Informazione


(english / italiano)

Kosovo, chiese ortodosse sempre sotto tiro


0. THE MOST RECENT DESTRUCTIONS (links)

1. Kosovo, chiese ortodosse sotto tiro (Tommaso Di Francesco)

2. NUOVO LIBRO: L'altra guerra del Kosovo. Il patrimonio della cristianità serbo-ortodossa da salvare
- recensione di Ida Dominijanni
- recensione di Loris Campetti
- intervista al vicario del monastero di Decani (2004)

3. FLASHBACK : THE 2004 DESTRUCTIONS

4. LINKS


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THE MOST RECENT DESTRUCTIONS (links):

Serb church vandalized in Kosovo
BBC Monitoring Europe (Political) - April 16, 2006

Kosovo church demolished
B92 (Serbia and Montenegro) - May 12, 2006

ANOTHER SERBIAN CHURCH DESECRATED IN KOSOVO
FoNet - May 13, 2006

SERBIAN CHURCH DEMOLISHED IN KOSOVO
Beta - June 20, 2006

Serbian church in northern Kosovo attacked again 

WHC puts Medieval Monuments in Kosovo in danger list
Xinhua - July 17, 2006


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il manifesto
27 Giugno 2006

Kosovo, chiese ortodosse sotto tiro

Nel mirino Monasteri profanati, cimiteri distrutti, simboli abbattuti. Tornano nel mirino i serbi. Gli albanesi di Pristina aspettano la promessa indipendenza. Tutta la leadership di Belgrado dice no e sì ad una larga autonomia. Il premier Kostunica oggi da Blair che, con Bush, lo invita a «non isolarsi». Il premier serbo per la prima volta invitato in Kosovo domani 28 giugno per l' anniversario della Piana dei Merli. L'Italia quasi tace

Tommaso Di Francesco

La chiesa di Sant'Andrea profanata a Podujevo, più di trenta tombe ortodosse devastate a Staro Gracko, cimiteri dissacrati, enormi croci divelte dalle cupole dell'antica chiesa della Santa Vergine a Obilic (a fine maggio hanno tentato perfino di uccidere un prete della diocesi di Pristina), un contadino serbo, Dragan Popovic, ucciso il 20 giugno a Klina: è il Kosovo pacificato dall'amministrazione Onu e dall'occupazione militare Nato. Morti e devastazioni che vanno ad aggiungersi a quelli dei pogrom del marzo 2004, ma in Kosovo - dall'ingresso delle truppe della Nato secondo la pace di Kumanovo del giugno 1999 dopo 78 giorni di bombardamenti «umanitari» della Nato su tutta l'ex Jugoslavia - è sempre stato «marzo», con lo scatenamento di una feroce contropulizia etnica: 1300 serbi, rom e albanesi moderati uccisi, altrettanti desaparecidos, 150 chiese e monasteri ortodossi rasi al suolo o incendiati, 200.000 serbi fuggiti nel terrore e altrettanti rom. E proprio in queste ore la minoranza cristiano ortodossa della provincia ancora formalmente serba e che sciaguratamente l'amministrazione Onu ha avviato verso l'indipendenza, torna sotto tiro. Il vescovo di Pristina, Artemije ha condannato la profanazione dei luoghi di culto di questi giorni accusando: «Siamo preoccupati, la comunità internazionale dovrebbe proteggere le zone attorno ai luoghi santi». L' escalation di violenze che da un mese si è riscatenata contro i serbi è stata oggetto di un preciso rapporto in Vaticano presentato dall'ambasciatore serbo alla Santa sede, Darko Tanaskovic. La «situazione della libertà religiosa in Kosovo resta davvero intollerabile e non rispondente agli standard internazionali» afferma Joseph Grieboski, presidente e fondatore dell'Institute on Religion and Public Policy - organizzazione americana indipendente.
Significativo il fatto che invece la diplomazia laica sia sul baratro, in silenzio o in procinto di acconsentire a quell'indipendenza che gli Stati uniti hanno di fatto avviato con una guerra che i governi europei della Nato motivavano invece come necessità «umanitaria». George W. Bush arrivando al vertice di Vienna la scorsa settimana ha promesso di incontrare il premier serbo Vojslav Kostunica e incoraggiarlo a dialogare perché «il dialogo tra la Serbia e e coloro che aspirano all'indipendenza del Kosovo deve andare avanti, certo «proteggendo i diritti delle minoranze». Come non è chiaro, visto che questa «indipendenza» che priverebbe la Serbia semplicente dei luoghi della sua cultura fondativa, è stata perseguita con la contropulizia etnica, sotto gli occhi della Nato. Più sbrigativo Tony Blair che, scriveva ieri il Financial Times, dirà a Vojslav Kostunica che incontrerà oggi, che deve riconoscere la «differente visione» dell'indipendenza, pena «l'isolamento». Ma che la situazione resta drammatica e di difficile soluzione, lo si capisce dai difficili movimenti dell'inviato dell'Onu Martti Ahtisaari dal quale trapela la notizia di un vertice estivo, già il 21 luglio, tra serbo e albanesi kosovari, ma anche la convinzione che i colloqui «continueranno anche nel 2007». In Serbia il premier Kostunica e il presidente Boris Tadic, pur rappresentando realtà politiche diverse della leadership di Belgrado, insistono a dire no ad ogni pressione sull'indipendenza pronti invece a riconoscere una profonda autonomia del Kosovo. Il Consiglio di sicurezza dell'Onu, maleinformato per il ruolo nefasto dell'amministratore Soren Jessen Petersen che ha improvvisamente lasciato l'incarico prima della fine del suo mandato, si è già riunito la scorsa settimana sul Kosovo e resta preoccupato. L'Onu ha per la prima volta autorizzato Kostunica a venire in Kosovo domani 28 giugno (festa di Vidovdan) nel 617mo anniversario della battaglia della Piana dei Merli, storica sconfitta dei serbi nel 1389.
In Italia di Kosovo si preferisce non parlare. Solo l'ex generale Mini che comandava la Kfor, ripete che lì la realtà tornerà esplosiva. E fa capolino nel difficile clima afghano con l'Udc che si dice pronta a votare con la maggioranza «come con il Kosovo» all'epoca di D'Alema premier. E D'Alema? Non ha ancora riaperto il dossier Kosovo, tuttavia, ricevendo l'inviato Martti Ahtisaari ha insistito per una soluzione negoziale che «garantisca un Kosovo multietnico» procedendo «con equilibrio e senza accelerazioni artificiali».


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il manifesto
18 Luglio 2006
Politica o quasi

Kosovo, morte e resurrezione

Ida Dominijanni

Diventata forma fisologica della politica agonizzante d'inizio millennio, la guerra non dà tregua: l'una si sussegue all'altra senza soluzione di continuità. E il fuoco dei media sull'ultima rimuove, ogni volta, il portato e i residui di quella precedente. Mi fa un certo effetto, devo confessarlo, trovarmi sul tavolo, mentre la tv trasmette le immagini di Beirut in fiamme, un volume a più voci recentemente curato da Luana Zanella, L'altra guerra del Kosovo. Il patrimonio della cristianità serbo-ortodossa da salvare (Casadeilibri): lo guardo e mi sembra fuori fuoco e fuori contesto. La verità è che anch'io, come tutti, ho già dimenticato: da quando brucia il Medioriente chi si ricorda più del Kosovo, se non quei pochi - tra cui gli autori del libro in questione - che ostinatamente continuano a monitorare quello che accade nella sventurata regione dei Balcani? Dall'ultima guerra del '900, quando ancora non c'era stato l'11 settembre, la preemptive war non era stata inventata e il terrorismo islamico covava sottotraccia, sembra passato davvero un secolo. E sì che quanto al crescere della febbre identitaria e del conflitto etnico-religioso gli eventi della ex Jugoslavia avevano già annunciato tutto quello che c'era da annunciare.
E' contro questo oblìo che il libro nasce ed è in particolare alla politica italiana e europea, le meno autorizzate a dimenticare, che si rivolge. Deputata Verde pacifista, nel '99 contraria all'«intervento umanitario» del governo D'Alema, Zanella ha visitato le terre martoriate dell'ex Jugoslavia più volte, in guerra e dopo, e qui in specie racconta la sua visita in Kosovo del dicembre 2004, quando era diventato evidente il rovesciamento intervenuto in quella regione, dalla catastrofe umanitaria della comunità albanese perseguitata e «ripulita» da Milosevic che aveva legittimato la guerra a quella della comunità serba e di altre minoranze non albanesi - rom, bosgnacchi, goranci, ashkali - perseguitate dall'Uck e dalle bande criminali nella dimenticanza dei media e della politica. In questo contesto la rivisitazione del patrimonio artistico serbo-ortodosso che il libro propone - e che fa seguito alla campagna per la sua salvezza lanciata qualche anno fa da un appello di Massimo Cacciari - acquista un evidente senso politico. Come scrive Zanella, «non si tratta di difendere unicamente la cristianità serba, ma la possibilità stessa della convivenza fra popoli e culture differenti». La tradizione di tolleranza religiosa del Kosovo è infatti messa in forse non solo dagli eventi politici e militari, ma anche dalla perdita delle tradizioni locali, e quella «terra sacra» ad alta densità simbolica carica di monasteri, chiese, dipinti rischia di diventare un crocevia di traffici d'ogni sorta, potenziale base nel cuore dell'Europa per il terrorismo fondamentalista.
Del patrimonio artistico kosovaro, davvero «simbolico» dell'interculturalità perché esso stesso ponte fra culture diverse, scrivono Rosa D'Amico, Valentino Pace, Alessandro Bianchi. Andrea Catone, Daniele Senzanonna, Renato D'Antiga mettono a fuoco alcuni passaggi della storia del Kosovo dal medioevo in poi, Tommaso Di Francesco alcuni momenti della cronaca recente. Cacciari, nella prefazione, insiste sul filo che lega, o dovrebbe, la percezione della tragedia politica e della posta in gioco culturale e spirituale: è questo secondo versante che «aiuta a capire la 'profondità' delle recenti tragedie, e come la loro radice debba essere cercata indietro nel tempo, negli strati che potevano apparire sommersi dell'anima di quei popoli». Nessuno sconto è possibile e nessuna rimozione consentita: «anche in questo caso è necessario guardare in faccia tutto l'inferno della storia», tanto più anzi in questo caso, emblematico di come le umane vicende procedano per salti imprevisti, a onta dei nostri calcoli razionali. Può accadere, nella ex Jugoslavia è accaduto, che la guerra civile scoppi efferata fra vicini di casa che fino al giorno prima avevano fatto festa assieme e si erano riconosciute nelle stesse icone artistiche. Ma può accadere anche il contrario, che quelle icone ridiventino segni e tramite di ospitalità reciproca. «I monasteri e le chiese del Kosovo rappresentano nei loro grandi cicli di affreschi questa capacità di resurrezione, la volontà di non arrendersi al destino della inimicizia e della morte».

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il manifesto
19 Maggio 2006

Un popolo in fuga, una cultura nel mirino

Infelice Kosovo troppo lontano dall'Europa

Il dimenticato patrimonio della cristianità serbo ortodossa, una storia di violenza, invisibile a chi pretende un'identità religiosa per il Vecchio continente

Loris Campetti

Come dimenticare il tormentone sulle «radici cristiano-giudaiche» dell'Europa? Difficile riuscirci, tanto più che proprio quando si pensa che si sia finalmente inabissato, eccolo carsicamente riemergere, agitato in forma individuale o collettiva da una folta schiera di «fedeli» alla Chiesa di Roma - quel «giudaico» aggiunto a cristiano serve solo a salvare la coscienza europea, come se bastasse una mano di sapone a ripulirla dai crimini della Shoah. Il tormentone dunque non ha una fine, ma un fine sì che ce l'ha ed è quello di mettere un doc, un marchio d'origine sul Vecchio continente, da parte di chi si sente «assediato» da religioni e culture «altre». Bisognerebbe organizzare un viaggio collettivo per portare in processione a Pristina e nei centri della martoriata regione kosovara questa schiera di «europei doc»: potrebbero così prendere atto dello scempio fatto della memoria e dell'arte della cristianità dagli «infedeli» albanesi - quelli la cui identità europea verrebbe negata dal marchio d'origine - nel corso dei secoli, con un'accelerazione eccezionale dal 1999 quando le bombe umanitarie fecero strage di serbi, zingari, profughi, albanesi di passaggio e, naturalmente, di strutture, infrastrutture, fabbriche, abitazioni, ma anche monasteri e opere d'arte.
Il popolo serbo, tutore di una memoria collettiva, non ha potuto usufruire della «guerra di religione» dichiarata al mondo islamico e consacrata due anni più tardi, l'11 settembre del 2001. Né i serbi hanno potuto avvalersene successivamente: ormai il processo di deserbizzazione in Kosovo era andato troppo avanti, era diventato troppo difficile fermarlo per un'Europa che aveva ormai rimosso le conseguenze delle sue scelte belliche, ancorché umanitarie. Oggi l'Europa sa soltanto ripetere che la Serbia resterà fuori dalla comunità e non sarà ammessa a iscriversi nell'elenco dei candidati, almeno finché non avrà consegnato al tribunale dell'Aia i suoi criminali. Del Kosovo, poi, meglio non occuparsene, finché il problema non sarà risolto alla radice, cioè con l'espulsione dell'ultimo serbo rimasto a Kosovska Mitrovica. Finché nell'immaginario collettivo europeo sarà ben consolidata l'idea che nella distruzione sanguinosa dell'ex Jugoslavia c'è stato un unico responsabile - il governo di Milosevic, e in fondo l'intero popolo serbo, «l'etnia» serba. E nell'immaginario collettivo serbo trionferà l'idea che tutto il mondo gli è nemico, come ai tempi della sconfitta di Kosovo Polje.
La storia dei serbi nel Kosovo, intrecciata di vicende umane e patrimoni dell'arte e dello spirito, si racconta nel libro L'altra guerra del Kosovo. Il patrimonio della cristianità serbo-ortodossa da salvare, a cura di Luana Zanella, Casadeilibri, Padova 2006, euro 21. Contiene testi, oltre che di Zanella, del presidente dell'associazione «Most za Beograd-Un ponte per Belgrado» Andrea Catone, di Rosa D'Amico della Soprintendenza per il patrimonio artistico ed etnografico di Bologna, di Renato D'Antiga che svolge attività teologica presso la Metropoli ortodossa d'Italia, del giornalista del manifesto Tommaso Di Francesco, di Valentino Pace, docente di Storia dell'Arte medievale e bizantina e di Daniele Senzanonna, autore di una tesi sul Kosovo.
La storia ricostruita ne «L'altra guerra del Kosovo» ci dice che oggi sta andando a distruzione un patrimonio artistico che aveva resistito nei secoli, nell'indifferenza proprio di chi vorrebbe farsi paladino delle radici cristiane dell'Europa. Al punto di dimenticare, nelle più significative manifestazioni dedicate all'arte bizantina, l'importanza di quel pezzo di storia, già sepolta prima ancora di morire.
Il libro si chiude con la storia terribile dei nostri giorni che vede i nostri ottimi soldati piantonare, per l'eternità, una chiesa, una torre, un cippo, nella consapevolezza che, appena volteranno le spalle, una bomba, un incendio, una picconata, staccherà per sempre un volto d'angelo, la compassione di Cristo, la speranza della Resurrezione. E' proprio a quest'ultima che si appella Massimo Cacciari, nella prefazione al libro, riferendosi alla bellezza dell'Anastasis, alla necessità da parte dell'Europa di considerare Studenica, Mileseva, Sopocani, Pec, Gracanica, Decani e le altre, come parte della sua memoria e del suo attuale patrimonio culturale.
Il popolo serbo, secondo le prime informazioni fornite dall'imperatore Costantino VII Porfirogenito, nel suo De Administrazione Imperio, è originario della Serbia Bianca, territorio della Lusazia, posto a nord e a nord ovest dell'attuale Boemia. Guidati dai loro condottieri chiamati zupani, i serbi scendono in Illiria, abbandonano la loro struttura sociale di carattere tribale e, guardando a Costantinopoli, adottano un regime monarchico. Dal VI secolo cominciano a popolare il Kosovo, ne prendono il pieno possesso e costringono le popolazioni indigene (greci, romani, dardani, valacchi, zingari, aromaniani, illiri e traci) a spostarsi sulle coste o all'interno, sulle montagne. La regione entra così a far parte dei vasti possedimenti governati dalla potente dinastia dei Nemanija che regna per due secoli (1166-1371) e fa del Kosovo il centro della cultura e dalla religione.
La conversione al cristianesimo ortodosso era già cominciata intorno al IX secolo ma con lo zupan Stefano Nemanija i movimenti spirituali legati alla vita monastica, nati nelle grotte impervie del sud, prendono a diffondersi in tutto il territorio, assecondati da una politica di grande attenzione alla cultura e alle espressioni spirituali del mondo bizantino ma anche dell'altra sponda dell'Adriatico.
I membri delle famiglie reali, spesso esponenti della chiesa nazionale, moltiplicano le costruzioni di monasteri che gravitano su ampi territori, creando un tessuto unitario, rafforzato dalla profonda religiosità dei regnanti che spesso, dopo aver abdicato, concludono la loro vita terrena ritirandosi dal mondo, assumendo le vesti di umili monaci. Nascono Studenica, Mileseva, Sopocani, Pec, Gracanica, Decani, solo per ricordare le più famose. Pittori, scalpellini, costruttori, architetti, mettono in cantiere decorazioni scolpite su marmo bianco, affreschi che raccontino, a tutta volta, l'intera storia degli apostoli, la pazienza dell'Annunciata che fila, la lattea solitudine della chiesa dell'Ascensione. Grazie allo sfruttamento delle miniere di argento e di piombo e al ricco commercio dalmata, l'architettura e le arti figurative trasformano il Kosovo nella gemma dei Balcani.
Poi, il 15 giugno del calendario giuliano, il 28 di quello gregoriano, del 1389, a Kosovo Polije, la Piana dei merli, l'esercito ottomano forte di 30.000 uomini sconfigge quello di Lazar, principe serbo al comando di un'armata grande la metà. L'intera nobiltà, fanti e cavalieri, difendono quella lontana propaggine della cristianità fino a soccombere. La Serbia e il Kosovo con lei, entrano così sotto la dominazione turca che durerà quattro secoli. Ben di più durerà, nell'immaginario collettivo serbo, il segno lasciato dalla sconfitta subita a Kosovo Polije che paradossalmente diventa un simbolo identitario tuttora vivo dal confine con l'Ungheria, cioè dalla Vojvodina, fino al cuore dello sventurato Kosovo. Un simbolo identitario - e il paradosso sta nell'autorappresentazione di un popolo in un luogo e in una vicenda che rimandano a una sconfitta - riscontrabile anche nei serbi della (sempre più numerosa) diaspora nei paesi europei, negli Stati uniti, nel Canada.
La religiosità dei serbi diventa a questo punto il fulcro della resistenza. La fede nella resurrezione non è solo un fatto simbolico ma si incarna in una opposizione capace di attraversare i secoli. Gli ottomani requisiscono le chiese e i monasteri più belli per trasformarli in moschee mentre cristiani ed ebrei entrano in una sorta di clandestinità. Tuttavia, mentre gli albanesi e gli slavi di Bosnia cadono nell'apostasia, i cristiani del Kosovo resteranno tali (97% della popolazione) fino al sedicesimo secolo, accompagnati da tutti quegli angeli e pie donne, evangelisti e vescovi, vergini e santi che dall'alto delle volte di chiese e monasteri sperduti, li invitano a credere ma anche a resistere.
Venezia, l'Austria, poi la Russia, minacciate a loro volta dagli ottomani promettono, nei secoli, larghi appoggi ai serbi che, tuttavia, rimangono quasi sempre soli, schiacciati contro l'invasore, e si fanno uccidere. Intanto gli albanesi, in gran parte islamizzati, combattono al fianco degli ottomani e nel 1690 comincia la Grande migrazione che dà inizio al cambiamento della composizione etnica del Kosovo e che continuerà nel 1737 con la guerra austro-russa contro i turchi. Man mano che i serbi vengono spinti fuori dalla regione, gli albanesi scendono dalle montagne e si appropriano delle aree coltivate, grazie alla protezione dei turchi che li tengono legati a sé anche da una ricorrente politica di esenzione dalle tasse.
Due secoli e mezzo più tardi i serbi sono ancora in fuga dal Kosovo e i loro monasteri restano un target per chi pretende per quei martoriati territori europei un'identità diversa da quella cristiano-giudaica. Due rivendicazioni identitarie che uccidono arte, cultura, popoli. Popoli europei.


intervista

Se anche l'arte diventa nemica

tommaso di francesco

Pubblichiamo uno stralcio di un'intervista di Tommaso Di Francesco al vicario del monastero di Decani, apparsa sul manifesto del 23 ottobre 2004 e ripubblicata nel libro «L'altra guerra del Kosovo». Sono passati 18 mesi, Rugova è morto e la situazione per i serbi è addirittura peggiorata.


In occasione delle elezioni di oggi abbiamo incontrato a Decani, sede di uno dei più importanti monasteri ortodossi del Kosovo, fortunatamente non ancora devastato, padre Sava, vicario del monastero e tra i rappresentanti più noti della chiesa ortodossa nei Balcani. E' un gigante dalla barba bionda, ha 39 anni, è nato a Dubrovnik e ha vissuto per molto tempo in Erzegovina. Ora vive asserragliato nel monastero di Decani, guardato a vista dai paracadutisti italiani, dove prosegue la sua coraggiosa «testimonianza religiosa nell'arcipelago Kosovo», nonostante le violenze perpetuate dagli estremisti albanesi.

D: Come vivono i serbi in Kosovo, c'è un futuro per loro? E il lavoro, diritti?

R: Sono un popolo esposto alla distruzione, sia fisica, che spirituale. Insomma, a rischio estinzione. La nostra tragedia continuerà finché la comunità internazionale tollererà la violenza etnica e la costruzione di una società albanese monoetnica. L'amministrazione dell'Onu- Unmik negli ultimi cinque anni non ha creato alcuna prospettiva per la sopravvivenza - non dico nemmeno esistenza - dei serbi.

D: Il leader moderato e «presidente» Ibrahim Rugova vuole l'indipendenza: due settimane fa ha chiesto apertamente agli Stati uniti e all'Unione europea di riconoscere il Kosovo indipendente. Che cosa pensa di questo?

R: La visione del signor Rugova è limitata alla sola richiesta di un Kosovo indipendente. Però, nella vita quotidiana, Rugova, come il resto dei leader kosovaro-albanesi non ha una visione della società nella quale tutti i cittadini, senza badare alla loro nazionalità siano liberi ed uguali. E' deplorevole che i sindaci appartenenti al partito di Rugova (la Lega democratica, Ldk ndr), nella parte occidentale del Kosovo - a Klina, Pec, Prizren - siano i principali oppositori del ritorno dei serbi. Questo prova che, quando si tratta dei serbi, non c'e alcuna differenza tra il partito di Rugova e quelli dell'Uck.

D: Quali sono stati i risultati della «guerra umanitaria», alla luce delle violenze, della nuova pulizia etnica subita dai serbi dal giugno 1999, data d'ingresso della Nato, e alla luce delle violenze contro la popolazione serba e i monasteri del marzo scorso?

R: La cosidetta «guerra umanitaria» dell'Alleanza atlantica - 78 giorni di bombardamenti successivi su tutta la Jugoslavia, Kosovo compreso - ha portato a una nuova catastrofe umanitaria e ha scatenato le violenze contro i serbi e le altre minoranze, come i rom e i goranji. La missione dell'Onu, Unmik, è la missione più fallimentare della storia delle Nazioni unite. Negli ultimi cinque anni sono stati cacciati 250mila serbi, rom e altre minoranze; sono state distrutte 140 chiese e monasteri serbo-ortodossi; sono stati uccisi, o desaparecidos, circa duemila serbi; e gli altri vivono nelle loro enclave, dietro il filo spinato e circondati da soldati e mezzi militari. Mentre i disordini di marzo, che hanno portato alla cacciata di seimila serbi, e la distruzione di 35 chiese - hanno mostrato che la Nato, che si era impegnata per la sicurezza del Kosovo con la pace di Kumanovo, è invece una tigre di carta. Certo, i soldati italiani ora ci proteggono e senza di loro non esisterebbero nemmeno le enclave serbe. Ma è un paradosso: noi eravamo i nemici che andavano bombardati. Ora ci salvano, ma quei bombardamenti hanno autorizzato le attuali impunità contro di noi. Per impedire una completa catastrofe, bisogna cambiare completamente la strategia internazionale, e non attribuire ulteriori legittimità e competenze alle autorità monoetniche kosovaro-albanesi. Il contrario esatto dell'obiettivo di queste che la comunità internazionale si ostina a chiamare «elezioni».


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FLASHBACK : THE 2004 DESTRUCTIONS

Tanjug - March 20, 2004

Appeal to UNESCO to defend cultural heritage in Kosovo

18:31 BELGRADE, March 20 (Tanjug) - Reacting to the
destruction of Serbian Orthodox churches, monasteries
and convents in Kosovo-Metohija, Serbia-Montenegro
President Svetozar Marovic on Saturday called on
UNESCO Director-General Koichiro Matsuura to condemn
these acts and invite the international community to
urge defence of the cultural heritage threatened by
destruction.
In a letter to the UNESCO director-general, Marovic
appealed that UNESCO mission assess the damage made in
the latest wave of destruction as soon as the
situation in Kosovo stabilised and propose measures
for reconstruction and constant protection.

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Tanjug - March 23, 2004

UNESCO strongly condemns attacks at Serbian cultural
heritage in Kosovo

12:01 PARIS , March 23 (Tanjug) - UNESCO Director
General Koichiro Matsuura on Monday strongly condemned
the latest attacks at the Serbian cultural heritage,
saying that they were aimed at erasing the memory and
cultural identity of a nation.
Serbia-Montenegro Ambassador to UNESCO Dragoljub
Najman told Tanjug in Paris that Matsuura was reacting
to the destruction of Serbian Orthodox monasteries,
convents and churches under the attack of ethnic
Albanian extremists in Kosovo in the past few days and
to a letter Serbia-Montenegro President Svetozar
Marovic had sent him on this occasion.

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Serbia Info - March 28, 2004

35 Orthodox churches, monasteries destroyed or damaged

Belgrade, March 27, 2004 - The Diocese of
Raska-Prizren has released an updated list of 35
Serbian Orthodox churches and monasteries that were
destroyed or severely damaged in last week’s outbreak
of violence in Kosovo-Metohija.


