Informazione
HIER fuer diesen Text auf deutscher Sprache:
https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#handke_de
ES LEBE DER TRÄUMER, DER AN DAS NEUNTE LAND" GLAUBTE
HERE for the text of this petition in english:
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LONG LIVE THE DREAMER OF THE NINTH COUNTRY
https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#appello
VIVA IL SOGNATORE DEL NONO PAESE
Qualcuno pensava di avere già visto tutto; invece mancava ancora qualcosa.
Avevamo già visto la guerra fratricida, scatenata dai revanscisti dell'Ordine Europeo hitleriano. Fatta di distruzioni, sevizie e spostamenti forzati di popolazioni intere.
Avevamo visto la cancellazione di un grande paese per decreto della "comunità internazionale", e, sempre per decreto della "comunità internazionale", la sua sostituzione con sei republichette delle banane, che pare diventeranno almeno otto, secondo il criterio del sangue, il criterio delle SS.
D'altronde, avevamo visto santificare i nazisti; bombardare i treni; trafficare armi nelle autoambulanze; delocalizzare lo sfruttamento; imporre che la stessa lingua fosse chiamata con quattro o cinque nomi diversi; chiamare "invasore" chi abitava la propria terra e "liberatore" chi usava uranio impoverito; regalare un feudo al contrabbandiere di sigarette; stuprare con le bottiglie; rapire e non restituire il cadavere; prendere a piccozzate gli affreschi medioevali; cannoneggiare i ponti; tagliare le teste; espropriare le case ai poveri per darle agli investitori stranieri; riscrivere la storia per infangare i partigiani della libertà e riabilitare visir e feudatari.
Qualcuno di noi pensava di avere già visto tutto. E invece mancava ancora la messa all'Indice dei poeti.
Al più grande drammaturgo di lingua tedesca contemporaneo stanno ritirando i riconoscimenti e stanno impendendo la rappresentazione delle sue pièces.
Non avviene laggiù, nel "paese delle guerre", bensì qui, in Francia e Germania, nell'Europa che vorrebbe essere di Voltaire e di Goethe. È qui, nel paese della Commissione, che viene considerato peccato mortale aver visto tutto quanto sopra e volerne persino riferire. È qui, nel paese dei Tribunali Internazionali, che è vietato porsi domande, viaggiare, interloquire con chi non si deve conoscere. È qui che è vietato descrivere il "nemico" come un essere umano, parlargli, capire.
La "colpa mortale" di Handke è infatti quella di aver presenziato - da "testimone", come ha precisato egli stesso - ai funerali di Slobodan Milosevic. Milosevic, che l' "Europa", per assolvere se stessa, vorrebbe capro espiatorio assoluto del dramma jugoslavo. Milosevic, che ha resistito alla prepotenza devastante dell' "Europa" fino a perirne.
Questa "Europa" che crea nemici mortali nel suo seno è ripugnante. L'Europa senza la Jugoslavia è ripugnante. Essa non potrà mai essere il nostro paese.
Handke si riferì al "Nono Paese" come metafora della Jugoslavia nel primo testo da lui scritto in merito alla tragedia scatenatasi nei Balcani dal 1991.
Abbiamo un fortissimo bisogno di "sognatori del Nono Paese"come Peter Handke. A lui va tutta la nostra stima, ammirazione e solidarietà.
Primi firmatari (in ordine alfabetico):
Tamara Bellone (Torino)
Peter Behrens (Trieste / Trst)
Giuseppe Catapano (Roma)
Paola Cecchi (Firenze)
Claudia Cernigoi (Trieste / Trst)
Adriana Chiaia (Milano)
Spartaco Ferri (partigiano, Roma)
Mauro Gemma (Torino)
Fulvio Grimaldi (Roma)
Dragomir Kovacevic (Alessandria)
Olga Juric (Paris)
Teodoro Lamonaca (Torino)
Serena Marchionni (Bologna)
Andrea Martocchia (Bologna)
Gian Luigi Nespoli (Sanremo)
Sandra Paganini (Roma)
Ivan Pavicevac (Roma)
Miriam Pellegrini Ferri (partigiana, Roma)
Fausto Sorini (Bologna)
Jasna Tkalec (Zagreb)
Gilberto Vlaic (Trieste / Trst)
Giuseppe Zambon (Frankfurt am Main)
Successive adesioni pervenute (in ordine cronologico):
Enzo Apicella (London)
Alessandro Leoni (PRC Toscana)
Aldo Manetti (PRC Toscana)
Mauro Lenzi (PRC Toscana)
Stefano Cristiano (PRC Toscana)
Susanna Angeleri (PRC Arezzo)
Donella Petrucci (PRC Toscana)
Ugo Bazzani (PRC Pistoia)
Sandro Trotta (PRC Livorno)
Luciano Giannoni (PRC Livorno)
Roberto Cappellini (PRC Pistoia)
Claudia Rosati (PRC Firenze)
Jacopo Borsi (PRC Firenze)
Mauro Gibellini (PRC Massa-Carrara)
Sergio Quarta (Giugliasco, CH)
Mirella Ruo (Casale Monferrato)
Francesco Pappalardo (PRC Piombino)
Angela Biscotti (Mainz)
Luciano Giannoni (PRC Livorno)
Gio Batta (Titen) Prevosto (Circolo SanremoCuba, Sanremo)
Pasquale Vilardo (Giuristi Democratici, Roma)
Carlo Pona (Roma)
Marcello Graziosi (Modena)
Andrea Catone (Bari)
Enrico Barba (Gorizia / Stara Gorica)
Jean Toschi Marazzani Visconti (Milano)
Boris Bellone (Torino)
Per aderire all'appello scrivere a: jugocoord @ tiscali.it . Per informazioni sulle opere di Handke e per alcuni dei suoi testi riguardanti Milosevic e la Jugoslavia, oltre a tutti gli aggiornamenti sulle censure operate dalla Comedie Francaise e dal Comune di Duesseldorf si veda: https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm
par Jürgen Elsässer, préface de Jean-Pierre Chevènement.
Éditions Xenia (Suisse), 304 pages, 19 euros.
http://www.amazon.fr/exec/obidos/ASIN/2888920042/qid=1149522318/
sr=8-1/ref=sr_8_xs_ap_i1_xgl/403-4260395-4442061 ###
http://www.voltairenet.org/article139861.html
Le chaudron yougoslave
Jürgen Elsässer : « La CIA a recruté et formé les djihadistes »
par Silvia Cattori*
Dans son dernier ouvrage, « Comment le Djihad est arrivé en Europe »,
le journaliste allemand Jürgen Elsässer met en évidence la continuité
de la filière djihadiste. Des combattants musulmans recrutés par la
CIA pour lutter contre les Soviétiques en Afghanistan ont été
employés successivement en Yougoslavie et en Tchétchènie, toujours
avec le soutien de la CIA, mais peut-être parfois hors de son
contrôle. S’appuyant sur des sources ouvertes diversifiées,
principalement yougoslaves, néerlandaises et allemandes, il a
reconstitué le parcours d’Oussama Ben Laden et de ses lieutenants en
Bosnie-Herzégovine aux côtés de l’OTAN.
www.disarmiamoli.org
Sono passati più di due anni dalla costituzione del Comitato
nazionale per il ritiro dei militari italiani dall'Iraq e l'obiettivo
della nostra ragion d'essere ha assunto un ruolo sempre più centrale
nell'agenda politica italiana.
L'opinione pubblica del paese nella sua gran maggioranza è contraria
alla presenza dei soldati italiani in Iraq. Le forze politiche di
centro sinistra, tra mille contraddizioni, hanno vinto la campagna
elettorale inserendo il ritiro nel programma di governo.
L'obiettivo sembra acquisito, ma a Nassirya i soldati italiani
continuano a morire, al servizio degli interessi dell'ENI e dei
comandi anglo americani.
Si discetta sui tempi del ritiro dal Sud della Mesopotamia e nel
contempo si raddoppiano gli effettivi in Afghanistan, nelle zone più
conflittive, per "smarcare" le truppe U.S.A impantanate dalla
Resistenza irachena.
Intanto altre tensioni covano sotto le ceneri di un Kosovo mai
pacificato dopo i criminali bombardamenti N.A.T.O. dell'aprile 1999.
Che dire poi della nostra presenza in Albania, Congo, Egitto,
Macedonia, Libano, Marocco, Palestina/Egitto, Cipro, Sudan... In
tutto 28 missioni per 8.514 uomini in 19 paesi.
Ovviamente tutte missioni "di pace", per una spesa annua di miliardi
di euro, pagati dai soliti noti.
I vari governi succedutisi in questi ultimi 20 anni hanno lavorato
alacremente per la realizzazione di queste "proiezioni di pace",
dotando il paese di un esercito professionale guidato da "saldi
principi", sintetizzati nel Nuovo Modello di Difesa: Obiettivo
centrale del nuovo esercito la salvaguardia degli interessi italiani
in ogni area geografica nella quale maturino minacce concrete contro
di essi.
Il Pentagono ha fatto scuola e tracciato la strada, imponendo al
mondo una tabella di marcia fatta d'aggressioni unilaterali sempre
più ampie e devastanti, ora in procinto di investire altri paesi,
come l'Iran, e continenti, come l'America Latina e l'estremo Oriente.
L'Italia è stata da sempre trampolino di lancio delle avventure
belliche a stelle e strisce, attraverso la ragnatela di basi USA e
NATO sparse sul territorio.
Con la prima guerra d'aggressione all'Iraq del 1991 anche i nostri
soldati sono stati impiegati in uno scenario di guerra, alla ricerca
di ruolo e spazio fuori dei confini per il "belpaese".
I numeri odierni della proiezione bellica italiana dicono di quanta
strada è stata fatta in questi anni dalle nostre "imprese".
L'"Azienda Italia" anche in questo caso ha seguito le indicazioni
d'oltre Oceano, per cui se per l'economia statunitense McDonald non
può esistere senza McDonnell, così da noi l'ENI non ha mercato senza
l'ALENIA.
La richiesta a gran voce del ritiro delle truppe dall'Iraq è quindi
l'inizio di una grande battaglia antimilitarista, in grado di imporre
nell'agenda politica italiana una concezione della politica estera,
delle relazioni internazionali e con i popoli del vicino Medio
Oriente completamente diversa e opposta da quella attuale.
L'alternativa sarà un baratro di guerre devastanti, morte, lutti e
miseria.
In questo percorso abbiamo ragioni da vendere, ma non per questo
minori ostacoli da affrontare.
Per dare voce a queste ragioni, migliorare la comunicazione con le
varie realtà, diffondere e socializzare notizie, proposte, lotte e
mobilitazioni in Italia e nel mondo proponiamo un nuovo strumento di
comunicazione: il sito Internet
www.disarmiamoli.org
Il Comitato nazionale per il ritiro dei militati italiani dall'Iraq
viadalliraqora@...
1. N. Clark: Sunday's narrow vote will make is that Montenegro will
be able enter Eurovision
2. From R. Rozoff: Serbia's navy left high and dry by the vote for
independence / Helsinki Final Act, Inviolability Of Borders:
Montenegro Europe's 15th New State
=== 1 ===
http://www.guardian.co.uk/commentisfree/story/0,,1781039,00.html
Tuesday May 23, 2006
The Guardian
Sunday's narrow vote will make is that Montenegro will be able enter
Eurovision.
Never mind the Balkans
Montenegro had more independence as part of Yugoslavia than it will
as an EU-Nato protectorate
Neil Clark
'Montenegro votes for independence", the headlines declared at the
result of the referendum in the Balkan republic. But is independence
really what lies in store? My dictionary has independence as:
"completely self-governing; not subject to or showing the influence
of others". By this definition, independence is not what they will be
getting.
The most important political and economic decisions, which will
affect the everyday lives of citizens in the republic, will not be
made in its capital, Podgorica, but in Brussels, Geneva and
Washington and the boardrooms of the multinational companies which
now dominate the country's economy.
It is ironic that EU and WTO membership has been most
enthusiastically supported by the prime minister, Milo Djukanovic,
and the pro-independence faction - for it's hard to think of an
easier way for a small country to lose national independence than by
surrendering control of trade and economic policy to unelected
bureaucrats miles away.
Nato membership, which Montenegro is also expected to pursue
enthusiastically, has similar consequences: the commanders of
Montenegro's new army and navy will have to get used to taking orders
from those who planned the 78-day bombing of Yugoslavia in 1999.
Then there is the role of the IMF and the World Bank. These two
unelected bodies have, with the EU, sought to impose Thatcherite neo-
liberal solutions on Serbia-Montenegro, ever since the fall of
Yugoslavia's Socialist-led government in 2000. Thousands of socially
owned enterprises have already been privatised, but the west is still
not satisfied - the IMF has made further economic help dependent on
Belgrade selling off the valuable NIS oil company.
Montenegro's tiny economy is even more dominated by foreign capital
than Serbia's, with the privatisation process having started much
earlier. The selling off of nationally owned assets will have serious
implications for the country's future economic viability and even
with the tourist potential of its attractive coastline, it is
difficult to see how Montenegro can afford to pay its way, without
further surrender to western financial institutions. In doing so, it
will be following the path of its neighbours.
For all the novelties of statehood, the brutal truth is that today's
"independent" Balkan republics had, if anything, more independence
when they were autonomous republics inside the Yugoslav Federation.
In place of one militarily strong, internationally respected, non-
aligned nation, there now exists a number of weak, economically
unviable EU/IMF/Nato protectorates.
The dismantling of Yugoslavia, with its alternative economic and
social model, has suited western capitalism fine. But for the people
of the region, the benefits have been harder to discern. Little
wonder then that nostalgia for Tito's Yugoslavia is on the rise. The
website "Titoville" has received over 1m visitors and in Rakovice, a
suburb of Sarajevo, an anti-nationalist Serb named Jezdimir Milosevic
(no relation) has proclaimed "The Republic of Titoslavia", a state
"without territory, without international recognition, destined to
live in the hearts of its citizens". Passports are available for €10.
Over 65 years ago, on the eve of the attack on Yugoslavia by the Axis
powers, the Serbian jurist Slobodan Jovanovic argued that a single,
south Slav state was the best way the people of the Balkans could
guarantee their independence and protection. It still is - and that
logic seems likely to make itself felt in the years to come. When the
victory parades are over, the only real difference Sunday's narrow
vote will make is that Montenegro will be able enter Eurovision.
www.neilclark66.blogspot.com
Guardian Unlimited © Guardian Newspapers Limited 2006.
=== 2 ===
http://www.telegraph.co.uk/news/main.jhtml?xml=/news/2006/05/24/
wnavy24.xml&sSheet=/news/2006/05/24/ixnews.html
Daily Telegraph - May 24, 2006
Serbia's navy left high and dry by the vote for independence
By David Rennie, Europe Correspondent
Serbia is about to join the select club of former
naval powers.
Officers, who remember the heyday of the old Yugoslav
navy - it boasted nearly 80 warships - are weighing
their options following Sunday's independence
referendum in Serbia's sister republic of Montenegro.
The Yes vote means Serbia will lose its sea ports and
naval bases.
Gen Radosav Martinovic, a military adviser to the
government of Montenegro, said that the Serbian navy
would be lucky to end up with some patrol craft on the
Danube.
The general invited Serbia's most capable admirals and
officers to stay on and help build a new Montenegrin
fleet.
The offer may not be that attractive, however, as the
new-born nation is planning a coastguard-style force,
based on fast patrol boats, plus a three-masted,
180-foot sail training ship, the Jadran.
The Montenegrin authorities have started auctioning
off some of the most picturesque bases on the Adriatic
to tourist developers.
Other nations, from Ethiopia to the Austro-Hungarian
empire, have lost coastlines and waved goodbye to
their navies.
Bolivia, defying the trend, still maintains a "navy"
of river boats and a clutch of admirals, despite
losing its coastline to Chile in 1884.
---
Helsinki Final Act, Inviolability Of Borders: Montenegro Europe's
15th New State
http://www.focus-fen.net/index.php?catid=125&newsid=89786&ch=0
Focus News Agency (Bulgaria)
June 5, 2006
Montenegro Sets Sights on UN
[My count of current European nations not on the map
before 1991: Belarus, Bosnia, Croatia, the Czech
Republic, Estonia, Latvia, Lithuania, Macedonia,
Moldova, Montenegro, Russia, Serbia, Slovakia,
Slovenia, Ukraine. Though many were independent
political entities between 1941-1945. For history
buffs - RR]
Podgorica - Montenegro’s President Filip Vujanovic
requested the small Balkan state to be received in the
UN just two days after it announced its independence,
AFP reports citing a communiqué.
“In accordance with the results of the referendum held
in Montenegro on May 21st I, in my capacity of
President of the republic, have the honour to ask you
to receive Montenegro in the UN,” a letter addressed
to UN Secretary General Kofi Annan reads.
