiungere una pace reale e duratura arretrano prendono piede coloro per cui la pace è solo una parola da agitare a seconda della convenienza.
Nell’Europa stremata dalla guerra questo avvenne quasi subito. Il 9 maggio del 1950 Robert Schuman, ministro degli Esteri francese, tenne un discorso che prefigurava l’inizio del processo di integrazione europea, di cui il primo passo avvenne poco tempo dopo con la formazione della Comunità Europea del Carbone e dell’Acciaio (CECA).
Ma questo processo era davvero dettato dalla volontà di cooperazione e pace? La spinta all’Europa unita purtroppo nacque dalla peggiore consigliera della politica: la paura.
Paura dei comunisti, dei sovietici che più di tutti avevano retto il peso militare della guerra con ingenti perdite materiali e umane, e contro cui bisognava costruire una “cintura di sicurezza”; paura del riaccendersi delle rivalità fra paesi, in primis Francia e Germania.
Una rivalità che non venne risolta sul campo della crescita della coscienza civica, democratica e sociale dei paesi stessi, ma sul piano della progressiva integrazione delle economie, a partire dai settori strategicamente più importanti.
Un tentativo velleitario di evitare la competizione fra Stati attraverso la definizione di un’area di libero mercato capitalistico, il cui pilastro è la competizione stessa.
E in questo senso parlò Giuseppe Di Vittorio, di cui riporto alcune parole pronunciate al Parlamento nel 1952 in occasione della ratifica del trattato sull’istituzione della CECA:
«Si dice che il piano Schuman deve costituire la base economica della nuova federazione europea. Possiamo discutere questa idea; ma, allo stato attuale, si tratta di una astrazione, priva di ogni contenuto concreto.
Tutti sanno che, lungi dall’unire l’Europa, tutta la politica che si ricollega a questo trattato, di cui discutiamo la ratifica, è una politica di divisione dell’Europa e, peggio, anche una politica di divisione all’interno degli stessi popoli europei. Per cui si tratta della divisione più nefasta e più nociva che si possa concepire per i popoli e per l’Europa.
L’altro pretesto – altrettanto astratto, privo di contenuto reale e di verità – è che con questo trattato si concorrerebbe a salvaguardare la pace, mentre tutti vedono che si organizza la guerra e che alla base di tutto il lavorio condotto per giungere alla costituzione di questa coalizione di Stati attorno al grande trust dell’acciaio e del carbone è l’intendimento di accelerare gli armamenti ed i preparativi di guerra.
Unità europea e pace sarebbero due nobilissimi ideali; ma, allo stato attuale, si tratta di due menzogne convenzionali addotte a giustificazione di un piano che, invece, persegue fini diametralmente opposti. […]
Oggi si usa la terminologia che esprimeva il grande e generoso ideale di Mazzini sulla federazione dei popoli europei per giustificare un’impresa che non ha niente a che fare con la concezione mazziniana del federalismo.
Nel concetto di Mazzini si trattava di costituire una federazione di popoli, ma di tutti i popoli europei, senza discriminazione; scopo primordiale della federazione mazziniana doveva essere la pace, e strumento conseguente della politica di pace di tutta l’Europa doveva essere il disarmo generale.
In questo caso, invece, accade tutto il contrario: si cerca di costituire una coalizione che deve proteggere interessi privati allo scopo di accelerare la preparazione alla guerra e di cristallizzare, approfondire ed aggravare la divisione dell’Europa e la divisione dei popoli all’interno di ciascun paese. Noi denunciamo questo inganno»1.
L’Unione Europea si è per caso fatta promotrice del disarmo generale? Negli ultimi anni abbiamo assistito allo sviluppo di programmi militari europei (Permanent Structured Cooperation, European Intervention Initiative, etc.).