Prizren (All Prizren churches were destroyed on March
17 and March 18)

Holy Virgin of Lyevish (14th century) burned inside

Church of Christ the Savior (14th century) burned

Cathedral of St. George (1856) burned and mined

Church of St. Nicholas (Tutic's church, 14th century)
burned

Church of St. Nicholas (Runovic's church, 16th
century) burned inside

Church of St. Kyriake (14th century, reconstructed
later) burned, Potkaljaja quarter

Church of St. Panteleimon (14th century, reconstructed
later) burned, Potkaljaja quarter

Church of St. Cosmas and Damian (14th century,
reconstructed) burned, Potkaljaja quarter

Church of St. Kyriake, Zivinjane, near Prizren, mined
(UNMIK/KFOR Report: March 19 - Explosion completely
destroys old Orthodox Church near Zivinjane village)

Holy Archangels Monastery (14th century), burned

Serbian Orthodox Seminary of Sts. Cyrillus of
Methodius (UNMIK/KFOR Report March 17 - Orthodox
Seminary in town centre & 3 Orthodox churches set on
fire)

Bishop's residence in Prizren (now: 1) (UNMIK/KFOR
Report - March 18: Archbishop seat, Archangel
Monastery, an Orthodox Church and Orthodox Seminary
set on fire & destroyed)


Orahovac

Church of St. Kyriake, (1852), Brnjaca, Orahovac 1852
(UNMIK/KFOR Report: March 18 - Orthodox Church set on
fire & destroyed in Brnjaca village)


Djakovica

Church of the Assumption of the Virgin Mary (16-19th
century), burned, along with the parish home, on March
17, razed to the ground during the following days

Cathedral church of the Holy Trinity (two bell-towers
which survived the 1999 mining were razed to the
ground. Kosovo Albanians removed all material from the
site in the following days, UNMIK/KFOR Report March 18
- Rioters remove debris of destroyed Orthodox Church
with trucks & trailers Approx 5,000 K-Albanians
participate.)

Church of St. Lazarus, Piskote, near Djakovica,
reported destroyed (confirmed from an international
source)

Church of St. Elias, near Bistrazin, damaged after the
war and now completely destroyed (confirmed by Bishop
Atanasije Jevtic)


Srbica

Devic Monastery (15th century) burned to the ground,
the tomb of St. Ioanichius of Devic opened and
desecrated. The tomb of the saint was set on fire.
(UNMIK/KFOR Report March 18: 2,000 protestors gather
and move towards Devic Monastery, Five K-Serbian nuns
evacuated from area, Violent protestors set Monastery
on fire)


Pec

Church of St. John the Baptist (Metropolia, along with
the parish home) burned (confirmed from local
international sources in Pec)

Church of Virgin Mary, Belo Polje nr. Pec, burned
again inside and desecrated inside, (confirmed by
Bishop Atanasije Jevtic who visited the site)

Church of St. John the Baptist (Pecka banja), reported
burned (from local international sources)


Urosevac

Cathedral of St. Uros the Emperor, Urosevac,
(UNMIK/KFOR Report: March 17 - 3 hand grenades thrown
at Serbian Orthodox church – church set on fire, first
time), at least 19 KFOR soldiers and policemen wounded
defending the church, destroyed city cemetery
(UNMIK/KFOR Report March 18 1,500 K-Albanians rampage
– burn Orthodox Church & up to 5 K-Serb houses in
townK-Albanian crowd attempts to set Orthodox Church
on fire in K-Serb village of Talinovce Church was set
to fire (1749 hrs) – 5 K-Albanian males arrested)

Nekodim village, Sv. Ilija, destroyed, along with the
cemetery (confirmed by local sources)

Talinovac village, St. Peter and Paul church,
destroyed, along with the cemetery (from the
UNMIK/KFOR Report, see above)

Sovtovic, the cemetery church of the Holy Virgin,
destroyed, along with the cemetery (confirmed by local
sources)


Kamenica

Church in Donja Slapasnica, Kosovska Kamenica (info
from Kamenica) under investigation.
The church in Kamenica was stoned and some windows are
broken


Stimlje

Church of St. Archangel Michael in Stimlje, built in
1920 (UNMIK/KFOR Report: March 18: K-Serbian house &
Orthodox Church set on fire)


Pristina

Church of St. Nicholas (19th cenutry), Pristina town
(UNMIK/KFOR Report: March 18 - Rioters attack Old
Orthodox Church in Taslixhe – gunfire in area Orthodox
priest & 5 K-Serbian families evacuated by KFOR from
Old Orthodox Church SPU officer shot & injured during
attempt to secure Old Orthodox Church Orthodox Church,
UN Habitat office & 3 UNMIK Police vehicles set on
fire) The church burned to the ground, along with the

Intellettuali di servizio: Adriano Sofri (5)



Le sciocchezze di Sofri e Rampoldi

di Giulietto Chiesa


Quando il gioco si fa duro Repubblica non risparmia pagine. Di
sciocchezze. Affidandole ai suoi sciocchezzatori di punta.
Caratteristica principale dello sciocchezzatore – quando non si libri
nel vasto cielo delle bugie - è quella di aggrapparsi al dettaglio
per divagare nel grande mare delle analogie.
Specialista di queste virtù è il noto Garton Ash, quello che credette
sinceramente a tutte le panzane di Rumsfeld e di Colin Powell prima
della guerra irachena, ricamandovi sopra intere vagonate di
sciocchezze, per poi riconoscere l'abbaglio, ma anche per accusare
contestualmente Saddam Hussein, reo (oltre che novello Hitler) di
averci tutti tratti in inganno per non aver dichiarato per tempo che
non le aveva, le armi di distruzione di massa.

Ma questa volta, si presume, Garton Ash non ha ancora scritto, e
dunque ci si affida agli sciocchezzatori nostrani, cui si è aggiunto
occasionalmente anche l'inedito Michele Serra. Per altro Sofri e
Rampoldi fecero parte attiva, ai tempi delle guerre precedenti,
nell'additare Saddam Hussein, come l'Hitler di turno. E non risulta
che alcuno di loro si sia levato anche solo a suggerire che, magari,
quella fialetta memorabile sollevata dal Colin al Consiglio di
Sicurezza dell'ONU fosse piena d'inchiostro, o d'altre sostanze
coloranti innocue di quelle che servono per rendere attraenti gli
shampoo o le caramelle.

Sofri esordisce volando come un bombardiere, contro Gino Strada,
ricordandoci che l'intervento della NATO fu “autorizzato e ora
implorato dall'ONU”. Si è dimenticato che appena nel 1999, per strana
ma provvida coincidenza, le regole della NATO furono cambiate a
Washington, senza che nemmeno i parlamenti degli alleati fossero
informati. Quello italiano nemmeno ne discusse. E non si trattava di
un cambiamento da poco. Vogliamo ricordarglielo: la NATO estendeva,
con le nuove regole, il suo campo d'azione a tutto il pianeta e, al
contempo, si autorizzava a svolgere funzioni preventive (cioè ad
agire solidarmente non più solo in caso di attacco contro uno dei
membri, ma a prescindere, in base a valutazioni di altro genere,
sicurezza, prevenzione, peace keeping, peace enforcing etc ). Si è
dimenticato, lo sciocchezzatore Sofri, che l'intervento in
Afghanistan fu deciso dall'Amministrazione Bush prima che l'ONU lo
autorizzasse, anzi, per la precisione, ben prima dell'11 settembre
2001. E si è dimenticato anche che l'offensiva si chiamava
inizialmente (quale lapsus!) “ Infinite War ” e poi “ Enduring
Freedom ”. La tardiva autorizzazione dell'ONU non ha mai riguardato
la partecipazione della NATO a Enduring Freedom . Infatti la NATO, di
cui non tutti i membri sono gonzi, si limitò a inviare un contingente
che aveva, all'inizio, funzioni di polizia limitate alla regione di
Kabul e non abilitato a partecipare ad azioni di guerra. Senza
dimenticare che noi non viviamo nell'empireo dei buoni sentimenti e
che le Nazioni Unite, in questi anni, sono state bistrattate e
violentate dai membri permanenti del Consiglio di Sicurezza, per cui
le loro decisioni sono anch'esse soggette allo scrutinio di
legittimità. E può accadere (perché è accaduto più di una volta) che
l'ONU abbia preso decisioni che contrastano perfino con il suo statuto.

Stiamo assistendo, per esempio, all'aggressione militare su larga
scala da parte di Israele contro il Libano sovrano. E l'ONU cosa fa?
Fa il Ponzio Pilato, di fronte alla violazione del suo statuto. E'
questa la giusta posizione, cui fare riferimento? Niente affatto, non
appena si capisca che l'ONU è costretta a riflettere anch'essa i
rapporti di forza. E se, in queste condizioni, pronuncia un verdetto,
dobbiamo sapere che esso altro non è che l'effetto dei rapporti di
forza, non la verità ultima e inappellabile.

Adriano Sofri non lo sa? Ma se non lo sa perché scrive di cose che
non sa? E se lo sa perché mescola criteri etici astratti a
considerazioni di realismo politico spicciolo, usando gli uni e le
altre come meglio gli fa comodo, volta a volta, per esercizio polemico?

La prima sciocchezza di Sofri è dunque palese. Parla di cose che non
conosce, per sentito dire. Come gli sciocchi, appunto.

E che dire del titolo che il giornale ha dato all'intera paginata di
Sofri? “Cari pacifisti, sulla guerra vi sbagliate”. E su cosa
dovrebbero i pacifisti essere nel giusto o nel torto, se non sulla
guerra? E se si sbagliano sulla guerra e sulla pace, che è il loro
pane quotidiano, cosa resta loro se non il suicidio? Ma lasciamo
perdere perché ci sarebbe da morire dal ridere se dovessimo fare il
fascio completo delle bugie e delle sciocchezze e di tutti i loro
autori.

Proseguiamo nell'arduo percorso. Subito dopo la prima perla, Sofri
salta il fosso e passa apertamente sul terreno della destra più
sfegatata: come mai non manifestaste contro i taliban? Solita
scemenza di quelli che non manifestano mai, della maggioranza
silenziosa dei menefreghisti più incalliti, che pensano solo ai fatti
loro. Ma anche un furbesco ammiccare all'accusa del tipo di quelle
che piacciono tanto a “Betulla”: voi siete amici, complici dei
terroristi. Siamo già alle soglie del maccartismo.

Domanda, a lui e a Rampoldi: avete mai manifestato contro i taliban?
Per quanto riguarda me, e molti altri pacifisti, la risposta è sì.
Quando scrivemmo, ben prima della guerra afgana, che i taliban erano
stati organizzati dai servizi segreti pakistani, che a loro volta
agivano in combutta con la Unocal e la Delta Oil, compagnie
petrolifere rispettivamente americana e saudita, che progettavano di
far passare oleodotti e gasdotti dal Turkmenistan al Golfo Persico,
via Afghanistan.

Di che si occupavano allora Sofri e Rampoldi? Non ricordo di avere
letto loro infuocati commenti contro i servizi segreti pakistani e
americani. Ma aggiungo un'altra domanda ai due sciocchezzatori: avete
mai manifestato contro i mujaheddin? Sì, contro gli eroi democratici
come Gulbuddin Hekhmatiar che eroicamente combatterono, con le armi e
i dollari americani, per cacciare l'invasore sovietico? Questi li
ricordo bene: gl'inni alla “resistenza popolare” afgana “contro il
comunismo”. Salvo che poi, quando i sovietici se ne andarono, l'oblio
più totale cadde sull'Afghanistan e nessuno si accorse (e
naturalmente manifestò nelle piazze) del fatto che i mujaheddin si
stavano scannando tra di loro, che ammazzavano i loro compatrioti
come le mosche, che Kabul venne rasa al suolo dai cannoni delle
diverse fazioni, che le donne che portavano la gonna sopra le
caviglie venivano fucilate in piazza, eccetera, eccetera. Adesso
Sofri ci parla del regime talibano come di una “tirannide oscena”, e
accusa Strada di preferire i taliban a Karzai. Falsa, ovviamente
l'accusa. Ma bugiarda l'argomentazione, perché Sofri salta a piè pari
i misfatti dei mujaheddin, mettendo tutto in un sacco buio. Quando
invece dovrebbe essere chiaro che i taliban arrivarono al potere, nel
1996, dopo quattro anni di scempi, i cui autori non furono i taliban,
creati dagli americani, ma i mujaheddin (tra cui Osama bin Laden)
alleati degli americani. Dov'erano Sofri e Rampoldi in quel periodo?
Di quali farfalle si occupavano? E sono a conoscenza del fatto che
alcuni di quei massacratori (pre-taliban) sono adesso al governo con
il democraticissimo Ahmid Karzai, ex dipendente della Unocal? Non
parliamo del crociato Rampoldi, che si spinge ad accusare i pacifisti
(Fini o Calderoli non saprebbero fare di meglio) di volere che i
talibani si riprendano l'Afghanistan e che Al Qaeda “riassuma il
controllo delle più grandi piantagioni di papavero da oppio del
pianeta, ricavandone abbastanza per finanziare il terrorismo
ovunque”. Untorello che non si accorge di scrivere quello che
esattamente sta accadendo adesso, quando il governo Karzai sta in
piedi fino a che farà comodo ai signori della guerra, controllori
delle grandi piantagioni di papavero. E poiché dietro agli uni e
all'altro sta l'ISI pakistano, possiamo essere certi che una parte
grande di quei denari vada proprio a finanziare il terrorismo che gli
Stati Uniti fingono di combattere. Ma, vien da chiedersi, questo
Rampoldi, che pare non sapere come gira il mondo, ci fa o ci è? I
pacifisti - per lo meno quelli che conosco io, ma forse Rampoldi ne
frequenta altri - non hanno alcun bisogno di “volere a tutti i costi
che la guerra americana si concluda con una sconfitta”. Non siamo noi
a determinare l'esito della guerra americana, bastano gli americani
stessi. Il nostro problema è che questi Stati Uniti, armati fino ai
denti e determinati a vincere, rischiano di finire male loro stessi
e, insieme, di far finire male tutti noi. Ecco la nostra preoccupazione.

Altra costante di tutti questi ragionamenti (si fa per dire), che
accomunano Sofri e Rampoldi alla larga schiera di commentatori di
destra e di centro, è l'accusa ai pacifisti di essere degli
inguaribili moralisti, capaci soltanto di posizioni di principio,
incapaci dunque di ogni realismo. Ma la cosa più curiosa è che questi
fustigatori del moralismo sono poi i moralisti a oltranza, che
leggono la politica mondiale come una successione di puri principi,
dove s'invoca (di nuovo Sofri) l'uso di una “forza legittima e
proporzionata e trasparente; il contrario della potenza tracotante e
smisurata e opaca della guerra”. Come se non sapessero, ad esempio,
chi ha armato l'UCK in Kosovo, preparando la guerra “umanitaria”;
come non sapessero in che modo è stata preparata la guerra irachena;
come non avessero mai sentito parlare dei dubbi, sempre più pesanti
con il passare del tempo, su quell'11 settembre 2001 (per meglio
dire: sulla versione ufficiale dell'evento tragico) che cambiò la
storia del mondo e avviò la guerra infinita contro il cosiddetto
terrorismo internazionale. Chi è il moralista ipocrita, qui? Chi
ritiene, con ben fondati motivi, che ci troviamo nel bel mezzo, come
scrive inorridito Sofri, di “una guerra globale asservita agli Stati
Uniti”, oppure chi, anima bella, sembra ritenere che gli Stati Uniti
stanno guidando il mondo verso la democrazia e la giustizia
universale a colpi di cannone e di missile?

Ma Sofri, che predica realismo, pensa che viviamo nel mondo della
“forza legittima e proporzionata e trasparente”. Proprio mentre è in
corso, in Libano e in Palestina, sotto i nostri occhi, l'uso di una
forza illegittima, sproporzionata, menzognera. Mentre i forti, che
ammazzano i deboli che cercano di difendersi, vengono assolti per
legittima difesa e, al massimo, si fa loro presente, con timidezza,
che forse sarebbe utile che reagissero con meno violenza, ammazzando
un po' meno civili innocenti, bambini, vecchi e donne.

Ci vuole davvero una bella faccia tosta per fare prediche ai
pacifisti in una situazione come questa. Solo Magdi Allam potrebbe
fare di peggio.

Nessuno o pochi, tra i pacifisti di mia conoscenza, dice o scrive che
la Kabul di oggi è “peggio” di quella dei taliban. Ma è qui il
trucco: nel proporre questo confronto. Siete voi che affermate che la
Kabul di oggi “è meglio” di quella dei taliban. E qui vi sbagliate, o
mentite, o, peggio ancora, vi arrogate il diritto di decidere prima e
meglio degli afgani. Vi ricordo che un anno fa l'Afghanistan era dato
per pacificato e le elezioni farsa che vi si tennero erano presentate
come un grande passo avanti verso la democrazia. Oggi nemmeno voi
riuscireste a fare un'affermazione del genere. Perché anche voi
sapete che le cose stanno andando male, molto male, per gli
occupanti. Dunque abbiate la prudenza di aspettare a formulare
giudizi. Poi si vedrà qual'è l'Afghanistan “più fasullo”: quello di
Gino Strada o quello di Guido Rampoldi. Potreste trovarvi presto
nella condizione di Fassino, che esaltò la grande vittoria
democratica delle elezioni irachene, con “oltre otto milioni e mezzo
di votanti” (e ancora adesso c'è da chiedersi chi gli diede quella
cifra). Con il solo, piccolo problema che ora l'Irak è in preda alla
guerra civile e che, nel solo mese di giugno di quest'anno (cifre
riferite da Le Figaro) si sono verificati oltre 1200 attacchi
militari, mentre i media italiani, tra cui quello per cui voi
scrivete, continuano a raccontarci solo la favole di Al Qaeda e dei
suoi kamikaze.

Del governo e della sua sopravvivenza non voglio neppure parlare. Se
non per ricordare a Sofri e a Rampoldi che il risultato elettorale
dice una cosa inequivocabile: la vittoria contro Berlusconi è il
frutto di una battaglia comune, alla quale hanno preso parte tutti,
inclusi naturalmente i pacifisti. I numeri, invero risicati, dicono
che ogni voto è stato utile anzi necessario. E, quindi, la
responsabilità della tenuta del governo grava in misura eguale su
tutte le sue componenti. Non c'è qualcuno “più responsabile” e
qualcuno “meno responsabile” . Tanto meno la responsabilità può
essere assegnata in modo inversamente proporzionale alla quantità di
deputati, per cui coloro che sono in minoranza dentro la maggioranza
dovrebbero cedere e accettare le valutazioni della maggioranza nella
maggioranza. E chi ha mai stabilito questa regola?

E in base a quale criterio, imperante un sistema maggioritario
demenziale che ha chiuso la bocca agli elettori, la minoranza
pacifista (che, appunto stando ai recentissimi sondaggi d'opinione, è
larga maggioranza nel paese), contraria al rifinanziamento della
missione afgana, dovrebbe cedere, mentre gli altri, impegnati
esclusivamente a garantirsi la benevola approvazione di Washington,
non cercano neppure la strada di un compromesso?

Infine una piccola e banale considerazione. Il voto della destra,
identico a quello del centro sinistra alla Camera dei Deputati, dice
più e meglio di ogni altra considerazione che sul tema della guerra e
della pace questo governo di centro sinistra ha mantenuto una
continuità con quello di centro destra. So bene che, anche quando
Berlusconi era al governo, e anche prima che vi arrivasse, spesso e
volentieri, su queste questioni, i leader del centro sinistra
adottarono una politica bipartisan, appoggiando, quando non
promuovendo, opzioni belliche. Male allora, male adesso, quando la
destra vota con il centro sinistra. Male per tutti, cari Sofri e
Rampoldi. Male anche per voi, che siete così impegnati a giustificare
le azioni del potere. Viene da chiedersi: ma pensate davvero che ve
ne verrà gloria e merito?



http://www.megachip.info/modules.php?
name=Sections&op=viewarticle&artid=2264

Fonte: http://www.contropiano.org



Sulla propaganda guerrafondaia di A. Sofri rispetto alla Jugoslavia
si veda:

Visnjica broj 522: GIORNALISMO UMANITARIO
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4649

Visnjica broj 472
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4163

F. Grimaldi : IL RATTO GLORIFICATO
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3191

Intellettuali di servizio: Adriano Sofri (4)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2650

Intellettuali di servizio: Adriano Sofri (3)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2647

Intellettuali di servizio: Adriano Sofri (2)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2069

Intellettuali di servizio: Adriano Sofri
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2010

Former Canadian ambassador J. Bissett on Kosovo, and his ICTY testimony

1. BALKAN REALITIES: A Letter to The Washington Times

2. CANADA’S FORMER AMBASSADOR TO YUGOSLAVIA TAKES THE WITNESS STAND /
TRIBUNAL DENIES MILOSEVIC MEDICAL TREATMENT AS CANADIAN AMBASSADOR
CONCLUDES HIS TESTIMONY
www.slobodan-milosevic.org - February 2006


See also:

Excellent interview with Joe Bissett - by George Kenney
http://www.electricpolitics.com/podcast/2006/05/peace_practitioner.html

Ambassador James Bissett
http://www.deltax.net/bissett/index.html

MILOSEVIC CALLS EX-CANADIAN AMBASSADOR
Anti-yugoslav, NATO servant news service IWPR describes Bissett's
testimony a few days before Milosevic was killed
http://www.iwpr.net/?
p=tri&s=f&o=259862&apc_state=henitrid4ab88b49ca8808cb98cf38658e3c2db

MONTENEGRO SEPARATISM
Speech at the conference "Montenegro at the beginning of the 21st
century: between stability and risk", July 2-6, 2005
http://www.mail-archive.com/Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli./
msg01058.html
or: http://www.serbianna.com/columns/bissett/001.shtml


=== 1 ===

http://www.washingtontimes.com/op-ed/20060719-081857-6783r_page2.htm

The Washington Times

Letters to the editor

July 20, 2006

Balkan realities


Tod Lindberg is right that the EU and NATO countries should not
turn their backs on Balkan countries wishing to share in the peace
and prosperity of the new Europe. However, he is wrong to suggest
that it was only Slobodan Milosevic's "genocidal policies" that set
the Balkans in flames in the early 1990s and wrong to condemn Serbian
determination to maintain Kosovo as an integral part of its territory
("Where Milosevic's butchery held sway," Op-Ed, July 11).
It has become fashionable to blame Milosevic and Serbia for
everything that went wrong in the former Yugoslavia while overlooking
the concerns of the Christian Serbian population in Bosnia and in
Kosovo at the grim prospects of having to live in Muslim-dominated
states.
Alia Izetbegovic, the Muslim Bosnian leader, was an Islamist
extremist who made no attempt to hide his plans for destroying the
Christian entity in Bosnia, writing, "There can be no peace or co-
existence between the Islamist faith and non-Islamist institutions."
As for Agim Ceku, the so-called prime minister of Kosovo, the
Canadian military knows what crimes he is guilty of even if the Hague
Tribunal refused to indict him.
In 1993, Mr. Ceku commanded Croatian forces that violated a U.N.-
brokered cease-fire and overran three Serbian villages in the Medac
pocket. When the Canadians counterattacked and re-entered the burned
villages, they discovered all of the inhabitants and domestic animals
had been slaughtered. Mr. Ceku later also ordered undefended Serbian
villages shelled in violation of the rules of war, causing heavy
casualties among the civilian population.
In 2002, Mr. Ceku was indicted by Serbia for responsibility as a
Kosovo Liberation Army commander for the murders of 669 Serbians and
other non-Albanians during the fighting that broke out in Kosovo in
1998. The indictment includes murder, abduction, torture and ethnic
cleansing of the non-Albanian population from Kosovo. This is the man
recently invited to Washington to meet with Secretary of State
Condoleezza Rice, a meeting obviously planned to show U.S. support
for Kosovo independence.
For many outside observers, including this writer, the continued
support by the United States for an independent Kosovo is
incomprehensible. Granting independence to Kosovo would be a serious
violation of Serbia's territorial integrity, which is one of the most
cherished principles of international law and is enshrined in the
United Nations Charter. U.S. violation of this principle would have
far-reaching implications for the very framework of international
peace and security.
Independence for Kosovo also would create a criminal and
terrorist state in the heart of the Balkans. This is not a happy
prospect in today's world.
Kosovo independence would set a precedent for other aspiring
ethnic groups for independent status and would destabilize not only
the Balkans, but many other parts of the world. It also would mark a
low point in U.S. foreign policy. It is difficult to be held up as
the champion of the rule of law, of democracy and the global war on
terror, while at the same time giving support to war criminals and
terrorists.

JAMES BISSETT
Former Canadian ambassador
to the former Yugoslavia
Ottawa


=== 2 ===

CANADA’S FORMER AMBASSADOR TO YUGOSLAVIA TAKES THE WITNESS STAND

www.slobodan-milosevic.org - February 23, 2006

http://www.slobodan-milosevic.org/news/smorg022306.htm

Written by: Andy Wilcoxson


Prof. Dr. Marko Atlagic, an MP representing Benkovac in the Croatian
Sabor from 1990 until 1992, concluded his testimony at the trial of
Slobodan Milosevic on Thursday.

Mr. Nice showed Atlagic Milan Babic’s testimony in which he claimed
that he received military support from both Milosevic and Borislav
Jovic.

Atlagic dismissed Babic’s testimony as pure nonsense. He said that
Babic was an opportunist who would say anything to advance his own
interests. He pointed out that Babic never said anything like that
before he got to The Hague.

Mr. Nice again dredged up the BBC documentary “The Death of
Yugoslavia”. Twice Mr. Nice played clips from the movie only to have
it turn out that the BBC’s subtitles were wrong.

Nearly every time Mr. Nice plays a clip from that film it blows-up in
his face. The subtitles are frequently do not match the words
actually being spoken. Judge Bonamy branded the film “tendentious”
and asked Mr. Nice if it was a good idea for the prosecution to keep
relying on it.

“The Death of Yugoslavia” relies on the fact that most English-
speaking people have no knowledge of the Serbo-Croatian language. By
attributing false and malicious subtitles to the people interviewed
in the film the BBC has created a film that is a gross manipulation
of facts and reality. It is disturbing that this film is widely and
uncritically shown to students in Western classrooms.

Mr. Nice spent the balance of Atlagic’s cross-examination citing
Serbian war actions in Croatia. Atlagic spent an equal amount of time
citing the Croatian war actions that provoked the Serbian war actions
in the first place.

Atlagic reiterated his testimony that violent Croatian provocations
began as early as 1989, whereas Serbian retaliation did not begin
until 1991.

After Mr. Nice concluded the cross-examination Atlagic was briefly re-
examined by Mr. Kay because Milosevic too ill to continue. Milosevic,
who suffers from high blood pressure, complained of intense pressure
behind his eyes and ears as well as a loud roaring noise in his head.

Milosevic, in spite of his ill health, spent the last hour of the
hearing examining James Bisset, the Canadian ambassador to Yugoslavia
from late 1990 until mid-1992.

Bissett described the NATO bombing as an illegal and "appalling act"
that precipitated the Kosovo refugee crisis.

The witness testified that the NATO charter prohibits the use of
violence to settle international conflicts. "And, yet, in March of
1999, it began to bomb a country that was a sovereign country, that
was no threat to its neighbors," he said.

