Informazione

Kosovo e Tesla

ALLACCIATE LE CINTURE, STIAMO CADENDO!

Il 10 luglio u.s. si è tenuta a Zagabria una conferenza sul Kosovo,
cui hanno partecipato tre rappresentanti dei serbi del Kosovo al
Parlamento di Belgrado. Si tratta di Oliver Ivanovic, Gordana Cacic e
un tale Njakic.
Essi hanno cercato di spiegare ai serbi della Croazia quale sia la
situazione e le prospettive per i serbi in Kosovo.

I tre erano di passaggio a Zagabria poichè nella Lika, a Smiljan,
villaggio natio di Nikola Tesla, si era tenuta una celebrazione
solenne della ricorrenza della sua nascita - 150 anni fa. Erano
presenti sia autorità croate che serbe - il presidente della
Repubblica Tadic ed altre personalità importanti: una cosa inedita
finora (1). Rimane il fatto che Smiljan e dintorni, nella regione un
tempo a maggioranza serba, hanno una storia triste, lugubre ed
irrisolta.

Ma, a parte questo, quello che i tre deputati serbi-kosovari hanno
detto sul Kosovo, non convince. Oggi vivono in Kosovo non più di
130mila serbi, meno del dieci per cento della popolazione attuale.
Più di altrettanti sono rifugiati in Serbia e altrove (ad es.
Montenegro), registrati come profughi - e chissà se potranno mai
tornare in Kosovo. Secondo i tre deputati, come minoranza i serbi-
kosovari dovrebbero entrare nelle istituzioni albanesi e battersi per
i diritti delle minoranze ed ottenere di amministrare qualche comune
("dobiti koju opstinu") dove saranno in maggioranza. Ma la
valutazione realistica è che non otterrebbero più di tre comuni in
questo modo, anche se ne hanno chiesti almeno tredici.
La posizione più intransigente è quella nota: i serbi vivono in
Kosovo, nel centro e nel sud, e non è possibile ne' ammissibile
creare una enclave serba al nord, intorno a Kosovska Mitrovica.
Dovrebbero crearsi le condizioni perchè i serbi possano vivere lì
dove hanno sempre vissuto... D'accordo, ma non si dice come e con
l'aiuto di chi. Della "comunità internazionale" e delle sue forze?
Quelle non difendono nessuno.

La stessa Gordana Cacic, presidente di una organizzazione dal nome
pretenzioso - "Donne d'affari del Kosovo" - era nel marzo scorso su
quel pulman saltato su una mina, dove sono morte parecchie persone.
Gordana è una donna giovane e piacevole, che parla delle prospettive
delle donne, dice che non si devono arrendere, eccetera. Oliver
Ivanovic ha detto che si deve essere pronti anche per soluzioni che
non piacciono, ma che possono dare una certa possibilità di sviluppo
alla minoranza serba. Secondo Ivanovic, l'Unione Europea non sarebbe
per l'indipendenza del Kosovo, diversamente dall'America e dagli
albanesi che non vogliono accettare nulla che sia meno
dell'indipendenza.

Insomma, tutto lascia intravvedere la tragedia futura, anche se
nessuno di loro ha mai pronunciato e nemmeno preso in considerazione
l'eventualità molto realistica di un futuro Stato albanese. Hanno
detto altre cose: ad esempio, che anche nella regione autonoma ai
tempi della Jugoslavia federativa e socialista i serbi sono sempre
stati minoranza, anche nelle istituzioni, e che decideva sempre tutto
la maggioranza cioè gli albanesi - quindi non cambia quasi nulla. E
poi, che un eventuale nuovo Stato albanese creerebbe molti problemi e
nuova, profonda instabilità nei Balcani. Ma l'instabilità della
Jugoslavia è iniziata con l'instabilità del Kosovo sin dagli anni
Ottanta!

Ivanovic non si è astenuto dal criticare i sistemi precedeniti (la
Jugoslavia socialista e quella di Milosevic), che pensavano che i
problemi del Kosovo potessero essere risolti militarmente - quindi
sarebbe loro la colpa del punto a cui siamo giunti. Dire questo della
Jugoslavia socialista ci sembra una ingiustizia che grida al cielo,
perchè di interventi militari quello Stato non ne ha fatti, ed ha
mandato invece tantissimi soldi, specialisti e risorse, ma non è
servito a nulla. Ruberie ed arretratezza si sono dimostrate
insuperabili con metodi ragionevoli ed umanistici. Con la forza,
certo, si è ottenuto ancora meno; ma era proprio necessario arrivare
al punto odierno nella frattura tra le due popolazioni?

Il vulnus kosovaro per ora appare inguaribile, e che ci sono forze
politiche che fanno di tutto per mandare la ferita in putrefazione e
cancrena. Sentire certi come questo Naikic (e sono discorsi che
sentimmo già nell'88, a Pristina ad un Congresso), dire che "anche i
serbi si sposano" e che quest'anno nell'ospedale ginecologico del suo
paese sono nati trecento bambini e che le donne albanesi cominciano
ad avere meno figli e vengono nell'ospedale serbo per abortire - così
che non si sappia nei loro paesi -, uno si sente cadere le
braccia... E ci chiediamo, che ne è stato del nostro denaro, versato
da noi jugoslavi per anni (quasi il 2 per cento ogni mese da ogni
stipendio) per far progredire quella regione che oggi è invece in uno
stato straziante... E ci ricordiamo della scritta che appariva
sull'Hotel Grand di Pristina, dove abbiamo pernottato in quei giorni
dell' 88. C'era scritto già allora: "Vezite se,
propadamo!" (Allacciate le cinture, stiamo cadendo!)

(a cura di Jasna Tkalec)


(1) SULLA RICORRENZA DELLA MORTE DI TESLA SI VEDA AD ESEMPIO:

# Nikola Tesla riconcilia serbi e croati

[Drago Hedl] Incontro al vertice tra Serbia e Croazia nel 150°
anniversario della nascita di Nikola Tesla. Il ricordo del grande
scienziato diviene il simbolo di un nuovo corso tra i due paesi,
evidenziato anche dallo straordinario progresso degli scambi
economici...

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5929/1/51/

# Croats, Serbs unite to hail Tesla's genius

http://today.reuters.co.uk/news/newsArticle.aspx?
type=scienceNews&storyID=2006-07-10T134931Z_01_L06748915_RTRIDST_0_SCIEN
CE-LIFE-TESLA-DC.XML

# Electrical pioneer Tesla honoured

http://news.bbc.co.uk/go/pr/fr/-/2/hi/europe/5167054.stm

# REPORT from Niagara Falls and the unveiling of NIKOLA TESLA
Memorial Monument

www.ckcufm.com -- "Monday's Encounter" -- ON AIR on July 17, 2006 at
6:00 P.M. EST
TO HEAR the show after the airing, click to:
http://f2.pg.briefcase.yahoo.com/pertep (go to CKCU and pick the show)

LA CASA VIENNESE SERBOCROATA

Quella che segue è la traduzione di un articolo del linguista e traduttore Sinan Gudzevic. Si intitola "La Casa Viennese Serbocroata" con riferimento alle prime elaborazioni linguistiche comuni degli Slavi del Sud, che, dopo l'impegno di Vuk Karadžić degli anni 1815-1850 circa, culminarono proprio nell'"accordo di Vienna" con l'adozione generalizzata di una lingua comune per tutti i popoli di Croazia, Bosnia, Serbia, Montenegro. Vescovi, scrittori, professori di tutte le nazionalità contribuirono attivamente a questa impresa centrale nel progresso civile e culturale dell'area.

Certi "linguisti" nazionalisti, ed i loro mentori e colleghi accademici occidentali, vorrebbero oggi invertire quegli esiti, e cambiare davvero tutte le parole degli Slavi del Sud affinchè non parlino più la stessa lingua! Ma neanche mille anni basterebbero per questo!

I nazionalisti non sono capaci di mettersi in testa che è più facile uccidere uno Stato che una lingua. Non è neanche possibile dimostrare loro che è più facile creare un nuovo Stato piuttosto che una nuova lingua.



La Casa Viennese Serbocroata 

di Sinan Gudžević

Aim, Zagabria, 29.12.2000. 


(traduzione senza fini di lucro: Dragomir Kovacevic)

Questo articolo condivide il difetto di tutti quelli che, occupandosi degli inizi di qualcosa, non riescono a raccontare... dall'inizio. Si, perché l'inizio è sconosciuto, non si sa quando "l'inizio" ebbe il proprio "inizio". Siccome tutto iniziò in tempi remoti, forse nel dodicesimo secolo, quando probabilmente un Croato incontrò un Serbo per la prima volta [In effetti Serbi e Croati sono lo stesso popolo, diviso in due dallo scisma avvenuto nella chiesa cristiana proprio nel XII secolo, ndt]. Perciò questo articolo inizierà con un aneddoto, da metà. Anzi non con uno, ma con due aneddoti. Il primo è diffuso nella forma di barzelletta, mentre il secondo è qualcosa di più (sebbene una buona barzelletta non sia cosa futile!), perché riguarda le avventure celebri dell'antichità, e noi ormai sappiamo come l'invecchiamento sia precondizione per la bontà. 

Il primo aneddoto, dunque, a seconda della regione dove viene narrato ha per soggetto Luigi Quattordicesimo, Luigi Quindicesimo, oppure Bismarck, ma per me la versione montenegrina è la più convincente di tutte, perché si narra che le sue origini sarebbero da far risalire alla corte del Re Nikola di Montenegro verso la fine del secolo scorso. Un mattino, dunque, Re Nikola decise di verificare in che misura le sue guardie del corpo fossero adulatrici o ipocrite. Schierandoli in fila su di un prato, vicino alla sua reggia, il Re prese la pistola e sparò in alto, in direzione di un'aquila, che in quei tempi era un uccello molto presente in Montenegro. La pallottola non colpì l'aquila in volo, eppure alla domanda "L'ho colpita o no, mie guardie?", le guardie risposero all'unisono "L'ha colpita, padrone!", tutte tranne una, che disse: "Ehh, padrone, non si è mai vista un'aquila simile: morta, eppur vola ancora!" 

Il secondo aneddoto è più noto: quel mostro di Gorgone fermò in mare aperto la barca del vecchio marinaio greco. Alla domanda se il Re Alessandro fosse ancora vivo, il marinaio diede una risposta rimasta celebre: "E' vivo, ed è ancora re!" 
La motivazione di questo che vi ho appena raccontato segue due punti - il primo: è morto eppure vola; ed il secondo: è vivo, ed è ancora re. In mezzo a questi due punti oggi si colloca quel mostro linguistico (alcuni lo definiscono "drago", "spettro", un tale ha detto: "mostro centauro") nato al finire del diciannovesimo secolo sotto il nome di Lingua Serbocroata. Tre giorni prima della conclusione del secondo millennio, cercandole col lumicino, in tutto il mondo non si riuscirebbe a trovare più di un migliaio di persone non disposte a dire che tale creatura linguistica sarebbe morta. Quei mille (io personalmente ne conosco ottantatre) direbbero che questa creatura è ancora in vita. Alcuni di loro direbbero che è ancora re; e conosco perfino uno di loro che direbbe che questa creatura porta le ali, eccome!

Sarà ormai un decennio che svariati despoti sparano incessantemente contro questa lingua. E sono convinti d'averla uccisa. Si pone la domanda se questa lingua "scomparsa" sia effettivamente e letteralmente ed irrevocabilmente morta, oppure, come il Re Alessandro - spero il lettore non trovi il paragone troppo esagerato - se non sia ancora viva, e se non sia ancora re! L'intenzione di questo articolo non è quella di cercare la risposta per questa domanda. I nazionalisti non sono capaci di mettersi in testa che è più facile uccidere uno Stato che una lingua. Non è neanche possibile dimostrare loro che è più facile creare un nuovo Stato piuttosto che una nuova lingua. Tra l'altro, i nazionalisti sono bugiardi. Quando si accorgono che la realtà smaschera le loro bugie, essi creano nuove realtà più congrue alle loro bugie. Questo articolo non ha per scopo quello di metterli sulla strada giusta: tanto, loro, quando io per esempio dico "no", dicono "si", e quando io dico "si", loro dicono "no". Questo articolo ha per scopo quello di ricordarci di certe meravigliose persone jugoslave che edificarono le fondamenta della lingua comune di Serbi, Croati, Bosgnazzi e Montenegrini, fondamenta che non sono abbattibili facilmente. Non è facile determinare la data di inizio della costruzione di queste fondamenta. Però, una data è indiscutibile: 28 di marzo del 1850. A Vienna in quella data, molto probabilmente nell'appartamento di Vuk Karadžić, oppure nella celebre taverna di Gerlovic in Baumarkt, otto Jugoslavi (essi stessi si diedero tale nome) si riunirono e firmarono un manifesto con il quale invitavano gli Slavi del Sud ad accettare il cosiddetto dialetto meridionale come loro lingua letteraria. Questo dialetto meridionale è la variante ijekava del novoštokavo. In base a come lo descrissero i linguisti, il novoštokavo è quel dialetto diffuso in mezzo al territorio idiomatico tra i fiumi Sutla e Timok, tra il Mare Adriatico e Timisoara, tra Horgos e la montagna Šara. 

Questo dialetto comprende il maggior numero di fruitori (al presente sono più di diciotto milioni) in grado di capirsi tutti tra di loro. Questo dialetto, dunque, fu standardizzato e considerato come norma per la lingua letteraria di Serbi, Croati, Bosgnazzi e Montenegrini. Tale processo durò fino agli anni Novanta del secolo scorso ed ebbe il carattere di una vera battaglia e di una vera guerra. Negli anni '90 del XIX secolo, lo spazio linguistico serbocroato fu diviso politicamente tra due imperi e due Stati indipendenti. Questa lingua standardizzata, normata, comprensibile per tutti, questa lingua policentrica e letteraria, non ebbe mai un suo nome preciso. I Serbi lo chiamarono il "serbo", i Croati "croato", i Bosgnazzi "bosniaco", i Montenegrini "montenegrino", gli Jugoslavi "jugoslaveno", "jugoslavo", "nostrano", gli Illiri "illirico", e la popolazione dei musulmani jugoslavi presenti qua e la arrivarono a chiamarlo il "turco"! Il nome "serbocroato", secondo tutte le indicazioni, fu usato per la prima volta da Jakob Grimm nella prefazione per l'edizione tedesca della "Grammatica della lingua serba " del 1824 di Vuk Karadžić. Prima della creazione della Jugoslavia, questo nome lo usarono i grammatici Pero Budmani nel 1867 e, in italiano, Giovanni Androvich nel 1908, così come il celebre slavista August Leskien, autore della "Grammatik der serbo-kroatischen Sprache", Heidelberg, 1914. 

Torniamo al tema del gruppo degli otto viennesi. Cinque di loro erano croati. Dimitrija Demeter, Ivan Kukuljevic Sakcinski, Ivan Mažuranić, Vinko Pacel e Stjepan Pejaković. Due di loro erano serbi: Ðuro Daničić e Vuk Stefanović Karadžić. Uno era sloveno: Fran Miklošić. L'accordo letterario di Vienna, come questo "manifesto ai popoli jugoslavi" fu denominato in seguito, nacque nella forma di un documento a margine dei lavori sulla terminologia politica e giuridica per i popoli slavi dell'Impero Austriaco. Il lavoro della creazione di una terminologia fu finanziato dal ministero della Monarchia, ed il risultato doveva facilitare la comunicazione negli affari legali nel sud slavo dell'Impero. L'iniziatore del lavoro sulla terminologia a tutti gli effetti fu Miklošić, bibliotecario e deputato nel Reichstag dell'Impero. In base alla poca documentazione disponibile sull'Accordo letterario, si può dedurre che Miklošić fu l'autore dell'idea di un incontro concernente l'accordo per la lingua letteraria. Quello che a prima vista sembra strano, dimostra invece una sensibilità linguistica perfetta ed il notevole livello di preparazione dei firmatari. Quegli otto, al momento della firma dell'Accordo, erano tutti cittadini della Monarchia d'Austria, essendo nati sul territorio della monarchia, tutti tranne Karadžić, mentre come base della lingua letteraria suggerirono un dialetto che veniva prevalentemente parlato al di fuori del territorio della monarchia! Quando si ragiona su questa decisione, il lavoro pluriennale e l'impegno di Vuk Karadžić per l'introduzione dell'idioma meridionale come base della lingua letteraria non possono essere trascurati. Quando si legge, oggi, questo Accordo, esso per una metà sembra fallito, ma per la seconda metà è eccellente. I firmatari partirono da un presupposto che è distante, se non proprio inaccettabile, per i nazionalisti odierni e perfino per quelle persone lontane da qualsiasi nazionalismo: "i sottoscritti, considerato che un unico popolo dovrebbe possedere una letteratura unica, e biasimando la situazione odierna per cui la sfera delle Lettere è lacerata non soltanto in merito all'alfabeto, ma anche nella grammatica, si sono radunati in questi giorni per discutere su come accordarsi ed unirsi nel modo migliore sul tema della letteratura". Segue il testo dell'Accordo, diviso in cinque punti. I primi due punti iniziano con "Abbiamo riconosciuto unanimemente", il terzo punto inizia con "Abbiamo considerato opportuno e necessario", il quarto punto al suo inizio riporta "Abbiamo riconosciuto tutti", ed il quinto "Abbiamo accettato unanimemente". Per il tema che ci interessa, in questo momento è importante il secondo punto. Esso riporta le ragioni per cui quegli otto uomini suggerirono "che sarebbe più corretto ed è la migliore soluzione accettare l'idioma meridionale come lingua letteraria, ed in particolare, 
a) poiché la maggior parte della popolazione parla in questo modo, 
b) poiché sarebbe il più vicino all'antica lingua slava e perciò alle altre lingue slave, 
c) poiché tutta la poesia popolare è cantata in tale dialetto, 
d) poiché l'antica letteratura della Repubblica di Dubrovnik è scritta con tale idioma, 
e) poiché ormai la maggioranza dei letterati, di confessione orientale ed occidentale, scrivono in tale maniera (anche se non tutti stanno attenti alle regole)." 

L'organizzazione dell'incontro per la realizzazione dell'Accordo probabilmente fu opera di Miklošić. Il contenuto dell'Accordo, il suo secondo punto in particolare, rivela invece la mano del veterano Vuk Karadžić. Il celebre filologo Vatroslav Jagić, scrivendo nel 1864 sul tema della grammatica, affermò che gli accordi viennesi furono realizzati dai "figli migliori del nostro popolo, di cui la patria ancora oggi è fiera". In una annotazione, in questa sezione del suo scritto, aggiunge: "Mentre scriviamo, giunge la triste notizia che morte sgradita ha portato via il nostro anziano e venerando Vuk Karadžić. Ogni letterato si ricorderà, in occasione di una sua prossima opera, di tessergli una corona per i suoi attualissimi meriti". 

Oggigiorno, il secondo punto dell'Accordo si potrebbe definire integralmente veritiero, ed ancor più di centocinquanta anni fa. Invece, la frase introduttiva sarebbe da bocciare completamente. In questo consiste la forza e la saldezza della nostra casa linguistica viennese: fragile politicamente ma solida dal punto di vista linguistico. Il novoštokavo, normato e standardizzato, al presente è ancor più armonizzato; Serbi, Croati, Bosgnazzi e Montenegrini scoppierebbero di rabbia oggi per il fatto di capire tutti la stessa lingua. Per impedire che non sia così, essi inventano delle nuove realtà. Un esempio molto recente: Ladan, la "clava linguistica" croata, pochi giorni fa, mentre presentava uno dei suoi raffazzonati saggi linguistici a Rijeka/Fiume, ha dichiarato di essere cresciuto nell'ambiente multilinguistico della Bosnia! Non succede mai che un figlio di Fiume in tali occasioni non ponga la domanda: come mai la Bosnia sarebbe un ambiente multilinguistico? In verità, la Bosnia è l'ambiente linguistico štokavo più compatto di tutti! 

Difatti in Bosnia l'Accordo viennese è stato accettato ed applicato nel modo migliore, e più completamente che altrove. Le differenze linguistiche in Bosnia sono tali che la loro ricerca ed individuazione è molto difficile. Questo non è il caso di altre regioni della variante štokava. I leader nazionalistici ne sono bene al corrente, e perciò hanno avviato una guerra linguistica. O, per meglio dire, una guerra lessicale, una guerra dove la parola è il mezzo che combatte contro altre parole. Si è arrivati al punto che l'area linguistica serbocroata assomiglia all'allegoria rinascimentale "La guerra grammaticale". Il rappresentante migliore di questo genere letterario è Andrea Guarna da Napoli. Nel suo libro "Bellum grammaticale" egli descrisse un paese felice, chiamato Grammatica, in cui regnavano due re, in concordia ed a beneficio di tutti i cittadini: il re dei Verbi, ed il re dei Sostantivi. Nel corso di un banchetto, dopo avere tanto mangiato e bevuto, i due cominciarono a litigare su quali parole sarebbero state le più antiche e più importanti. Non arrivando ad un compromesso, decisero di risolvere la lite con la guerra. La mattina seguente partirono, l'uno contro l'altro, ciascuno con il proprio esercito. Sotto la bandiera del Re dei Verbi si schierarono tutti gli Avverbi e tutti i Verbi che ci sono: i verbi d'azione, quelli di ripetizione, gli incompleti, gli irregolari, e così via; mentre con il re dei Sostantivi si unirono i Sostantivi, i Pronomi, e tutte le Preposizioni. Il Participio, per sua natura, non poté decidere con quale re schierarsi, e cominciò ad inviare truppe ad ambedue le parti. Il campo di battaglia fu organizzato nell'area delle Congiunzioni. Un nubifragio fece interrompere la feroce battaglia. La battaglia rimase senza vincitore, e le perdite delle parti in guerra furono tremende: un verbo perse il figlio, un altro rimase senza tutti i suoi alleati, il terzo perse il futuro e fu costretto a comprarselo al mercato; molti dei Sostantivi cambiarono genere, alcuni furono castrati e passarono al neutro... ed in tutto ciò perirono tanti Singolari e Plurali. 

Se tutto questo potè accadere nel Rinascimento, allora perché mai, ad un mostro di nome Lingua Serbocroata, dopo centocinquant'anni non potrebbero crescere le ali, per alzarsi al di sopra della sua provincia Grammatica, nell'attesa che qualche vento schiarisca la nebbia sopra alle parole litigiose e mutilate, per curare le loro ferite e ricomporle, seppellendo le parole morte?

