Informazione


From: Gilberto Vlaic -   gilberto.vlaic   @...
Date: July 11, 2006 2:34:34 PM GMT+02:00
Subject: Rientro da Kragujevac. Relazione

Care amiche cari amici vi invio la relazione sull'ultimo viaggio effettuato a Kragujevac  (29 giugno - 2 luglio) per la consegna delle quote di affido e lo sviluppo dei progetti in corso.
Come potrete vedere l'attivita' si allarga, sia grazie all'aumento del numero di affidi che alle collaborazioni con le altre associazioni.


Vi ricordo gli appuntamenti di questa settimana con il gruppo folk della Scuola Tecnica di Kragujevac a Trieste:

giovedi' ore 21 a Prebenico (San Dorligo)

venerdi' ore 20 e 30 Via Genova 12 Trieste

sabato ore 19 alla festa di Liberazione di Mattonaia (San Dorligo)


Il prossimo viaggio si svolgera' nel periodo 14 - 17 settembre.

Poiche' sara' a ridosso del periodo classico delle ferie, chiedo a tutte/i quelle/i che sanno di dover rinnovare la quota di farlo con celerita'.

Abbiamo per il futuro un problema rilevante: ieri sera il pullmino ASIT che usiamo per questi viaggi ha avuto un incidente in autostrada vicino a Venezia; per fortuna nessuno si e' fatto male ma il pullmino e' distrutto.
Se qualcuno avesse notizia di pullmini a nove posti da poter chiedere in prestito ce lo faccia sapere con urgenza.

Un cordiale saluto a tutte/i

Gilberto Vlaic
Non bombe ma solo caramelle
e
Gruppo Zastava Trieste


RITORNO DALLA  ZASTAVA DI KRAGUJEVAC

Viaggio del 29 giugno – 2 luglio 2006

(resoconto di viaggio  a cura di Gilberto Vlaic del gruppo ZASTAVA Trieste)

Questa relazione e’ suddivisa otto parti.

1)Introduzione
2)Un altro camion di aiuti
3)Delegazione in visita e materiale trasportato
4)Cronaca del viaggio 
5)L’ambulanza
6)I progetti in corso e le possibilita’ future
7)Informazioni generali sulla Serbia e sulla Zastava (il progetto con la FIAT)
8)Conclusioni


1 - Introduzione

Vi invio la relazione del viaggio appena concluso alla Zastava di Kragujevac per la consegna delle adozioni a distanza che fanno capo alla ONLUS Non Bombe ma solo Caramelle (Gruppo Zastava di Trieste e sezione del Veneto) e al Coordinamento Nazionale RSU CGIL e per la verifica dei progetti in corso a Kragujevac.

Vi informo che il sito del coordinamento RSU, sul quale trovate tutte le notizie sulle nostre iniziative, ha cambiato indirizzo; quello nuovo e’:

seguendo il link Solidarietà con i lavoratori della Jugoslavia:

L'ultima relazione relativa al nostro viaggio di marzo 2006 si trova all'indirizzo
e in ordine cronologico potete trovare tutte le altre.

Vi segnalo su questo sito un interessante articolo, inserito il 20 giugno scorso, tradotto in Italiano (tratto dalla rivista Energie et Securite’) dal titolo 
Problemi ecologici e giuridici collegati ai bombardamenti di precisione
che esamina con molto dettaglio l’impatto ambientale dei bombardamenti sulle fabbriche di Pancevo e Kragujevac.
La versione italiana dell’articolo non contiene le note a pie’ di pagina e le tabelle annesse all’articolo originale, che e’ in Francese. 
Per chi fosse interessato l’originale si trova all’indirizzo
e le tabelle annesse all’indirizzo
[si vedano anche i nostri link:

I nostri resoconti sono presenti anche sul sito del Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia, all'indirizzo:
che contiene migliaia di articoli sulla situazione nei Balcani difficilmente reperibili sulla stampa nazionale.


2 – Un altro camion di aiuti

Ad aprile scorso siamo riusciti a spedire un nuovo camion di aiuti (il quinto da luglio 2005).
La spedizione e’ stata effettuata in collaborazione con:
Cooperazione Odontoiatrica Internazionale 
Associazione Zastava Brescia per la solidarieta' internazionale - ONLUS
Fondazione Luchetta, Ota, D'Angelo Hrovatin di Trieste
Comunita' Serba Ortodossa di Trieste
Associazione di Solidarieta' Internazionale Triestina

Il carico era costituito da:
28 biciclette
4 ciclomotori
1 computer
1 carrozzina per neonato
1 deambulatore
1 carrozzina per invalidi
75 colli di vestiario usato

Inoltre sono stati spediti, nell'ambito del progetto in corso con il Centro medico della Zastava:
1 sabbiatrice per studio dentistico
3 turbine per trapano
1 forno per materiale ceramico completo di pompa da vuoto
1 ecografo
1 appareccho radiografico dentale
1 macchina polimerizzatrice
1 macchina ad ultrasuoni per la rimozione del tartaro dentale
1 localizzatore apicale
Questa strumentazione medica ( in parte nuova, in  parte usata) e' stata acquistata con i fondi messi a disposizione dal progetto finanziato dalla Regione Friuli Venezia Giulia.
Le spese per questa spedizione sono state di 630 euro.  Non sappiamo ancora l’entita’ dell’IVA che verra’ richiesta in Serbia.
In ultimo un doveroso ringraziamento alle volontarie e i volontari che hanno preparato la spedizione.


3 - Delegazione in visita e materiale trasportato

Ricordo prima di tutto che le spese di viaggio sono sempre direttamente sostenute dai partecipanti, senza alcuno storno dai fondi ricevuti per le quote di adozione a distanza da distribuire.
La delegazione era costituita da Andrea (che abbiamo recuperato durante il viaggio di andata a Belgrado) Gilberto, Linda e Vladan da Trieste, Alessandro, Francesca, Paolo, Tito e Tiziana in rappresentanza del COI, Ermilio e Flavio in rappresentanza del Comune di San Giorgio di Nogaro e infine Bruno, Lorenzo e Luigi della Misericordia della Bassa Friulana.
Boba, la colonna di NbmsC e del COI in Campania era arrivata da Napoli il giorno prima.
Per il viaggio abbiamo utilizzato due pullmini, uno della ASIT e uno della Misericordia.
Inoltre avevamo con noi una ambulanza (leggi al punto 5 di questa relazione).

Avevamo con noi medicinali per circa 15.000 euro, per la maggior parte destinati al centro medico della Zastava, e alcuni destinati a ragazzi colpiti da gravi malattie.

Le adozioni da distribuire erano 176, di cui 1 nuova, per un valore complessivo di 16.335 euro, per la maggior parte in quote trimestrali da 75 euro o da 85 euro (quando si tratta di quarto trimestre). Avevamo anche da consegnare 300 euro di ALJ Bologna.
Sono state caricate nei furgoni anche una decina di scatole di regali da famiglie italiane a famiglie jugoslave, alcuni scatoloni di vestiti e scarpe, cinque grandi sacchi contenenti giocattoli e tre scatoloni di gomitoli di lana per il centro 21 ottobre (centro di accoglienza per ragazzi Down).


4 - Cronaca del viaggio

Siamo partiti  da Trieste verso le 9 e 30 del mattino del giovedi 29 giugno (un po’ in ritardo per un problema meccanico) e siamo arrivati  a Kragujevac alle 8 e 30 di sera, senza alcun problema durante il viaggio. Anche la sosta nella dogana slovena in uscita per timbrare i documenti di accompagnamento dell’ambulanza e’ stata breve. Tempo buono, traffico scarso, ma molto caldo. Passaggio di frontiere rapido e senza alcun problema. 
Dopo lo scarico dei furgoni alla sede del Sindacato, abbiamo verificato le liste delle adozioni e preparato le buste con il denaro per l’assemblea che abbiamo tenuto la mattina del sabato 1 luglio. 

La sera a cena un incontro imprevisto e con un gruppo di 21 persone di vari paesi balcanici che partecipava alla maratona per la pace Novi Sad – Corfu’.
Abbiamo regalato una bandiera della pace bilingue, che il mattino dopo era alla testa di questo gruppo alla loro partenza in direzione di Nis.
Tutti gli incontri che abbiamo avuto nei due giorni della nostra permanenza a Kragujevac si sono svolti in un clima di forte emotivita’. Mi limito adesso a descriverli sommariamente.
Nel prossimo paragrafo illustrero’ in dettaglio tutti i contenuti degli incontri svolti.

Venerdi 30 al mattino come primo appuntamento abbiamo incontrato la direttrice del Centro medico della Zastava ed il personale del reparto stomatologico e consegnato i medicinali che avevamo con noi; saranno come sempre distribuiti gratuitamente agli utenti del Centro. Cerimonia festosa per la consegna dell’ambulanza. Sono state poste le basi per il programma di intervento di quest’anno.

Ci siamo recati poi al centro di accoglienza diurno per ragazzi con sindrome Down, che avevamo inaugurato esattamente un anno fa.
Abbiamo poi incontrato in Comune Slavica Saveljic, assessore ai servizi sociali del Comune per una discussione preliminare relativa al centro di accoglienza per ragazzi autistici.

Nel pomeriggio visita alle due scuole con cui stiamo collaborando, la La Prva Tehnicka Skola e la  Scuola Tecnica Za Masinstovo I Saobracaj.

Sabato 1 luglio al mattino si e’ svolta l’assemblea per la consegna delle quote di affido, nella  grande sala della direzione. L’atmosfera e’ stata come al solito festosa, e abbiamo ricevuto una grande quantita’ di bottiglie di rakija fatta in casa, di marmellate, di miele, di prodotti tessili, doni delle famiglie jugoslave ai loro amici italiani.

Visti i tanti impegni, abbiamo dovuto limitare a due le visite alle famiglie con figli adottati dai membri della delegazione. 

La domenica, durante il viaggio di ritorno, a Belgrado abbiamo attraversato il viale delle ambasciate, che ospita tutta una serie di edifici pubblici completamente distrutti dai bombardamenti del 1999, e poi visitato il parco di Tasmajdan, dove sorgono due monumenti simbolo: quello ai giornalisti morti nel bombardamento della sede della televisione e quello, struggente, dedicato ai bambini uccisi dalle bombe della NATO, che sue due semplicissimi ovali in marmo nero riporta in Serbo e in Inglese la scritta "Eravamo solo bambini”. 
Su questi due monumenti abbiamo depositato i fiori ricevuti durante l’assemblea.

Durante la sosta a Belgrado abbiamo avuto un breve ma graditissimo incontro con Gordana Pavlovic dell’associazione Decja Istina (la verita’ dei bambini), alla quale avevamo spedito con i camion partiti a gennaio e febbraio 137 scatoloni, per i campi profughi che Gordana segue a Belgrado citta’.
Gordana ha consegnato parte di questo materiale a un piccolo comune, Raca, che ospita 326 profughi, tra cui 128 bambini.
Il Sindaco ci ha scritto una lettera di ringraziamento indicando con precisione il tipo e la quantita’ di materiali ricevuti, in totale 27 scatoloni.
Se ci sara’ possibile, continueremo anche con questa realta’.
Verso le 8 e 30 di sera siamo attivati a Trieste, dove ci siamo salutati.


5 L’ambulanza

A febbraio scorso una delegazione del sindacato Samostanli, formata da:
Radoslav Delic Segretario del Samostalni Sindikat della Zastava
Rajko Blagojevic Vice-Segretario dello stesso sindacato
Bojana Tosic dell’ufficio internazionale adozioni del Sindacato Samostalni
era stata in Friuli-Venezia Giulia e in Veneto per una serie di incontri e dibattiti (vedi relazione di marzo 2006).
Uno di questi si era svolto a San Giorgio di Nogaro (Udine), nella sala comunale, presenti il Sindaco, molti assessori e consiglieri, la Console di Serbia di Trieste e numerosi cittadini.
E’ stato un incontro che ha generato numerosi frutti, sia in termini di affidi sottoscritti, che di impegni precisi del Comune e della associazione Misericordia della Bassa Friulana.
Per quanto riguardagli impegni del Comune vedi al punto 6D di questa relazione.

In particolare la Misericordia aveva deciso di donare al Centro Medico della Zastava una ambulanza usata, ma in perfette condizioni, attrezzata con due barelle moderne, una sedia a rotelle, immobilizzatori per arti, impianto per ossigeno. 
Con l’insostituibile aiuto di Paolo, della casa di spedizioni che usiamo per i nostri trasporti, siamo riusciti a preparare i documenti necessari per il viaggio e la nuova immatricolazione in Serbia.
Tutto semplice quindi...
Venerdi’ mattina Lorenzo, Luigi e Bruno della Misericordia hanno consegnato i documenti e le chiavi alla direttrice del Centro. Ma venerdi’ a pranzo SORPRESA! Secondo la dogana di Kragujevac, gentilissima ma inflessibile, mancava un timbro che avremmo dovuto richiedere alla dogana appena entrati in Serbia.
Valanga di telefonate, anche a Trieste, ma niente da fare. La dogana vuole il timbro...
Alle 5 del pomeriggio Luigi e Andrea ed un impiegato del Centro medico ripartono con l’ambulanza verso la frontiera tra Serbia e Croazia (circa 250 Km da Kragujevac).
Dopo ore trascorse con un po’ di angoscia, con un continuo alternarsi di notizie o catastrofiche o tranquillizzanti (aiuto! ci sequestrano l’ambulanza, no adesso ci danno questo famoso timbro) finalmente la situazione si sblocca e verso l’alba l’ambulanza puo’ rientrare a Kragujevac con i documenti in ordine.
Resta un po’ di sconcerto per regole burocratiche che non riusciamo a comprendere appieno, ma la soddisfazione e’ tanta.


5 - I progetti in corso e di possibile realizzazione

Visto che periodicamente riceviamo sottoscrizioni significative non legate alle adozioni, era stata presa la decisione di finanziare progetti che vadano incontro a reali bisogni sociali esistenti in citta’, possibilmente unendo i nostri sforzi a quelli di altre associazioni. A questo proposito si conferma la collaborazione gia’ in atto da tempo con l’associazione Zastava Brescia e con la Cooperazione odontoiatrica Internazionale (COI).
L’associazione di Roma ABC, Solidarieta’ e Pace ci ha scritto dichiarando il suo interesse  a partecipare insieme a noi a uno o piu’ progetti, qualora rientrino nella loro sfera di interventi. Questa associazione ha piu’ di 500 affidi a distanza attivati in tutta la Serbia, dei quali circa 200 a Kragujevac.

Questi sono gli indirizzi dei siti delle due associazioni:

A) Collaborazione con il presidio sanitario della Zastava. 

Trovate una descrizione assai articolata di questo progetto nelle relazioni dei viaggi di marzo, luglio, settembre e dicembre 2005 e marzo 2006 
Esso e’ stato avviato con il COI e cofinanziato dall’Assessorato 

Ricordo che la Zastava possiede un centro medico (Zavod Za Zdravsvenu Zastitu Radnika) di ragguardevoli dimensioni: vi lavorano 326 persone, due terzi dei quali operatori sanitari (piu’ di 60 sono i medici) ed un terzo di amministrativi. 224  lavoratori sono iscritti al sindacato Samostalni (dato di marzo 2006).
Il suo bacino di utenza e’ rappresentato attualmente da circa 50.000 lavoratori e loro familiari e da circa 7.000 pensionati.
In questo centro si effettuano ogni anno circa 1 milione di prestazioni sanitarie di cui 65.000 nel campo dentistico (dati del 2004). Nel reparto stomatologico lavorano 25 persone, tra cui sette medici dentisti.
Il problema del presidio sanitario e’ che la strumentazione in uso ha un’eta’ media di piu’ di 20 anni, ed e’ quindi fortemente inadeguata. 
Le due poltrone dentistiche fornite a luglio 2005 sono in piena attivita’, cosi’ come le attrezzature accessorie.
Solo un esempio: nel periodo ottobre-dicembre 2004, sono state effettuate 7064 prestazioni in odontoiatria, mentre nello stesso periodo del 2005, grazie alle  nuove attrezzature, il numero è salito a 8921. Per questi motivi il Centro ha assunto un nuovo dentista. Il salto comunque non e’ solo quantivativo ma anche (ed essenzialmente) qualitativo.

Per quanto riguarda i nostri interventi a favore del presidio sanitario la Regione Friuli-Venezia Giulia, Assessorato all’istruzione, cultura, sport e politiche della pace e della solidarieta’, aveva approvato a novembre 2005 un nostro progetto, relativo alla prevenzione e cura stomatologica nell’infanzia e ci aveva erogato un finanziamento  di 17.400 euro per il 2006, con il quale sono state acquisite le strumentazioni descritte in questa e nelle altre relazioni precedenti.

La peculiare situazione demografica dell’area, che vede la Serbia caratterizzarsi come una delle nazioni più anziane del pianeta, ha posto con evidenza anche il problema dell’assistenza sanitaria alla popolazione di età elevata (oltre 65), non meno bisognosa di attenzione in presenza di difficili condizioni di salute e di reddito: non bisogna dimenticare che, nella precaria situazione economica della Serbia odierna, caratterizzata da un Pil pro capite di 2000 euro (il più basso d’Europa) e da un rapporto lavoratori / pensionati pari a 1,12, gli ultrasessantacinquenni rappresentano una categoria particolarmente vulnerabile, per la mancanza di un reddito che garantisca almeno la sussistenza e per le più critiche condizioni di salute tipiche dell’età. 

In questo senso abbiamo presentato a marzo 2006 un nuovo progetto alla Regione FVG.
Gli assi principali del progetto sono la formazione, l’epidemiologia e la fornitura di apparecchiature per la fabbricazione di protesi: Inoltre e’ previsto uno studio dentistico mobile, in modo da poter curare a domicilio anche i non  autosufficienti.
La Regione ha finanziato questo nuovo progetto con 30.000 euro.

Dopo la consegna dell’ambulanza, mentre il resto della delegazione effettuava altri incontri, Boba, Francesca e Paolo sono restati al Centro e hanno presentato al personale un breve corso  teorico pratico con scambio di esperienze tecniche fra gli operatori sanitari italiani e serbi per concordare le modalita’ di  attuazione del nuovo progetto di odontoiatria  sociale, che e’ st

(Message over 64 KB, truncated)

(english / srpskohrvatski)

[Sei mesi dopo il caso della Risoluzione anticomunista al Consiglio
d'Europa, un analogo testo di impronta reazionaria e revanscista è
stato approvato dal Parlamento della Croazia. Che altro potevamo
aspettarci dal neo-Stato balcanico, forgiatosi in una guerra di
sterminio contro la popolazione serba presente sul suo territorio e
diretto erede, per simbologia e prassi quotidiana politica e militare,
dello "Stato Indipendente di Croazia" dell'ustascia Ante Pavelic,
collaborazionista dei nazifascisti (NDH: 1941-1944) ?
Di seguito la condanna della Lega della Gioventù Comunista -SKOJ-,
organizzazione giovanile del Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia]

League of Yugoslav Communist Youth - SKOJ - youth section of New
Communist Party of Yugoslavia
http://www.skoj.co.sr/

OSUĐUJEMO REZOLUCIJE HRVATSKOG SABORA

Posle šest meseci od usvajanja anti-komunističke rezolucije u Savetu
Evrope Sabor republike Hrvatske ovih dana usvojio je sličnu apsurdnu
rezoluciju u kojoj osuđuje „komunističke zločine počinjene u periodu
1945.-90. godine“.

Hrvatska je prva republika bivše SFRJ koja se odlučila na usvajanje
anti-komunističke rezolucije. S obzirom na jasno stanje u hrvatskoj
privredi i politici ovakav politički akt nije ni malo začuđujuć. Ovo je
sam još jedan trik aktuelnih vlasti kako bi se javnost odvratila od
jačanja revolucionarnog levičarskog pokreta u Hrvatskoj i njenog otpora
protiv svega onoga što se dešava u ovoj zemlji.

O kakvim se zločinima radi? Zar je suđenje počiniocima najgnusnijih
zločina tokom Drugog svetskog rata na prostoru „Nezavisne države
Hrvatske“ i njihova osuda na smrtne kazne i višegodišnje robije
zločin?! Da li nas to buržoaski režim u Zagrebu ubeđuje kako je NDH
bila miroljubiva država! Šta želi dokazati hrvatski sabor?

Tokom Drugog svetskog rata na tlu raskomadane Jugoslavije formirana je
kvazi tvorevina koja je nazvana Nezavisna država Hrvatska. U njoj su
zvanične vlasti uz podršku katoličke izvršili najgnusnije zločine.
Setimo se samo zloglasne ustaške fabrike smrti-Jasenovca. Zar je
suđenje onima koji su imali udela u tome zločin?

Da se nedvosmisleno radi o političkom aktu kojim se hrvatski buržoaski
proimperijalistički želi dodvoriti aktuelnom neomakartizmu Evropske
unije i želi skrenuti tema sa gorućih problema u Hrvatskoj govori i
činjenica da hrvatski sabor ni na jedan način do sada nije
rehabilitovao žrtve političke torture Golog otoka.

Po oslobođenju zemlje jugoslovenski narodi su pod vođstvom komunista
opredelili za socijalizam i sa velikim entuzijazmom su počeli da grade
novi život. Na tom gotovo poluvekovnom putu postignuti su značajni
rezultati na privrednom, socijalnom, zdravstvenom, obrazovnom,
kulturnom, naučnom, odbrambenom i sportskom polju. Jugoslavija je
dostigla nivo srednje razvijene evropske države. Zar hrvatski sabor
želi reći da je to delo „zločinačkog režima“?

Istovremeno sabor je usvojio i rezoluciju o akciji „Oluja“ koja je
ocenjena kao „pobednička i oslobodilačka“.

S jedne strane hrvatski sabor veliča bratoubilački rat koji je vođen
tokom 90-tih na prostoru Hrvatske, dok sa druge strane borce ovog rata
potpuno marginalizuje i zaboravlja prepuštajući ih sami sebima.

Nema ni govora o tome da je akcija „Oluja“ po bilo čemu bila
oslobodilačka i pravedna. Radi se o nedvosmislenom etničkom čišćenju.
Usvajanjem ove rezolucije postaju potpuno apsurdni svi pozivi hrvatskih
vlasti za povratak izbeglica u svoje napuštene domove.