The opening article of the NATO's founding treaty commits the allies
"to settle any international dispute in which they may be involved by
peaceful means (and) refrain ... from the threat or use of force in
any manner inconsistent with the purposes of the United Nations."

Bisset told the tribunal that Milosevic had been unfairly painted as
the cause of the Yugoslav crisis when in fact he had worked to keep
the country together.

Yugoslavia collapsed, Bisset testified, because Germany encouraged
Slovenia and Croatia to secede and, later, American interference
caused war to erupt in Bosnia and Kosovo.

Speaking of the Kosovo Liberation army, Bisset said Milosevic tried
to "suppress an armed rebellion by an organization that had a year
before been described by the US state department as a terrorist
organization."

The witness challenged the prosecution charge that Milosevic ordered
the dismissal of thousands of Kosovo-Albanian doctors, teachers,
professors, workers, police officers and civil servants.

"To my knowledge they were not dismissed,” said Bisset. "They simply
voluntarily withdrew from their positions (and) continued to do their
work, but under a sort of underground, parallel government" in Kosovo.

His testimony was based on conversations at the time with diplomatic
staff visiting Kosovo and ethnic Albanian delegations, meetings that
he had with Milosevic, as well as intelligence sources within the
Canadian government.

Bisset will continue his testimony when the trial continues on Friday.

---

TRIBUNAL DENIES MILOSEVIC MEDICAL TREATMENT AS CANADIAN AMBASSADOR
CONCLUDES HIS TESTIMONY

www.slobodan-milosevic.org - February 24, 2006

http://www.slobodan-milosevic.org/news/smorg022406.htm

Written by: Andy Wilcoxson


The trial of Slobodan Milosevic resumed on Friday. The hearing began
with Milosevic objecting to the trial chamber’s ruling denying his
request for medical treatment. Milosevic says he intends appeal the
decision.

Milosevic has been diagnosed with severe hypertension and is at high
risk for a heart attack or stroke. Russian cardiologists from the
world-renowned Bakoulev medical center in Moscow believe that they
can effectively treat his condition.

The doctors retained by the tribunal have been unable to adequately
treat Milosevic, and as a result the trial has been adjourned several
times on account of his ill-health.

The Tribunal’s decision is a slap in the face to the Russian
Government. The Russian Government guaranteed that it would return
Milosevic to the tribunal’s custody after he was treated by the
physicians at the Bakoulev center.

In its ruling the tribunal stated, “the Chamber notes that the
Accused is currently in the latter stages of a very lengthy trial, in
which he is charged with many serious crimes, and at the end of
which, if convicted, he may face the possibility of life
imprisonment. In these circumstances, and notwithstanding the
guarantees of the Russian Federation and the personal undertaking of
the Accused, the Trial Chamber is not satisfied that the first prong
of the test has been met—that is, that it is more likely than not
that the Accused, if released, would return for the continuation of
his trial .”

What the tribunal is saying is that the Russian Government can not be
trusted to apprehend a 64-year-old man with a heart condition if he
tried to escape. For all of its empty rhetoric about human rights,
what the Hague Tribunal has shown by its decision is that it is
perfectly happy to imperil a man’s life just for the sake of politics.

After Judge Robinson announced that he would not hear any objections
to the ruling. Milosevic continued with the examination of James
Bisset, the Canadian Ambassador to Yugoslavia between 1990 and 1992.

Bisset testified that the United States initially supported the
preservation of Yugoslavia. He noted James Baker’s statement that the
U.S. supported the use of the Yugoslav People’s Army (JNA) to put
down the secession of Slovenia and Croatia.

Bisset said Germany’s foreign minister, Hans-Dietrich Genscher, was
partly to blame for the break-up of Yugoslavia. He said that the
German government and Genscher in particular exerted pressure on the
European Community by threatening to walk out of the EC and recognize
Slovenia and Croatia unilaterally.

Contrary to the prosecution’s assertions that Milosevic provoked the
Krajina-Serbs to rebellion. Bisset testified that Serbs in Croatia
were provoked by the Croatian government which was dismissing them
from their jobs and expelling them from their homes.

Bisset testified that Milosevic had no ambition to create “greater
Serbia.” He said that the prosecution’s thesis that Milosevic engaged
in a criminal conspiracy to expand Serbia’s territory was “pure
fantasy”.

The witness testified that Milosevic worked for peace, and that all
of the peace plans Milosevic supported for Bosnia and Croatia would
have made any expansion of Serbia’s territory impossible.

Bisset, who met with Milosevic several times in his capacity as
Canada’s ambassador, said that Milosevic supported the preservation
of Yugoslavia, but was willing to allow others to secede as long as
human rights were protected and as long as the secession was carried
out in accordance with Yugoslavia’s laws and constitution.

Unfortunately Croatia, Slovenia, and Bosnia did not secede in
accordance with the provisions of the Yugoslav constitution. In stead
they opted for war carried out their secession through violence.

Speaking of the JNA, Bisset testified that they were subordinated to
the federal authorities, not to Milosevic as claimed by the prosecution.

Bisset testified that Milosevic used his political influence to
obtain peace. He recalled how Milosevic used his political influence
to exert pressure on Milan Babic to accept the Vance Plan in Croatia.

The former Canadian ambassador testified that American interference
caused war to erupt in Bosnia and Kosovo.

He testified that in March 1992 (one month before the outbreak of war
in Bosnia) Portuguese diplomat Jose Cutilhiero brokered a peace
agreement in Lisbon between Bosnia’s Serbs, Croats, and Muslims.

Bisset said that the agreement had been signed by Karadzic for the
Serbs, Boban for the Croats, and Izetbegovic for the Muslims. The
witness, a career diplomat, believed that the Cutilhiero plan was a
good plan that would have avoided war in Bosnia if it had been
implemented.

Unfortunately the Cutilhiero plan was never implemented. Bisset
testified that the American ambassador to Yugoslavia, Warren
Zimmerman, flew to Sarajevo and met with Izetbegovic. He testified
that Zimmerman sabotaged the peace plan by encouraging Izetbegovic to
remove his signature from the agreement.

Soon after his meeting with Zimmerman, Izetbegovic reneged on the
agreement and civil war broke out in Bosnia.

Far from being the peace seeking humanitarians they claimed to be,
Bisset testified that the Clinton Administration prolonged the
Bosnian war by sabotaging the Vance-Owen plan and the Owen-
Stoltenberg plan.

In Kosovo, Bisset testified that NATO caused the very humanitarian
catastrophe that it blamed on Milosevic. He said that prior to the
NATO bombing there were only a handful of Kosovo refugees. Once the
NATO bombing began, the flow of refugees went from a being a trickle
to a flood.

The former Canadian ambassador testified that American intransigence
made war unavoidable in Kosovo. He testified that Madeline Albright
attached Annex B to the Rambouillet Agreement. Annex B would have
given NATO the right to occupy all of Yugoslavia, not just Kosovo.
Bisset said that no government on Earth could have accepted such an
agreement. He pointed out that senior level U.S. diplomats have even
admitted that Rambouillet was a provocation that was intended to give
NATO an excuse to attack.

It is worth noting that NATO’s original excuse for attacking
Yugoslavia was Yugoslavia’s refusal to sign the Rambouillet
Agreement. The bombing only became a “humanitarian mission” after it
caused the humanitarian catastrophe that NATO blamed on Milosevic.

In Bisset’s opinion, Kosovo-Albanian secessionists opted for war
because they had seen that violence was an effective means to achieve
independence in Bosnia, Croatia, and Slovenia.

He testified that NATO used the Kosovo war to transform itself from a
defensive organization into a renegade force that sees itself as
having the power to wage aggressive war notwithstanding UN charter.

Bisset was critical of NATO’s unwillingness to implement UN
Resolution 1244 in Kosovo. He said that NATO did not protect the non-
Albanian population, and as a result nearly a quarter of a million
non-Albanians have been expelled from Kosovo. He also said that NATO
has allowed Albanian extremists to destroy more than 160 medieval
Serbian churches and cultural monuments in Kosovo.

Not wishing to hear any criticism of NATO, the tribunal cut off
Bisset’s examination-in-chief.

Mr. Nice then cross-examined Bisset. It is worth noting that Mr. Nice
didn’t challenge most of the testimony that Bisset gave during the
examination-in-chief. Nearly all of it stood unopposed.

In stead Mr. Nice challenged some magazine articles that Ambassador
Bisset wrote about Racak, Srebrenica, and the Hague Tribunal.

In one of his articles Bisset claimed that Racak was a hoax. He based
his conclusion on the forensic evidence found by the Finnish forensic
team that examined the bodies of the so-called “massacre victims.”
The forensic evidence indicated that the people had not been shot at
close range and that they had been shot from various angles. In light
of the forensic evidence they could not have been executed as claimed
by the Tribunal.

Mr. Nice challenged Bisset by asking him if he had spoken to
survivors of the alleged massacre. Bisset said that he had not
interviewed survivors.

This is typical for Mr. Nice. He accused Bisset of making an
irresponsible statement because he didn’t take the stories of the
Albanians into account. But it doesn’t matter what the Albanians say,
Bisset based his article on the scientific evidence. If the Albanians
say something that is at odds with science then they’re lying. If an
Albanian says the Sun revolved around the Earth it doesn't make it true.

Mr. Nice accused Bisset of being irresponsible for criticizing the
Hague Tribunal, and branding the proceedings against Milosevic a
“Stalinist show trial.” Bisset said that he made that remark when the
tribunal denied Milosevic the right of self-representation.

Of course being accused by Bisset is the least of the tribunal’s
public relations concerns. The fact that they’re denying a 64-year-
old heart patient medical treatment is even worse than denying him
the right of self-representation. Denying Milosevic the medical
treatment he needs could kill him.

On Srebrenica Mr. Nice scolded Bisset for expressing doubt that 8,000
Muslims had really been executed there.

Bisset explained that the number 8,000 came from the Red Cross which
reported that 8,000 Muslims were missing from Srebrenica after the
enclave fell. 5,000 of the 8,000 were already reported missing
*BEFORE* the enclave fell (i.e. before the Serbs got there), and the
remaining 3,000 were reported missing when the enclave fell.

Bisset said that the media simply jumped to the absurd conclusion
that all 8,000 of the missing Muslims had been executed by the Serbs.
They did not take into account that there was two-way combat in the
area and that many (if not most) of the supposed “massacre victims”
died while attacking the Serbian lines in a failed bid to link
Srebrenica up with Tuzla.

Mr. Nice said that Bisset of advocated the Serbian cause. The
ambassador responded by saying that the Serbs have been wrongfully
demonized by Western politicians and media organizations, and that
somebody needs to defend them and set the record straight.

Following the conclusion of Mr. Nice’s cross-examination the witness
was briefly re-examined by Milosevic. The trial will resume with a
fresh witness next Monday.

(english / italiano)

https://www.cnj.it/PARTIGIANI/yugo_french.htm#belgrade06

NO PASARAN 1936 - 2006 !

il testo che segue annuncia per il 14/9 p.v. una iniziativa a Belgrado
di reduci e discendenti dei combattenti jugoslavi della guerra civile
spagnola
nell'anniversario dello scoppio di quest'ultima

---

TESTO ITALIANO

La Spagna fu la prima nazione in Europa a essere aggredita dalle
forze dell'asse fascista e nazista. Fu lì che Hitler e Mussolini
testarono le loro nuove armi, specialmente la loro aviazione e
artiglieria, in seguito usate in altri paesi, tra cui anche la
Jugoslavija. Per noi, Jugoslavi, che prendemmo le armi nella Europa
occupata, durante la Seconda Guerra Mondiale, e fummo il primo popolo
a formare una regolare forza partigiana anti-fascista, l'esempio
dell'esercito spagnolo repubblicano era assai significativo. Esso fu
il primo esercito in Europa composto da forze coerentemente anti-
fasciste. La fonte di tale forza era il Fronte Popolare del Popolo
Spagnolo e tutti gli elementi democratici e patriottici in Spagna.
Nella primavera del 1936, la coalizione dei partiti progressisti di
sinistra vinse le elezioni generali in Spagna. Il governo del Fronte
Popolare, dopo la vittoria, iniziò a distribuire la terra ai
contadini e a compiere altre riforme democratiche e sociali. I
reazionari della Spagna, i latifondisti, l'alta borghesia e la chiesa
Cattolica, subito iniziarono a preparare la rivincita. La canaglia
reazionaria, con il supporto di Hitler e Mussolini, si ribellò al
governo del Fronte Popolare, il governo LEGALE della Spagna! Ciò
accadde la notte tra il 17 e il 18 luglio del 1936.
Gli operai, i contadini e i cittadini democratici si posero a difesa
della Repubblica! 35000 volontari da 55 paesi combatterono nelle
brigate internazionali.
Vi è un'altra ragione del perché ricordiamo la Guerra di Spagna,
quest'anno. È il fatto che un gran numero di Jugoslavi, molti
giovani, accorsero in Spagna, combatterono nei ranghi dell'Esercito
Repubblicano Spagnolo, e versarono il loro sangue per la libertà del
popolo Spagnolo. Durante la Guerra di Spagna, il Comitato Centrale
del Partito Comunista della Jugoslavia mobilitò le masse lavoratrici
della Jugoslavija per aiutare la Repubblica Spagnola inviando
volontari e rifornimenti. Il CC del KPJ si occupò, inoltre, del
lavoro politico tra i volontari Jugoslavi.
Ciò, e il sostegno dell'intero movimento comunista, giocarono un
ruolo importante nella creazione di un alto morale, che era
caratteristico dei volontari Jugoslavi durante la guerra. Erano
sempre tra i migliori, tra i più coraggiosi. Di oltre 1300 volontari
Jugoslavi, 670 rimasero per sempre in Spagna! Diedero le loro vite
per la libertà del popolo Spagnolo.
Coloro che, dopo la fine della guerra di Spagna, nel 1941 ritornarono
nella Jugoslavija occupata, portarono con se dalla Spagna una ricca
esperienza militare e politica. I nostri 'SPANCI', come la gente li
chiamava, furono tra i primi consiglieri militari negli organi del
Partito Comunista della Jugoslavija, tra i primi organizzatori della
nostra rivolta, i primi soldati, comandanti e commissari delle prime
unità Partigiane, tra gli eroi più popolari! Solo nel nostro paese,
gli ex-volontari in Spagna furono i migliori combattenti contro il
fascista oppressore, tra i migliori organizzatori della rivolta
armata e partecipi nelle azioni di guerriglia in molti altri paesi
europei: Francia, Italia, Polonia.
La Seconda Guerra Mondiale terminò con la vittoria della coalizione
democratica. Tutte le nazioni furono liberate dalla tirannia
fascista, tutte tranne una, la Spagna. Tale storica ingiustizia era
anche più grande in relazione al fatto che era la nazione in cui si
era combattuta la prima battaglia contro il fascismo, la prima in cui
si versarono fiumi di sangue, in tale battaglia, malamente armati e
traditi dagli Stati capitalisti occidentali. Le lotte e i sacrifici
della Repubblica Spagnola e dei volontari stranieri costruirono le
fondamenta del mondo futuro! Il mondo della PACE, della LIBERTA' e
della FRATELLANZA TRA LE NAZIONI!

L'Associazione dei combattenti Spagnoli e dei loro discendenti in
Jugoslavija onorerà il 70° anniversario della guerra antifascista
Spagnola con una MOSTRA nel MUZEJ JUGOSLAVIJE, il 14 Settembre 2006 a
Belgrado (Srbija) ex capitale della Jugoslavija.

Rudolf Baloh
Revolucionarni Biro Javnega Informiranja - birokps @ email.si

Traduzione di Alessandro Lattanzio

---

ENGLISH TEXT

The Spanish were the first nation in Europe to be attacked by the
forces of the fascist and nazi axis. It was there that, Hitler and
Mussolini tested their new arms, especially their airforce and
artillery, later used in other countries as well, including
Jugoslavija. For us, Jugoslavs, who took up arms in occupied Europe,
during second world war and were first people to form a regular anti-
fascist partisan forces, the example of the Spanish republican army
was very significant. This was the first army in Europe composed of
uncompromising anti-fascist forces. The source of its strength were
the Popular Front of the Spanish People and all democrats and
patriotic elements in Spain. In the spring of 1936, the coalition of
progressive, leftist parties won the general elections in Spain. The
government of the Popular Front, after its victory, began to
distribute land to the peasants and to carry out other democratic
and social reforms. The reactionary forces of Spain, the landholders,
the wealthy bourgeoise and the Catholic church, soon started to
prepare a counterblow. Reactionary scum, with Hitler and Mussolini
support, rebelled against the government of the Popular Front -
against the LEGAL government of Spain! This was in the night between
July 17 and 18, of 1936. The workers, peasants and democratic
citizens rose to the defense of the Republic! 35000 volunteers from
55 countrys fought in international brigades.
There is another reason why we remember the war in Spain this year.
It is the fact that a large number of Jugoslovanov, mostly young
people, rushed to Spain, fought in the ranks of Spanish Republican
Army, and shed their blood for the freedom of the Spanish people.
During the Spanish war, the Central Committee of the Jugoslav
Communist Party mobilized the working masses of Jugoslavija for aid
to the Spanish Republic by sending volunteers and supplies. The CK
KPJ also took care of the political work among the Jugoslav
volunteers. This and the support of the whole communist movement,
played an important role in the creation of the high morale, which
was characteristical for Jugoslav volunteers throughout the war. They
were always among the best, among the most courageous. Out of 1300
Jugoslav volunteers 670 remained forever in Spain! They gave their
lives for freedom of Spanish people. Those of them who, after the end
of Spanish war, in 1941 returned to occupied Jugoslavija - brought
with them from Spain rich military and political experiences.
Our »SPANCI« as people called them, were among the first military
advisers in the organs of Communist Party of Jugoslavija, among the
first organizers of our uprising, the first soldiers, commanders and
commissars of the first Partisan units, among the most popular
heroes! Just as in our country, the former volunteers in Spain were
among the best fighters against the fascist oppressor, among the best
organizers of armed uprising and participants in guerilla actions in
many other European countries: in France, Italy, Poland. World War II
ended with victory of the world democratic coalition. All nations
were freed from fascist tyranny, all but one, the Spanish nation.
This historical injustice is even greater in wiew of the fact that
this is the nation, which fought the first battle against fascism,
the first to shed rivers of blood in this battle, badly armed and
betrayed by the Western capitalist states. Fight and sacrifices of
Spanish Republica and foreign volunteers are built into the
foundations of the future world! The world of PEACE, FREEDOM and
BROTHERHOOD AMONG NATIONS!

The Association of Spanish fighters and their descendant in
Jugoslavija will honour the 70th anniversary of Spanish antifascist
war with an EXHIBITION in MUZEJ JUGOSLAVIJE,
14th September 2006 in Belgrade-Srbija ex capital of Jugoslavija.

Rudolf Baloh
Revolucionarni Biro Javnega Informisanja KPS

Just published:

STRANGE LIBERATORS
Militarism, Mayhem, and the Pursuit of Profit

by Gregory Elich

with an introduction by Michael Parenti and an afterword by Mickey Z.

"Using a wealth of historic evidence and revelatory analysis, deep
research and eye-witness investigation, Gregory Elich treats what
lawyers call the `hard cases': Yugoslavia, Croatia, Zimbabwe, North
Korea, and certain untouched questions about Iraq, issues that have
been most thoroughly misrepresented in the corporate media and even
by political commentators and activists who claim to be on the left.
Elich wastes no time with genuflections to the dominant ideology.
Instead he sticks to the awful facts and glaring truths that compose
the underlying reality of the U.S. global empire. He ties in his
deeply informed case studies to the wider issues of U.S. imperial
policy, the broader questions of war and peace, and the general
crisis that faces the entire world and the planet's ecology itself.
Thereby he performs a most valuable service to persons all across the
political spectrum."

Michael Parenti, author of The Culture Struggle, The Assassination of
Julius Caesar and To Kill a Nation

"Gregory Elich is the model investigative journalist of the anti-
imperialist left; tenacious, thorough, penetrating, meticulous and
above all, uncompromising. On Yugoslavia, North Korea, Zimbabwe, and
Iraq, no one digs deeper, and no one uncovers more, than Elich."

Stephen Gowans, political commentator, What's Left

"Gregory Elich offers a clear and vital analysis of the goals of
private interests and their secret collusion with the Bush
administration to cover up a broad range of dangers, from war to
global warming. Scholars, researchers and the lay public interested
in US foreign policy will find
this book both vital and illuminating."

Lenora Foerstel,vice president of Women for Mutual Security, and
author of Confronting the Margaret Mead Legacy

"Gregory Elich has dedicated himself to skillfully unearthing and
disseminating the information that typically goes unsaid. He provides
us with the well-researched fundamentals we cannot and should not
expect to get from our newspapers or televisions. Put another way,
Elich teaches us to identify the `gates' that restrict our freedom of
thought."

Mickey Z, author of The Seven Deadly Spins and 50 American
Revolutions You're Not Supposed to Know

"For years, Gregory Elich has made his mark as a journalist-historian
who pairs a special literary flair with a talent for uncovering real
time, tightly held intelligence secrets. In this profoundly ominous
time of modern history, there are precious few contemporary writers
who brook no
compromise with the truth. This volume stands tall, and the author is
a special breed."

Louis Wolf, publisher of Covert Action Quarterly

"Informed Americans know about their government's interventions into
Vietnam, Cuba, Afghanistan, Iraq, and elsewhere. They know about the
violations of international law, the injustices, the lies, and the
harm caused by these actions. But the case of Yugoslavia tends to
draw a blank. Even worse, it tends to elicit support for this
`humanitarian' intervention. Correcting this gross misunderstanding
and distortion of history is one reason among many for reading this
book."

William Blum, author of Killing Hope and Rogue State

---

About the Author:

Gregory Elich is on the board of directors of the Jasenovac Research
Institute and on the advisory board of the Korea Truth Commission.
His articles have appeared in newspapers and periodicals across the
world, including the U.S., Canada, South Korea, Great Britain,
France, Zimbabwe, Yugoslavia, Russia, Denmark and Australia.

Price: $25.95
424 pages, soft cover
Llumina Press

---

"Just to have a book that links a defense of Yugoslavia and Zimbabwe
is remarkable. Strange Liberators begins with Dr. King's April 4,
1967 speech, that called the U.S. invaders of Vietnam 'Strange
Liberators.'"
Strange Liberators goes from global sweatshops to Iraq to Korea to
Yugoslavia to Zimbabwe before a concluding chapter on global warming.
In every case, Elich exposes the lies spread by the bourgeoisie,
which are so often echoed by those in the progressive movement.

As well as everything else, it's a compelling argument against those
who insist we have to vote for the "lesser evil." Elich shows how
evil President Clinton was in planning nuclear war against People's
Korea in 1993 and 1994. As well as the 78 days of terror bombing
against socialist Yugoslavia.

Just for the chapter about the Lora concentration camp in Split,
Croatia, it's worth buying the book.

"Using a wealth of historic evidence and revelatory analysis, deep
research and eye-witness investigation, Gregory Elich treats what
lawyers call the 'hard cases.'...Issues that have been most
thoroughly misrepresented in the corporate media and even by
political commentators and activists who claim to be on the left.
Elich wastes no time with genuflections to the dominant ideology.
Instead, he sticks to the awful facts and glaring truths that compose
the underlying reality of the U.S. global empire.He ties in his
deeply informed case studies to the wider issues of U.S. imperial
policy, the broader questions of war and peace, and the general
crisis that faces the entire world and the planet's ecology itself.
Thereby he performs a most valuable service to persons all across the
political spectrum."—Michael Parenti, author of The Culture Struggle
and To Kill a Nation.

Soft cover, 401pp. Extensive Notes

---

http://www.workers.org/2006/us/elich-0720/

BOOK REVIEW

Countering imperialist propaganda: North Korea, Zimbabwe, Yugoslavia

Published Jul 17, 2006 7:43 PM

“Strange Liberators: Militarism, Mayhem and the Pursuit of Profit,”
by Gregory Elich,
Llumina Press, 2006, 402 pages. Available through LeftBooks.com.

By John Catalinotto


Radical political scientist and historian Michael Parenti writes in
his introduction to Greg Elich’s new book, Strange Liberators: “The
difference between what U.S. citizens think their rulers are doing in
the world and what these rulers actually are doing is one of the
great propaganda achievements of history.”

With his ambitious attempt to combat that propaganda, Elich confronts
the lies of the U.S. government and its servile media as he takes on
what he calls the “hard cases.” North Korea’s nuclear program, the
imperialist assault on Yugoslavia and the machinations against
Zimbabwe are his major topics. Even for people who have been
following these conflicts closely, Elich has found material that
sheds new light on the events.

Though he first finished the book in 2003, he spent the next two and
a half years searching for a publisher, during which time he
continually updated his material to keep up with new developments,
especially regarding the Democratic Peoples Republic of Korea and
Zimbabwe. The book is up-to-date, well researched and a treasure of
political arguments.

His work regarding the DPRK is especially on target now, following
that country’s tests of rockets and a new wave of threats against
North Korea from the U.S. and Japan, the two colonial powers on the
Korean peninsula in the 19th and 20th centuries.

Korea’s nuclear program

Elich reviews about 15 years of U.S. relations with North Korea
regarding that country’s nuclear power program and its alleged
construction of nuclear weapons. While Washington portrayed the
Pyongyang leaders as intransigent and irrational, it was the U.S.
that refused to make an honest deal.

Elich quotes Selig Harrison, Director of the Asia Program at the
Center for International Policy, to show that the Bush
administration’s “very rigid position” showed it was “not prepared to
trade anything” and “risks a war. The point is, the administration’s
objective is really regime change in Pyongyang.”

Harrison referred to Victor Cha of Georgetown University, whom he
called a “kind of ideologue of the Bush administration” regarding
Korean affairs. Cha’s book on North Korea “lays it all out: the
purpose of negotiations with North Korea, he says, is not to settle
anything.”

“You have these multilateral negotiations in Beijing simply to show
the other parties in the region—China, South Korea, Russia and Japan—
that it is not possible to make any deals with North Korea. He [Cha]
says the purpose of the negotiations is to mobilize a ‘coalition for
punishment.’”

This analysis fits with the latest news, where U.S. pundits speculate
what policy will help Washington line up China and Russia to support
sanctions against North Korea in the United Nations Security Council.
No one in the Bush administration has yet raised as a serious
possibility negotiating a real end to the 1950-53 Korean War and
normalizing relations with the DPRK.

Elich shows how during 2004 and 2005 it was only on the insistence of
the South Korean government that the U.S. had to keep putting up a
good front during the six-part talk, and that even then the U.S.
bargaining position was intransigent—the U.S. negotiators constantly
raised the bar with extra demands on the DPRK for concessions.

And the Democrats

This summer two prominent members of the Clinton administration,
Assistant Defense Secretary Ashton Carter and Defense Secretary
William Perry, have been writing position papers advocating a
preemptive military strike against North Korea’s rocket launch pads.
Anyone reading Elich’s book could follow the aggressive history of
the Clinton administration and especially these two officials. Elich
shows how in 1994 the U.S. came within hours of launching an all-out
war against North Korea.