Sinan Gudžević



(italiano / english)

NO WAR Assembly of July 15, 2006


=== ITALIANO ===


Assemblea NO WAR del 15 luglio 2006 

Straordinario il successo dell'assemblea autoconvocata dei movimenti contro la guerra "senza se e senza ma", per il ritiro delle truppe dall'Iraq e dall'Afghanistan, che si è svolta al centro congressi Frentani di Roma il 15/7/2006. Hanno preso parte all'assemblea oltre 1000 persone in un clima di caloroso entusiasmo. Applauditissimi, tra gli altri, gli interventi di Claudio Grassi (senatore, area PRC Essere Comunisti), Cannavò (deputato, area PRC Sinistra Critica), Cremaschi (noto sindacalista), Bulgarelli (Verdi) e di Gino Strada (Emergency), in collegamento telefonico da Kabul. Oltre a quelli di Beppe Grillo (attore) e padre Alex Zanotelli, è giunto a sorpresa l'intervento dal palco di Dario Fo (premio Nobel per la Letteratura) che ha catalizzato l'entusiasmo generale dell'assemblea, conclusasi con l'approvazione di un documento finale che riportiamo di seguito. A giudizio di tutti i presenti l'assemblea ha rilanciato in grande stile il movimento contro la guerra. Ne sentivamo davvero il bisogno! Mentre le pressioni sui senatori continuano a crescere, il dibattito parlamentare è iniziato lunedi 17 luglio.


Documento conclusivo dell’assemblea autoconvocata di Roma del 15 luglio

“NO alla guerra senza se e senza ma. Via dall’Iraq, via dall’Afghanistan”

Ci siamo riuniti oggi in tanti, pacifisti e pacifiste, esponenti dei movimenti e delle associazioni contro la guerra, sindacalisti, parlamentari, uomini e donne di partito, per dire una cosa semplice e netta: no alla guerra “senza se e senza ma”.
Il nostro grido giunge mentre in Medio Oriente una nuova, vecchia, guerra riemerge violentemente con l’uso indiscriminato delle bombe sui civili, con il terrore di Stato, con la chiusura unilaterale del dialogo e della trattativa. Una guerra che si aggiunge alle tante contro cui ci battiamo da sempre, dall’Iraq all’Afghanistan. La guerra, sempre più, si presenta come strumento privilegiato degli Stati più forti e dei potenti della Terra, a partire dalle grandi multinazionali, per costruire un “ordine” internazionale fondato sul dominio e l’oppressione che a loro volta generano morte, miserie e sempre più marcate povertà. La guerra si erge, quindi, a sistema politico globale sia nella sua versione più spregiudicata, l’unilateralismo statunitense, sia nella versione temperata del multilateralismo a copertura Onu e a guida Nato.
È contro questa guerra che noi intendiamo batterci senza mediazioni perché sulla guerra non si può mediare né, tanto meno, ridurre il danno. Se la guerra è un sistema di dominio e di oppressione – che non serve a ridurre o a depotenziare i fenomeni terroristici come la storia degli ultimi cinque anni dimostra – il NO alla guerra è fondativo di un’identità politica collettiva che ha preso le mosse nelle manifestazioni contro la guerra del Kosovo e poi contro la “guerra infinita e preventiva” in Afghanistan e in Iraq.
C’è un filo che lega queste mobilitazioni, un filo che non intendiamo spezzare.
Per questo vogliamo proporre a tutto il movimento un nuovo corso, un rilancio della nostra iniziativa per non rassegnarci né smobilitare, per mantenere una coerenza di fondo anche nelle scelte politiche contingenti siano esse di natura istituzionale o meno. Un nuovo corso che sia basato su alcuni punti essenziali:
1) Solidarietà al popolo palestinese per la costituzione di uno Stato laico e democratico sui Territori occupati nel 1967 e con Gerusalemme capitale. Questo obiettivo per essere realizzato ha bisogno di alcune condizioni sostanziali: l’immediato cessate il fuoco, il ritiro di Israele dai Territori occupati, lo smantellamento del Muro, lo sblocco degli aiuti europei al legittimo governo palestinese. Il governo italiano deve impegnarsi su questi punti a cominciare dalla revisione dell’accordo di cooperazione militare con Israele e dalla richiesta di un intervento di interposizione dell’Onu nei Territori occupati.
2) Via dall’Iraq e via dall’Afghanistan. L’occupazione militare di questi Paesi non costituisce la soluzione di un problema ma rappresenta il problema. L’Italia deve farsi portavoce di un’iniziativa di pacificazione e di impegno in direzione della cooperazione e della solidarietà civile. Questo significa contrastare il ruolo di gendarme mondiale della Nato a cominciare dalla revisione degli accordi di Washington del 1999.
3) Via le basi militari e via il nucleare dal suolo italiano;
4) Riduzione delle spese militari con la completa revisione del nuovo modello di Difesa che prevede l’incremento di missioni militari all’estero, per una politica di disarmo e per la riconversione dell’industria bellica senza penalizzazioni per i lavoratori e le lavoratrici.

Questo appello deve vivere nelle iniziative che sapremo realizzare sia a livello parlamentare sia, soprattutto, a livello sociale, a cominciare dalle mobilitazioni delle prossime settimane. Il movimento per la pace rappresenta ancora oggi la maggioranza civile di questo paese. È nostro dovere dargli voce, offrirgli gli strumenti per esprimersi, costruire un nuovo slancio unitario e radicale perché la guerra sia bandita dalla Storia.


ALTRI REPORTAGE, FOTO, ED ALCUNI DEGLI INTERVENTI IN ASSEMBLEA, AL SITO:

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=53&did=395


Le adesioni internazionali 

Con l'assemblea di Roma e, più in generale, con la battaglia che stanno conducendo gli 8 senatori "no war" contro il rifinanziamento della missione militare italiana in Afghanistan, hanno solidarizzato singoli, associazioni e formazioni politiche di ogni parte del globo. 

Tra gli  intellettuali impegnati contro la guerra si è espresso per primo Noam Chomsky, che apprezzando la "coerenza" della presa di posizione degli 8 senatori, ha voluto ricordare l'arbitrarietà con cui la NATO  dopo la fine della Guerra Fredda si è auto-affidata compiti che peraltro contravvengono ai patti stipulati al momento della caduta del Muro di Berlino. Una lettera di Walden Bello, premio Nobel alternativo 2003, indirizzata "ai nostri 8 coraggiosi senatori", scende in dettaglio sul ruolo delle forze di occupazione straniere in Afghanistan, ruolo che viene duramente stigmatizzato. Anche secondo l'economista e studioso della globalizzazione Samir Amin, "è il tempo delle scelte nette e della coerenza". I noti intellettuali francesi Georges Labica e Patrick Theuret hanno espresso anche loro solidarietà e sostegno.

Alcune organizzazioni di spicco nell'ambito del movimento internazionale per la pace, oltre ad esprimere il loro sostegno a questa lotta in corso in Italia hanno contribuito alla diffusione delle notizie su  di essa nei loro rispettivi contesti.  L'International Action Center, organizzazione trainante del movimento per la pace negli USA presieduta dall'ex ministro della giustizia  Ramsey Clark, ritiene che "c'è una alleanza tra gli USA e le potenze coloniali dell'Ottocento che attualmente costituiscono la NATO, la quale cerca di imporre il dominio straniero sul popolo dell'Afghanistan", e saluta il grande movimento di massa che in Italia fa sentire la sua voce contro la guerra in ogni occasione importante. Il Consiglio Mondiale per la Pace, storica struttura cui afferiscono centinaia  di organizzazioni di moltissimi paesi,  ha aderito sia nella sua veste internazionale,  ricordando come "il diritto internazionale e la Carta dell'ONU sono stati violati più di una volta  (...) dal potente sceriffo mondiale  e dai suoi alleati", sia attraverso le sue diramazioni locali, dal Bangladesh (Peace Council "Mukti  Bhaban"), al Brasile (CEBRAPAZ), al Canada. Il Congresso per la Pace del Canada  chiede che anche tutte le truppe canadesi siano ritirate dall'Afghanistan, e annuncia che "i canadesi manifesteranno in tutto il paese il 28 ottobre 2006 con lo slogan: Fuori dall'Afghanistan, fuori da Haiti, riportiamo le truppe a casa adesso!". 

Il Centro Anti-NATO dei Balcani (BAN-c), che rappresenta movimenti  attivi in Albania, Bulgaria, Grecia, Romania, Serbia e Turchia, ha inviato un messaggio di sostegno, così come una sua filiazione rumena, i Sibienii Pacifisti - pacifisti di Sibiu, militanti antimilitaristi della città capoluogo della omonima  provincia della Romania. Quest'ultima associazione, oggi attiva soprattutto in  battaglie anti-imperialiste quale quella contro l'allargamento ad est  della NATO (la Romania è in procinto di entrarvi), è fortemente radicata tra i lavoratori e gli operai di questo importante centro tessile e minerario. Ancora dalla Romania si sono mobilitati l'associazione Critica Sociala e numerosi esponenti del Partito dell'Alleanza Socialista (affiliato alla Sinistra Europea). Tra i politici ricordiamo anche la significativa adesione di 3 europarlamentari greci. Alcuni partiti hanno fatto pervenire la loro solidarietà agli 8 senatori italiani; tra questi, forze importanti quali l'AKEL di Cipro, il Partito Comunista Indiano (Marxista), che è stato animatore del recente Forum Sociale di Mumbai,  il partito comunista di Ungheria. E poi le gioventù comuniste di Grecia (KNE), Repubblica Ceca (KSM), Austria (KJOe). Sempre dall'Austria è pervenuta l'adesione della Sinistra del Sindacato dei lavoratori dipendenti del settore privato, della importante Federazione della Stiria del locale partito comunista, e di Iniziativa Comunista dell'Austria.

Sono pervenute infine svariate adesioni da organizzazioni di movimento, ad esempio dalla Grecia (Campagna Genova 2001, coalizione Stop the war, ...) e dal Belgio (coalizione StopUSA, Movimento cristiano per la pace, ...).

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Assemblea NO WAR del 15 luglio - Intervento di Claudio Grassi


L'aggressione del governo di Israele al Libano e al popolo palestinese è una vergogna mondiale. Ed è una vergogna il fatto che tutti quelli che ci criticano poiché saremmo filopalestinesi, non dicano una parola sul veto che gli Usa hanno messo ancora una volta all'Onu per evitare una – seppur timidissima – condanna ad Israele. Esprimiamo vicinanza alla lotta del popolo palestinese, continueremo a batterci assieme a loro perchè abbiano una terra in cui vivere. Chiediamo che venga abbattuto il muro della vergogna. Chiediamo che il Governo italiano interrompa l'accordo militare con il Governo israeliano.

Si intima a noi, parlamentari che abbiamo espresso contrarietà al disegno di legge sulle missioni militari, di rispettare il programma dell'Unione. Noi rispondiamo che è il Governo che non sta rispettando il suo programma. Per due motivi:
1) Nel programma c'è scritto che le missioni militari non sarebbero più state votate in blocco come era avvenuto con il Governo Berlusconi. Questa è stata una pressante richiesta della sinistra di alternativa per tutta la passata legislatura. Perchè anche il Governo Prodi ce le fa votare tutte assieme? Perchè abbiamo rinunciato a mettere in pratica una cosa scritta nel programma? Quindi è il Governo e non noi che non rispetta il programma!
2) Nel programma, sull'Afghanistan, non vi è scritto nulla poiché si sapeva che su quel punto non vi era accordo tra le forze dell'Unione. Perchè dovremmo accettare un disegno di legge che ricalca quello del Governo precedente al punto che Fini lo considera praticamente uguale al suo? Si doveva fare una mediazione, ma questo disegno di legge non lo è. Non dimentichiamoci che nel programma c'è il rispetto dell'articolo 11 della Costituzione e la partecipazione alla guerra in Afghanistan è in contrasto con l'articolo 11!

Perchè siamo contrari a questo disegno di legge? Perchè non c'è un elemento di discontinuità con quello varato da Berlusconi. La conferma sta nel fatto che lo schieramento di destra ha deciso di votarlo. La nostra proposta era ed è semplice: anche per l'Afghanistan bisogna predisporre un calendario per il rientro delle truppe. Inseriamo questo nel disegno di legge e, automaticamente, non ci saranno i voti delle destre e l'Unione si ricompatterà. Ma proprio la “strategia d'uscita” è ciò che non si vuole, infatti D'Alema l'ha definita, con il suo solito modo raffinato, una stravaganza. A D'Alema che ci ha definito stravaganti e incoscienti vogliamo rispondere che siamo semplicemente contro la guerra. Siamo contro la guerra sia quando siamo all'opposizione, sia quando siamo al Governo. E non accettiamo lezioni di coscienza da chi ha bombardato la Serbia per oltre due mesi. Caro D'Alema vai a chiedere ai lavoratori della Zastava, che hanno avuto la fabbrica distrutta dalle bombe “umanitarie”, chi è incosciente.

Cari compagni e compagne,
chi come me in Rifondazione Comunista ha sempre sostenuto la necessità di una politica di alleanze per battere la destre non può essere accusato di insensibilità su questo. Ma ciò non giustifica il fatto che ad una missione di guerra voti contro se sei all'opposizione e a favore se sei al Governo. Questo è devastante per la nostra credibilità. Se poi il provvedimento lo vota la destra la cosa è ancor più grave.
L'iniziativa di oggi è importante per sottolineare che certe battaglie di principio non cambiano se cambia il Governo. Grazie per l'appoggio e l'aiuto che ci state dando. Il calore di questa sala ci compensa della freddezza che viviamo nelle aule parlamentari e anche dall'amarezza che ci provocano affermazioni pesanti di nostri compagni di partito. Grazie. Stiamo uniti. Ci vediamo tutti il 17 davanti al Parlamento.

15 luglio 2006


=== ENGLISH ===


NO WAR Assembly of July 15, 2006 

A big success: such has been the self-convened assembly of the movements against the war "with no IF and no BUT", for the withdrawal of the troops from Iraq and Afghanistan, which took place at the Frentani Conference Center in Rome, 15/7/2006. Beyond 1000 persons took  part to the meeting in an atmosphere of warm enthusiasm. So much of applause, among the others, for Claudio Grassi (senator of PRC - Party of the Communist Re-foundation, wing "To be Communists"), Cannavò (parliamentarian of PRC, wing "Critical Left"), Cremaschi (well-known trade-unionist), Bulgarelli (The Greens) and Gino Strada (Emergency), the latter linked by telephone live from Kabul. Beyond Beppe Grillo (actor) and father Alex Zanotelli, lots of attention was driven by the participation of Dario Fo (a Literature Nobel Prize) who catalyzed the general enthusiasm of the assembly. The meeting was concluded with the approval of a final document whose text is reproduced in an english translation below. Everyone among the assembly participants would agree that this has been a spectacular way to prompt anew the movement against the war... whose need had been felt so strongly by all of us!
While pressures on the "8 senators" still grow, the debate in Parliament has started on Monday, 17 July. 


Conclusive document of the self-convened assembly of Rome, July 15th 
"NO to the war - with no IF and no BUT. Back from Iraq, back from Afghanistan" 

We gathered today, so many of us - pacifists, exponents of movements and associations against the war, trade-unionists, parliamentarians, party men and women - in order to say just one, simple and clean thing: NO to the war "with no IF and no BUT". 
Our outcry rises while in the Middle East a new-old war is waged, making an indiscriminate use of bombs on civilians, with State terror, with dialogue and negotiations being unilaterally cut off. A war that comes after so many wars, and we have been always standing against each of them, from Iraq to Afghanistan. More and more, war is being used as a primary instrument by the strongest States and the powerful of the Earth, such as the great transnational corporations, in order to build an "international order" based on dominion and oppression, which both on their turn produce death, miseries, deeper and deeper poverty. War itself thus becomes a globalized political system, be it in its most unscrupulous version, i.e. U.S. unilateralism, be it in the more moderated version of multilateralism, under UN cover and NATO guide. 
Against such war we want to fight, with no mediations, because nobody can "mediate", neither "reduce the damage", when dealing with war. If the war is a system of dominion and oppression - that can neither reduce nor weaken any terroristic phenomena, like the history of the past five years is demonstrating -, saying NO to the war is the constitutive act of the collective political identity which was born first in the demonstrations against the Kosovo war, and afterwards against the "infinite and preventive wars" in Afghanistan and Iraq. 
There is a thread linking together all of these mobilizations, a thread that we do not intend to break. 
This is why we want to propose to the whole movement a new course, a reintroduction of our initiative in order not to resign ourselves neither to demobilize, in order to maintain a basic coherence even in the contingent political choices, be they of institutional nature or not. 
A new course which has to be based on some essential points: 

1) Solidarity to the Palestinian people, for the constitution of a secular, democratic State on the Territories which were occupied in 1967, and with Jerusalem as the capital city. For this objective to be realized some substantial conditions are needed: the most urgent one is to cease fire, withdrawal of Israel from the occupied Territories, dismantling the Wall, delivering of the European aids to the legitimate Palestinian government. The Italian government must engage itself on these points, starting from reconsidering the agreement of military cooperation with Israel and from the demand of a UN interposition force to be stationed in the occupied Territories. 

2) Back from Iraq and Afghanistan. The military occupation of these countries does not constitute the solution of a problem but makes the problem instead. Italy should become the mouthpiece of an initiative for pacification and engagement in the direction of cooperation and civil solidarity. This means, opposing to the "world-wide police" role of NATO, starting from the revision of the Washington agreements of 1999. 

3) No military bases, no nuclear installations on the Italian ground; 

4) Reduction of the military expenses and a complete revision of the current "new model of defense" which implies an increment of military missions towards foreign countries; for a disarmament policy and the reconversion of the war industry without detriment for its workers. 

This appeal has to get vitality in the initiatives that we may realize as well at the parliamentarian level as, and above all, at the social level, beginning with the mobilizations of the next few weeks. Today, the peace movement still represents the majority of this country's population. It is our task to give it a voice, to offer to it the necessary instruments in order for it to express itself, to construct a new, unitary and radical rush, so that the war be banned, away from History, forever. 


MORE REPORTS, PHOTOS AND SOME OF THE INTERVENTIONS AT THE ASSEMBLY CAN BE FOUND AT THE WEBSITE:


The international endorsements 

Individuals, associations and political organizations from every part of the globe solidarized with the Rome assembly as well as, more generally, with the battle that the 8 "no war senators" have been waging against the refinancing of the Italian military mission in Afghanistan. 

Among the intellectuals engaged against the war, Noam Chomsky was the first to take position. He appreciated the "coherence" of the 8 senators, and recalled the arbitrariness with which, after the end of the Cold War, NATO took tasks upon itself which do not even respect the agreements stipulated on the eve of the fall of the Berlin Wall. A letter by Walden Bello, alternative Nobel Prize 2003, addressed "to our 8 brave senators", goes into details about the role of the foreign occupation forces in Afghanistan: a role that he vehemently censures. In the opinion of Samir Amin, economist and expert of globalization, "this is the time for the clean choices and for coherence". The outstanding French intellectuals Georges Labica and Patrick Theuret expressed their solidarity and support, too. 

Leading organizations of the international peace movement expressed their support to this ongoing fight in Italy and also contributed to spreading the news in their respective contexts. The International Action Center (IAC), the leading organization of the peace movement in the USA which is chaired by the former attorney general Ramsey Clark, thinks that "there is an alliance of the U.S. and the 19th century colonial powers that currently make up NATO that is attempting to impose foreign rule on the people of Afghanistan". The IAC greets the big mass movement that in Italy rises its voice against the war on every important occasion. The World Peace Council, a historical structure which unites hundreds of organizations of several countries, joined the struggle both in its international capacity, recalling that "the international right and the UN Charta have been violated more than once (...) by the powerful world sheriff and its allies", and through its local representations, from the one in Bangladesh (Peace Council "Mukti Bhaban"), to Brazil (CEBRAPAZ) and Canada. The Canadian Peace Congress demands that also the Canadian troops be withdrawn from Afghanistan, and announces that "the Canadians will be demonstrating across the country on October 28th 2006 on the slogan, Out of Afghanistan, Out of Haiti, Bring the Troops Home Now!". 

The Balkans Anti-NATO Center (Ban-C), representing movements active in Albania, Bulgaria, Greece, Rumania, Serbia and Turkey, sent a message of support, just like its Rumanian branch, the Sibienii Pacifisti - pacifists of Sibiu, militant antimilitarists of the district capital of the Rumanian province with the same name. The latter association is today above all active in anti-imperialist battles like the one against the eastward expansion of NATO (Rumania is going to join NATO); it has strong roots among the workers of this important center of textile and mining industry. Again from Rumania, the association Critica Sociala and numerous exponents of the Party of the Socialist Alliance (associated to the European Left) mobilized in support. Among the politicians, we also recall the relevant adhesion of 3 Greek euro-parliamentarians. Some parties conveyed their solidarity to the 8 Italian senators; among them, important forces such as the AKEL of Cyprus, the Indian Communist Party (Marxist), which animated the recent Mumbai Social Forum, the communist party of Hungary. More support came from the communist youths of Greece (KNE), Czech Republic (KSM), Austria (KJOe). Still from Austria, adhesions came from the Left Block of the private sector employee workers' trade union, from the important Stirian Federation of the Communist Party, as well as from Communist Initiative of Austria. 

Finally, several endorsement messages arrived from movement organizations, for instance from Greece (Campaign Genoa 2001, Stop the war coalition ...) and Belgium (StopUSA coalition, Christian Movement for Peace ...).




Cancellati / Izbrisani


1. Velimir, il "clandestino" cancellato dal computer (La Repubblica)

2. Cancellati in Slovenia: una questione europea (Oss. Balcani)

Appendice: effetti della "cancellazione" sul piano dei diritti

3. Slovenia: il futuro incerto dei cancellati / I cancellati: discriminazione continua (F. Juri / Oss. Balcani)

4. Slovenia: il difficile percorso dei diritti civili dai "cancellati" alla riforma del diritto d´asilo (Equilibri.net)


=== 1 ===

http://www.repubblica.it/2005/b/rubriche/glialtrinoi/velimir-dabeti/velimir-dabeti.html

Velimir, il "clandestino"
cancellato dal computer


Qualche mese fa a Velimir Dabeti, 37 anni, è stato scoperto col permesso di soggiorno scaduto. Come prevede la legge, gli è stato impartito l'ordine di lasciare il paese. Non ha obbedito ed è stato arrestato. Routine giudiziaria dell'Italia della Bossi-Fini. Solo che Velimir non ha avuto difficoltà ad ottenere l'assoluzione. Per un motivo banalissimo: ha dimostrato che, se uscisse dall'Italia, non saprebbe dove andare. E' un fantasma anagrafico. Precisamente, in lingua slovena, un "izbrisano". Un "cancellato".