Abbiamo sentito il Commissario Europeo all’Economia Paolo Gentiloni affermare che l’UE deve assumere un certo protagonismo sulle questioni internazionali, come in Libia, dove ora si accende in maniera sempre più violenta una guerra civile che è cominciata proprio con le “bombe democratiche” sganciate da paesi UE.
Abbiamo letto le dichiarazioni di Ursula Von der Leyen in cui si affermava chiaramente e candidamente che il suo mandato avrebbe fatto assumere alla Commissione Europea un ruolo geopolitico.
La contraddizione tra la retorica progressiva e la funzione reazionaria che la costruzione di una federazione europea poteva svolgere si è risolta a favore della seconda, e l’evento che ha segnato il passo fu proprio un’azione militare.
Crollato il blocco sovietico, venuta meno l’esigenza dell’argine al comunismo di cui “l’ombrello della NATO” era lo strumento fondamentale, l’Europa poteva svolgere un ruolo autonomo nel panorama mondiale, puntando a riconquistare un certo peso anche a livello geopolitico.
Quasi contemporaneamente alla firma del Trattato di Maastricht, a fine 1991 il cancelliere Helmut Kohl dichiarò che la Germania riconosceva l’indipendenza di Slovenia e Croazia, trascinandosi dietro tutti i paesi che all’epoca formavano la CEE e mettendo una seria ipoteca su qualsiasi risoluzione pacifica della questione jugoslava; le conseguenze le conosciamo tutti.
Come ha detto il premio Nobel per la letteratura Peter Handke, con i bombardamenti su Belgrado «è morta l’Europa ed è nata l’Unione Europea».
L’idea di una federazione europea è stata costruita non sulle esigenze e sul protagonismo dei popoli che la compongono, ma su di un progetto di vero e proprio dominio imperiale sostenuto ideologicamente da un profondo eurocentrismo; Romano Prodi, strenuo difensore dell’Unione Europea, nella puntata di Che tempo che fa? del 29 marzo scorso affermava, in maniera evidentemente criticabile, che «l’Europa è l’unica àncora della democrazia mondiale».
Cos’è questa se non la riproposizione di una convinta superiorità della civiltà europea che ci portiamo dietro sin dai tempi coloniali?
Ma ai “destini manifesti” non bisogna dare credito, perché sono questi che hanno prodotto l’imperialismo statunitense, così come la convinzione della purezza della razza ariana.
Quest’ultimo paragone può sembrare esagerato, quasi offensivo, ma non lo è. Non lo è perché una certa contiguità, anche se ovviamente non una completa sovrapposizione, può essere riscontrata tra il progetto di integrazione europea e alcune riflessioni di importanti esponenti del nazi-fascismo.
Il 5 agosto del 1943 Jean Monnet, ispiratore della Dichiarazione Schuman, affermò al Comitato Francese di Liberazione Nazionale che «non ci sarà pace in Europa se gli Stati verranno ricostituiti sulla base della sovranità nazionale… Gli Stati europei sono troppo piccoli per garantire ai loro popoli la necessaria prosperità e lo sviluppo sociale. Le nazioni europee dovranno riunirsi in una federazione»2.
Vidkun Quisling, fondatore del partito fascista norvegese e tra i più famosi collaborazionisti del regime di Hitler (tanto che il suo cognome è diventato sinonimo di “governo fantoccio” in tutto il mondo), fu un convinto sostenitore della necessità di un’Europa federale, come accennato anche nella biografia scritta dallo storico e giornalista Hans Fredrik Dahl, al punto da produrre anche più di un documento in cui scendeva nel dettaglio di come il continente avrebbe dovuto essere riorganizzato alla fine della guerra mondiale.
Lo scopo era quello di recuperare il ruolo egemonico perso dall’Europa, e questo non poteva avvenire, a suo avviso, se non attraverso la formazione di una più vasta area politica ed economica.
Vidkun Quisling fu catturato dagli Alleati il 9 maggio. Si ritorna quindi al punto da cui avevo cominciato.