In writings following that period, Perry and Carter revealed that the
Clinton administration “spent much of the first half of 1994
preparing for war on the Korean peninsula.” The main target was the
Yongbyon nuclear site, but targets included all of the DPRK’s
military installations. “In the event of a North Korea attack,” they
wrote [that is, a response to the U.S. attack—JC], “U.S. forces,
working side by side with the South Korean army and using bases in
Japan, would quickly destroy the North Korean army and the North
Korean regime.” Since the battle would be waged “in Seoul’s suburbs,”
they expected heavy casualties among all the armed forces, and
“millions of refugees” crowding the highways. They don’t discuss the
many civilians who would die.

According to Elich—and he provides sources—Clinton officials were
meeting to launch the war when Jimmy Carter pulled the rug out from
under them. The former president had visited the DPRK, succeeded in
getting an agreement from the Pyongyang government and then held a
news conference announcing the agreement. Only by going public did he
force the Clinton officials to pull back on their war plans.

Frustrated in Asia, the Clinton administration then opened a 78-day
bombing campaign against Yugoslavia on March 24, 1999.

Aggression against Yugoslavia—and lies

The U.S. rulers were even more successful in selling the war on
Yugoslavia, in the sense that even some progressive media outlets
repeated the lies demonizing President Slobodan Milosevic, the
Yugoslav army and even the Serb population.

Milosevic had waged a heroic and quite successful self-defense in his
trial before NATO’s court in The Hague until his suspicious death in
March. On July 10, this so-called tribunal opened another important
case on the so-called “Kosovo War,” this one against Serbian
President Milan Milutinovic and five other Yugoslav leaders for the
same charges about Kosovo that Milosevic’s defense had completely
discredited.

Elich again provides good research to back up his explanation of the
“Kosovo War,” the machinations used to overthrow the Milosevic
government in the summer of 2000, and other aspects of the war waged
by the U.S. and its NATO allies to destroy the multinational, pro-
socialist state of Yugoslavia from 1990-2000.

One point that Elich reveals involves the details of the U.S. threats
against Yugoslavia at the end of May 1999. This was an important
moment, one that led the Belgrade government to allow NATO to occupy
Serbia’s Kosovo province.

The world knew that Yugoslavia faced an imminent invasion. It knew
also that the Russian government had removed all support for the
embattled Yugoslavs. What was kept hidden at the time were the
specific threats the European Union’s “mediator,” Martti Ahtisaari,
literally laid on the table before Yugoslavia’s coalition government.

When Milosevic asked “what will happen if I don’t sign” the
ultimatum, “Ahtisaari made a gesture on the table,” wrote Serb
negotiator Ljubisa Ristic, and then moved aside the flower
centerpiece. Then Ahtisaari said, “Belgrade will be like this table.
We will immediately begin carpetbombing Belgrade. There will be half
a million dead within a week.” The Yugoslav leaders accepted the terms.

Zimbabwe and the land question

As with the war on Yugoslavia, the U.S. has also disguised its
maneuvers in Africa as “humanitarian interventions.” In Somalia the
U.S. forces were supposed to be feeding people in a “failed state.”
Now the propagandists are making a case that the civil war in Sudan
needs the wise heads of imperialist generals to “rescue Black Africans.”

Another major target of U.S. and British maneuverings is Zimbabwe.
This southern African country with 12 million inhabitants, formerly
called Southern Rhodesia after the wealthy British colonialist and
then led by outright apartheid-style racist settlers, won its
independence in 1980 following a long liberation war.

A leader of that independence struggle, Robert Mugabe, has been the
head of the Zimbabwean government since. As Elich points out, a key
element of the struggle for liberation of the African people is the
struggle for land in this agricultural country. British and U.S.
attitudes toward Mugabe soured when the African leader began to
resist privatization and imperialist globalization in the form of
“structural adjustment programs.”

Then conflict between Britain and the Mugabe government sharpened
when the government in Harare started to seize the land from the
wealthy European farmers and distributed it to Africans who had
participated in the struggle for liberation. To the Tony Blair
government, its allies in Washington and the imperialist press,
taking this land from “productive farmers” was a heinous crime. The
imperialists slander the Mugabe government, calling it autocratic and
inefficient.

Elich, with a quick review of colonial history of the region, shows
how the British Empire waged a bloody colonial war against the local
peoples to seize the land in the first place and distribute it to
settlers, then how the colonial governments drove Africans off the
land and prevented them from owning it by law. If the settlers’ farms
are productive, it is also because the colonial regimes built up the
country’s infrastructure in such a way as to support the regions
owned by European-origin farmers.

In 2002, the 4,500 white commercial farm owners still held 70 percent
of Zimbabwe’s arable land. Six million African peasants did
subsistence farming in the “communal areas.”

Since the sanctions the U.S. and the EU have imposed against Zimbabwe
have condemned many of its HIV-positive citizens to death, it is hard
even for the imperialist media to claim a “humanitarian intervention”
is needed. Instead, the intervention is alleged to be pro-democracy.

The tool for this intervention was the Movement for Democratic Change
(MDC), founded in September 1999 and benefiting from a massive
infusion of funds from Western sources, writes Elich. The MDC
supported the structural adjustment programs that Mugabe’s ZANU-PF
party had begun to resist.

By 2002 the British High Commissioner to Zimbabwe, Brian Donnelly,
who had been ambassador to Yugoslavia for two years, was considered
instrumental in formulating a plan to get rid of Mugabe. This time
the plot failed.

The MDC was weakened in 2005 when its leader, Morgan Tsvangirai,
provoked a split in his own party by demanding a boycott of the
election. The split led to a landslide victory for ZANU-PF, Mugabe’s
party. His next announced step was to prepare for regime change not
by electoral processes but through what amounts to a coup.

In each of these hard cases and some other topics Elich takes up, he
shows the goal of U.S. foreign policy is never democracy or human
rights, but “to create a world that exists only to serve the wealthy,
where resources are freely exploited and the mass of humanity labors
for shrinking wages and inadequate or nonexistent benefits.”


This article is copyright under a Creative Commons License.
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(francais / english / italiano)

In solidarity with Peter Handke

1. Nouveau livre par Patrick Barriot : L'AFFAIRE HANDKE. La pensée
criminalisée ou la jurisprudence Bozonnet

2. Comédie Française : Marcel Bozonnet va devoir partir le 3 août !

3. LONG LIVE THE DREAMER OF THE NINTH COUNTRY
A call for solidarity to Peter Handke. With an introduction by Branko
Kitanovic (NKPJ)


=== 1 ===

http://www.lagedhomme.com/boutique/fiche_produit.cfm?
ref=2-8251-3695-6&code_lg=lg_fr

Yougoslavie
Histoire/science politique

BARRIOT Patrick

L'AFFAIRE HANDKE

La pensée criminalisée ou la jurisprudence Bozonnet

L'Age d'Homme, 2006

17.00 EUR - 160 pages, ISBN : 2-8251-3695-6

Appel pour la dépénalisation de la Pensée

Il y a peu de temps encore, on pouvait proscrire, bannir, exiler,
chasser, exclure, ostraciser, éliminer ou liquider les proscrits.
Marcel Bozonnet, administrateur de la Comédie-Française et régisseur
des bonnes consciences, a élargi les moyens de répression contre les
dramaturges déviants comme Peter Handke. On peut désormais « bozonner
» les insoumis. Louise Lambrichs et Sylvie Matton se sont attachées à
« qualifier », dans leur langue de greffières, le crime de Pensée. Il
revenait aux procureurs du Tribunal de la Pensée, tels que Jacques
Blanc ou Olivier Py, de requérir la juste peine contre Peter Handke :
bozonnement de un an, de dix ans ou bozonnement à vie (certains,
comme Olivier Py ou Jacques Attali, proposent de ne jouer Peter
Handke qu’après sa mort). Nous avons cité les plus grands auteurs
pour stigmatiser cette engeance spirituelle de Fouquier-Tinville,
mais une maxime nous semble incontournable et lumineuse dans sa
trivialité. Elle est tirée des Tontons Flingueurs : « Les cons ça ose
tout, c’est même à ça qu’on les reconnaît. » En d’autres temps les
attaques portées contre Handke auraient justifié des duels, mais ces
temps sont (malheureusement ?) révolus. En outre nous avons affaire à
une bande de lâches qui ne s’exposent, aux moments les plus audacieux
de leurs expéditions, qu’à des tartes à la crème. L’analyse
rigoureuse de tout ce qui a été écrit au plus fort de cette polémique
montre à quel point l’Affaire Handke est avant tout une affaire
politique, montée de toutes pièces par des « intellectuels » qui se
fraient un chemin vers le pouvoir. Comme le dit Matthieu Baumier, il
faut organiser la dissidence. Résistez ! Rejoignez-nous ! Signez
l’appel pour la dépénalisation de la Pensée !


=== 2 ===

(Il "divino commediante" deve partire... Il mandato di direttore
della Comédie Française non gli è stato rinnovato questa volta. Ed a
ragione, perchè aveva snobbato con presunzione inverosimile l'invito
del ministro per uno scambio di vedute in occasione sulla
liquidazione della pièce di Peter Handke dal programma.
L'allontanamento di Bozonnet è una vittoria per l'intellettualità
democratica, una vittoria alla quale pensiamo di aver dato un
contributo nel nostro piccolo, attraverso l'appello VIVA IL SOGNATORE
DEL NONO PAESE: https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#appello . A cura
di OJ)

Marcel Bozonnet : "Je ne sais pas ce qui a motivé cette décision"

LE MONDE | 21.07.06 | 17h22

Marcel Bozonnet, en fonctions depuis 2001, va devoir partir le 3
août. Il avait annoncé son souhait de rester à son poste trois ans de
plus. Le ministre de la culture, Renaud Donnedieu de Vabres, a
préféré nommer à sa place la sociétaire Muriel Mayette (Le Monde du
21 juillet). M. Bozonnet réagit...

http://www.lemonde.fr/web/article/0,1-0@2-3246,36-797547,0.html


=== 3 ===

Dear Comrades,

We are addressing you this appeal in solidarity with one of leading
intellectuals of our time, Peter Handke, victim of a witch-hunt in
Germany, Austria and France. This appeal is very important as it is
the fruit of joint action of anti-imperialists from different
countries. The Communists from Italy, France, Serbia & Montenegro,
Croatia and Slovenia have already signed it. We are hoping to have
your support and ask you to send it to the list SolidNet so that it
can reach all the progressive movement in the world. The
intellectuals who stand up against the totalitarian ideology of the
NATO and Bruxelles must have and do deserve our protection. Let us
not leave them alone in their fight against the imperialist censure.
Recently, the French national theatre Comédie-Française removed the
play "Voyage to the Sonorous Land or the Art of Asking" from its 2007
season lineup, after Handke spoke at the burial of president Slobodan
Milosevic in March 2006. That is a flagrant proof of the imperialist
domination in the Culture and a NO PASARAN must be proclaimed again
by the communist avantguard in the best interests of the humanity.

In solidarity.

For the CC of the NKPJ
Branko Kitanovic,
Secretary general
Beograd, July 5th 2006.


LONG LIVE THE DREAMER OF THE NINTH COUNTRY

Somebody thought to have seen all of it; but there was still
something to come.

We had seen a fratricidal war unleashed by Hitler’s New World Order
reborn. A war waged with every weapon of destruction, with every
savagery, with forced expulsions of entire populations.

We had seen one big country wiped off the map by the “international
community" and, again by decree of the “international community”,
replaced by six puppet banana republics, and there may be at least
two more to come. All of them are based on the blood principle, the
founding idea of the SS.
In fact, we had seen nazis being sanctified, passenger trains being
rocketed, weapons smuggled in ambulances, labour exploitation being
delocalised; we had seen what once was one and the same language to
be labeled as four or five languages. We had seen peoples living for
centuries on their own territory to be now stigmatised as
“aggressors”, while foreigners coming from a thousands of miles to
drop depleted uranium bombs were called “liberators”. We had seen
cigarette-smugglers to be rewarded with fiefdoms; the rape of a man
refusing to sell up his land; the bodies of the kidnapped refused to
their loved ones for proper burial; medieval frescoes hammered to
smithereens; bridges pulverized by cannon fire; beheadings; houses of
the poor people being stolen for the foreign investors benefit;
history being re-written to demonise the Liberation partisans and
rehabilitate viziers and landlords.

Some of us thought to have seen all of it. But putting poets on the
Index of Prohibited Books was still to come.

Indeed, the greatest living german-language playwrighter is stripped
of his honors and awards and his plays are being cancelled in theaters.

No, not “down there” in the “Balkan powder keg”, but right here, in
France and Germany, in that Europe that would call itself Voltaire's
and Goethe's Europe. It is here, in the land of the Commission, that
bearing witness to the abovementioned horrors is considered a mortal
sin. It is here, in the land of the International Tribunals, that
wittiness is forbidden, even to travel or talk to people you are not
supposed to. It is here that it is prohibited to treat “the enemy” as
a human being, to speak to him and to understand. The mortal sin of
the poet Handke is that of bearing witness - as he explained - to the
funerals of Slobodan Milosevic. Indeed, Milosevic, the exclusive
scapegoat for the whole Yugoslav tragedy, the scapegoat used by
"Europe" to absolve her own crimes. Indeed, Milosevic, the one who
resisted the devastating arrogance of “Europe" up to the point he had
to perish.

This “Europe”, that uses to create enemies within its own bosom, is
repulsive. Without Yugoslavia, Europe is repulsive. Such a Europe can
never be our country.

Handke referred to the “Ninth Country” as a metaphor of Yugoslavia in
1991, in his first writing about the Yugoslav tragedy. We are very
much in a need of “dreamers of the Ninth Country” like Handke. All
our admiration, respect and solidarity go to him!

<< Yugoslavia, however riven it was by problems, could have been the
model for a Europe of the future. The Europe of today cannot. This
Europe may have its “free trade” zones, but former Yugoslavia was a
place where diverse nationalities lived mixed one with another, and
specially the young people, even so after the death of Tito. That
would be Europe, as I would want it. For me the very image of Europe
is destroyed with the destruction of Yugoslavia. >>
(Peter Handke)

To join the appeal: jugocoord @ tiscali.it
The subscribers: https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#firme

(italiano / english / francais)

Avvocati statunitensi e preti cattolici difendono il boia Gotovina


1. IN PELLEGRINAGGIO FINO ALL'AIA PER L’ONOMASTICO DI ANTE GOTOVINA!

2. LINK:

# IN NOME DI DIO E DEL POPOLO
un documentario RAI scaricabile online
# NON SOLO ANTE
Perchè si è scelto di vincolare l'adesione della Croazia alla UE
esclusivamente alla consegna del generale Ante Gotovina e non anche
al rispetto dei diritti delle minoranze che vivono o che vogliono
rientrare nel paese? (Indovina un po' perchè?...)

3. NEWS:

2005:

FALSI DOCUMENTI GOTOVINA TROVATI IN ITALIA
DEL PONTE, IL VATICANO PROTEGGE GOTOVINA
«Il Vaticano protegge il generale Gotovina»
Carla del Ponte e il Vaticano
Arrestato Ante Gotovina
Minacce di morte a Drago Hedl
JOVIC, INGIUSTE ACCUSE A VATICANO

2006:

GOTOVINA; SOSTENITORI CON LUI, IN PIAZZA E IN TV
GOTOVINA, SAREBBE STATO ANCHE IN ITALIA
GOTOVINA, SAREBBE STATO IN NORDITALIA
CROAZIA: CRIMINI GUERRA, AVVOCATO AMERICANO PER GOTOVINA
EX DIRETTORE CIA TENET INCONTRO' GOTOVINA, STAMPA
SPUNTANO LEGAMI GOTOVINA CON CIA DI CLINTON
KRAJNA 1995: Tenet-Gotovina dietro i massacri
Giovani con i berretti ustascia alle manifestazioni di solidarietà
con Gotovina
Gotovina, eroe del cinema
'DINAMO' ZAGABRIA AIUTERA' DIFESA GOTOVINA
ATTORE DELLA SERIE 'ER' VUOLE INTERPRETARE GOTOVINA
GOTOVINA DIVENTA EROE DI ROMANZO EROTICO
GENERALE CROATO PRESENTA FICTION TRA PROVE DI INNOCENZA

4. IN ENGLISH:

2006: Gotovina faces charges relating genocidal Operation Storm /
Croatia funding the generals
2004: Fugitive Croat general involved in smuggling

5. EN FRANCAIS:

# LIENS:
Les réfugiés serbes de Croatie indifférents au procès de Gotovina
Croatie : baroud d’honneur des anciens combattants pour Gotovina à Split
Ante Gotovina a été arrêté en Espagne
TPI : Ante Gotovina, gangster et chef de guerre
TPI : Ante Gotovina, barbouze français, « héros » croate
# La presse croate lie l´ex-chef de la CIA à Gotovina et à "Tempête"


=== 1 ===

<< PELLEGRINAGGIO ALL'AIA PER L’ONOMASTICO DI ANTE GOTOVINA! >>



<< Il ringraziamento va innanzitutto a quelle 11 persone che da
Pakostane (cittadina natale di Gotovina in Dalmazia, ndt) hanno fatto
a piedi il cammino fino all’Aia, 1762 km in due mesi, per creare così
una catena umana in nome dell’amore e della verità... anche con tutti
noi che abbiamo partecipato raggiungendoli in pullman... Dopo la
santa messa, i nostri cari croati in Olanda ci hanno offerto da
mangiare e bere nella sala della chiesa . Li ringraziamo di tutto
cuore... >>

L'articolo appare su "NAROD" (Popolo), Numero trimestrale, 2006. Si
tratta dell'ennesima testimonianza della sempre maggiore ingerenza
della chiesa cattolica croata nella vita sociale e politica. Il suo
sottotitolo è tutto un programma: "Portavoce per il rinnovamento
demografico e il risorgimento spirituale, per l’educazione all’amore
patriottico e istituzionale dei croati." (NAROD, Glasilo za
demografsku obnovu i duhovni preporod, te domoljubni i drzavotvorni
odgoj Hrvata , Zagreb, VI, VII, i VIII, 2006. Glavni i odgovorni
urednik don Anto Bakovic. 10000 Zagreb, Ulica grada Vukovara 226 E,
fax 00385 6158691. e.mail: Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli. )

Tra gli altri articoli all’interno:

<< Messa a suffraggio delle vittime di Bleiburg. Offensiva dello
jugocomunismo criminale >>

(Bleiburg è la località in Austria dove i partigiani titini
giustiziarono un gran numero di ustascia e collaborazionisti del
nazismo in fuga verso Occidente, nel 1945)

<< NEL RICORDO DELLA GRANDE AZIONE DI LIBERAZIONE. Senza la
"Tempesta" l’Europa ci sarebbe stata ancor più lontana >>

(Dunque si esalta un’azione di vera pulizia etnica contro i civili
serbi della Krajina)

<< LA CRISI DEMOGRAFICA (dei croati, ndt) E’ LA CRISI DELLA SOCIETA! >>

Segue: << LA DECROATIZZAZIONE DELLA CROAZIA. >> Nella foto il
cardinale Bozanic con Mesic, il presidente, il primo ministro
Sanader, e Seks, ministro della giustizia, in prima fila alla messa
per la Giornata dello Stato croato...

Intanto, sul campanile della cattedrale di S. Doimo, a Spalato,
sventola la "scacchiera", la bandiera dello Stato croato. Quando si
dice: "Dio e croati!"...

(A cura di Ivan Istrijan)



=== 2 ===

VIDEO DI RAINews24

http://www.rainews24.it/ran24/reportage/default_27112005.asp

"In nome di Dio e del Popolo"

reportage di Angelo Saso

La caccia al superlatitante e' poco piu' di un pretesto. Il generale
croato Ante Gotovina ha fatto perdere le sue tracce quasi cinque anni
fa, quando la procura del Tribunale dell'Aja ha reso pubblici i 7
capi di accusa nei suoi confronti per crimini di guerra e violazione
delle consuetudini belliche.
Da allora, grazie a una solida e apparentemente inattaccabile rete di
coperture Gotovina e' diventato un fantasma, un fantasma segnalato
ovunque,anche in Italia.

A settembre la procuratrice presso il Tribunale dell'Aja ha indicato
i monasteri francescani croati come possibile rifugio del suo
ricercato numero uno, dopo Mladic e Karadzic. La Chiesa di Zagabria e
il Vaticano hanno negato con sdegno.
Dare la caccia al fantasma di Gotovina nella Croazia di oggi vuol
dire fare un viaggio nel tempo, indagare i meccanismi del Paese
profondo, capire come e' nato il mito nazionalista di un Gotovina
"Difensore della Patria e della Fede", tanto forte soprattutto negli
ambienti ecclesiastici..
Il nostro viaggio parte da Visovac, uno dei monasteri piu' belli
della Croazia, e si snoda attraverso i luoghi in cui fu combattuta
l'Operazione Tempesta che e' costata a Gotovina l'incriminazione
all'Aja fino all'incontro con Boris, il fratello del generale, che
vive in un villaggio sull'Adriatico, affittando camere ai turisti.

video ottimizzato 56kb:

http://www.rainews24.it/ran24/reportage/video/56K_innome_27112005.wmv

video ottimizzato per utenze adsl:

http://www.rainews24.it/ran24/reportage/video/256K_innome_27112005.wmv


Foto del generale, in ginocchio, che bacia la mano a Giovanni Paolo
Secondo:

http://www.rainews24.it/ran24/reportage/foto/Gotovina-e-il-Papa.jpg
oppure:
https://www.cnj.it/immagini/gotopapa.jpg

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Croazia-UE: non solo Ante

21.10.2005 Perché si è scelto di vincolare il cammino europeo della
Croazia esclusivamente alla consegna del generale Ante Gotovina e non
al rispetto dei diritti delle minoranze che vivono o che vogliono
rientrare nel paese? Se lo chiede Jacopo Giorgi, in questo suo
editoriale

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4842/1/51/


=== NEWS ===

TPI: CROAZIA, FALSI DOCUMENTI GOTOVINA TROVATI IN ITALIA

(ANSA) - ZAGABRIA, 4 GIU - In una borsa gettata una decina di giorni
fa da un'automobile in fuga davanti a una pattuglia di carabinieri
nei pressi di Napoli sarebbe stata trovata una carta d'identita'
italiana contraffatta di cui, a giudicare dalla fotografia, si
sarebbe servito il generale croato Ante Gotovina, il super ricercato
dal Tribunale penale dell'Aja (Tpi) per crimini di guerra commessi
durante la guerra in Croazia (1991-1995). Lo sostiene oggi il
quotidiano di Zagabria Jutranji list senza pero' indicare la fonte di
questa informazione ne come ha ottenuto una foto del documento falso,
pubblicato a corredo dell'articolo. Accanto alla carta d'identita'
italiana nella borsa lanciata da una Bmw nera con targa italiana e
con a bordo diverse persone, c'erano anche un passaporto e una
patente slovena, anch'essi falsi e con la foto di Gotovina, dei
ritagli giornalistici sul generale e un paio di pantaloni. Sembra che
il tutto sia stato ritrovato durante un'operazione di routine vicino
a Castello di Cisterna, quando l'auto non si e' fermata all'alt dei
carabinieri che si sono messi all'inseguimento, ma non sarebbero
riusciti a raggiungere l'automobile. Sempre secondo il giornale le
autorita' italiane avrebbero chiesto alla Croazia un campione del Dna
del fuggiasco per accertare se fosse stato proprio Gotovina a
indossare i pantaloni trovati. Si e' subito pensato che l'ex generale
si nascondesse in Italia, forse protetto dalla camorra, o che vi
fosse andato nell'ambito di qualche operazione di traffico di armi
per la mafia italiana. Il governo croato pero' ha reagito con cautela
dato che negli ultimi anni si sono spesso fatte le piu' disparate
ipotesi sul nascondiglio di Gotovina. Sarebbe stato visto a Roma, lo
proteggerebbe la mafia siciliana, oppure e' in Irlanda tra i
terroristi dell'Ira, in Sudamerica dove ha servito negli anni Ottanta
per la Legione straniera francese, o e' forse proprio in Francia tra
gli ex commilitoni della Legione. Il procuratore generale del Tpi
Carla Del Ponte ha invece sempre insistito che Gotovina si
nascondesse da qualche parte tra la Croazia e la Bosnia, dunque alla
portata delle autorita' croate, protetto da una forte rete di
sostenitori, ex commilitoni croati, da individui vicini al crimine
organizzato, ma e anche da apparteneti dei servizi segreti di
Zagabria. La sua latitanza, che dura ormai da quattro anni, e'
costata lo scorso marzo alla Croazia il rinvio dell'apertura dei
negoziati di adesione all'Unione europea e Bruxelles si aspetta che
Zagabria nei prossimi messi faccia tutto il possibile per
localizzarlo, a almeno dimostri che il generale non si trova in
Croazia, come ha sempre insistito il governo croato. Per questa
ragione la borsa che suggerisce che Gotovina sia in Italia ha fatto
pensare, come scrive il Jutranji list, che si possa trattare di un
tentativo di depistaggio inscenato dai servizi segreti croati, o da
quelli di qualche paese amico della Croazia, forse persino della
Slovenia o dell'Italia, oppure della stessa rete che aiuta la fuga
del generale. Indicativo e' il fatto che se n'e' parlato alla vigilia
della visita di giovedi' scorso di Del Ponte a Zagabria e poche
settimane prima prima del suo rapporto sulla collaborazione del paese
con il Tpi in base al quale i ministri degli esteri Ue dovranno
decidere se sgelare o no l'avvio delle trattative di adesione.
(ANSA). COR
04/06/2005 16:24

TPI: DEL PONTE, IL VATICANO PROTEGGE GOTOVINA

(ANSA) - LONDRA, 20 SET - Carla del Ponte, capo del Tribunale Penale
Internazionale (TPI) dell'Aia, ha accusato il Vaticano di proteggere
Ante Gotovina, un ex generale croato ricercato per l'uccisione di 150
serbi.
La procuratrice ha dichiarato al quotidiano britannico Daily
Telegraph di credere che Gotovina sia nascosto in un convento
francescano in Croazia, ma che tutti i suoi tentativi di ottenere
collaborazione da parte del Vaticano per individuare il generale sono
falliti.
Il Vaticano, ha dichiarato la del Ponte, potrebbe probabilmente
localizzare in quale convento Gotovina, uno dei massimi ricercati per
crimini di guerra nell'ex Jugoslavia, e' nascosto ''nel giro di pochi
giorni'', ma si e' finora rifiutato di farlo.
''Secondo informazioni da me ottenute, Gotovina e' nascosto in un
convento francescano e quindi il Vaticano lo sta proteggendo. Mi sono
rivolta al Vaticano, ma si rifiuta totalmente di collaborare'', ha
detto la procuratrice dell'Aia, che dopo essersi rivolta, invano,
persino a Papa Benedetto XVI ha deciso di rendere pubblica la questione.
A luglio la del Ponte si era recata a Roma per un incontro con il
'ministro degli Esteri' del Papa Giovanni Lajolo il quale aveva
dichiarato di non poterla aiutare. ''Dicono di non avere
informazioni, ma non ci credo. Credo che la Chiesa cattolica abbia
tra le piu' avanzate reti d'informazione e d'intelligence'', ha detto
la del Ponte.
Il generale Gotovina, 49 anni, e' latitante dal 2001, quando il TPI
lo incrimino' per crimini di guerra con l'accusa di aver organizzato
l'uccisione di 150 serbi e la deportazione di altri 150.000 o 200.000
di loro. Gli Usa hanno messo una taglia di oltre 4 milioni di euro su
di lui. (ANSA).
20/09/2005 14:02

---

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=5526

«Il Vaticano protegge il generale Gotovina»

di Giacomo Scotti e Tommaso Di Francesco

su Il Manifesto del 21/09/2005

Carla Del Ponte, procuratore dell'Aja, accusa: la Chiesa cattolica
impedisce la cattura del criminale, «eroe» per Zagabria. Dura
reazione di Navarro Valls: «Fuori le prove». Coinvolto il papato di
Wojtyla?