Assieme ad alcune migliaia di uomini e di donne, è rimasto vittima di un atto di violenza antichissimo ma realizzato con la più moderna delle tecnologie. Una "pulizia etnica" messa in atto attraverso il computer.

Storia complicata nel suo sviluppo, crudelmente semplice nelle conclusioni. Per comprenderla dobbiamo fare un salto indietro di quindici anni, al 25 giugno del 1991. Quel giorno la Slovenia dichiarò la propria indipendenza e divenne uno Stato autonomo. Con tutti i problemi di uno Stato di nuova fondazione: in primo luogo, l'individuazione dei suoi cittadini. Problema particolarmente complesso all'interno della disgregata federazione jugoslava. In Slovenia vivevano da anni migliaia di uomini e donne nati in altri Stati della federazione. Così, lo stesso giorno della proclamazione dell'indipendenza, fu promulgata la "legge sulla cittadinanza". Stabiliva che i cittadini delle altre repubbliche che risiedevano stabilmente in Slovenia - entro sei mesi - dovevano presentare la domanda per il conseguimento della naturalizzazione.

"Entro sei mesi". In queste tre parole c'è la causa fondamentale della tragedia di Velimir e degli altri "cancellati". Un numero imprecisato di persone (quasi ventimila secondo fonti governative, ma sessantamila secondo altre stime) che non presentarono la domanda per tempo. Si trattava di persone umili, poco informate, o di lavoratori emigrati all'estero.

Ma il caso di Velimir ha una particolarità in più. I genitori e i fratelli sono montenegrini mentre lui è nato in Slovenia. In pratica è diventato un "izbrisano" per un fenomeno di "attrazione anagrafica" della sua famiglia. Col risultato surreale che, mentre i genitori e i fratelli hanno l'opportunità di prendere la cittadinanza montenegrina, lui non può. E' montenegrino per gli sloveni, ed è sloveno per i montenegrini. Con l'aggravante d'essere emigrato in Italia.

E' venuto da noi nel 1990. Fino al 1996 ha lavorato nella provincia di Vicenza. Poi si è trasferito a Verona dove è rimasto fino al 2002 quando il suo unico documento - un passaporto della scomparsa federazione jugoslava - è scaduto definitivamente. Velimir era un "izbrisano" da anni ma, finché aveva avuto il passaporto, era riuscito a condurre un'esistenza normale. Dal 2002 è un clandestino. Vaga per l'Italia svolgendo saltuari lavori in nero. In questi quattro anni è stato prima a Trento, poi a Bolzano, quindi a Rimini. La sua ultima residenza è nei pressi di Senigallia.

Al contrario di altri "izbrisani" non ha potuto mettersi in regola attraverso le parziali modifiche alla legge sulla cittadinanza che la corte costituzionale slovena ha faticosamente imposto al governo. Attualmente, la sua unica opportunità per uscire dalla condizione di fantasma è che l'Italia lo riconosca come apolide. Infatti, ha presentato la domanda, ma dovrà attendere almeno un paio d'anni. Nell'attesa Velimir Dabeti non esisterà. Non potrà fare nulla. Il suo caso, assieme a quelli di altri otto "cancellati", è ora all'esame della Corte europea per i diritti dell'uomo.

(glialtrinoi@repubblica. it)

(16 luglio 2006)


=== 2 ===

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4961/1/51/

Cancellati in Slovenia: una questione europea

28.11.2005 - Un'analisi puntuale sulla situazione dei ‘cancellati' in Slovenia. Dopo l'indipendenza della Slovenia molti sloveni persero la cittadinanza. La loro colpa? Non essere etnicamente omogenei alla maggioranza nel Paese. Riceviamo e volentieri pubblichiamo

A cura di: Civilna iniciativa izbrisanih aktivistov – Koper, Ptuj, Ljubljana 
Karaula MiR – MigrazioniResistenze – Friuli, Roma, Slovenija 
Društvo Dostje! - Ljubljana 


La Jugoslavia socialista: tre livelli di "cittadinanza" 

Nella Repubblica Federativa Socialista Jugoslava, lo status di cittadino si articolava su tre livelli. 

La cittadinanza Jugoslava era garantita a chiunque nascesse da genitori Jugoslavi. Grazie a essa si accedeva, in linea di principio, a tutti i diritti civili e politici. 

Vi era poi un'ulteriore istituzione, la "cittadinanza di una repubblica", in base alla quale le persone venivano formalmente iscritte nel Registro dei cittadini di una delle sei repubbliche (Slovenia, Serbia, Montenegro, Croazia, Macedonia, Bosnia-Herzegovina) che hanno costituito, fino al 1991, lo stato federativo Jugoslavo (nel biennio 1991 - 1992 la maggioranza di queste repubbliche sono diventate stati indipendenti). 

"L'istituzione legale chiamata "cittadinanza di una repubblica" era sconosciuta alla gente comune. Mateuž Krivic, che è stato uno dei giudici della Corte Costituzionale slovena, ha più volte dichiarato ufficialmente che nella Repubblica Federativa Jugoslava tale istituzione era del tutto ignota perfino a numerosi avvocati". [Zorn, p. 93] 

Moltissime persone erano completamente all'oscuro di quale fosse la loro effettiva classificazione burocratica in quanto "cittadini di una repubblica". Tale classificazione era invece registrata negli archivi di polizia, dove veniva integrata da un'ulteriore informazione relativa alla cosiddetta "identità etnica". 

Si incontrava infine un terzo livello, determinante sotto il profilo dei diritti civili, ma abbastanza sorprendente per chi non sia familiare con il contesto federativo, multi-nazionale e multi-culturale della Repubblica Jugoslava: la cosiddetta "residenza permanente" (stalno prebivališče). 

La "residenza permanente" era la chiave che consentiva di fruire della quasi totalità dei diritti civili: casa, lavoro, istruzione, assistenza sanitaria… Solo attraverso di essa i cittadini jugoslavi diventavano "cittadini" nel pieno senso del termine, secondo un'accezione di "cittadinanza" funzionale e relazionale e non "etnica", che si riferisce alla possibilità di vedersi effettivamente garantire i diritti civili e il rispetto dei diritti umani. 

In base alla "residenza permanente", e non all'iscrizione nel Registro dei cittadini di una Repubblica, quanti erano in possesso della cittadinanza jugoslava potevano esercitare il diritto di voto nei referendum e alle elezioni amministrative. 

La "residenza permanente" poteva essere concessa anche agli stranieri, estendendo loro i diritti civili (escluso il diritto di voto) dei cittadini della Repubblica Federativa Jugoslava. 


Tra due fuochi 

Il 25 giugno 1991 la Slovenia proclama la propria indipendenza dalla Repubblica Federativa Socialista Jugoslava. In quel momento, sul suo territorio risiedono stabilmente oltre 200.000 persone (il 10% della popolazione) che non risultano iscritte nel Registro dei cittadini della Repubblica Slovena. 

Fin dal 6 dicembre 1990 (quando fu indetto il plebiscito destinato a sancire, il 23 dicembre dello stesso anno, l'indipendenza del paese) i gruppi parlamentari avevano formalizzato un accordo che prometteva ai membri delle minoranze italiana e ungherese e ai cittadini delle altre repubbliche jugoslave che l'esito del plebiscito non avrebbe modificato il loro "status" politico e i loro diritti civili, invitandoli a partecipare alla votazione. Nelle "Linee guida per la nuova Costituzione slovena", varate dal parlamento il 25 giugno 1991, si legge: 

"La Repubblica di Slovenia garantisce la protezione dei diritti umani e delle libertà fondamentali di tutte le persone che si trovano sul suo territorio, indipendentemente dalla loro origine nazionale, senza alcun tipo di discriminazione…" (art. 3) 

Immediatamente prima della proclamazione dell'indipendenza, inoltre, il governo aveva promesso che avrebbe reso possibile ai circa 200.000 "immigrati interni" provenienti dalle altre repubbliche l'acquisizione della cittadinanza slovena. Questo principio fu formalizzato nella Legge sulla cittadinanza (25 giugno 1991) e nella stessa Costituzione Slovena. 

Le condizioni per acquisire la nazionalità slovena erano tre: 
1) essere stati in possesso della "residenza permanente" in Slovenia alla data del 23 dicembre 1990 (quando ebbe luogo il referendum sull'indipendenza) 
2) tale residenza doveva essere effettiva 
3) presentare formale richiesta di acquisire la nazionalità slovena, entro il termine di sei mesi. 

Secondo i dati del Ministero dell'Interno, a circa 170.000 persone, provenienti dalle altre repubbliche, sarebbe stata conferita la nazionalità slovena sulla base delle condizioni sopra elencate. 

Rimanevano oltre 30.000 persone. Di queste 
- circa 11.000 avrebbero lasciato la Slovenia 
- 18.305 non avrebbero presentato la richiesta di acquisire la nazionalità slovena entro i termini fissati (che, come si è detto, erano di soli sei mesi), oppure avrebbero presentato domanda in tempo utile, ma essa sarebbe stata respinta (le istanze rigettate, secondo il ministero, sarebbero state 2.400). Tutti costoro, in ogni caso, erano in possesso della cittadinanza jugoslava e della "residenza permanente" in Slovenia. 

Dal balletto delle cifre rese pubbliche, in modo tardivo e reticente (nel 2002), dal Ministero degli interni, non si riesce a evincere la consistenza di un terzo gruppo di persone: coloro ai quali fu concessa in un primo momento, e in seguito inspiegabilmente revocata, la cittadinanza slovena. Va specificato inoltre che la cifra di 18.305 persone si basa su dati non verificati, comunicati dal Ministero dell'Interno molti anni dopo i fatti, sotto la pressione dell'opinione pubblica. Vi è il fondato sospetto che il numero dei soggetti che si sono trovati in questa condizione sia molto più alto. A Helsinki Monitor, un'organizzazione non-governativa molto attiva in Slovenia, lo stesso ministero aveva infatti riferito una cifra sensibilmente maggiore: 62.816 persone (Rapporto annuale, International Helsinki Federation for Human Rights, 2001 - basato su dati comunicati dal Ministero dell'Interno nel dicembre 2000). Le informazioni relative a questo aspetto sono, a tutt'oggi, secretate e non consultabili. 

In ogni caso, il dato "ufficiale" di "sole" 18.305 persone corrisponde a circa l'1% della popolazione slovena. 

Le ragioni per le quali un numero così elevato di persone non ha richiesto la nazionalità slovena sono diverse. Molti erano impossibilitati a reperire i documenti necessari, dal momento che nelle regioni d'origine era esplosa la guerra. Altri non furono informati per tempo, essendo malati o assenti dalla Slovenia. Diverse persone, sconcertate dalla rapidità con cui precipitava il processo di disintegrazione dello stato federale, non se la sentirono di rinunciare allo status di "cittadino della Repubblica Federativa Socialista Jugoslava" per adottare quello di "cittadino sloveno" - punto e basta. Alcuni confondevano il concetto di "cittadinanza" con la cosiddetta "appartenenza etnica" e si sentivano rom, o ungheresi, o "bosniaci", piuttosto che "sloveni". Altri infine, nati e cresciuti in Slovenia, erano certi che la nazionalità slovena sarebbe stata loro accordata automaticamente. 

Nessuna di queste persone, in ogni caso, poteva sospettare che la mancata acquisizione della nazionalità della neonata Repubblica Slovena avrebbe comportato la perdita di tutti i diritti civili e la sostanziale compromissione dei diritti umani. 


La cancellazione (Izbris) 

Il 26 febbraio 1992 con un'operazione segreta il Ministero degli interni della neonata Repubblica di Slovenia (retta da un governo di centro-destra) rimuove dai registri di residenza permanente tutti i cittadini jugoslavi (18.305 persone, secondo i dati diffusi diversi anni dopo dallo stesso Ministero degli Interni) che non hanno richiesto, o non hanno ottenuto la nazionalità slovena, privandoli con questo atto di ogni diritto civile e facendo venir meno le basi legali e materiali della loro esistenza. 

Nella Slovenia di oggi, infatti, come nel precedente stato federale jugoslavo, i diritti sociali (diritto al lavoro, alla scolarizzazione, alla casa, alla pensione, all'assistenza sociale e sanitaria – la possibilità stessa di aprire un conto corrente bancario…) sono strettamente legati al permesso di "residenza permanente", una sorta di "zoccolo duro" al quale sono ancorati i diritti delle persone. 

La rimozione avvenne senza la minima base legale e senza che le persone coinvolte fossero informate. I loro dati anagrafici furono spostati dal registro dei residenti permanenti della Repubblica Slovena a un altro elenco ("Neaktivna evidenza - Evidenza inattiva" – uno dei misteriosi "buchi neri" del Ministero degli Interni), che raccoglie i nominativi di quanti, non essendo più in vita o per altri motivi, hanno perso definitivamente l'esercizio dei diritti civili. 

Ha luogo, con questo atto, la "cancellazione" di oltre 18.000 persone. Un "genocidio virtuale" che si consuma davanti ai monitor dei computer, ma è destinato ad avere effetti devastanti su molte decine di migliaia di cittadini. Esso, infatti, non coinvolge solo i singoli "cancellati", ma l'insieme delle loro famiglie. 

Sul momento, tuttavia, in apparenza nulla accade. La vita procede normalmente, nella tranquilla Repubblica di Slovenia. Dovranno trascorrere mesi, oppure anni, prima che gli "izbrisani", i "cancellati", si rendano conto che è stata decretata la loro "morte civile". La rivelazione avviene in vari modi, con apparente casualità, secondo un copione che mira a dissimulare il carattere premeditato e sistematico dell'intera operazione. 

"Nel 1992 volevo rinnovare, a Dravograd, la mia patente di guida. L'impiegata mi aveva chiesto di portare anche il passaporto perché doveva registrare dei dati. Ha preso il passaporto, è andata in un'altra stanza e l'ha bucato. (…) Mi parve strano, perché era valido fino al 1995. Infine concluse: "Lei non può avere i nostri documenti." Così sono rimasto senza documenti e, ovviamente, la mia patente non è stata prorogata. L'impiegata mi disse che potevo farlo nel mio paese." 
[Zorn, p.104-105] 

E' una delle modalità classiche attraverso le quali puoi scoprire di essere stato "cancellato". Ti convocano in un ufficio pubblico con un pretesto, ti chiedono di portare il passaporto e gli altri documenti e poi, sotto il tuo sguardo esterrefatto, li distruggono. 
Esistono altri scenari: ti presenti per il rogito della casa, ma il notaio ti informa, ridacchiando, che non puoi acquistarla perché sei uno "straniero"… "illegale" per giunta, clandestino insomma. 
Oppure c'è stato un incidente stradale e all'ospedale si rifiutano di somministrarti le cure necessarie: non hanno diritto all'assistenza sanitaria, gli stranieri illegali. 
Non serve a nulla far presente che da vent'anni paghi i contributi, come gli altri lavoratori. 

Perdendo la "residenza permanente" non sei diventato solo, di punto in bianco, uno "straniero" - ma uno "straniero senza permesso di soggiorno". Anzi, sei precipitato ancora più giù, se possibile, perché non hai neppure una casa da qualche altra parte del mondo, né un'ambasciata alla quale rivolgerti. 

Era questa, la condizione degli "apolidi" che si aggiravano per l'Europa negli anni immediatamente precedenti la seconda guerra mondiale. Fuggiti dalla Germania di Hitler senza un passaporto 

"…non avevano diritto di vivere da nessuna parte. Erano costretti a rimanere in movimento… una marcia infinita, interrotta solo dall'arresto per "ingresso illegale nel territorio dello stato", e dalla successiva deportazione in un altro paese dove li attendeva il medesimo destino. Questa è la storia della gente senza passaporto. Ha inizio a Vienna, nel 1937, prima dell'occupazione nazista dell'Austria". 

Comincia con queste parole il film "So ends our night", uscito negli Stati Uniti nel 1942, cinquant'anni prima dei fatti di cui si parla. 


Alcune conseguenze della cancellazione 

Un grande numero di "cancellati" fu costretto a emigrare. Diversi ottennero asilo politico in Italia, in Germania, in Jugoslavia, e perfino… in Slovenia. Accadeva a chi aveva la fortuna di imbattersi in un funzionario comprensivo, disposto a chiudere un occhio, che accettava di derubricarlo da "cittadino con residenza permanente" a "richiedente asilo": un primo passo nel durissimo cammino verso la ricostruzione di uno straccio di "visibilità civile". 

Moltissimi rimasero in Slovenia in condizioni di clandestinità, venendo spesso rinchiusi in carcere o in qualche Centro di Permanenza Temporanea. In alcune occasioni, la "cancellazione" ebbe conseguenze tragiche. Vi furono casi di suicidio, altri di morte nell'indigenza o perché era stata negata l'assistenza medica. 

Una ragazza, ricoverata d'urgenza per partorire, si vide sottrarre il figlio neonato perché l'assicurazione sanitaria era stata cancellata insieme a lei. Non poteva pagare il conto dell'ospedale e il bambino venne preso in "ostaggio". [Juri 1] 

Nella grande maggioranza dei casi i "cancellati" hanno perso il posto di lavoro, senza la possibilità di trovarne un altro. Molti sono rimasti senza pensione. Non potevano più guidare l'automobile, perché la patente di guida, rilasciata in Slovenia, era stata distrutta insieme agli altri documenti. Non erano in condizione di lasciare il paese, dal momento che non vi sarebbero potuti rientrare. Venivano spesso cacciati dalle proprie abitazioni, e anche quando ciò non accadeva, perdevano il diritto di riscattarle (nel processo di privatizzazione, gli appartamenti di proprietà dello stato potevano essere acquistati a un prezzo assai conveniente dagli inquilini – purché dotati di "residenza permanente"). 
Numerose famiglie sono state divise dalla "cancellazione", e ad alcuni genitori è stato impedito di formalizzare il proprio ruolo di padre. 


Dalla "residenza permanente" alla "permanenza temporanea" 

B.R. era arrivata in Slovenia negli anni '80 come giovane operaia dalla Bosnia. Era impiegata in una fabbrica tessile e viveva in un piccolo paese, dove aveva preso in affitto una stanza. All'inizio degli anni '90 perse il lavoro. 

Non avendo richiesto la nazionalità slovena, fu cancellata dal "registro di residenza permanente". Stava per perdere anche l'appartamento, perché non poteva più permettersi di pagare l'affitto. Un giorno - era il 1994 - si presentò la polizia a casa sua e le chiese i documenti. Non potendoli esibire, in quanto "cancellata", venne trasferita a Ljubljiana e rinchiusa nel Centro di Permanenza Temporanea. 

Per tutto questo tempo, B.R. ha "vissuto" nel Centro di Permanenza Temporanea, con l'eccezione di due o tre anni, passati in un "Centro profughi", e di un anno, trascorso all'ospedale psichiatrico. 
(Da una testimonianza raccolta da Jelka Zorn [Zorn, p. 122]) 


Terzo stato 

La Bosnia è costituita da tre entità: musulmana, serba e croata. D. P. era un serbo di Bosnia, anno di nascita 1959. La famiglia vive ancora in Slovenia (la figlia ha 27 anni). Aveva la residenza permanente in Slovenia. La polizia lo ha espulso in Croazia: il "terzo stato". I croati lo hanno accettato, e immediatamente deportato nello stato bosniaco (1992), dove fu consegnato all'enclave croata in Bosnia. 

Un serbo nell'enclave croata? All'epoca, equivaleva a una condanna a morte. Fu rinchiuso in diversi lager, e infine, probabilmente, ucciso. Pare sia stato identificato attraverso il DNA, in una fossa comune. (Documentazione Croce Rossa, UNHCR. Archivio Alexander Todorović.) 

"Questo procedimento era, all'epoca, usuale. I nostri poliziotti non lo hanno consegnato ai croati, gli hanno semplicemente ingiunto di attraversare il confine - prendendo un treno regolare." 
(Dichiarazione del capo di gabinetto del Ministero degli Interni, consigliere del governo. Nel 1998 è diventato direttore generale della polizia. Archivio Alexander Todorović.) 


Terra di nessuno 

M.B. ha vissuto in Slovenia dall'inizio degli anni '70. E' sposato con due figli. Negli anni '80 ha intrapreso un'attività commerciale. All'epoca della secessione ha richiesto la cittadinanza e nel 1992 è diventato cittadino sloveno. Per poter comprare l'appartamento in cui viveva con la famiglia, una casa popolare data in concessione dallo stato, ha dovuto vendere tutti i poderi che aveva in Bosnia. 
Quando nel 1993 si reca al Comune per rinnovare la carta d'identità, gli ritirano tutti i documenti e glieli invalidano. Scopre così che la cittadinanza gli è stata revocata ed è stato cancellato dal "registro di residenza permanente" – alla stessa stregua di coloro ai quali non era mai stata conferita la nazionalità slovena. 

All'improvviso la sua vita si capovolge. Non ha più diritto di comprare l'appartamento e tutto il denaro messo da parte viene usato per gli avvocati (per la denuncia per "espropriazione illegale del diritto di cittadinanza" e "cancellazione illegale dal registro dei cittadini"). 

Viene cacciato dalla Slovenia per due volte. Sebbene sia di origine serba (serbo bosniaco) è deportato al confine croato nel periodo peggiore della guerra. La polizia croata lo respinge alla frontiera; quella slovena sarebbe tenuta a riportarlo indietro. 

Durante il viaggio di ritorno, i poliziotti fermano la macchina nel territorio tra i due posti di blocco, che non appartiene a nessuno dei due stati. Lo trascinano fuori dall'automobile, gli ficcano una pistola in bocca: "Se ti azzardi a tornare, la prossima volta premiamo il grilletto". 

M.B. chiede aiuto ai poliziotti croati. Gli preparano un caffè, e gli spiegano che ogni giorno la polizia slovena consegna loro una dozzina di persone. I croati vengono accolti (c'è bisogno di combattenti); i serbi, rimandati indietro. Alla fine gli indicano il punto in cui può attraversare il confine clandestinamente.

Die Medien und der Krieg

Beim Angriff auf Jugoslawien 1999 marschierten Journalisten im
Gleichschritt mit den NATO-Aggressoren.
Diese Parteinahme hält bis heute an

Eckart Spoo

Als im Frühjahr 1999 die ersten NATO-Bomben auf Serbien fielen,
geschah es in Hannover, daß ein junger Patient der Medizinischen
Hochschule es ablehnte, von Frau Dr. Ljiljana Verner behandelt zu
werden. Seine Begründung: Die Oberärztin habe selbst zugegeben,
Serbin zu sein.