Jasno je da se radi o dve besmislene i apsurdne rezolucije koje imaju
jasnu političku pozadinu.

Neomakartizam koji je stigao i na naše prostore neće uništiti istinu o
uspesima i dometima socijalističke izgradnje naše zemlje niti će
sprečiti neminovan povratak socijalizma i zbacivanje postojećih pro-
imperijalističkih režima na Balkanu.

Sekretarijat SKOJ-a
Beograd, 10. jul 2006. god.


SECRETARIAT STATEMENT OF THE LEAGUE OF YUGOSLAV COMMUNIST YOUTH (SKOJ)

Six months after the vote of the anti-communist Council of Europe's
Resolution, the parliament of the Republic of Croatia (Sabor further in
the text) has adopted a similar, equally incongruous Resolution,
condemning “the communist crimes" of the 1945-1990 periods.

Croatia is the first of the former Socialist Federal Republic of
Yugoslavia's (SFRJ) republics to adopt the anti-communist Resolution.
With regard to the very bad economic situation in Croatia, such a
political act is not a bit surprising. It is just one more trick of the
current regime to detour the public attention from the revolutionary
momentum in Croatia.

What crimes are they talking about? Was it a crime to put on trial the
perpetrators of the most horrible crimes committed in the NDH, “the
“Independent Croatia State” of the Second World War? Was it crime to
sentence the Nazis criminals to death and long prison sentences? Does
the bourgeois regime in Zagreb expect us to believe the NDH was a peace-
loving state? What is the Croatian Sabor (Parliament) hoping to prove?

In the Second World War, after dismembering of Yugoslavia, a parastate
was formed calling itself “Independent Croatia State”.

In his "state" the most awful crimes were perpetrated by it's regime
with the helping hand of the Catholic Church. Let us note the infamous
Ustasha death factory Jasenovac. So it was a crime to convict those who
took part in the crime!

Falling in line with the actual EU neo-McCarthysm, the Croatian pro-
imperialist puppets are just diverting attention from the Croatia's
burning problems. Proof of this is the fact the Croatian Sabor has not
in any way moved to rehabilitate the victims of political torture on
Goli Otok.

After the liberation of the country, the peoples of Yugoslavia under
communist leadership turned to Socialism and began with great
enthusiasm build a new life. On that nearly half-century long road,
significant results were achieved in the economic and social fields, in
health, education, culture, science defense and sports. Yugoslavia
reached a remarkable level of development.

So, does the Croatian Sabor consider these achievements to be
“criminal legacy”? At the same time the Croatian Sabor adopted a
resolution on “Operation Storm (Oluja)” characterized as “victorious
and liberating”.

Croatian Sabor magnifies the fratricidal war waged during the 1990s by
Croatia, while there is no question of "operation storm" being a just
people’s liberation. The fact is that it was ethnic cleansing pure and
simple.

After these resolutions have been adopted, it is clear that the
Croatian regime’s call for the refugees to come back to their abandoned
villages is as incongruous as ever. Both Resolutions are a ridiculous
political ploy.

The European made neo-McCarthysm shall not change the truth about the
grate achievements of Real Socialism in our country and will not
prevent the unavoidable renaissance of Socialism and the expulsion of
the current pro-imperialist puppet regimes in the Balkans.

Secretariat of the SKOJ
Belgrade, July 10, 2006.





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16:54  Ambasciatore francese: "Dichiarazioni di Calderoli inaccettabili"

L'ambasciatore di Francia in Italia, Yves Aubin De La Messuziere, ha detto che "le dichiarazioni di Calderoli a proposito della multietnicità della squadra francese sono inaccettabili". L'esponente leghista e vicepresidente del Senato ha detto ieri subito dopo la partita che l'Italia "ha vinto contro una squadra che ha perso, immolando per il risultato la propria identità, schierando negri, islamici e comunisti". L'ambasciatore francese si è detto sicuro che "ad essere rimasti scioccati sono stati soprattutto gli italiani per le esternazioni di Calderoli".




From: gilberto.vlaic @ elettra.trieste.it
Subject: Gruppo folk di studenti di Kragujevac a Trieste
Date: July 7, 2006 3:44:59 PM GMT+02:00

Care amiche, cari amici,

Sono lieto di informarvi, come gia’ preannunciato circa due mesi fa,
che il gruppo folk della Scuola Superiore di Meccanica di Kragujevac
sara’ presente a Trieste la settimana prossima.
Abbiamo superato non poche difficolta’ per poterli avere tra di noi.
Ringrazio di cuore tutte le persone e gli enti che a vario titolo ci
hanno aiutato.

Si tratta di un gruppo di 15 studenti (tra 15 e 18 anni) che hanno
preparato per noi con molta cura uno spettacolo di danze, musica e
canti tradizionali serbi della durata di circa un’ora, e che hanno
voluto intitolare "L’anima della Serbia".
Spero che avremo occasione di vederci!


Ecco di seguito le date delle loro esibizioni.

Giovedi 13 luglio ore 21 al parco di Prebenico (San Dorligo della Valle)

Venedi’ 14 luglio ore 20 e 30 nel salone della Comunita’ Serbo-
Ortodossa di Trieste

Sabato 15 luglio ore 19 alla festa di Liberazione a Mattonaia (San
Dorligo).

Inoltre la sera di mercoledi’ 12 luglio ci sara’ una cena di
solidarieta’ (costo 15 euro) organizzata dalla Casa del Popolo di
Sottolongera e dal Circolo Primo Maggio presso la Casa stessa, Via
Masaccio 24, Trieste.


Arrivederci a presto, in una di queste occasioni.

Saluti a tutte/i
Gilberto Vlaic
Non bombe ma solo Caramelle - ONLUS
e
Gruppo Zastava Trieste

(ovaj tekst na srpskohrvatskom:

Surovo vreme / Misljenje Centra Tito o pitanju Kosova

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/5004 )


Tempi crudeli

L'opinione del Centro Tito riguardo al problema del Kosovo


La realtà che riguarda la Serbia è crudele. Non si può continuare "a nascondere la testa sotto la sabbia" e trattenere il popolo con delle questioni e problemi meno importanti (colloqui sulla stabilizzazione e adesione all'EU, arresto di Mladić, referendum in Montenegro, Partenariato per la pace, ecc.), mentre invece, su temi importanti come è quello del Kosovo, si esprimono supposizioni e si fantastica su "cosa sarebbe stato se fosse stato possibile". Oppure si usa il linguaggio dei rebus e del mistero, come fa Vuk Drašković: "Più autonomia, meno indipendenza". Oppure, si continua a ripetere l'argomentazione, ormai logora, per cui "il problema del Kosovo non può essere risolto violando i principi basilari delle leggi internazionali e distruggendo un paese sovrano, trasformando un'intera regione in un buco nero ed in un problema per l'Europa", creando l'impressione che si stia lavorando su un tema seriamente, mentre purtroppo i risultati non arrivano, visto che nel mondo d'oggi tutte le liti si risolvono con la violenza!

Alla gente bisogna dire come realmente stanno le cose e cosa faremo per riuscire a difendere il Kosovo.

Risposte semplici e concrete sono l'unica opzione in queste circostanze. Le possiamo trovare nei pensieri e nelle parole della gente comune di strada, nelle numerose inchieste e sondaggi dell'opinione pubblica, e soprattutto nell'opinione della gente che ancora vive in Kosovo oppure nei campi profughi in Serbia.



Avrà la Serbia la volontà di "difendere il Kosovo con tutti i mezzi"?

Nel conflitto riguardo al Kosovo la questione principale odierna non si pone in merito al suo "status definitivo", perché gli Stati Uniti hanno già deciso che esso dovrebbe diventare indipendente, ma piuttosto se la Serbia avrà la volontà di "difendere il Kosovo con tutti i mezzi" e, in fin dei conti, quale sia il significato di questi "tutti i mezzi"? E questo significherà che difenderemo i 10.000 chilometri quadrati più preziosi del nostro territorio perfino con le armi? Sono pronti i Serbi a sparare? Questo rappresenta un enigma per gli Americani e perciò loro posticipano il rendere pubblica questa decisione, si destreggiano e ci girano attorno. Questo dimostra che, dopo le esperienze con l'11 Settembre, i talebani ed i guerriglieri iracheni, temono per la vita dei loro soldati in Kosovo.  Dovranno tenere i loro soldati in Kosovo per lungo tempo ancora. Soltanto questa paura può costringerli a modificare la loro decisione sul Kosovo indipendente. 
Nella ricerca di una soluzione per il problema kosovaro, i Serbi del Kosovo, con la loro fermezza nel difenderlo, rappresentano il nostro argomento principale.

Per quanto riguarda la guerra, esaminando meglio la situazione, la Serbia ed i Serbi sono già in guerra. Senza volerla e senza una propria intenzione. Gli Americani indussero una situazione di guerra tramite la rivolta armata dei balisti (dal nome del movimento “Balli Kombetaer”, nazionalista pan-albanese e collaborazionista delle truppe occupanti, sorto nel corso della II Guerra Mondiale, dnt) a Drenica in 1998 - e questa, senza interruzioni, dura tuttora. Meglio di ogni altro, questo lo sanno i Serbi del Kosovo i quali non hanno dubbi sul fatto se le circostanze in cui si trovano siano la manifestazione di una guerra che è in corso o meno. Il livello della lotta armata varia tra l'alta intensità (rivolta, soffocamento della rivolta, evacuazione di popolazione albanese verso Albania e Macedonia, effettuata da americani e UCK, combattimenti dell'esercito jugoslavo di frontiera con le forze introdotte dall'Albania, bombardamento della RF di Jugoslavia, nuovo trasferimento di popolazione albanese da Albania e Macedonia verso il Kosovo, fuga di popolazione serba dal Kosovo verso Serbia, massiccio attacco dei balisti contro la popolazione serba e la Chiesa avente come obiettivo l'espulsione del resto di Serbi - marzo 2004 – come condizione nella soluzione dello status finale per il Kosovo) e periodi, più lunghi, di tregua, spesso interrotti con singoli assalti armati contro i Serbi e i loro beni.

Questa è una strana guerra – c'è soltanto una parte che assale ed uccide, la parte albanese, mentre la parte serba sopporta le perdite, si lamenta e protesta durante manifestazioni e funerali. Solo nel marzo del 2004 i Serbi dimostrarono di possedere armi e di saperle usare. Secondo i dati dei giornali, gli Albanesi hanno così subito le perdite più grandi: 11 Albanesi uccisi in confronto con 8 Serbi (nel marzo 2004, ndt).



Una mentalità succube del potere

Fino ad oggi non abbiamo saputo che cosa pensi il governo della Serbia riguardo alla guerra per la difesa del Kosovo.  La dichiarazione "difenderemo il Kosovo con tutti i mezzi" è incomprensibile, perché con il termine "tutti i mezzi" questo governo non intende le armi, che normalmente, da che mondo è mondo, sono contemplate. Il suo ultimo asso nella manica è la diplomazia. Esaminando chi sta alla guida del nostro coro diplomatico, ci viene voglia di smettere di pensare al Kosovo. Non ho intenzione di affermare che questi altri mezzi (negoziati, lobbying internazionale, ricerca delle alleanze) non siano necessari ed importanti, però sono esauriti come tali. Ci troviamo dinanzi al fatto che gli Stati Uniti, alla fine del 2006, proclameranno lo Stato indipendente del Kosovo, e noi dovremo dare una risposta concreta a questo.

Nessuno intende negare il detto secondo cui soltanto uno stupido "tira subito" con l'arma e trova piacere nello stato di guerra. Però, colui il quale, mentre gli sparano, reagisce con un commento o con una manifestazione, è uno stupido ancor più grande. 
Questi dovranno tenersi lontani dal Kosovo. Ancora più lontano bisognerebbe cacciare quelli che dicono che "i Serbi hanno già combattuto loro guerre" (G. Svilanović), oppure che "sul Kosovo non decide il nostro popolo, ma le grandi potenze" (B. Tadić), oppure che "è prevalsa l'opinione che questa volta il più forte detterà le leggi, la giurisdizione sarà determinata dalla forza" (V. Drašković). Con tali esempi perderemo molto di più che non il solo Kosovo.

Sono dell'opinione che il nostro governo abbia una mentalità suddita, il che è una regolare caratteristica di nostra classe borghese, dalla quale proviene anche questo governo. Saprà esso trovare la forza per mostrare un comportamento statale oppure capitolerà e tradirà come quello nel 1941? Ho il presentimento che si verificherà la seconda possibilità! Gli Americani già tengono la loro "quinta colonna" al vertice della Serbia. Non c'è bisogno di nominarli – con le loro dichiarazioni arrendevoli, li  sentiamo quotidianamente.

Nel pieno fervore della battaglia per il Kosovo, questo governo si dimostra imbelle e disfattista. Emana la Legge per l'amnistia delle reclute (2000 di numero) che erano sfuggite al servizio militare; invece di strombazzare ai quattro venti la celebrazione del 9 Maggio, Giorno della Vittoria, ricordando la liberazione del Kosovo dagli occupatori e dai balisti alla fine del 1944 e la sua restituzione alla madre Serbia, il governo ci ha "dormito sopra"; e così via.

Ecco perché io ritengo che a questa decisione, su come difendere il Kosovo, dovranno arrivare i Serbi del Kosovo, e  sono dell'opinione che in tale impresa li dovrà appoggiare la Serbia tutta intera.



Banditismo giuridico, militare e giornalistico

Per avere successo in una guerra, è di fondamentale interesse conoscere il nemico, le sue qualità e difetti. Se non le conosci, hai poche possibilità di successo. Te la passerai ancora peggio se non sei neanche capace di identificare il nemico. Questo è il nostro caso. Il nostro Comando supremo, nel caso lo abbiamo davvero, sembra non sapere nemmeno questo.

Con chi, dunque, sarebbe in guerra la Serbia? Molti pensano che lo sia con gli Albanesi. Risposta sbagliata! Anche loro sono vittime. Neppure questa UCK ha granchè di combattenti. Sono stati loro i primi a fuggire in Albania nel 1998, prima ancora della popolazione civile. Il loro ultimo eroe, A. Jašari, giace nel cimitero del villaggio di Prekazi. Loro sono figurine sul "campo di battaglia", che vengono mosse dal Pentagono come dimostra la dichiarazione di Madeleine Albright ("Welt", settembre 2005): "La guerra in Kosovo è la nostra guerra. Clinton ed io la volevamo. Dovevamo utilizzare la forza militare americana per fermare la pulizia etnica e far tornare i Musulmani in patria". Lo stesso, naturalmente, diceva la dichiarazione dell'allora Ministro della Difesa degli Stati Uniti, V. Cohen, prima del bombardamento della RF di Jugoslavia: "Mancano 100.000 uomini... Probabilmente sono stati uccisi." Gli Albanesi a loro non importano un corno. Hanno sfruttato la situazione in questa regione per collaudare un nuovo tipo d'intervento armato senza approvazione del Consiglio di Sicurezza ONU, e per distruggere, utilizzando la guerra come metodo, la parte rimanente, e neanche tanto piccola, della precedente RFS di Jugoslavia, paese socialista autogestito, guida autorevole del movimento dei paesi Non Allineati, che rappresentò un spina nell'occhio di questa gente per decenni.

Alexander Cobery, analista politico americano, avrebbe scritto alcuni anni più tardi: "Il banditismo giuridico, militare e giornalistico, che ha accompagnato l'avventura irachena sin dal suo inizio, è stato sperimentato nei Balcani alla fine degli anni Novanta".


Perché gli Americani si sono accaniti contro la Serbia?

Si tratta di ragioni ideologiche. La Serbia è una parte della ex-RFSJ. Il socialismo ha realizzato i suoi risultati più alti proprio nella RFSJ: non soltanto nella sfera economica (con la proprietà sociale) e politica (autogestione), ma anche nei rapporti tra le nazioni (federazione jugoslava), e nei rapporti internazionali (paese non allineato).  Il socialismo ha messo le sue radici più profonde proprio da queste parti, e la maggioranza dei cittadini, dal Monte Triglav in Slovenia fino alla Gevgelia in Macedonia, ritengono che "il socialismo era meglio" del capitalismo di oggi.

La Serbia (la repubblica con due province autonome) copre una considerevole parte del territorio dell'ex-RFSJ, ed in essa in gran parte sono preservati i numerosi valori dell'ex-paese socialista, innanzitutto nella mente della popolazione. Per esempio, le previsioni americane sui vincitori nelle prime elezioni pluripartitiche nel 1990 erano decisivamente ferme sul fatto che in Serbia, Montenegro e Macedonia avrebbero vinto i comunisti, il che è effettivamente avvenuto (le Leghe comuniste di Serbia e Macedonia avevano cambiato i loro nomi poco prima delle elezioni, ma questo non fa diminuire l'esattezza della previsione americana). Queste sono le ragioni per le quali questo bastione del comunismo, chiamiamolo così, non è sfuggito all'attenzione dell'amministrazione americana. Sono già 15 anni che stanno provando ad abbatterlo. Ora, dopo che la situazione in Macedonia e Montenegro, dove le tracce del comunismo sono ugualmente molto forti, si è stabilizzata  (prima erano state messe sotto controllo Slovenia, Croazia e Bosnia-Erzegovina), costoro si sono rovesciati con tutte le forze sulla Serbia, utilizzando tutti i postulati della loro dottrina per la lotta contro il comunismo. Il Kosovo rappresenta il punto più debole nella difesa della Serbia, e loro infliggono il loro colpo principale laggiù.

In base ai loro calcoli, è in questo periodo che va portato a termine questo conflitto strategico. Perché sarebbe così importante che anche il Kosovo si disgreghi e si decontamini dall'illuminismo socialista? Perché il Kosovo, che una volta è stato il posto più arretrato d'Europa, rappresenta per molti versi il migliore esempio dell'efficacia del sistema comunista, e nella sfera dei rapporti interetnici in particolare: rappresenta tutto ciò che gli Americani non riescono a realizzare nel loro paese multietnico, sin dalla fondazione (con gli Indiani, gli Afro-americani, i sud-Americani).


L'esaurimento psicologico dei Serbi

Perché gli americani subito dopo i bombardamenti nel 1999 non proclamarono immediatamente l'indipendenza del Kosovo? Per il timore di una rivolta armata dei Serbi. Da allora, essi "ammorbidiscono" i Serbi preparandoli psicologicamente ad accettare la indipendenza di fatto. Con quella gente che ha scelto di rimanere in Kosovo, questo metodo non poteva avere successo. Quelli sono Serbi di fibra forte. Nel contempo, a Belgrado aumentano quelli che dichiarano che "il Kosovo è perduto". Scontenti per il ritmo con cui i Serbi “duri” abbandonano il Kosovo, gli Americani hanno spronato gli Albanesi nel marzo 2004 perché spingessero i Serbi alla fuga, ma di nuovo senza successo. I Serbi hanno opposto resistenza, anche armata, in certe occasioni. Loro non cedono, mentre invece gli altri, oltre i confini del Kosovo, sono un po’ esausti.

La "quinta colonna", nella Serbia ed in Kosovo, aiuta gli Americani nella guerra psicologica contro i Serbi. Essa consiglia che si accetti l'indipendenza del Kosovo pacificamente. Molta gente comune è ugualmente confusa, però la maggioranza dei Serbi è ancora decisa a difendere il Kosovo. Il primo compito degli Americani sarà di spezzare questo spirito, operazione per cui la "quinta colonna" serba da tutto di se (i partiti: DS, SPO, G-17).

Spero che questi fatti bastino per capire come i Serbi dovrebbero comportarsi in questa situazione, in particolare l'esercito ed i giornalisti, la cui penna ha una rilevanza pari al fucile del militare!


I negoziati

I negoziati a Vienna equivalgono al tentativo di "mettere la nebbia dentro al sacco", cosicché si dica infine: "Ecco, come vedete, su questo noi dobbiamo decidere per voi". Si capisce, vogliono decidere che il Kosovo diventi indipendente! Una tipica furberia di guerra. Nel contempo si costituiscono e si stabilizzano il potere legislativo, esecutivo e giuridico di un nuovo Stato albanese, con la sua polizia, l'esercito, le strutture finanziarie, eccetera. Non si può dire che gli albanesi abbiano tanto interesse per i negoziati o per la loro preparazione. Ma sul territorio agiscono a tutto vapore.

La nostra squadra nei negoziati da il massimo di se, e bisogna congratularsi con loro. Tuttavia, il risultato sarà un pezzo di carta e Ahtisaari lo cestinerà non appena i negoziati finiranno. Lui ha già la decisione in tasca e la porterà a compimento. E così, loro vanno dritti ai risultati, mentre il nostro governo si intrattiene inutilmente nei negoziati, con i temi dell'accettazione nell'EU e della cattura di Mladić. Anche il premier Koštunica dovrebbe agire in maniera simile. Come prima cosa, dovrebbe dir loro che "non potranno ottenere il Kosovo al tavolo verde".



L'esperienza della lotta per la sopravvivenza dei Serbi e della Chiesa in Kosovo dal 1999 – una risorsa per una nuova strategia e tattica in Kosovo

La Serbia deve cambiare la strategia e la tattica della difesa del Kosovo, spostando il centro delle operazioni, da Belgrado e dall'estero, sul territorio: nel Kosovo, nel sud della Serbia e nelle regioni dove è collocata la maggioranza dei Serbi profughi dal Kosovo. Sono del parere che, in questa situazione grave, dobbiamo costruire la nostra strategia e tattica sull'opinione del popolo, anziché sull'opinione dei partiti politici; innanzitutto sull'opinione di quei Serbi che si trovano in Kosovo anche ora, ed hanno dimostrato quale sia la loro opinione con la pratica, nel marzo 2004, quando difendevano i loro cortili ed abitazioni anche con le armi. Ecco, questo significa "difendere il Kosovo con tutti i mezzi". Questo è il loro punto di differenza dalla posizione di Belgrado che rinuncia a priori a qualunque possibilità di lotta armata.