Ieri la Sala stampa del Vaticano e il governo croato hanno trasalito:
il procuratore dell'Aja, Carla Del Ponte, in una intervista al Daily
Telegraph, ha accusato il Vaticano di «proteggere la fuga di Ante
Gotovina», uccel di bosco dal 2001, ricercato dal Tribunale
internazionale dell'Aja per i crimini di guerra commessi
nell'«Operazione Tempesta» che portò nel 1995 alla cacciata
dell'intera popolazione serba delle regioni croate della Lika, Kordun
e Banovina ed al massacro, dopo l'operazione, di qualche migliaio di
civili. Particolarmente dura la reazione del portavoce vaticano
Joaquin Navarro Valls, per il quale la Del Ponte «non ha dato prove
delle sue accuse». Lo scontro inedito riflette un interrogativo
pesante: la denuncia, più che rivolta al nuovo «pastore tedesco»
sembra coinvolgere lo stesso Wojtyla - che non nascose mai la sua
simpatia verso la cattolicissima Croazia nella guerra interetnica nei
Balcani, a conoscenza probabilmente di questo ruolo non proprio
neutrale della Chiesa cattolica verso Gotovina. Tutto è cominciato a
Londra, in concomitanza, anche, di uno strano atto terroristico
compiuto da ignoti a Zagabria, ieri l'altro, all'Ambasciata
britannica: un funzionario addetto al disbrigo della posta è rimasto
gravemente ferito da un pacco bomba. A Londra, dunque, attraverso le
colonne del quotidiano Daily Telegraph Carla Del Ponte è uscita allo
scoperto. Il procuratore ritiene che il criminale di guerra sia
nascosto da tempo in un monastero francescano della Croazia. Altre
fonti dicono, invece, che sia ospite di un monastero francescano
dell'Erzegovina, regione della Bosnia controllata dai croati, famosa
nell'ultima guerra fratricida e, ancor prima nella seconda guerra
mondiale, per i misfatti delle milizie croate neo-ustascia e
ustascia. Molti aderenti al movimento filo-nazifascista avevano le
loro basi proprio nei conventi da dove, grazie ad una fitta rete di
connivenze che aveva base a Roma proprio in Vaticano, venne fatta
fuggire poi tutta la leadership ustascia compreso il leader Ante
Pavelic.

Per la Del Ponte, il Vaticano dovrebbe indicare «in pochi giorni»
quale degli ottanta monasteri croati (in Croazia ed Erzegovina) offre
protezione al generale ricercato, considerato dai neofascisti croati
e, almeno fino a ieri, anche da gran parte dei militanti del partito
tudjmaniano tornato al potere con Ivo Sanader, un grande «eroe
nazionale» e come tale osannato ovunque. Inoltre il procuratore
dell'Aja ha riferito pure di essersi recata in Vaticano nel luglio
scorso, incontrandovi l'arcivescovo Giovanni Lajolo, segretario di
Stato. Il «ministro degli Esteri di Benedetto XVI» come lo ha
definito la Del Ponte, avrebbe risposto alle sue pressanti richieste
che il Vaticano non è uno Stato e pertanto «non ha obblighi
particolari». Praticamente si è rifiutato di collaborare con un
organismo delle Nazioni unite.

Violenta anche la reazione della Conferenza episcopale croata di
Zagabria (riunisce anche i vescovi cattolici della Bosnia-Erzegovina)
che, per bocca del suo portavoce Don Anton Sulljic, ha definito
«inaccettabili» le accuse della Del Ponte al Vaticano, perché la
Chiesa croata «non ha indizi su dove si trovi Gotovina». Il quale
deve rispondere in particolare dell'uccisione diretta di 150 civili
serbi e dell'espulsione forzata di circa 200 mila civili nell'estate
del `95.

Sulla medesima linea del Vaticano e dei vescovi croati anche il
premier Ivo Sanader, il quale ha peraltro ribadito la volontà di
collaborare con l'Aja, ripetendo però che le indagini finora condotte
dai servizi segreti croati «non danno la presenza di Gotovina in
Croazia». E' peraltro molto diffusa l'opinione che proprio i servizi
segreti croati, almeno fino a qualche mese addietro, abbiano protetto
Gotovina, coprendo anche i suoi finanziatori.

La Chiesa croata, i vescovi croati (e in Erzegovina), non hanno mai
pronunciato una parola di condanna di Gotovina, considerato anche da
loro «eroe della causa croata». Per il «caso Gotovina» a primavera
l'Ue ha bloccato i colloqui per l'ingresso della Croazia. Ma
l'Austria ha rilanciato la campagna per l'apertura di colloqui, già
in autunno, tra Bruxelles e Zagabria. La Del Ponte ha ribadito nei
giorni scorsi - come del resto ha fatto per i ricercati serbobosniaci
Ratko Mladic e Radovan Karadzic - che in assenza della cattura di
Gotovina, l'Ue dovrebbe bloccare ogni ipotesi d'integrazione.

---

Carla del Ponte e il Vaticano

27.09.2005 [Drago Hedl] Le dichiarazioni del capo procuratore del
Tribunale dell'Aia secondo le quali il generale Gotovina sarebbe
nascosto in un monastero, suscitano una valanga di reazioni stizzite
sia nei circoli ecclesiastici che nella Zagabria ufficiale

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4736/1/51/

Arrestato Ante Gotovina

08.12.2005 [Andrea Rossini] Il generale latitante croato Ante
Gotovina, ricercato per crimini di guerra e contro l'umanità per il
ruolo svolto nelle guerre degli anni '90 e in particolare
nell'operazione "Tempesta" contro la popolazione serba delle Krajne,
è stato arrestato questa notte in Spagna. Del Ponte: "Presto anche
Karadzic e Mladic". I nostri articoli

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5024/1/51/

Minacce di morte al nostro corrispondente Drago Hedl

09.12.2005 [Andrea Rossini] Una storia inquietante all'indomani
dell’arresto di Ante Gotovina. Drago Hedl, editorialista di Feral
Tribune e nostro corrispondente dalla Croazia, è stato minacciato di
morte. Hedl ha raccontato i crimini commessi contro civili serbi a
Osijek e Vukovar

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5026/1/51/

---

CROAZIA: GOTOVINA; JOVIC, INGIUSTE ACCUSE A VATICANO

(ANSA-AFP) - BANJA LUKA (BOSNIA ERZEGOVINA), 8 DIC - Il presidente
della presidenza collegiale bosniaca, il croato Ivo Miro Jovic, ha
detto oggi che l'arrresto di Ante Gotovina in Spagna dimostra che
Carla Del Ponte, la presidente del Tpi, aveva torto quando accusava
il Vaticano di avere aiutato il generale a nascondersi in Bosnia e in
Croazia. ''Carla del Ponte dovrebbe vergognarsi di dichiarazioni che
hanno fatto un grave torto alla chiesa cattolica romana,
dichiarazioni stando alle quali Gotovina si nascondeva in monasteri
qui o in Croazia'', ha detto Jovic alla Tv serba. In una intervista
al quotidiano britannico Daily Telegraph pubblicata lo scorso
settembre, la signora Del Ponte aveva accusato il Vaticano di
proteggere Ante Gotovina ed aveva detto che probabilmente il
latitante aveva trovato rifugio in un monastero francescano in
Croazia. La signora Del Ponte aveva aggiunto che, nonostante le sue
sollecitazioni, il Vaticano aveva rifiutato ''qualsiasi forma di
collaborazione''. (ANSA-AFP). ZU
08/12/2005 21:36

CROAZIA: GOTOVINA;SOSTENITORI CON LUI,IN PIAZZA E IN TV

(ANSA) - ZAGABRIA, 12 DIC - Ieri in piazza, e oggi incollata per
quasi due ore davanti agli schermi, la Croazia - o almeno la sua
frangia piu' nazionalista - continua a dare pieno sostegno pubblico
ad Ante Gotovina. L'ex generale che stamani ha fatto il suo esordio
nell'aula del Tribunale internazionale dell'Aja (Tpi) sulla ex
Jugoslavia, dove dovra' rispondere di crimini di guerra commessi ai
danni di civili serbi negli anni '90.
Con lunghi speciali e notiziari straordinari tutte le televisioni
pubbliche e private hanno seguito in diretta la lettura dei setti
capi d'accusa e la dichiarazione di non colpevolezza del generale, un
uomo che in patria molti considerano un eroe della guerra per
l'indipendenza combattuta dal 1991 al 1995 contro le forze federali
di Belgrado e le milizie secessioniste serbe della regione ribelle di
Krajina.
Lo scontento e l'amarezza per l'arresto di Gotovina si e' riversato
sulle piazze del paese gia' poche ore dopo la notizia. E giovedi'
sera un primo raduno spontaneo di alcune centinaia di persone a
Zagabria si e' concluso davanti al palazzo del governo: preso a
sassate dai piu' scalmanati, prima dell'intervento di unita' anti-
sommossa della polizia.
Manifestazioni di studenti e membri delle molte associazioni di
reduci di guerra sono continuate poi venerdi' e sabato, anche con
brevi blocchi di alcune strade locali in Dalmazia, la regione
d'origine di Gotovina, e roghi di pneumatici. Zara e le cittadine
circostanti continuano a essere d'altronde punteggiate da fotografie
del generale e quasi non c'e' vetrina o negozio che non abbia affisso
un suo manifesto con la scritta 'Eroe, non criminale': slogan con il
quale nei quattro anni di latitanza del generale la destra
nazionalista gli ha sempre manifestato esplicita solidarieta'.
La manifestazione di protesta piu' significativa si e' tenuta in ogni
caso ieri a Spalato, promossa dall'influente Associazione degli
invalidi di guerra (Hvidra), conosciuta per il suo revanscismo
estremo e le critiche della politica di cooperazione con il Tpi
attuata dal governo di centro-destra del moderato Ivo Sanader. Circa
50.000 persone, molte con in mano crocifissi, candele accese, foto di
Gotovina e bandiere nazionali, hanno ascoltato i discorsi di alcuni
dei leader della destra extraparlamentare che piu' volte hanno
gridato al tradimento: inveendo non solo contro il governo, ma anche
contro i vescovi cattolici, tenutisi a loro volta ben lontani dai
raduni di protesta e dalle recriminazioni per l'arresto di giovedi'.
''Che governo e' mai questo, che arresta e consegna i nostri
generali. Noi ce ne vergogniamo'', ha esclamato Zeljko Strize, uno
degli esponenti della Hvidra, accolto da un lungo applauso. Un
radicalismo declamatorio che al di fuori di Spalato raccoglie
tuttavia consensi marginali se e' vero - come e' vero - che al di la'
dei sondaggi pro-Gotovina (il 61% dei croati rifiuta di considerarlo
un criminale di guerra) le manifestazioni organizzate nelle altre
citta' del paese non hanno visto piu' di qualche centinaio di
presenze. Come a dire che la maggioranza silenziosa appare disposta
se non altro a 'ingoiare il rospo', magari in cambio delle
prospettive di integrazione europea.
Di fatto - notano alcuni analisti - il dissenso popolare per il caso
Gotovina resta, e preoccupa come mai prima il governo Sanader, al
potere da due anni. Eppero' esso non sembra sfiorare in questi
giorni, neanche da lontano, i toni, il clima e i numeri delle
proteste del 2001: quando un altro generale croato fu arrestato per
crimini di guerra e a manifestare a Spalato, in modo assai molto meno
pacifico di ieri, si ritrovarono almeno 100.000 persone. (ANSA). COR*LR
12/12/2005 17:33

CROAZIA: TPI; GOTOVINA, SAREBBE STATO ANCHE IN ITALIA

(ANSA) - ZAGABRIA, 12 DIC Potrebbe essere stato anche in Italia, il
generale Ante Gotovina, accusato di crimini di guerra dal Tribunale
penale internazionale per l'ex Jugoslavia (Tpi), durante i suoi
quattro anni di latitanza, secondo quanto afferma un giornalista
croato che lo intervisto'. ''Io e Gotovina abbiamo parlato in una
grande citta' dell' Italia settentrionale'', ha detto stasera alla tv
croata il giornalista Ivo Pukanic, a cui il generale - apparso oggi
per la prima volta davanti ai giudici del Tpi all'Aja - aveva
rilasciato nel 2003 un'intervista, la sua unica durante la latitanza.
Pukanic, direttore e proprietario del settimanale di Zagabria
'Nacional', aveva sempre rifiutato di rivelare, anche ai servizi
segreti e alla polizia, il luogo del suo incontro con Gotovina,
limitandosi a dire che si era trattato di una grande metropoli
europea. Il giornalista e editore cui sono attribuiti legami con
settori deviati dei servizi segreti croati era poi stato messo sulla
lista dei sostenitori del latitante e dichiarato 'persona non grata'
dall'Unione europea. Non ci sono per ora conferme alle dichiarazioni
rilasciate da Pukanic alla tv croata. (ANSA). COR-DIG
12/12/2005 21:37

CROAZIA: TPI; GOTOVINA, SAREBBE STATO IN NORDITALIA / ANSA

(ANSA) - ZAGABRIA, 12 DIC Potrebbe essere stato anche in Italia, il
generale Ante Gotovina, accusato di crimini di guerra dal Tribunale
penale internazionale per l'ex Jugoslavia (Tpi), durante i suoi
quattro anni di latitanza trascorsi viaggiando per mezzo mondo, come
attesterebbe il suo passaporto: dall' America del sud alla Cina. ''Io
e Gotovina abbiamo parlato in una grande citta' dell' Italia
settentrionale'', ha detto stasera alla tv croata il giornalista Ivo
Pukanic, a cui il generale - apparso oggi per la prima volta davanti
ai giudici del Tpi all'Aja - aveva rilasciato nel 2003 un'intervista,
la sua unica durante la latitanza. Pukanic, direttore e proprietario
del settimanale di Zagabria 'Nacional', si era sempre rifiutato di
rivelare, anche ai servizi segreti e alla polizia, il luogo del suo
incontro con Gotovina, limitandosi a dire che si era trattato di una
grande metropoli europea. Il giornalista e editore cui sono
attribuiti legami con settori deviati dei servizi segreti croati era
poi stato messo nelle lista dei sostenitori del latitante e
dichiarato 'persona non grata' dall'Unione europea. Non ci sono per
ora conferme alle dichiarazioni rilasciate da Pukanic alla tv croata.
Nell'intervista del 2003, accompagnata da una serie di fotografie,
Gotovina aveva detto di riconoscere l'autorita' del Tpi, chiedendo
pero' che gli fosse concessa la possibilita' di parlare con gli
inquirenti dell'Aja a condizione che fosse sospeso l'atto d'accusa a
suo carico per crimini di guerra e contro l'umanita' perpetrati
contro la popolazione civile serba di Croazia alla fine della guerra,
nell'agosto 1995. La richiesta fu respinta dal procuratore generale
del Tpi, Carla Del Ponte. Con le dichiarazioni di Pukanic sembra si
possa cominciare a far luce sulla latitanza di Gotovina e i sui
innumerevoli rifugi. Secondo la stampa croata, il generale era sempre
accompagnato da almeno un cittadino francese, probabilmente qualche
ex commilitone della Legione straniera. Il suo passaporto falso - uno
dei due ritrovati dagli agenti spagnoli che mercoledi' scorso lo
hanno arrestato mentre cenava assieme a un australiano di origine
croata in un albergo a Tenerife, nell' arcipelago della Canarie -
mostra una serie di visti d'ingresso: Cile, Argentina, Repubblica
Ceca, Russia, Tahiti, Mauritius, Cina. L'ipotesi che Gotovina fosse
passato per l'Italia era stata fatta dalla stampa tre volte negli
ultimi anni. Dapprima si era parlato di una tappa in Sicilia dopo la
fuga dalla Croazia via mare, a pochi giorni dall'incriminazione nel
luglio 2001; poi un suo conoscente aveva detto al quotidiano
'Jutarnji list' che che lo avrebbe riconosciuto nell'ottobre 2003
mentre passeggiava in Piazza di Spagna, a Roma; infine, nello scorso
giugno nel napoletano, da un'auto inseguita da una pattuglia di
carabinieri era stata lanciata una borsa contenente documenti falsi,
italiani e sloveni, con la foto di Gotovina e ritagli di giornali
riguardanti il suo dossier. Era stata allora avanzata l'ipotesi che
lo proteggesse la camorra, o che si trattasse di un tentativo di
depistaggio organizzato dai sui sostenitori. Stasera, in una
dichiarazione alla radio croata, il presidente croato Stipe Mesic ha
chiesto alla forze dell'ordine di portare davanti alla giustizia
tutti quelli che hanno aiutato la fuga di Gotovina in questi anni.
(ANSA). COR-LR
12/12/2005 22:38

CROAZIA: CRIMINI GUERRA, AVVOCATO AMERICANO PER GOTOVINA

(ANSA-AFP) - ZAGABRIA, 29 DIC - Un magistrato americano, Greg Kehoe,
ex procuratore del Tribunale penale internazionale (TPI) per l'ex-
Jugoslavia, difendera' il generale croato Ante Gotovina, accusato di
crimini di guerra. Lo ha reso noto oggi il suo avvocato croato.
Sempre in Croazia, si e' conclusa un'altra vicenda legata al
conflitto che ha insanguinato i Balcani negli anni '90: un serbo di
Croazia, Slobodan Davidovic, e' stato condannato oggi a 15 anni di
carcere per aver ucciso prigionieri bosniaci mussulmani disarmati
durante il massacro di Sebrenica. Lo ha riferito oggi l'agenzia
stampa Hina. Greg Kehoe, secondo Luka Misetic, avvocato di Ante
Gotovina, si unira' alla squadra di difesa dell'ex generale croato
dopo il 9 gennaio, quando riprenderanno i lavori del tribunale
internazionale. Il magistrato americano e' stato fino allo scorso
marzo consigliere delle autorita' irachene per il tribunale che
giudica Saddam Hussein e ha ricoperto la carica di procuratore del
TPI. In qualita' di procuratore ha istruito il dossier contro l'ex
generale croato Tihomir Blaskic. Gotivina, in fuga dal 2001 dopo
esser stato inccriminato per crimini di guerra commessi contro i
serbi di Croazia alla fine del conflitto, e' stato arrestato il 7
dicembre nell'isola di Tenerife ed e' stato trasferito nel carcere di
Scheveningen, in prossimita' della sede del TPI all'Aja. Slobodan
Davidovic, serbo proveniente da Vukovar, citta' della Croazia
orientale, e' stato giudicato colpevole, da un tribunale di Zagabria,
di aver ucciso sei prigionieri dopo che le truppe serbo-bosinache
invasero Srebrenica, l'enclave mussulmana nella Bosnia orientale, nel
luglio del 1995. Davidovic, 57 anni, era stato arrestato a giugno
dopo che era stato riconosciuto in un video girato nel 1995 che
mostrava dei prigionieri mentre venivano uccisi da un'unita'
paramilitare serba chiamata ''Scorpioni''. Inoltre l'uomo e' stato
riconosciuto colpevole di aver torturato soldati croati nel 1991. Gli
Scorpioni hanno preso parte al massacro, il piu' atroce dalla fine
della seconda guerra mondiale, a Srebrenica, di piu' di 8.000
mussulmani nel 1995. Cinque dei suoi compagni ex Scorpioni,
riconosciuti nello stesso video, sono attualmente giudicati da un
tribunale di Belgrado per rispondere delle stesse accuse. Il video,
mandato in onda a giugno da una televisione serba, ha scioccato il
paese. In esso degli uomini incappucciati deridono, torturano e
infine uccidono giovani disarmati in un bosco. Davidovic, secondo
l'agenzia Hina, si appellera' contro il verdetto. (ANSA-AFP) I82
29/12/2005 17:27

CROAZIA: EX DIRETTORE CIA TENET INCONTRO' GOTOVINA, STAMPA

(ANSA) - ZAGABRIA, 11 GEN - L'ex direttore della Cia, George Tenet,
avrebbe partecipato nell'estate del 1995 alle preparazioni
dell'operazione militare dell'esercito di Zagabria 'Tempesta' che
pose fine al conflitto serbo-croato (1991-1995). Lo sostiene oggi il
settimanale di Zagabria 'Globus' citando una fonte anonima vicina al
generale Ante Gotovina, comandante dell'operazione, oggi sotto accusa
per crimini di guerra perpetrati contro la popolazione civile serba
della regione della Krajina, conquistata nella 'Tempesta'. Tenet
all'epoca era il vice direttore della Cia (promosso a capo
dell'agenzia nel 1997), quando l'amministrazione di Bill Clinton
decise di prendere parte attiva, con attacchi aerei, nei conflitti
balcanici degli anni Novanta. ''Il 20 luglio 1995 alla base militare
di Sepurine, nei pressi di Zara, Tenet ha incontrato il ministro
della difesa croato Gojko Susuak, il capo dei servizi segreti
Miroslav Tudjman e il generale Gotovina'', afferma 'Globus' ricordano
che la stampa croata e internazionale avevano spesso scritto del
pieno appoggio americano all'operazione 'Tempesta', dato anche con
limitati attacchi aerei ad alcune postazioni serbe e aiuti logistici.
Secondo la stessa fonte a Sepurine sarebbe stata c creata una base
aerea americana da dove partivano i 'Predator' comandati a distanza.
Tenet sarebbe venuto in Croazia per verificare che la base fosse
pronta e che la Cia avrebbe potuto seguire in tempo reale e
fotografare l'operazione militare croata scattata all'alba del 4
agosto 1995. Durante e immediatamente dopo la 'Tempesta' decine di
civili serbi furono uccisi, alcuni villaggi saccheggiati e dati al
fuoco mentre circa 200.000 serbi fuggirono dal paese. Per questi
crimini il generale Gotovina dovra' rispondere davanti ai giudici del
Tribunale dell'Aja al processo che potrebbe iniziare entro la fine di
quest'anno. Secondo 'Globus' non si puo' escludere che al processo a
testimoniare sia chiamato anche Tenet. (ANSA). COR-TF
11/01/2006 15:32

CROAZIA: SPUNTANO LEGAMI GOTOVINA CON CIA DI CLINTON/ ANSA

(ANSA) - ZAGABRIA, 11 GEN - L'ex capo della Cia George Tenet avrebbe
incontrato nell'estate del 1995 i vertici militari croati, incluso il
generale Ante Gotovina, accusato ora di crimini di guerra dalla
giustizia internazionale, solo pochi giorni prima che il presidente
Franjo Tudjman scatenasse l'operazione 'Tempesta': la controffensiva
che schianto' le milizie serbe alleate di Slobodan Milosevic in
Croazia nel pieno delle guerre balcaniche della ex Jugoslavia. E'
quanto emerge da una rivelazione pubblicata oggi per la prima volta
dalla stampa di Zagabria. ''Il 20 luglio 1995, nella base militare di
Sepurine, nei pressi di Zara, Tenet incontro' il ministro della
difesa croato Gojko Susuak, il capo dei servizi segreti Miroslav
Tudjman e Gotovina'', sostiene una fonte anonima vicina ai legali del
generale-imputato, citata dal settimanale 'Globus'. Una riunione top
secret che, se confermata, sarebbe l'ennesima prova dell' aperto
coinvolgimento militare, logistico e politico dell'amministrazione di
Bill Clinton nell'ultima grande battaglia del conflitto combattuto in
Croazia tra il 1991 e il 1995. Tenet all'epoca era vice direttore
della Cia (sarebbe stato promosso a capo dell'agenzia nel 1997),
nonche' uno dei piu' convinti sostenitori della decisione di Clinton
di prendere infine parte attiva, con attacchi aerei, nel tragico
teatro balcanico degli anni '90. Tutto avvenne dopo il massacro di
8.000 musulmani a Srebernica, in Bosnia, perpetrato a inizio luglio
dalle forze serbo-bosniache comandate dal generale Ratko Mladic,
nonostante l'enclave fosse sotto protezione dell'Onu, quando a
Washington si stabili' che era tempo di passare dalle troppe minacce
non realizzate ai fatti. Era pero' chiaro che le forze serbe non
sarebbero state sconfitte solo con raid aerei: c'era bisogno di un
alleato in loco e la mano fu tesa alla Croazia, che ormai era
militarmente pronta a riprendersi la regione ribelle della Krajina.
Secondo la stampa si tratto' di una iniziativa concepita da Clinton
come segreta poiche' l'operazione congiunta dei servizi segreti
americani con i croati non aveva l'avallo ufficiale del Congresso. Il
Dipartimento di Stato sostiene del resto ancor oggi di non aver mai
dato il via libera alla 'Tempesta', cosa che la stampa di Zagabria
considera realistica visto che la luce verde da Washington sarebbe
arrivata in effetti aggirando i canali diplomatici, tramite contatti
militari e di intelligence culminati appunto nella missione di Tenet.
Pochi giorni dopo Srebrenica, a Sepurine iniziarono ad arrivare gli
Hercules con a bordo materiale di spionaggio, alcuni velivoli
Predator pilotati a distanza e una squadra di 'consiglieri militari'.
Dell'esistenza della base, messa in piedi in tre giorni con l'aiuto
dei croati e sotto la supervisione dello stesso generale Gotovina,
neanche l'ambasciatore Peter Galbraith - a quanto sembra - venne
informato. A Tenet - secondo 'Globus' - spetto' tra l'altro il
compito di verificare che la base fosse pronta e che la Cia potesse
seguire in tempo reale e fotografare dall'alto l'operazione militare
lanciata da Tudjman all'alba del 4 agosto 1995. Nei giorni precedenti
le informazioni raccolte dagli americani grazie ai loro Predator
erano state inviate in due direzioni: verso il Pentagono e verso lo
stato maggiore croato. Non solo; l'aiuto a stelle e strisce si
rivelo' molto concreto anche nella pianificazione tattica
dell'operazione, tramite un team di generali della riserva radunati
in una fantomatica azienda di consulting, e con la partecipazione
diretta Usa a un mini-raid contro le batterie di difesa dell'unica
base aerea controllata dalle milizie secessioniste serbe della
Krajina alleate di Belgrado: quella di Udbina, al confine con la
Bosnia. La Krajina cadde alla fine in meno di una settimana, ma
durante e immediatamente dopo l'operazione 'Tempesta' non mancarono
sanguinosi episodi di rappresaglia: decine di civili serbi furono
uccisi, alcuni villaggi saccheggiati e dati alle fiamme, mentre circa
altri 200.000 serbi dovettero fuggire dal Paese. Per queste
brutalita' il generale Gotovina - arrestato il mese scorso in Spagna,
alle isole Canarie, dopo una lunga e controversa latitanza - dovra'
rispondere ora dinanzi ai giudici del Tribunale penale internazionale
dell'Aja sui crimini di guerra nella ex Jugoslavia, nell'ambito di un
processo che potrebbe iniziare entro la fine di quest'anno. I suoi
avvocati appaiono tuttavia decisi a coinvolgere anche i vecchi
patroni americani. Secondo 'Globus', non si puo' escludere che la
difesa possa ottenere persino una imbarazzante convocazione in
udienza di Tenet, nelle vesti di testimone e quasi di complice.
(ANSA) COR*LR
11/01/2006 17:59