So erging es Serben am Ende eines Jahrhunderts, in dem Deutschland
schon zweimal Serbien überfallen hatte und nun an einem dritten
Angriffskrieg gegen dieses Land teilnahm.

Im Mai 2006 fanden im deutsch-niederländischen Grenzgebiet wie
alljährlich gemeinsame Veranstaltungen zum Gedenken an die Schrecken
des Zweiten Weltkrieges und zur Mahnung für den Frieden statt,
inspiriert von dem Komitee »Nooit meer – Nie wieder«. Dessen
Hauptgründer auf deutscher Seite war der evangelische Pfarrer Koch
(Emlichheim) gewesen, der im Widerstand gegen das Naziregime gekämpft
und im KZ gelitten hatte. Diesmal war als Rednerin Ljiljana Verner
eingeladen, und es sollte eine Fotoausstellung gezeigt werden, die
ein Kriegsverbrechen dokumentiert: die Zerstörung der Brücke von
Varvarin (Zentralserbien) durch NATO-Bomber am Pfingstsonntag 1999.
Die Ausstellung wurde vom Bürgermeister der niederländischen Gemeinde
Dinkelland abgesagt, und die deutsche Nachbarstadt Nordhorn beeilte
sich, dem Komitee »Nooit meer – Nie wieder« die Unterstützung zu
entziehen. Von den Opfern des NATO-Kriegs zu sprechen, erschien den
tonangebenden Kommunalpolitikern als unvereinbar mit dem Gedenken an
die Opfer des Zweiten Weltkriegs.

Und daß ausgerechnet Ljiljana Verner eingeladen worden war! Die
Serbin! Haben wir es etwa nötig, auch einmal die Gegenseite zu Wort
kommen zu lassen! Darüber empörte sich die Nordhorner Stadtverwaltung
und warf »Nooit meer – Nie wieder« allen Ernstes »Einseitigkeit« vor.

Eine Provinzposse? Nein, herrschende Meinung: Die Gegenseite, die
Seite der Opfer, muß ausgeblendet werden. So war es in den ersten
Jahrzehnten nach dem Zweiten Weltkrieg, bis endlich in den 1990er
Jahren die Ausstellung über die Verbrechen der Wehrmacht zeigte, was
50 Jahre zuvor in Serbien geschehen war. Und so ist es jetzt wieder
seit dem NATO-Krieg gegen Serbien. Wenn wir die Gegenseite zu Wort
kommen ließen, würde unsere schöne Selbstgerechtigkeit gestört. Über
die Kriegsverbrechen der NATO – und der Angriffskrieg selbst war das
Hauptverbrechen – muß eisern geschwiegen werden. Mit Serben zu reden,
sind wir allenfalls bereit, wenn sie sich der Siegerjustiz demütig
unterwerfen. Sie haben selbst im eigenen Land nicht mehr viel zu
sagen. Die dortige Presse ist weitgehend von deutschen Konzernen
übernommen worden. Realität ausgeblendet Man darf sich die
Kommunalpolitiker in Dinkelland und Nordhorn nicht als ungewöhnlich
beschränkt vorstellen. Ebensowenig die christlich-, frei-,
sozialdemokratischen und grünen Stadträte in Düsseldorf, die Peter
Handke als Heinrich-Heine-Preisträger ablehnten und rüde
beschimpften. Sie fühlten sich offenbar geradezu moralisch
verpflichtet, Düsseldorf und ganz Deutschland vor der Gefahr zu
schützen, daß plötzlich nicht mehr gilt, was bisher gegolten hat.
Darf denn ein Schriftsteller daherkommen und Zweifel daran säen, daß
die Serben urböse und wir Deutschen im Recht sind? Dürfen
verantwortungsbewußte Politiker staatstragender Parteien zulassen,
daß am Ende womöglich wir selber als Mitschuldige am Verbrechen eines
Angriffskriegs dastehen? Diese braven Grünen, Frei-, Sozial- und
Christdemokraten haben vermutlich einfach geglaubt, was sie auf dem
Bildschirm gesehen, im Radio gehört, in Zeitungen gelesen haben, sie
haben es für wahr gehalten, haben sich darauf verlassen und wollen
sich weiterhin darauf verlassen können. Dann liegt das Problem aber
nicht bei diesen Kommunalpolitikern, sondern bei den tonangebenden
Medien, die immer im Gleichschritt mit der Bundesregierung und der
NATO marschiert sind.

Als Rolf Becker und ich mit der Gewerkschaftergruppe »Dialog von
unten statt Bomben von oben« im Frühjahr 1999 während des
Bombenkriegs der NATO gegen Jugoslawien durch das angegriffene Land
reisten, selbst einige Bombardements erlebten und viele unvergeßliche
Begegnungen hatten, trafen wir in Belgrad auch den damaligen
Korrespondenten der Arbeitsgemeinschaft der Rundfunkanstalten
Deutschlands (ARD), Klaus Below. Man hätte annehmen müssen, daß er in
jenen Kriegswochen täglich auf dem Bildschirm erschienen wäre, um das
deutsche Fernsehpublikum zu informieren; doch gerade damals
verschwand er vom Bildschirm. Seine Berichte, so erfuhren wir von
ihm, wurden unterdrückt – nicht von jugoslawischer Seite, sondern von
den ARD-Verantwortlichen. Was er in Jugoslawien mit eigenen Augen
sah, paßte nicht in das Bild, das die NATO-Propaganda vermittelte.
Die öffentliche Meinung in den NATO-Ländern wurde damals fast
ausschließlich von der NATO gemacht, von den Regierungen der NATO-
Länder und vom damaligen Pressesprecher der NATO, Jamie Shea, der
später recht offen und sehr zynisch in einem Buch geschildert hat,
wie er damals für die rechte Kriegsstimmung sorgte – mit erfundenen
Geschichten und flotten Sprüchen. Realistische Kriegsdarstellungen
des ARD-Korrespondenten Below hätten da nur gestört. Unsere Gruppe
versuchte selbst mit äußerst geringem Erfolg, durch tägliche
Berichte, die wir deutschen Nachrichtenagenturen und Zeitungen
schickten, die Wirklichkeit dieses Krieges bekanntzumachen. Ähnlich
erging es Peter Handke, der damals und auch vorher und nachher zu den
wenigen gehörte, die sich an Ort und Stelle umsahen und umhörten.
Lügenpropaganda Die NATO bombardierte in Serbien neben
Chemiefabriken, Kraftwerken, Schulen, Krankenhäusern, Wohngebieten,
Eisenbahn- und Straßenbrücken auch Rundfunksender –
völkerrechtswidrig. Weil das serbische Fernsehen, in dessen Zentrale
bei einem nächtlichen Bombenangriff 16 Kollegen getötet wurden,
weiterhin Fotos und Filme von den Kriegszerstörungen ausstrahlte –
Zerstörungen, die es laut NATO-Propaganda nicht gab, allenfalls
sogenannte Kollateralschäden wurden zugegeben –, erwirkte der
damalige deutsche Außenminister Fischer bei der Eutelsat-Zentrale in
London die Abschaltung der Satellitenübertragung. Das Fernsehpublikum
in Deutschland und aller Welt sollte nicht erfahren, was die NATO in
Serbien anrichtete. Glatte Zensur! Verfassungswidrig!
Zensur und systematischer Mißbrauch der Medien zu Propagandazwecken
sind mit demokratischen Prinzipien unvereinbar. Was damals geschehen
ist – und dazu gehörte auch das Mikrofonverbot für einen
südwestdeutschen Rundfunkkollegen, der zutreffend den Krieg der NATO
gegen Jugoslawien einen Angriffskrieg genannt hatte –, muß endlich
aufgearbeitet werden. Es gab Ansätze dazu. So strahlte der
Westdeutsche Rundfunk (WDR) anderthalb Jahre nach dem Krieg eine
wohlrecherchierte Sendung unter dem Titel »Es begann mit einer Lüge«
aus. Der damalige Bundesverteidigungsminister Scharping wurde in
dieser Sendung mit mehreren krassen Lügen konfrontiert, mit denen er
versucht hatte, den Krieg zu rechtfertigen. Zum Beispiel hatte er
behauptet, »die Serben« hätten aus dem Stadion von Pristina ein KZ
gemacht. Daran war nichts Wahres. Peinlich für Scharping, peinlich
für alle, die solche Behauptungen kritiklos übernommen und
weiterverbreitet hatten. Politiker der damaligen Regierungskoalition
gingen mit Verleumdungen gegen die Sendung vor, an der aber nicht das
Geringste zu beanstanden war. Die Kunst des Fragens In der
Berichterstattung über jedweden Konflikt müßten Journalistinnen und
Journalisten auf nichts so sehr bedacht sein wie darauf, daß beide
Seiten zu Wort kommen. Eigentlich eine Selbstverständlichkeit. Aber
gerade in Kriegszeiten und schon in den Zeiten der Vorbereitung von
Kriegen, also dann, wenn es am meisten darauf ankommt, vergessen die
Journalisten das Gelernte, sammeln sich unter der Fahne und machen
Propaganda; viele merken nicht einmal, wozu sie sich hergeben – so
stark ist der Erwartungsdruck, unter dem sie arbeiten.
Die Justiz kennt seit vielen Jahrhunderten den Grundsatz, daß kein
gerechtes Urteil gefällt werden kann, ehe nicht beiden Seiten Gehör
gegeben wurde. Auch der Souverän in der Demokratie kann sich kein
zutreffendes Urteil bilden, wenn er nur einseitig informiert ist. Aus
den Erfahrungen in Jugoslawien habe ich den Schluß gezogen, daß
Journalisten (ich meine solche, die überhaupt selbst recherchieren,
das sind nicht viele) den offiziellen Angaben grundsätzlich nicht
trauen dürfen, vor allem nicht den Angaben der eigenen
beziehungsweise befreundeten Seite – im Zweifelsfall eher den Angaben
der anderen Seite. Deren Darstellung hat zumindest den Wert, daß sie
uns kritikfähig gegenüber der Darstellung der eigenen Seite machen
kann. Die Gefahr, aus Leichtgläubigkeit mitschuldig zu werden,
besteht in der Regel nur auf der eigenen Seite. Die wichtigste
Wahrheit in einem militärischen Konflikt ist ohnehin immer die über
den Gegner, zum Beispiel über seine Motive und seine Stärke.
»Embedded journalists«, wie die US-Streitkräfte sie im jüngsten Irak-
Krieg auf Panzern mitfahren ließen, erfahren von dieser wichtigsten
Wahrheit nichts.

Während des Bombenkriegs gegen Jugoslawien und schon lange vorher kam
Slobodan Milosevic, der demokratisch gewählte Staatspräsident
Serbiens und Jugoslawiens, in den deutschen Medien niemals im
Originalton zu Wort. Der Prozeß gegen ihn in Den Haag hätte
Gelegenheit zur Wahrheitsfindung geben können, aber unsere
Wahrnehmungsschwäche hielt an. Berichtet wurde immer wieder, die
Chefanklägerin Carla del Ponte verfüge nunmehr über Beweise für die
Schuld Milosevics. Wie sie dann im Verhandlungssaal mit ihren
angeblichen Beweisen regelmäßig scheiterte, interessierte anscheinend
nicht. Der Prozeß endete mit dem Tod des Angeklagten, nicht mit einem
Schuldspruch, zu dem es nur unter Verdrehung der Fakten hätte kommen
können.

Weil Milosevic nicht verurteilt wurde, muß er nach einem
unaufgebbaren Rechtsprinzip als unschuldig gelten. Doch das Feindbild
»die Serben« steckt fest im deutschen Schädel – seit Generationen.
»Die Serben« sind Täter und müssen mit Sanktionen belegt werden. Sie
müssen schuld gewesen sein an den Kriegen, die wir gegen sie geführt
haben. Namentlich Milosevic. Frage ich nach, fällt allen dasselbe
Stichwort ein: Srebrenica. Was dort geschah? Was vorausgegangen war?
Was Milosevic damit zu tun hatte (nämlich gar nichts)? Das wollen sie
nicht so genau wissen. Und Kragujevac? Das interessiert schon gar
nicht. Bei diesem größten Massaker auf dem Balkan während des Zweiten
Weltkriegs (7000 Tote) waren Deutsche die Täter gewesen. Das wissen
wir nicht und wollen es nicht wissen. 1999 zerbombte die NATO fast
alle 50000 industriellen Arbeitsplätze in Kragujevac und beschädigte
auch die Gedenkstätte am Ort des Massakers von 1941. Nein, das müssen
wir nicht wissen. Kragujevac kennen wir nicht. Uns genügt Srebrenica.
Keine weiteren Fragen.

Peter Handke hat in den Auseinandersetzungen der letzten Wochen an
uns alle appelliert: »Lernen wir die Kunst des Fragens.« In der
Pariser Libération vom 10. Mai hat er davor gewarnt, über Jugoslawien
mit »ausschließlich präfabrizierten Worten, unendlich oft wiederholt,
gebraucht wie automatische Waffen« zu sprechen und zu schreiben. »Als
Einzelner«, so kommentierte am 31. Mai Cornelia Niedermeier im Wiener
Standard, »als Einzelner verteidigt er den Willen zum eigenen Blick
gegen den entliehenen Massenblick der Medien«.

Verantwortungsbewußte Journalisten sollten das als eine
Herausforderung begreifen. Peter Handke, auch und gerade mit seinen
Büchern über Serbien, fordert die Medien in den NATO-Ländern, nicht
zuletzt in Deutschland, zum Nachdenken über ihre Rolle heraus – und
nicht nur die Medien als Apparate, sondern jeden einzelnen Journalisten.

Die Kunst des Fragens wird täglich gebraucht. Nur der eigene Blick
kann uns davor bewahren, in immer neue Katastrophen hineingezogen zu
werden. Mit tatsächlichen oder vermeintlichen Gegnern müssen wir
reden, wenn wir neue Kriege vermeiden wollen. Mundtot gemacht Wo
Regierungen aufhören, den friedlichen Interessenausgleich zu suchen,
wo sie aufhören zu verhandeln, wo sie alle Kommunikation abbrechen
und wo die tonangebenden Medien die Gegenseite nur noch verteufeln
(Milosevic, »der Diktator«, »der Schlächter«, »der neue Hitler«), da
ist Krieg nicht fern. Wenn mit der Hamas, der demokratisch gewählten
Regierungspartei der Palästinenser, nicht gesprochen werden darf,
droht die physische Vernichtung der Palästinenser. Ähnlich
beängstigend ist es, daß die westliche Welt sich darauf festgelegt
hat, nicht mit dem gewählten Präsidenten von Belarus, Alexander
Lukaschenko, und anderen Vertretern des Landes zu sprechen. Im Mai
fand in Berlin ein Europäisches Friedensforum statt; der Vertreter
der Friedensbewegung von Belarus mußte fernbleiben, weil ihm
Deutschland das Visum versagte. Völker werden mundtot gemacht, bevor
sie Opfer von Bomben werden. Und die Überlebenden müssen mundtot
bleiben, damit die Täter nicht an ihre Verbrechen erinnert werden.
Mitte Juni führte die Neue Zürcher Zeitung ein ausführliches
Interview mit Peter Handke, nachdem er in Deutschland schon fast zur
Unperson geworden war. Zum Schäbigsten, was ich hierzulande
gelegentlich über ihn las, gehörten Sätze von der Art, daß er zwar
kein schlechter Schreiber sei, aber eben einen »Spleen« habe, den
»Jugoslawien-Spleen« (Frankfurter Rundschau). Das sollte einfach
heißen: Handke sei nicht ernst zu nehmen. Aber der Autor läßt sich
nicht von seinem Thema trennen. So kommen wir nicht davon. So können
wir uns der Herausforderung dieses Mannes nicht entziehen.
In einer Pressekonferenz im Berliner Theater am Schiffbauerdamm, in
der über den Berliner Heinrich-Heine-Preis für Peter Handke
informiert wurde, sagte die Initiatorin Käthe Reichel drastisch-
sarkastisch: »Keine Meinungsfreiheit, zumindest für Handke, wenn er
von Deutschland – das immer noch mit Auschwitz am Hals belastete –
erwartet, ›daß man Milosevic bitte nicht mit Hitler vergleichen‹
möge. Das ist aber zuviel verlangt. Das geht nicht. Wenn Deutschlands
Volk nicht lernt, Milosevic mit Hitler zu vergleichen, dann versteht
es die Bomben aus Deutschland auf Frauen und Kinder in Belgrad nicht
… Die Wahrheit ist dem Krieg nicht zumutbar. An ihr muß er verrecken.
Darum wünschte sich dieser Krieg, daß die Deutschen vergessen sollen,
daß die Serben sich selbst von Hitler befreit haben. An den Krieg
gegen Hitler soll man in Deutschland sich nicht mehr erinnern –
jetzt, wo Auschwitz nicht mehr in Auschwitz liegt, sondern in Serbien
und, was noch toller ist, das ganze Deutschland am Hindukusch liegt
und künftig in der ganzen Welt.«
Ein 08/15-Journalist meinte prompt, den Berliner Heinrich-Heine-
Preis, dessen Geldbetrag nach Handkes Wunsch dazu verwendet werden
soll, auf die Situation der Serben in den letzen Enklaven im Kosovo
aufmerksam zu machen, in »Milosevic-Preis« umbenennen zu sollen.
Käthe Reichel antwortete schlagfertig: »Hitler-Preis. Eigentlich
wollten Sie doch sagen: Hitler-Preis.«
Der Intendant des Theaters am Schiffbauerdamm, Claus Peymann,
Mitunterzeichner des Aufrufs für den Preis, erhielt inzwischen »Sieg
Heil«-Zuschriften. Anfang 2007 wird dort ein neues Stück von Peter
Handke uraufgeführt werden.


Eckart Spoo ist verantwortlicher Redakteur von Ossietzky.
Zweiwochenschrift für Politik, Kultur und Wirtschaft. Den Artikel
entnahmen dem aktuellen Heft (Nr. 14) der Zeitschrift (Einzelpreis
2,50 Euro, Bestellungen an ossietzky @ interdruck.net)

Wir danken der Redaktion Ossietzky für die freundliche Genehmigung
zum Nachdruck

Dokumentiert: »Berliner Heinrich-Heine-Preis für Peter Handke«


"Berliner Heinrich-Heine-Preis für Peter Handke"

»...und es fehlt nicht an gelehrten Hunden, die das blutende Wort als
gute Beute heranschleppen.« Heinrich Heine

Eigensinnig wie Heinrich Heine verfolgt Peter Handke in seinem Werk
seinen Weg zu einer offenen Wahrheit. Den poetischen Blick auf die
Welt setzt er rücksichtslos gegen die veröffentlichte Meinung und
deren Rituale.« Mit dieser Begründung erkannte die Jury dem
Schriftsteller Peter Handke den Düsseldorfer Heinrich-Heine-Preis zu.
Doch sofort reagierten einflußreiche Medien und einzelne Politiker
mit heftigen Attacken, die dazu geführt haben, daß die Düsseldorfer
Stadtratsfraktionen von SPD, FDP und Grünen die Vergabe des Preises
verweigern und verhindern.

Der Fall erinnert an die mehrjährigen Auseinandersetzungen, deren es
bedurfte, um die Benennung der Düsseldorfer Universität nach Heinrich
Heine durchzusetzen. Der in Düsseldorf geborene Dichter und
Journalist, der für die Ideen der Französischen Revolution Partei
nahm, wurde zeitlebens und über den Tod hinaus von deutschen
Zensurbehörden verfolgt. (...)
Peter Handke mahnt seit Jahren immer wieder »Gerechtigkeit für
Serbien« an. Er hat den ihm als Unverfrorenheit ausgelegten Mut, auch
auf die serbischen Opfer des Krieges hinzuweisen, die in der
deutschen Öffentlichkeit nach wie vor kaum wahrgenommen werden, da
die Medien und die führenden Politiker fast unisono den Serben
kollektiv die Täterrolle zuschreiben.

Am 18. März sagte Peter Handke in Požarevac bei der Beerdigung von
Slobodan Milosevic: »Die Welt, die vermeintliche Welt, weiß alles
über Slobodan Milosevic. Die vermeintliche Welt kennt die Wahrheit.
Eben deshalb ist die vermeintliche Welt heute nicht anwesend, und
nicht nur heute und hier. Ich kenne die Wahrheit auch nicht. Aber ich
schaue. Ich begreife. Ich empfinde. Ich erinnere mich. Ich frage.
Eben deshalb bin ich heute hier zugegen.« Diese Worte drücken ein
anderes Verhältnis zur Wahrheit aus als Rudolf Scharpings frei
erfundene Kriegsgründe, Joseph Fischers Auschwitzvergleiche und das
bedauernde Lächeln des NATO-Pressesprechers Jamie Shea über
»Kollateralschäden«. Keiner der Verantwortlichen wurde für die
Manipulationen und die Kriegspropaganda zur Rechenschaft gezogen,
noch gab es jemals eine öffentliche Debatte darüber (auch nicht nach
der verdienstvollen WDR-Sendung »Es begann mit einer Lüge« anderthalb
Jahre nach dem Beginn der NATO-Bombenangriffe auf Jugoslawien), aber ü
ber den Heinrich-Heine-Preis an Peter Handke ereifern sich Medien und
Politiker, die verbergen wollen, was er aufzudecken bemüht ist: »Denn
was weiß man, wo eine Beteiligung beinah immer nur eine (Fern-)
Sehbeteiligung ist? Was weiß man, wo man vor lauter Vernetzung und
Online nur Wissensbesitz hat, ohne jenes tatsächliche Wissen, welches
allein durch Lernen, Schauen und Lernen, entstehen kann? Was weiß
der, der statt der Sache einzig deren Bild zu Gesicht bekommt, oder,
wie in den Fernsehnachrichten, ein Kürzel von einem Bild, oder, wie
in der Netzwelt, ein Kürzel von einem Kürzel?«

Völkerverständigung kann nicht auf Propaganda gedeihen, sondern nur
auf Aufklärung. Ein trauriges Beispiel hierfür ist Kosovo – wo die
angebliche »humanitäre Intervention« der NATO ein System geschaffen
hat, in dem Serben, Roma und Juden, soweit sie trotz
Massenvertreibung noch dort ausharren, sich nicht frei bewegen
können. »Gerechtigkeit für Serbien« – 1996, drei Jahre vor dem NATO-
Krieg, hat Peter Handke diese Zeile auf einer Jugoslawienreise
notiert, ahnend, was drohte: Krieg, unter deutscher Beteiligung, als
Folge der Zerschlagung der Bundesrepublik Jugoslawien, zu der die
deutsche Außenpolitik maßgeblich beigetragen hat. 1999 war Peter
Handke wieder in Serbien, während des Krieges, miterlebend und -
erleidend, wovor er vergeblich gewarnt hatte.