“Montenegro will abide by the UN’s Statute and its
principles,” the text reads.
balcanica, e dittatura in Argentina, si veda anche la documentazione
da noi raccolta alla pagina: https://www.cnj.it/documentazione/
ratlines2.htm )
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5782/1/51/
Ieri con Videla, oggi ambasciatore della Slovenia
06.06.2006 scrive Franco Juri
Era tra i professori filo-dittatura del Colegio Nacional de Buenos
Aires, un famoso liceo argentino messo a ferro e fuoco dai militari
negli anni di piombo della dittatura. Ora è ambasciatore della Slovenia
Una serie di rivelazioni su alcune recenti e discusse nomine
diplomatiche, pubblicate dalla stampa slovena indipendente, stanno
creando a Lubiana forti imbarazzi. Dopo lo scandalo, ancora avvolto
in un alone di mistero, delle recenti dimissioni lampo dell'ex
segretario si stato agli affari europei Marcel Koprol, sospettato di
molestie sessuali ai danni di alcune dipendenti - che sarebbero state
poi dissuase dal querelare il proprio capo - il governo aveva
dirottato le sorti dell'alto funzionario, membro del partito
governativo di Janez Janša, verso le acque più lontane della
diplomazia, proponedo la sua nomina ad ambasciatore all'ONU.
Ma le rivelazioni sempre più dettagliate e basate su varie
testimonianze delle presunte tentazioni libidinose del segretario di
stato Koprol, sono continuate impietose sulle pagine di Mladina e di
Dnevnik. E così solo pochi giorni fa il governo ha discretamente
ritirato la sua nomina a New York, destinandolo- per ora - ad
incarichi meno vistosi.
Ma nel mirino della stampa indipendente c'è soprattutto la
politicizzazione della diplomazia, dove gli ambasciatori vengono
ormai scelti sempre più di frequente in base alla tessera di partito.
E se l'episodio di Koprol sembra essere destinato a rimanere una
sorta di aneddoto mediaticamente succulento, ben più imbarazzante sta
diventando il caso del nuovo ambasciatore sloveno in Argentina,
Avguštin Vivod.
Vivod, sloveno di nascita, nel dopoguerra emigrò giovanissimo con i
suoi genitori in Argentina, dove divenne uno dei più influenti leader
della comunità slovena in quel paese latino-americano. Presidente
di „Slovenia unita“ (Zedinjena Slovenija), l'organizzazione che
unisce tutti i gruppi della diaspora anticomunista in Argentina,
legata in buona misura alla tradizione dei „Domobranci“ (i
collaborazionisti filo-fascisti), Vivod è pure vicepresidente di Nova
Slovenija, il partito conservatore di Andrej Bajuk (anche lui sloveno
d'Argentina), attuale ministro del Tesoro.
Era da tempo che la comunità degli emigrati del dopoguerra in
Argentina reclamava un „compenso“ politico per il sostegno offerto
all'indipendenza del paese, al primo governo di Lojze Peterle e
all'attuale compagine di Janša. Ed ecco che il governo, in sordina,
decide di restituire il favore e di nominare Avguštin Vivod
ambasciatore della Slovenia a Buenos Aires.
Una scelta poco fortunata, visto che il placet argentino, dopo più di
6 mesi di attesa, non arriva. Ma Lubiana insiste e - contro ogni
prassi di bonton diplomatico - un alto esponente del ministero degli
Esteri vola a Buenos Aires per chiedere spiegazioni. E il governo
Kirchner spiega: Vivod non può essere un diplomatico straniero in
quanto è in possesso della cittadinanza argentina. Nessun problema,
l'ambasciatore rinuncia in tronco al passapoprto argentino e, dopo 7
mesi di attesa dalla sua nomina in Slovenia, finalmente arriva anche
il „sì“ col naso turato di Buenos Aires.
Ma l' imbarazzo per i lunghi tempi del placet non si è ancora placato
che Vivod è già al centro di una nuova vicenda molto più
sconcertante. Il suo nome infatti appare nella cronistoria del
Colegio Nacional de Buenos Aires, un famoso liceo argentino messo a
ferro e fuoco dai militari e paramilitari negli anni di piombo della
dittatura e dal quale, tra il 1976 e il 1983, scomparirono
probabilmente uccisi e gettati nel Rio de la Plata, ben 105 tra
alunni ed ex alunni la cui età era compresa tra i 15 e i 22 anni.
Ebbene nel libro „La otra juvenilia“ di Werner Pertot e Santiago
Garano, anch'essi due ex alunni del Colegio Nacional, pubblicato nel
2002, vari testimoni descrivono le marce di tipo militare cui
dovevano partecipare gli alunni addestrati con marziale severità da
un professore di educazione fisica particolarmente solerte e incline
ai militari: tale Augusto Vivod. Il nome trapela anche in Slovenia e
Dnevnik, con la firma di Meta Roglič e del sottoscritto, pubblica una
serie di articoli che dopo qualche giorno di silenzio imbarazzato
fanno riconoscere all'ambasciatore di essere stato effettivamente
lui, per ben 10 anni, quel maestro di ginnastica.
„Noi eravamo solo pedagoghi, trattavamo gli alunni bene e non ci
occupavamo di politica. Dei desaparecidos non ho mai saputo nulla“
si difende su Pop TV e sulle pagine di Dnevnik l'ambasciatore Vivod.
Il suo passato di insegnante di educazione fisica sorprende tutti,
anche nel suo partito. Vivod infatti nei suoi curriculum ufficiali
non accenna alla sua vera professione negli anni di piombo, si
presenta come sociologo e filosofo con studi alla Sorbona e
all'Università di Buenos Aires.
Ma non è finita: i due autori de „La otra juvenilia“ incalzano.
Secondo varie testimonianze Vivod sarebbe appartenuto al gruppo di
professori più leali alla giunta militare di Videla e all'allora
rettore del Colegio Nacional Anibal Romulo Maniglia, complice diretto
della dittatura e dell' intelligence militare. Infatti molti
insegnanti vennero all'epoca licenziati, Vivod rimase invece
nell'istituto fino al 1983, cioè fino alla fine della dittatura. Ma
come se non bastasse ecco che da Buenos Aires giungono a Lubiana le
copie di documenti che confermano il coinvolgimento di Vivod nella
prassi pedagogica repressiva imposta dalla giunta militare. In calce
ad un regolamento scolastico dell'aprile 1976 che proibisce ogni
attività politica, il diritto di associazione, di manifestazione e di
diffusione di idee o letteratura considerate „sovversive“ nella
scuola o nelle sue vicinanze - pena l'espulsione immediata - oltre
alla firma del rettore ci sono anche quelle di alcuni professori
compresa quella di Augusto Vivod.
Il ministero degli Affari esteri sloveno non commenta e dietro ad un
eloquente silenzio si trincera anche il governo. Nè Delo, nè la TV
di stato, spendono una solo riga per la vicenda che rischia di
trasformarsi in uno scandalo senza uguali per la diplomazia slovena.
Vivod non si scompone forte della protezione di influenti circoli sia
in Slovenia che e in Argentina. C'è infatti chi allude ad una sua
affiliazione a Opus Dei che si starebbe consolidando e diffondendo in
Slovenia soprattutto con l'aiuto della diaspora argentina. Vivod
inoltre è presidente della Camera di commercio sloveno-argentina,
rappresentante della Luka Koper (Il porto di Capodistria) nei paesi
del Mercosur e delegato di varie imprese slovene in America Latina.
Lui sa bene cosa significhi poter fruire dell'immunità diplomatica e
del prestigio concesso ad un ambasciatore.
P. Handke: Hablemos, pues, de Yugoslavia
1. W. Wenders: "Difendo Peter Handke è lo scrittore del secolo"
2. P. Handke: Hablemos, pues, de Yugoslavia
3. Il Comune di Düsseldorf ritirerà i fondi per l' Heine Preis. «Lo
scrittore è filoserbo» (Corriere della Sera 3/6/06)
Su Peter Handke e la Jugoslavia si veda tutta la documentazione
raccolta al nostro sito: https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm
=== 1 ===
http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=9873
"Difendo Peter Handke è lo scrittore del secolo"
di Wim Wenders
su la Repubblica del 03/06/2006
Mercoledì scorso, con un articolo intitolato «Inscenare le maldicenze
sul proprio conto», la Süddeutsche Zeitung ha preso le distanze dalla
piega che aveva preso il dibattito sul premio Heinrich Heine. Oltre
tutto, fin da martedì scorso lo stesso Peter Handke è intervenuto
personalmente sulla Frankfürter Allgemeine Zeitung («Quello che non
ho detto»), e quindi giovedì sempre sulla Süddeutsche, come già una
settimana prima su Libération, con un titolo significativo: «Alla
fine non si capisce più nulla».
Per chi legga le sue argomentazioni, e più in generale chiunque sia
portato a farsi una sua idea in base alle proprie letture, e può
quindi far parte della platea dei lettori ai quali Handke si rivolge
come autore, è sconcertante - o anche ridicolo, se non fosse tanto
triste - che a un tratto chiunque si senta autorizzato a intervenire
senza sapere nulla dei precedenti, e ovviamente senza aver letto
neppure un libro di Handke. E non mi riferisco qui solo agli scritti
- sei racconti, alcuni lavori teatrali e vari articoli - dedicati in
questi ultimi quindici anni alla ex Jugoslavia, bensì in generale all
´opera di Peter Handke in quarant´anni di intenso lavoro. A
incominciare da Prima del calcio di rigore, passando per Infelicità
senza desideri, fino a Perdita dell´immagine - che per me è il libro
del secolo - il «lettore» deve aver percepito - e sicuramente ha
percepito il respiro di un grande poeta, pensatore e umanista. Di uno
che ha rifatto daccapo il percorso della nostra epoca, con coraggio e
senza compromessi. Che usa la nostra lingua in maniera nuova e
stimolante, e rifonda il mondo (e non solo il suo proprio mondo) con
i mezzi di questa lingua. Uno così non è un «fascista» (come si è
sentito dire ultimamente in Francia) e neppure «di destra». In quanto
autore, è «se stesso». Quest´onore, bisogna innanzitutto esserselo
guadagnato (Heinrich Heine era appunto «uno così»).
«Uno così» può e deve possedere un senso dell´ingiustizia diverso da
quello dei nostri politici dalla memoria corta. «Uno così» può e deve
avere un senso della giustizia incorruttibile. «Uno così» può e deve
insorgere contro le opinioni correnti, come Handke aveva fatto fin da
prima che iniziasse la guerra della Nato contro Belgrado. C´è da
chiedersi quanti di coloro che oggi lo trattano con sufficienza siano
stati a Rambouillet, e quanti si rammentino l´oggetto di quelle
trattative.
«Uno così» può e deve anche potersi comportare come gli dettano le
sue emozioni. E nessuno può seriamente biasimare Peter Handke se per
lui quella dei serbi è una questione molto personale e fortemente
sentita. O forse non è così? Forse è giusto biasimare chi ha il
coraggio di una totale franchezza e umanità, nel mondo freddo e
impersonale che è quello della politica? (E anche se così fosse, non
sarebbero comunque giustificate certe etichette e certe accuse che
rasentano il linciaggio morale). Il fatto che abbia detto una frase
di troppo (quell´infelice paragone tra i serbi e gli ebrei) lo ha
ammesso, e per iscritto, già da anni (un´ammissione apparsa anche sui
giornali tedeschi). All´epoca se ne prese atto senza alcuna replica.
Perché ora tutto questo viene tirato un´altra volta in ballo, come se
lo stesso Handke non avesse ritrattato quella frase?
Chi si accontenta di basarsi sul sentito dire, su voci o su fonti
anonime, non esita neppure un attimo a demonizzare un uomo come Peter
Handke. E sempre esaltante veder cadere un grande dall´altare nella
polvere. (Come nello sport, che pochi paesi seguono come il nostro.)
Ma il «lettore», che giudica con cognizione di causa (o meglio evita
di giudicare) non esiterà a schierarsi contro la denigrazione in
atto. Di fatto, non può che solidarizzare con il suo autore e dargli
manforte. Anche perché altrimenti «il suo leggere» ne uscirebbe
screditato.
Indubbiamente - su questo possiamo contare - sarà la storia a dire l
´ultima parola sui conflitti dell´ex Jugoslavia, da quelli secolari
ai più recenti, così come sul ruolo di Milosevic in queste vicende.
Ma se un autore insorge con veemenza in difesa dei serbi e contro la
tendenza a condannare in blocco un intero popolo, allora la Germania
in particolare dovrebbe usare estrema cautela delle sue reazioni e
argomentazioni. Mai come nel nostro caso i vicini e gli ex nemici
hanno dato prova di tanta buona volontà a fronte della passata
dominazione nazista. «Noi tedeschi» siamo stati perdonati. Fin dall
´indomani della guerra, quanta disponibilità a distinguere tra
responsabili e innocenti! E quanto ne abbiano approfittato!
Chi oggi si reca in Serbia (io ci sono stato nel marzo scorso) non
può non sentirsi profondamente sconcertato e turbato davanti al
profondo senso di disperazione per essere segnati a dito dal mondo
come «i cattivi». Anche per questo, in Germania più che altrove un
autore che insorge contro le condanne generalizzate dovrebbe essere
preso sul serio.
Ai membri della giunta comunale di Düsseldorf (che è la mia città,
ragion per cui mi sento particolarmente coinvolto) non posso che
raccomandare di diventare al più presto «lettori», e di non farsi
condizionare dai giudizi prefabbricati. La lettura è fonte di
coraggio, magari anche per dissociarsi dal voto del proprio gruppo
consiliare! Per favore, leggetelo, prima di giudicare se sia giusto
revocare a uno dei maggiori scrittori del nostro tempo una
distinzione che ha meritato - se posso dire la mia - più di chiunque
altro, precisamente a motivo del suo impegno politico.
(Anche se qualche volta può aver sbagliato nei suoi giudizi.
Anche se il suo intervento al funerale di Milosevic fosse stato un
errore. Ma può sbagliare uno che vuole solo essere un «testimone»,
perché ritiene che questo paese emarginato abbia bisogno di testimoni?)
Se Heinrich Heine avesse voce in capitolo, se potesse ancora una
volta «pensare alla Germania nella notte» (anzi, in questo caso a
Düsseldorf). Beh, non lo può più fare. Ma oserei dire che su una cosa
si può mettere la mano sul fuoco: Heine non esiterebbe un attimo a
schierarsi con il poeta coraggioso, caparbio, certo non infallibile
ma fedele alle proprie idee.
(Traduzione di Elisabetta Horvat)
=== 2 ===
Source: http://www.michelcollon.info/mailinglist_sp.php
Hay que salir ahora de la visión unilateral de la guerra. Los serbios
no son los únicos culpables.
Hablemos, pues, de Yugoslavia
Peter HANDKE
LIBERATION - QUOTIDIEN, miércoles 10 de mayo de 2006
Traducido del francés para Rebelión por Beatriz Morales Bastos
/Por fin, después de más de una década de un lenguaje periodístico en un
único sentido (y sin-sentido), parece que en Francia se ha creado una
apertura en la prensa /(1)/, y quizá no sólo en Francia, para hablar de
otra manera de Yugoslavia o, simplemente, para empezar a hablar de ella.
/
Parece que se ha vuelto posible un debate, una discusión, un discurso,
una disputa fructífera, un cuestionamiento en común, unos relatos que se
responden...Antes: la nada y otra vez la nada, difamaciones en vez de un
debate, expresadas por medio de palabras exclusivamente prefabricadas,
repetidas hasta el infinito, utilizadas como arma automática.
Agrandemos, pues, esta brecha o apertura, la primavera de las palabras.
Escuchémonos, por fin, los unos a los otros en vez de gritar y de ladrar
en dos campos enemigos. Pero también, no toleremos más a los seres (?),
a los malos (¡) espíritus (?) los cuales siguen lanzando, en el mágico
problema yugoslavo, las palabras-bala como "revisionismo", "apartheid",
"Hitler", "sangrienta dictadura", etc. Dejemos de hacer todo tipo de
comparaciones y de paralelismos en lo que concierne a las guerras en
Yugoslavia. Quedémonos con los hechos que, como hechos de una guerra
civil desencadenada o, al menos, coproducida por una Europa de mala fe
o, al menos, ignorante, una vez descubiertos son bastante terribles
desde todos los lados. Dejemos de comparar a Slobodan Milosevic con
Hitler. Dejemos de compararle a él y a su mujer, Mira Markovic, con
Macbeth y su Lady , o de establecer paralelismos entre la pareja y el
dictador Ceausescu y su mujer, Elena. Y no empleemos nunca más la
expresión "campos de concentración" para los campos instalados durante
la guerra de secesión en Yugoslavia.
Es verdad : entre 1992 y 1995 sobre el terreno de las Repúblicas
yugoslavas, sobre todo en Bosnia, existieron campos intolerables. Sólo
que dejemos de relacionar automáticamente en nuestras cabeza estos
campos con los bosnio-serbios: también había campos croatas y campos
musulmanes, y los crímenes cometidos ahí, y ahí, son y serán juzgados en
el Tribunal de La Haya. Y, por último, dejemos de relacionar las
masacres (entre las cuales, en plural, las de Srebrenica en julio de
1995, en efecto, son con mucho las más abominables) con las fuerzas o
los paramilitares serbios. Finalmente, escuchemos también a los
supervivientes musulmanes de las masacres en los numerosos pueblos
serbios alrededor de Srebrenica¬ la musulmana , masacres cometidas y
repetidas durante los tres años previos a la caída de Srebrenica,
masacres dirigidas por el comandante de Srebrenica que en julio de 1995
dirigió una venganza infernal, vergüenza eterna para los responsables
bosnio-serbios de la gran matanza, y por una vez la repetida palabra
está bien utilizada, "/la mayor de Europa desde la Segunda Guerra
Mundial/"/, /añadiendo, con todo, la siguiente información: que todos
los soldados u hombres musulmanes de Srebrenica que huyeron de Bosnia a
Serbia atravesando el río Drina, la frontera entre ambos Estados, huidos
a Serbia, país entonces bajo la autoridad de Milosevic, que todos estos
soldados que llegaban a la Serbia digamos enemiga, se salvaron, ahí no
hubo matanza o masacre.