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KRAJNA 1995

Tenet-Gotovina dietro i massacri

L'ex capo della Cia George Tenet avrebbe partecipato nel luglio del
1995, a poche settimane dall'offensiva per ripulire etnicamente la
regione della Krajna dalla popolazione serba, a un summit con i
vertici militari croati, incluso il generale Ante Gotovina, accusato
ora di crimini di guerra dalla giustizia internazionale. «Il 20
luglio 1995, nella base militare di Sepurine, nei pressi di Zara,
Tenet incontrò il ministro della difesa croato Gojko Susuak, il capo
dei servizi segreti Miroslav Tudjman e Gotovina», sostiene una fonte
anonima vicina ai legali del generale-imputato, citata ieri in un
lungo articolo dal settimanale Globus. Una riunione top secret che,
se confermata, sarebbe l'ennesima prova dell' aperto coinvolgimento
militare, logistico e politico dell'amministrazione di Bill Clinton
nell'ultima grande battaglia del conflitto combattuto in Croazia tra
il 1991 e il 1995. George Tenet all'epoca era vice direttore della
Cia, nonchè uno dei più convinti sostenitori della decisione di
Clinton di prendere parte attiva alla guerra civile nella ex
jugoslavia. E proprio alla vigilia dell'«operazione tempesta» aerei
Usa, decollati dall'Italia, colpirono, la notte prima dell'attacco i
ripetitori di Knin. A Tenet - secondo «Globus» - spettò tra l'altro
il compito di verificare che la base segreta fosse pronta e che la
Cia potesse seguire in tempo reale, fotografare dall'alto e
«consigliare» i comandi croati durante l'operazione militare lanciata
dall'allora presidente Tudjman all'alba del 4 agosto 1995. Nel corso
dell'offensiva 3.000 furono i serbi massacrati mentre altri 200.000
dovettero fuggire dal Paese.

il manifesto
12 Gennaio 2006

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Croazia, il doloroso confronto con l’Olocausto

[Drago Hedl] 27 gennaio, giorno della memoria. Le istituzioni croate
si interrogano su come tramandare il ricordo di quanto avvenuto
durante il regime di Pavelic. Presto un nuovo museo presso l'area
memoriale di Jasenovac, ma alle manifestazioni pro Gotovina c’erano
anche giovani con i berretti ustascia. Dal nostro corrispondente

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5196/1/51/

Gotovina, eroe del cinema

[Drago Hedl] Ante Gotovina, il generale croato detenuto nel carcere
del Tribunale dell’Aja in attesa di giudizio per crimini di guerra,
sarà il personaggio principale di due film croati. Un documentario,
che verrà presentato a maggio, e un film drammatico d’azione, che è
ancora in fase progettuale

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5492/1/51/

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CROAZIA: IL 'DINAMO' ZAGABRIA AIUTERA' DIFESA GOTOVINA

(ANSA) - ZAGABRIA, 24 MAR - Il Dinamo Zagabria, primo nella
classifica del campionato croato e probabile vincitore, devolvera'
l'incasso dell'ultima partita della stagione al fondo per la difesa
del generale Ante Gotovina, sotto processo per crimini di guerra al
Tribunale dell'Aja per l'ex Jugoslavia (Tpi). Lo riferisce oggi la
stampa di Zagabria. All'ultima riunione della direzione della squadra
di calcio e' stato deciso che l'incasso della partita contro il
Hajduk di Spalato verra' versato al conto di una organizzazione,
fondata in febbraio, che si prospetta di raccogliere fondi per
finanziare la difesa degli alti ufficiali croati accusati dal Tpi, di
cui il piu' famoso e il piu' alto di grado e' appunto il generale
Gotovina, dopo quattro anni di latitanza arrestato lo scorso
dicembre. Trattandosi del 'derby nazionale' tra le due piu' forti
squadre croate la direzione ha stimato che per la partita che si
disputera' il 13 maggio verranno venduti almeno 35.000 biglietti e
incassati circa 150.000 euro. La decisione della direzione della
squadra e' tanto piu' controversa per il fatto che il Dinamo, come
pure quasi tutte le squadre croate, sono da anni in difficili
condizioni finanziarie. Gotovina, incriminato nel 2001 per crimini
commessi contro la popolazione civile serba alla fine del conflitto
in Croazia nel 1995, si e' dichiarato non colpevole alla prima
apparizione davanti ai giudici del Tpi. In patria e' da molti
considerato un eroe della guerra per l'indipendenza ingiustamente
accusato. (ANSA). COR
24/03/2006 13:53

CROAZIA: ATTORE DELLA SERIE 'ER' VUOLE INTERPRETARE GOTOVINA

(ANSA) - ZAGABRIA, 29 MAR - L'attore croato Goran Visnjic, succeduto
a George Clooney nella serie televisiva americana 'ER-medici in prima
linea', vorrebbe impersonare il ruolo del generale Ante Gotovina,
sotto processo al Tribunale dell'Aja per l'ex Jugoslavia (Tpi) per
crimini di guerra. Lo ha annunciato alla stampa il regista Antun
Vrdoljak, suocero dell'attore. ''L'idea di girare un film su Gotovina
mi e' venuta dopo il suo arresto lo scorso dicembre perche' per me
lui e' un eroe della guerra per l'indipendenza della Croazia e noi
gli dobbiamo molto'', ha spiegato Vrdoljak, senza precisare chi
dovrebbe produrre il film ne' quando pensa di iniziare le riprese.
''Poco dopo mio genero mi ha detto che gli piacerebbe impersonare il
generale, un'offerta che nessun regista puo' rifiutare'', ha aggiunto
Vrdoljak che sapra' piu' dettagli in estate quando Visnjic, impegnato
da sei stagioni sul set di 'Er' nel ruolo del giovane medico Luka
Kovac, tornera' per le vacanze in Croazia. Nel 2001 il generale Ante
Gotovina e' stato accusato di crimini di guerra contro civili serbi
durante la guerra in Croazia (1991-1995). Dopo quattro anni di
latitanza, trascorsi, a giudicare dal suo passaporto falso,
viaggiando per mezzo mondo - dall'Argentina, all'Europa occidentale
fino alla Cina e a Tahiti - e' stato finalmente trovato alle Canarie
lo scorso dicembre e trasferito all'Aja, dove si e' dichiarato
innocente. Gotovina e' il piu' alto ufficiale croato nelle carceri
dall'Aja e in patria molti lo considerano un eroe ingiustamente
incriminato. (ANSA). COR
29/03/2006 15:40

CROAZIA: GOTOVINA DIVENTA EROE DI ROMANZO EROTICO / ANSA

(ANSA) - ZAGABRIA, 27 APR - Combattente nella Legione straniera
francese, bandito accusato di rapina a mano armata, spia per i
servizi segreti di Francois Mitterand, generale dell' esercito della
Croazia ed eroe dell'indipendenza postjugoslava, ma anche criminale
di guerra e, non ultimo, playboy. Sono i tasselli della vita
sregolata di Ante Gotovina, arrestato 4 mesi fa dopo una lunga
latitanza e sotto processo dinanzi al Tribunale dell'Aja sui crimini
di guerra in ex Jugoslavia (Tpi), ricomposti ora in versione
romanzata in un feuilleton a sfondo erotico che sta per essere
pubblicato in patria. 'La tempesta dopo la tempesta': e' questo il
titolo del romanzo, che allude all'omonima operazione militare
(l'operazione Tempesta, appunto) guidata da Gotovina nell'agosto del
1995 quando l'esercito croato sferro' l'ultima offensiva contro i
secessionisti serbi. Si tratta dell'opera seconda di Sinaja Bui
Simunovic, una sessantenne hostess in pensione che non hai mai voluto
svelare le regioni della propria ossessione per il generale, gia'
protagonista del suo lavoro di esordio. ''Il primo romanzo, 'L'amore
del generale' era a sfondo romantico, mentre in questo, che ha piu'
particolari erotici, ci sono anche molti dettagli simili alla
biografia vera'', si e' limitata a spiegare l'autrice al giornale
'Jutarnji list' di Zagabria. Secondo lei, del resto, Gotovina, merita
di essere descritto come ''un uomo forte, onesto, un vero eroe, che
fugge per mezzo mondo insieme a Sani, il suo grande amore, ma alla
fine riesce a dimostrare la propria innocenza e trionfa diventando
presidente del paese per cui ha combattuto''. La storia inizia su una
delle isole della Dalmazia da dove il Garibaldi croato e la sua Anita
fuggono in nave verso l'Italia e finiscono per nascondersi in un
monastero a Parma: praticamente nello stesso modo in cui molte volte
la stampa croata aveva ipotizzato che fosse realmente cominciata la
fuga di Gotovina nell'estate del 2001, lasciati moglie e figlio a
Zagabria, dopo l'incriminazione da parte del Tpi. Nella finzione, la
coppia gira poi per mezzo mondo, dalla Francia all'Africa fino a un
iglu' in Alaska, ''fuggendo dall' ipocrisia e dalla cattiveria''
degli inseguitori, secondo il racconto della scrittrice-hostess, che
sembra aver modellato su se stessa il personaggio dell'eroina
femminile della storia. Nonostante l'atto d'accusa che nella realta'
giudiziaria lo vede responsabile dell'uccisione di almeno 150 civili
serbi e della pulizia etnica della regione secessionista della
Krajina, molti in Croazia continuano d'altronde a considerare
Gotovina un coraggioso paladino della guerra per l'indipendenza
croata. A conclusione di quattro anni di latitanza, che al paese sono
costati il rallentamento del processo di adesione all'Ue, il generale
e' stato arrestato lo scorso dicembre sulle Isole Canarie, in Spagna,
reduce da una fuga in giro per il globo documentata dai timbri del
passaporto falso trovatogli indossso. Un'odissea che ha contribuito
peraltro a consolidarne la leggenda in Croazia, sullo sfondo
dell'immagine - alimentata da ambienti nazionalisti - del Gotovina
soldato, legionario e fegataccio. Ma anche di quella, mai smentita e
approdata infine alla letteratura rosa, di incallito tombeur de
femmes. (ANSA) COR*LR
27/04/2006 17:04

TPI: GENERALE CROATO PRESENTA FICTION TRA PROVE DI INNOCENZA

(ANSA) - ZAGABRIA, 2 MAG - Quattro cortometraggi fiction verranno
presentati ai giudici del Tribunale penale dell'Aja per l'ex
Jugoslavia (Tpi) come prova in difesa del generale croato Slobodan
Praljak, accusato di crimini di guerra perpetrati contro la
popolazione musulmana durante il sanguinoso conflitto in Bosnia
(1992-1995). All'idea di introdurre nel materiale giudiziario queste
singolari e inconsuete 'prove d'innocenza', scrive oggi il
settimanale di Zagabria 'Nacional', e' arrivato lo stesso Praljak,
che prima di indossare la divisa da generale faceva il regista.
Praljak, che per un periodo era comandante delle truppe croate in
Bosnia, le forze paramilitari dell'Hvo, e' accusato, insieme ad altri
cinque alti dirigenti politici e militari croato-bosniaci, di aver
preso parte nel ''piano criminale'' di Zagabria che mirava alla
spartizione con Belgrado della Bosnia e alla creazione di una 'Grande
Croazia' con l'annessione di territori bosniaci ripuliti dalla
popolazione musulmana. Durante il conflitto furono uccisi numerosi
civili musulmani, saccheggiati e rasi al suolo interi villaggi,
mentre sullo stesso Praljak pende anche l'accusa di aver originato la
distruzione dello Stari most (Ponte vecchio) di Mostar, perla
dell'architettura ottomana del '500. I quattro brevissimi film,
diretti dal generale alcuni mesi fa quando era in liberta'
provvisoria in attesa di processo e girati in uno studio di Zagabria,
mostrano alcune situazioni 'particolari', al limite dell'eccesso e
del crimine, che solo grazie al pronto e saggio intervento di
Praljak, che impersona se' stesso, sono stati evitati. Cosi', in uno
di essi, Praljak impone la propria autorita' a dei suoi soldati che
stavano per trucidare un gruppo di prigionieri di guerra, mentre in
un altro, che cerca di dimostrare quanto caotica e imprevedibile
fosse la situazione in quegli anni, il generale riesce a calmare un
soldato croato che aveva fatto irruzione nel quartier generale
minacciando di uccidere tutti i presenti. La difesa e' consapevole,
secondo 'Nacional', che i cortometraggi non possono avere valore di
prova, ma pur sempre non si e' opposta alla volonta' di Praljak di
presentarli in aula perche' lui spera di mostrare al Tpi ''qual'era
l'atmosfera tra le truppe croate in Bosnia, il loro basso livello di
organizzazione, la difficolta' di imporre un modo ordinato di comando
e come lui stesso in alcune situazioni si era comportato''. E ancora
da vedere se i giudici accetteranno il materiale fiction e come
reagiranno durante la proiezione. (ANSA). COR-PIN
02/05/2006 16:16


=== 4 ===

FUGITIVE GENERAL TO BE TRIED FOR ROLE IN OPERATION STORM

Gotovina faces charges relating to Croatian army’s capture of rebel
Serb territory. By Helen Warrell in The Hague

IWPR’S TRIBUNAL UPDATE No. 433, December 9, 2005

---

http://www.adnki.com/index_2Level.php?
cat=Politics&loid=8.0.248656542&par=0

ADN Kronos International (Italy)
January 12, 2006

CROATIA: CIA ALLEGEDLY BEHIND 'ETHNIC CLEANSING' OPERATION

Zagreb - The American Central Intelligence Agency
(CIA) masterminded a military operation carried out
near the end of the Balkan wars, in which over 200,000
Serbs were expelled from Croatia and hundreds killed,
the Zagreb weekly Globus reported on Thursday.

The CIA secretly planned operation 'Storm', which took
place in August 1995, at the Sepurine military base,
near Adriatic port of Zadar, with the knowledge of
then-US president Bill Clinton and top Croation
leaders.

Globus said it obtained the information from the
defence team of general Ante Gotovina, who was
arrested last December on charges of having committed
crimes against Serb civilians in the operation “Storm”
and is awaiting trial before the UN's Hague war crimes
tribunal for the former Yugoslavia.

According to Globus, George Tenet, who later became
CIA chief, had “directly” worked with Gotovina on
planning operation “Storm”. The paper alleged that
Clinton wanted to punish the Serbs, who overran the UN
protected Bosnian enclave of Srebrenica in July 1995,
by crushing their rebellion in Croatia.
....
Serbs in Croatia rebelled against the republic’s
secession from former Yugoslavia in 1991, and until
'Storm', controlled one-third of Croatia’s territory,
on which they proclaimed their own Republic of Srpska
Krajina (RS).

Globus said that Tenet and at least 12 American
military experts had worked with Gotovina in Sepurine,
planning military action that resulted in the fall of
Krajina. The Americans had, among other things, jammed
Serb communication systems and conducted
reconnaissance flights for the Croats, Globus said.

After the mass exodus of Serbs, their property in
Krajina was subject to mass destruction and at least
150 civilians were killed. ICTY chief prosecutor Carla
del Ponte has charged Gotovina, along with late
Croatian president Franjo Tudjman, of a “joint
criminal undertaking” aimed at ethnically cleansing
the Serbs from Croatia.

After hiding for four years, Gotovina was arrested by
Spanish police on the Canary Islands in early
December, but pleaded not guilty before the Hague
Tribunal. According to Zagreb's media, Gotovina’s
lawyers are basing his defence on the fact that the
Americans were masterminded the operation and it would
be difficult for the Hague tribunal to prove that
Washington was a part of a “joint criminal
undertaking.”

---

http://www.jang.com.pk/thenews/aug2004-daily/12-08-2004/world/w6.htm

Thursday August 12, 2004-- Jamadi-us-Sani 25, 1425 A.H.

Fugitive Croat general involved in smuggling

ZAGREB: Fugitive Croatian general Ante Gotovina, who is wanted by
UN court for crimes against ethnic Serbs during the 1991-1995 war,
has been implicated in a ring of arms and drugs smugglers, a Croatian
weekly reported on Wednesday quoting a secret service report.
Former counter-espionage chief Franjo Turek said Gotovina was
involved with a group of Croatian officers, many like himself
former members of the French Foreign Legion, allegedly trafficking
in weapons and illegal drugs, the Globus weekly said. The group
was linked to an attempt to smuggle some 600 kilos of cocaine
discovered by police in the coastal town of Rijeka in 1999, it said.
Bosnian Croat General Ivan Andabak was charged with that crime but
later released. The names of two other Croatian generals — Ante
Roso and Miljenko Filipovic — were also mentioned in connection with
the case.
In his report to the government dated September 2003, Turek wrote
that "Gotovina’s role in the criminal activities of a group around
Andabak" was being investigated.
The report also said that secret services had Gotovina under
surveillance since March 2001. Despite this, Gotovina went into
hiding in July 2001 when the International Criminal Tribnal for
former Yugoslavia (CTY) in The Hague made public his indictment.

---

http://www.iwpr.net/?
p=tri&s=f&o=262042&apc_state=henitria69c9975adaf752e20f494d5631f84e5

CROATIA: FUNDING THE GENERALS

Bos-Hrv-Srp: HRVATSKA: FINANSIRANJE GENERALA:
http://www.iwpr.net/?apc_state=henftri262042&l=sr&s=f&o=262042

As donations pour into a private foundation set up to pay for the
defence of Croatians accused of war crimes, questions are raised
about how the government in Zagreb decides who gets state legal aid.

By Goran Jungvirth in Zagreb (TU No 453, 22-May-06)


It wasn’t just football chants ringing from the terraces when 45,000
fans gathered earlier this month at the Maksimir stadium. And they
had more on their minds than the footballing fate of Croatian
champions Dynamo Zagreb.

Almost as important as the match itself was the chance for supporters
to show their support for a man they consider a national hero.

Singing “Ante Gotovina is hiding in our hearts”, the capacity crowd
gave freely to a newly-established fund to defend Croatia’s favourite
general, who is facing trial for war crimes in The Hague.

With Gotovina’s 10-year-old son looking on, Dynamo Zagreb donated all
the earnings from the game to the Foundation For Truth About the
Homeland War.

The foundation was set up earlier this year and says its aim is to
support the legal defence of Gotovina and other Croatian defendants
at the Hague tribunal, as well as to publicise the view that Zagreb’s
role in the Croatian conflict was no more than legitimate national
defence.

The foundation is run by lawyer Ivan Curkovic, who has been joined on
the board by folk singer Miroslav Skoro, lawyers Igor Zidic and Ante
Zupic and two Croatian diaspora representatives.

With the 150,000 euro income from the football match, the total
raised by the foundation so far comes to more than 300,000 euro.

The money is a testament to the continued popularity of Gotovina –
who is widely viewed by Croatians as a hero for leading the 1995
operation known as Operation Storm to regain Serb-held territory.

That popularity has not diminished since Gotovina was captured last
year while hiding in the Canary Islands, and even appears to be
growing as his trial approaches in The Hague. Croatian media have
reported that the Gotovina “brand” now rivals that of Che Guevara.

The general has pleaded not guilty to four counts of crimes against
humanity and three of violations of the laws and customs of war, all
relating to Operation Storm. Prosecutors want to join his case with
that of two other Croatian generals, Mladen Markac and Ivan Cermak,
who are accused of being members of a joint criminal enterprise led
by the late Croatian president Franjo Tudjman, that was, the
prosecution says, formed in order to forcibly expel 200,000 Serbs
during Operation Storm.

From the moment he was arrested last year, Gotovina’s supporters
began gathering money for his defence. The city of Zadar donated
around 125,000 euro and his birthplace Pakostane 5,000 euro.

In fact, fundraising has gone so well that the foundation has invited
other defence teams with Croatian clients at the tribunal to apply
for support.

This expanded offer was sparked by news reports that another former
general in Croatia’s military, Rahim Ademi, was going to have to sell
his apartment to pay some 70,000 euro in legal costs. The case of
Ademi, is now with the Croatian judiciary, having been transferred
back under tribunal rules that allow low and middle ranking cases to
be heard in Balkan countries.

Ademi has to pay his own costs, but others in apparently similar
positions have had legal expenses paid by the Croatian state. Ademi’s
lawyer Cedo Prodanovic, who in the end waived his fee, is also being
paid by the Zagreb government to defend another accused general, Cermak.

The government’s different treatment of the two men, paying for the
defence of one but not the other, is seen as something of an anomaly.

“I’m ashamed of the differences the state draws between the
generals,” Ademi’s wife told the Croatian media last month.

The government in Zagreb also spent a large sum – which some reports
put as high as 20 million US dollars – on the defence of General
Tihomir Blaskic, who was commander of the Croat paramilitary forces
in Bosnia, and not a member of Croatia’s own military at all. Blaskic
was sentenced to 45 years imprisonment for war crimes committed by
his troops against Bosnian Muslims, but this sentence was cut to nine
years and he was released in 2004 because he had served most of that
time already.

By contrast, six other senior Bosnian Croat political and military
figures currently facing trial for alleged crimes committed in Herzeg
Bosna, a self-declared Croat entity within Bosnia, are receiving no
support from Zagreb.

“Why are some ‘ours’ and some ‘theirs’?” asked Tomislav Jonic, who
represents Valentin Coric, one of the six, on hearing that there
would be no financial help from the Croatian government.

The Croatian government has steadfastly refused to answer questions
about the issue, though President Stjepan Mesic was drawn into the
debate, saying that all defendants should receive state support
regardless of whether they are tried in The Hague or in Croatia.

But this pledge has yet to be implemented by the government, which is
led by Mesic’s political opponents.

Croatian prime minister Ivo Sanader has publicly supported the work
of the private foundation, suggesting indirectly that the government
is more than willing to hand over the costly responsibility of
defending its generals.

The only role the authorities seem willing to play is to send their
own lawyer to the trials as an amicus curiae – friend of the court –
to challenge prosecution claims that war crimes were the result of a
“joint criminal enterprise”, an allegation which forms the basis for
the indictments against Gotovina, Cermak, Markac and others.

The foundation’s president, Curkovic, describes it as a “citizens’
initiative which is apolitical, non-partisan and non-government”.
Despite Sanader’s expression of support, he said his organisation is
not coordinating with the government.

He said about 50 per cent of donations have come from ordinary
Croatians and half from organisations or municipal departments.

Curkovic said he has already been approached by the defence team of
General Mirko Norac, whose case is joined to that of Ademi and will
be heard in Croatia.

“Our principle is that we are calling on everybody to contact us and
present us with their defence strategy programme and how much it will
cost. After that, the executive board decides about financing the
defence,” he said. “All the accused can contact us. The government
doesn’t have the resources to help everyone.”

But many defence lawyers are not aware that the original purpose of
funding only Gotovina’s defence has changed.

Prodanovic has had no contact with the foundation so far. “If the
foundation has been formed to finance the defence of generals, then
it would be logical for it to contact us,” he said.


Goran Jungvirth is an IWPR reporter in Zagreb.
IWPR’S TRIBUNAL UPDATE No. 453, May 22, 2006


=== 5 ===

LIENS EN FRANCAIS:

Les réfugiés serbes de Croatie indifférents au procès de Gotovina
http://balkans.courriers.info/article6323.html

Croatie : baroud d’honneur des anciens combattants pour Gotovina à Split
http://www.balkans.eu.org/article6139.html

Ante Gotovina a été arrêté en Espagne
http://www.balkans.eu.org/article6120.html

TPI : Ante Gotovina, gangster et chef de guerre
http://www.balkans.eu.org/article5157.html

TPI : Ante Gotovina, barbouze français, « héros » croate
http://www.balkans.eu.org/article5147.html


----- Original Message -----
From: Georges Berghezan
Sent: Thursday, January 12, 2006 3:05 AM
Subject: La presse croate lie l´ex-chef de la CIA à Gotovina et à
"Tempête"

La presse croate lie l´ex-chef de la CIA à Gotovina et à "Tempête"

ZAGREB,(AFP, 11/01/06) -L´ex-directeur de la CIA, George Tenet, a
participé à la préparation de l´opération militaire Tempête qui a mis
fin à la guerre serbo-croate de 1991-1995 et a valu à son commandant,
le général croate Ante Gotovina, son inculpation par le TPI, affirme
la presse croate.
"En juillet 1995, dans la base militaire de Sepurine, près de Zadar
(sud de la Croatie ), Ante Gotovina a préparé les actions +Eté 95+ et
+Tempête+ avec l´ancien chef de la CIA George Tenet", écrit dans son
édition de mercredi l´hebdomadaire indépendant Globus, citant une
source anonyme proche des avocats de Gotovina.
M. Tenet, à l´époque adjoint du directeur de l´Agence centrale de
renseignements (CIA), s´était rendu en Croatie le 20 juillet 1995,
selon la même source.
Il a rencontré sur la base de Sepurine le ministre de la Défense,
Gojko Susak, le chef des services de renseignements, Miroslav
Tudjman, et le général Ante Gotovina, qui a par la suite dirigé l
´opération Tempête.
Cette opération a permis à Zagreb de reprendre en août 1995 le
contrôle de la majeure partie de ses territoires occupés depuis 1991
par les sécessionnistes serbes appuyés militairement par le régime au
pouvoir à Belgrade.
En revanche, l´offensive a entraîné la mort de centaines de civils
serbes et entraîné l´exode d´environ 200.000 Serbes de Croatie ,
selon le Tribunal pénal International (TPI) pour l´ex-Yougoslavie.
Ante Gotovina a été inculpé en 2001 de crimes de guerre par le TPI.
Après quatre ans de clandestinité, il a été arrêté début décembre
1995 par la police espagnole sur l´île de Tenerife et transféré au
TPI. Il plaide non coupable.