Belgrado non possiede una sensibilità potenzialmente diversa, nel conflitto con i sequestratori del Kosovo, a parte la retorica. Da lì parte subito il lamento: "e se ci bombardano?" Certo, sarebbe una pazzia combattere contro di loro come si faceva nel 1999. Ma ci sono tantissimi modi per infliggere sofferenze a queste, che sono grandi potenze, e di grande vulnerabilità. L'Afghanistan e l'Iraq, o l'Uragano Katrina, il confronto con i pericoli che pesavano sui loro cittadini, hanno svelato tutta l'impotenza e la disorganizzazione dello Stato più potente nel mondo. Loro sono superiori quando attaccano e infliggono dolore agli altri, però, nei casi che ho citato, sono stati sopraffatti dal terrore. La sensazione del terrore dall'11.9.2001 in poi non li ha più abbandonati. Il Presidente degli Stati Uniti non ha osato visitare il centro città di New Orleans per timore dei cecchini e delle bande armate che saccheggiavano la città deserta.

Non usare l'argomento della forza nella propria strategia politica, mentre nel mondo, oggi più che mai, tutte le liti ed i conflitti internazionali si risolvono con forza, equivale al suicidio. Questo è il segno della incapacità e sfiducia nella forza del popolo.
Questo spiega perché il nostro esercito e la determinazione del popolo nella difesa del Kosovo debbano integrarsi nella nostra strategia statale. Al presente, il Kosovo è l'unico compito dell'esercito. Soltanto che l'esercito non può difendere il Kosovo da solo.
La cura del livello morale, organizzativo e materiale dei Serbi in Kosovo, al fine di resistere al saccheggio, rappresenta il compito più importante del governo. Organi ed enti provvisori, la Chiesa e le organizzazioni non governative, sono sempre d'aiuto in queste situazioni. Bisogna da subito prendere le distanze da quelle persone che in Kosovo pensano e propagandano apertamente che, nel caso il Kosovo diventasse indipendente, si verificherà l'esodo dei Serbi rimasti! Questa è la propaganda della CIA. Al contrario, in tal caso nessun patriota lascerà il Kosovo.

Spero che i Serbi che sono fuggiti dal Kosovo nel 1999, pensando che l'opinione pubblica mondiale si sarebbe commossa e che gli Americani li avrebbero mandati indietro come hanno fatto prima con gli Albanesi, si rendano conto di questo loro grande errore. Bisogna correggerlo al più presto. Evitare di tornare per via del pericolo delle persecuzioni ed aggressioni dei balisti (pericolo che oggettivamente esiste) non è un'argomentazione sostenibile. Questa è codardia. Il pericolo esiste, eppure i Serbi in Kosovo lo sopportano - come mai? Le manifestazioni e le proteste in Serbia, in cui si esclama "Non diamo via il Kosovo", possono soltanto piacere agli Americani ed ai balisti, per dire: "Questi non sono pericolosi: fanno solo baccano."

Tutti quelli che diffondono propaganda del tipo: "il Kosovo è perduto", "salviamo la gente ed i monasteri, il territorio non importa", fanno parte della "quinta colonna" degli Stati Uniti in Serbia. La gente ed i monasteri in uno Stato albanese non possono stare al sicuro, mentre nello Stato serbo si.



L'esercito e la Chiesa

La generalizzata diminuzione dell'esercito e delle sue parti operative in particolare, il pre-pensionamento del corpo degli ufficiali (maggiori – colonnelli) con maggiore esperienza e capacità, sono in stretta correlazione con la proclamazione dell'indipendenza del Kosovo alla fine del 2006. Gli Americani temono ancora, e questo timore non è privo di fondamento, che l'esercito, nel caso di un fallimento del governo civile, non permetterà la secessione del Kosovo. Questo spiega perché privano l'esercito di quadri operativi (tutte le decisioni importanti sul nostro esercito si prendono al Pentagono, sin dai tempi in cui Boris Tadić era Ministro della Difesa), mentre l'ambasciatore americano M. Polt si comporta come se lui fosse il Ministro della Difesa.

Invece di copiare la dottrina americana, nel suo Quadro Strategico della Difesa l'esercito dovrebbe avere il Kosovo come punto fondamentale.
Credo che i vertici militari si renderanno conto di che cosa si tratta, e che non parteciperanno alla capitolazione ed al tradimento che si sta preparando.

Mentre riguardo al Kosovo l'esercito è estromesso in misura tale da perdere il collegamento con il popolo, laddove questo legame era l'elemento più importante per il suo morale e spirito combattivo, la Chiesa agisce ancora come nei secoli passati, quando il popolo nel Kosovo era in pericolo. Per tutti quei soggetti che in Serbia sono in qualche misura responsabili per la questione del Kosovo, la Chiesa rappresenta il modello di come bisogna lottare. In questo modo essa rimedia ai peccati commessi nel 1991, quando appoggiò i nazionalisti serbi diventando loro complice, nella guerra fratricida e nell'aver gettato il Kosovo nelle condizioni odierne. Almeno, loro, ora cercano di correggere l'errore commesso.



24. Maggio 2006.

Stevan Mirkovic,
Presidente del CENTRO TITO, Belgrado

(traduzione a cura di DK)


Le cinque banche della Bosnia

Il settore bancario della Bosnia Erzegovina verso una sempre maggiore
concentrazione, sotto il controllo di pochi grandi gruppi europei. In
base ai dati del 2005, l'italiana Unicredito sarebbe il primo gruppo
del settore

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/5857/1/51/

Le cinque banche della Bosnia

27.06.2006 - Il settore bancario della Bosnia Erzegovina verso una
sempre maggiore concentrazione, sotto il controllo di pochi grandi
gruppi europei. In base ai dati del 2005, l'italiana Unicredito
sarebbe il primo gruppo del settore
Di Damir Hrasnica, DANI http://www.bhdani.com/ , 16 giugno 2006 (tit.
orig. Raiffeisen zvanično, a UniCredit grupa nezvanično najveća
banka u BiH)

Traduzione per Osservatorio sui Balcani: Ivana Telebak


Secondo i risultati preliminari delle attività commericiali per il
2005, la Raiffeisen BiH continuerebbe ad essere la banca leader nel
nostro paese, con un attivo complessivo di 2,49 miliardi di KM
[marchi convertibili, ndt.]. L'anno che è trascorso, tuttavia, sarà
ricordato per il fatto che la stessa Raiffeisen, dopo un lungo
periodo, ha (in realtà) perso la sua posizione di leader nella Bosnia
Erzegovina (BiH).

Nonostante la Raiffeisen ufficialmente fosse infatti la più grande
banca, nel 2005 in BiH, grazie ai movimenti globali, è stata superata
dalla UniCredit Zagrebacka banca Mostar. Il gruppo italiano UniCredit
ha comprato l'anno scorso la HVB tedesca e la Bank Austria
Creditanstalt, e in queste banche in BiH rientravano la HVB Central
Profit banka Sarajevo e la Nova Banjalucka Banka Banja Luka.

[...] Queste tre banche - UniCredit Zagrebacka, HVB Central Profit e
Nova Banjalucka Banka - insieme hanno un attivo del valore di 2,96
miliardi KM, il che praticamente significa che la Raiffeisen è già
stata scalzata dalla posizione di leader del settore. Bisogna ancora
solo aspettare l'acquisizione della HVB Central Profit e della Nova
Banjalucka Banka da parte della UniCredit Zagrebacka Banka, per
avere, ufficialmente, la più grande banca bosniaco-erzegovese.

Ad ogni modo, questo non è l'unico colpo alla fino ad ora intoccabile
Raiffeisen. Nonostante abbia un attivo di poco superiore a quello del
gruppo Hypo Alpe Adria in BiH (2,24 miliardi KM), composta dalle
omonime banche di Mostar e di Banja Luka, la Raiffeisen è alle spalle
di questa banca austriaca quanto a quota di crediti complessivi e
depositi totali in Bosnia Erzegovina. Il gruppo Hypo ha infatti una
quota di crediti in BiH del 22,01 per cento, rispetto al 18,07
percento della quota della Raiffeisen. Discorso simile per quanto
riguarda i depositi: il gruppo Hypo controlla il 28,5 per cento dei
depositi totali in BiH, la Raiffeisen il 24,12.

Il quarto grande gruppo bancario comparso sul mercato della Bosnia ed
Erzegovina nel 2005 è il gruppo Nova Ljubljanska Banka (NLB). NLB
possedeva già da prima in BiH la banca CBS Sarajevo e la banca LHB
Banja Luka, e durante l'anno scorso al gruppo di acquisizione sono
state unite anche la Banca di sviluppo del Sud est europeo Banja Luka
e la Tuzlanska Banka di Tuzla. Nel 2006 è iniziato il processo di
accorpamento della Tuzlanska Banka, della CBS, della LHB e della
Banca di sviluppo. Il gruppo NLB in BiH attualmente controlla un
attivo del valore di 1,08 miliardi di KM e con questo importo si
trova in quarta posizione.

Il quinto grande attore, entrato alla fine dell'anno scorso sul
mercato della BiH, è il gruppo italiano Banca Intesa. Intesa alla
fine del 2005 ha comprato la banca UPI di Sarajevo. Siccome l'attivo
della UPI, di 439 milioni di KM, era comunque troppo basso per una
seria competizione sul mercato, ci si potrebbe aspettare che Intesa
nel corso di quest'anno cerchi di comprare alcune delle restanti
banche libere in BIH e di unirle in un gruppo.

Nei circoli finanziari si specula sul fatto che l'acquisizione della
LT Gospodarska banca da parte di Intesa è praticamente già deciso.
Rimangono ancora libere di essere acquisite la ABS Banka Sarajevo, la
IKB Banka Zenica e la Nova Banka Bijeljina. A dire il vero, l'anno
scorso il fondo di investimento sloveno Poteza ha terminato la
capitalizzazione della Nova Banka e ne è diventato il proprietario di
maggioranza, ma si suppone che i pragmatici sloveni rivenderanno la
banca ad alcuni dei grandi attori, e lo faranno a chi offrirà di più.

Che nel periodo a venire ci si possa aspettare una guerra per la ABS
e la IKB Banka, lo testimonia anche il fatto che la Raiffeisen
Zentralbank Osterreich di Vienna durante il 2005 ha acquistato il
dieci per cento delle azioni di entrambe le banche. La Raiffeisen
dovrà crescere ulteriormente a causa della UniCredit, la Hypo a causa
della Raiffeisen, e l'Intesa e la NLB a causa di tutti gli altri, e
così sarà interessante osservare l'ulteriore sviluppo degli
avvenimenti sul mercato bosniaco erzegovese. Comunque, non bisogna
trascurare anche la possibilità che le grandi banche concorrenti alla
fine si metteranno d'accordo sulle acquisizioni e sulla divisione del
mercato in modo civile e democratico.

Delle altre banche presenti sul mercato della BiH ulteriori
acquisizioni potrebbero esserci anche da parte della Volksbank BiH
Sarajevo, i cui i proprietari di Vienna hanno assicurato una quota in
due miliardi di euro per nuove acquisizioni nell'Europa centrale e
nell'Europa orientale. Inoltre, nel corso di quest'anno è possibile
l'ingresso della Credit Agricole francese sul mercato bancario della
BiH. Si tratta di una delle più grandi banche europee, che ha già
espresso interesse per comprare la problematica Privredna Banka
Sarajevo. Seconda banca francese per dimensioni, la Societe General
l'anno scorso ha svolto una due dilligence della banca UPI, fatto che
dimostra anche il suo interesse per il mercato della BiH, ma gli
italiani, comunque, alla fine erano pronti ad offrire di più.
Ricordiamo che anche la Volksbank ha svolto una due dilligence della
UPI.

Dunque, il processo di ingrandimento del sistema bancario in Bosnia
ed Erzegovina, iniziato lo scorso anno, probabilmente sarà terminato
in questo o nel prossimo anno. A quel punto, come molti analisti
hanno previsto correttamente, in Bosnia ed Erzegovina avremo in tutto
cinque grandi banche e alcuni “attori” più piccoli, e gli
stranieri controlleranno la maggior pare del nostro sistema bancario.

(italiano / deutsch / english)

"NUOVA SERBIA" OVVERO "BELGRADO RIDE"


SERBIA: CHIUSI TERMINI RESTITUZIONE BENI ESPROPRIATI DA TITO
BELGRADO - Scadono oggi i termini previsti dal governo della nuova
Serbia per la restituzione dei beni espropriati nel Paese a suo tempo
dal vecchio regime comunista jugoslavo del maresciallo Tito. Lo
riferisce l'agenzia Vip, citando fonti ufficiali.
La data ultima per le procedure di risarcimento, avviate negli ultimi
anni secondo il medesimo schema applicato in altri Paesi ex
socialisti dell'Europa centro-orientale, era stata fissata sin
dall'inizio.
Secondo il Direttorato governativo per le proprieta', le attuali
autorita' di Belgrado hanno riconosciuto finora i diritti lesi a
quasi 23.000 soggetti, danneggiati dalla legge di confisca e
nazionalizzazione di beni privati varata dal regime di Tito il 9
marzo 1945.
30/06/2006 13:55


SERBIA: SI' A LEGGE PER RESTITUZIONE BENI A CHIESA ORTODOSSA
(ANSA-AFP) - BELGRADO, 25 MAG - Il Parlamento serbo ha oggi adottato
una legge che assicura alla Chiesa ortodossa serba e ad altre
comunita' religiose la restituzione dei beni sequestrati dal regime
comunista dopo la Seconda guerra mondiale. Con 126 voti (sui 250 del
Parlamento serbo), i deputati hanno deciso la restituzione alle
Chiese di terre, coltivabili o no, immobili e beni culturali che si
trovano sull'insieme del territorio della Serbia, compresa la
provincia del Kosovo, attualmente sotto amministrazione dell'Onu.
Tali proprieta' - precisa il testo - saranno restituite nello stato
in cui si trovavano al momento del sequestro, o dovranno essere
versati risarcimenti secondo il loro valore di mercato. La legge
istituisce un organismo speciale per la restituzione di tali beni,
incaricato di esaminare le domande (che dovranno essere presentate
entro settembre 2008). Dopo la Seconda guerra mondiale, Serbia,
Montenegro, Croazia, Slovenia, Bosnia-Erzegovina e Macedonia
divennero una Federazione comunista. Le autorita' jugoslave
adottarono all' epoca una serie di decreti che nazionalizzavano le
proprieta' private, tra cui quelle della Chiesa ortodossa. Il
ministro dell'Economia serbo Milan Parivodic ha annunciato altresi'
che il governo ha preparato un progetto di legge sulla
privatizzazione - che dovrebbe essere presentato al Parlamento in
settembre - per la restituzione ai legittimi proprietari dei beni
nazionalizzati. Alcuni esperti stimano che le proprieta' appartenute
alla Chiesa ortodossa e ad altre Chiese in territorio serbo
costituiscano il 3% di quelle che furono nazionalizzate dai
comunisti. Secondo dati non ufficiali citati dalla televisione B92,
la Chiesa ortodossa serba ha gia' chiesto a Belgrado la restituzione
di proprieta' per un valore di 2 miliardi di euro e di 250.000 ettari
di terre coltivabili. (ANSA-AFP). DIG
25/05/2006 23:28


Newsletter vom 26.06.2006 - Flurbereinigung / IMPRENDITORI
TEDESCHI ALLA CONQUISTA DELLA COLONIA SERBA
BELGRAD/SKOPJE/TIRANA/BERLIN (Eigener Bericht) - Kurz nach der
Sezession Montenegros und wenige Monate vor der endgültigen
Abspaltung des Kosovo forciert Berlin die Unterstellung des
serbischen Kernlandes unter deutsche Unternehmensinteressen. Der
"serbische Markt" biete "große Absatz- und Investitionschancen für
deutsche Firmen", urteilt das Bundeswirtschaftsministerium nach einem
zweitägigen Arbeitsaufenthalt seines Staatssekretärs Joachim
Wuermeling in Belgrad. Zu den Branchen, die dort derzeit staatlicher
Kontrolle entzogen und an privatem Gewinn orientierten Interessenten
übertragen werden, gehört insbesondere der strategisch wichtige
Energiesektor. In ganz Südosteuropa erwarten Fachleute in den
nächsten 15 Jahren Investitionen in die Strom- und Gas-Infrastruktur,
die einen Umfang von rund 21 Milliarden Euro erreichen dürften - ein
"attraktive(s) Terrain", heißt es in Wirtschaftskreisen. Deutsche
Unternehmen sind bereits jetzt in der Branche aktiv und bedienen sich
für ihre Expansion gelegentlich österreichischer Firmen. Deren offene
Übernahme wird für die kommenden Jahre nicht ausgeschlossen...
mehr: http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56413


US TAKES LEAD IN INVESTING IN SERBIA / GLI USA PRIMI NELLA GARA
COLONIALE PER IL SACCHEGGIO DELLA SERBIA
Once seen as Serbia's biggest foreign foe, the United States is now
spearheading its economic revival.
By Senita Slipac in New York (Balkan Insight, 12 Apr 06)
Some 14 years after pressing for the United Nations to impose
sanctions on Belgrade, the United States has become Serbia and
Montenegro's biggest foreign investor. The World Bank says American
firms accounted for roughly one-third of the 3.5 billion US dollars
of foreign money invested between 2002, when the sanctions were
eventually lifted, and the end of 2004...
Read more: http://www.birn.eu.com/insight_30_5_eng.php


SERBIA: ESULTA PER SBLOCCO TRANCHE PRESTITO FMI
(ANSA) - BELGRADO, 7 FEB - Il ministro delle finanze serbo, Mladjan
Dinkic, ha definito oggi ''un successo'' per il suo Paese la
decisione assunta nelle scorse ore a Washington dal board del Fondo
monetario internazionale (Fmi) a favore dello sblocco dell'ultima
tranche di un prestito da 937 milioni di dollari. Tranche di un
finanziamento concesso a Belgrado dopo la caduta (nel 2000) del
regime di Slobodan Milosevic. Secondo Dinkic, citato dall'agenzia
Tanjug, la decisione del Fondo corona una fase quinquennale di
cooperazione tra il Fmi e la Serbia-Montenegro, inserita tra i Paesi
in via di transizione e di ricostruzione postbellica dopo
l'isolamento degli anni '90. Lo sblocco della rata rappresenta
inoltre la precondizione verso un imminente ulteriore sconto da parte
del Club di Parigi (il sodalizio che rappresenta gli Stati creditori)
sull'ammontare del debito estero di Belgrado, pari a 700 milioni di
dollari. Queste concessioni vengono interpretate dagli analisti come
un riconoscimento agli sforzi di politica economica intrapresi -
malgrado le contraddizioni della transizione serba e talune
congiunture sfavorevoli - dall'attuale governo del premier liberal-
conservatore Vojislav Kostunica, l'uomo attorno al quale si raccolse
nel dicembre del 2000 il grande movimento di piazza che scalzo'
Milosevic dal potere. Esse segnalano d'altra parte il peso relativo
che le istituzioni finanziarie internazionali sembrano attribuire
alle inadempienze imputate tuttora alla Serbia-Montenegro dal
tribunale penale dell'Aja (Tpi), dall'Ue e da vari governi
occidentali in materia di mancata cattura di latitanti per crimini di
guerra come i famigerati capi serbo-bosniaci Ratko Mladic o Radovan
Karadzic.(ANSA). COR-LR
07/02/2006 18:49

(english / con brevissimi titoli in italiano;

fonte della stragrande maggioranza dei testi sono

Rick Rozoff, attraverso la lista yugoslaviainfo @yahoogroups.com

ed il sito internet http://www.slobodan-milosevic.org/ )



NEVERENDING POGROMS IN KOSMET (3)



# LINKS / collegamenti a notizie fino all'inizio di giugno



# NEWS / agenzie di stampa e brevi articoli:

- Serbs attached 186 times since beginning of talks / 186 ATTENTATI
ANTISERBI DALL'INIZIO DEI "COLLOQUI" DI VIENNA

- Slavica Dejanovic wounded outside her house / FERITA UNA DONNA SERBA

- Serb leaders in Kosovo rebel / I LEADER SERBO-KOSOVARI ROMPONO CON
L'AMMINISTRAZIONE LOCALE

- Kosovo premier congratulates Montenegrins, thanks them for
support / SECESSIONISTI KOSOVARI GIOISCONO PER SECESSIONE MONTENEGRINA

- Moscow city govt donates USD 2 bln to Serbian refugees / DONAZIONI
DALLA RUSSIA PER LE VITTIME SERBE DEI POGROM

- Council of Europe on Kosovo / IL CONSIGLIO D'EUROPA SUL KOSOVO

- Province is human rights' "black hole" / IL BUCO NERO DEI DIRITTI
UMANI È AL CENTRO DELL'EUROPA

- United Nations vehicle attacked near Kosovska Mitrovica / VEICOLO
ONU PRESO DI MIRA

- UNHCR acknowledges plan for Serb evacuation / L'UNHCR (ONU) RENDE
NOTO IL PROPRIO PIANO PER CANCELLARE LA PRESENZA SERBA DALLA PROVINCIA

- Shots fired at returnees / PROFUGHI RIENTRATI IN KOSOVO PRESI DI MIRA

- Serbs in northern Kosovo say they have formed own security units /
FORMATE UNITÀ DI AUTODIFESA SERBE AL NORD

- Kosovo Serbs report 70 incidents to UN envoy / 70 "INCIDENTI"
DENUNCIATI

- Billboards and Posters Against Serbian Goods Spring up in Kosovo /
CAMPAGNA RAZZISTA PER IL BOICOTTAGGIO DEI PRODOTTI SERBI

- Another Serb municipality in northern Kosovo introduces emergency
measures / MISURE DI EMERGENZA NELLA MUNICIPALITÀ SERBA

- Bomb damages Kosovo customs vehicle / ORDIGNO CONTRO VEICOLO UNMIK

- Kosovo Albanians open fire at car with British tourists / SCAMBIATO
PER SERBO, TURISTA BRITANNICO RISCHIA LA VITA

- Kosovo: UN refugee agency remains concerned at persecution risk for
minorities / UNHCR PREOCCUPATA PER ROM ED ALTRE MINORANZE

- Serbia demands independence for Republika Srpska / DOPO IL KOSOVO
LA REPUBBLICA SERBA DI BOSNIA