Sí., escuchemos, tras haber escuchado a "las madres de Srebrenica",
escuchemos también a las madres o a una sola madre del pueblo de
Kravica, serbio, al lado, contar la masacre de las Navidades ortodoxas
en 1992-1993, cometida por las fuerzas musulmanas de Srebrenica, una
masacre también contra mujeres y niños de Kravica (crimen único para el
que la palabra genocidio es adecuada).
Y dejemos de asociar ciegamente a los "/snipers/" [francotiradores] de
Sarajevo con los "/serbios/": la mayoría de los cascos azules franceses
asesinados en Sarajevo eran víctimas de tiradores musulmanes. Y dejemos
de relacionar el asedio (horrible, estúpido, incomprensible) de Sarajevo
exclusivamente con el ejército bosnio-serbio: en el Sarajevo de los años
1992-1995 la población serbia permanecía bloqueada por decenas de miles
en los barrios centrales como Grbavica que, a su vez, eran asediados, y
¡cómo!, por las fuerzas musulmanas. Y dejemos de atribuir las
violaciones únicamente a los serbios. Y dejemos de relacionar las
palabras unilateralmente, como el perro de Pavlov. Ampliemos la
apertura. Que la brecha no se obture nunca más con palabras podridas y
envenenadas. Queden fuera los malos espíritus. Abandonad por fin el
lenguaje. Aprendamos el arte de la pregunta, viajemos al país sonoro, en
nombre de Yugoslavia, en nombre de otra Europa. Viva la otra Europa.
Viva Yugoslavia. /Zinela Yugoslavija.
/Peter Handke es escritor y dramaturgo.
(1) Véase, entre otros, los artículos de Brigitte Salino y de Anne Weber
en /Le Monde/ del 4 de mayo, el comentario de Pierre Marcabru en /Le
Figaro/ del mismo día y el llamamiento de Christian Salmon en el
/Libération/ del 5 de mayo.
Mas (en francés ) sobre Jugoslavia : <http://www.michelcollon.info>
=== 3 ===
http://archivio.corriere.it/archivio/buildresults.jsp
Corriere della Sera
sabato, 3 giugno, 2006
Dietrofront su Handke «Il premio sarà annullato»
Wenders lo difende: «È un poeta, ragiona senza compromessi»
Il Comune di Düsseldorf ritirerà i fondi per l' Heine Preis. «Lo
scrittore è filoserbo»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE BERLINO - Diventa tormento nazionale in
Germania, terreno di feroce polemica e scambi di accusa tra politici
e intellettuali, la vicenda dell' assegnazione del Premio Heinrich
Heine allo scrittore austriaco Peter Handke. Definita scandalosa e
condannata da più parti, a causa del sostegno dato da Handke alla
causa filoserba e personalmente a Slobodan Milosevic, da lui difeso e
onorato fino alla tomba, la decisione è stata presa di mira dal
Consiglio comunale di Düsseldorf, la città dove ha sede il premio,
che ha fatto sapere di volerla annullare, anche bloccando il
finanziamento dei 50 mila euro della dotazione. Una mossa senza
precedenti, che ha spinto ieri due membri della giuria letteraria a
dimettersi dall' incarico, denunciando l' ingerenza dei politici e la
«caccia alle streghe» scatenata contro Handke, definito «uno dei più
significativi autori contemporanei». Si difende lo scrittore, nell'
intervento pubblicato in questa pagina, chiarendo e in parte
aggiustando il tiro su alcune ambiguità del passato. Intervengono a
suo favore il regista Wim Wenders e la sezione tedesca del Pen Club,
l' associazione degli scrittori, che parla di «spettacolo indegno»
offerto dalle autorità di Düsseldorf, pronte a delegittimare e
diffamare una giuria di loro scelta, in nome del politicamente
corretto. Una scelta sbagliata, uno sberleffo alle vittime della
pulizia etnica nei Balcani, un riconoscimento all' avvocato dei
tiranni, il più irriducibile difensore del boia Milosevic sul cui
feretro egli ha depositato una rosa rossa e tenuto l' orazione
funebre: così era stato bollato nelle scorse settimane l' annuncio
che Handke avrebbe ricevuto il prestigiosissimo Heine Preis. Giornali
come Die Welt, premier regionali come quello del Nord Reno-Vestfalia,
Jürgen Rüttgers, leader femministe come Alice Schwarzer, perfino il
capo dei Verdi, Fritz Kuhn, avevano contestato l' assegnazione del
premio all' autore di «Un viaggio d' inverno», 1995, celebre racconto
di viaggio nella Serbia in guerra, dove, ecco una delle accuse,
taceva sulle stragi di massa, mentre descriveva la dolce e struggente
bellezza del paesaggio. Ma quando, come a un segnale convenuto, anche
i consiglieri comunali di Düsseldorf si sono adeguati all' opinione
prevalente annunciando il dietro front, l' incendio polemico è
divampato. A chi abbia davvero letto i lavori di Handke, scrive
Wenders sulla Süddeutsche Zeitung, «non solo gli scritti sull' ex
Jugoslavia degli ultimi 15 anni, ma quelli di 40 ricchissimi anni,
non sfuggirà certo che si tratta di un grande poeta, un pensatore, un
umanista anche, che ha ragionato in modo audace e senza compromessi
sul nostro tempo e ha reinventato la nostra lingua». Uno così,
continua il regista, «non è un fascista, non è di destra, né di
sinistra, ma in quanto autore è semplicemente se stesso. Questo onore
bisogna meritarlo, Heine era uno così». Wenders ricorda che lo stesso
Handke ha ritirato, scusandosi, le sue affermazioni più controverse,
come quella in cui paragonò il destino dei serbi a quello degli
ebrei. E conclude: «Se Heine potesse ancora esprimersi, se di notte
potesse riflettere sulla Germania, o su Düsseldorf, oso pensare che
starebbe dalla parte del poeta, ostinato, tenace, coraggioso, anche
se non libero da errori e sbagli». Ma il gesto più clamoroso sono le
dimissioni dalla giuria del premio della critica austriaca, Sigrid
Löffler e del docente di letteratura francese, Jean-Pierre Lefevre.
«Non vogliamo più appartenere a un collegio che non è in grado di
attenersi alla proprie decisioni» scrivono in una lettera pubblicata
dal quotidiano bavarese. Formata da 17 persone, 12 esperti più 5
rappresentanti del Comune, la giuria aveva votato per 12 a 5, quindi
con una maggioranza dei due terzi, a favore di Handke. «Nessuno -
spiegano i dimissionari - vuole minimizzare le azioni bizzarre di
Handke nella vicenda Milosevic, né condividerne le posizioni sui
Balcani. Ma le sue vedute dissenzienti non possono in alcun modo
giustificare la cieca aggressività con cui un autore viene isolato
umanamente e politicamente, ridotto al silenzio e danneggiato».
Valentino Paolo
L'Otan a commis des crimes de guerre et écologiques |
Sriram Gopal et Nicole Deller |
Titre original de l'étude: Bombardements de précision, étendue des dommages : Problèmes écologiques et juridiques liés aux « bombardements de précision » |
|
IEER | Énergie et Sécurité No. 24 http://www.ieer.org/ensec/no-24/no24frnc/yugo.html Note de la rédaction: Le 5 novembre 2002, l'IEER (Institut de recherche sur l'énergie et l'environnement) a publié un rapport relevant les problèmes juridiques et écologiques relatifs aux soi-disant bombardements de précision des sites industriels yougoslaves en 1999. Le rapport, intitulé Bombardement de précision, étendue des dommages : deux études de cas des bombardements des installations industrielles de Pancevo et Kragujevac au cours de l'opération « Force alliée » («Allied Force»), en Yougoslavie, en 1999 souligne le risque que le bombardement d'installations industrielles civiles peut entraîner une contamination très difficile à éliminer et peut enfreindre le droit international humanitaire. La recherche de l'IEER, résumée dans cet article, soulève également des questions importantes pour les conflits à venir, notamment pour une éventuelle guerre contre l'Irak*. Pour plus de précisions, veuillez vous reporter au rapport complet.2 Cette étude a été motivée par les questions relatives à l'impact sanitaire et écologique de la guerre moderne. Notre principal objectif en abordant ce problème visait à établir si l'utilisation d'armes de précision (armes conçues pour frapper une cible précise, avec peu ou pas de dommages collatéraux) est synonyme de précision en termes de dommages. Les dommages sont-ils limités à l'objectif mis en avant pour le bombardement ? Dans le cas contraire, quelles sont les implications écologiques et légales découlant des destructions sans discernement, résultant des armes de précision qui ont atteint leur cible ? Le 23 mars 1999, les 19 pays de l'OTAN (Organisation du Traité de l'Atlantique Nord) ont autorisé des frappes aériennes contre la Yougoslavie. Le lendemain commençait l'opération « Force alliée ». Cette campagne marquait le deuxième engagement de l'OTAN dans une opération offensive au cours des 50 années de son existence.3 Au cours de l'opération « Force alliée », des éléments vitaux de l'infrastructure industrielle de la Yougoslavie ont été délibérément visés et bombardés par les forces de l'OTAN. Ceci a eu un double effet sur les populations civiles locales. Premièrement, des installations vitales, comme par exemple des installations de traitement des eaux usées, ont été mises hors de fonctionnement. Deuxièmement, la pollution persistante, occasionnée par la destruction des installations, n'a pas été traitée pendant des mois, et risque de toucher un grand nombre de civils sur une zone très étendue au cours des années prochaines. Impacts sur l'environnement Notre rapport examine quelques-uns des effets sur l'environnement des bombardements pendant la guerre OTAN-Yougoslavie de 1999, principalement à partir de deux études de cas. Ces deux cas particuliers de bombardements de l'OTAN sont examinés afin d'étudier le type et l'ampleur des dommages causés à l'environnement par un bombardement de précision. Nous avons sélectionné ces deux cas en fonction des critères suivants : une cible géographique précise a été choisie bien avant le passage de bombardement ; le passage de bombardement a réussi à détruire la cible en question, et l'explosion a causé très peu de dommages sur les installations non visées ; les pertes directes des forces de l'OTAN, du fait des passages de bombardement, ont été nulles et le nombre de victimes civiles immédiates a été faible. Nos études de cas s'appuient sur les informations fournies par le Groupe spécial pour les Balkans du Programme des Nations unies pour l'Environnement (United Nations Environmental Program Balkans Task Force - UNEP/BTF), qui a étudié les deux sites choisis : les installations industrielles de Pancevo et l'usine Zastava de Kragujevac. Ces deux sites figurent parmi les quatre classifiés par le PNUE comme « points chauds » écologiques à la suite des bombardements.4 Nos efforts de recherches limités se sont heurtés à un nombre important de problèmes imprévus. La Yougoslavie a été prise dans une tourmente politique pendant l'essentiel de la dernière décennie, et il s'est avéré beaucoup plus difficile que prévu initialement d'accéder aux données de base. De plus, le manque d'accès aux informations ne s'est pas limité à la Yougoslavie. Une demande a été déposée par l'IEER auprès du Département américain de la Défense dans le cadre de la Loi sur la liberté d'accès à l'information (Freedom of Information Act), pour obtenir les informations relatives aux critères utilisés pour le ciblage au cours de l'opération « Force alliée ». En guise de réponse, nous avons reçu 42 pages blanches portant l'inscription « déclassifiées » mais par ailleurs totalement dépourvues d'information. Même les noms des installations pour lesquelles les informations étaient demandées étaient absents de ces pages. L'appel que nous avons formé ultérieurement auprès du Département de la Défense a été rejeté. Par ailleurs, en 2002, le General Accounting Office, l'organisme chargé des missions d'enquête pour le Congrès des Etats-Unis, a préparé une analyse de la campagne de bombardement de 1999 en Yougoslavie, qui est restée classée "secret défense" par le Département américain de la Défense. Pancevo Pancevo est une ville industrielle d'une population de 80 000 à 90 000 habitants. Elle se trouve dans la province de Voïvodine en république de Serbie qui faisait partie de l'ancienne République fédérale de Yougoslavie. Elle est située à 20 kilomètres au nord-est de la capitale, Belgrade (1,2 million d'habitants), au confluent du Tamis et du Danube. Le complexe industriel s'étend sur environ 290 hectares au sud et au sud-est de Vojlovica, une importante zone résidentielle de Pancevo. Ce complexe accueille des installations qui sont identifiées sous le nom de l'usine d'engrais chimiques HIP Azotara, l'usine pétrochimique HIP Petrohemija, et la raffinerie de pétrole NIS. Les trois usines emploient 10 000 personnes et donc, représentent les principaux employeurs pour l'ensemble de la région de Pancevo. Plusieurs petits villages sont situés directement au sud du complexe industriel. L'usine pétrochimique et la raffinerie de pétrole sont reliées au Danube par un canal de 1,8 km de long qui sert au rejet des eaux usées traitées. L'usine d'engrais utilise un canal de drainage adjacent. Avant le conflit, les eaux usées provenant de l'usine pétrochimique étaient traitées par un procédé en deux étapes (séparation et traitement biologique) avant d'être rejetées dans le canal des eaux usées. Cette installation était considérée comme l'installation de traitement des eaux usées la plus moderne et la plus efficace de l'ex-Yougoslavie. Une station de prélèvement d'eau potable est située juste en amont du site industriel de Pancevo sur le Danube, près du confluent du Tamis avec le Danube. Ce point de prélèvement d'eau potable dessert la majorité de la population de la région située autour de Pancevo. Toutefois, une proportion relativement élevée de la population (environ 5 % en ville et 10 % dans les villages avoisinants) utilise des puits privés pour l'eau potable, les cultures et les jardins. La zone avoisinant le complexe industriel de Pancevo souffrait déjà d'une pollution chronique avant les bombardements de 1999. Par exemple, des prélèvements du sol et des eaux souterraines pris sur le site de l'usine pétrochimique ont révélé la présence de solvants chlorés (par exemple, le trichlorométhane, le tétrachlorométhane, le trichloroéthane, le dichloroéthylène, le trichloroéthylène, et autres) qui sont des sous-produits non désirables souvent associés à la production du PVC (polychlorure de vinyle). A la raffinerie, il existait déjà une pollution par le pétrole avant les bombardements. De plus, des éléments témoignent d'un déversement de mercure antérieur aux bombardements de l'OTAN, beaucoup plus important que celui occasionné par ceux ci, et d'une contamination par les PCB (polychlorures de biphényle) dans le canal d'évacuation. Finalement, il y a eu, quelques années avant le conflit, un important déversement de 1,2-dichloroéthane. Tous ces facteurs sont venus entraver les tentatives d'évaluation de l'impact de la contamination résultant exclusivement des bombardements. Les bombardements des installations de Pancevo ont duré plusieurs semaines et ont profondément perturbé la vie à Pancevo. On estime qu'environ 40 000 personnes ont quitté la ville après un premier bombardement du complexe pétrochimique en avril 1999 dont 30 000 ne sont revenues qu'en juin, après la fin des bombardements. De plus, une interdiction temporaire a été imposée sur la pêche dans le Danube près de Pancevo jusqu'à l'automne de la même année. En outre, le ministère serbe de la Protection de l'environnement humain a recommandé de ne consommer aucune denrée cultivée dans les zones autour de Pancevo, puisque des pluies abondantes avaient lessivé la suie et les autres matières émises par les incendies à Pancevo sur les zones agricoles avoisinantes. L'usine pétrochimique a été bombardée les 15 et 18 avril 1999. Il existe quatre problèmes écologiques majeurs directement liés aux bombardements de l'usine pétrochimique HIP Petrohemija par l'OTAN. Le 18 avril, une cuve de stockage de chlorure de vinyle a été touchée par une bombe de l'OTAN, enflammant les 440 tonnes de matériaux stockés à l'intérieur. Vingt tonnes supplémentaires de ce carcinogène reconnu, entreposées dans des wagons pour le transport, ont par ailleurs été incendiées. Il faut également noter qu'il y avait deux cuves de stockage de chlorure de vinyle sur le site, une vide et une pleine ; seule la pleine a été détruite. Lors de l'endommagement indirect par les bombardements de cuves de stockage de 1,2-dichloroéthane, 2 100 tonnes de ce produit chimique se sont déversées : une moitié dans le sol, une autre dans le canal d'évacuation. L'usine de chlore et de soude a été très endommagée, laissant échapper 8 tonnes de mercure métallique dans l'environnement. La majorité (7,8 tonnes) a été déversée à la surface du site alors que les 200 kilogrammes restant se sont répandus dans le canal d'évacuation. La plus grande partie du produit qui a été déversé sur le sol a été récupérée, mais ce n'est pas le cas pour le mercure qui s'est répandu dans le canal. L'usine de traitement des eaux usées qui était utilisée par la raffinerie et l'usine pétrochimique a été sérieusement endommagée au cours du conflit. Les dégâts ont été provoqués par un afflux soudain dans l'usine d'une quantité de matières dépassant sa capacité. En avril 2001, près de deux ans après la fin des bombardements, l'usine de traitement ne fonctionnait qu'à 20 % de sa capacité. Le réceptacle le plus important de tous ces polluants a été le canal d'évacuation qui se jette dans le Danube, le cours d'eau le plus important de cette région. Des trois cibles de l'OTAN, situées dans le complexe industriel de Pancevo, la raffinerie a été celle la plus bombardée. Elle l'a été à plusieurs reprises en avril 1999 et encore le 8 juin 1999. De nombreuses cuves de stockage