SOURCE : http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages

NE' SERBI, NE' EBREI... NE' NEGRI


Il presidente della Federazione Calcio croata, Vlatko Markovic, dopo
l'insuccesso della Nazionale croata agli ultimi Mondiali si appresta a
sostituire l'allenatore Kranjcar. Si vocifera dell'ingaggio di un
allenatore straniero (si è parlato anche di Trapattoni); sull'olandese
Frank Rijkaard, il presidente Markovic ha le idee chiare: "Il
selezionatore croato non può essere un negro" (crnac).

(Fonte: quotidiano "24 sata", Zagabria, 18 luglio 2006 - www.24sata.hr
A cura di Ivan)

Handke: "Jugoslawien war das Beispiel, wie Europa hätte anders sein
können"


0. ES LEBE DER TRÄUMER, DER AN DAS „NEUNTE LAND“ GLAUBTE


1. Meuteopfer des Tages: Peter Handke

JungeWelt, 27.05.2006


2. Handke sagt die reine Warheit: Milosevic hat von Srebrenica-
Massaker nichts gewusst, sein Tod wurde billigend in Kauf genommen
worden, und den Krieg haben Slowenen begonnen

Der Standard (Wien), 30. 6. 2006


3. "Jugoslawien war das Beispiel, wie Europa hätte anders sein können"

Handke glaubt an neue Jugoslawien-Diskussion in der Zukunft -"Serbien
ist für den Moment verloren, nicht für die Ewigkeit"

Der Standard (Wien), 16. 6. 2006


4. Der österreichische Schriftsteller Peter Handke in einem raren
ausführlichen STANDARD-Interview

"Instrumentalisiert wurde ich ja wohl eher von den West-Medien"
"(Srbljanovic hatte) einen riesigen Artikel für den Spiegel
geschrieben, so, als ob der Krieg nichts wäre. Alles ungefährlich!
Da passiert gar nichts, wir wollen nur unseren Tyrannen los haben,
und wir haben auch eine schöne Zeit, es splittern halt ein paar
Fenstergläser. (...) Seitdem, tut mir leid, verachte ich diese Frau.
(...) So wie es früher die Jubelperser gab, so gibt es heute wohl die
Parade-Serben, die Berufs-Exjugoslawen."

Der Standard (Wien), 9. 6. 2006


5. WEITERE "STANDARD"-ARTIKELN (LINKS)


=== 0 ===

ITA : Appello: VIVA IL SOGNATORE DEL NONO PAESE
https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#appello

S-H : ŽIVEO ZALJUBLJENIK U 9. ZEMLJU !
https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#handke_sh

ENG : LONG LIVE THE DREAMER OF THE NINTH COUNTRY
https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#handke_en

SLO : ŽIVEL ZALJUBLJENI V 9. DEŽELO !
https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#handke_slo

---

https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#handke_de

ES LEBE DER TRÄUMER, DER AN DAS „NEUNTE LAND“ GLAUBTE


Irgendjemand glaubte bereits alles gesehen zu haben, doch es fehlte
noch etwas.

Wir sahen bereits den Bruderkrieg, entfesselt durch die Revanchisten
der neuen europäischen Hitler-Ordnung mit all der Zerstörung, Folter
und gewaltsamen Vertreibung ganzer Bevölkerungsgruppen. Wir sahen,
wie die „Internationale Gemeinschaft“ beschloss, ein großes Land
von der Landkarte verschwinden zu lassen, sechs Bananenrepubliken zu
schaffen, die nach völkischer Methode der SS möglicherweise bald
acht sein werden.
Darüber hinaus sahen wir, dass die Nazis heilig gesprochen wurden.
Züge wurden bombardiert, Waffen in Krankenwagen verschoben,
Arbeitsplätze ausgelagert, die Menschen gezwungen, die selbe von
ihnen benutzte Sprache mit vier oder fünf verschiedenen Namen zu
bezeichnen. Die bodenstämmige Landbevölkerung wurde als
„Invasor“ bezeichnet und als „Befreier“ jene, die die
Uranabreicherung brauchen. Der Zigarettenschmuggler wurde mit einem
Lehen beschenkt; Menschen wurden mit Flaschen vergewaltigt, oder
entführt und ihre Leiche tauchte nicht mehr auf; mittelalterliche
Fresken wurden mit Pickeln herausgeschlagen, Brücken mit Kanonen
beschossen, Köpfe abgeschnitten, Häuser der armen Bevölkerung
beschlagnahmt und fremden Investoren gegeben. Die Geschichte wird neu
geschrieben, um die Partisanen mit Schmutz zu bewerfen und Wesire und
Feudalherren zu rehabilitieren.

Irgendjemand von uns meinte, dass er bereits alles gesehen hätte. Es
fehlte allerdings noch, dass Dichter auf den Index gesetzt wurden.
Dem größten zeitgenössischen deutschsprachigen Dramaturg werden die
Anerkennungen entzogen und seine Stücke zensiert.
Es kommt nicht von dort unten, aus dem „Land der Kriege“, wohl
aber von hier, aus Frankreich und Deutschland, aus jenem Europa,
welches jenes von Voltaire und Goethe sein möchte. All das gesehen zu
haben und sogar darüber berichten zu wollen, wird jetzt hier, in
diesem Europa als Todsünde betrachtet. Hier auf dem Boden der
internationalen Gerichte, wo es verboten wird, Fragen zu stellen, zu
reisen, Gespräche zu führen mit jenen, die man nicht kennen darf.
Hier ist es, wo es verboten ist, den „Feind“ wie einen Menschen zu
beschreiben, mit ihm zu reden, zu verstehen.
Die „Todsünde“ Peter Handkes ist tatsächlich, dass er als
„Zeuge“ – wie er es selbst bezeichnete – an der Beerdigung von
Slobodan Milosevic teilnahm. Jenem Milosevic, der für Europa als
einziger, absoluter Sündenbock herhalten soll, jener Milosevic, der
bis zuletzt der zerstörerischen Rechthaberei Europas Widerstand
leistete und schliesslich in den Tod getrieben wurde.

Dieses „Europa“, das sich seine Todfeinde aus seinen eigenen
Reihen schafft, ist einfach widerwärtig. Europa ohne Jugoslawien ist
unerträglich. Es kann niemals unsere Heimat sein.

Handke bezieht sich auf das „neunte Land“ als Metapher für
Jugoslawien, wie er in seinem ersten Text, den er zu Beginn der
losbrechenden Tragödie auf dem Balkan im Jahre 1991 schrieb. Wir
haben den dringenden Bedarf von Menschen wie Peter Handke, die vom
„neunten Land träumen“. Ihm gilt unsere Hochachtung, Bewunderung
und Solidarität.


„Das multiethnische Jugoslawien war das Modell für ein Europa der
Zukunft. Anders als unser künstliches Europa des Freihandels von
heute. Jugoslawien war ein Ort, in dem verschiedene Nationalitäten
auch nach dem Tod Titos friedlich miteinander lebten. Das wäre ein
Europa, wie ich es gern hätte. Deshalb wurde Europa, so wie ich es
mir vorgestellt hatte, mit der Zerstörung von Jugoslawien zerstört.“
(Peter Handke)


Um die Petition zu unterstuetzen: jugocoord @ tiscali.it

Die Unterzeichner ( https://www.cnj.it/CULTURA/handke.htm#firme )

Tamara Bellone (Torino)
Peter Behrens (Trieste / Trst)
Giuseppe Catapano (Roma)
Paola Cecchi (Firenze)
Claudia Cernigoi (Trieste / Trst)
Adriana Chiaia (Milano)
Spartaco Ferri (partigiano, Roma)
Mauro Gemma (Torino)
Fulvio Grimaldi (Roma)
Dragomir Kovacevic (Alessandria)
Olga Juric (Paris)
Teodoro Lamonaca (Torino)
Serena Marchionni (Bologna)
Andrea Martocchia (Bologna)
Gian Luigi Nespoli (Sanremo)
Sandra Paganini (Roma)
Ivan Pavicevac (Roma)
Miriam Pellegrini Ferri (partigiana, Roma)
Fausto Sorini (Bologna)
Jasna Tkalec (Zagreb)
Gilberto Vlaic (Trieste / Trst)
Giuseppe Zambon (Frankfurt am Main)

Enzo Apicella (London)
Alessandro Leoni (PRC Toscana)
Aldo Manetti (PRC Toscana)
Mauro Lenzi (PRC Toscana)
Stefano Cristiano (PRC Toscana)
Susanna Angeleri (PRC Arezzo)
Donella Petrucci (PRC Toscana)
Ugo Bazzani (PRC Pistoia)
Sandro Trotta (PRC Livorno)
Luciano Giannoni (PRC Livorno)
Roberto Cappellini (PRC Pistoia)
Claudia Rosati (PRC Firenze)
Jacopo Borsi (PRC Firenze)
Mauro Gibellini (PRC Massa-Carrara)
Sergio Quarta (Giugliasco, CH)
Mirella Ruo (Casale Monferrato)
Francesco Pappalardo (PRC Piombino)
Angela Biscotti (Mainz)
Luciano Giannoni (PRC Livorno)
Gio Batta (Titen) Prevosto (Circolo SanremoCuba, Sanremo)
Pasquale Vilardo (Giuristi Democratici, Roma)
Carlo Pona (Roma)
Marcello Graziosi (Modena)
Andrea Catone (Bari)
Enrico Barba (Gorizia / Stara Gorica)
Jean Toschi Marazzani Visconti (Milano)
Boris Bellone (Torino)

Rudolf Baloh (Kočevje SLO)
Massimiliano Ay (Partito Svizzero del Lavoro, Bellinzona CH)
Alexander Hobel (Napoli)
Silvano Ceccoli (Genova)
Giuseppe Aragno (Napoli)
Uberto Tommasi (Verona)
Paolo Teobaldelli (Buenos Aires)
Curzio Bettio (Padova)
Gianni Volonté (Como)
Carla Francone (Nuova Unità, Firenze)
Daniele De Berardinis (Nereto, TE)
Centro Popolare La Fucina / Pacifico Saber (Sesto San Giovanni MI)
Enrico Vigna (Torino)
Angelo Baracca (Firenze)
Amélie Glissant (Paris)
Marie-Françoise Philippart (Paris)
Radmila Wolf (Paris)
Robert Wolf (Paris)
René Lefort (Paris)
Annie Lacrox Riz (Paris)
Joseph Kaminski (Paris)
Branko Kitanovic (NKPJ Beograd)
Branimir Ivanovic (Beograd)

Tiziano Cavalieri (PRC Firenze)
Nikola Stojiljkovic (Vranje)
ALJ / Paola Ferroni (Bologna)
Anita Krstic (Milano / Beograd)
Ida Vagli (Torino)
Stana Milanovic (Torino)
Mauro Cristaldi (Roma)
Francesco Bachis (Cagliari)
Pierfrancesco Semerari (Bari)
Gianni Ursini (Trieste)
Ljiljana Milic (Vranje)
Ivana Kerecki (Milano)

Roberto Capizzi (PRC Enna)
Emanuela Caldera (Milano)
Hannes A. Fellner (Wien)
Claudio Debetto (Pontestura AL)
Alfred L. Marder (USA)
Roman Mulic (NKPJ Beograd)
Branko Ivanovic, (NKPJ Beograd)
Vladimir Jankovic (NKPJ Beograd)
Dusan Tomovic, (NKPJ Beograd)
Vesna Milunovic (NKPJ Beograd)
Aleksandar Jovanovic (NKPJ Beograd)
Ljubisav Krunic (NKPJ Beograd)
Andrej Glisic (NKPJ Pančevo)
Aleksandar Djordjevic (NKPJ Kobilje)
Biljana Knezevic (NKPJ Stara Pazova)
Vlastimir Petrovic (NKPJ Golubac)
Djordje Junkovic (NKPJ Požarevac)
Zivorad Mitic (NKPJ Makce)
Radomir Milojevi (NKPJ Veliko Gradište)
Petar Susnjar (NKPJ Novi Sad)
Predrag Jeremic (SKOJ Beograd)
Marijan Kubik (SKOJ Veliko Gradište)
Mirjana Milojevic (SKOJ Veliko Gradište)
Bojan Radosavljevic (SKOJ Kragujevac)
Teodor Stankovic (SKOJ Vrnjačka Banja)

Communist Youth League of Norway
New Communist Party of Britain / Andy Brooks (General Secretary)
Bruno Steri (Roma)
Romanian Peace Council (member of the BAN-Center)
Antonio Grassedonio (CGIL Torino)
Guido Montanari (Torino)
Aleksandra Radonic (Srbija)


=== 1 ===

www.jungewelt.de

JungeWelt, 27.05.2006 / Ansichten

Meuteopfer des Tages: Peter Handke

Die Vergabe des Heinrich-Heine-Preises an den österreichischen
Schriftsteller Peter Handke hat in der veröffentlichen Meinung
erwartungsgemäß kein positives Echo gefunden. »Trotz Milosevic:
Handke erhält den Heine Preis«, geiferte Caroline Fetscher im
Berliner Tagesspiegel. 50000 Euro mache der Preis aus, rechnete sie
vor – »Steuergelder, die nun in Handkes Tasche fließen sollen«.
Wo doch des Dichters Kasse schon sehr klamm gewesen sei. Die
Preisverleiher erscheinen als Embargobrecher, die sich ihrer
Verpflichtung, Handke das literarische Handwerk zu legen und ihn in
die Knie zu zwingen, entziehen. Denn bei Milosevic, dem sich der
Kärntner Dichter mit slowenischen Wurzeln »nahe fühlte«, wie er an
dessen Grab bekundete, hört sich die Meinungsfreiheit auf.

Die Begründung der Juroren, Handke verfolge »eigensinnig wie
Heinrich Heine den Weg zu einer offenen Wahrheit«, empfindet Hans-
Christoph Buch wie blanken Hohn. Sei doch Heine unberirrbar »gegen
nationalen Chauvinismus, für Freiheit und Toleranz« eingetreten.
Heine, der sich Karl Marx nahe fühlte, hat sicher eine andere
Vorstellung von Freiheit und Toleranz gehabt als die heutige
Journalistenmeute, die einen Schriftsteller, der Serbien
Gerechtigkeit widerfahren lassen will, in den moralischen und
finanziellen Ruin hetzen möchte. Und die Heine, würden sie ihm
Gerechtigkeit widerfahren lassen, das Naheverhältnis zu jenem Mann
verübeln müßten, den sie als den Begründer des »kommunistischen
Totalitarismus« betrachten, dessen letzte Schreckensfigur sie in
Slobodan Milosevic zu sehen glaubten.

Empört wirft der Mann von Welt Handke vor, während des Kosovo-
Krieges NATO-Piloten als »Marschmenschen« und »grüne Killer«
beschimpft zu haben. In politisch korrektem Debattenstil wird die
inhaltliche Substanz dieser Aussage erst gar nicht mehr erörtert,
sondern als jeder Erörterung unwürdig denunziert. Die bombige
NATO-»Friedensmission« als Kriegsverbrechen zu benennen, ist
offenbar keine Meinung, sondern ein serbisches Kriegsverbrechen.
Meilenweit, so Buch, habe sich Peter Handke vom Konsens der
Zivilgesellschaft entfernt, der da lautet: Wer nicht mit den Wölfen
heult, hat die Klappe zu halten.


=== 2 ===

http://derstandard.at/?id=2498319

Der Standard (Wien), 30. 6. 2006

Thema Balkan-Kriege: Handke kann's nicht lassen

Autor: Milosevic hätte von Srebrenica-Massaker nichts gewusst, sein
Tod wäre billigend in Kauf genommen worden, und den Krieg hätten
Slowenen begonnen


Zagreb - Der im niederländischen Sondergefängnis des UNO-
Kriegsverbrechertribunals verstorbene jugoslawische Ex-Präsident
Slobodan Milosevic hatte nach Auffassung des österreichischen
Schriftstellers Peter Handke keine Verantwortung für das von bosnisch-
serbischen Militärs angerichtete Massaker an rund 8000 muslimischen
Bosniaken in Srebrenica 1995 getragen. Milosevic habe auch keine
Kenntnis davon gehabt, sagte Handke laut einem Bericht in der
neuesten Ausgabe der kroatischen Wochenzeitung "Globus". In früheren
Interviews hatte Peter Handke das Srebrenica-Massaker als
"scheußlich" und als "größtes Töten seit dem Zweiten Weltkrieg"
bezeichnet.

Slowenien, Dubrovnik

In dem "Globus"-Interview vertrat Handke die Meinung, nicht Milosevic
habe den Krieg im ehemaligen Jugoslawien begonnen, sondern es seien
die Slowenen gewesen. Zu den serbischen Artillerieangriffen auf die
historische kroatische Adriastadt Dubrovnik im Herbst 1991 bemerkte
er: "Ich denke, dass Dubrovnik nicht angriffen wurde, und falls es
doch angegriffen wurde, dann nicht das Zentrum, nicht die Altstadt."
Gerade in der Altstadt von Dubrovnik, von der Erziehungs-,
Wissenschafts- und Kulturorganisation der Vereinten Nationen (UNESCO)
zum Weltkulturerbe erklärt, hatten serbische Granaten großen Schaden
angerichtet und mehrere Menschen getötet.

"Ewige Schande"

Handke glaubt außerdem, dass das UNO-Kriegsverbrechertribunal in Den
Haag den Tod Milosevics "billigend in Kauf genommen" habe. Das sei
eine "ewige Schande" für das UNO-Kriegsverbrechertribunal in Den
Haag. "Man hat ihn einfach krank werden und immer kranker werden
lassen. Man hat - wie das im Strafgesetzbuch steht - seinen Tod
billigend in Kauf genommen", sagte Handke in einem Gespräch mit dem
Fernsehsender 3sat, das am Samstagabend (19.05 Uhr) in der Sendung
"Kulturzeit" ausgestrahlt werden soll. (APA/dpa)


=== 3 ===

http://derstandard.at/?id=2482898

Der Standard (Wien), 16. 6. 2006

"Jugoslawien war das Beispiel, wie Europa hätte anders sein können"

Handke glaubt an neue Jugoslawien-Diskussion in der Zukunft -"Serbien
ist für den Moment verloren, nicht für die Ewigkeit"


Zürich - Der österreichische Schriftsteller Peter Handke setzt auf
eine neue Jugoslawien-Diskussion. Nach den Debatten und Polemiken der
vergangenen Wochen halte er es für möglich, dass "eine Diskussion
über das jugoslawische Problem stattfinden kann, die vorher so nicht
möglich war", sagte Handke der "Neuen Zürcher Zeitung (NZZ)" für
ihre Samstagausgabe.

Nach dem Eklat um die Absetzung eines seiner Stücke vom Spielplan der
Pariser Comédie francaise und der verweigerten Annahme des Heine-
Preises der Stadt Düsseldorf nahm Handke erneut Stellung zu seiner
Parteinahme für Serbien. Als Grundmotivation seines Engagements
nannte er eine einseitige internationale Verurteilung des serbischen
Vorgehens während der Auflösung Jugoslawiens. Während die meisten
anderen Republiken ihren Vorteil in der Abspaltung gesucht hätten,
sei es als einzige die serbische Regierung unter Slobodan Milosevic
gewesen, die Jugoslawien "bis zuletzt" habe erhalten wollen.

"Utopisches System"

Das Jugoslawien von Kommunistenführer Josip Broz Tito begreift Handke
dem Interview zufolge als "utopisches System", das freilich nur
funktionieren konnte, solange die Wirtschaft rund lief. "Jugoslawien
war das Beispiel, wie Europa hätte anders sein können", sagte der
Schriftsteller der "NZZ". Die "Jugoslawien-Energie" werde nicht
sterben, "ob man das nun Nostalgie nennt oder nicht".

Das Massaker von Srebrenica bezeichnete Handke als "scheußlich". Es
sei als "blinde, böse Rache" für die Verbrechen zu begreifen, die
eingeschlossene muslimische Einheiten bei ihren Ausfällen aus dem
Kessel begangen hätten. Ein Tötungsbefehl Milosevics habe sich indes
nicht nachweisen lassen.

Kein "Autokrat im strengen Sinn"

Auf die Frage, warum er sich nicht auf die Seite der serbischen
Demokratiebewegung geschlagen habe, erklärte Handke, dass Milosevic
kein "Autokrat im strengen Sinn" gewesen sei. Serbiens Perspektiven
sieht Handke düster: "Serbien ist für den Moment verloren, nicht
für die Ewigkeit." (APA/AP)


=== 4 ===

http://derstandard.at/?id=2475369

Der Standard (Wien), 9. 6. 2006

"Instrumentalisiert wurde ich ja wohl eher von den West-Medien"

Der österreichische Schriftsteller Peter Handke in einem raren
ausführlichen STANDARD-Interview


Den Heine-Preis hat er, wie seit Donnerstag bekannt ist, abgelehnt.
In der Debatte rund um sein umstrittenes Engagement für Serbien
argumentiert er ungebrochen streitbar. Mit Peter Handke sprach Claus
Philipp.


Chaville-Vélizy - Peter Handke sitzt im Garten seines Häuschens in
einem kleinen Pariser Vorort, unweit von Versailles. Vor ihm, wie
könnte es anders sein, die ersten Eierschwammerln aus dem nahe
gelegenen Wald. Er sagt: "Ich bin ein bisschen erschöpft."

Nein, es ist nicht die - zumindest für die internationalen
Feuilletons zunehmend aufregende und aufreibende - Debatte, ob Handke
nun ein würdiger Heine-Preisträger sei oder nicht: Dass er den Preis
nicht annehmen wird, hat der Schriftsteller dem Bürgermeister von
Düsseldorf längst schriftlich mitgeteilt, und dass dieser den Brief
gestern entgegengenommen und sein Bedauern ausgedrückt hat, ist nur
ein weiterer Eckpunkt einer Debatte, die Handke durchaus als belebend
und neue Perspektiven eröffnend sieht. Wie wird er später im
Gespräch sagen: "Nicht meinetwegen, sondern Serbiens wegen."

Erschöpft ist der Dichter, weil er soeben eine kurze, intensive Reise
durch die spanische Sierra de Gredos, den Schauplatz seines letzten
großen Romans Der Bildverlust, abgeschlossen hat. Ein Grüppchen von
Übersetzern hat er eingeladen, die Orte und Berge, in denen sie sich
in den letzten Jahren nur als Lesende bewegten, einmal in natura
kennen zu lernen. "Einer hat sich leider beim Bergwandern verlaufen.
Lange habe ich ihn gesucht . . ."

Ansonsten: Es sei ein bewegendes Erlebnis gewesen, den Bildverlust in
diversesten Sprachen von den Übersetzern vorgelesen gehört zu haben.
"Das ist Prosa, dachte ich, auch wenn ich rein gar nichts verstanden
habe", so Handke, "und wenn auch dieses Buch vielleicht nicht
bleibt . . . Prosa wird es immer geben."

Und bis auf Weiteres wohl auch Diskussionen über Peter Handke, der im
Gespräch mit dem STANDARD sich sehr schnell an der Auseinandersetzung
rund um sein Engagement für Serbien zu entzünden vermag.


"Warum soll ich gekränkt sein?"

STANDARD: Was von dem, was sich in Sachen Heine-Preis an Rede und
Widerrede ereignete, haben Sie wahrgenommen? Was wollten Sie zur
Kenntnis nehmen?

Peter Handke: Eher nicht wahrnehmen möchte ich das, was ich schon
kenne - das Dreinschlagen und die Wiederholungstasten-Schreibe, die
es seit einem Jahrzehnt zur Genüge gibt. Aber wenn hier und da einmal
ein neuer Ton zu hören oder zu lesen ist - das interessiert mich
schon. Nicht meinetwegen, sondern Serbiens wegen.

STANDARD: Die serbische Schriftstellerin Biljana Srbljanovic schrieb
zuletzt, Sie hätten "keine Ahnung von der Realität in Serbien".

Handke: Darauf kann ich ihr nur antworten: Ahnung ist für mich das
Entscheidende.
Wissen ist etwas viel Leichteres als Ahnung. Wenn mir jemand
vorwürfe, ich wüsste nicht alles, dann würde ich wohl zustimmen.
Aber Ahnung, im Sinne von Eichendorffs Ahnung und Gegenwart - da
stimme ich Srbljanovic nicht zu.
Ich ahne, dass ich Ahnung habe - weniger vom jetzigen Belgrad, wie es
nach dem Krieg, und nach dem Sturz von Slobodan Milosevic wirkt und
ist, als von ganz Serbien. Ich habe es in den letzten Jahren viel
durchreist. Die Städte, die Flüsse, das Land: Das kenne ich. Obwohl:
Kennen hat immer so einen seltsamen Anruch. Ich hab das Land in mir.
Und wenn ich auch nicht fließend Serbokroatisch spreche: Ich kann es
verstehen, ich kann mich verständigen, ich kann zuhören. Oft und oft
hab ich erlebt, wenn ich als "Zugereister" erzählte von Serbien, dass
Leute dort sagten: Wir Serben kennen unser eigenes Land nicht.

STANDARD: In Ihrer "Winterlichen Reise", dem ersten Reisebericht aus
Serbien, erschienen 1996, hinterfragen Sie ja den durchaus
doppelbödigen Satz: "Was weiß ein Fremder?" Uns frappiert es doch
in Österreich auch, wenn uns von außen gewisse Charakteristika
zugesprochen werden, die wir vehement von uns weisen.

Handke: Nicht selten haben wir damit ja auch Recht. Aber einen von
außen, der reist, ohne die Leute zu charakterisieren, der nur sieht
und beschreibt - den würden wir Österreicher oft brauchen.

STANDARD: Wenn Sie sich in der Diskussion eine "Öffnung" wünschen -
konnte dieser Wunsch nicht lange Zeit auch angesichts Ihrer eigenen
Position Berechtigung haben?

Handke: Wieso?

STANDARD: Journalistischen Positionen oder jenen anderer
Intellektueller standen Sie doch sehr oft polemisch gegenüber. Im
zweiten Serbien-Bericht "Unter Tränen fragend" (1999) unterstellen
Sie den kommenden Rezensenten immer wieder, dass man Ihnen jetzt wohl
alles als "proserbisch" auslegen wird. Verletzt konstatieren Sie,
dass Leute plötzlich ostentativ an Ihnen vorbei sehen.

Handke: Das war nach meiner Lesung in Ljubljana, wo das slowenische
Fernsehen auf mich als Staatsfeind losgeprügelt hat. Am nächsten Tag
haben auf der Straße alle Leute wie elektrifiziert den Kopf
weggedreht, wenn sie mich sahen. So etwas hatte ich noch nie erlebt.
Und ich habe es halt als Phänomen beschrieben.

STANDARD: Der Eindruck von Gekränktheit ist also unberechtigt?