La data del 9 maggio condensa in sé una quantità di significati straordinari, e proprio per questo è divenuta un campo di battaglia, l’ultimo della Seconda Guerra Mondiale. Alla caduta del Muro di Berlino alcuni giornali hanno riportato la notizia che Alessandro Natta, ex segretario del Partito Comunista Italiano, commentò dicendo: «qui crolla un mondo, cambia la storia… Ha vinto Hitler… Si realizza il suo disegno, dopo mezzo secolo».
Più velenosamente, nel suo stile, Giulio Andreotti confessava che «amo la Germania; la amo così tanto che ne preferisco due».
La data della conclusione del conflitto, di cui l’Unione Sovietica sopportò il peso maggiore, è stata appropriata da una realtà istituzionale nata al momento del crollo del blocco orientale con una guerra in seno all’Europa, una guerra che favorì l’accentuarsi di odi nazionalistici.
L’Unione Europea ha espresso tutta la spinta democratica di cui è capace in una risoluzione che equipara il comunismo al nazismo, mentre finanzia e sostiene il governo ucraino in cui siedono ministri dichiaratamente nazisti.
I vertici europei vogliono cancellare la memoria della dura lotta che l’URSS condusse contro i progetti hitleriani, trasformando la fine della carneficina causata dall’imperialismo nell’occasione di una vaga esaltazione della pace, da identificarsi tout court con istituzioni costruite nel sangue e altrettanto imperialiste.
Non so se Natta avesse previsto tutto questo, probabilmente no, ma sicuramente ci aveva visto lungo. Se vogliamo difendere la pace, dobbiamo combattere l’Unione Europea; e il 9 maggio, se vogliamo festeggiare qualcosa, festeggiamo la Giornata della Vittoria.
1 Camera dei Deputati. Assemblea, Discussioni, I Legislatura, 932° seduta, 16 giugno 1952, p. 38833.
SAOPŠTENJE POVODOM DANA POBEDE NAD FAŠIZMOM
Danas, nakon 75 godina od pobede nad nacifašističkim okupatorom, izražavamo najdublju zahvalnost borcima NOR-a za nesebično žrtvovanje u borbi protiv najmračnije ideologije koja je pritisnula planetu. Zahvaljujući toj borbi, Srbija se svrstala u vrhove antifašističkog sveta pobednika nad nacifašističkim okupatorima i njihovim saveznicima i ispisala najsvetliju stranicu svoje istorije.
Sve dok nosimo u sećanju podvige i žrtve pripadnika NOP-a u borbi protiv okupatora i njegovih sluga, dok učimo nove generacije o stvarnim akterima pobede, besmrtni puk pobednika će stajati na mrtvoj straži slobode i antifašizma.
Kao što ne smemo zaboraviti – ko su bili oslobodioci i saveznici, ko je bio okupator i saradnici okupatora, tako smo dužni čuvati sećanje na svaku nesebičnu pomoć savremenoj Srbiji u očuvanju slobode, nezavisnosti, teritorijalne celokupnosti i pomoći na prevazilaženju posledica svih nepogoda, uključujući i podršku u borbi protiv aktuelnih pošasti.
Istina je jedna i oduvek neumoljiva, ma koliko je sputavali i devalvirali. Istina je da su oslobodioci i nosioci veličanstvene pobede nad nacifašizmom srpski i jugoslovenski partizani, predvođeni Josipom Brozom Titom. Istina je, da izmišljanje drugih „antifašista“ i „pobednika“ iz redova poraženih snaga pre 75 godina predstavlja grubu laž kojom se želi udahnuti snaga poraženoj zveri u liku nacifašizma, što predstavlja novi zločin sledbenika poraženih snaga.
Ta, fašistička zver se hrani lažima i našim zaboravom!
Dan Pobede nije nikakav dan trgovine ugljem i čelikom, već dan poraza najveće civilizacijske nemani i sveopšte pretnje čoveku. Stoga, ne dozvolimo da senka zaborava pritisne istinu o veličini i lepoti pobede nad fašizmom.