et conduites ont été détruites par les bombardements. Environ 75 000 tonnes de pétrole brut et de produits pétroliers ont brûlé et 5 à 7 000 tonnes se sont répandues sur le sol et dans le réseau d'assainissement. Les déversements ont contaminé 10 hectares de sol à l'intérieur du complexe de la raffinerie. Comme l'usine pétrochimique, l'usine d'engrais HIP Azotara a été bombardée à deux reprises, les 15 et 18 avril 1999. Le personnel de l'usine a fait savoir aux inspecteurs du PNUE/GSB que la cuve de stockage, qui contenait 9 600 tonnes d'ammoniaque avant les bombardements, suscitait une grande inquiétude. Si cette cuve avait été atteinte par une bombe, elle aurait rejeté suffisamment d'ammoniaque pour entraîner la mort de nombreuses personnes dans la zone avoisinante. La fabrique HIP Azotara ne possédait pas la capacité de transférer l'ammoniaque à un autre emplacement. C'est pourquoi la production d'engrais a été augmentée au cours des premiers jours de bombardement (qui ont commencé le 4 avril 1999) dans l'espoir de réduire la quantité d'ammoniaque entreposée. Au moment de la première attaque, la quantité d'ammoniaque restant en stock était approximativement de 250 tonnes. L'ammoniaque entreposée a été rejetée intentionnellement dans le canal d'évacuation pour empêcher sa dispersion dans l'atmosphère après une explosion. Ceci a été fait après que la cuve d'ammoniaque a été touchée par les débris d'une autre explosion. Outre ce rejet d'ammoniaque, 200 à 300 tonnes d'ammonitrates, de phosphates et de chlorure de potassium se sont échappées ou ont brûlé à la suite de dommages subis par les cuves de stockage lors des bombardements (la proportion de matières répandues par rapport à celle qui a brûlé n'est pas connue). Finalement, des wagons transportant 150 tonnes de pétrole brut ont aussi été touchés et aucune tentative n'a été faite pour éteindre les feux. Les tableaux ci-dessous donnent des exemples du type de pollution qui a résulté, au moins partiellement, de ces rejets. Malheureusement, il est impossible à ce stade de parvenir à des conclusions définitives sur l'impact que ces rejets auront sur la santé du public et sur l'environnement. Des programmes de suivi et des évaluations sanitaires ont commencé mais, ces programmes n'en sont qu'à leurs étapes initiales et les données recueillies jusqu'à présent n'ont pas été rendu publiques. Kragujevac Kragujevac (150 000 habitants) est une ville industrielle située en Serbie centrale qui accueille le complexe industriel Zastava. Le complexe est en fait composé de dizaines de sociétés plus petites et sa production est très diversifiée, depuis l'outillage lourd jusqu'aux voitures, aux camions et aux fusils de chasse. A une certaine époque, l'usine fabriquait du matériel lourd et des armes pour l'armée mais, selon la direction de l'usine, ce n'était pas le cas au moment des bombardements. Avant les sanctions économiques (qui ont commencé fin 1991 et se sont poursuivies jusqu'en septembre 2001), c'était l'une des plus grandes installations industrielles des Balkans et de ce fait l'usine jouait un rôle énorme dans la vie des habitants de la ville. L'usine Zastava a été bombardée à deux reprises, une fois le 9 avril, et à nouveau le 12 avril 1999, et atteinte par 12 bombes au total.5 La centrale électrique, la chaîne d'assemblage, l'atelier de peinture, le centre informatique et l'usine de camions tous ont subi de lourds dommages ou ont été complètement détruits. De ce fait la production a été totalement interrompue. La totalité des dommages subis par le complexe a été estimée à un milliard de deutsche marks (environ 500 millions d'euros), selon des représentants officiels de l'usine. Dans l'année qui a suivi les bombardements, le gouvernement Milosevic a dépensé 80 millions d'euros pour reprendre la production à l'usine automobile. L'usine automobile emploie actuellement 4500 personnes. A son maximum, 30 000 personnes y travaillaient. Au début 2001, les prévisions de production pour l'année étaient de 28 000 automobiles et de 1 400 camions. C'est le double du nombre des véhicules produits en 2000, mais loin des 180 000 véhicules produits en 1989. La chute de la production peut être attribuée à plusieurs facteurs, notamment l'effondrement de la Yougoslavie et les sanctions appliquées au pays lors du régime de Milosevic. Les transformateurs à deux endroits de l'usine Zastava ainsi que l'atelier de peinture et la centrale électrique, ont été endommagés et de l'huile de PCB s'est répandue dans les zones avoisinantes. Dans l'atelier de peinture, une zone utilisée pour peindre les automobiles après leur assemblage, environ 1400 litres (2150 kilogrames) d'huile de pyralène, une huile de transformateur contenant un mélange de trichlorobenzènes et de PCB, s'est répandue sur le sol et dans des puits à déchets contenant 6 000 mètres cubes d'eaux usées. Le transformateur de la centrale électrique était situé à proximité d'une bouche d'évacuation des eaux de pluie. Une partie de l'huile s'est donc probablement échappée jusque dans la rivière Lepenica par le biais du réseau d'assainissement, mais il n'est pas possible d'en préciser la quantité. Outre ces deux zones directement touchées par les bombardements, il y a plusieurs fûts de sable contaminé dans la zone de stockage des déchets qui ont été prélevés de la fosse de gravier située en dessous du transformateur dans la centrale électrique après les bombardements. De nombreux fûts de déchets sans rapport avec les bombardements, qui n'ont pas été identifiés correctement et dont l'état se détériore, sont également entreposés à cet endroit. Dans les trois jours qui ont suivi les bombardements, l'Institut de santé publique de la ville a prélevé 21 échantillons d'eau autour de Kragujevac. Des produits chimiques toxiques ont été détectés dans les échantillons le premier et le second jour, mais aucun le troisième jour. Ces données n'ont pas été rendues publiques et nous ne savons donc pas quelles substances toxiques précises ont été analysées. Les gens de la région s'inquiètent d'une éventuelle contamination parce que les tests de dépistage d'une contamination en PCB n'ont pas été réalisés sur certains puits de la zone. Rien ne permet de conclure qu'il y a eu un apport direct de PCB par les eaux souterraines. Toutefois, les inondations qui sont intervenues en juillet 1999 ont pu répandre des polluants des cours d'eau dans les zones agricoles à basse altitude avoisinantes. Du fait d'une décennie de conflits, d'absence de transparence, de la récession économique et des autres problèmes de la Yougoslavie d'après-guerre, il est difficile de formuler des conclusions fiables sur les conditions environnementales à Kragujevac. Heureusement, les zones contaminées à l'intérieur de l'usine, présentant le plus grand risque pour la santé des travailleurs, ont été assainies. L'inhalation constitue l'une des principales voies d'exposition au PCB en milieu professionnel. Le nettoyage des fosses de déchets et l'enlèvement du béton contaminé limite énormément le niveau d'exposition des travailleurs. Etant donné le nombre d'incertitudes et le manque général d'informations sur la quantité de produits polluants rejetés dans l'environnement avoisinant l'usine Zastava, il est impossible de parvenir à une conclusion quelconque. Il est donc urgent de mettre en œuvre une mission de prélèvement et de suivi. Problèmes juridiques Le droit international admet que "Dans tout conflit armé, le droit des Parties au conflit de choisir des méthodes ou moyens de guerre n'est pas illimité."6 Les lois internationales qui s'appliquent à notre analyse de l'utilisation de la force par l'OTAN en Yougoslavie comprennent les Conventions de Genève de 1949 et le Protocole additionnel I aux Conventions de Genève. Tous les Etats membres de l'OTAN ont signé et ratifié les Conventions de Genève et sont liés par leurs clauses.7 En ce qui concerne le Protocole I, tous les Etats de l'OTAN en étaient membres au moment des bombardements, à l'exception des Etats-Unis (qui sont signataires), de la France (qui a rejoint le traité en 2001), et de la Turquie (qui ne l'a pas signé). Le droit coutumier représente une autre source de droit applicable à ce conflit. Le droit coutumier repose sur une pratique générale et constante des Etats qui résulte d'un sens d'obligation légale. Le droit coutumier est particulièrement pertinent dans cette discussion parce que nombre de règles qui sont codifiées dans les Conventions de Genève et le Protocole I sont considérées comme du droit coutumier ; un Etat peut être lié par un droit coutumier, même s'il a refusé d'être partie au traité en cause. Analyse des clauses des Traités Les Conventions de Genève de 1949 interdisent aux Etats la destruction de biens sauf si "des nécessités militaires impérieuses l'exigent." La nécessité militaire est elle-même un terme vague, et les Etats ont toute latitude pour argumenter que dans la mesure où une action a fait avancer leur stratégie, il y avait donc une nécessité militaire. L'exigence d'un "objectif militaire" Le Protocole I codifie le principe de discrimination, qui impose aux parties de "faire en tout temps la distinction entre la population civile et les combattants ainsi qu'entre les biens de caractère civil et les objectifs milita0ires et, par conséquent, ne diriger leurs opérations que contre des objectifs militaires." Le respect de ces clauses en ce qui concerne les bombardements de Pancevo et Kragujevac dépend de la détermination de leur objectif militaire. Quel était l'objectif militaire dans le cas de ces bombardements ? On peut certainement mettre en avant que la raffinerie de pétrole fournissait du pétrole pour les opérations militaires mais est-ce également vrai pour une fabrique d'automobiles, une usine pétrochimique ou une usine d'engrais ? Dans les interviews, les représentants officiels à Kragujevac et Pancevo ont indiqué que leurs usines n'avaient aucune valeur militaire stratégique directe. Les critères spécifiques qui ont présidé au choix des cibles en Yougoslavie n'ont pas été rendus publics. Comme nous l'avons déjà indiqué, notre demande auprès du Département américain de la Défense des documents précisant l'objectif militaire dans le choix de ces usines comme cibles a été refusée. Les critères généraux de la politique de ciblage de l'US Air Force sont les suivants : Une cible doit répondre aux critères d'objectif militaire avant de pouvoir devenir légitimement l'objet d'une attaque militaire. Dans ce contexte, les objectifs militaires comprennent les objets dont la nature, l'emplacement, le dessein ou l'utilisation apportent une contribution concrète à l'action militaire ou dont la destruction totale ou partielle, la capture ou la neutralisation offre un avantage militaire bien déterminé. Le facteur essentiel est de savoir si l'objet contribue à la capacité de combat ou de résistance militaire de l'ennemi. Par conséquent, un bénéfice ou un avantage militaire identifiable doit découler de la dégradation, de la neutralisation, de la destruction, de la capture ou de la perturbation de l'objet.8 L'US Air Force admet qu'il "existe une controverse sur le fait de savoir si, et dans quelles circonstances, d'autres objets [civils] [...] peuvent être bel et bien classés comme objectifs militaires." Le facteur principal dans la détermination du statut d'un objet tient au fait de savoir si "l'objet apporte une contribution réelle à l'action militaire de l'adversaire." En utilisant ces critères, l'US Air Force détermine que des objets tels que des dépôts d'hydrocarbures sont des cibles militaires légitimes.9 Toutefois, elle établit également que "des fabriques, ateliers et usines qui subviennent directement aux besoins des forces armées de l'ennemi sont également généralement considérés comme des objectifs militaires légitimes." (C'est nous qui soulignons.) Les éléments concrets qui servent d'arguments au ciblage doivent être rendus publics de façon à garantir la possible mise en œuvre d'un contrôle civil des activités militaires. De graves questions continuent de se poser sur la légalité des bombardements de Pancevo et Kragejuvac, qui ne peuvent être tranchées de façon satisfaisante tant que les éléments de cet ordre ne sont pas connus. L'exigence de "Précautions pratiquement possibles" L'Article 57 du Protocole complémentaire I stipule de "prendre toutes les précautions pratiquement possibles quant au choix des moyens et méthodes d'attaque en vue d'éviter et, en tout cas, de réduire au minimum les pertes en vies humaines dans la population civile, les blessures aux personnes civiles et les dommages aux biens de caractère civil qui pourraient être causés incidemment." L'expression "Pratiquement possibles" a été interprétée comme "prendre les mesures d'identification nécessaires en temps et lieu voulus pour épargner autant que possible la population." Le fait que ces précautions aient été prises ou non relève d'une enquête sur les faits précis, qui n'a pas encore abouti. Protection de l'environnement Outre ces dispositions qui sont mises en balance avec la nécessité militaire, le Protocole I apporte des protections plus spécifiques aux civils, à leurs biens et à l'environnement. Une clause particulièrement importante pour la protection de l'environnement est l'Article 35 qui interdit l'utilisation des armes qui, par leur nature même, causent "des maux superflus" et sont des moyens de guerre qui "sont conçus pour causer ou dont on peut s'attendre qu'ils causeront, des dommages étendus, durables et graves à l'environnement naturel.". Malheureusement, le Protocole I ne définit pas les qualificatifs "étendus, durables et graves." Ces termes apparaissent également dans le traité sur la modification de l'environnement (ENMOD),10 et ont été interprétés en lien avec ce traité. Bien que ces définitions n'étaient pas destinées à s'appliquer au Protocole I, elles peuvent fournir un certain éclairage : 'étendus' qui touche une zone qui s'étend sur plusieurs centaines de kilomètres carrés ; 'durables' qui durent pendant plusieurs mois, ou approximativement une saison ; 'graves' qui entraînent une perturbation ou un préjudice sérieux ou significatif à la vie humaine, aux ressources naturelles et économiques ou à d'autres biens.11 Il semblerait que les attaques des installations industrielles du type de celles décrites dans notre rapport soient interdites en application de ces critères. Les dommages étaient étendus parce que la pollution de l'air, causée par les bombardements de Pancevo, a voyagé sur des centaines de kilomètres jusqu'à Xanthi, en Grèce. Les effets sont durables parce que les demi-vies de certains des produits chimiques sont de l'ordre de plusieurs décennies. Enfin, les effets des attaques peuvent être considérés comme graves du fait de la perturbation économique qui a résulté des bombardements et des dommages potentiels aux cours d'eau situés autour ou adjacents aux installations. Le Protocole I interdit également catégoriquement les attaques sur toute une liste d'ouvrages et installations qui contiennent des "forces dangereuses" : barrages, digues et centrales nucléaires de production électrique, "lorsque de telles attaques peuvent provoquer la libération de forces dangereuses et, en conséquence, causer des pertes sévères dans la population civile." (Article 56) Cette clause interdit également d'attaquer d'autres objectifs militaires situés au même endroit ou à proximité de ces ouvrages et qui présenteraient les mêmes risques. Les usines chimiques ne sont pas mentionnées parmi les ouvrages ou installations protégés, par conséquent les bombardements ne violeraient donc pas ces dispositions. Toutefois, le principe sous-jacent à cette clause est de protéger les installations contenant des forces dangereuses. On peut très bien soutenir que les usines chimiques présentent un danger comparable aux facilités indiquées puisque, dans certains cas, la persistance et les risques sanitaires issus des produits chimiques sont comparables, par exemple, à ceux des radionucléides. Si les attaques des usines chimiques occasionnent les mêmes risques que les attaques spécifiquement interdites dans le cadre du traité, elles peuvent probablement être considérées comme étendues, durables et graves, et violent ainsi d'autres dispositions du traité mentionnées plus haut. Il se peut également que le bombardement de Pancevo ait violé l'Article 56 parce qu'il présentait un danger à une centrale nucléaire située dans un pays non belligérant, la Bulgarie. Six tranches nucléaires sont présentes sur le site de Kozloduy en Bulgarie, en aval de la Yougoslavie le long du Danube. Des problèmes d'exploitation peuvent potentiellement se poser si des polluants dans le Danube entravent l'activité des systèmes de refroidissement du condenseur de la centrale. Le risque de perturbation du fonctionnement de la centrale nucléaire et le potentiel élevé d'accident résultant du déversement de pétrole dans le Danube étaient connus à l'époque. L'IEER avait soulevé la question dans un communiqué de presse le 11 mai 1999, alors que se déroulaient les bombardements.12 Analyse du droit coutumier Bien que notre analyse montre que les bombardements constituaient vraisemblablement une violation de plusieurs dispositions du Protocole I, les Etats-Unis, qui ont été les principaux auteurs de ces bombardements, n'ont pas ratifié le traité, et ne sont donc pas liés par ses obligations. Ces restrictions ne peuvent s'appliquer aux Etats-Unis que si