Der Heinrich-Heine-Preis gehört Peter Handke! Nicht der Preis der
Stadt Düsseldorf, der entwertet ist, sondern der Berliner Heinrich-
Heine-Preis, verbunden mit einem Preisgeld in Höhe von 50000 Euro,
verliehen von allen, die Peter Handke einer Auszeichnung im Namen
Heinrich Heines für würdig halten.

Die Unterzeichner übernehmen gern die Kriterien des Düsseldorfer
Heinrich-Heine-Preises, mit dem Persönlichkeiten geehrt werden
sollen, »die durch ihr geistiges Schaffen im Sinne der Grundrechte
des Menschen, für die sich Heinrich Heine eingesetzt hat, den
sozialen und politischen Fortschritt fördern, der Völkerverständigung
dienen oder die Erkenntnis von der Zusammengehörigkeit aller Menschen
verbreiten«.

Am 10. Juni, nach Erscheinen des Aufrufs in Ossietzky, schreibt uns
Peter Handke: »Wer verdient solch einen Aufruf in die Freund- und
Freundschaftlichkeit? Ich bin berührt von Ihrer Geste, zugleich
möchte ich aber beiseitestehen und sie, die Geste, vorbeilassen für
etwas anderes, für ein Zeichengeben über mich hinaus. Warum also
nicht ein Preisgeld, wenn es zustandekäme, an die serbischen
Enklaven, die letzten, im Kosovo, übermitteln, an Dörfer, die,
allseits umzingelt, im Elendstrichter von Europa vegetieren müssen,
beschützt und bewacht von jenen Staaten, den westeuropäischen, die
ihnen mit Bombengewalt den eigenen Staat = Jugoslawien geraubt,
gebrandschatzt haben? So oder so: danke! Und, bitte, kein
Alternativpreis für mich.«

Wir werden uns gemeinsam mit Peter Handke bemühen, den Vorschlag
umzusetzen – wir teilen sein Anliegen, »ein nicht nur episodisches
Aufmerksamwerden« für alle Opfer des Jugoslawienkrieges zu bewirken.


Friedrich-Martin Balzer, Hartmut Barth-Engelbart, Ben Becker, Jürgen
Becker, Meret Becker, Rolf Becker, Hermann Beil, Esther Bejarano,
Peter Betscher, Rule von Bismarck, Daniela Dahn, Gruppe »Dialog von
unten«, Jutta Ditfurth, Evelyn Hartmann, Ralph Hartmann, Jutta
Hercher, Diana Johnstone, Dietrich Kittner, Peter Kleinert, Arno
Klönne, Monika Köhler, Otto Köhler, Kurt Köpruner, Joochen Laabs,
Otto Meyer, Werner Mittenzwei, Claus Peymann, Käthe Reichel, Renate
Richter, Karl Heinz Roth, Hans Georg Ruf, Cathrin Schütz, Hans See,
Rachel Seifert, Eckart Spoo, Peter Urban, Hanne Vack, Klaus Vack,
Michael Weber, Manfred Wekwerth, Jörg Wollenberg, Ingrid Zwerenz,
Gerhard Zwerenz

Zuschriften an: rolf.becker @ comlink.de, Fax 040 – 2803214

Treuhandkonto: Rolf Becker/Berliner Heine-Preis, Hamburger Sparkasse
(BLZ 20050550), Konto-Nummer: 1001212180 bislang sind 20000 Euro auf
dem Konto eingegangen; es fehlen also noch 30000 Euro, um Peter
Handkes Wunsch entsprechen zu können. Spenden sind also weiterhin
erbeten!


Junge Welt, 11.07.06

(Quelle: P. Betscher ü. truth@ public-files.de)

I MONDIALI NELLA TESTA


editoriale di http://www.radiocittaperta.it/nuovo/index.php

Non sono ancora del tutto smaltiti gli effetti della sbornia per la
vittoria della nazionale italiana ai mondiali di calcio. Se riteniamo
legittimi i festeggiamenti, amplificati ed evocati oltre ogni limite
dalla società dello spettacolo, una volta metabolizzata la sbornia,
non possiamo rinunciare ad usare la testa. In questi mondiali c’è chi
l’ha usata poco, c’è chi la usata male e chi la usata per conciliare
la giusta ebbrezza di un evento sportivo con le ricadute ad esso
collegata ma teoricamente estranee.

Zidàne ha usato la testa in modo ambivalente. Per tirare in porta e
per colpire Materazzi. Si indaga ancora per capire cosa possa aver
detto il difensore italiano per far infuriare così un giocatore di
classe e di lunga esperienza. Il gesto rimane sbagliato ma le
motivazioni potrebbero essere plausibili.

In Senato si cerca disperatamente un senatore di testa dura che possa
replicare la testata di Zizou nei confronti del leghista Calderoli,
il quale dopo aver condiviso l’idea dell’uso della bandiera tricolore
come carta igienica, ha gioito per la sconfitta della Francia in
quanto squadra composta da “negri, islamici e comunisti”. Una testata
a Calderoli difficilmente lo farebbe rinsavire ma almeno farebbe
giustizia.

La testa di Berlusconi sembra invece aver perso i risultati della
ricrescita occultata dalla bandana. L’immagine dei campioni dentro
Palazzo Chigi, con Prodi gongolante e lui invece in ritiro nella sua
Villa in Sardegna, ha provocato una schiumante irritazione al
cavaliere. L’Italia vince i mondiali e lui non è più presidente del
Consiglio. Nel 2002 l’Italia fu buttata fuori ai quarti di finali e
agli europei del 2004 replicò la brutta figura. Sarà una coincidenza
ma l’effetto benefico della vittoria ai mondiali sul PIL indicato da
una banca d’affari olandese potrebbe andare a vantaggio dell’attuale
governo. Durante il governo Berlusconi una coincidenza malefica portò
male alla nazionale di calcio e al paese. Adesso sembra che tocchi
anche al Milan, alla Juventus e ad altri club.

La testa del ministro Mastella andrebbe invece registrata in più
punti. Con una logica apertamente dorotea, il ministro Clemente
vorrebbe approfittare dei Mondiali per passare un colpo di spugna –
pardon, di clemenza – sull’inchiesta che ha portato sul bando degli
accusati le grandi società calcistiche ree di aver inquinato e
corrotto i risultati delle partite e di interi campionati. Mastella
vorrebbe intercettare gli umori felici dello strapaese per impedire
una doverosa opera di pulizia dentro il business del calcio. C’è da
augurarsi che giudici sportivi e giudici penali mantengano la testa a
posto e non si lascino influenzare dal clima.

Infine c’è la testa di alcuni giocatori. In campo – e non sempre -
sembrano migliori di quanto siano alle prese con il mondo. Impacciati
e stonati di fronte alla folla festante sono sembrati dei dilettanti
allo sbaraglio. Quelli con più testa sono rimasti in silenzio, quelli
con la testa confusa non si sono voluti accorgere che sventolavano
uno striscione con una celtica. Una brutta immagine che qualche ora
dopo qualcuno ha replicato con pessime scritte e pessimi slogan nelle
strade di Roma.

Rimane solo la testa del paese. Il rischio è che la leadership
utilizzi al peggio quello che il presidente Napoletano ha chiamato
riscoperta dell’orgoglio nazionale. E’ un concetto che va usato con
il bilancino perché in passato ha portato a disastri storici che sono
stati pagati a gravissimo prezzo. L’idea di trasformare gli eventi
sportivi in manifestazioni di “fiera identità nazionale” è una
tentazione fortissima che va governata con grande attenzione perché
potrebbe generare mostri sopiti ma non sconfitti nel senso comune.
Non c’è da vergognarsi ad essere cittadini italiani, si tratta solo
di emanciparsi per sentirsi compiutamente cittadini del mondo,
soprattutto se si riesce a vincere un campionato mondiale. E’ una
questione di testa... appunto.

"IL MANIFESTO" PROPONE LA SECESSIONE DELLA "PROVINCIA" SERBIA DAL KOSOVO


il manifesto - 06 Luglio 2006

Serbia/Italia
Kostunica in Italia

No alla separazione dal ( SIC ) Kosovo

Sereno, ma non privo di divergenze d'opinione il primo incontro
ufficiale fra il presidente serbo Vojislav Kostunica, in visita oggi
a Roma, ed il nuovo esecutivo Italiano. Kostunica si è intrattenuto
ieri con il ministro degli Esteri D'Alema, con i presidenti delle
commissioni estere di Camera e Senato, con il ministro degli interni
Amato, ed infine con Prodi.
Estremamente cordiali i toni della missione diplomatica serba in
Italia, mentre è aperta la discussione per quello che sarà il futuro
status del Kosovo. Kostunica non ha nascosto l'intenzione di voler
influire sull'orientamento italiano sui Balcani; «ci sono
divergenze», ha detto il presidente, «ma nessuna soluzione imposta
può essere da noi presa in considerazione». Rifiuto secco all'
indipendenza totale del Kosovo, dunque; per Kostunica l'estrema
complessità della situazione fra Serbia e Kosovo richiede il
riconoscimento, da parte della comunità internazionale, di una
soluzione finale negoziata dalle due province ( SIC ) senza ingerenze
esterne, le cui conseguenze potrebbero rivelarsi difficili da contenere.

http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/06-Luglio-2006/art52.html

(english / italiano / francais)

Ucraina: mobilitazioni anti-NATO, gli squadristi "arancioni" provano
il golpe


=== ITALIANO ===

I documenti sono qui inseriti in ordine cronologico inverso.
Si noti però che nessuno ha riportato in lingua italiana le notizie
relative agli assassinii politici avvenuti in Ucraina nei giorni più
intensi delle proteste anti-NATO, che sono costati la vita a tre
militanti anti-imperialisti. Si noti anche che i militanti
"arancioni" (filo-occidentali) del movimento PORA negli stessi giorni
hanno espresso posizioni favorevoli alla NATO, agitando striscioni
con scritte del tipo "NATO is security!” (vedi più sotto, tra i
dispacci in lingua inglese).

(a cura di IS)

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il manifesto
12 Luglio 2006

notizie Ucraina

Botte da orbi in parlamento Caos per formare il governo

Sta andando a finir male la prima prova «pienamente democratica»
dell'Ucraina: il parlamento uscito dalle elezioni del 26 marzo ieri
ha visto una serie di risse e aggressioni continue messe in opera dai
deputati dell'ex «coalizione arancio», ormai diventati minoranza dopo
la defezione del Partito socialista. I lavori sono stati sospesi e
non si sa se e come potranno riprendere; di fatto la nuova
maggioranza filo-russa (Partito delle Regioni, Partito socialista e
Partito comunista) che dovrebbe dar vita a un governo guidato da
Viktor Yanukovich, non sta riuscendo né a discutere né a votare, con
gli avversari che la definiscono «illegale» e fanno suonare sirene da
stadio in aula per impedire i lavori. I deputati fedeli al presidente
Yushenko e a Yulija Timoshenko puntano a bloccare tutto per provocare
lo scioglimento della Camera e nuove elezioni; anche Yushenko lo
vorrebbe, ma teme che una parte dei suoi lo abbandoni per schierarsi
con Yanukovich, in cambio di posti nel futuro governo. Il paese
appare sull'orlo di un colpo di stato. Chissà se sarà definito
«democratico» da Usa e Ue.

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www.resistenze.org - popoli resistenti - ucraina - 07-07-06

Ucraina: alla Rada creata una nuova coalizione

http:///www.ukraine.ru/text/news/286217.html

7 luglio 2006

Kiev, 7 luglio – Al parlamento dell’Ucraina è stato siglato questa
sera un accordo che prevede la creazione di una coalizione tra il
Partito delle regioni, il Partito Socialista e il Partito Comunista.
“La coalizione ha ricevuto il nome di “anticrisi”, - ha comunicato ai
giornalisti il membro del consiglio politico del Partito delle
regioni Taras Ciornovil. L’accordo è stato firmato dal leader del
Partito delle regioni Viktor Janukovic, dal leader del Partito
Comunista Piotr Simonennko e dal leader del gruppo parlamentare del
Partito Socialista Aleksander Zushko.
In precedenza i membri del gruppo socialista avevano firmato una
dichiarazione in merito alla loro uscita dalla coalizione
“arancione”, e di conseguenza un’altra dichiarazione circa il loro
ingresso in coalizione con il Partito delle regioni e i comunisti. La
direzione del gruppo socialista ha preparato una lettera ufficiale
indirizzata ai leader del blocco Julia Timoshenko e del blocco
presidenziale “Nostra Ucraina”, in cui si informa della decisione
assunta. La coalizione parlamentare ha proposto al posto di primo
ministro dell’Ucraina Viktor Janukovic. In accordo con la
Costituzione, la coalizione propone al presidente della repubblica la
candidatura a primo ministro, e il capo dello stato la sottopone
all’approvazione della Rada Suprema.

Traduzione dal russo per www.resistenze.org di Mauro Gemma

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www.resistenze.org - popoli resistenti - ucraina - 28-06-06

da http://en.for-ua.com/2006/06/22/123930.html
ForUm (Ucraina)

Cosa succederà con il nuovo governo in Ucraina

Dichiarazione di Piotr Simonenko, leader del Partito Comunista di
Ucraina
22 giugno 2006

Parlando al parlamento, il leader del Partito Comunista di Ucraina
Piotr Simonenko ha dichiarato che si è avviato il processo di
disintegrazione territoriale in Ucraina.
La formazione della coalizione di governo crea i prerequisiti per
l’implosione del paese, ha detto Simonenko, aggiungendo che il primo
a soffrirne sarà proprio il popolo ucraino.
Simonenko si oppone con decisione a ciò che sta avvenendo in parlamento.
Secondo il deputato, il processo di adesione dell’Ucraina alla NATO
subirà un’accelerazione.
Verranno messi in vendita gli interessi nazionali per assicurare un
ombrello a protezione della squadra arancione.
Il deputato è convinto che le relazioni con la Russia si
complicheranno ulteriormente e di ciò le conseguenze ricadranno sui
produttori di beni nazionali.
Simonenko prevede una crisi nelle esportazioni della produzione dei
complessi metallurgici, energetici, militari e industriali.
L’annuncio della formazione della coalizione sancisce, secondo il
deputato comunista, l’usurpazione del potere da parte di un gruppo di
corrotti.

Traduzione per www.resistenze.org a cura del
Centro di Cultura e Documentazione Popolare

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www.resistenze.org - popoli resistenti - ucraina - 28-06-06

da http://www.politcom.ru

Le manifestazioni contro la NATO in Crimea

Tatjana Stanovaja
5 giugno 2006

Sulle lotte anti-NATO in Crimea è intervenuto anche l’autorevole sito
russo di analisi politiche “Politcom.ru”, con il commento di una nota
esperta.

La scorsa settimana gli abitanti di Feodosia hanno impedito le
operazioni di scarico di una nave della marina americana, che
trasportava attrezzature militari per la partecipazione della NATO a
manovre congiunte. Inoltre, alcune centinaia di attivisti
dell’organizzazione giovanile della Crimea “Proryv” hanno bloccato
l’aeroporto di Simferopoli, protestando contro lo scalo di un aereo
della NATO. Le azioni di protesta, che hanno un carattere anti-NATO e
filo-russo, sono anche indirizzate contro il ministro della difesa e
quello degli affari esteri dell’Ucraina, considerati entrambi attivi
sostenitori dell’integrazione euroatlantica tra le elite del paese.

Le azioni di protesta degli abitanti della Crimea sono sostenute dal
Partito delle Regioni, dal blocco di Natalja Vitrenko, dai comunisti,
dai progressisti socialisti e dall’organizzazione “Russkaja obschina
Kryma”. Tali azioni hanno visto accrescere il loro livello
organizzativo: sono state innalzate tende, sono stati allestiti
spettacoli, mentre il porto di Feodosia veniva presidiato persino
durante la notte. La situazione è stata complicata anche dalla
segretezza che circondava l’operazione di trasporto americana. La
versione ufficiale, che parlava di materiale bellico destinato ad
operazioni militari, e neppure della NATO, non ha convinto i
manifestanti. Il deputato del Partito delle Regioni alla Rada Suprema
Jurij Boldyrev ha dichiarato che una delle compagnie petrolifere
americane era stata autorizzata ad effettuare prospezioni nei fondali
del Mar Nero da Kerc a Feodosia. “Questa compagnia procederà a
trivellazioni, alla ricerca del petrolio. Ciò significa che gli
americani stanno creando in Crimea piattaforme petrolifere. Ed è per
difendere la loro proprietà che essi intendono costruire una base
militare a Starij Krym, dove in futuro collocheranno i loro soldati.
Questa non è certo la fase preparatoria di semplici manovre, come ci
vogliono far credere il ministero degli affari esteri e quello della
difesa”, - ha affermato Boldyrev.

Inoltre, i contestatori ritengono che la permanenza del carico
militare nel porto sia illegale: nella Costituzione dell’Ucraina
esiste il divieto allo stazionamento di qualsiasi forza e tecnologia
militare straniera sul territorio nazionale senza l’autorizzazione
della Rada Suprema.

La questione dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO rappresenta uno
dei più scottanti problemi per l’Ucraina. La “coalizione arancione”,
che è giunta al potere alla fine del 2004, ha indicato quale compito
prioritario l’ingresso nell’UE e nella NATO. E’ la direttrice chiave
della politica estera di Viktor Juschenko. Ma non dei suoi avversari
politici: le sinistre e le forze che fanno leva sull’elettorato
orientale si pronunciano categoricamente contro l’adesione alla NATO.
Secondo un sondaggio del centro Razumov, rappresentano circa il 61%
della popolazione.

E’ evidente che il problema dell’integrazione euroatlantica crea una
polarizzazione nel tessuto sociale, che viene utilizzato da
organizzazioni filo-russe come “Proryv”, creata quale contrappeso al
movimento “Fratellanza studentesca”, che si era recentemente mosso
contro la presenza in Crimea della Flotta russa del Mar Nero.

Il tema dell’ingresso dell’Ucraina nella NATO ha assunto così un
significato particolare nel confronto politico. I sostenitori
dell’ingresso nella NATO cercano di dimostrare di assecondare le
esigenze sollevate dai partiti alleati, mentre i nemici dell’adesione
cercano di sfruttare a loro favore eventuali punti di contatto con i
partiti della “coalizione arancione”. In tal modo, “Nostra Ucraina” e
il Blocco di Julija Timoshenko (le forze “arancioni” filo-
occidentali) hanno cercato di trovare un accordo con il Partito
Socialista (recalcitrante sull’adesione alla NATO) sulla questione
della NATO. Si sarebbe deciso di risolvere la questione riguardante
l’adesione solo attraverso un referendum nazionale. Il Partito delle
regioni, che non ha ancora perso la speranza di vedere formata una
coalizione “arancione-azzurra”, ha dichiarato di voler sostenere
l’idea della convocazione di un referendum. E nel caso si svolgesse
entro due o tre anni e il governo riuscisse a convincere il 60% della
popolazione del paese dell’utilità di tale politica, allora “noi ci
arrenderemmo all’evidenza e saremmo disposti a votare per questo
nella Rada Suprema”, - ha dichiarato Taras Ciornovil (uno dei
segretari del partito).

Si capisce che difficilmente Juschenko acconsentirà a porre al
referendum un quesito chiaro in merito all’ingresso nella NATO,
poiché sa di non poter contare sulla maggioranza dei consensi. Mentre
il Partito delle regioni continuerà ad impegnarsi con tutte le sue
forze sul tema della lotta contro la NATO. Il 22 maggio è stato
lanciato un movimento che si batte per l’attribuzione all’Ucraina
dello status di paese fuori dai blocchi. Promotori del movimento sono
il presidente del consiglio politico del Partito delle regioni N.
Azarov, il deputato V. Zubanov, l’ex presidente dell’Ucraina Leonid
Kravchuk e l’ex segretario di Stato del ministero degli esteri A.
Cialij (…)

Traduzione dal russo di Mauro Gemma per www.resistenze.org

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www.resistenze.org - popoli resistenti - ucraina - 16-06-06

Prima vittoria della mobilitazione contro le esercitazioni della NATO
in Crimea

Dopo i quattro milioni e mezzo di firme raccolte attorno alla
proposta di un referendum anti-NATO, dall’Ucraina arriva un altro
inequivocabile segnale della difficoltà ad affermare il progetto di
annessione dell’ex repubblica sovietica al sistema di alleanze
politiche e militari dell’Occidente, avviato con la cosiddetta
“rivoluzione arancione” dell’inverno 2004-2005.

Anche se l’intero apparato dei media americani ed europei (a suo
tempo così sollecito e interessato a sottolineare tutti i passaggi
della “rivoluzione arancione” e ad enfatizzarne il significato) ha
cercato di minimizzare la portata dell’avvenimento, l’ampiezza delle
mobilitazioni che si sono sviluppate nei giorni scorsi contro le
esercitazioni militari (“Sea Breeze 2006”) dell’Alleanza Atlantica
nel mare e nei porti della penisola di Crimea e, in particolare,
contro l’arrivo, il 27 maggio scorso, di 249 marines nella località
balneare di Feodosia, ha messo in evidenza il radicamento, la
consapevolezza e l’efficacia di un movimento che non intende
arrendersi di fronte alle pretese del “nuovo ordine” imperialista e
con il quale anche le sinistre e i militanti antimperialisti del
nostro paese avrebbero il dovere di interloquire e solidarizzare,
senza considerarlo (come si legge in alcuni distaccati commenti)
quasi alla stregua di un marginale fenomeno di “nostalgia sovietica”
o, peggio, di nazionalismo russo.

Quando il presidente dell’Ucraina Viktor Juschenko ha firmato il
decreto che autorizzava le manovre militari che, nell’ambito del
programma “Partnership per la pace” in vigore dal 1997, per la prima
volta prevedevano lo sbarco a terra di truppe NATO, nessuno era
francamente in grado di prevedere una risposta popolare delle
dimensioni registrate in questi giorni nella penisola del Mar Nero.