Hvala i slava svim borcima NOR-a i svim žrtvama fašističkog nasilja.
SMRT FAŠIZMU – SLOBODA ČOVEČANSTVU!
U Beogradu dana 8.maja 2020.
PREDSEDNIK:
Ratko Krsmanović
Allora, il fatto è noto, almeno in cerchie dell’antifascismo. In un programma televisivo (“Le Parole”), il conduttore, Massimo Gramellini, giornalista, divenuto poi narratore di successo e anche intrattenitore del piccolo schermo, in occasione del 75esimo del XXV Aprile, non trova di meglio che intervistare Walter Veltroni. A cui dopo l’introduzione di rito (perché è così difficile per una parte del Paese accettare l’idea che la data della Liberazione costituisca una ricorrenza condivisa, un punto fermo nella identità nazionale della Repubblica) pone la domanda, ossia se non sembri all’illustre ospite (in collegamento…) che quella festa sia importante e che ogni cittadino di questa nazione dovrebbe sottoscriverla, senza polemiche fuori luogo. Ebbene l’intervistato annuisce gravemente, come se stesse facendo una importante concessione all’intervistatore. E ammette, che sì, il 25 aprile 1945 va ricordato e festeggiato, dal popolo italiano, non dimenticando però “la tragedia delle foibe”, su cui come per il 25 aprile non c’è il necessario unanime consenso.
C’è da strabuzzare gli occhi, fregarsi le orecchie, cercare conforto in qualcuno che eventualmente stia assistendo al programma. Ha detto proprio così. L’ex segretario dei DS e poi del PD, ha detto che per apprezzare il XXV Aprile dobbiamo ricordarci delle foibe…, dell’altro “crimine orrendo”. Dunque ha messo sullo stesso piano la Liberazione d’Italia dall’invasore e oppressore nazista, e dal fascismo suo complice-succube, con le “foibe”, un circoscritto episodio su cui dalla fine degli anni Novanta si è montata una macchina di propaganda che in Italia non ha l’eguale. Una macchina che ha cercato nel corso del tempo una impossibile equiparazione tra foibe e campi di sterminio nazista, e ora arriva Veltroni, il grande stratega, lo storico provetto, il politico progressista, a mettere sullo stesso piano quella vicenda con la più grande, la sola rivoluzione che si sia mai fatta in Italia, vittoriosamente, quella culminata con la liberazione di Milano, il 25 aprile 1945.
Poco meno di un anno dopo quella data assurse a simbolo della nuova Italia, sotto il Governo De Gasperi, esattamente il 22 aprile 1946, con un decreto “luogotenenziale” firmato dal principe Umberto II, allora “luogotenente del Regno d’Italia” (la Repubblica sarebbe nata qualche settimana dopo): nel decreto si stabiliva «A celebrazione della totale liberazione del territorio italiano, il 25 aprile 1946 è dichiarato festa nazionale». Tre anni più tardi quella giornata, il 25 aprile, entrò ufficialmente nel calendario civico dell’Italia repubblicana, tra le festività nazionali, accanto al 2 giugno.
Ma Veltroni, opinionista, saggista, scrittore, regista (difficile decidere in quale ambito abbia dato il peggio, dopo aver detto più o meno addio alla politica attiva, ambito in cui aveva fatto sufficientemente danno), tutto questo sembra ignorarlo. Come pare ignorare la speculazione politica sulle “foibe”, e si spinge all’ardito accoppiamento. Gramellini, più accorto di lui, lascia correre, ma proseguendo nel suo ragionamento, relativo alla ovvietà del 25 aprile 1945 come data simbolo dell’Italia che ha sconfitto il fascismo, cita l’esempio altissimo dei Fratelli Cervi, martiri del fascismo, e per sottolineare che la Resistenza non era solo comunista, afferma che i Cervi non lo erano. Veltroni tace e acconsente, citando come protagonisti della lotta partigiana socialisti, liberali, cattolici, monarchici, militari… Non fa la minima menzione del ruolo che il PCI ebbe in quella lotta, dopo aver già costituito il nerbo dell’antifascismo clandestino e all’estero, nel Ventennio. Né il cenno lo fa Gramellini. Finisce lì, con Veltroni che invitato ancora a spiegare il senso della Liberazione se ne esce con un discorsetto grottesco relativo alla situazione determinata dalla pandemia. Grazie, Walter. Ciao, Massimo.