- Terror on rise / AUMENTA IL TERRORE NELLA PROVINCIA "LIBERATA"
DALLA NATO DI D'ALEMA

- Church vandalised in Obilić / CHIESA VANDALIZZATA

- Serb found dead at his home in Kosovo, police confirm / SERBO
TROVATO MORTO AMMAZZATO

- Kosovo Serbs Recruit Former Soldiers for Defense / I SERBI
ORGANIZZANO L'AUTODIFESA CONTRO IL NEONAZISMO PANALBANESE APPOGGIATO
DA "EUROPA" ED USA

- Serbian church in northern Kosovo attacked again / NUOVO ATTACCO
CONTRO CHIESA

- Serb cemetery desecrated in Kosovo / ANCORA UN CIMITERO PROFANATO

- Bomb thrown on bus in Serb village / ORDIGNO CONTRO BUS SERBO

- German General Kater assumes KFOR command / COME NEL 1943: GENERALE
TEDESCO RIMPIAZZA ITALIANO ED ASSUME IL COMANDO DELLE TRUPPE DI
OCCUPAZIONE

- Blair warns Serbs to accept different vision for Kosovo / TONY
BLAIR AI SERBI: VOI SUL KOSOVO FARETE QUELLO CHE DICIAMO NOI

- Vecerne Novosti: Agim Ceku Certain that Washington and London Back
Kosovo’s Independence / IL "PREMIER" CRIMINALE DI GUERRA: WASHINGTON
E LONDRA CI APPOGGIANO

- Balkan Web: Albania and Kosovo Will Intensify Cooperation in all
Spheres / SI STRINGONO I LEGAMI PAN-ALBANESI

- Serbia warns of break with west over Kosovo / DETERIORAMENTO DELLE
RELAZIONI TRA SERBIA ED OCCIDENTE

- Kosovo Albanians arrested for attack on police in divided town -
TV / 5 PAN-ALBANESI ATTACCANO POLIZIA A MITROVICA NORD E SONO ARRESTATI

- Politika: Russia hints veto over Kosovo / LA RUSSIA POTREBBE USARE
IL VETO ALL'ONU CONTRO LA SECESSIONE KOSOVARA

- Putin warns against double standards in separatist republics /
PUTIN CONTRO I "DUE PESI DUE MISURE"



=== LINKS: ===



SHOTS FIRED AT SERBIAN CLERGYMAN IN KOSOVO
FoNet - May 8, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/fonet050706.htm

SERBS ATTACKED BY ALBANIAN MOB IN KOSOVO
Mina (Montenegro) - May 9, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/mina050906.htm

U.S. MILITARY ADVISOR WARNS THAT AN INDEPENDENT KOSOVO WOULD BE
CRIMINAL STATE SIMILAR TO AFGHANISTAN UNDER THE TALIBAN
The Washington Times - May 10, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/wt050906.htm

TWO SERBS SHOT IN KOSOVO
Radio-Television Serbia - May 11, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/rts051106.htm

GERMANY ARRESTS KOSOVO-ALBANIAN FOR ATROCITIES IN KOSOVO
Blic - May 12, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/blic051206.htm

ANOTHER SERBIAN CHURCH DESECRATED IN KOSOVO
FoNet - May 13, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/fonet051106.htm

BUS CARRYING SERBS ATTACKED BY ALBANIANS IN KOSOVO
FoNet - May 14, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/fonet051206.htm

SERB-OWNED BUSINESS DESTROYED BY ROCKET PROPELLED GRENADE IN KOSOVO
Radio-Television Serbia - May 16, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/rts051606.htm

ITALIAN POLICE CATCH KOSOVO-ALBANIAN MOBSTERS BOASTING ABOUT THE
DESTRUCTION OF SERBIAN CHURCHES IN WIRETAP OPERATION
Vecernje Novosti - Wednesday, May 18, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/vn051706.htm

SEVERAL INJURIES IN FIGHTING AFTER ALBANIAN MAN OPENS FIRE ON SERBIAN
REFUGEE OFFICE IN NORTHERN MITROVICA
SRNA - May 19, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/srna051906.htm

SERBIAN POLICE NAB KOSOVO HEROIN TRAFFICKER ON CROATIAN BORDER
UPI - May 21, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/upi051906.htm

KOSOVO INDEPENDENCE WOULD LEAD TO FORMATION OF ISLAMIC TERROR STATE
Vecernje Novosti - May 22, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/vn052106.htm

SQUAD OF UN POLICE AND TWO SERBIAN LAWYERS ATTACKED BY ALBANIAN
"WOMEN AND CHILDREN" IN KOSOVO
AFP - May 26, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/afp052505.htm

MONTENEGRIN SOVEREIGNTY ENDANGERED BY ALBANIAN TERRORISTS
Defense & Foreign Affairs Special Analysis - May 29, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/dfasa052606b.htm

KOSOVO INDEPENDENCE WILL PRECIPITATE INDEPENDENCE REFERENDUM IN
REPUBLIKA SRPSKA
SRNA - June 1, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/srna052806.htm

BRIDGE LINKING TWO KOSOVO-SERB COMMUNITIES DESTROYED BY BOMB
B92 - June 2, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/b92060106.htm

PUTIN: KOSOVO INDEPENDENCE WILL DESTROY EUROPE
Agence France Presse - June 3, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/afp060206.htm

UNMIK PLANNING FOR EXPULSION OF 70,000 KOSOVO-SERBS IF KOSOVO GAINS
INDEPENDENCE
Deutsche Presse-Agentur - June 5, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/dpa053106.htm




=== NEWS: ===



http://www.slobodan-milosevic.org/news/kp060106.htm

SERBIAN OFFICIAL: SERBS ATTACKED 186 TIMES SINCE GREEN LIGHT FOR
KOSOVO TALKS

BBC Monitoring International Reports - June 1, 2006, Thursday
Text of report by Serbia-Montenegrin radio Kontakt Plus on 1 June

[Announcer] The [Serbian] Coordination Centre for Kosovo-Metohija's
press centre in Kosovska Mitrovica said that barricades made of
branches had been set up on the Zvecan-Zitkovac road [where body of
Kosovo Serb was found early this morning with three gunshot wounds],
adding that a number of 7.65-mm calibre shells had been found at the
scene. This is the third serious incident in the area in the past
month. Before that, a vehicle carrying a Serbian Orthodox Church
priest with his family had been fired at, and then two ethnic Serb
youths were gravely injured in an armed attack at a petrol station.
The Coordination Centre for Kosovo-Metohija chairwoman, Sanda
Raskovic-Ivic, today most harshly condemned the incident in the
vicinity of Zvecan, describing the event as a tragedy. In a statement
for Kontakt Plus radio, Raskovic-Ivic recalled that there had been
186 incidents since 24 October 2005, when the decision was taken to
begin talks about the future of Kosmet [Kosovo-Metohija].

[Raskovic-Ivic] I made a point of mentioning this date because it was
the date set for the beginning of negotiations about the future
status of Kosovo. In this way we see that in Kosovo, nothing has
changed in practice. We see that the police are not doing their job,
that the Albanians attacked the Serbs 186 times before the very nose
of the international community, incidents in which we had two fatal
outcomes and over 20 persons suffering grave injuries. All this
provides very serious cause for concern, a two-fold concern. The
first is what happens when the international community leaves Kosovo-
Metohija, and the other is that the police are not doing their job,
whether it is the UNMIK [UN Interim Administration Mission in Kosovo]
police or the Kosovo Police Service [KPS].

[Announcer] Raskovic-Ivic concluded that the latest incident near
Zvecan was yet another story whose ending is not yet known.

---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/fonet060406.htm

KOSOVO SERB WOMAN SAYS SHOTS FIRED AT HER FROM ALBANIAN VILLAGE

BBC Monitoring International Reports - June 4, 2006, Sunday
Text of report by Serbian independent news agency FoNet

Kosovska Mitrovica, 4 June: The life of Slavica Dejanovic, who was
wounded outside her house in the village of Priluzje near Kosovo
Polje at around 1400 [1200 gmt] today, is not in danger, the Kosovska
Mitrovica hospital director Marko Jaksic has confirmed for FoNet.
According to him, her shoulder was injured and, following surgery,
she is stable.
Jaksic said that Slavica had told doctors that she had been shot at
from the direction of the Albanian village of Donje Trnovce.
---

http://www.iht.com/articles/2006/06/05/news/kosovo.php

International Herald Tribune
Reuters, The Associated Press
June 6, 2006

Serb leaders in Kosovo rebel

ZVECAN - Serbia Serbian leaders in north Kosovo said
Monday that they had cut off all contact with the
province's ethnic Albanian authorities, a new sign of
resistance as the Albanian majority pushes for
independence from Serbia this year.
At a protest in the town of Zvecan, leaders of the
50,000 Serbs in north Kosovo declared a "state of
emergency" in response to a spate of shootings that
they attribute to Albanian separatists.
They demanded the return of the Serbian police, who
were forced to leave the province in 1999 with the
Yugoslav Army under an agreement to end 78 days of
NATO bombing.
UN Security Council Resolution 1244 provides for the
return of up to 1,000 Serbian police.
....
The United Nations has contingency plans for an exodus
of Serbs in the event the 90-percent ethnic Albanian
majority gets its own state, while NATO said last week
that it planned to bolster patrols in the north by
reopening a military base.
In another development Monday, the Serbian Parliament
proclaimed the Balkan republic a sovereign state,
following Montenegro's decision to declare
independence from their union and dissolve what was
left of Yugoslavia.
The 126 lawmakers who voted unanimously acknowledged
that their state was the heir to the union of Serbia
and Montenegro - the last shred of what was once a
six-member Yugoslav federation. Parliament has 250
deputies, but the opposition boycotted the vote,
walking out just beforehand.

---

http://kosovareport.blogspot.com/2006/06/kosovo-premier-
congratulates.html

KohaVision TV (Kosovo)
June 5, 2006

Kosovo premier congratulates Montenegrins, thanks them for support

[Text of report by Kosovo Albanian television
KohaVision TV on 5 June]

[Announcer] By saying Yes to independence, Montenegro,
our neighbour in the West, has fulfilled its
aspiration to break away from Serbian control and
become an equal member of the family of sovereign and
independent nations of the world, Kosova [Kosovo]
Premier Agim Ceku said in his weekly radio address to
the nation.
The birth of this new country in the Balkans, on the
periphery of Europe is, according to the prime
minister, the *penultimate* act of Yugoslavia's
disintegration....
Our relations with Montenegro have shown signs of
improvement since the Dayton accords [US-brokered 1995
Bosnian peace agreement] and gradually culminated in
our liberation war....
The Kosova people will never forget the hospitality
the Montenegrin government and people showed during
1998-99 when they sheltered hundreds of thousands of
Albanians...the Kosova prime minister said.
....
It is time for the Montenegrin minority to come out
openly and help strengthen our institutions, our
common Kosova.
Kosova is awaiting a definition of its status,
independence and sovereignty.
We will then move faster towards Europe.
Until then we wish the Montenegrin government and the
people a good journey, prosperity and peace, assuring
them that we will soon meet in a united Europe, Kosova
Premier Ceku underlined in his weekly address.

---

http://www.itar-tass.com/eng/level2.html?NewsID=9585128&PageNum=0

Itar-Tass
June 6, 2006

Moscow city govt donates USD 2 bln to Serbian refugees

BELGRADE - Moscow city government has donated two
million U.S. dollars to build housing for Serbian
refugees returning to Kosovo, a source at the
Coordinating Center for Kosovo and Metohija said on
Tuesday.
A delegation of the Moscow city government has arrived
in Belgrade to meet with the Coordinating Centre’s
head Sanda Raskovic-Ivic to discuss “technical
implementation of the project.”
The funds will be earmarked for building 75 homes in
Ljug and Blagaca, northeast of Kosovo.
Serbian families who fled from the region in 1999 will
be able to return to Kosovo by the end of the year.
“Construction work is already in progress,” the source
said.
Raskovic-Ivic expressed to the Moscow city government
“sincere gratitude for fraternal help for the Serbians
refugees returning to Kosovo.”
She pointed out that this process requires “long-term
comprehensive efforts and the Moscow city government
helped us a lot in this sense.”

---

From: tim fenton
Subject: [yugoslaviainfo] Council of Europe on Kosovo
Date: June 7, 2006 10:17:45 PM GMT+02:00

Not surprisingly the CIA has found the legal limbo of Kosovo &
Metohija suits their nefarious requirements to mistreat suspects
perfect. The Council of Europe paper published recently has the
following comments:

http://assembly.coe.int/Main.asp?Link=/CommitteeDocs/
2006/20060606_Ejdoc162006PartII-FINAL.htm#P1163_244624

264. Legality and fairness by no means preclude firmness, but confer
genuine legitimacy and credibility on a state’s inevitable preventive
actions. In this respect, some of the international community’s
attitudes are disturbing. I have already mentioned the unacceptable
practice involving the application of UN Security Council sanctions
on the basis of black lists. Another example is the situation in
Kosovo, where the international community intervened to restore
peace, justice and democracy: the inhabitants of this region are
still the only people in Europe – with the exception of Belarus –
not
to have access to the European Court of Human Rights; its prisons are
a virtual black hole, not open for inspections or monitoring by the
Committee for the Prevention of Torture. In the name of what
legitimacy, and with what credibility, is this same international
community entitled to lecture Serbia? Examples are more effective
than threats (Corneille).

[...]

291. The international community is finally urged to create more
transparency in the places of detention in Kosovo, which to date
qualify as ‘black holes’ that cannot even be accessed by the CPT.
This is frankly intolerable, considering that the international
intervention in this region was meant to restore order and lawfulness.
---

http://www.adnki.com/index_2Level_English.php?
cat=Security&loid=8.0.307207490&par=0

ADN Kronos Internatioal (Italy)
June 6, 2006

KOSOVO: PROVINCE IS A HUMAN RIGHTS "BLACK HOLE" FOR SERBS, OFFICIAL
WARNS

Belgrade - The ethnic Albanian majority southern
province of Kosovo's tiny Serb minority is facing
annihilation, a senior Serb official on Tuesday warned
the UN chief representative in Kosovo, Soren Jessen
Petersen.
The Serbian government's coordinator for Kosovo, Sanda
Raskovic Ivic, told Jessen Petersen that Kosovo is a
‘black hole’ when it comes to human rights, blaming
the international community for not doing its job
there.
Since the continuing talks on Kosovo's final status
started last October, 186 ethnically motivated
incidents against Serbs have taken place, including
two murders and 20 serious injuries.
There will soon be no Serbs in Kosovo if the present
situation continues, Raskovic Ivic told Jessen
Petersen in a letter.
She pointed out that 140,000 remaining Serbs in Kosovo
live in isolated ghettos, without freedom of movement
and basic human rights, including the “right to live”.
Serb officials have previously accused Petersen of
bias in his support for the ethnic Albanian drive for
independence.
Serbs in Kosovo were the victims of constant
harassment and even murders by the majority ethnic
Albanians, Raskovic Ivic stated.
“Today, Kosovo and Metohija (the Serbian name for the
province) is a ‘black hole’ when it comes to human
rights, and many democratic countries keep assaulting
the territorial integrity of Serbia through their
officials and lobbyists,” said Raskovic.
"Serbs are the most endangered ethnic group in Europe.
Today an ethnocide is being carried out on its soil in
front of the international police force, which simply
looks the other way, not wishing to see the reality,”
she said.
Raskovic Ivic blamed the United Nations Mission in
Kosovo (UNMIK) for "killing even the Serbian word" by
censuring its press. "Only this time the gunshot did
not come from an Albanian sniper, it was fired from
UNMIK’s office,” Raskovic concluded.
The dramatic letter, distributed to the press, was
written on the eve of the seventh anniversary of
Kosovo being put under UN control in June 1999 and
ahead of Petersen’s imminent report to the UN Security
Council on the situation in Kosovo.
Over 3,000 Serbs have been killed or listed as missing
since the province was put under United Nations
control in 1999.
Belgrade and local Serbs oppose Kosovo's independence,
which they regard as the birthplace of their state,
preferring a form of broad autonomy for the province.
According to signals from world powers, the
international community is now moving towards granting
Kosovo independence - wanted by most of its 1.7
million ethnic Albanians.

---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/b92060806.htm

KOSOVO ALBANIANS ATTACK UN VEHICLE NEAR MITROVICA

BBC Monitoring International Reports - June 8, 2006, Thursday
Text of report in English by Belgrade-based Radio B92 text website on
8 June

Kosovska Mitrovica, 8 June: A group of Albanians attacked a United
Nations vehicle near Kosovska Mitrovica today.
"About 15 Albanians, slightly older than the age of 20, jumped out
onto the road. I had to slow down the bus to make sure that I would
not run anyone over. They used this move to approach the bus, kick it
and hit it with sticks and throw rocks at it. I was able to get the
bus out somehow, by swerving on the road and trying to escape," said
bus driver Aleksandar Trajkovic.
The back window of the vehicle was broken during the attack, but no-
one was injured.
This same bus had already been attacked twice in the same village of
Rudnik, once on 9 May and another time on 12 May. Since these
incidents, Kosovo police have been escorting the vehicle on its
trips, though today the police were, for unknown reasons, not present.
---

http://www.adnki.com/index_2Level_English.php?
cat=Politics&loid=8.0.308264568&par=0

ADN Kronos International (Italy)
Jun 8, 2006

KOSOVO: UNHCR ACKNOWLEDGES PLAN FOR SERB EVACUATION

Pristina - The United Nations High Commission for
Refugees (UNHCR) has acknowledged the existence of a
contingency plan to evacuate 70,000 Serbs from the
southern Kosovo province if the region became
independent as expected this year.
In an interview with Belgrade daily Vecernje novosti,
Sandra Mitchell, an official of the UN administration
in Kosovo (UNMIK), played down the significance of the
plan, saying: "Such plans are prepared everywhere
where political processes with possible incidents are
taking place, which may influence the displacement of
people."
"The UNHCR plan for the acceptance of some 70,000
refugees from Kosovo is nothing unusual, but an
obligation of the organisation," said Mitchell.
But she added she was convinced the exodus would not
take place should the international community cede to
ethnic Albanian majority demands for Kosovo's
independence.
Mitchell said that several thousand Serbs have shown
interest in returning to Kosovo, after some 250,000
fled the province when it was put under UN control in
1999.
"Unfortunately, the number of returnees of Serb and
other non-Albanian communities is much smaller than
expected. According to UNHCR data, about 14,500 people
have returned, of which 40 percent are Serbs, which is
still a very small number," Mitchell said.
UNMIK this week announced it was sending some 500 new
international peackeepers to Kosovo to stem the rise
in inter-ethnic incidents that has occurred as Kosovo
appears to be moving closer towards independence.
UNMIK said that the reinforcements would be stationed
in northern Kosovo, populated mostly by Serbs, raising
speculations in Belgrade press that the purpose was
actually to prevent the partitioning of Kosovo if it
became independent.
Belgrade opposes Kosovo's independence, favouring
instead broad autonomy for the province's 1.7 million
ethnic Albanians.
However, ethnic Albanian leaders have said they will
settle for nothing short of independence.
UNMIK chief Soren Jessen Petersen is expected on 20
June to deliver a report to the UN Security Council on
the situation in the province.
Petersen’s term expires at the end of June and
Pristina media reported on Thursday that he would
leave the post, which would temporarily be taken over
by his deputy, American general Steven Shuck.

---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/b92060906.htm

SHOTS FIRED AT KOSOVO SERB RETURNEES, SAYS OFFICIAL

BBC Monitoring International Reports - June 9, 2006, Friday
Text of report by Belgrade-based Radio B92 text website on 9 June

Ljug, 9 June: Automatic rifle shots were fired last night at a house
in the settlement of Ljug, which is being used by Serb returnees
until their homes are ready.
Rados Vulic from the Kosovo Coordination Centre said that the attack
occurred at 0030 [2230 gmt] while there were 10 people in the house,
who are waiting for the completion of building work on their houses
in Ljug.
No-one was injured in the attack. "The aim of the assailants was to
intimidate Serbs, thereby dissuading them from settling down in their
new homes. Two days ago unknown perpetrators cut the power cable and
took away the electrical fittings from one of the houses, as well as
putting up an Albanian flag on another house also under
construction," Vulic said.
The incidents have been reported to the Kosovo Police Service.
---

http://kosovareport.blogspot.com/2006/06/serbs-in-northern-kosovo-say-
they-have.html

Associated Press
June 12, 2006

Serbs in northern Kosovo say they have formed own security units

KOSOVSKA MITROVICA - Serbs in tense northern Kosovo
said Monday they have formed neighborhood security
units following a recent spate of attacks in the area.
The U.N. police said they had no knowledge of such
units.
The Serb Coordination Center said in a statement that
the self-styled observation posts and vigilante groups
were set up at "potentially dangerous points" last
week to stave off possible attacks against the Serbs
in northern Kosovo.
"Constant attacks on the Serbs and their property,
from robberies to murders, have forced us to organize
ourselves," the statement said. It added that the
units were formed with the help of members of the
Kosovo police and former Serb police. No other details
were given.
There was no immediate comment from the U.N.
authorities in Kosovo, who have run the province since
a 1999 war. The U.N. police in Kosovska Mitrovica -
the divided city that is the center of northern Kosovo
- said they were not aware that the units were formed.
The Serbs last week have complained of growing
incidents in the region, and the U.N. authorities
promised to send additional police to step up
security.
Forming of Serb-only units could fuel tensions in
Kosovo, amid the ongoing U.N.-brokered negotiations
that will decide whether the province will gain
independence or remain part of Serbia.
Kosovo now formally is a Serbian province, but it has
been run by the United Nations and NATO since 1999,
when a NATO air war against Serbia forced Belgrade to
end a crackdown against Kosovo's ethnic Albanian
separatists and pull out of the province.
Ethnic Albanians in Kosovo insist on gaining
independence, while the minority Serbs and Belgrade
want the province to remain within Serbia.
Also Monday, Serbia's president Boris Tadic warned
that "any form of independence" for Kosovo would
destabilize the Balkans. Serbia has offered Kosovo
full autonomy from Belgrade's government, but not
territorial independence.