elles peuvent également être considérées comme des protections garanties par le droit coutumier. Les Etats-Unis ont admis que, parmi les règles générales de protection des populations civiles, beaucoup relèvent du droit coutumier. Toutefois, les Etats-Unis ne considèrent pas les règles de protection en matière d'environnement du Protocole I comme en faisant partie. Malgré les objections américaines, ces règles de protection de l'environnement sont généralement considérées comme ressortissant du droit coutumier. La clause sur l'environnement du Protocole I a été reprise dans un traité de 1980 sur certaines armes conventionnelles ;13 les règles de protection de l'environnement pendant un conflit armé ont été codifiées dans le statut créant la Cour criminelle internationale, et ont été reconnues comme une norme existante par la Cour internationale de justice. Pour que les Etats-Unis ne soient pas liés par le droit coutumier, ils ont du systématiquement contester l'existence de cette règle, un argument que les Etats-Unis peuvent présenter. Néanmoins, dans certains cas, le droit coutumier devient suffisamment universel pour se transformer en une sorte de norme impérative auquel un Etat ne peut s'opposer.14 Il est peut-être prématuré de considérer que cette norme a atteint ce statut "impératif". Il est clair, cependant, qu'un changement est intervenu au cours des dernières années dans la perception de l'importance qui doit être attribuée à l'environnement au cours d'une guerre. Nous considérons que les Etats-Unis, en tant que première puissance économique et militaire, devraient respecter ces normes, et devraient adhérer à l'interdiction des armes et moyens de guerre susceptibles d'infliger de graves dommages à l'environnement. Il existe une autre raison de tenir les pays de l'OTAN responsables des dommages occasionnés par les bombardements de Pancevo et de Kragujevac : en effet, à l'époque, 16 des 19 pays membres de l'OTAN étaient parties au Protocole complémentaire I. En supposant que les Etats-Unis soient le principal responsable des bombardements de Pancevo et Kragujevac, les membres de l'OTAN qui ont directement ou indirectement permis ces bombardements peuvent être considérés comme parties prenantes selon le principe de complicité dans la mesure où ils étaient informés des actions des Etats-Unis. L'autorité de l'OTAN dans l'usage de la force En dehors des questions spécifiques relatives aux méthodes de guerre, les bombardements en Yougoslavie soulèvent plus largement la question de savoir si l'OTAN disposait de l'autorité nécessaire à tout emploi de la force en Yougoslavie. La campagne aérienne de l'OTAN en Yougoslavie a été critiquée par plusieurs parties la considérant comme un recours illégal à la force, puisqu'elle n'a pas été autorisée par le Conseil de sécurité des Nations unies, et parce qu'il n'y avait pas eu d'attaque armée dirigée contre les Etats de l'OTAN justifiant une autodéfense individuelle ou collective. Selon la Charte des Nations unies, il s'agit des deux seules circonstances qui permettent le recours à la force. Sur le fond, la "justification" de l'intervention n'était pas d'ordre légal mais humanitaire : même si le droit international ne permettait pas le recours à la force, celui-ci a été toléré parce que ces actions étaient destinées à répondre à une grave crise humanitaire. Un système qui n'oblige pas les Etats à rester passifs face à de telles crises peut avoir du mérite, mais il y est aussi important d'imposer des limites sur le recours à la force de façon à empêcher l'érosion du système international destiné à maintenir la sécurité. Recommandations Les recommandations de l'IEER concernant l'impact juridique et écologique d'une guerre moderne sont résumées ci-dessous. Nous les adressons à l'OTAN, au gouvernement américain et aux personnes et organisations non gouvernementales concernées. L'ensemble de la question des bombardements d'installations civiles pour atteindre des objectifs militaires doit faire l'objet d'une enquête publique rigoureuse. Une telle enquête doit prendre en compte les dommages sanitaires et écologiques, immédiats et durables, qui pourraient être infligés à un pays ou aux pays qui partagent les écosystèmes des pays en guerre. La dépollution de l'environnement suite aux bombardements des installations industrielles civiles, telles que Pancevo et Kragujevac, doit être expédiée pour ne pas laisser de laps de temps entre le conflit et les actions d'assainissement. Les informations concernant Pancevo et Kragujevac et d'autres bombardements d'installations industrielles doivent être accessibles au public pour en permettre l'examen juridique. En attendant que les Etats-Unis reconnaissent les interdictions légales concernant les dommages à l'environnement en temps de guerre, qui ont été adoptées par tous les pays de l'OTAN à l'exception d'un seul (la Turquie), ils ne doivent procéder à aucun bombardement d'installations industrielles civiles contenant des substances dangereuses susceptibles d'être rejetées dans l'environnement. Des programmes approfondis et durables de surveillance de l'environnement doivent être établis pour s'assurer que la dépollution est effective en Yougoslavie et qu'il ne reste pas de sources de pollution dans l'environnement. Les actions de dépollution en Yougoslavie doivent être plus transparentes. |
di Edward S. Herman e David Peterson
Pubblicato in Z Magazine nel maggio 2006
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
“Il ventre dal quale è uscita la bestia immonda è ancora fecondo!” Bertolt Brecht
Milosevic era il demonio inserito fra due cicli di demonizzazione di Saddam Hussein (1990-1991 e 2002-2006). Allora, il “Macellaio dei Balcani” veniva elevato allo stesso pantheon dei mostri designati ufficialmente, come il “Macellaio di Baghdad”, mentre un altro soggetto come Ariel Sharon, anche se la sua invasione del Libano del 1982 e le conseguenti stragi di Sabra e Shatila da lui dirette venivano citate dal Tribunale Internazionale per i Crimini nella ex Jugoslavia (ICTY, o Tribunale per la Jugoslavia) come esempio emblematico di “genocidio”, [3] rimane un uomo di stato onorato, un “uomo di pace”, e certamente non verrà mai definito come il “Macellaio di Tel Aviv.”
Il fondamento politico di questi epiteti assume maggior chiarezza in quanto Milosevic era stato il partner di Richard Holbrooke per il conseguimento degli accordi di Pace di Dayton del 1995, con i leaders Serbo-Bosniaci Ratko Mladic e Radovan Karadzic, in seguito considerati suoi compagni di scellerataggini, ed inoltre imputati dall’ICTY come criminali di guerra.
“La gente continua a chiedersi se Milosevic si stia adoperando positivamente per un accordo di pace,” così dichiarava Holbrooke a Dayton. “È impossibile rispondere adesso a questa domanda. Tutti noi sappiamo come lui si sia ben adoperato su tutto... negli ultimi quattro mesi.” [4]
Parimenti, Saddam Hussein era stato un partner degli Stati Uniti e della Gran Bretagna per tutti gli anni ’80, ricevendo appoggio economico, aiuti militari e sostegno diplomatico da parte di questa coalizione Anglo-Americana. Allora non vi erano state designazioni di “macellaio”, sebbene proprio in questo periodo il comportamento di Saddam risultasse dei più implacabili e usasse realmente allora “armi di distruzione di massa”, comunque sempre con il sostegno dell’Occidente. Il suo risultare esente dal linguaggio offensivo e diffamatorio, così come da sanzioni, bombardamenti, processi presso corti internazionali di giustizia, derivava dall’offerta dei suoi servigi considerata positivamente, e naturalmente le stesse esenzioni venivano attribuite alla potenza che era in grado di guidare e/o di usare questi leaders subalterni![5]
Per quel che concerne Milosevic, inizialmente le sue imputazioni per crimini di guerra da parte dell’ ICTY, il 22 maggio 1999, non riguardavano per nulla la questione Bosniaca – si fondavano solamente su una sua supposta “autorità superiore” e sulla responsabilità di 344 morti in Kosovo, ma 299 di queste erano avvenute dopo che la NATO aveva dato inizio alla sua guerra di bombardamenti contro la Jugoslavia, il 24 marzo 1999. [6]
La Croazia e la Bosnia sono state tirate in ballo dalla Pubblica Accusa dell’ICTY solo diversi mesi dopo il rapimento di Milosevic del 28 giugno 2001 e il suo trasferimento all’Aja, probabilmente per il fatto che il numero dei corpi trovati in Kosovo dopo la fine della guerra di bombardamenti era deludentemente piccolo e certamente non sufficiente a sostenere un’accusa di “genocidio” [7]
Ecco dunque la Croazia e specialmente la Bosnia, anche se questo faceva sorgere un potenziale numero di problemi, e si presentava l’imbarazzo di aver aspettato sei anni per affibbiare a Milosevic la nomea di anima nera per questi casi, e per giunta veniva sollevato il problema del suo ruolo costruttivo a Dayton e dei suoi precedenti sforzi per la pace (descritti più avanti).
Comunque, il Tribunale può contare sul sistema mediatico che non crea attenzione su questi scomodi argomenti, e di questi argomenti voi non troverete traccia sul New York Times nei numerosi articoli di Marlise Simons sul processo a Milosevic. [8]
Rispetto ai numerosi problemi, l’atteggiamento troppo favorevole a resoconti demonizzanti da parte del sistema dei media avveniva ad alto livello.
Per il Kosovo, i Dipartimenti della Difesa e di Stato degli USA a varie riprese avevano dichiarato durante la guerra di bombardamenti che 100.000, 225.000 e in una conferenza stampa addirittura 500.000 Albanesi Kosovari erano stati uccisi dall’esercito Jugoslavo.[9] Alla fine il numero si riduceva a 11.000, sebbene dopo una ricerca eccezionalmente intensiva venivano trovati solo circa 4.000 corpi, compresi un numero imprecisato di corpi di combattenti e di vittime delle azioni della NATO e dell’UCK (Esercito di Liberazione del Kosovo); e fino ai primi di marzo 2006 solo 2.398 persone delle liste della Croce Rossa risultavano ancora scomparse.[10]
Mai vi è stato qualche cenno di criticismo nel sistema dei media sui numeri gonfiati forniti ufficialmente dagli USA, non vi è stato mai alcun dubbio espresso sull’esattezza della cifra di 11.000 morti, sebbene questa cifra fosse fornita da fonti di provata inaffidabilità e fosse del 70% più alta della cifra ufficiale dei corpi, comprendente anche quelli dell’elenco degli scomparsi, complessivamente una cifra pari a 6.398.
Sul New York Times, Michael Ignatieff spiegava che se il numero dei corpi trovati era stato inferiore agli 11.000, allora la causa era dovuta al fatto che i Serbi avevano rimosso i cadaveri.[11] Costui non ha spiegato mai che il numero dei corpi e degli scomparsi complessivamente era crollato ben sotto agli 11.000, ma non aveva nulla da preoccuparsi: quando si ha a che fare con un nemico da demonizzare, tutto va bene.
Nel gennaio 1993, ufficiali Bosniaco-Musulmani andavano asserendo che 200.000 o, qualche volta, un numero più alto di Musulmani di Bosnia erano stati massacrati dai Serbi, [12] e malgrado le cifre fossero non verificate ed emesse da una fonte prevenuta, questi numeri venivano immediatamente accettati e resi ufficiali dal sistema mediatico e da quei giornalisti che conducevano la campagna in favore della guerra, come David Rieff, Ignatieff, Christopher Hitchens, Ed Vulliamy.
Le valutazioni al ribasso, sotto i 100.000, dell’ex funzionario del Dipartimento di Stato George Kenney e di altri che avevano accesso ai dati di intelligence, venivano semplicemente ignorate. Comunque, nel 2003, uno studio di Ewa Tabeau e Jakub Bijak, ricercatori per conto dell’Unità Demografica dell’Ufficio della Pubblica Accusa dell’ICTY, e una successiva ricerca di Mirsad Tokaca, del Centro Documentazioni e Ricerche di base a Sarajevo e finanziato dai governi della Bosnia e della Norvegia, entrambi concordavano su una stima complessiva di morti Bosniaci dell’ordine dei 100.000.[13] Secondo lo studio di Tabeau-Bijak, solo 55.000 fra questi erano di civili, compresi più di 16.000 Serbi.
Certamente si tratta di numeri non trascurabili, ma molto meno dei 200.000 (o più) Musulmani di Bosnia soddisfacenti ad appagare la smania di montare un caso sul fatto che quelli fossero stati vittime di “genocidio” e per giustificare l’intensa concentrazione di attenzione su questa area di uccisioni in confronto ad altre, alcune delle quali vedevano implicati numeri di vittime a sette cifre.[14]
Si dovrebbe sottolineare che allora vi era stata come una sfida a rivendicare il numero degli ammazzamenti avvenuti durante il massacro di Srebrenica, che dagli eventi del luglio 1995 era rimasto costante sugli 8.000. In questo caso, come in Kosovo, il numero dei corpi trovati nei dintorni precipitava ben al disotto del numero complessivo inizialmente reclamato ( e a lungo sostenuto) – solamente circa 2.600, compreso un numero imprecisato di vittime che potevano essere state uccise in azione o prima del luglio 1995.
Altre prove in appoggio alla cifra di 8.000 sono state insignificanti, e malgrado la dichiarazione di Madeleine Albright dell’agosto 1995 che “noi vi osserveremo” via satellite, nessuna prova satellitare di rimozione o riseppellimento di corpi mai è stata fornita all’opinione pubblica. Vi è un buon motivo che questo non sia stato possibile farlo, che vi siano state certamente centinaia di esecuzioni e forse un migliaio o più, la cifra di 8.000 resta un costrutto politico ed eminentemente criticabile.[15]
Ma dubitare sui resoconti su Srebrenica è pericoloso e anche approvare il lavoro di chi ha sollevato una qualsivoglia questione in merito può scatenare aggressioni. Questo ha avuto drammatica evidenza in un’intervista a Noam Chomsky da parte di Emma Brockes, pubblicata nel Guardian di Londra il 31 ottobre 2005, dove il titolo dell’intestazione dell’intervista recitava: [16] "The Greatest Intellectual? (Il più grande fra gli intellettuali?)"
Le false affermazioni della Brockes erano risultate sufficientemente palesi e numerose, tanto che The Guardian pubblicava un serie di commenti dal titolo “Correzioni e chiarimenti” e rimuoveva l’intervista dal suo sito web.[17] Per contro, questo provocava una risposta furibonda da parte di quella che possiamo definire come la “Lobby del Genocidio Bosniaco”, un insieme ben organizzato di istituzioni ed individui che fanno riferimento a George Soros, ai governi Occidentali e ad altri, che attaccano qualsiasi argomentazione sfidi il resoconto degli avvenimenti stabilito ufficialmente. Una delle più importanti reazioni alle “correzioni” era stata una lettera sottofirmata da 25 scrittori ed analisti politici, un gruppo di affiliati alle organizzazioni della Lobby - il Balkan Investigative Reporting Network (che pubblica Balkan Insight), il Bosnian Institute, e l’Institute for War and Peace Reporting – e giornalisti come David Rieff, David Rohde, e Ed Vulliamy; tutti insieme contestavano le “correzioni” e pretendevano il loro ritiro da parte del The Guardian.[18]
Forse la più evidente caratteristica di questa lettera era l’uso delle parole “revisionismo” e “negazionismo” con riferimento ad ogni interrogativo sul numero stabilito, e il considerare ogni accento di dubbio come intollerabile. L’“autorità” su questo argomento, se vi fosse stato “genocidio”, era l’ICTY , “un tribunale internazionale insediato dalle Nazioni Unite” – quindi presumibilmente un organismo indipendente ed autorevole, malgrado le tante prove che evidenziavano il contrario ( vedi più avanti). Particolare interessante, lo stesso ICTY indicava che la cifra di 8.000 esecuzioni poteva essere stata gonfiata, dato che i suoi giudici avevano dichiarato che le prove “suggerivano” solo che la maggior parte dei 7.000-8.000 classificati come “scomparsi” potevano essere stati giustiziati o altresì morti in combattimento, e che la cifra possibile di giustiziati poteva aggirarsi solo sui 3.600-4.100, e così i giudici andavano ad appartenere alle categorie del “revisionismo” e del “negazionismo”.[19]
Naturalmente, anche i documenti relativi allo studio Tabeau-Bijak e la ricerca di Tokaca coordinata dal Centro Documentazioni e Ricerche costituivano casi nitidi di “revisionismo” e di “negazionismo”, secondo l’uso peculiare della Lobby di questi termini. Ma, dato il fatto che il lavoro dei primi aveva avuto il sostegno dello stesso ICTY e i secondi quello dei governi di Bosnia e Norvegia, l’analogo ricorso della Lobby a questo tipo di accuse non poteva essere messo in atto. In questo caso la strada scelta è stato il silenzio, una strada presa anche dal sistema dei mezzi di informazione e dai funzionari Statunitensi.[20]
Per i media di tutto il mondo, una ricerca base di dati Nexis per i primi undici giorni a partire dalla morte di Milosevic [21] svela che il prezzo delle morti riportato nelle guerre in Bosnia-Erzegovina, o complessivamente nella ex Jugoslavia, veniva dichiarato essere di 200.000, o più, in almeno 202 differenti articoli, ( ad esempio, notiziari, necrologi, editoriali), e di 100.000 solo in 13 articoli. Anzi, in almeno 99 differenti articoli, il prezzo delle morti veniva valutato essere di 250.000; e di 300.000 in non meno di 27 differenti documenti. Per i soli mezzi di informazione USA il rapporto era di 76 a 2. Sebbene la conclusione dei ricercatori dell’ICTY, come pure di quelli del Governo della Bosnia, fosse che una cifra sull’intorno delle 100.000 vittime era una stima più accurata per le morti della guerra in Bosnia, questa cifra quasi mai veniva citata in documenti e commenti sulla guerra.