Il giorno dopo Maurizio Acerbo, segretario del PRC, ossia Rifondazione Comunista, con un intervento sul “manifesto” chiede le scuse di Gramellini, precisando che i Cervi erano comunisti, esprimendo sconcerto per l’atteggiamento di Veltroni. E la settimana seguente Gramellini, dando prova di correttezza a supplire la propria scarsa informazione storica, apre la puntata del suo programma con la precisazione: “I fratelli Cervi provenivano da una famiglia cattolica ed erano comunisti”.
Rimane l’agghiacciante silenzio di Veltroni. E rimane l’amaro della deriva storica di una generazione, quella venuta dopo Berlinguer, che non solo ha scientemente affossato il PCI, ma ha cercato in ogni modo di cancellare il patrimonio ideale e politico che in quel partito si riassume. Del resto, già parecchi anni or sono, nel 2011 (se non sbaglio) l’ex sfidante (trombato) di Berlusconi, dichiarava di non essere mai stato comunista, sottolineando: “Non ero ideologicamente comunista”.
Forse il punto sta proprio nella parola “memoria”. Ancora una volta dobbiamo smettere di usare questo termina ambiguo e fallace, e parlare piuttosto di “storia”. E cominciare a studiarla. La memoria comprende l’oblio e l’errore, e in fondo consente a tutti una giustificazione. Perciò rimane fondamentale lo studio della storia. Accetti un buon consiglio, Veltroni: la bibliografia su fascismo, antifascismo, Resistenza, è molto estesa. E se non sa da che parte cominciare chieda consiglio. Personalmente sono pronto a fornirle qualche utile indicazione. Così eviterà in futuro figuracce come quella che ha compiuto proprio nella ricorrenza del 75esimo della Liberazione. È proprio vero che l’ignoranza della storia genera mostri.
Essendo venuto a mancare un contraddittorio televisivo in quello che appare quanto meno una forzatura (se non una falsificazione storica), ho contattato chi forse è tra i più titolati a potersi esprimere in merito: Adelmo Cervi, figlio di Verina ed Aldo Cervi terzogenito dei sette Fratelli Cervi, fucilati dai fascisti al poligono di tiro di Reggio Emilia il 28 dicembre del 1943. Adelmo all'epoca infante, aveva da poco compiuto 4 mesi.
Attualmente Adelmo si trova a Celle Ligure, ospite di un amico. Prima che scoppiasse l'emergenza sanitaria era impegnato nella presentazione del suo libro “Io che conosco il tuo cuore” scritto con Giovanni Zucca, un testo in cui si racconta la storia umana e politica del padre Aldo, partigiano con i suoi sei fratelli nella banda Cervi.
“Dovevo partecipare alla trasmissione in questione- mi riferisce- ma per motivi tecnici poi mi hanno comunicato che non c'era spazio.”
- Signor Cervi che cosa ha pensato quando ha visto in t.v. Gramellini affermare testualmente “che i fratelli Cervi non erano neanche comunisti”?
In relazione alle affermazioni in questione sono rimasto stupito, lo dico in tono non polemico: vorrei sottolineare però il fatto che se non tutti i Cervi erano comunisti mio padre lo era e i suoi fratelli lo appoggiavano pienamente. Aggiungo che mio padre era considerato il capo Politico dei fratelli Cervi.