Ha cominciato il parlamento locale della Crimea – che è repubblica
autonoma, popolata in maggioranza da russi, in passato parte
integrante della Russia e solo nel 1954, ai tempi dell’URSS,
assegnata all’Ucraina con un decreto di Nikita Krusciov – che, in
seduta straordinaria, ha chiesto la sospensione delle esercitazioni,
in quanto non legittimate dal voto della Rada, e il divieto d’accesso
alle truppe USA e NATO. Nel frattempo le municipalità di alcune
località costiere della Crimea proclamavamo il litorale “zona libera”
dalla NATO e, con l’appoggio dei partiti filo-russi e di sinistra (in
particolare comunisti, progressisti socialisti e “Partito delle
regioni”) che hanno dato vita a un imponente fronte unitario,
invitavano la popolazione a mobilitarsi con incisive azioni di
“disobbedienza civile” per impedire lo svolgimento delle operazioni,
che prevedevano tra l’altro la collocazione sul suolo crimeano di un
enorme quantitativo di materiale bellico. La reazione della società
civile locale suscitava immediatamente un’ondata di solidarietà che
investiva tutte le regioni ucraine e persino la Russia, dove la Duma
(il parlamento ) approvava all’unanimità una mozione di censura della
nuova ingerenza occidentale e il ministro degli esteri Lavrov
ribadiva con toni energici la contrarietà del suo paese all’ipotesi
di adesione dell’Ucraina all’Alleanza atlantica.

All’appello delle amministrazioni locali e dei partiti di opposizione
hanno risposto diverse migliaia di persone che incessantemente, per
parecchi giorni, con picchetti, cortei, blocchi stradali, hanno
letteralmente impedito ogni movimento dei marines, obbligandoli a
trincerarsi in un albergo. Neppure il tentativo di alcune centinaia
di fascisti ucraini appartenenti al movimento “Pora”, convogliati con
autobus in Crimea, di forzare l’assedio è riuscito. La decisa
reazione dei cittadini crimeani ha ben presto costretto i
“rivoluzionari arancione” ad abbandonare il campo, con tutto il loro
bagaglio di armi improprie e di striscioni inneggianti alla “NATO,
baluardo di democrazia e libertà”.

Manifestazioni di massa si sono svolte anche in altre località del
paese, in particolare nella parte orientale, abitata in maggioranza
da russi e russofoni, e naturalmente più ostile al riorientamento
filo-occidentale della politica estera del governo di Kiev. Il
movimento non ha però risparmiato neppure le altre regioni ucraine.
Anche nella capitale si sono registrati picchetti e iniziative di
piazza. Qui, in circostanze poco chiare (e nell’assoluta indifferenza
dei media di tutto il mondo), un giovane manifestante anti-NATO del
movimento “Per l’unità di Ucraina, Russia e Bielorussia” ha perso la
vita, colpito alla testa da un colpo di pistola.

Abbiamo detto dell’ampio fronte politico che si è costruito attorno a
questa vicenda.

Il Partito Comunista di Ucraina (KPU) ha richiesto le dimissioni del
ministro della difesa, Anatolij Gritsenko, e del ministro degli
esteri, Boris Tarasjuk, accusandoli di favorire la permanenza di
truppe straniere sul suolo nazionale, violando in tal modo la
Costituzione, che, tra l’altro, prevede lo status di neutralità per
l’Ucraina. Secondo il leader del KPU, Piotr Simonenko, il suo partito
sarebbe in possesso di informazioni che danno per certi lo sbarco in
forma massiccia di truppe americane sulle coste della Crimea e, in
sostituzione del contingente navale russo presente a Sebastopoli,
l’installazione di una base della marina USA in Crimea.

Ancora più dure le richieste del movimento “Opposizione Popolare”,
guidato dal Partito Progressista Socialista di Ucraina (PSPU).
Natalja Vitrenko, leader del PSPU, ha avanzato la proposta di una
mozione parlamentare di sfiducia nei confronti dello stesso Juschenko
e chiesto l’avvio di un procedimento giudiziario a carico dei
responsabili della sicurezza e del servizio di frontiera per avere
facilitato l’ingresso delle imbarcazioni della NATO nei porti del
paese. La rivendicazione della Vitrenko è stata fatta propria dai
manifestanti di Feodosia, tra i quali risaltava la presenza dei
militanti del suo partito, particolarmente radicato e attivo nelle
regioni del sud-est del paese ed escluso per un soffio dal parlamento
nelle elezioni legislative del marzo scorso, soprattutto in virtù
degli enormi brogli registrati a suo danno.

Decisiva ai fini della riuscita della mobilitazione è stata la
posizione assunta dal principale partito politico ucraino, il
“Partito delle regioni”, diretto dall’ex premier Viktor Janukovic,
estromesso dalla presidenza della repubblica dopo la ripetizione del
voto nelle ultime elezioni presidenziali avvenuta in seguito alla
vittoria della “rivoluzione arancione”. Il “Partito delle regioni”,
prima forza politica del paese con oltre il 30% dei voti e
considerato portavoce degli interessi delle lobby filo-russe, ha
partecipato attivamente alle manifestazioni, impegnando tutti i suoi
uomini presenti in forze nelle amministrazioni locali del sud-est
ucraino, a cominciare dal governo locale della Crimea, e in tal modo
ha offerto un apporto decisivo alla creazione di efficaci forme di
“contropotere” rispetto all’ingerenza del governo di Kiev nella
repubblica autonoma. Ma non si è limitato a questo. Esso si è fatto
promotore di iniziative a livello nazionale, quali la proposta della
formazione di un gruppo interparlamentare alla Rada, in grado di
raccogliere tutti i deputati (i comunisti, innanzitutto) che si
oppongono all’adesione dell’Ucraina alla NATO e che si pronunciano
per la neutralità del paese e il mantenimento di stabili legami con
la Russia e con le altre repubbliche che occupano lo spazio post-
sovietico.

In tal modo, il largo fronte che non ha lasciato sole le popolazioni
della Crimea e che ha visto finalmente unite, su un tema tanto
importante come quello della difesa della pace, dell’indipendenza e
della neutralità, tutte le forze dell’opposizione (e persino pezzi
significativi della sempre più traballante coalizione “arancione”,
come dimostrano la presa di posizione anti-NATO dei socialisti e la
partecipazione alle manifestazioni di alcuni esponenti del “Blocco
Timoshenko”) ha fatto si che la prima fase del braccio di ferro con
il presidente Juschenko si sia conclusa a favore del movimento.

Il comando navale USA, di fronte all’impossibilità per i suoi soldati
addirittura di muoversi in un territorio completamente ostile, ha
deciso che l’intero contingente abbandonasse Feodosia, per fare
ritorno – accompagnato fino all’aeroporto di Simferopoli da migliaia
di dimostranti, che scandivano slogan contro la NATO e inneggianti
all’amicizia con la Russia – nella base militare di Rumsfeld in
territorio tedesco. Uno smacco che gli “yankee”, poco avvezzi a
subire simili umiliazioni, non avevano certo previsto.

Nel frattempo le autorità britanniche annullavano, rinviando “a data
da destinarsi”, un’iniziativa analoga a quella statunitense,
programmata per le prossime settimane.

E’ fuori di dubbio che ci troviamo di fronte a una significativa
vittoria del movimento pacifista e degli antimperialisti della Crimea.

Forse è ancora troppo presto per affermare che esso sarà in grado di
sventare definitivamente ogni progetto annessionista della NATO.
L’importanza strategica del controllo dell’Ucraina, in particolare ai
fini di un ridimensionamento del nuovo ruolo protagonista della
Russia di Putin, è troppo rilevante perché “l’osso venga mollato”
così velocemente.

E’ certo comunque che la rottura del “muro del silenzio” attorno alle
ragioni del popolo di Crimea e la manifestazione della più ampia
solidarietà internazionale (a cominciare da quella del movimento per
la pace europeo) molto possono incidere nei futuri sviluppi della
vicenda.

Mauro Gemma per www.resistenze.org - 15/6/2006

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www.contropiano.it

Crimea: la popolazione locale assedia le truppe della NATO

Alla popolazione filo-russa dell'Ucraina le esercitazioni della Nato
proprio non vanno giù. Di fronte alle proteste i circa duecento
soldati americani giunti in Crimea per preparare le manovre
dell'Alleanza Atlantica in programma per quest'estate si sono
trincerati dentro l'edificio loro destinato e hanno sospeso le
operazioni di carico nel porto di Feodosia.
Se lo slogan preferito dagli abitanti è "Yankees go Home", il
presidente Viktor Yushchenko ha detto che quella di permettere le
esercitazioni è una decisione politica che non cambierà.
Formalmente l'Ucraina è legata alla Nato tanto quanto lo è la Russia,
cioè con un blando accordo di collaborazione ma nelle intenzioni di
Kiev c'è l'ingresso a pieno titolo nell'alleanza.
Sul fronte opposto il consiglio regionale della Crimea ha votato il
divieto di permanenza per le truppe occidentali. Esprimendosi in
russo, il consigliere Sergei Velizhansky ha inveito: "L'esercito e il
governo hanno violato la costituzione permettendo a soldati stranieri
di entrare nel territorio ucraino. Non avevano il diritto di farlo".
La Crimea è entrata a far parte dell'Ucraina solo nel 1954 e nella
penisola è ancorata anche la flotta russa del Mar Nero.
Le manovre internazionali, alle quali dovrebbero partecipare le forze
armate di 17 Paesi, sono viste dall'opposizione come un tentativo
della Nato di impiantarsi nell'area.

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www.resistenze.org - popoli resistenti - ucraina - 05-06-06

Agenzia REGNUM (Russia)
26 maggio 2006

http://www.regnum.ru/english/646824.html

Ucraina: il Partito delle Regioni propone la costituzione di un
gruppo interparlamentare anti-NATO

Il Partito delle Regioni ucraino sostiene l’idea della costituzione
alla Rada Suprema di un gruppo interparlamentare per la neutralità
dell’Ucraina. Lo ha dichiarato il capogruppo parlamentare del Partito
delle Regioni Evghenij Kushnaryov al corrispondente dell’agenzia REGNUM.
Kushnaryov è in sintonia con l’iniziativa del collega di partito
Vladimir Zubanov, che ha proposto ai parlamentari della nuova Rada
Suprema di unirsi in gruppo parlamentare per assicurare lo status
neutrale e non allineato dell’Ucraina nel corso di una tavola rotonda
sul tema “La neutralità dell’Ucraina: problemi e miti”, svoltasi a
Kiev il 22 maggio.
Evghenij Kushnaryov ha ricordato di essersi espresso nella recente
campagna elettorale contro l’adesione dell’Ucraina a qualsiasi blocco
militare, e in primo luogo alla NATO.
Secondo quanto afferma il leader del Partito delle Regioni, queste
idee sarebbero condivise anche dal Partito Comunista e dal Partito
Socialista.
La leadership di quest’ultimo partito ha più volte dichiarato che
l’Ucraina dovrebbe attuare una politica di attiva neutralità.
Se i socialisti (oggi alleati con gli “arancioni” filo-NATO)
dovessero abbandonare questa posizione di principio, subirebbero un
drastico calo di consensi, in primo luogo tra la gente delle
campagne, ha fatto notare il parlamentare.
Non ci dovrebbero perciò essere ostacoli alla realizzazione di un
gruppo comune dei socialisti, dei comunisti e del Partito delle
Regioni che promuova l’idea della legalizzazione dello status di
neutralità dell’Ucraina.

Traduzione per www.resistenze.org a cura del
Centro di Cultura e Documentazione Popolare


=== ENGLISH ===

http://www.nrcu.gov.ua/index.php?id=148&listid=29483
National Radio Company of Ukraine
June 5, 2006

Protest actions against holding "Sea Breeze-2006" exercises keep on
in Crimea

It is for a whole week now that pro-Russian and
left-wing parties' supporters are blocking Feodosia
sea port to which a commercial US "Advantage" entered
with materials and equipment for the construction
project.

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http://www.nrcu.gov.ua/index.php?id=148&listid=29496
National Radio Company of Ukraine
June 5, 2006

Party of Regions threatening to block work of parliament on June 7

This will be done if the issue of the stay of the
American military in Feodosiya is not included into
the session agenda, chief of the party political
council Yevhen Kushnariov said at a today press
conference.
According to Kushnariov, the Party of Regions will
demand to suspend the presidential decree on
continuation of preparations for the international
military exercises in Ukraine.
"We also demand send the Foreign Minister, Defense
Minister and other officials, who permitted the
military contingent of third nations to Ukraine,
packing," Kushariov said.
As he told the journalists, the Party of Regions will
initiate passing a bill to confirm Ukraine's neutral
status.

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http://www.interfax.kiev.ua/eng/go.cgi?31,20060605005
Interfax-Ukraine
June 5, 2006

Crimean parliament against holding of Sea Breeze- 2006 exercises

Kyiv - The presidium of the Crimean Supreme Council
has expressed concern about the aggravation of the
situation in the autonomy following the unloading of
U.S. military cargo in Feodosia.
"The presidium of the Supreme Council of the
Autonomous Republic of Crimea is deeply concerned
about the aggravation of the political situation in
the autonomy caused by the thoughtless steps of the
Ukrainian Defense Ministry to unload U.S. military
goods at Feodosia and the arrival of a large group of
U.S. servicemen at Simferopol airport," says a
statement by the presidium received by Interfax on
Monday.
"Given the present situation, the presidium finds it
inexpedient to conduct the Sea Breeze-2006 exercise in
the territory of the autonomy," the statement says.

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http://en.for-ua.com/news/2006/06/05/104101.html
ForUm (Ukraine)
June 5, 2006

Crimea accuses Defense Ministry of “unreasoned actions”

The Presidium of the Verkhovna Rada of Crimea
considers it inexpedient to conduct exercises
“Sea-Breeze-2006” in Crimea.
The presidium delivered a statement, in which it
expressed worry about aggravation of the public and
political situation in the autonomy.
In particular, the statement says that “unreasoned
actions of Defense Ministry as regards unshipping of
US military load in Feodosia port and arrival of US
military men in Simferopol airport caused aggravation
of the situation.”
According to the document, the government of the
Crimea autonomy republic has not even been informed
about the conduct of these exercises, which is a
violation of constitutional regulations as regards the
autonomy authorities.
“Expressing interests of Crimea citizens, Presidium of
the Verkhovna Rada of Crimea appeals to the President
of Ukraine with the request to suspend cooperation of
Defense Ministry of Ukraine with US structures and
NATO on the territory of Crimean peninsula till the
issue is considered by the Verkhovna Rada of Ukraine.
Simultaneously the Presidium appeals to the Verkhovna
Rada of Ukraine with the request to consider the issue
urgently, as any delay can cause further escalation of
protest actions.
In the current public and political situation the
Presidium considers it inexpedient to conduct
exercises “Sea-Breeze-2006” on the territory of the
autonomy,” the statement says.

---

http://www2.pravda.com.ua/en/news/2006/6/5/5380.htm
Ukayinska Pravda
June 5, 2006

Yushchenko legitimated NATO ship

President Viktor Yushchenko implemented NSDC decision
on “Preparation of international military exercises
Sea-Breeze and Tight Knot 2006”.
According to the president’s press service, he signed
the decree on June 3.
Yushchenko stated that NSDC decision confirmed the
necessity of the international military exercises on
the territory of Ukraine.
The president also pointed out that NSDC drew
attention of local authorities to illegitimacy of
power abuse arising from the adopted decisions
forbidding international military exercises.
Local officials are strongly recommended to take
urgent measures stabilizing the situation.
At the same time the Interior Ministry and SBU are
commissioned to immediately expel foreign citizens
taking part in the protest actions on the territory of
Ukraine as well as to take preventive measures of
forbidding them to the country in future.
Interior Ministry and local authorities are
responsible for public security during the military
exercises while the bodies of the prosecutor’s office
should immediately give legal treatment of the
decisions adopted by local officials.
On Saturday the president also forwarded the bill
“Approval of allowing international military forces to
the territory of Ukraine in 2006 to take part in an
international military exercise” to be extra
considered by the Verkhovna Rada.

---

http://www.itar-tass.com/eng/level2.html?NewsID=9645083&PageNum=1
Itar-Tass
June 7, 2006

Feodosia police placed on alert

FEODOSIA - The police of the city of Feodosia,
Ukraine, has been placed on alert, a source in the law
enforcement agencies told Itar-Tass.
According to his information, “if the Supreme Rada
approves today the law on the deployment of foreign
troops in the Crimea, the police and the special task
force will start dispersing the rally held in square
near the port, as well as a picket outside the
sanatorium of the defence ministry, where some 250
U.S. marines are now hiding.”
On Tuesday the new police chief of Feodosia gave
guarantees to members of the city council that the
police would not take extraordinary measures against
the demonstrators on Tuesday night.
He kept his word, but he did not give guarantees for
Wednesday and the subsequent days, however.
People gathered in the square near the port to see
live TV broadcasting of a meeting of the Supreme Rada
from Kiev.
Fifty picketers are staying outside the sanatorium,
where the U.S. servicemen are hiding.
The Crimean parliament adopted a resolution on
Tuesday, which proclaimed the Crimea to be a NATO-free
territory.
The Supreme Rada is going to give a political and
legal evaluation of the stay of the U.S. troops in the
Crimea on its Wednesday meeting.
The MPs will discuss as well the issue on the delivery
of a cargo for the multinational military exercise Sea
Breeze-2006 by a U.S. vessel on May 27 without the
permission of the Supreme Rada.
Trying to legalize in retrospect the stay of the U.S.
troops in Ukraine, President Viktor Yushchenko
submitted to the Supreme Rada the draft law allowing
the coming of foreign troops to Ukraine for taking
part in multinational military exercises in 2006.
The presidential draft law was turned down by the
parliament three times, and, most probably, the same
thing will happen for the fourth time.
The opposition Party of Regions, led by ex-Prime
Minister Viktor Yanukovich, and the Communist Party of
Ukraine, led by Peter Simonenko, categorically oppose
the holding of NATO military exercises in Ukraine.
In addition to that, they favour Ukraine’s
non-membership in any military blocs. The Socialist
Party, led by Alexander Moroz, joined them.
Ukrainian Defence Minister Anatoly Gritsenko said in a
live programme of the 1+1 TV Channel on Tuesday that
if the Supreme Rada did not allow the holding of the
Sea Breeze-2006 military exercise in the Crimea, they
would not be held.

---

http://www.spacewar.com/2006/060608141233.lm6jlldh.html
Agence France-Presse
June 8, 2006

Ukraine-British military exercise postponed

KIEV - Joint Ukrainian-British military exercises that
were to have begun next week have been postponed
indefinitely, the Ukrainian defense ministry announced
Thursday, as anti-NATO protests continued in the
country.
"It has been postponed," a ministry spokesman told
AFP.
The decision to postpone the exercises involving the
Ukrainian and British air forces was made jointly by
the two countries, the Interfax news agency quoted
Ukrainian Defense Minister Anatoly Gritsenko as saying
in Brussels.

---

http://www.regnum.ru/english/654859.html
Regnum (Russia)
June 9, 2006

“Yushchenko wants to strengthen his shaky presidential
chair by NATO bayonets!” – Communists in Lugansk
(Ukraine)

On June 9, Lugansk Communists have staged a picket
against the presence of NATO troops in Ukrainian
territory.
As a REGNUM correspondent informs, about 50 picketers
marched through the city under slogans “No to illegal
military exercises of NATO fire-eaters” and
“Yushchenko wants to strengthen his shaky presidential
chair by NATO bayonets!”
According to the initiators of the action, “the picket
is a decision by Lugansk City Organization of the
Ukrainian Communist Party to show protest against
recent events in Feodosia. What is done in Crimea is
practically repeating the Yugoslavian scenario.”
The protesters also claim that under the pretence of
military exercises Americans are constructing military
bases in Ukraine, and under pretence of peacekeepers
introduce their troops.
“The country is under the threat of a civil war. Ukraine
is a non-allied state,” was resolution of the picket.

---

http://en.for-ua.com/news/2006/06/09/122845.html
ForUm (Ukraine)
June 9, 2006

Activist of All-Ukrainian movement killed in Kyiv

Yuri Khadartssev, activist of All-Ukrainian movement
“For Ukraine, Belarus and Russia”, was killed by two
shots into the head on June 8 in Solomensky district
of Kyiv.
As the political executive committee officials of the
movement reported, Khadartsev was directly responsible
for mobilization of the movement.
The day before the murder, the organization held a
protest action against “military incursion” of an
American ship into Crimea and against NATO military
exercises.
On the day of the murder the heads of All-Ukrainian
movement were supposed to discuss further strategy and
tactics of the action “NATO-stop”.

---

http://www.itar-tass.com/eng/level2.html?NewsID=9807629&PageNum=1
Itar-Tass
June 9, 2006

Kiev police detain suspect in anti-NATO movement activist murder

KIEV - During a search police operation a suspect in
the murder of activist of the Ukrainian national
movement “For Ukraine, Belarus and Russia” (ZUBR) Yuri
Khadartsev was detained, a source in the Kiev police
told Itar-Tass.
The motives for the murder are being investigated.
Criminal proceedings were instituted for the
premeditated murder.
The prosecutor’s office of the Solomensky district in
Kiev is investigating the case, the source said.
Khadartsev was killed by two shots in the head at the
cemetery in the Solomensky district of Kiev on June 8.
According to the ZUBR executive committee, Khadartsev
was in charge of the mobilization of members of the
ZUBR movement.
On the eve of the murder the ZUBR movement held a
picket in front of Verkhovnaya Rada, Ukraine’s
parliament, against the arrival of the US warship in
the Crimea and the NATO military exercises in Ukraine.
On the day the murder was committed the ZUBR
leadership was to discuss further strategy and tactics
of the action “NATO-Stop”.

---

http://www.regnum.ru/english/654053.html
Regnum (Russia)
June 9, 2006

Ukraine: Participants of the anti-NATO rally showed the door to Pora
out of Feodosia

On June 8, a bus with activists of the ‘orange’ Pora
Youth Organization arrived in Feodosia, where a protest
rally against NATO servicemen’s presence in Crimea was
conducted.
Wearing orange T-shirts and holding orange flags,
fixed on long fishing-rods, Pora activists formed a
column, which headed for sea port.
When they approached the rows of more than 500
protesters against NATO's presence in Crimea, carrying
a four-meter long “NATO is security!” banner,
negative reaction of the gathered people followed.
As a REGNUM correspondent informs, the flags and
transparencies were at once ripped, the fishing-rods
were broken, and orange persons were transported back
into the bus, which immediately departed, accompanied
by cheers of the anti-NATO activists.