Questo rende testimonianza dell’inveterato pregiudizio dei media, e che il prezzo di morte fornito da fonti dell’establishment abbastanza erudite non è stato in grado di scalzare le vecchie cifre più elevate, dichiarate in precedenza dai funzionari Musulmani di Bosnia, notoriamente privi di scrupoli.[23]
I giornalisti odiano abbandonare i numeri che tanto bene hanno consentito ad alimentare i loro pregiudizi!
L’ICTY come braccio politico della NATO
Prima di prendere in esame le accuse che Milosevic ha dovuto affrontare nel suo processo, consentiteci di esaminare più attentamente l’organismo che ha mosso queste accuse, questa “corte internazionale istituita dalle Nazioni Unite”. Naturalmente risulta un fatto interessante, che gli Stati Uniti, leaders nell’organizzare e nel sostenere l’ICTY, hanno rifiutato di avere qualsiasi rapporto con la Corte Criminale Internazionale, ICC, di recente istituzione, presumibilmente per il fatto che questo tribunale rappresenta una minaccia di “politicizzazione”. [24] Commentatori obiettivi potrebbero chiedersi se il problema con l’ICC possa essere individuato nel fatto che l’ICC è meno soggetto al controllo Statunitense dell’ICTY, e se il merito dell’ICTY dal punto di vista degli USA possa essere stato quello di essere dominato dagli stessi Stati Uniti, e quindi la politicizzazione avviene in una conveniente direzione. Questo problema non si pone per i fautori dell’ICTY, come i 25 firmatari della lettera al The Guardian pro Brockes, o a Marlise Simons et al., in buona sostanza perché l’influenza dominante degli USA è considerata da loro come naturale, appropriata, e sicuramente usata per fini giusti. Il termine “politicizzazione” in questi casi di profondo pregiudizio interiorizzato non viene usato, più dei termini come “aggressione” o “terrorismo”.
Di fatto, la politicizzazione dell’ICTY è stata totale attraverso l’iniziale organizzazione, la fornitura del personale, i finanziamenti, e il controllo minuzioso del personale ai vertici attraverso alti funzionari della NATO, [25] con le potenze della NATO che forniscono ( o nascondono [26]) informazioni e servono come braccio poliziesco dell’ICTY, e, più essenzialmente, attraverso le azioni dell’ICTY strettamente conformate con le richieste della NATO.
Il ruolo politico dell’ICTY è stato perfino apertamente ammesso dall’ex giurista del Dipartimento di Stato Michael Scharf, che dichiarava nel 1999 che l’organizzazione era considerata dal governo come “poco più di uno strumento di pubbliche relazioni”, utile perfino “per isolare diplomaticamente i leaders da colpevolizzare” e per “rafforzare la volontà politica internazionale ad applicare sanzioni economiche o l’uso della forza.” [27] Il Professore di Diritto all’Università di York Michael Mandel ha esposto in modo persuasivo il caso nel suo How America Gets Away With Murder - (Come l’America la fa sempre franca), che l’ICTY era stato insediato “come uno strumento di opposizione al processo di pace e per giustificare la soluzione militare a cui loro, i dirigenti USA, accordavano la preferenza.”[28] Il giurista puntualizzava come il funzionario del Dipartimento di Stato Lawrence Eagleburger aveva definito i leaders al vertice della Serbia come criminali di guerra già nel dicembre 1992, poco prima che l’ICTY venisse creato nel 1993, e che funzionari USA già utilizzavano la supposta criminalità Serba per sovvertire i piani di pace che erano sotto considerazione nel 1992 e nel 1993. L’argomentazione era che “la giustizia” non poteva dare strada alla convenienza politica e al raggiungimento di obiettivi, come quello di portare a termine un conflitto senza più combattere. “In altre parole, il progetto per un tribunale per crimini di guerra veniva usato dagli Americani per giustificare la loro intenzione di entrare in guerra, con i conseguenti danni collaterali e tutto il resto, stigmatizzando come Nazisti i nemici che si erano prefigurati.”[29]
L’evidenza delle accuse di Mandel sta nell’evidenza della storia.
Gli Stati Uniti e Izetbegovic hanno fatto naufragare l’importante accordo di pace di Lisbona del febbraio 1992, ed hanno contribuito ad ostacolare la pace che si voleva realizzare attraverso i piani Vance-Owen ed Owen-Stoltenberg, come descritto nella memoria di David Owen, Balkan Odyssey.[30] Questo programma di prevenzione della pace ha permesso la continuazione delle guerre Bosniache per quasi quattro anni, con la conclusione degli accordi di Dayton che hanno ridotto la Bosnia ad una provincia coloniale della NATO.
Durante la rincorsa verso la guerra in Kosovo, il lavoro dell’ICTY si adattava veramente in modo stretto al piano di guerra della NATO (e in buona sostanza degli USA). Quando la NATO dette inizio alla pianificazione della guerra nel giugno 1998, l’ICTY scatenava una campagna parallela di accuse ben pubblicizzate e di inchieste sulle azioni dei Serbi in Kosovo e di denunce del comportamento dei Serbi.[31] In relazione ad uno degli avvenimenti cardine di preparazione alla guerra, le uccisioni a Racak del 15 gennaio 1999, il procuratore capo dell’ICTY Louise Arbour, immediatamente il giorno successivo, si precipitava sulla scena per cercare confessioni, dichiarando all’istante che si trattava di un “crimine di guerra”, solo sulla base di una comunicazione con il rappresentante USA e OSCE William Walker.[32] Due mesi più tardi, il 31 marzo 1999, proprio una settimana dopo l’inizio della guerra di bombardamenti, la Arbour teneva una conferenza stampa per rendere pubblica la messa in stato di accusa in precedenza stabilita di Zeljko Raznatovic ("Arkan"), un procedimento giudiziario preparato ben prima del settembre 1997, ma reso pubblico in tempo giusto, quando serviva necessariamente alla propaganda delle potenze della NATO. [33]
La messa in stato di accusa di Milosevic e di altri quattro dirigenti il 22 maggio 1999 ( sebbene non resa pubblica fino al 27 maggio),[34] costituiva un punto alto nei servizi di pubbliche relazioni dell’ICTY resi alla NATO, e chiaramente era stata fatta in collaborazione con funzionari NATO.[35] Avveniva nel bel mezzo della guerra di 78 giorni di bombardamenti della NATO contro la Jugoslavia, e più in particolare nel periodo in cui la NATO aveva dato inizio ai bombardamenti contro impianti ed infrastrutture civili della Serbia. Questa ultima fase aveva provocato inquietudine e dure critiche anche nei paesi NATO, e dunque l’atto di accusa serviva nell’ambito delle pubbliche relazioni a distrarre l’attenzione dalla nuova tornata di bombardamenti NATO, e a direzionarla verso l’infamia dei dirigenti della nazione presa di mira. Clinton, Madeleine Albright e James Rubin immediatamente richiamavano l’attenzione su questa implicazione, e la Albright dichiarava che gli atti di accusa “facevano chiarezza al mondo e all’opinione pubblica nei nostri paesi che questa politica della NATO è giustificata, dati i crimini commessi, ed inoltre penso che questo ci consentirà di portare a termine tutti questi processi [traduzione: bombardamenti]” [36]
Mentre la Arbour era estremamente allerta rispetto al crimine di guerra di Racak non comprovato, offrendo subito i suoi servizi il giorno successivo, quando Michael Mandel le aveva presentato un dossier di tre volumi sui crimini di guerra della NATO, questo portava via a lei e alla sua succeditrice Carla del Ponte un anno intero per considerare il caso, con alla fine la del Ponte dichiarare che una verifica preliminare aveva riscontrato che questa serie di accuse non aveva ancora fornito una base per aprire una inchiesta!
Un documento interno aveva dichiarato che con solo 495 vittime “semplicemente non esiste in questo caso prova del fondamento di un crimine essenziale per accuse di genocidio o di crimini contro l’umanità,” sebbene appena 45 morti di Racak avessero indotto la Arbour ad una mozione aggressiva, e la messa in stato di accusa di Milosevic del 22 maggio 1999 presentasse una lista di sole 344 vittime, non verificate dall’ICTY.[42]
L’ “indipendenza” dell’ICTY veniva ulteriormente messa in luce dal fatto che il principale esperto della del Ponte nello sviluppo del caso sulla mancata inchiesta indicava che lui aveva fatto assegnamento sulle rassegne stampa dei paesi della NATO come fonti di informazione, considerandole “generalmente affidabili e che fornivano delucidazioni in modo onesto.” [43]
Siamo costretti a ricordarvi le assicurazioni della pubblica accusatrice Arbour, citate in precedenza, che il suo ufficio applicava solo “regole probatorie estremamente stringenti”, che escludevano “accuse prive di sostanza, non verificabili, non avvalorate”, però con la netta esclusione delle accuse contro i suoi (e della del Ponte) datori di lavoro della NATO.
Queste prove evidenti della subordinazione politica dell’ICTY, come pure le induzioni ai crimini di guerra – i bombardamenti di impianti civili della Serbia venivano accentuati immediatamente in seguito alla messa in stato di accusa di Milosevic alla fine di maggio 1999 – e la sua ridicola impostazione per non investigare anche sui crimini di guerra della NATO, avrebbero dovuto gettare il discredito sull’ICTY come istituzione supposta giudiziale, se noi non avessimo a che fare con una macchina propagandistica ben lubrificata che può far ingoiare ogni cosa in nome del portare “giustizia” contro un nemico demonizzato. E la demonizzazione è facile avendo a che fare con una guerra civile, dove vi sono molte vittime di ingiustizie e/o di scuri politiche da brandire. Il trucco è quello di scegliere le vittime giuste, passarle in rassegna in gran numero e con ricchezza di emozioni, permettere un uso illimitato di prove per sentito dire, [44] attribuire le loro sofferenze allo scellerato demonio, stracciare il contesto e riscrivere la storia, e ne risulterà in maniera lampante che la “giustizia” deve richiedere la testa del demonio.
Le accuse contro Milosevic
Nella demonizzazione di Milosevic, alcune delle più importanti affermazioni sostenenti il suo status demoniaco venivano formulate attraverso le accuse spiegate dettagliatamente nei diversi procedimenti processuali, [45] insieme alle prove prodotte in appoggio a queste accuse. Tutte queste erano state o divenivano le premesse del sistema di informazioni e dei membri della Lobby.
Torniamo a queste accuse e analizziamo come oggi si sostengono, avendo l’accusa alla fine di febbraio 2004 portato a termine i suoi argomenti processuali, e avendo Milosevic impostato la sua difesa dalla fine di agosto 2004, bloccata poi dalla sua morte.[46]
1. Autore di quattro guerre ed orchestratore di queste guerre.
Centrale nel processo dell’ICTY, e di fatto reiterata in tutti gli articoli sulla sua morte, è l’affermazione che Milosevic non era solamente responsabile personalmente per le guerre dei Balcani degli anni Novanta, ma che forse era per queste l’unico responsabile. Infatti i processi a Milosevic sono pieni zeppi di accuse che lui aveva partecipato ad “una associazione a delinquere come co-esecutore materiale,” e che, in relazione al territorio in discussione (Kosovo, Croazia, o Bosnia), lo “scopo” di ognuna di queste imprese criminali era la “espulsione di una porzione sostanziale delle,” o la “rimozione violenta della maggioranza delle,” o la “rimozione forzata e permanente della maggioranza delle,” popolazioni di etnia non-Serba da ciascun territorio, o di “assicurare un continuo controllo Serbo,” o di creare un “nuovo stato dominato dai Serbi” – la cosiddetta “Grande Serbia”, cosa che ha mandato in estasi i commentatori Occidentali.[47] Milosevic “portava la responsabilità della disgregazione della Jugoslavia... e delle conseguenti guerre,” questo sosteneva costantemente Misha Glenny in tutta una serie di necrologi su Milosevic.[48] Anche Richard Holbrooke riassumeva il concetto di demonio in una rubrica giornalistica, la morte di Milosevic in una cella della sua prigione, “sapendo che non avrebbe mai più visto la libertà”, era una “giusta fine per uno che aveva scatenato quattro guerre (perdendole tutte), causando 300.000 morti, lasciando senza casa più di due milioni di persone, e mandando in pezzi i Balcani.” [49] Dopo la morte di Milosevic, sentimenti di questo tipo costituivano un refrain quasi costante nei mezzi di informazione Occidentali. Gli altri nazionalismi che erano venuti a galla in queste guerre erano stati presumibilmente una reazione; solo quello di Milosevic e dei Serbi era stato la causa scatenante.
Questa interpretazione da diabolico scellerato nella storia recente dei Balcani non è semplicemente sciocca, ma viene contraddetta da un gran numero di testimonianze.
Per prima cosa, falsifica il ruolo degli altri nazionalismi nei Balcani – il nazionalismo Croato era forte e i suoi fautori come il Presidente Franjo Tudjman bramavano e progettavano la secessione ben prima dell’andata al potere di Milosevic [50]; e la spinta del Presidente Musulmano di Bosnia Alija Izetbegovic's verso la dominazione Musulmana in Bosnia datava da tanto tempo prima, dalla sua Dichiarazione Islamica del 1970.[51]
Secondariamente, viene esagerato il nazionalismo di Milosevic, questo sì risposta alle minacce percepite verso gli interessi Serbi e ai sentimenti nazionalisti scaturiti dalle altre componenti; e i famosi discorsi di Milosevic ultra-nazionalisti del 1987 e del 1989 non sono stati assolutamente ultra-nazionalisti. In vari passaggi di questi discorsi, veniva sottolineata l’importanza della “fratellanza e dell’unità” per la sopravvivenza della Jugoslavia; Milosevic metteva in guardia contro tutte le forme di “separatismo e di nazionalismo” come anti-moderne e contorivoluzionarie; ed invocava una mutua tolleranza e “la completa uguaglianza fra tutte le nazioni” all’interno di una Jugoslavia multinazionale, usando un linguaggio accuratamente censurato negli articoli di informazione su questi discorsi.[52] Fra i miti costruiti per spiegare la dissoluzione della Jugoslavia e la sua incorporazione nell’assetto dell’ Occidente, sicuramente quello che accusa Milosevic di aver usato questi due discorsi per attizzare i fuochi del nazionalismo che avrebbero accompagnato il crollo della Jugoslavia si classifica come il più resistente.
Terzo, questo punto di vista sottovaluta grossolanamente il ruolo della Germania, degli Stati Uniti e delle altre potenze straniere nel provocare e nel sottoscrivere le guerre. La Germania ha aperto la strada incoraggiando la Slovenia e la Croazia alla secessione dalla Jugoslavia, in violazione degli accordi di Helsinki e della Costituzione Jugoslava. Ogni azione dell’esercito Jugoslavo ad impedire questa secessione illegale e per proteggere l’integrità dello stato comune di Jugoslavia doveva essere considerata come una “reazione”, e la Germania e i leaders dei paesi secessionisti dovevano essere visti come “artefici” delle guerre successive.
Quarto, le grandi potenze erano inoltre pesantemente responsabili per queste guerre a causa del loro rifiuto a permettere ai “popoli” all’interno di queste repubbliche nate artificialmente e secessioniste di trasferirsi e di rimanere con la Jugoslavia o di essere incorporate pacificamente nella Serbia o nella Croazia. La Commissione Badinter (1991-1992) promossa dalla Unione Europea si era dichiarata contraria a tale separazione, sebbene considerasse plausibile il diritto alla secessione, e quindi la secessione delle repubbliche veniva per lo meno giustificata da questa Commissione. Questa dichiarazione imposta dall’esterno risultava gravemente responsabile per le lotte e le pulizie etniche che ne seguirono.
Quinto, Milosevic, alla fine di giugno 1991, al tempo della secessione della Slovenia, era Presidente della Serbia, ma non della Jugoslavia, e non aveva avuto nulla a che vedere con la reazione dell’esercito Jugoslavo.[53] Questa reazione era stata disordinata ed estremamente modesta, con scaramucce che erano durate solo una decina di giorni. Ma che “guerra”! E per la responsabilità di Milosevic per la guerra in Kosovo, ora è chiaro che gli Stati Uniti e i loro alleati, e fra questi anche l’ICTY, stavano preparandosi alla guerra già dall’aprile 1998, [54] con gli Stati Uniti che alla fine porgevano aiuto all’UCK (KLA-Esercito di Liberazione del Kosovo) e fornivano a costoro ragione di pensare che la NATO alla fine sarebbe arrivata in loro aiuto con un intervento militare diretto. Inoltre, risulta ben fondato che la conferenza di pace di Rambouillet del 1999 era una frode, con la “sbarra” deliberatamente sollevata per assicurare l’emarginazione e il rifiuto della Jugoslavia e per giustificare un’aggressione militare.[55] Milosevic non aveva dato inizio a questa guerra, erano stati gli Stati Uniti e i loro alleati della NATO a farlo, e avevano fatto questo in evidente violazione della Carta delle Nazioni Unite.