Aldo Cervi era convintamente comunista e ha lottato per la libertà e la giustizia. La mia famiglia era una famiglia contadini, mezzadri sfruttati, una famiglia di cattolici.
Mio padre finisce in carcere nei primi anni '30 e finirà per incontrare tanti antifascisti, molti di ideologia comunista e finirà anche per lui per diventare un'antifascista comunista.
Ha partecipato nei gruppi clandestini del Partito Comunista di lotta alla liberazione e ha combattuto orgogliosamente con tutti i suoi fratelli contro il nazifascismo.
Spesso si dimentica che i comunisti sono quelli che hanno pagato il prezzo più importante nella resistenza.
Dire questo non significare sminuire il fatto che nella Resistenza contro il comune nemico fascista si unirono tante esperienze: comunisti, socialisti, democratici, ecc, I valori della Resistenza sono fondamentali e tutt'oggi sono da portare avanti. Divido il mondo in due categorie: gli sfruttati e gli sfruttatori. Chi condivide certe idee non può che essere dalla parte dei primi e le battaglie grandi o piccole che siano vanno portate avanti nel quotidiano.
https://www.cnj.it/home/it/informazione/jugoinfo/5664-5697-veltroneide-numero-4.html ]
Quanto alle "rivelazioni", possiamo scherzarci su finché vogliamo, però una persona che si iscrive a 15 anni ad un partito denominato comunista e vi rimane e vi fa carriera, diventandone funzionario pagato, e dopo trent'anni dichiara di non essere mai stato comunista, o ci prende per i fondelli oggidì (il che mi sembra non sia comunque una cosa ammirevole) oppure ha davvero fatto l'infiltrato fin da piccolo.
Saluti resistenti
Claudia Cernigoi
da Libero News del 1 febbraio 2008
«Uno spirito mi ha rivelato la verità su Marilyn», sostiene Rosalinda Celentano, «Ho partecipato a molte sedute medianiche», aggiunge Alda Merini. Voi la scrivereste la prefazione di un libro - Donne dell'altro mondo, nella fattispecie - che contiene queste e altre perle? Walter Veltroni sì, senza alcuna esitazione. E ci si mette d'impegno, pure, elogiando con (sincera?) convinzione cotanto «mosaico suggestivo e pieno di umanità».
Sul lit-blog Il primo amore, lo scrittore Christian Raimo propone un divertente quiz: elencati i titoli e gli autori di ben 66 libri, chiede cos'abbiano in comune uno con l'altro. La risposta, ormai l'abbiamo capito, è il nome del leader del Pd, che di tutti ha scritto la prefazione. Dal volume su Giorgio Gaber a quello di Barack Obama, fino a libri su Totti e Zapatero, Veltroni tutti ha presentato e lodato con grande generosità.
E poi ancora «Tibet, teatri tenda, società delle mandorle - si legge sul Corriere della Sera -, Phi-Phi Island, in bici da Dakar a Podor»: l'eclettico Veltroni non si fa mancare nulla e a nessun autore o editore dice di no. Ma dove troverà il tempo? Alla domanda risponde Franco Giustinelli, il cui volume sulla letteratura greca è, manco a dirlo, prefato dal sindaco di Roma: «Come fa? - risponde lo studioso al Corriere - Boh, so che scrive e lavora anche di notte». Eccone un altro che (come Berlusconi) non dorme o dorme pochissimo. Sempre che, a pensar male, non ci sia qualche alacre ghost writer al lavoro. Altrimenti devono spiegarci com'è che la gente normale non ha il tempo nemmeno di respirare e loro, che dovrebbero essere impegnatissimi su altri e ben più seri fronti...
[ Intervista a Walter Veltroni su l'Unità 29 marzo '99 ]
(Walter Veltroni a Parigi. Corriere della Sera, 28 agosto 2007)
VIDEO: http://it.youtube.com/watch?v=wdisSqVy3OM
Pertanto, anche noi suggeriamo la visione di alcuni filmati:
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