---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/fonet061106.htm

Kosovo Serbs report 70 incidents to UN envoy

BBC Monitoring Europe (Political) - June 11, 2006
Excerpt from report by Serbian independent news agency FoNet

Kosovska Mitrovica, 11 June: UN envoy for Kosovo status talks Marti
Ahtisaari has held talks in Kosovska Mitrovica with representatives
of the Serb National Council [SNV] of northern Kosovo who warned him
that democratic standards are not being achieved in Kosovo despite
UNMIK [UN mission in Kosovo] claims to the contrary.
SNV chairman Milan Ivanovic told a news conference that Ahtisaari was
informed about 70 ethnically-motivated incidents which had recently
taken place in the Mitrovica region.
Ivanovic said that the Finnish diplomat was warned that
representatives of Kosovo institutions were trying to conceal the
background to crimes against Kosovo Serbs.
"We told Ahtisaari in no uncertain terms that an independent Kosovo
is unacceptable for the Serbs and that it would lead to ethnic
cleansing of the Serb community," Ivanovic said. [Passage omitted]
---

http://www.focus-fen.net/index.php?catid=144&newsid=90104&ch=0

Focus News Agency
June 10, 2006

Billboards and Posters Against Serbian Goods Spring up in Kosovo

Kosovska Mitrovica - Billboards and posters appeared
all around Kosovo calling for a boycott of Serbian
goods in the region, the Serbian news agency TANJUG
reports.
The goods in question are products of Serbian
companies that produce building materials, foods,
medicine, etc.
According to the Serbian Statistical Institute in 2005
Serbia marketed in Kosovo goods amounting to EUR 144,4
million while Kosovo marketed on the Serbian market
goods amounting only to EUR 3,3 million.

---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/kp061406.htm

Another Serb municipality in northern Kosovo introduces emergency
measures

BBC Monitoring Europe (Political) - June 14, 2006, Wednesday
Text of report by Serbia-Montenegrin radio Kontakt Plus on 13 June

[Announcer] Leposavic municipal deputies decided today [13 June] to
introduce emergency measures in this northern Kosovo municipality and
to cut all ties with Kosovo interim institutions. Zeljko Tvrdisic
reports.
[Tvrdisic] This is the third municipality in northern Kosovo,
following Zvecan and Zubin Potok, which decided to cut ties with the
Kosovo government due to, as it was stated, alarmingly-worsened
security situation in this part of Kosovo. Besides the decision that
Serbs refuse to receive salaries and all other dues from Kosovo
institutions, the deputies also supported a general petition from
last week's rally in Zvecan, that they get self-organized for
security reasons. It was also mentioned that the Leposavic
municipality was prepared, if the previous petition is not met, to
take part in employing and financing 999 Serb policemen. The measure
passed by the Leposavic deputies stepped took immediate effect and
shall be implemented until perpetrators of numerous crimes have been
found, i.e. until the security situation in northern Kosovo has
stabilized.
---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/srna061506.htm

Bomb damages Kosovo customs vehicle

BBC Monitoring Europe (Political) - Jun 15, 2006
Excerpt from report by Bosnian Serb news agency SRNA

Zubin Potok, 15 June: Unknown persons hurled a bomb at a Kosovo
Customs Administration vehicle in front of the UNMIK [UN Interim
Administration Mission in Kosovo] building in Zubin Potok in northern
Kosovo at about 1600 [1400 gmt], Kosovo Police Service spokesman
Ranko Stanojevic has told SRNA.
"There were no casualties or injuries, although considerable material
damage was caused to the vehicle," Stanojevic said.
He said that a Kosovo police investigating unit immediately came to
the scene and started an on-site investigation. [Passage omitted]
---

KOSOVO-ALBANIANS OPEN FIRE AT BRITISH TOURISTS FOR DRIVING A CAR WITH
BELGRADE LICENSE PLATES
Itar-Tass - June 17, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/it061506.htm

http://www.itar-tass.com/eng/level2.html?NewsID=10257893&PageNum=4

Itar-Tass
JUne 16, 2006

Kosovo Albanians open fire at car with British tourists

BELGRADE - Albanians opened fire at a car with British
tourists near the town of Jakovica in the west of
Serbia’s much-troubled province of Kosovo, diplomats
at the British mission in Kosovan capital Pristina
said.
A total of two British nationals were traveling around
Kosovo in a car rented in Belgrade.
The misfortunate incident occurred when they
encountered an automobile cortege with a wedding
procession.
Upon seeing an automobile with a Belgrade number
plate, the Albanians opened sporadic fire at it from
pistols and hunting guns, which inflicted heavy damage
on the car.
Kosovan mass media indicate the Britons had a narrow
escape – they jumped out of the automobile and took
hiding in a nearby forest until police arrived at the
scene.
Kosovo law enforcement agencies launched an inquiry
into the incident.

---

http://www.un.org/apps/news/story.asp?NewsID=18892&Cr=kosovo&Cr1=

UN News Centre
June 16, 2006

Kosovo: UN refugee agency remains concerned at persecution risk for
minorities

While removing two Roma communities from the list of
people considered at risk in Kosovo, the United
Nations refugee agency remains concerned for more than
400,000 Serbs, other Roma and Albanians who could face
persecution if they returned to places where they are
a minority in the multi-ethnic Serbian province.
“The fragile security environment and serious
limitations these people face in exercising their
fundamental human rights shows they should continue to
be considered at risk of persecution and should
continue to benefit from international protection in
countries of asylum,” UN High Commissioner for
Refugees (UNHCR) spokesman Ron Redmond told a news
briefing in Geneva.
“Return of these minorities should be strictly
voluntary, based on fully informed individual
decisions,” he added of UNHCR’s latest position paper
aimed at guiding states and others making decisions
about whether people from Kosovo should continue to
receive international protection in an asylum country.
The Ashkaelia and Egyptian Roma communities were taken
off the list thanks to positive developments within
the inter-ethnic environment, but the paper says their
returns should still be approached in a phased manner
due to the limited absorption capacity of Kosovo,
where Albanians outnumber Serbs and others by 9 to 1.
There are still more than 200,000 refugees and persons
of concern to UNHCR from Kosovo in western European
and other countries, with an equal number of
internally displaced persons (IDPs) in Serbia, and
some 18,000 persons of concern in neighbouring
Montenegro.
The report notes that although the overall security
situation in Kosovo has progressively improved over
the past year, it remains fragile and unpredictable.
Minorities continue to suffer from ethnically
motivated or criminal incidents. Many incidents remain
unreported as the victims often fear reprisals from
perpetrators.
Serbs and Roma continue to face serious obstacles in
accessing essential services in health, education,
justice and public administration.
Discrimination as well as low representation of
minorities in the administrative structures further
discourages minorities from exercising their basic
rights.
The UN has administered Kosovo ever since North
Atlantic Treaty Alliance (NATO) forces drove out
Yugoslav troops in 1999....Talks are now underway to
determine its future status and the return of Serb
refugees is seen as a crucial factor in reaching a
decision. Independence and autonomy are among options
that have been mentioned. Serbia rejects independence.

---

http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?
IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=26619&NrIssue=54&NrSection=20

MakFax (Macedonia)
June 16, 2006

Serbia demands independence for Republika Srpska

Belgrade - If Kosovo gains independence, then the
Republka Srpska (RS) should be granted the same right,
the President of the Coordination Center for Kosovo,
Sanda Raskovic-Ivic told RS television.
"If Kosovo and Metohija gain independence, then the
same right should be granted to RS, the Trans-Dneister
region, Abkhazia, Catalonia...", said Ivic for TRS.
According to her, there are around 50 locations
undergoing frozen conflicts but they are only "frozen
on the surface, while beneath is boiling".
"If we want to have, indeed, a short fuse for the
planet, and if someone from the international
community refuses to see it, to create a common
confusion everywhere and to open 50 more conflicts,
then the best way to do that is to grant independence
to Kosovo", said Raskovic-Ivic.

---

http://www.adnki.com/index_2Level_English.php?
cat=Politics&loid=8.0.312217506&par=0

ADN Kronos International (Italy)
June 19, 2006

KOSOVO: TERROR ON RISE AHEAD OF SECURITY COUNCIL MEETING, SERBS WARN

Belgrade - Ahead of a United Nations Security Council
session on Kosovo, local Serbs warned on Monday of
growing “ethnic Albanian terrorism” in the province
which has been under UN administration since 1999.
The warnings came the same day as Kosovan police told
the SRNA news agency they had found a powerful
explosive device on a road some 2.5 kilometres from
the Kosovan capital, Pristina, near the building
housing offices of a number of international
organisations and a Serb police office.
Security for Serbs and other non-Albanians has
worsened in the last few months as the international
community neared a decision on the final status of the
province whose overwhelmingly ethnic Albanian majority
demands independence, Milan Ivanovic, a Kosovo Serb
leader, told a press conference in the Serbian
capital, Belgrade.
In the northern district of Kosovska Mitrovica alone,
there have been 70 incidents directed against Serbs,
including several murders and woundings, as well as
bombings, said Ivanovic, ascribing these to "Albanian
terrorism."
Ivanovic accused the departing UN chief in Kosovo,
Soren Jessen Petersen, of lobbying for the Albanian
cause and of misinforming UN secretary general Kofi
Annan on the situation in the province.
Petersen, a Danish diplomat who leaves his post this
month, will submit his final report to the UN Security
Council - the UN's top decision-making body - on
Tuesday.
Serbian officials, who oppose Kosovo's independence,
suspect that Petersen will present what they see as a
false picture of the situation in the province in
order to enhance the case for independence.
Annan has already submitted his report to the Security
Council, saying that the situation in Kosovo has
improved, Ivanovic told reporters. Annan's report was
based on a "false report by Jessen Petersen," said
Ivanovic.
Another Kosovo Serb leader, Marko Jaksic, said
two-thirds of Kosovan Serbs have left the province
since 1999, with just 100,000 having remained in the
province, living in isolated enclaves without basic
security and freedom of movement.
Serbs and other non-Albanians in Kosovo live in
conditions that are "ten times worse than those of
Albanians during the rule of (late Serbian president)
Slobodan Milosevic,” Jaksic said.
Serbian Orthodox Church Kosovo bishop Artemije pointed
out that 150 Orthodox churches have been damaged and
destroyed since 1999, and the "Serbian church heritage
in Kosovo has been endangered to the point of
destroying all traces."
The influential German daily Die Welt also criticised
Petersen in an article on Monday, saying he has become
increasingly aggressive in supporting the ethnic
Albanian cause before his departure at the end of
June.
Belgrade has disputed Petersen's claim that great
progress has been made in the Kosovo in last two
years, saying that barely 10,000 Serbs of the 230,000
who have fled the province since 1999 have returned
there.
In a strongly worded letter to Jessen Petersen earlier
this month, the Serbian government's coordinator for
Kosovo, Sanda Raskovic Ivic, told him the province is
a 'black hole' for Serb human rights and that Serbs
there risk annihilation.
Since the continuing talks on Kosovo's final status
started last October, more than 180 ethnically
motivated incidents against Serbs have taken place.
Some 3,000 Serbs and other non-Albanians have been
killed or listed as missing since UN took control of
the province.

---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/beta061906.htm

Church vandalised in Obilić

Beta - June 19, 2006
OBILIĆ -- Unknown vandals demolished a church in the centre of
Obilić, Kosovo and Metohija Radio reported.
According to reports, four crosses were removed from the church and
taken, as was the chimney on the right side of the church and part of
the roofing.
Municipal Coordinator in Obilić Mirče Jakovljević said that this is
yet another attack on everything that is Serbian in Obilić.
Jakovljević said that the church vandalism is yet another argument
that proves that the international community cannot and does not have
the power to stop such acts.
“This is further evidence that Serbs need new municipalities in
order to stay here. If this does not happen, then villages such as
Obilić will be ethnically clean very soon. We are questioning whether
KFOR is prepared to secure safety and security for us and our
children.” Jakovljević said.
No one from the Kosovo Police Service was willing to comment on the
incident. This same church in Obilić was set on fire on March 18, 2004.
---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/fonet062006.htm

Serb found dead at his home in Kosovo, police confirm

BBC Monitoring Europe (Political) - June 20, 2006, Tuesday
Excerpt from report by Serbian independent news agency FoNet

Gracanica, 20 June: Dragan Popovic from Klina was found dead today,
Pec police officer on duty Zef Krasniqi has confirmed for [Gracanica-
based] KiM radio.
He could not give more details regarding Popovic's cause of death,
and he only stated that Popovic was born in 1938.
Klina municipal coordinator Stojan Doncic has told KiM radio that
Popovic was killed in his house yesterday [19 June] evening, adding
that he was shot in the head.
---

http://www.defensenews.com/story.php?F=1882361&C=europe

Reuters - June 20, 2006

Kosovo Serbs Recruit Former Soldiers for Defense

By BRANISLAV KRSTIC

MITROVICA, SERBIA - Serbs in northern Kosovo have
recruited hundreds of former Yugoslav army soldiers to
defend them from attacks by ethnic Albanians pushing
for independence for the province, Serb officials said
on June 20.
It is the latest sign of resistance among the Serb
minority in the United Nations-run province to the
drive for independence by the two million ethnic
Albanian majority.
U.N.-led talks look likely to give Kosovo some form of
independence before year-end.
Officials in the north, home to 50,000 Serbs, said 385
former Yugoslav reservists had been employed by
municipalities to "organize defense in the event of
extremist violence."
"We have been forced into such a move because of
police ineffectiveness, and the cover-up of crimes and
their perpetrators," Zvecan mayor Dragisa Milovic told
Reuters. Officially, the "Civil Defence Service" will
not be armed.
The north, adjacent to central Serbia, cut ties last
month with Albanian authorities in the capital - a
move some analysts said was a precursor to a Serb bid
to partition the province.
The Serb police and army, then the Yugoslav army under
late [president] Slobodan Milosevic, were forced from
Kosovo in 1999 when NATO bombed...in a two-year war
with separatist guerrillas.
Around half the Serb population fled a wave of revenge
[sic] attacks. The 100,000 who stayed live on the
margins of society.
Kosovo’s outgoing U.N. governor, Soren
Jessen-Petersen, will tell the U.N. Security Council
on June 20 that Kosovo Albanian leaders have made
strides in improving the rights and security of the
remaining Serbs - something U.N. and Western diplomats
say is key to clinching independence.
The Serbs say this is a lie and blame a recent spate
of violence on Albanians bent on driving them out.
Jessen-Petersen, in a report seen in advance by
Reuters, will say the rate of ethnically-motivated
crime is falling. [As the number of remaining
potential victims decreases.]
Direct talks on Kosovo’s fate began in February in
Vienna under U.N. mediation. The crunch issue of
status should be on the table in late July, with
Western powers determined to end seven years of limbo
in Kosovo by the end of the year.
Diplomats say the West favors independence, but fear a
bid by Serbs in the north to partition Kosovo, a move
seen certain to spark Albanian retaliation and force
thousands to flee.
The U.N. has contingency plans for the exodus of
50,000 Serbs if Kosovo splits from Serbia.
The 17,000-strong NATO peace force said this month it
would bolster mobile units in the north by reopening a
military base there.

---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/kp062106.htm

Serbian church in northern Kosovo attacked again

BBC Monitoring Europe (Political) - June 21, 2006, Wednesday
Excerpt from report by Serbia-Montenegrin radio Kontakt Plus on 21 June

[Announcer] Unidentified persons have repeatedly damaged the church
of the Holy Apostle Andrew in Podujevo, KiM [Kosovo-Metohija] Info
Service today said. The church was demolished during the March
violence in Kosmet [Kosovo-Metohija] in 2004, but also on 2 April
this year when unknown persons broke into the church and smashed 15
windows. The attackers repeatedly broke into the church early in May
when two other windows were smashed in addition to the doors. Similar
demolition incident took place last week. Jasmina Scekic has the report:
[Reporter] This time the attackers again smashed the windows and
wrote fresh scandalous graffiti on the church walls. The Kosovo
police also confirmed that the church was repeatedly attacked this
month, which is the third registered case of attacks against this
church this year. Bishop Teodosije, a member of the committee for the
renewal of Serb holy sites in Kosmet, most vehemently condemned this
latest brutal attack against the church of the Holy Apostle Andrew in
Podujevo. The repeated attack against the church of the Holy Apostle
Andrew, only a month after the last attack, as well as the
desecration of the church in Obilic two days ago, shows that Serbian
Orthodox Churches are constantly targeted by hooligans and
extremists, and the municipal authorities and the Kosovo Police
Service [KPS] are neither willing nor capable of protecting Serbian
Orthodox churches under threat, Teodosije said.
As far as the very renewal is concerned, we are fully determined that
such attacks will not bother us, because giving up further renewal of
our holy sites would be the greatest concession, a gift to those who
wish to erase traces of the Serb people and our church in these
regions, the bishop said.
These days, a tender has been invited to repair the roof of Ljeviska
Mother of God in Prizren removed after an act of vandalism in
December last year. We will not accept the beginning of the works
unless 24-hour police protection is organized around this church,
Bishop Teodosije said.
---

ALBANIAN TERRORISTS VANDALIZE; PLANT LANDMINES IN KOSOVO-SERB CEMETERY
Radio-Television Serbia - June 22, 2006
http://www.slobodan-milosevic.org/news/rts062006.htm

http://mdn.mainichi-msn.co.jp/international/news/
20060620p2g00m0in033000c.html

Associated Press
June 20, 2006

Serb cemetery desecrated in Kosovo

PRISTINA, Serbia - Vandals have damaged tombstones in
a Serb cemetery in central Kosovo, police and a Serb
government center said Tuesday.
Sixteen graveside monuments were damaged in the Serb
village of Staro Gracko, 20 kilometers south of the
province's capital, Pristina, said police spokesman
Veton Elshani.
Police were at the scene investigating. Elshani said
it was not clear when the damage was done.
But a Serb government-run center in Kosovo, quoting
local Serb representatives, said a group got into the
cemetery early Tuesday and vandalized the monuments,
leaving behind broken crosses, benches and pots for
flowers and candles.
Kosovo has been run by a United Nations mission since
1999, when a NATO air war halted Serb forces'
crackdown on independence-seeking ethnic Albanians.
U.N.-brokered talks will determine whether Kosovo will
become an independent state, as the ethnic Albanians
demand, or remain attached to Serbia, as the
province's minority Serbs insist.

---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/mina062106.htm

Bomb thrown on bus in Serb village near Kosovo's divided town of
Mitrovica

BBC Monitoring Europe (Political) - June 21, 2006, Wednesday
Text of report by Montenegrin Mina news agency

Kosovska Mitrovica, 21 June: An unidentified person has thrown an
explosive device on a bus of the Interturs company owned by Nebojsa
Radojcic of the village of Leposavic.
No-one was injured in the explosion which took place last night when
a hand grenade - of the so-called kasikara bomb make - was thrown and
caused damage to the bus.
Kosovo police members have inspected the scene but have not made the
details of the search public.
The village of Leposavic is populated mainly by Serbs. The garage
where the bus was parked at the time is situated near the Kosovska
Mitrovica-Raska [town in southern Serbia] main road.
---

http://www.adnki.com/index_2Level_English.php?
cat=Security&loid=8.0.313738836&par=0

ADN Kronos International (Italy)
June 22, 2006

KOSOVO: GERMAN GENERAL KATER ASSUMES KFOR COMMAND

Belgrade - German general Roland Kater will replace
Italian general Giuseppe Valotta as commander of the
international forces in Kosovo (KFOR), Serbian media
reported on Thursday, quoting German defence ministry
sources.
Kater, 57, will be the third German to command KFOR
since Kosovo was put under United Nations control in
1999.
He will replace Valotta on September 1, when his one
year term expires.
Kater had already served in Kosovo in 1999/2000, when
he was a commander of a German contingent in the
province whose majority ethnic Albanians demand
independence.
Germany has 2,300 soldiers serving in the 17,000
strong international peacekeeping force in Kosovo.
Kater will take the command of KFOR at a crucial
moment as the international community is moving
towards determining the final status of the province.
Belgrade opposes Kosovo independence, but ethnic
Albanian leaders have said they would settle for
nothing less.
The international community, which safeguards peace in
Kosovo, fears a fresh outbreak of violence as the
status talks move to a close and has already beefed up
the international police in the province.

---

http://www.ft.com/cms/s/6a3a1564-04b0-11db-8981-0000779e2340.html

Financial Times
June 26, 2006

Blair warns Serbs to accept different vision for Kosovo

By Neil MacDonald in Belgrade and Mark Turner at the United Nations

Serbia must accept a "different vision" for the future
make-up of south-east Europe or face increasing
isolation and diminishing prospects of closer
relations with the European Union, Tony Blair, the UK
prime minister, will tell Vojislav Kostunica, his
Serbian counterpart, tomorrow
At a London meeting at which Belgrade is likely to be
pressed to meet its international obligations, such as
catching indicted war criminals, Mr Kostunica would
also be urged to accept the inevitability of
independence for Kosovo, the breakaway Serbian
province under United Nations administration, by the
end of this year, British officials said.
The warning comes amid increased diplomatic activity
as UN-mediated negotiations in Vienna over the status
of Kosovo approach their decisive political phase.
Six rounds of technical meetings have failed to
produce any breakthrough on the basic status question.
Belgrade is under pressure from the UK, US and the UN
administration in Kosovo to accept independence as the
"least problematic solution".
However, Mr Kostunica faces formidable domestic
pressure not to abandon Serbia's historical claims to
the province, now dominated by ethnic Albanians.
Belgrade continues to offer "the widest possible
autonomy" without conceding sovereignty.
The 100,000 remaining Kosovo Serbs have sounded alarm
bells about renewed ethnic violence aimed at driving
them out. Serbs who have returned to northern Kosovo
say they will pack up and go to central Serbia again
unless the UN interim administration tracks down the
murderer of Dragan Popovic, a 68-year-old Serb killed
last week on the doorstep of his home, to which he
returned last year after abandoning it in 1999.
While an autopsy showed a gunshot wound to the back of
his head, the UN administration refused to confirm an
ethnic motive for the killing.
UN officials warned Serbs against "any unilateral
security measures not within the bounds of law", such
as forming local militias.
Guaranteeing the rights and safety of the ethnic
minorities who make up 10 per cent of Kosovo's
population is the main test for the ethnic Albanian
leadership negotiating independence.
Roughly 200,000 people - including at least half of
the province's Serb population - from ethnic minority
groups fled Kosovo in the wake of the 1999 war.
Only around 5 per cent of those Serbs have returned,
despite a UN-brokered protocol on returns.
Soren Jessen-Petersen, chief UN administrator in
Kosovo, told the UN Security Council last week that
many Kosovo Serbs "feel confused, exposed and
isolated, and they do not know what to think about the
future".
But he also accused Belgrade of keeping them from
engaging in local democratic politics.
Serbian state-run newspapers recently exposed internal
UN plans for dealing with a "new Serb exodus" of
70,000 people from Kosovo in the event of
independence.
UN officials in Belgrade confirmed the existence of
emergency evacuation plans, but cautioned against
citing these as a "scare tactic".