2. Il piano per creare una “Grande Serbia”
Nella serie di accuse dell’ICTY a Milosevic, l’affermazione che egli aveva messo in atto tutti gli sforzi per dare luogo alla “Grande Serbia” si impone fortemente come giustificazione delle guerre Jugoslave. Sei anni fa, Tim Judah scriveva che era una “crudele ironia” che tutto fosse cominciato con la parola d’ordine “Tutti i Serbi in un Solo Stato”; e in un necrologio sul Washington Post dello scorso marzo si leggeva ancora che “l’impegno di Milosevic di unificare tutti i Serbi in un unico Stato si era rivelato come una ironica promessa.” [56
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Continua a suscitare polemiche il progetto di legge costituzionale,
presentato e poi ritirato, dal senatore a vita Francesco Cossiga per
concedere il diritto di autodeterminazione ai sudtirolesi. Ora lo
chiedono quattro famosi terroristi in esilio in Austria e Germania.
Si tratta dei cosiddetti “quattro bravi ragazzi della val Pusteria” -
Siegfied Steger, Josef Forer, Heinrich Oberleiter ed Heinrich
Oberlechner - che da oltre 45 anni vivono all'estero dove si erano
rifugiati dopo una serie di gravi attentati degli anni Sessanta per
cui erano stati condannati in contumacia in Italia.
I quattro - fa sapere il movimento giovanile dell'Union fer
Suedtirol, il partito di Eva Klotz che ha accolto con entusiasmo
l’iniziativa di Cossiga - sono presentati come “combattenti per la
liberta”.
I quattro affermano che il loro obiettivo “è sempre stato
l'autodeterminazione”, per tornare all'Austria, del popolo
sudtirolese, “e non l'autonomia” che c'’è oggi.
La proposta di legge di Cossiga viene così presentata come una
“occasione storica” e invitano la Sud Tiroler Volkspartei (SVP) ad
“assumersi la propria storica responsabilità” nei confronti del
popolo sudtirolese.
(Fonte: NEWSLETTER DI MISTERI D'ITALIA - Anno 7 - Numero 111 - 3
giugno 2006
http://www.misteriditalia.com - http://www.misteriditalia.it )
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I desaparecidos serbi di Sarajevo
30.05.2006 - Da Sarajevo, scrive Massimo Moratti
Il governo bosniaco accoglie la richiesta di istituire una
Commissione d’inchiesta sui crimini commessi a danno di civili serbi
durante l’assedio. Ricerca della verità e manovre politiche a pochi
mesi dalle elezioni
Giovedì sera, con un sorprendente voltafaccia, il presidente del
Consiglio dei Ministri della Bosnia ed Erzegovina ha accolto la
richiesta da parte dei delegati serbi alla Camera dei rappresentanti,
e ha deciso la formazione di una commissione di investigazione che
faccia luce sulle sofferenze dei cittadini di Sarajevo durante il
conflitto, e in particolare sul destino dei serbi della città che,
secondo quanto sostenuto da più parti in Republika Srspka, sono stati
fatti oggetto di violenze, assassini e sparizioni forzate durante il
conflitto.
La Bosnia comincia ad affrontare il suo passato
La questione non è nuova e l’Osservatorio sui Balcani l’aveva già
trattata un anno fa (vedi “I buchi neri di Sarajevo”). Capita però in
un momento in cui la Bosnia sta lentamente riconsiderando gli
avvenimenti del suo passato e aprendo gli scheletri nei suoi armadi.
Quasi non passa settimana infatti senza che persone indiziate per
crimini guerra vengano arrestate dalle forze di polizia locali o
dalla SIPA, l’agenzia statale per la protezione e l’investigazione.
L’omertà e la protezione che circondavano le persone indiziate per
crimini di guerra stanno velocemente cedendo il passo alla necessità
di portare a giudizio i criminali di guerra, e alla convinzione che
non vi siano scusanti per tali crimini. La War Crimes Chamber di
Sarajevo ha iniziato a emettere le prime sentenze per crimini
commessi a Foca, Samardzic, e a Rogatica, Paunovic: 13 e 20 anni
rispettivamente per l’omicidio e le torture di uomini e donne durante
il conflitto.
Si comincia ad investigare e parlare con maggior libertà di tali
episodi. E Sarajevo dovrebbe essere la prossima città sottoposta ad
una commissione di investigazione come lo fu Srebrenica due anni fa.
Le premesse sono le stesse. 3 anni fa la Human Rights Chamber della
Bosnia ed Erzegovina emise una decisione di importanza fondamentale
su Srebrenica. Nel 2003 infatti, la Chamber accolse il ricorso delle
famiglie degli scomparsi di Srebrenica e ordinò alle autorità della
Republika Srpska (RS) di investigare a fondo le circostanze relative
alla caduta dell’enclave. Dopo mesi di insistenze e l’intervento
decisivo dell’Alto Rappresentante, la Republika Srpska pubblicò il
rapporto su Srebrenica che portò alle scuse ufficiali del Presidente
della RS Cavic nei confronti delle vittime ed è la prima ammissione
ufficiale da parte delle autorità della RS dei crimini di Srebrenica.
Allo stesso tempo, però, anche le famiglie degli scomparsi serbi di
Sarajevo (e di molte altre città bosniache) si rivolsero agli organi
giudiziari, come la Corte Costituzionale e la Commissione per i
Diritti Umani (che nel frattempo aveva sostituito la Chamber)
cercando una risposta alle loro richieste di verità. E puntualmente
sia la Commissione che la Corte risposero dando ragione alle
richieste dei familiari e ordinando delle investigazioni dettagliate
sulla scomparsa di queste persone.
Le richieste dei Serbi di Sarajevo
In particolare i serbi di Sarajevo, quelli che si sono rifugiati
nella RS, da circa un anno chiedono che venga istituita una
commissione per investigare sui crimini commessi nella capitale
contro i serbi durante l’assedio. Alcuni di questi episodi sono già
stati investigati dalle autorità giudiziarie del cantone di Sarajevo,
come gli omicidi di Kazani e l’operato del famigerato Caco, anche se
le autorità di Sarajevo hanno avuto la mano relativamente leggera nel
comminare condanne. Ma vi sono altri episodi oscuri a Sarajevo che
devono essere investigati, come appunto è stato sottolineato nelle
decisioni della Commissione per i Diritti Umani e dalla Corte
Costituzionale. Cittadini serbi rapiti dalle proprie case dalle
formazioni paramilitari di Juka Prazina e Caco e mai più rivisti:
sono questi i tipici casi dei desaparecidos “serbi” di Sarajevo che
sono finiti di fronte agli organi giudiziari.
Nonostante le decisioni della Commissione per i Diritti Umani e della
Corte Costituzionale siano vincolanti per tutte le autorità
bosniache, tali decisioni non sono state implementate e spesso le
famiglie degli scomparsi vengono informate, in modo piuttosto
sommario, che non è stato possibile rintracciare i loro familiari.
Tali risposte creano risentimento da parte serba nei confronti della
comunità internazionale che non reagisce alla mancata implementazione
di queste decisioni, mentre per Srebrenica prima e per il caso di
Avdo Palic, l’Alto Rappresentante aveva ordinato la formazione di
commissione di inchiesta speciali.
La parola ai politici...
Da alcuni mesi, quindi, i rappresentanti serbi alle istituzioni
comuni hanno avanzato le proprie richieste in modo sempre più deciso
e hanno iniziato a chiedere la creazione di una Commissione speciale
per investigare Sarajevo. In tal senso, vi è anche una conclusione
del Parlamento della Bosnia ed Erzegovina, emanata più di due anni fa.
La patata bollente è stata colta al balzo da Milorad Dodik, premier
della RS, e da Nikola Spiric, presidente della Camera dei
rappresentanti della Bosnia ed Erzegovina. Dodik e Spiric, leader dei
Social Democratici Indipedenti in RS, hanno deciso di far proprie le
istanze dei serbi di Sarajevo e sostenerli nella loro richiesta di
investigazione. L’occasione, purtroppo, si presta molto bene ad
essere sfruttata politicamente: con la campagna elettorale che
avanza, Dodik teme di perder voti a destra e quindi si rivolge alle
famiglie degli scomparsi e alle loro associazioni, tradizionali
sostenitori del partito democratico serbo (SDS), che appare
indebolito. La possibilità poi di avere una commissione per Sarajevo
permette di mettere Sarajevo sullo stesso piano di Srebrenica, e
quindi di far vedere che crimini sono stati commessi da entrambe le
parti.
Ma la questione di Sarajevo è anche servita a ricompattare i
parlamentari serbi negli organi comuni. Quando, la settimana scorsa,
Adnan Terzic aveva detto di no alla creazione di una Commissione per
investigare i crimini di Sarajevo, proponendo invece una Commissione
a livello nazionale che investigasse le sofferenze di tutti i
cittadini della Bosnia ed Erzegovina, i parlamentari serbi erano
insorti e si erano ritirati dalle istituzioni comuni, fino al punto
di richiedere la rimozione di Terzic stesso. I membri serbi del
Consiglio dei Ministri avevano fatto lo stesso e le istituzioni
comuni si erano trovate improvvisamente paralizzate.
Sono dunque bastati pochi giorni a Terzic per cambiare idea e
rimangiarsi la parola. La commissione per Sarajevo sarà composta da
10 membri, (3 per ogni popolo costituente e 1 per gli altri) e sarà
sostenuta e supportata dal Ministero per i Diritti Umani. Tale
commissione dovrebbe essere il preludio per altre future commissioni
create per investigare casi simili avvenuti nelle varie città della
Bosnia ed Erzegovina.
Se da un lato questo sembra essere un processo salutare, quello di
affrontare il passato, il procedere per commissioni durante la
campagna elettorale sembra presentare il rischio di manipolazioni
politiche e dell’utilizzo a scopi politici delle scoperte di tali
commissioni, cosa che potrebbe ridurre la legittimità di questi
organismi e far loro perder l’indipendenza.
Neverending pogroms in Kosmet (2)
1. U slučaju proglašenja nezavisnosti Kosova UN se spremaju za novi
egzodus Srba
(SUL PIANO ONU PER LA ESPULSIONE DI TUTTI I SERBI DAL KOSMET)
2. NEWS (mostly distributed by R. Rozoff through yugoslaviainfo @
yahoogroups.com):
- Three injured in Kosovo blast, sparking fears of fresh violence /
TRE FERITI PER ESPLOSIONE
- Another Bus with Serbs Pelted with Stones / SASSAIOLA CONTRO I SERBI
- Wounded young Serbs in critical condition / IL BENZINAIO SERBO
FERITO IN CONDIZIONI CRITICHE
- Serbia War Crimes Prosecution interested in arrested KLA
commander / SUL COMANDANTE UCK IN ARRESTO IN GERMANIA
- Kosovo to Become Independent By the End of the Year /
"INDIPENDENZA" ENTRO IL 2006
- Kosovo set to open office in Brussels / "UFFICIO DI RAPPRESENTANZA"
A BRUXELLES
- Former NATO commander, retired Gen. Wesley Clark to visit Kosovo /
CRIMINALE DI GUERRA NATO WESLEY CLARK IN VISITA DI CORTESIA, GLI
DEDICANO UNA STRADA A PRISTINA
- Kosovo Serb convoy stoned, UN fires tear gas / NUOVA SASSAIOLA
ANTISERBA, INCIDENTI
- Kosovo To Be Independent in Months: Clark / CLARK: VI
"INDIPENDENTIZZO" IO TRA POCHI MESI
- Kosovo's premier says that province's independence is inevitable /
"PREMIER" KOSOVARO: "INDIPENDENZA" INEVITABILE
- Dnevnik: DUI, PRP to Take Part in Macedonian Elections Together /
NELLA FYROM CAMPAGNA PAN-ALBANESE
- Shekulli: Sali Berisha and Agim Ceku Say Kosovo’s Independence
Certain / BERISHA E CEKU, GRANDE ALBANIA!
- Kosovo Parliament Speaker: Serbia Is Hampering Kosovo Status Talks
Intentionally / INUTILE LA FARSA AUSTRIACA DEI "COLLOQUI"
- UN braced for Serb exodus from Kosovo: report / L'ONU PREPARA LA
PULIZIA ETNICA FINALE ANTISERBA SOGNATA DA HITLER
- UN preparing to leave Kosovo, Jessen-Petersen says / L'ONU SI
PREPARA A LASCIARE IL KOSOVO AI CRIMINALI UCK
- Kosovo Serb Killed in Northern Kosovo / SERBO AMMAZZATO PRESSO
KOSOVSKA MITROVICA PERCHÈ SERBO
- Bridge Connecting Serbian Villages in Kosovo Blows up / SALTA IN
ARIA PONTE IN ZONA SERBA
=== 1 - SRPSKOHRVATSKI ===
Dnevni list „Politika“, 31. maj 2006., izvod
U slučaju proglašenja nezavisnosti Kosova
UN se spremaju za novi egzodus Srba
„Politika“ je došla u posed internog i poverljivog dokumenta
Ujedinjenih nacija koji predstavlja plan postupanja svih lokalnih
agencija svetske organizacije u Srbiji i Crnoj Gori u slučaju da se
pregovori o statusu Kosova okonačaju proglašenjem nezavisnosti
južne srpske pokrajine. Ujedinjene nacije predvifjaju da će srpski
živalj masovno da beži sa Kosmeta i za svaku eventualnost se
spremaju za prihvat izbeglica, medju kojima će, kako piše u tajnom
dokumentu, biti najviše žena, dece i staraca.
UN predvidjaju da će, u slučaju da Kosovo i Metohija dobije
nezavisnost i albanski ekstremisti napadnu Srbe u pokrajini, čak 70
000 ljudi potražiti spas bekstvom u Srbiju. S prvom verzijom „Plana
za hitne slučajeve za potencijalni priliv interno raseljenih lica sa
Kosova u Srbiju i Crnu Goru“, koji je načinjen 1. aprila ove
godine, upoznate su sve nadležne organizacije UN koje brinu o
raseljenim osobama, od UNDP-a, Unicefa, Svetske zdravstvene
organizacije, kancelarije UN u Beogradu, UNHCR-a, kao i relativno
tehničko osoblje.
Činjenica da se u dokumentu pominju tri moguće (*) opcije
statusa, kao i da se srpski egzodus predvidja samo u slučaju
nezavisnosti, ukazuje da su svi medjunarodni čelnici savršeno
upoznati s tim da bi nezavisnost Kosova mogla da znači i kraj
multietničkog sastava Kosmeta.
Plan do kojeg je došla „Politika“, prvi medjunarodni dokument
u kojem se razmatraju posledice eventualne nezavisnosti Kosova odnosi
se samo na prihvat raseljenih na teritoriji centralne Srbije i Crne
Gore. Gotovo je sigurno da je sličan plan pripremljen i za samo
Kosovo,gde bi, ako dodje do progroma Srba, Roma i ostalih manjina,
trebalo osigurati koridore za njihov do bezbednih teritorija. U
izveštaju se uopšte ne pominje mogućnost da vojnici Kfora
eventualno spreče nasilje i izgon.
(*) 1. Nezavisnost Kosova bez menjnja granica, sa dve varijante-
jedinstvenom Kosovskom Mitrovicom ili sa autonomnim srpskim oblastima
pod valšću Prištine. Planovi za prihvat izbeglica detaljno su
razradjeni za slučaj nezavisnosti: A) U slučaju političkog rešenja
koje bi dovelo do nezavisnosti Kosova u sadašnjim granicama i bez
nasilja, očekuje se da bi 57 000 ljudi promenilo mesto boravka, od
čega bi 33 000 prebeglo u Srbiju; B) U slučaju da dodje do nasilja
prilikom sticanja nezavisnosti KiM nad Srbima, UN procenjuje da bi
oko 70 000 ljudi pobeglo u Srbiju 2. Nezavisnost sa podelom
pokrajine, što bi značilo da bi neki delovi ostali pod
nadležnošću Srbije. 3. Teritorijalna autonomija u okviru Srbije
=== 2 - NEWS IN ENGLISH ===
http://www.reliefweb.int/rw/RWB.NSF/db900SID/ABES-6PQNY6?OpenDocument
Agence France-Presse May 12, 2006
Three injured in Kosovo blast, sparking fears of fresh violence
PRISTINA, Serbia-Montenegro - Three people, among them
a child, were injured in a blast of unknown origin in
the Kosovo capital Friday, sparking fears of fresh
violence amid talks of the province's future status,
an official said.
Kosovo police spokesman Veton Elshan told AFP that an
explosion "happened at 1:00 pm (1100 GMT) in the
Vranjevac area, wounding badly three females in their
home."
"One of the wounded is a four-year old child. They
were immediately transferred to the hospital," Elshan
said.
The site of the blast was close to an elementary
school in the area, but Elshan said there had been no
casualties among the pupils.
"Police and NATO-led peacekeepers removed children
from the school and have sealed off the area and begun
an inquiry," Elshan said.
However, he refused to speculate on the type of
explosive or device that had caused the blast.
The explosion was the latest in a series of incidents
in the past weeks. On Wednesday, two Serbs were
seriously injured in an armed robbery in the
Serb-populated northern part of the mostly ethnic
Albanian province, run by the United Nations since
1999.
....
Kosovo, with an ethnic Albanian majority, has been
under UN administration since NATO bombing forced the
end of the 1998-1999 war between Serbian forces and
ethnic Albanian separatists.
http://www.focus-fen.net/index.php?catid=144&newsid=88266&ch=0
Focus News Agency (Bulgaria) - May 12, 2006
Another Bus with Serbs Pelted with Stones
Kosovska Mitrovica - A large group of children threw
stones at a bus transporting Serbs from village of
Osojane to Kosovska Mitrovica, Montenegrin agency MINA
informs.