---

http://www.plenglish.com/article.asp?ID=%
7BED5E83D1-1529-491B-94BC-7C3B455AFE96%7D)&language=EN
Prensa Latina
June 11, 2006

Anti-NATO Protests in Ukraine

Kiev - Communist leaders from Ukraine and Russia have
led large protests in the port of Fedosia, Ukraine, in
the last few days, to reject North Atlantic Treaty
Organization presence in the former Soviet republic.
President of Ukraine's Communist Party Pioter
Simonenko and his counterparts from Russia and Crimea,
Guennady Zyuganov and Leonid Granch, led the
demonstration under pouring rain.
Simonenko accused again the government of Viktor
Yushenko of betraying national interests, and recalled
that after the arrival and illegal unloading of a US
war ship in Fedosia, his group demanded the
application of sanctions.
We demand the resignation and trial of both, Foreign
Minister Boris Tarasyuk and Defense Minister Anatoly
Gritsenko, the progressive Ukrainian leader said.
On his part, Zyuganov made emphasis on the
long-standing friendship between the peoples of Russia
and Ukraine, which has been weakened in the last few
years under Western influence.
Wherever NATO goes, its presence brings blood and
tears, said the Russian leader in reference to
tragedies in the former Yugoslavia and Iraq.

---

http://www.spacewar.com/2006/060611114200.bbjoyifm.html
Agence France-Presse
June 11, 2006

US reservists begin leaving Ukraine after anti-NATO protests

FEODOSIA, Ukraine - About 200 US reservists began
leaving Crimea on Sunday to cheers of "Hurrah!" from
anti-NATO protesters who succeeded in blocking
preparations for military exercises in southern
Ukraine.
A first group of some 100 US military engineers left
their lodgings in Feodosia for Simferopol "from where
they will take a plane and return to their country,"
Ukrainian navy spokesman Volodymyr Bova said. "The
other half will follow tomorrow (Monday)."
....
Washington...was "chagrined" by the fact that the
reservists "could not complete their projects, which
would have been useful for the Ukrainian military,"
the US embassy spokesman in Ukraine, Brent Byers,
said.
....
"Yankee, don't bother to bring your weapons to our
home!" shouted one protester, watching the buses
evacuate the reservists from the region as a crowd of
demonstrators sang patriotic Russian songs.
Ukraine maintained that the troop withdrawal, taking
place about two days earlier than planned, did not
mean the cancellation of the NATO military manoeuvres
in Crimea set to start on June 17, Bova said.
"The holding of the exercises Sea Breeze 2006 will be
decided by parliament," which will consider the matter
on June 14, Bova said.
Sea Breeze 2006 was designed to strengthen ties
between the pro-Western government in Kiev and the
North Atlantic Treaty Organization (NATO).
Washington added that the withdrawal of the reservists
"will in no way influence our willingness to
utlimately cooperate with Ukraine," Byers said.
However opposition to NATO is strong in the Crimean
peninsula, an autonomous region within Ukraine, which
has pro-Russia leanings as it has been the homebase of
the Russian Black Sea fleet since its creation by
Catherine the Great in the late 18th century.
Crimea was transferred to Ukraine in 1954 by then
Soviet leader Nikita Khrushchev but remains populated
largely by Russians.
Besides local protests in Crimea, the planned
exercises also triggered reaction from Moscow, which
warned the United States and NATO not to push too hard
to bring Ukraine into the fold.
....
On Thursday, up to 2,000 anti-NATO demonstrators
protested outside the lodgings in Feodosia of the US
reservists.
While preparations for the Ukrainian-US maneuvers were
continuing, they would be held "only after adoption of
a law" authorizing these and other international
military exercises planned to be held by the end of
the year, Ukrainian Defense Minister Anatoly Gritsenko
said this week.
On Wednesday, Russia issued a sharp warning to the
United States and ex-Soviet republics looking to join
the NATO alliance, saying expansion of the bloc into
lands the Kremlin considers its backyard would have a
"colossal" and negative impact.
The lower house of the Russian parliament, the Duma,
also overwhelmingly approved a "message" to the
parliament of Ukraine expressing the "serious concern"
at Kiev's goal of joining NATO and saying this would
violate treaty agreements between the two countries.
The contentious atmosphere in Ukraine has led to the
postponement of another joint military exercise
between Ukraine and Britain.
The Ukrainian defense ministry said Thursday "in the
current situation" Kiev and London had decided
"unfortunately" to postpone manoeuvres which were
scheduled to start June 12. No new date has been set.

---

http://www.regnum.ru/english/655429.html
Regnum (Russia)
June 12, 2006

Marines departed from Crimea, leaving three politicians dead

The last group of US marines departed from Feodosia,
escorted by police cars.
They headed for Simferopol, to fly from there to
Germany.
The first group of 125 US servicemen left Crimea on
June 11, being brought by buses from Druzhba military
health center to Simferopol airport and further to
Ramstein US military base in Germany by two planes.
Six US servicemen are staying in Crimea to guard 70
containers with construction materials and military
equipment, brought for Sea Breeze-2006 maneuvers.
....
Ukrainian Communist Party Leader Pyotr Simonenko
labeled it as a “victory of the people, who stood up
to defend the constitution, laws, and Ukrainian
territorial integrity.”
At that, he added that the situation should become “a
lesson for all politicians, example of civil
consciousness and courage,” Expert-center informs.
Rallying Crimean residents are going to continue
protest actions, until the Ukrainian Supreme Rada
takes a decision on foreign troops’ presence in
Crimea.
They believe that the presence of a foreign military
contingent in Ukrainian territory contradicts the
country’s constitution, because the Ukrainian Supreme
Rada did not allow it.
Under a concatenation of circumstances, three persons
who openly participated in anti-NATO protests were
killed during protests in Ukraine.
An activist of the Ukrainian ZUBR (For Ukraine,
Byelorussia, and Russia) movement, responsible for
mobilization, Yuri Khadartsev, was killed by two shots
in the head on June 8.
On the same day, a member of Nezhin city council from
the Bloc of Yulia Timoshenko (BYT), Grigory Potilchak,
was killed by two shots in the head.
A member of the Zaporozhye city council from the BYT
faction Viktor Savkin was killed in his 13-year
daughter’s presence on June 10 in Yalta.
On June 6, members of Crimean Legislative Assembly
proclaimed the peninsular “territory without NATO,”
prohibiting transportation of military equipment.

---

http://www.itar-tass.com/eng/level2.html?NewsID=10572137&PageNum=0
Itar-Tass
June 27, 2006

Ukrainian court postpones verdict for anti-NATO protesters

KIEV - The court of the Ukrainian town of Feodosia on
Tuesday postponed, until June 30, the announcement of
the verdict for a group of activists of anti-NATO
protests, a representative of the protesters told
Itar-Tass by telephone.
The defendants face an administrative penalty "for
violating the procedure for holding pickets and
demonstrations," he said.
The protests against the illegitimate visit and
unloading of a U.S. ship rocked Ukraine in the first
days of summer. Many Crimean towns and a number of
political parties rallied against the Sea Breeze 2006
exercise which the parliament had not sanctioned.
Yielding to this pressure, the U.S. military
contingent numbering more than 200 people left Ukraine
on June 11 and 12.
Kiev then ordered police to punish those who disagree
with the foreign policy pursued by "the orange
government," throwing absurd accusations against the
organizers of the pickets.
Among those accused is Nelli Protasova, 70, a 2nd
group invalid, who had joined rallies against the
unsanctioned drill and the bringing of weapons in the
territory of the country.
A representative of the Party of Regions told Tass
that "the Party of Regions keeps a hand on the pulse
of the events taking place in Feodosia after the U.S.
contingent quit Ukraine under the onslaught of
progressive political forces."
The Party "won't let its compatriots be offended,
won't allow to trample on the Constitution, and will
defend their rights," he underlined.


=== FRANCAIS : LIENS ===

Crimée, La population bloque l’OTAN : Ce que ne vous dit pas la
presse Occidentale
De : sarah Pétrovna Struve - mardi 6 juin 2006
http://bellaciao.org/fr/article.php3?id_article=29022

Iouchtchenko exige l'expulsion des étrangers participant aux
manifestations de protestation
Le parlement de Crimée contre les exercices militaires étrangers
La Crimée zone interdite à l'OTAN: une spéculation politique
(Iouchtchenko)
Le ministre ukrainien de la Défense reconnaît qu'un navire américain
a acheminé des armes en Crimée
http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/message/876

"Yankee go home", l'OTAN conspuée en Crimée
7 juin 2006
http://www.lescommunistes.org/article.php3?id_article=942

Les militaires américains quittent l'Ukraine sous la pression des
manifestants
11 juin 2006
http://www.lescommunistes.org/article.php3?id_article=945

Les marines américains contraints de quitter la Crimée
EuroNews, 11 juin 2006
http://www.euronews.net/create_html.php?
page=detail_info&article=363550&lng=2

Zagreb s´engage à changer l´image négative de l´Otan auprès des Croates

ZAGREB,(AFP, 6/07/06) - Le Premier ministre Ivo Sanader qui souhaite
intégrer en 2008 la Croatie dans l´Otan s´est engagé jeudi (6
juillet) devant son secrétaire général, Jaap de Hoop Scheffer, à
changer l´image négative de l´Alliance auprès des Croates,
majoritairement hostiles à l´adhésion.
"Notre devoir est de mettre en place une stratégie de communication à
travers laquelle nous nous engagerons davantage pour expliquer (à la
population) ce qui est l´Otan aujourd´hui, ainsi que l´importance de l
´adhésion croate", a déclaré M. Sanader à la presse, après avoir
rencontré M. de Hoop Scheffer.
Alors que l´intégration à l´Otan en 2008 est un "objectif
stratégique" du gouvernement de Zagreb, seulement 29 % de la
population soutient cette idée et 54 % s´y opposent, selon un récent
sondage.
M. Sanader a expliqué que cette réticence de ses compatriotes s
´expliquait par une confusion mélangeant l´intervention américaine en
Irak et l´Otan.
"L´Otan n´est pas l´Irak mais une alliance qui défend des valeurs du
monde moderne", a-t-il dit.
M. de Hoop Scheffer a affirmé pour sa part qu´"un soutien plus large
à l´Otan (était) nécessaire au sein de la population" croate et
ajouté que l´Otan aiderait le gouvernement croate dans ses efforts.
Il a loué des "progrès énormes" réalisés par la Croatie depuis sa
dernière visite à Zagreb il y deux ans.
Mais il a également exhorté les autorités locales à faire davantage d
´efforts dans la réforme de la défense et du système judiciaire,
ainsi que dans la lutte contre la corruption.
M. de Hoop Scheffer a aussi qualifié de "trop sombres" des
affirmations de certains médias locaux quant à la "lassitude" de l
´Otan dans le processus de son élargissement.
"Je m´attends à un signal positif à Riga et je peux aussi dire qu´il
y aura une suite" concernant la Croatie , a-t-il affirmé.
Fin juin, M. de Hoop Scheffer a déclaré que l´Otan n´adresserait
aucune nouvelle invitation à rejoindre l´Alliance lors de son
prochain sommet à Riga, en novembre.
"Je suis convaincu que les citoyens croates s´attendent à ce que le
gouvernement leur explique pourquoi ils devraient intégrer l´Otan,
mais ils s´attendent aussi à un signal positif des alliés", a ajouté
le chef du gouvernement croate.
Regroupées au sein d´une "charte adriatique", parrainée par les Etats-
Unis qui ont promis leur soutien à une future adhésion, la Croatie ,
la Macédoine et l´Albanie souhaitent vivement recevoir un signal
positif quant à leur intégration, à l´occasion de ce sommet.
Le gouvernement de Zagreb a récemment indiqué que la Croatie
investira d´ici 2015 quelque 1,2 milliard d´euros dans la
modernisation de son armée, qu´elle entend entièrement
professionnaliser dans ce délai, afin de l´aligner aux standards
requis par l´Otan.
D´ici 2010, le budget militaire de la Croatie devrait représenter 2%
du PIB, un montant demandé par l´Otan à tous les futurs adhérents. La
Croatie consacre actuellement environ 1,7% de son PIB à ses forces
armées.


Source : http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages
Liste gérée par des membres du Comité de Surveillance OTAN.

Lo sterminio psicologico del popolo jugoslavo

Riproduciamo di seguito un breve, ottimo, raro articolo sulla
questione jugoslava.
Che dice cose giuste ed evidenti, eppure ci fa male leggerlo, per due
motivi: il primo, perchè, pur lamentandola e biasimandola, pretende
di decretare la "morte certa" del popolo jugoslavo; il secondo,
perchè appare sul sito delle analisi politiche di... Forza Italia.
Come è possibile che queste giuste, chiare, ovvie parole di rimpianto
per l'Unità e la Fratellanza dei popoli slavi, che la critica contro
la invenzione tutta politica (razzista) delle "neolingue" e contro le
secessioni - ultima in ordine di tempo, quella montenegrina - non si
possano quasi mai leggere sulla stampa di sinistra, e spuntino fuori
invece laddove meno te lo aspetti? (I. Slavo)


http://www.ragionpolitica.it/testo.5822.morte_una_nazione.html

Morte di una Nazione

di Alexandra Javarone - 5 giugno 2006

Il processo elettorale in Montenegro è giunto al termine:
l'indipendenza è stata legittimata dalla vittoria del «sì» alla
secessione. Questo piccolo Stato, una volta facente parte
dell'annientata Jugoslavia, si affaccia ora all'idea dell'Unione
Europea. Unione che suona più come una contraddizione in un Paese già
devastato dallo spirito separatista. In parte, l'opinione pubblica
guarda con favore all'apertura dell'Europa verso i Paesi dell'Est.
Questo perché la versione ufficiale dei fatti scaturisce da una
millimetrica sottrazione della scomoda, muta realtà: una verità che
trasuda, invece, dalle parole di una giovane croata che abbiamo
intervistato. Si parla d'indipendenza, ma non di regioni instabili,
economie traballanti o problemi sociali. Si fa avanti il programma
dell'ammissione all'Europa, a condizione di solidità politica ed
economica, ma non si auspica una vera tolleranza tra gli Stati slavi.

Varcando le porte di Zagreb, non pare di entrare nella Croazia libera
dalla guerra e dall'oppressione, pare invece di scorgere un'economia
ed un substrato sociale atterriti dallo spettro del comunismo dagli
effetti devastanti dell'isolamento dal mercato mondiale e dal
conflitto degli anni '90: l'eredità di una guerra mossa da spirito di
autodeterminazione nazionalistica e dall'intolleranza verso i propri
fratelli. In una via del centro di Zagreb, ci accoglie in casa Jelena,
una donna di trentacinque anni, un magistrato. Guadagna bene, circa
cinquecento euro al mese, accetta, con piacere immenso, i vestiti
usati portati in dono dall'Italia. Jelena possiede un'automobile
acquistata a rate, la chiama un «flebile sintomo di benessere» dato
che lei ha potuto permettersela solo perché, vivendo con la sua
famiglia non ha grandi spese e non ha progetti per il futuro:
«probabilmente non mi sposerò mai, gli uomini della mia età hanno
combattuto per l'indipendenza e quelli che non sono morti trovano
un'unica consolazione per i drammi, subiti ed inferti, nelle droghe e
nell'alcol».

Lo scorso inverno questo flagello ha portato via anche suo padre
Stevan, un rinomato professore universitario di slavistica. Ha
dedicato, racconta la figlia, una vita intera all'insegnamento del
comune idioma che, pur presentando delle piccole variazioni da regione
a regione, mai avrebbe avuto bisogno del «dizionario delle differenze
tra la lingua serba e croata» (scritto da V. Brodnjak nel 1993).
Stevan ha dovuto veder infrangersi i suoi sogni di partigiano di una
Jugoslavia libera e non contaminata, ma arricchita dalle diversità
culturali. Racconta: «la campagna delle radio e delle televisioni,
mirante alla sconfessione della lingua comune ed a rendere fermo un
nazionalismo artificiale, fu incessante».

È dunque questo il risultato delle manipolazioni operate delle fazioni
dominanti le quali hanno mascherato i loro sotterranei interessi
politici ed economici con un sentimento etnico fin troppo
sopravvalutato, spingendo al reciproco massacro l'ormai defunto Popolo
Jugoslavo, portandolo al rifiuto del suo proprio patrimonio culturale,
alla negazione del passato, dell'indiscutibile mescolanza di etnie ed
a una feroce intolleranza. «L'indipendenza di questi paesi ha posto
fine alla guerra ma nulla potrà dare senso allo sterminio psicologico
del popolo slavo, alla pesante influenza della falsa ideologia
etnico-separatistica dei signori della guerra».

Alexandra Javarone


NON VOTATE QUELLA MISSIONE
 
ASSEMBLEA  NAZIONALE A ROMA
SABATO 15 LUGLIO ore 9.30
CENTRO CONGRESSI FRENTANI
via dei Frentani, 4

Un'assemblea autoconvocata a Roma dei deputati e senatori pacifisti e da numerosi esponenti delle organizzazioni  pacifiste e contro la guerra.
Si discuterà di come rafforzare le ragioni di chi chiede il ritiro delle truppe senza se e senza ma dall'Iraq e dall'Afghanistan.

Scarica il volantino della iniziativa:

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CONTRO LA GUERRA SENZA SE E SENZA MA
Via dall’Iraq, via dall’Afghanistan

Assemblea autoconvocata
Sabato 15 luglio, ore 9,30
Roma, Centro Congressi Frentani - via dei Frentani 4

Interverrà in videoconferenza da Kabul Gino Strada

Partecipano:
Vittorio Agnoletto, don Aldo Antonelli, Riccardo Bellofiore, Silvio
Bergia, Piero Bernocchi, Marco Bersani, Norma Bertullacelli, Giorgio
Bocca, Emiliano Brancaccio, sen. Mauro Bulgarelli, on. Alberto
Burgio, Beppe Caccia, Pino Cacucci, Maurizio Camardi, Luciano
Canfora, on. Salvatore Cannavò, Mariella Cao, Sergio Cararo, Massimo
Carlotto, Barbara Casadei, Mauro Casadio, Luca Casarini, on. Paolo
Cento, Stefano Chiarini, Giulietto Chiesa, Enzo Collotti, Giorgio
Cremaschi, Angelo Del Boca, don Vitaliano Della Sala, sen. José Luiz
Del Rojo, Nadia De Mond, sen. Loredana De Petris, Tommaso Di
Francesco, Manlio Dinucci, Mario Dogliani, Angelo d’Orsi, Valerio
Evangelisti, Ferdinando Faraò, Dario Fo, Jacopo Fo, on. Mercedes
Frias, don Andrea Gallo, sen. Fosco Giannini, Nella Ginatempo, Haidi
Giuliani, sen. Claudio Grassi, Beppe Grillo, Sabina Guzzanti,
Margherita Hack, Enzo Jannacci, Paolo Leonardi, Walter Lorenzi, Piero
Maestri, sen. Luigi Malabarba, Maurizio Mantani, Mario  Martinelli,
Alberto Masala, Alessandra Mecozzi, Enrico Melchionda, Alessandro
Metz, Milva, Gianni Minà, Mario Monicelli, Raul Mordenti, Luciano
Muhlbauer, Gavino Murgia, Alfonso Navarra, Maso Notarianni, Diego
Novelli, Emma Nuri Pavoni, sen. Anna Maria Palermo, Maurizio
Pallante, on. Gianluigi Pegolo, Enrico Piovesana, Riccardo Pittau,
Massimo Raffaeli, sen. Franca Rame, Riccardo Realfonzo, sen. Fernando
Rossi, Paolo Rossi, on. Franco Russo, Paolo Sabatini, sen. Cesare
Salvi, Luciano Scalettari, Vauro Senesi, sen. Gian Paolo Silvestri,
Nando Simeone, Bruno Steri, Bebo Storti, Gigi Sullo, Stefano
Tassinari, sen. Dino Tibaldi, sen. Franco Turigliatto, sen. Olimpia
Vano, don Alberto Vitali, Luciano Zambelli, Adriana Zarri

Aderiscono
Assalti frontali, Banda Bassotti, Cisco, La Gang, Modena City Ramblers,
Radici nel cemento

---

Afghanistan, il nostro voto sarà NO

Dichiarazione di Mauro Bulgarelli (Verdi), Loredana De Petris (Verdi), Fosco Giannini (Prc), Claudio Grassi (Prc), Gigi Malabarba (Prc), Fernando Rossi (Pdci), Giampaolo Silvestri (Verdi), Franco Turigliatto (Prc).

"La proroga della missione militare in Afghanistan, che il Consiglio dei ministri si prepara a varare venerdì, non contiene elementi di discontinuità con le politiche attuate dal governo Berlusconi". Lo affermano i senatori Mauro Bulgarelli (Verdi), Loredana De Petris (Verdi), Fosco Giannini (Prc), Claudio Grassi (Prc), Gigi Malabarba (Prc), Fernando Rossi (Pdci), Giampaolo Silvestri (Verdi), Franco Turigliatto (Prc).
"Non basta la riduzione di qualche centinaio di militari (su questo vedremo concretamente i numeri del decreto) a cambiare la natura di un impegno, che anzi oggi supera di gran lunga quanto previsto nel 2002. Il comitato parlamentare di monitoraggio, senza neppure definire un tempo di verifica per la missione, non è sufficiente a cambiare la natura di una scelta che abbiamo sempre avversato. In ogni caso non siamo stati eletti per votare una proroga ad una missione militare nei confronti della quale abbiamo sempre detto di no e che non è contenuta nel programma. Se l'esecutivo, sull'Afghanistan, fa una proposta simile a quella del precedente governo non può meravigliarsi di non avere il nostro voto e di trovare quello di qualche settore del centro destra. E' quanto avvenuto in questi anni con il voto bipartisan, a cui i parlamentari pacifisti hanno per ben otto volte detto no. Se il decreto non verrà cambiato, con un esplicito riferimento ad una exit strategy dall'Afghanistan, il nostro voto al Senato sarà no".

28/06/2006

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Esprimo il mio personale apprezzamento per la vostra coerenza

di Noam Chomsky

Cari amici,
ho appreso della vostra coraggiosa presa di posizione contro la partecipazione dell'Italia a operazioni militari della Nato, che si sta convertendo in una forza di intervento internazionale subordinata agli Stati Uniti. L'espansione della Nato a Est, in violazione delle chiare garanzie date a Gorbaciov che aveva concordato l'unificazione della Germania nel quadro della Nato, costituiva già una gravissima minaccia alla pace e alla sicurezza internazionale, al di là dello stesso inganno.
Il nuovo e sempre più ampio ruolo che la Nato sta assumendo costituisce una seria minaccia all'ordine internazionale. Voglio esprimervi il mio personale apprezzamento per la vostra coerenza nel difendere i principi dell'art. 11 della Costituzione Italiana che recita: "L'Italia ripudia la guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali; consente in condizioni di parità con gli altri stati, alle limitazioni di sovranità necessarie ad un ordinamento che assicuri la pace e la giustizia tra le nazioni; promuove e favorisce le organizzazioni internazionali rivolte a tale scopo".