---

http://www.focus-fen.net/index.php?catid=144&newsid=91203&ch=0

Focus News Agency (Bulgaria)
June 28, 2006

Vecerne Novosti: Agim Ceku Certain that Washington and London Back
Kosovo’s Independence

Pristina - “It is realistic to expect that the Kosovo
status might be determined by the end of the year, but
the possibility of a certain delay should not be ruled
out. The decision will probably meet our expectations,
which are related to independence”, Kosovo Prime
Minister Agim Ceku said, the Serbian Vecerne Novosti
newspaper reported.
According to him, the government in Pristina backs a
long-term solution of the Kosovo status, which means
that it should not be limited in time, as Belgrade has
proposed.
“I’m sure that in Washington and London, Kostunica
will be asked to prepare the Serb society for the
inevitable independence of Kosovo”, Ceku said.

---

http://www.focus-fen.net/index.php?catid=128&newsid=91170&ch=0

Focus News Agency (Bulgaria)
June 27, 2006

Balkan Web: Albania and Kosovo Will Intensify Cooperation in all Spheres

Tirana - The encouragement of bilateral cooperation in
all spheres was the topic of today’s meeting in Tirana
between the Kosovo President Fatmir Sejdiu and the
Albanian Prime Minister Sali Berisa, Balkan Web
reports.
After the meeting Berisa evaluated the enormous
progress reached from Kosovo and announced that the
visit of Sejdiu in Tirana comes in very important
moment for Kosovo and for the region.
On his hand Fatmir Sejdiu pointed out that Kosovo will
take lesson from Tirana’s experience in process of
European integration.

---

http://www.ft.com/cms/s/baff7c76-0642-11db-9dde-0000779e2340.html

Financial Times
June 28, 2006

Serbia warns of break with west over Kosovo

By Daniel Dombey in London and Neil Macdonald in Pristina

Serbia yesterday warned it could break with the west
unless the international community took a more
conciliatory approach over the issues of Kosovo and
the apprehension of an indicted war criminal.
Vojislav Kostunica, the Serbian premier, said that
Belgrade would not accept an imposed solution for the
majority ethnic Albanian province that many western
diplomats believe should be put on the path to
independence by the end of the year.
Speaking in London after meeting Tony Blair, his UK
counterpart, Mr Kostunica also labelled as "absurd"
the European Union's decision to halt negotiations on
closer ties with Serbia because of Belgrade's failure
to apprehend Ratko Mladic, a war crimes indictee.
But he did say that Serbia would draw up an "action
plan" on improving co-operation with the United
Nations tribunal on the former Yugoslavia, a step the
EU has called for.
An "imposed solution" would "certainly be rejected by
Serbia's parliament, and "that would inevitably mark
the turning point [for] . . . Serbia's relations with
the rest of the world," he said.
Within Serbia, support for the... Radical party is
rising and Mr Kostunica said the country was "becoming
tired of the constant pressure".
He singled out the EU's decision to halt talks on a
stabilisation and association agreement - a waystation
to membership - because Mr Mladic remains free.
"We have, in fact, ended up in a position where the
survival of an entire European democracy directly
depends on bringing to justice one single indictee,
which . . . is absurd," hesaid.
Mr Blair called for Serbia to comply with the wishes
of Kosovo's people and also to step up its
co-operation with the UN tribunal.
The UK has been at the forefront of calls for Belgrade
to live up to its obligations, while other
governments, notably France, have taken a more
conciliatory approach, concerned that Serbia could be
alienated from the EU.

---

http://www.slobodan-milosevic.org/news/rts070106.htm

Kosovo Albanians arrested for attack on police in divided town - TV

BBC Monitoring Europe (Political) - July 1, 2006 Saturday
Text of report by Serbian TV on 1 July

Police have arrested five [ethnic] Albanians who attacked a Kosovo
Police Service patrol last night in the northern [Serb-populated]
part of Kosovska Mitrovica, agencies have reported.
The five Albanians first beat up two Serb members of the Kosovo
police, followed by their two Albanian colleagues on the Kosovska
Mitrovica - Suvi Do road.
---

http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?
IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=29018&NrIssue=71&NrSection=20

MakFax (Macedonia)
July 5, 2006

Politika: Russia hints veto over Kosovo

Belgrade - Russia for the first time hinted at a
possibility to exercise its veto rights at the UN
Security Council provided that the Western countries
imposed independence for Kosovo, Belgrade's daily
Politika said.
The paper says Russia presented its stands to the
Contact Group members, and had for the first time
mentioned the possibility to veto a resolution
granting Kosovo independence.
Politika daily says at the Contact Group meeting, held
on 30 June in Brussels, Russian representative put on
the table an unofficial document containing four
paragraphs reflecting Russia's position on Kosovo
status talks.

---

http://en.rian.ru/russia/20060706/51000794.html

Russian Information Agency (Novosti)
July 6, 2006

Putin warns against double standards in separatist republics

MOSCOW - Russian President Vladimir Putin warned
Thursday against any double standards in regard to
unrecognized republics in Georgia and Moldova.
South Ossetia and Abkhazia in Georgia and Transdnestr
in Moldova declared independence in the early 1990s
following the collapse of the Soviet Union. Russian
troops assisted ceasefire agreements in these
republics and have helped maintain a ceasefire since
then.
However, West-leaning central authorities in Moldova
and Georgia have recently been seeking expulsion of
Russian forces from the conflict zones.
"We will call on the international community to avoid
dangerous trends of applying double standards in
approaches to these republics' problems," Putin told a
Web cast.
When asked whether it was possible to hold
independence referenda in the breakaway republics, the
president said Russia respected territorial integrity
of Georgia and Moldova.
"But it is also important to respect the opinion of
people living in these territories," he said.
Putin said there had always been a contradiction in
the principles of international law and it remained at
present.
"[Russia] wants and will insist on such decisions to
be based on a universal principle to prevent such
cases when approaches to the regions like Kosovo are
different from those to Abkhazia or South Ossetia,
which is incorrect," Putin said.


( Le texte de Ed Herman: " Le nettoyage ethnique d'Israël - Comment l'Ouest et la Presse Libre Ont Accepté, Approuvé, et Occulté l'Interminable Nettoyage Ethnique d'Israël et son Racisme Institutionnalisé, en Violation de Toutes les Prétendues Valeurs des Lumières, Sous l'Image Hypocrite d'un Drame Cornélien " - http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2006-02-16%2008:49:01&log=invites -, paru dans le numéro de mars 2006 de Z Magazine, a été diffusé aussi par JUGOINFO le 17 fevrier 2006 )

Z Magazine, marzo 2006

 

Come l’Occidente e la stampa libera hanno potuto accettare, approvare e sottoscrivere la pulizia etnica e il razzismo istituzionalizzato di Israele, in violazione di tutti i pretesi valori illuministici e con un’ipocrisia che fa inorridire.

 

Edward S. Herman

 

Tradotto dall'inglese da Manno Mauro, membro di Tlaxcala, la rete di traduttori per la diversità linguistica (tlaxcala@...). Questa traduzione è in Copyleft.

 

 

Uno dei più dubbi stereotipi degli intellettuali, editorialisti e sapientoni che sostengono l’interventismo umanitario è che i diritti umani, nei recenti decenni, sono diventati per gli Stati Uniti e le altre potenze della NATO molto più importanti di un tempo ed esercitano una grande influenza nella loro politica estera. David Rieff scrive che i diritti umani “sono diventati non un principio retorico soltanto ma un principio operativo nelle principali capitali occidentali”, e il suo virtuoso compagno d’armi Michael Ignatieff sostiene che i nostri accresciuti (superiori) «istinti morali» hanno rafforzato “la pretesa di intervento quando il massacro e la deportazione diventano politica di stato”.[1] Questa prospettiva è stata costruita in buona parte sulla base dell’esperienza – e della sua scorretta interpretazione – degli sviluppi durante lo smantellamento della Yugoslavia negli anni ’90 durante i quali la linea propagandistica è stata che la Nato era entrata in ritardo e con riluttanza nel conflitto per fermare la pulizia etnica e il genocidio perpetrato dai serbi, ma alla fine aveva avuto successo. L’intervento aveva le sue radici, secondo il pretesto addotto, nell’umanesimo di Blair-Clinton-Kohl-Schroeder, ed era sostenuto anzi quasi imposto a questi dirigenti da giornalisti e protagonisti dei diritti umani.

 

C’erano molti fatti che non quadravano con queste spiegazioni e analisi della recente storia dei Balcani, uno tra i più importanti, era che l’intervento Nato non era avvenuto in ritardo – era avvenuto invece piuttosto presto ed era stata la causa principale della pulizia etnica successiva, infatti l’intervento Nato aveva incoraggiato la divisione della Yugoslavia ma aveva lasciato senza protezione ampie minoranze nelle repubbliche appena proclamate per cui il conflitto etnico ne era risultato inevitabile; inoltre aveva sabotato accordi di pace tra i nuovi stati negli anni 1992-1994 ed aveva fatto sperare alle minoranze non-serbe un aiuto militare della Nato per giungere a soluzioni definitive, aiuti che poi alla fine esse ottennero. Le potenze della Nato giunsero a sostenere attivamente o passivamente le pulizie etniche più radicali delle guerre balcaniche,  e cioè quella avvenuta nella regione della Krajina in Croazia e quella nel Kosovo occupato dalla Nato a partire da giugno del 1999, a danno dei serbi.[2]
Altri problemi non si accordavano con la spiegazione che l’intervento Nato avesse fondamenti ed effetti umanitari, ma è altrettanto importante capire la selettività in questo centro di interessi e le radici politiche di questa selettività. Gli interventisti umanitari, per esempio, se ne stettero quasi completamente in silenzio durante i massacri e le deportazioni compiuti in Timor Est dall’Indonesia negli anni ‘90, lo stesso avvenne per i massacri e per il rogo dei villaggi curdi da parte della Turchia, per le uccisioni e l’enorme esodo di rifugiati in Colombia, e infine per il Congo dove massacri su larga scala furono realizzati in buona parte da invasori provenienti dal Ruanda e Uganda. Per qualche ragione l’«istinto morale» dei politici umanitari non si occupò di questi casi, in cui gli assassini erano alleati di questi politici ed ottennero armi, aiuti militari e formazione da parte loro. Altrettanto interessante è il fatto che l’istinto morale degli intellettuali e giornalisti interventisti umanitari non riuscì a non tenere in conto (vincere) l’attenzione interessata dei loro dirigenti politici ma invece lavorò in parallelo con quelle inclinazioni. Questo aiutò i loro dirigenti politici a colpire con violenza ancora maggiore (inseguire) i cattivi (malvagi) che avevano preso di mira, in parte stornando l’attenzione dai cattivi da sostenere e dai danni che essi stavano infliggendo alle loro (implicitamente indegne) vittime.

 

Il caso straordinario di Israele

 

L’esempio più interessante e forse il più importante di «istinto morale» abortito è quello che riguarda Israele, dove lo Stato è stato impegnato, per decenni, in una sistematica politica di spoliazione e pulizia etnica dei palestinesi nella Cisgiordania e Gerusalemme Est, non solo senza una risposta significativa da parte del Mondo Libero, ma anzi con inflessibile sostegno degli Stati Uniti e sprizzi (scatti) di approvazione e sostegno dei suoi alleati democratici. L’abilità (capacità) dei dirigenti politici occidentali, dei Media e degli intellettuali umanitari di infiammarsi contro cattivi da perseguitare come Arafat, Chavez o Milosevich, mentre  trattavano con gentilezza personaggi come Begin, Netanyahu e Sharon, considerati statisti meritevoli di aiuti militari, diplomatici ed economici, costituisce un piccolo miracolo di auto-inganno, di sfacciato uso di due pesi e due misure e di turpitudine morale.

 

Ciò che fa di tutto questo un miracolo è che le premesse così come pure le realizzazioni dello stato israeliano saltano in faccia all’intera gamma dei valori illuministici che si presuppone diano alla base della civiltà occidentale.

 

Prima di tutto si tratta di uno stato razzista per la sua ideologia e le sue leggi. Si proclama ufficialmente uno stato ebraico, il 90% della terra del paese è riservata ai soli ebrei, i palestinesi sono stati esclusi dalla possibilità di affittare o comprare terre possedute dallo Stato e occupate nel 1948 e successivamente, e gli ebrei che vengono da fuori hanno il diritto di immigrare (in Israele) e diventare cittadini  con privilegi superiori a quegli dei nativi non-ebrei. Questo genere di ideologia e legge era considerato inaccettabile quando a praticarlo era lo Stato di apartheid del Sud Africa, sebbene è interessante sapere che Reagan era «impegnato costruttivamente» con quello Stato, Margaret Thatcher lo trovava del tutto accettabile e le «operazioni anti-terroristiche» del Sud Africa venivano integrate in quelle del Mondo Libero.[3] Il trattamento degli ebrei in Germania da parte dei Nazisti, anche prima dell’organizzazione dei campi della morte, veniva ed è ancora considerato oltraggioso; il maltrattamento della popolazione ebraica in Unione Sovietica portò addirittura a una legislazione punitiva da parte degli USA (la legge Jackson-Vanik, ancora in vigore). Ma le leggi israeliane analoghe a quelle di Nurenberg e la costruzione di uno Stato fondato sulla discriminazione razziale è accettato dall’Occidente erede dell’Illuminismo. Il «popolo eletto» sostituisce la «razza dominatrice» e ciò non solo viene accettato ma Israele è addirittura considerato una democrazia modello e una «luce tra le nazioni del mondo» (Anthony Lewis). Per implicazione, anche la creazione da parte di Israele di un gruppo di esseri umani che sono cittadini di seconda classe per legge (o di una classe ancora più in basso nei territori occupati), legalmente e politicamente degli «untermenschen», diventa accettabile. Questo è un unico sistema di «razzismo privilegiato».

 

In secondo luogo, allo Stato israeliano è stato concesso di ignorare numerose Risoluzioni del Consiglio di Sicurezza  e la Quarta Convenzione di Ginevra riguardanti l’occupazione della Cisgiordania, così pure la sentenza della Corte Internazionale di Giustizia sul suo muro dell’apartheid il quale deruba i palestinesi di una buona quantità della loro terra e acqua, demolisce migliaia di loro case, abbatte molte migliaia di loro ulivi, distrugge le loro infrastrutture e crea, in tutta la Cisgiordania occupata, una moderna rete di strade per soli ebrei mentre impone seri ostacoli al movimento dei palestinesi nei territori occupati. [4] Questa pulizia etnica sistematica è stata realizzata da un esercito estremamente ben addestrato e ben equipaggiato che opera contro una popolazione indigena praticamente disarmata, per fare spazio a coloni ebrei e in violazione della legalità internazionale riguardo al comportamento che una potenza occupante è tenuta a rispettare. Questo è un sistema unico di «pulizia etnica privilegiata», «violazione privilegiata della legalità» e «eccezioni privilegiate alle decisioni del Consiglio di Sicurezza e della Corte Internazionale».

 

In terzo luogo, Israele ha attraversato periodicamente i suoi confini per far la guerra ai suoi vicini – l’Egitto, la Siria, e il Libano – ha effettuato bombardamenti supplementari o atti di terrorismo contro questi tre paesi e inoltre anche contro la Tunisia, per molti armi ha mantenuto un esercito terrorista per procura in Libano mentre conduceva numerosi raid terroristici in quei paesi (in quel paese) con la sua politica del pugno di ferro, infliggendo pesanti perdite civili. [5] Mentre si dichiarava che l’invasione del Libano del 1982 avveniva in risposta di attacchi terroristici, in realtà essa avvenne senza che ci fossero attacchi terroristici (malgrado un certo numero di deliberate provocazioni israeliane) e la paura di dover negoziare con i palestinesi piuttosto che continuare con la pulizia etnica nei loro riguardi. [6] Naturalmente non ci furono punizioni o sanzioni contro Israele per queste azioni, dal momento che Israele beneficia del «privilegio del diritto all’aggressione, al terrorismo di Stato, e sponsorizzazione del terrorismo», che non è unico ma deriva dallo status del paese come alleato degli Stati Uniti e stato cliente.

 

In quarto luogo, dato il diritto concesso a Israele di effettuare la pulizia etnica dei palestinesi, di terrorizzarli in violazione delle risoluzioni del Consiglio di Sicurezza e la legalità internazionale, ne consegue che le sue vittime non hanno diritto a resistere. Possono essere cacciate dalla loro terra, le loro case possono essere demolite, gli ulivi sradicati, e la gente uccisa dall’IDF [Israeli Defense Force, esercito israeliano, ndt] o dalla violenza dei coloni, ma la resistenza armata da parte loro è inaccettabile «terrorismo», da deplorare profondamente. Circa un migliaio di palestinesi furono uccisi dagli israeliani durante la prima fase non violenta di resistenza nella prima Intifada (1987-1992), ma la loro resistenza passiva non ha avuto effetti sull’occupazione illegale, la comunità internazionale non fece nulla per alleviare le loro disgrazie, e Israele  aveva il tacito accordo con gli Stati Uniti che esso sarebbe stato sostenuto nella violenta risposta all’Intifada fino a quando la resistenza non fosse stata sconfitta. Il rapporto di palestinesi assassinati in quegli anni rispetto agli israeliani era di 25 a 1 o addirittura più alto, ma dato il diritto di terrorizzare concesso a Israele, erano ancora i palestinesi che venivano definiti terroristi.

 

In quinto luogo, gli israeliani, essendo stato loro concesso il diritto di non rispettare la Legalità Internazionale, di terrorizzare i palestinesi e di effettuare la pulizia etnica contro di loro, si sono sentiti liberi di eleggere alla testa del governo un uomo responsabile di una serie di attacchi terroristici contro i civili e, a Sabra e Chatila, di un massacro di un numero di civili palestinesi stimato tra 800 e 3000. Ironicamente, il tribunale dell’Aia sulla Yugoslavia ha sostenuto che l’intenzione di commettere genocidio può essere dedotta da una singola azione tesa ad uccidere tutte le persone di un determinato gruppo in una piccola regione, anche se quell’azione non fa parte di un piano generale di sterminio dell’intera etnia ovunque essa si trovi, e lo ha fatto citando la loro precedente decisione e inoltre una risoluzione dell’Assemblea dell’ONU del 1982 che definiva il massacro di 800 / 3000 palestinesi a Sabra e Chatila «un atto di genocidio».[7] Ma, naturalmente, quel tipo di sentenza del Tribunale fu applicata soltanto per colpire i Serbi – non solo non fu applicata dall’Occidente nei confronti di Sharon, ma nemmeno ebbe l’effetto di impedirgli di diventare un onorato capo di governo.

 

In sesto luogo, fu fatto in modo che quelle offensive parole («un atto di genocidio», ndt) non si potessero applicare alle azioni degli israeliani, proprio in virtù del diritto loro concesso di terrorizzare ed effettuare la pulizia etnica. Furono invece applicate con grande sfogo di indignazione alle operazione serbe in Kosovo, che altro non erano se non manifestazioni di una guerra civile (aizzata da fuori) e non lo furono nel caso israeliano in cui quello Stato è impegnato a rimuovere e sostituire la popolazione indigena con un diverso gruppo etnico. Non solo Israele è stato esentato dall’uso di quelle parole perfettamente adatte al suo caso, ma ha anche ottenuto il beneficio del privilegio di poter usare a suo vantaggio le parole «sicurezza» e «violenza». I palestinesi possono essere di gran lunga meno al sicuro degli israeliani e sottoposti ad un livello di violenza molto più alto e durevole, ma ancora una volta sono i palestinesi che devono ridurre il ricorso alla violenza e il problema è sempre come fare per rendere Israele ancora più sicuro. La sicurezza palestinese non viene presa in considerazione in Occidente, perché il fatto che siano delle vittime non interessa nessuno e perché la loro insicurezza è il risultato del loro rifiuto di accettare la pulizia etnica e della loro volontà di resistenza. Essi sono «vittime indegne», a causa di una profonda parzialità politica a loro sfavore.

 

Il processo di pulizia etnica, che comporta terrorismo all’ingrosso, ed è la causa che ha provocato in risposta un terrorismo al dettaglio da parte di palestinesi, viene in realtà presentato (insieme al muro) non come un programma deliberato per «redimere la terra» per il popolo eletto ma come una necessaria «risposta legittima di  Israele al terrorismo».[8] E così i primi e principali terroristi se la passano liscia!

 

In settimo luogo, Israele è l’unico stato mediorientale che ha accumulato uno stock di armi nucleari, e in questo è stato aiutato non solo dagli Stati Uniti ma anche dalla Francia e dalla Norvegia. [9] Questo è avvenuto malgrado i 39 anni di pulizia etnica, le continue e insuperate violazioni delle richieste del Consiglio di Sicurezza e della Legalità internazionale, e le periodiche invasioni dei paesi confinanti. Questo privilegio di aver diritto ad armi nucleari accompagnato dall’esenzione dal rispetto della legislazione dell’Agenzia Internazionale per l’Energia Atomica (AIEA) e del Trattato di Non-Proliferazione (TNP) deriva dagli altri privilegi di cui sopra e in ultima analisi dalla protezione e copertura della potenza statunitense.