None of the passengers was injured. The bus with UN
signs on it is damaged.
This is the second similar case this week, the agency
notes.
http://www.blic.co.yu/danas/broj/E-Index.htm#4
Blic (Serbia and Montenegro) - May 12, 2006
Wounded young Serbs in critical condition
Jovan Milosevic, 19, and Jablan Jevtic, 21, who were
seriously wounded yesterday by an unidentified
attacker who opened fire on them at petrol station in
the village of Grabovac, are still in critical
condition.
'They are stable as far as their vital functions are
concerned, however, we are expecting complications and
their lives are still at risk. In Milosevic's body
there are still parts of the exploded bullet not taken
out yet and that is why complications are expected',
Doctor Milena Cvetkovic said.
Regional spokesman of Kosovo Police Sami Mehmeti said
that the motif of attack was robbery and that certain
sum of money was taken.
However, the owner of the petrol station Dragisa
Milovic claims that the attack on two young Serbs was
a terrorist act.
'No money has been taken. The attackers were shooting
to kill', he said.
http://www.blic.co.yu/danas/broj/E-Index.htm#3
Blic (Serbia and Montenegro) - May 12, 2006
Serbia War Crimes Prosecution interested in arrested KLA commander
The Serbian Prosecution for War Crimes shall request
from UNMIK insight in court documentation related to
former KLA leader Dzemail Gashi.
He was recently arrested in Germany at the request by
UNMIK for suspicion to have been involved in the
abduction, torture and killing of Serbs in Kosovo in
1998.
According to our source it is possible that the name
of this former KLA commander is connected with some
other crimes in the area of Djakovica and Prizren as
well as with the crimes against the Gypsies committed
by Anton Lekaj presently on court trial in Belgrade.
Several witnesses in Lekaj's court trial mentioned a
man with beard from Germany.
http://www.focus-fen.net/index.php?catid=144&newsid=88649&ch=0
Focus News Agency (Bulgaria) - May 19, 2006
Kosovo to Become Independent By the End of the Year
Belgrade - The member-states of the Contact Group
reached the conclusion the only solution for Kosovo’s
future status is independence.
In July they will give the green light to UN Special
Envoy for Kosovo’s Status Marti Ahtisaari to prepare a
final decision by the end of the year that would be
imposed to Serbia if it rejects this plan, Serbian
newspaper Blic reports citing sources close to the
Contact Group.
It is expected that in July Ahtisaari will introduce
the report to the UN Security Council which will read
that Belgrade and Pristina’s positions have not got
any closer and will request a new mandate during which
to prepare the final plan.
According to this plan Kosovo could become independent
as early as November this year.
Blic’s source points out the biggest problem for
implementing this plan is Russia’s position.
http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?
IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=23477&NrIssue=30&NrSection=20
MakFax (Macedonia) - May 24, 2006
Kosovo set to open office in Brussels
Pristina - Kosovo is due to open soon an office in
Brussels, the headquarter of the European Union (EU),
to operate under administration of UNMIK and the
Kosovo's institutions.
This was announced on Tuesday by the UNMIK chief Soren
Jessen-Petersen and Kosovo's Prime Minister Agim Ceku.
"The opening of an Office is especially important in a
period when Kosovo's institutions are due to present
their plan of activities within the European family",
Petersen said. He added that EU High Representative
for the Common Foreign and Security Policy, Javier
Solana, also backed the idea.
According to Kosovo's Prime Minister Ceku, the opening
of the Office will contribute to Kosovo's efforts
aimed at integration in EU and NATO, and the date of
the opening "is merely a matter of technical details".
Petersen, who paid a visit to New York and Washington
recently, announced that UN approved opening of
Kosovo's Office in Brussels, under administration of
UNMIK and Kosovo's institutions.
http://kosovareport.blogspot.com/2006/05/former-nato-commander-
retired-gen.html#comments
Associated Press - May 24, 2006
Former NATO commander, retired Gen. Wesley Clark to visit Kosovo
PRISTINA, Serbia-Montenegro - Retired U.S. Army Gen.
Wesley Clark will arrive Wednesday for a three-day
visit to Kosovo, officials said.
Clark was the supreme allied commander of NATO from
1997-2000 and was the commanding general in NATO's war
in the Serbian province in 1999 which halted Serb
forces' crackdown on independence-seeking ethnic
Albanians.
He will visit Kosovo at the invitation of Kosovo's
Prime Minister Agim Ceku, said Ulpiana Lama, the prime
minister's spokeswoman.
Clark, who made an unsuccessful bid for the Democratic
nomination in the U.S. presidential elections, is
considered a hero by the province's ethnic Albanians
who want the province to become independent.
He was reviled by many Serbs for his role during the
bombing campaign.
Ahead of his visit, billboards were placed around the
province's capital, Pristina, and local authorities in
the western town of Djakovica named a road after him.
The U.N. is currently conducting talks aimed at
steering ethnic Albanians and Serbian officials toward
settling the final status of the province.
Kosovo's ethnic Albanian majority wants independence,
while Serbs want it to remain part of Serbia.
http://today.reuters.com/News/CrisesArticle.aspx?storyId=L25654296
Reuters - May 25, 2006
Kosovo Serb convoy stoned, UN fires tear gas
PRISTINA, Serbia and Montenegro - United Nations
police in Kosovo fired tear gas to disperse a crowd of
ethnic Albanians who stoned a convoy of Serbs in the
west of the U.N.-run province on Thursday, police
said.
A Kosovo Albanian police spokesman said two U.N.
personnel were lightly wounded in the incident in the
ethnic Albanian village of Mala Krusa, near Prizren.
"A U.N. police convoy taking Serbs there was stopped
and stoned. Police fired tear gas," said spokesman
Fatmir Gjurgjeala. Two U.N. vehicles were also
damaged.
Witnesses said the main Prizren-Djakovica road was
closed and several villagers had been taken to
hospital for treatment for the effects of tear gas.
The stoning of Serb convoys in Kosovo is not uncommon.
The province, legally part of Serbia, has been run by
the United Nations since 1999, when NATO bombs drove
out Serb forces accused of ethnic cleansing in a
two-year war with separatist guerrillas.
....
Signs of reconciliation are rare. Around half the Serb
population fled a wave of revenge [sic] attacks after
the war and the 100,000 who stayed live on the margins
of society, targeted by sporadic violence.
....
After seven years of U.N.-imposed limbo, the major
powers are pushing for a solution to Kosovo's final
status in direct Serb-Albanian talks that began in
February in Vienna.
The 90-percent ethnic Albanian majority is pushing for
independence, but is under pressure to improve the
security and rights of Serbs.
The U.N. mission says ethnically motivated crime in
2006 is down compared with previous years.
http://www.defensenews.com/story.php?F=1825891&C=europe
Agence France-Presse - May 25, 2006
Kosovo To Be Independent in Months: Clark
PRISTINA, Serbia-Montenegro - The former U.S. general
who commanded NATO’s 1999 air war against Serbia on
May 25 predicted its southern province of Kosovo would
become independent within months.
Wesley Clark told Kosovo Albanian leaders in Pristina
he had confidence in their “strong, positive and
visionary proposals” to find a solution for Kosovo,
which has been run by the United Nations and NATO
since 1999.
”I am confident that this issue will be solved very
soon, and probably in few months, Kosovo will become
independent and will respect the rights of all
citizens,” said Clark.
”I believe that Kosovo will be welcomed into the
family of the nations and that there will be many
opportunities for the citizens of this country to
prosper, raise big families and make their dreams come
true.”
Clark, who is on a three-day visit to the disputed
province, met Kosovo’s President Fatmir Sejdiu and
Prime Minister Agim Ceku, who said Clark was a great
friend of Kosovo, who stood by it in its most
difficult times.
”He is and will always be honored by the people of
Kosovo,” he said.
Clark commanded the 1999 NATO air strikes that drove
Serbian forces loyal to former Yugoslav leader
Slobodan Milosevic out of Kosovo....
http://kosovareport.blogspot.com/2006/05/kosovos-premier-says-that-
provinces.html
Associated Press - May 27, 2006
Kosovo's premier says that province's independence is inevitable
TIRANA, Albania - Kosovo's Prime Minister Agim Ceku
said on Friday at the start of a two-day visit to
neighboring Albania that the province's independence
was inevitable.
"Montenegro's independence was an inevitable process
and Kosovo's independence also is a very natural and
inevitable process," Ceku told a news conference after
meeting with Albanian Prime Minister Sali Berisha.
Last weekend Montenegro decided in a referendum to
separate from Serbia-Montenegro, which was the last
union between republics of the former Yugoslavia after
that federation collapsed in a series of wars in the
1990s.
Ceku said that Belgrade should understand that the
"Balkans configuration has changed," adding that
Albania also shared the same stand on Kosovo's future
status - full independence.
"The only solution that would guarantee peace and
stability in Kosovo and the region is the one that
comes out from the right of self-determination of the
Kosovo people, that is, respecting the Kosovo
citizens' will, which is repeated continuously, for
independence," said Berisha.
U.N.-sponsored talks to determine Kosovo's future are
under way in Austria. Kosovo's ethnic Albanian
majority wants independence, while Serbs want it to
remain part of Serbia.
http://www.focus-fen.net/index.php?catid=123&newsid=89301&ch=0
Focus News Agency (Bulgaria) - May 29, 2006
Dnevnik: DUI, PRP to Take Part in Macedonian Elections Together
Tetovo - The Democratic Union for Integration (DUI)
and the Party for Democratic Prosperity (PDP) will
take part in the coming parliamentary elections in
Macedonia together, Macedonian newspaper Dnevnik
reported.
DUI leader Ali Ahmeti [former Kosovo-based KLA-NLA
chieftan] and PRP leader Abdulhadi Vejseli signed
Sunday a declaration for a joint participation in the
elections.
Vejseli noted that the coalition was a result of the
common concept and identical programs of the two
parties.
The two leaders refused to comment whether their
election program will defend the idea about
establishing a trade alliance between Albania,
Macedonia and Kosovo. Vejseli had earlier said that
idea would be the main issue of the campaign of PDP.
http://www.focus-fen.net/index.php?catid=144&newsid=89211&ch=0
Focus News Agency (Bulgaria) - May 29, 2006
Shekulli: Sali Berisha and Agim Ceku Say Kosovo’s Independence Certain
Tirana - Tirana and Pristina have the same stand on
the Kosovo status issue.
They think the independence of the province is
certain.
Albanian Prime Minister Sali Berisha and his Kosovo
counterpart Agim Ceku voice the stand during talks
Saturday in Tirana, Shekulli reports.
During the meeting, Berisha stated Albania would
present the Albanian port of Shengjin on the Adriatic
Sea at the disposal of Kosovo.
http://www.focus-fen.net/index.php?catid=144&newsid=89297&ch=0
Focus News Agency (Bulgaria) - May 29, 2006
Kosovo Parliament Speaker: Serbia Is Hampering Kosovo Status Talks
Intentionally
Pristina - Serbia is hampering the talks on Kosovo’s
status intentionally because it knows what the outcome
will be, Speaker of Kosovo Parliament Kol Berisha
stated today, Serbian radio station B92 reports.
According to him Serbia knows what the outcome of the
talks will be and thus makes efforts not only to
prolong them but to also block them.
“In case Serbia continues with its actions the
international community has another variant according
to which it will unilaterally proclaim Kosovo for an
independent and sovereign state,” Kol Berisha said.
Commenting on the possible influence the result of the
independence vote in Montenegro might have on the
Kosovo issue Berisha said that any process in the
region may influence it.
According to him the talks between Belgrade and
Pristina are actually talks about the living
conditions of the Kosovo Serbs and not about Kosovo’s
status.
http://www.washingtonpost.com/wp-dyn/content/article/2006/05/31/
AR2006053100507.html
Reuters - May 31, 2006
UN braced for Serb exodus from Kosovo: report
By Matt Robinson
BELGRADE - The U.N. has contingency plans for an
exodus of thousands of Serbs from Kosovo in the event
that the majority Albanian province wins independence
from Serbia in talks this year.
According to the Belgrade daily Politika, the United
Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR) is
braced for up to 70,000 leaving the province if Serbia
loses sovereignty.
Despite Belgrade's strong opposition, Kosovo is widely
expected to win independence in U.N.-mediated talks
that began in February and could finish within the
year.
A UNHCR spokeswoman told Reuters an internal document
did exist, in order to "be ready to help a certain
number of people who may be affected by a decision."
But she declined to divulge details of the plan.
"Extending assistance is a logistical operation and
the aim of such plans is for the organization to be
ready to provide protection if it proves to be
necessary. It is possible that nothing happens at
all," the UNHCR's Vesna Petkovic said.
Politika quoted the plan as saying Kosovo's
independence "could provoke further political
instability and civil disturbance and result in fresh
movements of minorities from Kosovo toward the Serbia
and Montenegro interior."
Even if Kosovo gets independence without large-scale
violence "it is expected that 57,000 people would
change their place of residence, of which around
33,000 would come to Serbia," Politika quoted the
contingency plan as saying.
But if Albanians attacked Serbs, as many as 70,000
could seek safety in Serbia, it forecasts.
VERY LITTLE LEFT
On Tuesday, Serbia-Montenegro Foreign Minister Vuk
Draskovic warned major Western powers not to force
Kosovo's independence on Belgrade, predicting
"turbulence" across the Balkans if it was amputated
from a sovereign Serbia.
There are around 100,000 Serbs left in Kosovo. An
exodus on the scale foreseen would leave only pockets
of Serb land.
Outnumbered 20-1 by two million ethnic Albanians, many
Serbs say they would simply leave Kosovo, the
territory considered Serbia's religious heartland
dating back 1,000 years.
NATO bombed Yugoslavia in 1999 to drive out Serb
forces...in a two-year war with Albanian separatist
rebels....
As Western alliance forces deployed, about half of the
Serb population in turn fled a wave of Albanian
revenge [sic] attacks.
Those who stayed on have become increasingly
marginalized. They fear for the future and point to
NATO's failure in March 2004 to prevent Albanian mobs
from overrunning Serb enclaves, torching homes and
churches. Nineteen people died in the riots.
The United Nations and a 17,000-strong NATO peace
force stationed in Kosovo say a repeat is impossible.
Politika said the UN plans three contingencies:
independence within current borders, autonomy within
Serbia, and independence for Kosovo below the River
Ibar, partitioning the Serb-dominated north.
Major powers have ruled out partitioning Kosovo but
there are indications that contingency plans exist for
a breakaway attempt by Serbs in the divided city of
Mitrovica.
(Additional reporting by Beti Bilandzic)
http://news.monstersandcritics.com/europe/article_1168704.php/
UN_preparing_to_leave_Kosovo_Jessen-Petersen_says
Deutsche Presse-Agentur - June 1, 2006
UN preparing to leave Kosovo, Jessen-Petersen says
Pristina - The United Nations Mission in Kosovo
(UNMIK) was preparing to leave the province once its
future status is defined, the UNMIK head Soren
Jessen-Petersen said Thursday.
'I think that the destiny of Kosovo is clear, it is in
the hands of the political leaders and the people of
Kosovo,' Jessen-Petersen said after meeting the Kosovo
Prime Minister Agim Ceku in Pristina. 'I think that
our role is changing rapidly - which is good.'
UNMIK arrived in Kosovo in June 1999, days after NATO
expelled Belgrade's security forces from the
province....
The UN has since governed Kosovo, based on the
Security Council resolution 1244. They have however
been transferring authority over to provisional local
provincial institutions.
The talks on the future status of Kosovo were launched
earlier this year under UN auspices in Vienna - six
rounds were held so far.
Serbia insists on retaining sovereignty over Kosovo
and offers a wide autonomy.
Kosovo Albanian leaders want full independence quickly
and are hoping to win it before the year expires.
Both the UN and NATO have reduced their presence in
Kosovo, which however remained ethnically troubled and
plagued by spates of violence, now mostly targeting
the minority Serbs.
'UNMIK has been engaged in downsizing, now for almost
one year. This is logical, because we are preparing
for exit when the Security Council defines Kosovo's
status,' Jessen-Petersen said.
http://www.focus-fen.net/index.php?catid=144&newsid=89475&ch=0
Focus News Agency (Bulgaria) - June 1, 2006
Kosovo Serb Killed in Northern Kosovo
Zvecan - 23-year-old Kosovo Serb was killed last night
on the road from the town of Zvecan to the village
where he lived, UNMIK police in Kosovska Mitrovica
confirmed today cited by RTS.
Some trees were put to block the road from Zvecan and
this made the man stop his car.
At that moment someone fired at his car.
A lot of 7,65 caliber cartridge-cases were found at
the incident site.
UNMIK police teams are inspecting the site.
http://www.focus-fen.net/index.php?catid=144&newsid=89453&ch=0
Focus News Agency (Bulgaria) - June 1, 2006
Bridge Connecting Serbian Villages in Kosovo Blows up
Kosovska Mitrovica - Unknown perpetrators mined the
bridge that connects the Serbian villages of Grabac
and Bica in Kosovo, Serbian radio station B92 reports.
The explosive device blew up yesterday.
The bridge is extremely damaged.
A KFOR unit arrived at the incident scene and is
investigating the motives and the level of the
damages.