Handke: Warum soll ich gekränkt sein? Gestaunt habe ich, dass es so
etwas noch gibt: Kollektive Verfemung. Andererseits ist so etwas
heute meist nach zehn Tagen wieder vorbei, eine kleine Episode. Aber
als zuletzt die Comédie-Fran¸caise mein Stück annulliert hat,
lief's ähnlich: Die Leute wichen mir auf der Straße aus. Das gibt
mir zu denken. Ich habe die Menschheit ja eigentlich nie verstanden.
Aber jetzt verstehe ich sie noch weniger.
Alle meine Jugoslawien-Texte gehen von einer positiven Bewegung aus.
Ich möchte für etwas sein und nicht irgendwelche Gegnerschaften
pflegen. Natürlich unterlaufen mir dann einige syntaktische
Fußtritte, nach links und rechts. Das ist mir auch nicht unrecht.

STANDARD: Die Fußtritte sind halt ein schlechter Ausgangspunkt, wenn
man an die Vernunft oder zumindest ein Verständnis in einer ohnehin
hochgekochten Situation appellieren will.

Handke: Solche Appelle haben eh keinen Sinn. Das Einzige, was ich
wirklich bedaure, ist, dass ich das von mir Geschriebene vor Lesungen
mitunter als "Friedenstext" deklarierte. Diese Tautologie war völlig
überflüssig. Und indem man so etwas sagt, schwächt man schon die
Texte ab. Das bedauere ich: Hier öffentlicher Spieler - "bitte hört
zu!" - geworden zu sein. Das war nicht notwendig.

STANDARD: Schon die erste, die "Winterliche Reise" beginnen mit einer
durchaus scharfen Attacke gegen die europäische Zeitungen als
"Kriegstreiber". Es muss Ihnen doch klar gewesen sein, dass Sie damit
heftige Reaktionen auslösen, die möglicherweise vom letztlich
unaufgeregten, melancholischen Duktus der eigentlichen Reiseerzählung
ablenken.

Handke: Ja, das können Sie jetzt sagen. Nachher ist man immer
gescheit. Ich musste das damals aber loswerden, nach Jahren der
völlig einbahnmäßigen, zunehmend unerträglichen "Information".
Ja, vielleicht hätte ich nur über die leeren Straßen, die Kälte,
die Drina erzählen sollen. Aber dann hätte das Buch wahrscheinlich
überhaupt niemand gelesen.

STANDARD: Sie haben auch im Nachhinein überhaupt kein Verständnis
für mögliche Überforderungen aufseiten der Kriegskorrespondenten
und Kommentatoren?

Handke: Ich habe für die meisten immer noch kein Verständnis. Wenn
man schon im ersten Satz eines so genannten Berichts die Tendenz und
das Ressentiment spürt - für mich ist das unerträglich.
Ich bin kein Journalist. Ich erzähle auf meine Weise, so wie Goethe
damals die Kanonade von Valmy in der französischen Revolutionszeit
auf seine Weise beschrieben hat. Und auch wenn seine Erzählung
letztlich voll von Nebensächlichkeiten war, noch schlimmer als bei
mir, ist sie doch - vielleicht dank Goethe - geblieben.
Was soll ich sagen? "I did it my way." Als ich seinerzeit im profil
gegen Kurt Waldheim schrieb, habe ich noch illusionär gedacht, ich
könne damit etwas bewirken. Jetzt weiß ich: Es ist nichts zu machen.

STANDARD: Sie haben doch durchaus viel bewirkt. Gerade jetzt wieder
rund um diese Debatte . . .

Handke: Die hat aber der Heine-Preis in Gang gesetzt, nicht ich.

STANDARD: . . . und durch die Tatsache, dass mit Ihren Texten etwas
verfügbar ist, über das man quasi als Anschauungsmaterial sprechen
kann, in Ablehnung oder in Zustimmung. Was gäbe heute sonst an
vitaler Aufarbeitung, wenn wir ohne Texte wie die Ihren dasitzen
würden?

Handke: Trotzdem: ich habe gegen den Großteil der Medien keine
Chance, und die Medien haben keine Chance gegen mich. Im Grunde ist
es ein völlig sinnloses Gerangel.
In einer Heine-Preisrede hätte ich jetzt wohl noch einmal über den
Unterschied zwischen journalistischer Schreibe und literarischer
Schreibe gesprochen. Darin, wie man die Absätze macht, die
Blickrichtung vorgibt - was lässt man aus, was lässt man vorkommen -
zelebriert die journalistische Schreibe sehr oft eine Vortäuschung
von Natürlichkeit, gegen die das Literarische geradezu künstlich
wirkt. Dabei ist das Literarische, wenn, wie die Franzosen sagen, das
Herz dabei ist, weitaus natürlicher als Ausdrucksform als der
Journalismus.


Handke zu heftigen Vokabeln: "Es ist natürlich auch ein Spiel von
mir, ein zorniges Spiel, aber ohne Hass"

STANDARD: So gemäßigt war das in Ihren Büchern aber kaum jemals zu
lesen. Mit Begriffen wie "Kriegshetzerbräute" greifen Sie bei Ihrer
Kritik an den Medien zu doch relativ heftigen Vokabeln . . .

Handke: "Fernfuchtler" habe ich auch geschrieben, durchaus
nestroywürdig, und für die Journalisten der großen deutschen
Zeitungen, die ich da jahrelang lesen musste, trifft das doch ganz
gut zu. Es ist natürlich auch ein Spiel von mir, ein zorniges Spiel,
aber ohne Hass. Leider aber ab und zu mit ein bisschen zu viel
Verachtung. Das ist wohl nicht gut fürs Schreiben.

STANDARD: Man hat mitunter das Gefühl, dass Sie sich gerne
unbedeutender und "kleiner" sehen, als Sie in Ihrer medialen Präsenz
sind. Sehr schnell wurde Ihnen doch von serbischer Seite eine
Botschafterrolle zugewiesen. Sie selbst beschreiben Reisebegegnungen
in Serbien, Kriegsopfer, sich bei Ihnen bedanken.

Handke: Ja, da ist einer mit uns, haben sich die vielleicht gedacht.
Kein Proserbe, aber er ist einer, der mit den Serben ist. Als ich
etwa im Bombenkrieg in Belgrad war, gab es täglich die großen
Jugendversammlungen auf dem Platz der Republik, und da haben mich
einige erkannt, und ich sollte denen Autogramme geben. Das ist kein
Mich-klein-Machen, aber ich habe das Gefühl gehabt, eigentlich
sollten eher die mir ihre Namen aufschreiben. Dass sie es sind, die
mir etwas geben hätten können. Als dann der Krieg zu Ende war und
die Opposition gegen Milosevic bei den Wahlen gesiegt hat, da haben
wahrscheinlich viele junge Leute, die von mir eine Unterschrift
wollten, gegen Milosevic gestimmt.

STANDARD: Aber läuft man als Person des öffentlichen Interesses, wie
Sie es nun einmal sind, nicht Gefahr, in derart prekärem Terrain
automatisch instrumentalisiert zu werden? Rund um Ihren Besuch beim
Milosevic-Begräbnis ist es durchaus nachvollziehbar, dass Sie
persönlich Augenzeuge eines weiteren Akts eines historischen Dramas
sein wollten, das Sie über Jahre verfolgt und begleitet hatten. Ist
es aber nicht gleichzeitig katastrophal, als "prominenter" Gast
abgelichtet zu werden, gar eine Rede zu halten?

Handke: Da hat mich niemand instrumentalisiert. Die Generäle und das
Publikum da in Pozarevac, die Trauergäste, die haben überhaupt
nichts gemacht.
Sie haben ganz offenkundig ja auch nichts verstanden von dem, was ich
sagte. Die Generäle haben bestenfalls gedacht: was ist denn das für
ein Kümmerling, ein Idiot; und das Volk hat gedacht: Na ja, es war
ein Ausländer. Was sagt denn der? Nix.

STANDARD: Was Sie zum Beispiel sagten: "Die angebliche Welt weiß
alles über Milosevic. Die angebliche Welt kennt die Wahrheit.
Deswegen ist die angebliche Welt heute hier abwesend." Mit solchen
Sätzen sind Sie doch in den internationalen Medien durchaus ausgiebig
zitiert worden.

Handke: Instrumentalisiert wurde ich dann also wohl eher von den West-
Medien - gegeninstrumentalisiert.

STANDARD: Aber als Sie ein paar Jahre vorher von Milosevics
Verteidigern eingeladen wurden, als Zeuge auszusagen beim Tribunal in
Den Haag - was Sie dann ja auch abgelehnt haben -, hatten Sie auch da
nicht das Gefühl, benutzt zu werden mit Ihrem Namen und Ihrer für
viele offenbar missverständlichen Haltung?

Handke: Wie benutzt? Sprechen Sie jetzt von Milosevic? In seinem
Sinne? Ich habe in diesem Sinn doch gar kein benutzbares Wissen. Es
war auch nicht seine Idee, dass ich als Zeuge der Verteidigung
auftreten soll.

STANDARD: Wessen Idee war es denn?

Handke: Ein Rechtsgelehrter aus Belgrad, den ich gut kenne, namens
Branko Radkic, der hat gemeint, ob ich vielleicht etwas sagen könnte.
Ich glaube, Slobodan Milosevic hat mit mir - ich will mich da jetzt
nicht heraus reden - überhaupt nichts anfangen können. Vielleicht
nicht überhaupt nichts, aber wir waren einander fremd. Nicht ganz
fremd, aber eher fremd. Die drei, vier Stunden, als ich bei ihm war,
hat er auf mich eingeredet, als wäre ich ein anderer. Er hat im
Grunde nicht gewusst, wer ich bin.
Ich habe ihn auch gefragt: Was sollte ich denn aussagen? Ich war zwar
im Nato-Krieg zweimal in Jugoslawien, in Serbien, ich habe die
Bombenlöcher, die Splitterbomben gesehen, die Kollateralschäden, die
gebombten Volksschulen gesehen, und ich habe gesehen, wie die Bomben
abgeworfen wurden, nur damit sich die Flugzeuge erleichtern auf dem
Heimflug auf kollaterale Gegenden - was ja überdeutlich war. Ich
habe, sagte ich, gesehen, was viele gesehen haben. Zum Beispiel die
Paramilitärs auf dem Land und dass die absolut unkontrollierbar
waren. Und ich sagte zu Milosevic: "Man spricht viel zu wenig von der
Unkontrollierbarkeit eines Landes im Krieg." Da hat er ein bisschen
aufgehorcht. Das war's. Dann ging ich weg.
So leid es mir tut, ich hatte und ich habe keine Meinung zu Slobodan
Milosevic. Aber es ist mir unerträglich, wie man, vor allem kurz nach
seinem Tod, über ihn geredet hat. "Der Schlächter vom Balkan" , der
"Kriege angezettelt" hat! Der "blutrünstige Killer", "der hat uns mit
seinem Tod den Teppich unter den Füßen weggezogen hat"! Milosevic
war nicht Ceausescu, er war nicht Hitler. Ich weiß nicht, was er war.
Es wäre wichtig für den Frieden, zu wissen, wer er wirklich war.

STANDARD: Srbljanovic sagt zum Beispiel, er sei der Schandfleck am
Gewissen ihres Landes.

Handke: Wenn sie das sagt, dann konzentriert sie in einem riesigen
Fehler alles auf Slobodan Milosevic. Das darf man nicht tun. Ich kann
mich noch erinnern, dass sie mitten im Krieg gegen Jugoslawien, den
man heute in einer scheußlichen Beschönigung "Konflikt im Kosovo"
nennt, einen riesigen Artikel für den Spiegel geschrieben hat, so,
als ob der Krieg nichts wäre. Alles ungefährlich! Da passiert gar
nichts, wir wollen nur unseren Tyrannen los haben, und wir haben auch
eine schöne Zeit, es splittern halt ein paar Fenstergläser.
Das machte sie während dieses Krieges, den Deutschland mit geführt
hat, für ein den Krieg mit führendes Blatt wie den Spiegel. Seitdem,
tut mir leid, verachte ich diese Frau. Seitdem sie mitten im Krieg so
getan hat, als ob kein Krieg wäre. Als ob es ein kleines Abenteuer
wäre, und die Bevölkerung macht sich einen Spaß.
In Belgrad haben sich die Jungen vielleicht zum Teil auch ihren Spaß
gemacht, in dem sie in den Parks übernachtet haben und
Kassettenrekorder gespielt haben, das habe ich ja mitbekommen, aber
das Land kennt Srbljanovic offenbar nicht. Belgrad ist nicht Serbien.
So wie es früher die Jubelperser gab, so gibt es heute wohl die
Parade-Serben, die Berufs-Exjugoslawen.


Ich sagte zu Milosevic: ,Man spricht viel zu wenig von der
Unkontrollierbarkeit eines Landes im Krieg.' Da hat er ein bisschen
aufgehorcht. Das war's. Dann ging ich weg.

STANDARD: All diese dämonisierenden Prädikate für Milosevic, das
Tribunal gegen eine "Bestie" - ist das nicht letztlich auch ein
Versuch gewesen, ein Schrecken mit anderen vergleichbar zu machen, um
ihn vorerst einmal "in den Griff zu kriegen", möglicherweise bis hin
zu einer Stippvisite bei Hannah Arendt und der "Banalität des
Bösen"? Viele Leute, die anders als Sie noch nicht einmal in Serbien
waren, sind wahrscheinlich noch irritierter als Sie. Die können sich
letztlich ja nur verlassen auf das, was ihnen erzählt wird. Zum
Beispiel von Ihnen.

Handke: Auf mich können sie sich verlassen. In dem was ich nicht
weiß, und in dem was ich weiß. Was ich nicht weiß, das sage ich
nicht, was ich ahne, umschreibe ich, und was ich weiß, berichte ich.

STANDARD: Gleichzeitig wird da quasi kollektiv an einem Text
geschrieben, mit dem wir was anfangen, den wir in bewährte
dramatische Erzählungen von Weltpolitik einordnen können sollen. Ein
Königsdrama, bei dem zum Schluss abgerechnet wird. Welche Rolle
würden Sie für sich sich in diesem Stück selbst zuweisen?

Handke: Es ist wohl eher Ihre Arbeit als Journalist oder die eines
anderen Schriftstellers, sich das auszudenken. Und in meinem Stück
Die Fahrt im Einbaum, da bin ich ja schon drin, in dem etwas
besoffenen, ausgebooteten Griechen, der eigentlich nur noch für die
Bäckerzeitung auf dem Peloponnes schreiben darf. Da bin ich schon
drin, und ich bin Elfriede Jelinek wirklich dankbar, dass sie sagt:
dieses Stück, warum spielt man das nicht , warum liest man das nicht?
Da ist alles drin. In Andeutung, aber auch in spielerischer Aggression.
Ich würde aber schon gern noch einmal zurückkommen auf die
historischen Parallelen, die da gegenwärtig beschworen werden. Das
ist ein großer Fehler, finde ich, das behindert auch sehr viel das
Erkennen über Jugoslawien, dass man überall nur Parallelen sucht.
Parallelen kann man höchstens am Ende einer Untersuchung vielleicht
ahnen lassen. Aber sofort mit den Parallelen kommen, das heißt, den
Blick von vornherein blind zu machen. Was heißt das zum Beispiel:
"Diktatur"? Wie der französische Figaro zu Recht gesagt hat - Serbien
war unter Milosevic ein "semiautoritärer" Staat. Und die Zeitungen
waren, so glaube ich sagen zu dürfen - fast völlig frei und das TV
war in staatlicher Hand. Wenn ich mir Frankreich anschaue, wie der
Staat hier organisiert ist, dann ist das kein semi-, das ist ein
dreiviertelautoritärer Staat.
Das alles sollte man einmal beschreiben und dann suchen: Wo sind die
Fehler, wo sind die Irrtümer, die Verbrechen. Und nicht Parallelen,
nicht Vergleiche ziehen. Ich habe einmal, als ich jung war, einen
nicht sehr guten Aufsatz geschrieben, dessen Titel mir aber
bezeichnend erscheint: Das Elend des Vergleichens. Damals ging es um
fatale Vergleiche zwischen Theater und Film, das war eine
Auftragsarbeit und wurde dann etwas banal. Aber das Elend des
Vergleichens, das stimmt für mich immer noch, es behindert jede
Erkenntnis.

STANDARD: "Peter Handke ist als Schriftsteller grandios, den
Nobelpreis sollte er unbedingt erhalten, politisch ist er zum
Vergessen" - Das ist derzeit in der Heine-Preiswürdigkeitsdebatte ein
beliebter Stehsatz. Gibt es eine Lust bei Ihnen zu sagen: Genau um
das geht es mir nicht, dass ich der ewige Virtuose bin. Dass es so
eine Lust gibt, das eigene Image immer wieder anzuschlagen? Etwas wie
der Besuch beim Milosevic-Begräbnis . . .

Handke: Selbstbeschädigung? Nein, das interessiert mich nicht.

STANDARD: Was sagen Sie dann den Leuten, Ihren Lesern, Menschen, die
mit Ihrer Arbeit leben und Sie achten, aber sagen: ich versteh's nicht?

Handke: Also, die wirklichen Leser: Ich glaube nicht, dass die das
nicht verstehen. Wenn sie wirklich lesen, dann ist da nichts nicht zu
verstehen. Was mich hier geleitet hat, war ein epische Wissbegierde,
keine Parteinahme. Übrigens waren - bis auf den schwerkranken Harold
Pinter - alle aus dem internationalen Komitee für die Verteidigung
für Slobodan Milosevic beim Begräbnis dabei. Auch Ramsey Clark, der
ehemalige US-Justizminister.
Der hat ja in Belgrad, als der Leichnam da aufgebahrt war vor dem
Parlament, eine riesige flammende Rede gehalten. Warum wird darüber
nicht berichtet? Vielleicht nimmt man den dermaßen wenig ernst, dass
man das gar nicht mehr vorkommen lässt. Nimmt man einen ehemaligen US-
Justizminister nicht ernst? Mich nimmt man, wie es scheint, auch
nicht ganz ernst, möchte aber mit dem Finger auf mich oder auf das,
was ich gesagt habe, zeigen.

STANDARD: Man nimmt Sie ganz offenkundig sehr ernst.

Handke: Warum nicht Ramsey Clark? Er hat ganz anders gesprochen als
ich: "Das ist ein Verbrechen, man hat ihn umgebracht, Slobodan
Milosevic war unschuldig". Das habe ich nie gesagt, weil ich das
nicht sagen könnte.

STANDARD: Von Kollegen wie Elfriede Jelinek und Botho Strauß wurden
Sie durchaus vehement verteidigt.

Handke: Ach, Strauß. "Der sprachgeladenste Autor", wie er über mich
schrieb, das habe ich nicht ganz verstanden. Auch dass er mich in
einer Reihe mit Carl Schmitt und Ezra Pound sieht. Hier in Frankreich
hat man mich vorher mit Céline verglichen. Dabei lehne ich Céline
ab. Was er über die Juden schrieb, das darf man nicht machen. Ich
lehne auch Ezra Pound ab und Carl Schmitt. Den Ernst Jünger schon
gar, weil der ist nicht mal ein guter Schriftsteller. Das ist ein
krachlederner Schriftsteller, der nichts anschauen kann, ohne zu
einer Schlussforderung zu kommen. Am Ende steht immer: "Da sehen wir
wieder, wie die Welt gebaut ist".
Wen interessiert das? Das ist doch keine Literatur.

STANDARD: Hier, wenn man Sie mit anderen "großen" Dichtern
gleichsetzt, die politisch in Verruf geraten sind, setzt wohl wieder
der tödliche Vergleich ein.

Handke: "Politischer Schriftsteller" - ich weiß überhaupt nicht, was
das ist. Ein Strukturbesserwisser?
Aber wenn man ein bisschen nachschaut, was ich z. B. in den 60er-
Jahren und 70er-Jahren etwa über Tautologien der Justiz geschrieben
habe, in Ich bin ein Bewohner des Elfenbeinturms, über den Umgang mit
den Demonstranten - ich habe mich da wirklich bemüht, ich habe nicht
Deklamation gemacht wie es die 68er meist betrieben haben mit ihren
Sprüchen, sondern ich habe Protokolle der Prozesse gelesen und habe
grammatikalisch analysiert, wie die Richter geredet haben über die
Studenten. Ob das politisch ist oder nicht, ob ich jetzt naiv bin,
jedenfalls war ich von Anfang an aufmerksam, wo ich beteiligt war.

(DER STANDARD, Printausgabe, 10./11./12.6.2006)


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am 29. 5. 2006
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Berichte auf
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DA ISRAELE CON AMORE


Ragazzine israeliane scrivono messaggi sarcastici sulle bombe che
stanno per essere sganciate nel sud del Libano. Le immagini, scattate
a Kiryat Shmona, nord Israele, dalla Associated Press, stanno facendo
il giro del web scatenando durissime polemiche soprattutto sui siti
arabi che, accanto a queste foto, pubblicano quelle dei bambini
libanesi colpiti dai raid israeliani.

http://www.repubblica.it//2006/05/gallerie/esteri/messaggi-su-bombe/
1.html

(english / srpskohrvatski)

Dopo il colpo di Stato dell'ottobre 2000, al potere in Serbia è
assurta una classe dirigente che, oltre a praticare politiche
reazionarie socialmente devastanti, è tra le più corrotte ed
impresentabili del globo. I parlamentari serbi, che già godono di
salari e compensi favolosi, si accingono adesso a diminuire a 55 anni
la propria età pensionabile, sottolineando così la propria
condizione di élite super-privilegiata in una società che hanno
ridotto al collasso. La SKOJ - organizzazione giovanile del Nuovo
Partito Comunista di Jugoslavia - stigmatizza duramente tutto ciò in
questo suo comunicato.

---

STOP PRIVILEGIJAMA!

Predlog da poslanici narodne skupštine posle dva mandata ako imaju
navršenih 55 godina života ili 35 godina radnog staža penzionišu
je izraz najgoreg licemerja i ruganja nad sudbinom miliona siromašnih
i nezaposlenih građana ove zemlje. Ovo je još jedan pokušaj
sticanja novih privilegija u zemlji u kojoj ogromna većina
stanovništva živi na ivici bede, a država iz dana u dan sve dublje
tone u dužničku krizu.

Ovakav predlog u trenutku kada 35% radno sposobnog stanovništva ne
radi, kada skoro polovinu nezaposlenih čine mladi, kada je milion
ljudi, mahom mladih i visoko obrazovanih napustilo zemlju, potpuno je
neopravdano, licemerno i neodgovorno. Danas preko 60 posto penzionera
prima penzije koje su manje od prosečne, a oni koji imaju sreću da
rade mogu se penzionisati pod veoma teškim uslovima koji se stalno
pogoršavaju.

Umesto da budu u službi naroda naši poslanici se stavljaju iznad
interesa sopstvenog naroda, kome su u predizbornim kampanjama nudili
„obećanu zemlju“, ne želeći da dele sudbinu svog naroda koga su
doveli do prosjačkog štapa. Srpski buržoaski parlament u ovom
trenutku jedino se bori kako da obezbedi što veće privilegije za
svoje poslanike i da produži egzistenciju vlade koja je izgubila
podršku građana.

Srpski parlament je verovatno jedan od najskupljih u Evropi a naši
poslanici najprivilegovaniji. Dok se u Srbiji broj narodnih kuhinja
za siromašne smanjuje iz dana u dan naši poslanici se hrane u
skupštinskim restoranima po izuzetno niskim cenama, primaju ogromne
novčane nadoknade i platu koja je veća od proseka. Gotovo svi
poslanici su finansijski i stambeno obezbeđeni i pokušaji sticanja
novih privilegija je najgnusniji zločin prema građanima ove zemlje
koji svakoga dana vode ogorčenu borbu za golu egzistenciju.

Srpski buržoaski parlament je najveća katastrofa koja nas je
zadesila. Naša zemlja lakše i brže se oporavila od posledica
razaranja Drugog svetskog rata nego što se može oporaviti od
vladavine parlamenta koja nas vodi u propast, stvarajući od naše
zemlje evropsku Argentinu.

Pred svima nama stoji borba za rušenje poretka koji nam je nametnut,
koji nas ponižava i pljačka. Pred nama je borba za parlament koji
će biti iz naroda i za narod, kome će ostvarenje interesa ogromne
većine biti najsvetiji zadatak i cilj.

Sekretarijat SKOJ-a
Beograd, 20. jul 2006. godine

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STOP THE PRIVILEGES!

The proposal that members of National Assembly be pensioned off after
two mandates in the parliament at age 55 or 35 years of work service,
is the worst form of hypocrisy and ridicule over the fate of millions
of poor and unemployed citizens of this country. This is but another
attempt to acquire privileges in a country where the overwhelming
majority of citizens lives on the margins of poverty and the nation
from day to day sinks into crisis of debt.

This sort of proposal, at the time when 35% of able bodied population
is unemployed, when almost half the unemployed are youth and when a
million, mostly young and highly educated people have left the
country, is totally unjustified, hypocritical and irresponsible.
Today, over 60% of retirees receives pensions lower than the average
and those fortunate enough to be working, can go into retirement
under extremely difficult and worsening conditions.

Instead of being of service to the people, our deputies are placing
themselves above the interests of their own people to whom they were
offering the "promised land" in their election campaigns and now do
not want to share the fate of the people whom they have turned into
beggars. The Serbian bourgeois parliament is currently only fighting
to secure ever more privileges for its deputies and prolong the
existence of a government which has lost the support of its citizenry.

The Serbian Parliament is probably the most expensive one in Europe
and our deputies the most privileged. While numbers of soup kitchens
for the poor in Serbia diminishes by the day, our deputies are dining
in parliamentary restaurants at exceptionally low prices, receive
enormous financial compensations and above average salaries.
Practically all deputies are financially secure with residences and
attempts to acquire new privileges are the most gruesome crime
against the citizens of this country who are waging a bitter daily
struggle for bare existence.

The Serbian bourgeois parliament is the greatest catastrophe which
has come upon us. Our country has recovered from the devastation of
the Second World War faster and better than it could from the rule of
a disaster bound parliament, creating a European Argentina out of
this country.

Before all of us is the battle to demolish the regime imposed on us,
which insults and plunders us. Before us is the struggle for the
parliament of the people and for the people, to which the realization
of interests of the overwhelming majority is the most sacred task and
goal.

The Secretariat of SKOJ
Belgrade, July 20, 2006

PAROLE SANTE


"Il parlamentarismo è la fonte di tutte le tendenze opportunistiche
oggi esistenti nella socialdemocrazia occidentale (...) Esso le
fornisce la base delle illusioni dell'opportunismo, ne fa una moda,
come la sopravvalutazione delle riforme sociali, la collaborazione di
classe e di partito, la speranza dell'avanzamento pacifico del
socialismo, etc. (...) Con la crescita del movimento dei lavoratori,
il parlamentarismo si è convertito nel trampolino di lancio per i
politici di professione. Per questo tanti ambiziosi falliti della
borghesia corrono a frotte per unirsi sotto le bandiere dei partiti
socialisti (...) L'obiettivo è di trasformare i settori attivi del
proletariato in massa amorfa e in elettorato"

Rosa Luxemburg

(citazione di Miguel Urbano Rodrigues, teorico del Partito Comunista
Portoghese,
su "L'Ernesto", n. 2 Marzo/Aprile 2006)