Sinceramente vostro,
Noam Chomsky

07/07/2006

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Il manifesto, 12 luglio 2006

Una lettera aperta a Fausto Bertinotti

Tariq Ali «Se il Prc voterà per la missione Nato, sarà una tragedia»

Tariq Ali

Caro Fausto,

ho appreso con stupore che Rifondazione comunista si prepara a votare in
favore del mantenimento delle truppe italiane in Afghanistan «per motivi
umanitari». Voglio provare a convincerti che questa decisione
rappresenterebbe un grave errore, così come nel secolo scorso provai a
persuadere chi a sinistra appoggiava l'intervento sovietico a Kabul.

Le grandi potenze o gli stati che agiscono in loro nome non hanno alcun
diritto di occupare altri paesi. I due principali progetti dell'ordine
globale neo-liberale sono stati:
1) convincerci che il nuovo capitalismo rappresenti l'unica via
possibile per organizzare l'umanità, da questo momento fino a quando il
pianeta non imploderà; 2) trascurare, in nome dei «diritti umani», la
sovranità nazionale come fattore chiave delle relazioni internazionali.

Poche settimane dopo l'11 settembre, alla televisione canadese ho
discusso per un'ora con un importante ideologo di George W. Bush,
Charles Krauthammer. Quest'ultimo ha ammesso che il conflitto in
Afghanistan ha rappresentato - come io l'avevo definito - «una pura
guerra di vendetta». Qualche giorno fa la Cia ha smantellato l'unità
speciale (la Alec station, ndt) creata per catturare Osama bin Laden, un
riconoscimento implicito del fatto che la situazione è cambiata
radicalmente rispetto all'11 settembre. Dunque qual è la funzione degli
eserciti che agiscono sotto comando Nato in Afghanistan? Favorire i
diritti umani? Anche i reporter dei giornali conservatori in Gran
Bretagna (i cui soldati vengono uccisi regolarmente) riderebbero di
un'ipotesi di questo tipo. Uno di questi giornalisti, Simon Jenkins,
recentemente è ritornato da un viaggio a Kabul e ha scritto una lettera
aperta a Blair.

«La débâcle britannica in Afghanistan non può essere ignorata, perché le
truppe stanno correndo dei rischi. La loro presenza in quel paese non ha
nulla a che fare con la sicurezza del Regno Unito. Stanno soffocando di
caldo (nella provincia ci sono attualmente 50 ºC, ndt) e morendo ad
Helmand non per sostenere un regime in difficoltà a Kabul - per il quale
compito risulterebbero incredibilmente sotto organico - ma per far
sopravvivere la Nato in Europa, una missione indegna. Come hanno fatto
gli americani a convincere la Nato, nel 2004, a diventare l'esercito
mercenario di Karzai? Che informazioni ha ricevuto il governo britannico
da Washington, dove i funzionari governativi parlano apertamente di
scaricare l'Afghanistan sulla Nato, per darle una lezione dopo il
mattatoio nei Balcani? Tutte le dichiarazioni che ho sentito
suggeriscono che la campagna immaginata dal governo nel sud
dell'Afghanistan richiederebbe non 3.000 né 10.000 soldati, ma oltre
100.000» (da The Guardian del 5 luglio 2006).

Non c'è alcuna giustificazione per la presenza della Nato in Afghanistan
se non quella di accontentare Washington. Nelle ultime settimane le
uccisioni di civili afghani sono decuplicate. I titoli che parlano
dell'uccisione di centinaia di talebani non sono altro che
disinformazione. Come era stato previsto tempo fa da alcuni di noi, agli
afghani non piace vivere sotto occupazione e, prima o poi, inizieranno a
resistere. Fausto, chiediti perché dovrebbero esserci truppe straniere
in Afghanistan. Che il centro-sinistra appoggi la Nato e la maggior
parte delle guerre statunitensi è risaputo. Ma lasciamoglielo fare con
l'appoggio di Fini, Bossi e Berlusconi (in fin dei conti hanno le stesse
opinioni).

Per quale motivo l'occupazione di un paese straniero dovrebbe essere
affrontata con un voto di fiducia? Se Rifondazione comunista votasse a
favore, questo rappresenterebbe una tragedia per la sinistra europea e
ho paura che possa solo portare a un disastro sia in Afghanistan sia in
Italia, nella prospettiva della creazione di un'alternativa politica da
voi. Se inzierete ad argomentare sul regime che potrebbe risultare da un
eventuale ritiro delle truppe, allora nuoterete in un acque agitate. Non
dovete dimenticare il patetico passato imperiale del vostro stesso
paese. L'invasione dell'Albania e dell'Abissinia da parte di Mussolini
furono giustificate secondo la stessa logica: stiamo portando la
civilizzazione europea a questi stati monarchici, feudali ed arretrati.
Il «regime change» non era accettabile allora e non dovrebbe esserelo
ora.

Ti scrivo da vecchio amico di Rifondazione. Spero di poterlo rimanere
anche dopo il voto parlamentare. Fraternamente,

 Tariq Ali

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RIPARTIRE DA GENOVA? NOI NON CI SIAMO MAI FERMATI!

E CHIAMIAMO IL POPOLO DELLA PACE A ROMA, IL 15, il 17 ED IL 24 LUGLIO, CONTRO LE MISSIONI DIGUERRA, SENZA SE E SENZA MA!

L’appello per “ripartire da Genova”ci trova in profondo dissenso.

In un momento cruciale come questo è fondamentale far sentire la voce sotto i palazzi del potere centrale, a Roma, il 17 ed il 24 luglio, quando alla Camera e poi al Senato si voterà sul rifinanziamento delle truppe in Afghanistan e negli altri 27 fronti di guerra nei quali sono impegnati i soldati italiani.

Sappiamo che le mobilitazioni romane saranno probabilmente simboliche e d’avanguardia, a causa non solo e non tanto della stagione estiva e dei giorni feriali, ma di un “affaticamento” del movimento perseguito sistematicamente da chi stava preparando la Caporetto di questi giorni, nei quali siamo costretti ad assistere al clamoroso voltafaccia degli ex “paladini del pacifismo non violento”, intenti con spillette e patetici escamotage (la riduzione del danno….) a giustificare un voto ingiustificabile.

Siamo in profondo dissenso con coloro i quali oggi evidenziano l’esigenza di contemperare il no alla guerra con la tenuta del governo.

Spiacenti, il movimento contro la guerra non ha “governi amici” di fronte all’alternativa tra pace o guerra.

Dissentiamo dall’idea di mettere ai voti un principio come quello del NO alla guerra. Sui principi non si vota, ma si costruiscono politiche concrete, a costo di essere “impopolari”.

O le scelte “impopolari” devono essere solo quelle che chiedono sacrifici ai soliti noti, magari per finanziare proprio le costosissime missioni?

I ripetuti sondaggi di questi anni ci dicono invece che la scelta sarebbe molto popolare, perché la maggioranza del popolo italiano è per il ritiro delle truppe, trasversalmente ai poli.

Ogni temporeggiamento rispetto a questo passaggio è in stretta continuità con il lavorio di smobilitazione già abbondantemente intrapreso in questi anni contro il movimento


Ci indigna che si usi la categoria della “concorrenza” a sinistra su un tema di questo genere: Concorrenti su che cosa? Sulla vita o la morte degli afgani, dei kosovari, degli iracheni, dei palestinesi?

I tempi sono scaduti e le scelte sono di fronte a chi ha ricevuto un mandato preciso: il No alla guerra senza se e senza ma.

Chi farà una scelta diversa non lo farà in nostro nome, e se ne assumerà tutta la responsabilità politica e morale di fronte al popolo della pace, in Italia e nel mondo.

Noi saremo a Roma, il 15 luglio alla assemblea autoconvocata dai senatori e deputati che mantengono una posizione di coerenza con il mandato elettorale, il 17 al sit in del movimento davanti al Parlamento, in  P. Montecitorio, il 24 di fronte al Senato.

Il Comitato nazionale per il ritiro dei militari italiani




Memoria storica...

Tra gli appelli raccolti sul sito di Claudio Moffa - http://
www.claudiomoffa.it/appelli.html - segnaliamo quelli sulla questione
jugoslava. Essi colpiscono per la loro immutata scottante attualità
e, addirittura, preveggenza. Come lo stesso Moffa commenta sul sito:
<< All'inizio della crisi della Jugoslavia, ecco un appello
anticipatore della certa tragedia se non si fosse messo un argine
alle follie dei micronazionalismi carezzati da molto militontismo
"rivoluzionario". Alle spalle, dentro la sinistra, la concezione
superficiale e estremizzata del "diritto di autodecisione", resa
possibile dalla diffusa ignoranza dei classici marxisti
sull'argomento e dalla assoluta non considerazione delle
caratteristiche geodemografiche - il popolamento "a macchia di
leopardo" - dei Balcani e di buona parte del mondo extraeuropeo... >>


1. CONTRO LA SECESSIONE DELLA SLOVENIA (1991)
2. NO AI BOMBARDAMENTI NATO IN BOSNIA (1995)
3. NO ALLA GUERRA CONTRO LA JUGOSLAVIA (1999)


1. CONTRO LA SECESSIONE DELLA SLOVENIA (1991)



La posizione di Stojan Spetic sulla crisi jugoslava (il manifesto 6
luglio 1991) non ci convince, e rende necessario un franco dibattito
su un complesso come la questione nazionale.

1) Come è possibile valutare positivamente ed auspicare in prima
persona, come comunisti e nella congiuntura internazionale venutasi a
determinare dopo l'annessione tedesca (creazione della Grande
Germania) e la guerra del Golfo ("unipolarismo americano") "la
dissoluzione della Federazione" jugoslava? Come non vedervi anche un
attacco al manifesto dei non allineati, di cui la Jugoslavia è stata
paese simbolo e guida?

2) E' parziale e mistificatorio ridurre il conflitto alla
"strettezza" della Federazione stessa, senza affrontare nella sua
globalità il problema, aspetti economico-sociali inclusi: lo scontro
riguarda anche e soprattutto il rifiuto di sloveni e croati du
accollarsi il peso dello sviluppo delle regioni arretrate
meridionali. Un classico conflitto Nord-Sud, di fronte al quale - in
nome della democrazia - un comunista non può schierarsi con chi è più
ricco, anche nel caso in cui il potere centrale sia funzionale a una
distribuzione assistenzialistica e clientelare delle risorse.
Altrimenti avrebbe ragione in Italia la Lega lombarda a voler
"scaricare" il Sud.

3) E' scorretto e pericoloso nascondere il peso delle ideologie
nostalgico reazionarie e razziste-mitteleuropee alla base dei
nazionalismi sloveno e croato: lo stemma austro-ungarico sulla
bandiera slovena, la boria fascistoide del croato ministro della
difesa Sime Djodan sono inaccettabili per qualsiasi progressista così
come il poujadismo e i simboli feudali della lega di Bossi.

4) E assurdo non vedere all'origine immediata della crisi, la
decisione di Slovenia e Croazia di proclamare unilateralmente
l'indipendenza: oltre i diritti delle minoranze, esistono quelli
delle maggioranze. In particolare della maggioranza degli jugoslavi
ad una ripartizione equa delle risorse, per la quale è conditio sine
qua non - oggi come oggi - il mantenimento dell'unità federale. Certo
l'unità va mantenuta con mezzi democratici e quindi va condannato
qualsiasi ricorso alla forza, ma anche da questo punto di vista non
possono essere messi sullo stesso piano gli aggrediti e gli
aggressori delle regole pattuite della convivenza federale.

5) E' avventurista, dopo la lezione drammatica del Golfo, invocare
l'intervento "dell'ONU" contro il parere dello stesso De Cuellar e in
linea con le posizioni più oltranziste in campo imperialista, che si
risolverebbe in un'occupazione straniera della Jugoslavia.

6) Complessivamente la posizione di Spetic, oggettivamente subalterna
alla politica di grande potenza della nuova Germania e alle manovre
della reazione austriaca, rischia di gettare un ponte artificioso, e
su posizioni di destra, nei confronti del PDS, che ha sposato al tesi
unilaterale della "solidarietà con Lubiana", senza interrogarsi su
cosa significhi concretamente l'autodecisione dei popoli, principio
anche per noi irrinunciabile in una realtà multietnica come la
Jugoslavia, e senza pensare alle conseguenze drammatiche sul piano
internazionale della sua eventuale dissoluzione.

7) Occorre una serie riflessione sulla questione nazionale jugoslava,
che a partire da una corretta denuncia del nazionalismo grande-serbo,
e della sua influenza a livello di potere federale centrale non fermi
l'attenzione sulle sole egoistiche rivendicazioni nazionalistiche dei
popoli "civili" del Nord, ma sui diritti di tutte le nazionalità, a
cominciare da quelle più povere e discriminate. Una riflessione che
guardi ad una prospettiva non capitalistica, ma socialista, e non
secessionistica, micronazionalista e metteleuropea, ma federativa e
balcanica - nel totale rispetto dell'autodeterminazione e delle
sovranità degli Stati esistenti - come via per superare le
artificiose barriere confinarie fra i diversi popoli della regione,
tutti egualmente degni di rispetto, diritto allo sviluppo e alla
libertà.



I compagni di Rifondazione comunista: Guillermo Almeyra, Aldo
Bernardini, Umberto Carpi, Andrea Catone, Franco Falchi, Gennaro
Lopez, Claudio Moffa, Costanzo Preve, Gianroberto Scarcia, Guido
Valabrega

(pubblicato su il manifesto del 10 luglio 1991)



2. NO AI BOMBARDAMENTI NATO IN BOSNIA (1995)



A un mese dall'inizio dei bombardamenti NATO contro i serbo-bosniaci,
una vera e prospettiva di pace in Jugoslavia è lontana: mentre la
nuova escalation sta per orsa solo producendone altre, e mentre si
diffondono voci di un possibile accordo fra i contendenti, il rischio
è o l'imposizione di una unilaterale "pax americana" o la
degenerazione globale del conflitto.

La via della vera pace non può che essere diversa da quella decisa
dalla NATO:

1) sospendere immediatamente ogni raid aereo;
2) praticare un embargo rigoroso su tutti i traffici di armi, per
colpire alla radice la realtà e la logica omicida della guerra;
3) abolire l'unilaterale embargo di beni pacifici e alimentari contro
il governo di Belgrado, che finisce per colpire solo le popolazioni
civili serbe;
4) partire dalla condanna netta di ogni pulizia etnica - croata,
musulmana, serba - verificatasi negli ultimi quattro anni;
5) vietare comunque - anche per rispetto dell'indipendenza del nostro
paese dalle pressioni di Germania, Stati Uniti e Francia - l'uso
delle basi in territorio italiano agli aerei impegnati nei
bombardamenti sulla Jugoslavia.



Claudio Moffa (storico africanista), Gianfranco Amendola
(ambientalista), Piero Barcellona (giurista), Aldo Bernardini
(giurista internazionale), Cristina Salvioni (economista), Alessandra
Ciattini (antropologa), Andrea Catone (storico del movimento
operaio), Luigi Di Cesare (Radio Città aperta), Maurizio Donato
(economista), Fabio Giovannini (scrittore), Gianfranco La Grassa
(economista), Domenico Losurdo (storico della politica), Costanzo
Preve (filosofo), Fausto Razzi (musicista), Franco Russo (Altern.
verde sol.), Guido Valabrega (arabista), Stefano Garrone (filosofo),
Giorgio Gattei (storico dell'economia), Falco Accame (ex deputato,
studioso di psicologia), Sergio Cararo (Contropiano), Paolo Cento
(cons. verde regionale)



3. NO ALLA GUERRA CONTRO LA JUGOSLAVIA (1999)



La guerra d'aggressione della NATO alla Jugoslavia non si ferma, e
anzi - fra minacce di bombardamenti ancora "per mesi" e progetti di
invasione con truppe di terra - si va sempre più acuendo, creando
migliaia e migliaia di vittime innocenti e immani danni economici non
solo al paese aggredito ma a tutta la regione balcanica. E' una
guerra di tipo coloniale, che vuole abbattere con la violenza dei
bombardamenti e delle azioni terroristiche dell'UCK il governo e il
parlamento legittimi di Belgrado, e che a questo scopo rispolvera -
fra "protettorati" e "ingerenze umanitarie" - un linguaggio di sapore
ottocentesco che si sperava abolito per sempre con la
decolonizzazione. E' una guerra di tipo nazista, che vuole annientare
il popolo serbo e gli altri popoli della Jugoslavia, e nasce e si
sviluppa all'insegna di una organizzatissima campagna propagandistica
in stile "goebbelsiano", tesa a trasformare il nemico sempre e
comunque, in un "criminale". E' una guerra contro tutti i popoli
europei, importata nel vecchio continente dagli Stati Uniti e dal
capitale finanziario transnazionale col fine di indebolirne
l'economia in una fase di crescenti contraddizioni
interimperialistiche. E' una guerra contro l'Italia, la sua dignità
nazionale di paese indipendente, e la sua tradizione diplomatica di
pace - sempre avversata dalle forze reazionarie, ma oggi in pericolo
di scomparire per sempre.E' una guerra contro la democrazia e contro
la Costituzione, come dimostrano le modalità con cui si è scatenata
l'aggressione, all'insaputa e sulla testa dei parlamenti nazionali.
E' una guerra contro la stessa azione mediatrice della Chiesa, che
Washington punta ad indebolire guardando probabilmente anche allo
scacchiere mediorientale. E' una guerra che rischia di sfociare -
nell'indifferenza totale delle maggioranze di governo in Europa - in
un nuovo conflitto mondiale: già si parla infatti dei "prossimi"
obbiettivi della NATO, a cominciare da quella Russia oggetto da tempo
di una analoga campagna altamente denigratoria, e che gli Usa e il
grande capitale finanziario transnazionale vorrebbero ulteriormente
smembrare o ridimensionare.

Contro questa guerra, e contro i governi vigliacchi e assassini che
la perseguono con un cinismo incredibile, è necessario ribellarsi in
Italia e in Europa come è stato necessario ribellarsi in altri
momenti drammatici della storia del nostro paese. E' necessario
innanzitutto battere la micidiale campagna di guerra in atto,
contrastando la follia imperante di una guerra cosiddetta
"necessaria", e rovesciando i luoghi comuni che vorrebbero mettere
sullo stesso piano - come accadeva ai tempi del Vietnam -
l'aggressore e l'aggredito. Non si può oggi sottostare al ricatto
umanitario - talvolta se non spesso artificiosamente creato e
mantenuto in vita dagli aggressori - così come sarebbe stato assurdo
nel 1935 dichiararsi “né con il negus, né con Mussolini” nonostante
le forme di schiavismo ancora esistenti nell'Etiopia di allora. Ci
sono momenti storici in cui è necessario decidere e schierarsi pur
tenendo conto della complessità e drammaticità della situazione.

Facciamo perciò appello a tutte le persone e forze democratiche e
pacifiste del paese di impegnarsi a costituire su questi obbiettivi:

1) Solidarietà attiva con la Jugoslavia, anche attraverso la raccolta
di fondi e materiali in favore dei suoi popoli aggrediti
dall'imperialismo con le bombe e le menzogne multimediali.

2) Recupero della sovranità nazionale sulle basi militari della NATO
nel nostro paese, che devono essere bloccate ad ogni iniziativa
bellica. Le "fedeltà" al Trattato istitutivo dell'Alleanza atlantica,
che che peraltro è palesemente violato dagli stessi aggressori
(l'articolo 3 permette solo guerre "difensive") non può essere
invocata per giustificare la partecipazione ai massacri e alle
distruzioni imposti da Washington e dai suoi complici.

3) Lotta contro le deviazioni dell'ONU, che spesso agisce sotto il
peso degli equilibri internazionali postbipolari, e per il ritorno al
rispetto dei principi della Carta costitutiva delle Nazioni Unite che
vieta la guerra come mezzo di risoluzione delle vertenze fra stati, e
difende l'integrità territoriale degli stati indipendenti sortiti
dalla II guerra mondiale e dalla decolonizzazione.

4) Mobilitazione e propaganda attive e capillari in tutti i luoghi di
lavoro, nelle scuole, nelle università, per estendere sempre più il
movimento popolare per la pace, per la fine dei bombardamenti e
dell'aggressione, e per il ritorno delle basi militari in Italia
sotto la nostra piena sovranità.



Claudio Moffa (Univ. Teramo), Alessandro Aruffo (storico), Stefano
Azzarà (Univ. Urbino), Aldo Bernardini (Univ. Teramo), Alessandra
Ciattini (Univ. Roma 1°), Andrea Catone (politologo), Sergio Cararo
(Contropiano), Luigi Cortesi (Istit. Orientale Napoli), Pier Giovanni
Donini (Istit. Orientale Napoli), Stefano Garroni (filosofo), Fulvio
Grimaldi (giornalista RAI), Domenico Losurdo (Univ. Urbino), Tommaso
Mancini (avvocato), Sergio Manes (editore), Costanzo Preve
(filosofo), Fausto Razzi (musicista), Enzo Santarelli (storico),
Livio Sichirollo (Univ. Urbino), Malcolm Sylvers (Univ. Padova), Pier
Franco Taboni (Univ. Urbino), Nicola Teti (editore), Alberto Varlaro
(Univ. Teramo), Guido Valabrega (Univ. Bologna), Pasquale Vilardo
(Avvocato), Radio Città Aperta (Roma), Andrea Alonzo, Luigi Puca
(Assessore Rif. Civitella del Tronto), Nicola Cicioni (Circolo Rif.
Mosciano S. Angelo), Angelo Michelucci (Comit. Polit. Region. Rif.
d’Abruzzo), Antonio De Vincenti (Consigliere comunale Rif. di
Giulianova - TE), Amerigo Cilli (Circolo Rif. Pineto - TE), Michele
Cilli, Graziano Nardi (Circolo Rif. Teramo), Anna Pepe, Claudio
Rapposelli, Albertina Cioni, Ida Nardi (Circ. Rif. Pineto), Tommaso
Ersoni, Vincenzo Di Marco, Sergio Modesti (Circolo Rif. Teramo),
Giovannna Di Taimondo (Circolo Rif. Teramo), Lanfranco Lancione
(Consigliere Comun. Rif. Teramo), Giovani Comunisti del Movimento
studentesco di Urbino, Angelo D’Orsi (Università di Torino),
Ferdinando Terranova, AIASP-Casa dei Popoli, Francesco De Blasi
(Univ. Roma 2), Mariagrazia Casadei (Univ. Roma 1)