 

In ottavo luogo, il Mondo Libero è rimasto inorridito all’idea che l’Iran possa mettersi in condizione di acquisire armi nucleari in un prossimo futuro. L’Iran, naturalmente, è stato minacciato di «cambiamento di regime», di bombardamenti ed altri attacchi sia dagli Stati Uniti, sia da Israele, ma il comportamento dell’Iran si contrappone al regime di privilegio secondo il quale solo Israele (e la superpotenza che lo finanzia) hanno un problema di sicurezza e il diritto all’autodifesa; gli altri, come i palestinesi della Cisgiordania, devono accettare una posizione di inferiorità, forte insicurezza, la pulizia etnica e muri e  politiche di apartheid. Altri ancora, come l’Iran, devono vedersela con le minacce di attacchi e sanzioni per essersi impegnati in azioni legali e forse per cercare di dotarsi di mezzi nucleari di autodifesa, senza l’aiuto del Mondo Libero che segue attivamente una politica di appeasement nei confronti degli Stati Uniti e del suo cliente mediorientale. E così Israele non solo ha un privilegio nucleare, è riuscito anche a fare in modo che il Mondo Libero lo aiuti a monopolizzare quel privilegio nel Medio Oriente, il che, naturalmente, gli dà ancora più ampia libertà di continuare la pulizia etnica.

 

In nono luogo, Il Mondo Libero è stato sconvolto dalla vittoria di Hamas alle elezioni palestinesi del 26 gennaio 2006. Si ritiene diffusamente che questo può disturbare il «processo di pace» e George Bush non è pronto a negoziare con un gruppo che usa la «violenza»! La violenza, tuttavia, è la specialità di Bush e degli Stati Uniti, con tre importanti aggressioni negli ultimi sette anni e un programma apertamente annunciato di dominio basato sulla superiorità militare; in quanto alle operazioni di Israele in Palestina, esse sono violente ben al di là di qualsiasi cosa siano riusciti a fare in risposta i palestinesi, sebbene secondo la ridicola partigianeria  dell’Occidente l’«attentato suicida» è orripilante mentre le «uccisioni mirate non lo sono, (se invece i palestinesi avessero la capacità di uccidere in modo mirato i dirigenti israeliani chi dubita che anche questo non sarebbe orripilante?) Ma così come la parola «terrorismo» non si può applicare alle azioni degli Stati Uniti e del suo cliente israeliano, allo stesso modo non può essere fatto per l’offensiva parola «violenza». Questi Stati si limitano a fare «ritorsioni» e usano la violenza in modo riluttante per «autodifesa» e sempre con le migliori intenzioni al servizio della loro «sicurezza» e dei loro fini umanitari  - e l’Occidente si beve tutto questo.

 

Hamas ha visto crescere la sua popolarità perché Fatah e i suoi dirigenti non son riusciti a fermare il processo di pulizia etnica e si sono dimostrati incapaci di fermare la progressiva miseria dei palestinesi, con Israele che non ha dovuto far altro che calpestare i dirigenti di Fatah e far fallire completamente il periodo in cui sono stati in carica. Hamas in verità ricevette dei fondi da Israele anni fa, il quale perseguiva l’obiettivo di dividere i palestinesi e indebolire il partito laico di Fatah. Israele riuscì in questo, ma ora che un gruppo islamico ha preso il potere lo stato ebraico e il suo protettore troveranno un’altra ragione per evitare di giungere a qualsiasi accordo finale negoziato con i palestinesi, che hanno votato per un partito che non rifugge dalla violenza come hanno fatto Sharon e Bush! Hamas si rifiuta anche di disarmarsi e insiste sul diritto di difendere il suo popolo contro una occupazione finalizzata ad una spietata pulizia etnica, ma in Occidente questo è irragionevole dal momento che solo una parte ha il diritto di armarsi, di auto-difendersi e di preoccuparsi per la propria «sicurezza». Non c’è diritto alla resistenza in questo caso di avvizziti istinti morali.

 

Il «processo di pace» è il supremo sviluppo dell’assurdo Orwelliano; io così lo definii qualche anno fa, in un dizionarietto del Doublespeak: E’ processo di pace “qualsiasi cosa il governo americano si trovi a fare o sostenere in una regione di conflitto in un determinato momento. Non è necessario che si concluda con la cessazione del conflitto o che si sviluppi, nel breve o lungo periodo, in durature operazioni di pacificazione.” Così il «processo di pace» in Palestina, accettato fermamente o sostenuto attivamente dal governo americano, è stato caratterizzato dall’intensificarsi della pulizia etnica, la distruzione dell’infrastruttura palestinese, lo stanziarsi di circa 450 000 coloni ebraici in Cisgiordania, la costruzione di un muro di apartheid e l’impossessarsi da parte di Israele di gran parte di Gerusalemme Est – in altre parole: l’imposizione per mezzo di terrorismo di stato di «fatti sul terreno» sufficienti a rendere impensabile qualsiasi tipo di efficiente Stato palestinese. Ma per gli organi di propaganda del Mondo Libero, vi è stato un «processo di pace» significativo in marcia, un processo che l’elezioni vinte da Hamas potrebbero interrompere! [10]

 

Come possiamo spiegare l’abominio di questa ipocrisia?
 
Tutto questo è successo perché la dirigenza israeliana ha voluto conquistare un lebensraum per il popolo eletto, gli indigeni palestinesi si sono opposti e si è dovuto cacciarli, gli israeliani sono stati in grado di fare ciò grazie al decisivo aiuto militare e diplomatico degli Stati Uniti. Questo processo si è alimentato da sé. Cioè, ogni eventuale resistenza violenta dei palestinesi, insieme alla relativa debolezza e vulnerabilità del popolo palestinese, ha esacerbato la base razzista del progetto di pulizia etnica, facendo crescere la sua crudeltà nel corso degli anni, sostenuta dalla scelta recente da parte degli israeliani di un grande criminale di guerra alla testa del governo. Il sostegno e la protezione americana di questo progetto sono stati decisivi, dal momento che hanno impedito qualsiasi efficace risposta internazionale ad una politica che viola i principi basilari della morale e della legge, che qualora fosse condotta da uno stato preso di mira porterebbe a bombardamenti e processi per crimini di guerra. [11]

 

Il ruolo degli Stati Uniti, e la neutralizzazione di qualsiasi «istinto morale» negli stessi Stati Uniti, deriva in parte da considerazioni geopolitiche e dal ruolo di Israele come agente per procura, che fa rispettare gli interessi americani, e in parte dall’abilità della lobby pro-israeliana e del suo elettorato di base e dai sostenitori della destra cristiana di intimorire i Media e la politica affinché sostengano tacitamente o apertamente il progetto di pulizia etnica. Le tattiche della lobby includono lo sfruttamento del senso di colpa, in riferimento all’Olocausto, l’equazione che ogni critica alla pulizia etnica israeliana equivale ad «antisemitismo» insieme a intimidazioni dirette e tentativi di soffocare critiche e dibattito[12] - sforzi che si intensificano quando il processo di pulizia etnica aumenta in malvagità.

 

Questi sforzi sono stati favoriti dai fatti dell’11 settembre e dalla «guerra contro il terrore», che hanno contribuito a demonizzare gli arabi e a rendere la politica di Israele parte di quella cosiddetta guerra.  La lobby e i suoi rappresentanti nell’amministrazione Bush sono stati gli entusiasti sostenitori dell’aggressione contro l’Iraq ed ora lottano con forza per ottenere una guerra contro l’Iran – in realtà la lobby è l’unico settore della società americana che chiede a gran voce un confronto armato con l’Iran ed è già da tempo impegnata in una grande campagna per convincere Bush e il Congresso affinché gli Stati Uniti prendano l’iniziativa. La guerra contro l’Iraq ha fornito un’eccellente copertura ad Israele per l’intensificazione della pulizia etnica in Palestina, e un’altra guerra, malgrado i seri rischi che comporta, potrebbe aiutare a compiere un’ulteriore balzo nella pulizia etnica è forse anche il «trasferimento» di una popolazione che pone una «minaccia demografica».

 

Il modo di comportarsi della «comunità internazionale» di fronte al progetto di pulizia etnica è stato vergognoso. Favorevolissimo ad una guerra e al processo dei cosiddetti cattivi nella ex-Yugoslavia, dove gli Stati Uniti si erano accontentati di opporsi, selettivamente, alla pulizia etnica,  l’Unione Europea, Kofi Annan, la maggior parte delle ONG, e gli Stati arabi, si sono comportati da vigliacchi quando si trattava di sanzionare Israele; il loro «istinto morale» è stato paralizzato dall’attaccamento che gli Stati Uniti hanno per Israele, dalla forza di Israele e della sua diaspora, dallo sfruttamento del senso di colpa per l’Olocausto e, nell’UE, dal pregiudizio razzista sopravvissuto al suo passato coloniale ed esacerbato dalle ondate di propaganda che mettevano al primo posto gli «attentati suicidi» e all’ultimo le uccisioni mirate, la massiccia, illegale e brutale oppressione dei palestinesi, il furto della loro terra.

 

La negazione dell’Olocausto è riprovevole, ma nell’attuale contesto politico è confinata ad elementi marginali e non ha un impatto reale, eccetto che fornisce forse un diversivo per coloro che sono impegnati nella «negazione della pulizia etnica», la quale, per quanto riguarda Israele, è un’operazione reale e diffusa tra le elite occidentali ed ha serie conseguenze.

 

Conclusioni

 

La Palestina è un’area di crisi di suprema importanza, dove un popolo praticamente indifeso è stato oppresso, umiliato, ridotto in miseria e sottoposto ad un processo di dislocazione in favore di coloni protetti da una mastodontica macchina militare, protetta e rifornita, volta a volta, dagli Stati Uniti, con il tacito consenso, se non di più, del resto del Mondo Libero. La grossa preoccupazione per il Mondo Libero ora è la seguente: vorrà Hamas starsene buona e accettare la pulizia etnica (ancora attivamente in opera) ed un eventuale status di bantustan, nella migliore delle ipotesi? o metterà in pratica la sua minaccia di resistere e si darà al «terrorismo»?  Il potere e il razzismo hanno neutralizzato in Occidente l’«istinto morale» nei confronti di questo caso molto importante.

 

La Palestina è effettivamente un caso molto importante; in parte perché diversi milioni di palestinesi vengono ridotti alla miseria in un tragico sistema di violenza a cui gli Stati Uniti e la comunità internazionale potrebbero porre un termine molto facilmente con un semplice «basta!» rivolto a Israele, ponendo fine agli aiuti e minacciando eventuali sanzioni. Ma nel Mondo Libero le cause del problema non sono considerate l’occupazione e la pulizia etnica, piuttosto invece la resistenza ai soprusi. Questa prospettiva è stupida e immorale; è in realtà una giustificazione del sostegno razzista e politicamente opportunista che l’Occidente dà al progetto di pulizia etnica.

 

La situazione in Palestina è molto importante anche perché centinaia di milioni di arabi e oltre un miliardo di persone di fede islamica, e miliardi altre persone, interpretano il trattamento che l’Occidente riserva ai palestinesi come il riflesso di un atteggiamento razzista e colonialista verso gli arabi, i musulmani e più in generale i popoli del Terzo Mondo. E’ un magnifico congegno che produce terrorismo anti-occidentale, ma anche, cosa più importante, un congegno che produce profonda rabbia, odio e sfiducia verso l’Occidente e la sua causa. E’ un cancro che fa presagire disgrazie per il futuro della condizione umana.

 



[1] David Rieff, A New Age of Liberal Imperialism?, World Policy Journal, estate 1999, Ignatieff è citato da Rieff.
[2] Vedi Susan Woodward, Balkan Tragedy, Brookings, 1995; Diana Johnstone, Fools’ Crusade, Pluto and Monthly Review, 1999; David Owen, Balkan Odyssey, Harcourt Brace, 1995; Leonard J Cohen, Serpent in the Bosom: The Rise and Fall of Slobodan Milosevic,Westview, 2001.
[3] L’integrazione dei servizi segreti occidentali e degli «esperti», inclusi quelli del Sud Africa dell’apartheid, è descritta nel libro di Edward Herman e di Gerry O’Sullivan The Terrorism Industry, Pantheon, 1990.
[4] Per una buona illustrazione di questo processo di spoliazione, brutalizzazione e immiserimento vedi Noam Chomsky, The Fateful Triangle, South End, 1999, cap. 8; Kathleen Christison, The Wound of Dispossession, Ocean Tree Book, 2003; Norman Finkelstein, Beyond Chutzpah, University of California, 2005, Part 2; Michel Warschawsky, Toward an Open Tomb, Monthly Review, 2004, Jeff Halper, Despair: Israel’s Ultimate Weapon, Center for Policy Analysis on Palestine, 28 marzo 2001, ( http://www.thejerusalemfund.org/carryover/pubs/20010328ib.html ); e Jeff Halper, The 94 Percent Solution: A Matrix of Control, Middle East Report, ( http://www.merip.org/mer/mer216/216_halper.html ), autunno 2000.
[5] Noam Chomsky, Pirates &Emperors, Claremont Research, 1986, Cap. 2; Noam Chomsky, The Fateful Triangle, South End, 1999, cap. 9.
[6] Yehoshua Porath, un esperto israeliano del movimento nazionale palestinese, ha scritto in Ha’aretz il 25 giugno del 1982 “Mi sembra che la decisione del governo [di invadere il Libano] ... è la conseguenza proprio del fatto che il cessate il fuoco è stato rispettato [dai palestinesi]”. Per maggiori dettagli, vedi Noam Chomsky, The Fateful Triangle, South End, 1999, p. 198-209.

[7] Nel giudizio richiesto dal Pubblico Accusatore Radislav Krstich del 2 agosto 2001 (IT-98-33-T), ( http://www.un.org/icty/krstic/TrialC1/judgement/index.htm ), Sezione G, «Genocidio»
(http://www.un.org/icty/krstic/TrialC1/judgement/krs-tj010802e-3.htm#IIIG ), approx. pars. 589-595, ed anche nota 1306, il Tribunale si richiamò a una “Risoluzione del 1982 dell’Assemblea Generale dell’ONU che l’assassinio di almeno 800 palestinesi nei campi profughi di Sabra e Chatila quell’anno fu «un atto di genocidio».” La Risoluzione dell’Assemblea Generale dell’ONU era denominata «La situazione in Medio Oriente» (A/RES/37/123), Sezione D, 16 dicembre 1982 ( http://www.un.org.documents/ga/res/37/a37r123.htm ).
[8] Citazione di Gerald Steinberg, studioso della politica israeliana, in Chris Mc Greal, Worlds Apart, Guardian, 6 febbraio 2006 ( http://www.guardian.co.uk/israel/Story/0,,1703245,00.html ). Un recente articolo di Ha’aretz basato su un rapporto dei gruppi per i diritti umani B’tselem e Bimkom afferma e dimostra che “la principale considerazione per il tracciato di numerosi segmenti del muro è solo l’espansione degli insediamenti” ( http://www.haaretz.com/hasen/spages/685938.html )
[9] In realtà anche dalla Gran Bretagna. Recentemente anche la Germania ha contribuito ad armare ancora più pericolosamente Israele, fornendogli sottomarini capaci di portare missili con testate nucleari (ndt).
[10] Vedi Washington’s Peace Process,  in Chomsky, The Fateful Triangle, capitolo 10.
[11]  Slobodan Milosevic fu incriminato dal Tribunale sulla Yugoslavia, il 22 maggio 1999, per responsabilità di dirigente, per la morte di 344 albanesi kosovari, quasi tutti uccisi in seguito all’inizio di una guerra di bombardamenti da parte della NATO il 24 marzo 1999; Sharon, invece, fu considerato, persino da una commissione israeliana, responsabile del massacro di Sabra e Chatila, nel quale furono massacrati più del doppio di palestinesi, per la maggior parte donne, bambini ed anziani. Ma come abbiamo già notato in questo articolo, Sharon è soggetto a sistemi diversi di giudizio e trattamento.
[12] Vedi Johan Wallach Scott, Middle East Studies Under Siege, The Link, gennaio-marzo 2006.

 

 


NO ALLA DISTRUZIONE DEL TERRITORIO!
NO A NUOVI INSEDIAMENTI MILITARI!

IN CONCOMITANZA CON LA RIUNIONE A ROMA DEL TAVOLO TECNICO CHE DOVREBBE DECIDERE L’APPROVAZIONE DEL PROGETTO, L’OSSERVATORIO CONTRO LE SERVITU’ MILITARI PROMUOVE

 

MERCOLEDI 5 LUGLIO
ORE 18.30
SIT-IN DAVANTI ALL’AEREOPORTO
DAL MOLIN

 

(INGRESSO AEREOPORTO CIVILE V. S. ANTONINO)
 
PER DIRE NO AD UN PROGETTO CHE PREVEDE UNA NUOVA, IMMENSA COLATA DI CEMENTO
 
PER DIRE NO AD UNA STRUTTURA CHE DOVREBBE OSPITARE TRUPPE AEREOTRASPORTATE DESTINATE AI VARI TEATRI DI GUERRA
 
PER DIRE NO AD UN PROGETTO TENUTO FINORA NASCOSTO A TUTTA LA CITTA’!
 
TUTTA LA CITTADINANZA E’ INVITATA A PARTECIPARE

 

 

Osservatorio contro le servitù militari di Vicenza

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Promemoria, per chi vuol sentire 
(per gli altri ha ragione il proverbio: non c’è peggior sordo…)

Baghdad, Kabul, Teheran... Dal Molin: Vicenza in guerra?


La “nuova strategia”

Cominciamo dall’Iraq. Si parla di piani di rientro. C’è stato il cambio e la riduzione del contingente: la brigata Garibaldi al posto della Sassari, 1.600 uomini al posto di un numero circa doppio, che staranno sul posto “presumibilmente fino alla conclusione della missione, fissata entro l’autunno”, si legge in un riquadro de La Repubblica del 29 giugno. La missione citata è quella chiamata “Antica Babilonia”, iniziata nel giugno 2003, tre mesi dopo che la 173.esima Brigata aviotrasportata USA, di stanza alla caserma Ederle di Vicenza, aveva “aperto la strada” nel Kurdistan iracheno. “Il dimezzamento del contingente entro giugno era stato calendarizzato dal precedente governo” conclude il trafiletto “e mantenuto dall’attuale esecutivo”. Ma non è ancora chiaro quali siano i piani di ritiro di tutto il contingente, cioè quando finirà la nostra partecipazione a quella guerra sempre più sbagliata e tragica. 
Ricordiamo che meno di un mese fa, commentando l’ultima (finora) morte di un militare italiano a Nassiriya, il Presidente Romano Prodi ha ribadito nelle aule parlamentari che “i terroristi non detteranno l’agenda del rientro”. Di quali “terroristi” stava parlando? Chi attacca un convoglio militare di un esercito di occupazione, secondo le norme di diritto internazionale, deve essere definito un “resistente” che agisce legittimamente per liberare la propria terra dagli aggressori, non un “terrorista”. 
Saranno invece i terroristi istituzionali, coloro che bombardano e devastano intere regioni con armi che provocano, oltre ai morti immediati, effetti letali nel lungo periodo sulla vita e l’ambiente (uranio impoverito, fosforo bianco ecc.), coloro che imprigionano e rapiscono e torturano in nome della “democrazia e della libertà” (Abu Ghraib, Guantanamo ecc.), coloro che davanti ai consessi internazionali hanno mentito e spudoratamente ancora mentono, che detteranno l’agenda del rientro italiano?! Queste non sono invenzioni dei “soliti arrabbiati e sospettosi”. Basta leggere il titolo di un articolo de Il Giornale del 22 giugno: “Washington striglia il governo Prodi: il ritiro dall’Irak è tutto da discutere”. “Gli Stati Uniti” si legge nel testo “ hanno inviato a Roma Barbara Stephenson, deputy senior advisor del Dipartimento di Stato, esperto di pianificazione e ricostruzione, per guidare un gruppo di lavoro che dovrà incontrare gli esponenti del governo italiano. La dichiarazione della Stephenson arriva dall’ambasciata americana a Roma e non lascia dubbi, parla di una “presenza italiana in Irak” che “è stata e continua ad essere importante per il successo del processo di stabilizzazione e ricostruzione”, loda “gli esperti italiani che hanno contribuito all’avanzamento della democrazia e della libertà in Irak”, annuncia che guiderà “un gruppo misto che si incontrerà con esponenti del governo italiano per discutere queste questioni” e infine “continueremo la discussione su come meglio venire incontro ai bisogni dell’Irak”. 
Nello stesso articolo si accenna anche a “l’allargamento della base Usa in quel di Vicenza. Rutelli ha spiegato” assicura ai suoi lettori Il Giornale “che la nuova base nell’aeroporto Dal Molin serve “alla rimodulazione della 173ª Airborne Brigade”, cioè, oltre al trasferimento a Vicenza anche del contingente attualmente in Germania (per arrivare a un totale di oltre 4.000 effettivi), alla sua trasformazione in Unità d’Azione, i cui uomini cioè devono essere pronti in poche ore a trasferirsi nei teatri di guerra.
Sarà bene ricordare inoltre che anche Bush e Blair desiderano convincere i loro elettori che ormai la guerra in Iraq è “quasi” vinta ed ora bisogna pensare a un’occupazione (pardon: missione) “pacifica” in quel Paese, per concentrare gli attacchi altrove. La notizia, così ben orchestrata, dell’uccisione di Al Zarkawi (l’immagine locale del “terrorismo internazionale”) è un chiaro segnale di “svolta” in questo senso. E’ altrettanto chiaro però che “l’esportazione della democrazia in Iraq” è un falso obiettivo, come già i precedenti, clamorosamente proclamati e falliti: le armi di distruzione di massa mai trovate, i presunti legami fra Saddam Hussein e Osama Bin Laden assolutamente inesistenti. I risultati reali finora raggiunti sono la frammentazione del territorio iracheno, la morte di quasi 40.000 civili vittime della guerra, conflitti interni sempre più laceranti, un crescendo di attacchi della resistenza, di massacri per rappresaglia e di azioni terroristiche degli squadroni della morte. Il fantasma nero della guerra civile fra sunniti, sciiti, curdi, aleggia ed incombe su tutto l’Iraq, manovrato dall’esperto “proconsole” John Negroponte (l’ambasciatore USA ben noto per i suoi precedenti in Honduras dove organizzava e addestrava i “contras” del Nicaragua) e dai suoi specialisti della cosiddetta “guerra a bassa intensità”.

Quanto al “disimpegno” italiano, il mese scorso il ministro degli esteri Massimo D’Alema è volato a Baghdad per prendere contatti e accordi con il governo iracheno “garantito” dalle potenze occupanti e sottoposto alla loro “tutela” - basti dire che a tutt’oggi il  governo di “unità nazionale” di Al Maliki rimane privo dei fondamentali ministri degli interni, della difesa e della sicurezza nazionale -. 
Dalle frammentarie notizie diffuse allora, sembrava trasparire che il “piano di ritiro” fosse in sostanziale sintonia con quanto già proposto dal governo Berlusconi e ben espresso da Antonio Martino, che nella sua ultima dichiarazione da ministro della Difesa a Nassiriya, il 17 maggio 2006 “ha ribadito il progetto destinato a ‘coprire’ con la nostra bandiera il protettorato USA sulla Mesopotamia: riduzione da 2.600 a 1.600 uomini entro giugno e a fine anno il passaggio da “Antica Babilonia” a “Nuova Babilonia” lasciando a Nassiriya circa 600 uomini” (Stefano Chiarini sul Manifesto). L’ex ministro Martino era stato molto chiaro: ““Intendo ancora una volta rassicurare le autorità irachene: noi non ce ne andiamo, non scappiamo, non ci ritiriamo. Cambia solo la natura della missione: finora è stata prevalentemente militare, dall’inizio dell’anno prossimo sarà prevalentemente civile”. In altri termini, “un semplice cambiamento di pelle””, commentava Chiarini. “La nuova missione italiana ruoterà attorno ad una micidiale miscela di “civile e militare” facente capo al Team di Ricostruzione Provinciale (PRT) di Nassiriya, costruito sul modello degli analoghi organismi messi in piedi in Afghanistan dalla NATO”.
A fine giugno, invece, sembra che questo progetto sia stato definitivamente abbandonato, ma sarà bene fare attenzione ai prossimi sviluppi, anche in relazione al polverone sollevato con la questione del rifinanziamento della missione in Afghanistan (appunto).
Scrive a questo proposito Nino Sergi, Segretario Generale di INTERSOS, in una nota indirizzata ai ministri degli Esteri e della Difesa, D'Alema e Parisi, e alla vice ministra per la Cooperazione, Sentinelli: “Abbiamo accolto con soddisfazione la decisione del Governo italiano di rinunciare alla formazione di un PRT a Nassiriya in Iraq. Non si sarebbe trattato, come è stato detto, di una missione di civili tutelata da militari, ma di una vera e propria componente della missione militare internazionale. Si sarebbe trattato inoltre di un inganno, data la decisione di uscire militarmente dall'Iraq sancita anche dal voto popolare”. I PRT, infatti, sono parte integrante della struttura militare e operano sotto il suo comando, come dimostrato dall'esperienza in Afghanistan nell'ambito dell'Operazione Enduring Freedom (OEF) per combattere il terrorismo e dell'International Security Assistence Force (ISAF) per garantire la sicurezza, alle quali il nostro Paese partecipa. Non si tratta in realtà di squadre miste di civili e militari ma di militari che svolgono, in modo strumentale e finalizzato ad obiettivi militari, compiti che dovrebbero essere svolti da civili. “Si tratta dello sviluppo di una nuova strategia dovuta al cambiamento dei teatri operativi della NATO nei nuovi contesti internazionali di crisi. Strategia che viene attuata tramite e con il supporto di una nuova struttura di comando, che va sotto il nome di CIMIC, cooperazione civile - militare”. 
Dopo aver evidenziato, nel rapporto fra i due tipi di “missione” (OEF e ISAF), “la priorità data al mantenimento dell'opzione unilaterale dell'Amministrazione americana e alle “mani libere” nella guerra al terrorismo”, la nota precisa che lo scopo dei PRT “è quello di estendere l'influenza della NATO nella propria area, usando strumentalmente e subordinatamente le “attività umanitarie”(...) Capita perfino che in alcune aree dell'Afghanistan i militari si presentino alle popolazioni in abiti civili e su automezzi non identificabili come militari. Si presentano cioè come operatori umanitari, falsando così e inquinando la sfera dell'azione e dei principi umanitari.” “Da qui nasce l'ambiguità e la confusione che le ONG umanitarie hanno denunciato e continuano a denunciare, fino ad esprimere gesti estremi come decidere di rinunciare a svolgere attività nei paesi o nelle aree in cui operano i PRT.” Sergi fa appello al senso di responsabilità del governo: “Procedere solo per dovere di alleanza, in una probabile escalation militare “di contrattacco e di difesa” che potrebbe non avere limiti prevedibili, (...) potrebbe portare ad una dolorosa e catastrofica fine. A pagarne le conseguenze sarebbe, ancora una volta e prima di tutti, la popolazione afgana.”.
(da www.vita.it/ articolo Afghanistan: civile funzionale al militare? - si veda anche  www.osservatorioiraq.it).
In buona sostanza, in ambito NATO si sta mettendo a punto  una nuova polizia internazionale, col compito di proseguire il “lavoro” svolto dalle truppe d’occupazione, a difesa del dominio strategico e della rapina economica mondiale da parte delle potenze alleate USA ed (in subordine) europee, ma presentandola come agenzia di “peace keeping” e di “cooperazione allo sviluppo”- col doppio vantaggio (se il trucco riesce) di tranquillizzare le false coscienze pacifiste, smorzando le mobilitazioni di sostegno alla resistenza, nonché di scaricare sui “ribelli” locali tutte le responsabilità della violenza “terroristica” e consolidare il potere dei capi “amici”. Ma perché il piano riesca bisogna usare personale specializzato (operatori e spie), “incapsulare” nella struttura militare (mascherata da civile) le ONG disponibili e sbarazzarsi di quelle troppo “indipendenti”. I “banchi di prova” sono, per ora, l’Afghanistan e l’Iraq. In Europa l’addestramento a questi nuovi compiti internazionali di “controllo e collaborazione” (in realtà di “intelligence” e “sicurezza”) a quanto pare è affidato alle strutture della “Gendarmeria europea”, il cui comando è stato posto a Vicenza.

“Non scappiamo”, ha detto l’ex ministro della Difesa Martino. Così si è espresso il 6 giugno 2006 anche il neo segretario del Partito della Rifondazione Comunista, Franco Giordano: “Non si vuole abbandonare l’Iraq, ma oggi vanno pensati interventi civili concertati con tutta la comunità internazionale”. Una convergenza per nulla rassicurante! Questi sono anche i progetti di politica estera espressi dall’attuale ministro D’Alema, in sintonia col programma elettorale dell’Unione. Il  “cambiamento di strategia” politica e militare dell’Italia nello scacchiere asiatico (sempre più instabile) sembra dunque tutto qui: camuffare da “missioni di pace” (meglio di quanto si sia fatto finora) i contingenti di sostegno alle occupazioni, a guardia delle risorse e delle vie di collegamento strategiche, sotto l’indiscussa egemonia USA (anche se con maggiori legami coi partner dell’area Euro). Se per ora ciò è difficile in Iraq (per mancanza di copertura diretta ONU – NATO) è invece obbligatorio in Afghanistan. Le truppe italiane, senza nemmeno più quelli che gli esperti militari chiamano “requisiti minimi di sicurezza” (sostituiti da addestramenti  “in stile Negroponte”) saranno sempre più coinvolte in conflitti  “fuori controllo”, oltre che del tutto fuori dalla nostra Costituzione!
Al rifinanziamento della “missione” militare in Afghanistan hanno annunciato il loro voto favorevole tutti i gruppi parlamentari del centrosinistra, compresi Verdi, PDCI e PRC – al di là delle “sceneggiate” che in questi giorni continuano ad animare le pagine dei giornali e i TG in cerca di “scoop” parlamentari. Ci ha pensato il neo presidente della Camera Bertinotti a rassicurare i camalli di Genova e tutti i “compagni col mal di pancia”, con una frase tanto sibillina nella forma quanto univoca nel contenuto: “I militari svolgono una funzione che la Costituzione prevede sia di pace” lasciando “le scelte sulle missioni ai partiti e alla maggioranza”. Una elegante ma falsa deduzione  - la maggioranza parlamentare è costituzionale, la Costituzione non prevede la guerra, dunque le missioni militari decise in Parlamento non sono di guerra !! - con la quale da un lato egli aggira lo stesso articolo 11 della Costituzione, mentre dall’altro dichiara l’inutilità del movimento contro la guerra, che è stato uno dei suoi “trampolini di lancio”. Povero Fausto!  Il “realismo politico” continua a mietere vittime illustri fra gli ex comunisti.

Quanto alla prossima prevedibile “missione NATO per la sicurezza internazionale” a cui l’Italia sarà chiamata a partecipare con gli alleati europei, al seguito degli interessi imperiali degli Stati Uniti (non certo disposti a rinunciare alla loro leadership assoluta), ci affidiamo a un “guru” italiano della geopolitica: Lucio Caracciolo. Su  La Repubblica del 29 giugno egli afferma senza mezzi termini che “ora tocca all’Iran”, dove l’Italia ha molti più interessi diretti che in Afghanistan (è il primo importatore e il secondo esportatore europeo) e dove è possibile tentare (secondo il nostro stratega) di svolgere un ruolo più “autonomo” accanto alla Germania. Caracciolo consiglia caldamente (al governo Prodi) un intervento “attivo e intelligente” delle “forze di pace” italiane in quel Paese, facendo esplicito riferimento (guarda caso) ai PRT, ma lasciando nel vago le motivazioni che renderebbero così importante tale intervento. Non sarà perché il regime di Ahmadinejad è nel mirino di Bush, più che per i progetti nucleari e per le affermazioni più o meno bellicose nei confronti di Israele, per l’annunciata apertura al pagamento in Euro del mercato petrolifero persiano?...

Comunque, per venire a noi, è chiaro che il ruolo attuale della NATO in Europa (come nel resto del mondo) è di garantire la stabilità nell’alleanza per il dominio globale fra l’UE e gli USA, con l’egemonia di questi ultimi. In questo senso vanno intese le affermazioni della Casa Bianca: “la Nato, come garante della sicurezza europea, deve svolgere un ruolo dirigente nel promuovere una Europa più integrata e sicura”. Le forze armate dei Paesi europei partecipano attivamente alla costituzione dei suoi reparti stanziali e dei contingenti nelle “missioni” congiunte (l’Italia è al secondo posto). Ma al governo degli Stati Uniti d’America tutto ciò non basta. Infatti, per contribuire alla stabilità Europea, per sostenere i vitali legami transatlantici, e per conservare il loro predominio, gli Stati Uniti devono mantenere direttamente in Europa quasi 100.000 militari in basi opportunamente dislocate, collegate fra loro da “corridoi” che consentano spostamenti ad “Alta Velocità”.
Le forze armate statunitensi sono in una fase di ridislocazione dall’Europa settentrionale e centrale a quella orientale e meridionale, e quindi le basi USA e Nato in Italia sono in uno stadio di ristrutturazione e potenziamento della loro funzione di trampolino per la “proiezione di potenza” dell’impero americano verso gli Stati dell’Africa e dell’Asia da cui proverrebbe (secondo la propaganda e il quadro delle provocazioni) il fantomatico “nemico globale” (il cosiddetto “terrorismo internazionale”). 
Il rapporto ufficiale del Pentagono “Base Structure Report “ del 2003 descrive nei dettagli le dimensioni della presenza militare statunitense nel nostro Paese: l’esercito USA possiede in Italia oltre 2.000 edifici su una superficie di più di un milione di metri quadrati e ha in affitto circa 1.100 edifici, con una superficie di 780 mila metri quadrati. Il personale si aggira sulle 20.000 unità, fra 16.000 militari e 4.000 civili. 
L’Aeronautica USA ha base soprattutto ad Aviano (Pordenone, Friuli-Venezia Giulia). In questa base sono depositati ordigni nucleari di tipo convenzionale, e il nostro governo dovrebbe imporre il loro smantellamento, ma non lo fa e non ci sono positive prospettive a riguardo, e vi sono schierate la 31.esima Fighter Wing e la 16.esima Air Force, con in dotazione i caccia F-16 e F-15. Da Aviano vengono pianificate e condotte operazioni di combattimento aereo anche in Medio Oriente.
La Marina USA ha trasferito il suo quartier generale in Europa da Londra a Napoli, con area di responsabilità che comprende i tre continenti Europa, Asia ed Africa, il Mar Nero e il Mar d’Azov, su cui si affaccia la Russia. La Marina statunitense ha una base aeronavale a Sigonella e una alla Maddalena, base di appoggio per i sottomarini di attacco nucleare (oggi ufficialmente in via di smantellamento). 
A Taranto esiste il quartier generale della High Readiness Force Maritime, una forza marittima di rapido spiegamento inserita nella catena di comando del Pentagono. Sempre a Taranto è presente un centro di comando e di intelligence del Pentagono, un centro della marina USA per la “inter-operabilità dei sistemi tattici”, nodo dei sistemi di comando, controllo, comunicazioni, e spionaggio. Sembra previsto un ulteriore potenziamento della base di Taranto.
L’Esercito USA ha proprie basi in Toscana e in Veneto. A Camp Darby, presso Livorno, vi è la base logistica di rifornimenti per le forze terrestri e aeree impegnate nelle zone del Mediterraneo e del Medio Oriente. A Vicenza, alla Caserma Ederle è stanziata la 173.esima Brigata aviotrasportata. Tutte queste forze e basi statunitensi, pur essendo in territorio italiano, sono inserite nella catena di comando del Pentagono e quindi sottratte a qualsiasi meccanismo decisionale italiano. Da mezzo secolo siamo un Paese a sovranità limitata!


Che succede a Vicenza? 

Come abbiamo visto, Vicenza è al centro dei progetti di ristrutturazione delle forze USA e NATO in Europa. In particolare, il settore civile dell’aeroporto “Dal Molin” è in procinto di passare sotto il controllo delle forze armate statunitensi, che hanno già pronto il progetto di costruzione di abitazioni, uffici e magazzini per trasferirvi le attività di circa 2000 militari che si aggiungeranno a quelli già di stanza alla caserma Ederle (con rispettive famiglie), in una città di 100.000 abitanti già con gravi problemi di “assedio” da parte dei comuni del circondario e di inquinamento da traffico. 
Una enorme colata di cemento, che coprirebbe anche l’attuale campo di rugby, su una superficie di quasi mezzo milione di metri quadri e una cubatura calcolata di circa 600.000 metri cubi, sfondando tutti i parametri previsti dall’attuale regolamento urbanistico cittadino.
Una stima approssimativa, di fonte Setaf, degli stanziamenti necessari a costruire il nuovo complesso militare e le strutture complementari (abitazioni e uffici) è pari a circa 800 milioni di dollari.
Questo progetto, che l’amministrazione locale ha tenuto riservato per quasi due anni (alla  cittadinanza sono giunte solo indiscrezioni sulla stampa, e le risposte a interrogazioni sia locali che nazionali erano reticenti, fino a quando le stesse autorità americane hanno dato notizie più dettagliate) avrebbe un impatto devastante in termini sociali, ambientali e di sicurezza, in un territorio che vede già una consistente presenza di presidi militari.
Inoltre il governo Usa corrisponderebbe una cifra di circa 40 milioni di euro al Comune di Vicenza, che dovrebbe essere utilizzata per opere di viabilità, in particolare per il prolungamento di via Moro, in modo da collegare funzionalmente il “Dal Molin” alla caserma Ederle. Una manna per il sindaco Hüllweck (forzitaliota, grande amico di Berlusconi) e per l’assessore alla viabilità Cicero (AN), ma non per i cittadini di Vicenza, che se il progetto andrà in porto si vedranno circondati da una cintura di traffico militare che da est (Ederle), passando a nord (Dal Molin) andrebbe a ovest (scalo ferroviario) per chiudersi a sud con le già esistenti ferrovia e autostrada, per non parlare della prevista galleria di venti chilometri sotto i colli Berici per l’Alta Velocità - il famoso “corridoio 5”, anch’esso forse più d’interesse militare che commerciale, oltre che di enorme impatto ambientale a spese dei contribuenti (ma a vantaggio degli speculatori sulle “grandi opere”).
 Ma perché proprio Vicenza?
Vicenza is the right place”. Vicenza è il posto giusto, dicono gli americani, per sviluppare le loro infrastrutture militari. Così la pensa Jason Kamiya, generale a due stelle, che ha fatto visita al sindaco Enrico Hüllweck il 30 maggio 2006, preoccupato delle polemiche politiche seguite alla fuga di notizie [sic!] dei giorni precedenti.
Evidentemente il contesto di Vicenza, un contesto dove “il dollaro” è sempre stato apprezzato dalla piccola borghesia artigiana, commerciale e dei servizi che prevale in città, con orientamento tradizionalmente moderato e ‘centrista’, deve far sentire gli statunitensi assai sicuri, come a casa loro, per concentrare in quest’area tante loro attività e tanta logistica. Così, in un clima di sostanziale indifferenza (a volte di simpatia, magari motivata da piccoli interessi di bottega), capita che gli Americani non solo restano, anzi raddoppiano la loro presenza, provocando bensì le sacrosante proteste dei cittadini dei quartieri limitrofi, riuniti in comitati che hanno raccolto oltre un migliaio di firme. Ma fa fatica a generalizzarsi quella indignazione che altrove sarebbe più probabilmente sorta e scoppiata al motto “not in my name”. In certi ambienti vicentini sembra ancora prevalere una logica del tipo “non nel mio giardino”: non vogliamo nuove caserme sotto casa al posto del campo di rugby, ma per il resto potete andare tranquilli a fare i vostri massacri nel grande Medio Oriente. 
Tanto a noi che ci frega: abbiamo lo spritz! 
Non si tratta insomma solo di evitare un enorme impatto ambientale imposto da accordi fra autorità militari e governi più o meno “amici”, che passano arrogantemente sopra la testa (e sulla pelle) dei cittadini), ma di cominciare anche ad invertire il percorso che “per qualche dollaro in più” (sporco e maledetto) sta portando Vicenza a vendersi completamente alle logiche della guerra globale.
Ora la formalizzazione dell’accordo spetta al governo Prodi, che incontrerà la autorità militari americane il 5 e 6 luglio. L’Osservatorio contro le servitù militari di Vicenza da mesi sta lavorando per proporre questi temi in modo organico e approfondito sia a livello locale che nazionale: ha sollecitato l’interrogazione del senatore Bulgarelli (Verdi), ha mandato una petizione al Presidente del Consiglio Prodi, ha organizzato la presenza critica al Consiglio comunale che si è svolto sul tema, ed ha seguito con interesse le iniziative dei comitati, invitando tutti (nell’assemblea del 25 giugno a Festambiente) a partecipare al sit-in di mercoledì 5, alle ore 18.30, davanti all’ingresso dell’aeroporto Dal Molin in via S. Antonino. Ciò non appare in alternativa, ma a sostegno delle altre iniziative dei comitati, ai quali l’Osservatorio propone solo di allargare e approfondire questa tematica fondamentale per tutti.

Questo documento è stato scritto autonomamente da Paolo Consolaro, che intende con esso dare un contributo personale al tema e alla mobilitazione (sulla base di materiali forniti da Curzio Bettio, dall’Osservatorio contro le servitù militari e dai comitati contro la militarizzazione USA del Dal Molin).

Vicenza, 1 luglio 2006.




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*** sul NO al rifinanziamento delle missioni di guerra si vedano
anche gli appelli a sostegno dei senatori "ribelli", al sito:

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=53&did=392 ***


http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=10165

Partito Rifondazione Comunista:
CPN del 17 giugno - Intervento di ANDREA CATONE


La scadenza di fine giugno pone il PRC – per la prima volta
organicamente in un governo di coalizione - di fronte alla questione
del rifinanziamento delle missioni italiane all’estero nei principali
teatri di guerra. Queste sono parte di un problema più ampio: quello
della definizione delle linee fondamentali della politica estera del
governo italiano, in particolare nei suoi rapporti con la
superpotenza USA, la quale, nella fase attuale di crisi e
rimodulazione degli assetti mondiali, è, per ragioni economiche (a
causa dell’enorme indebitamento USA, il dollaro si sostiene come
valuta mondiale solo grazie alla proiezione politico-militare
statunitense, mirante a contenere la concorrenza della altre aree
valutarie, in particolare l’euro) e ideologiche (la “missione
americana” nel mondo) il fattore principale dello scatenamento di
guerre imperialistiche.

La valutazione dell’impiego delle missioni militari italiane nel
mondo va fatta anche alla luce di questo particolare ruolo aggressivo
della più imponente superpotenza militare di tutti i tempi, che
produce guerra nel duplice senso che la spesa pubblica militare è uno
dei principali volani dell’economia USA e che questi possono
mantenere il primato del dollaro solo grazie alle guerre.

Per quanto riguarda la più recente di queste guerre, quella contro
l’Iraq, cominciata nel 2003 e non ancora terminata - grazie alla
tenace resistenza, politica e militare, degli “insurgents” (come lo
stesso Bush li chiama) contro l’occupazione anglo-americana e i suoi
governi-fantoccio - va salutato come un successo significativo dei
movimenti contro la guerra, della sinistra di alternativa e del PRC
l’annunciato ritiro dell’intero contingente militare italiano entro
tempi brevi (anche se meno brevi di quelli che avremmo auspicato e
con un percorso meno lineare e diretto di quello della Spagna di
Zapatero) e definiti (sulla cui effettiva attuazione occorrerà però
mantenere un alto livello di attenzione e mobilitazione per
scongiurare qualsiasi manovra dilatoria).

Il successo ottenuto col ritiro dall’avventura irachena è stato anche
favorito e reso possibile - oltre che dalle mobilitazioni di massa e
dalla grande attenzione che i media sono stati costretti a
concentrare sul teatro iracheno dall’attività crescente della
guerriglia che ha colpito pesantemente gli eserciti occupanti, in
primis gli USA, ma anche inglesi e italiani - dal contrasto, per la
prima volta apparso in modo palese ed esplicito, tra le principali
potenze dell’area UE (Francia e Germania) e gli USA. È stato più
facile presentare all’interno dell’Unione la guerra irachena come
estranea – se non contrapposta - agli interessi europei e il ritiro
da essa come un ritorno dell’Italia nel seno dell’Europa, da cui la
politica filo-Bush del governo Berlusconi l’aveva allontanata.
Infatti, al centro della politica estera italiana tracciata nel
programma dell’Unione viene posto, con grande enfasi e
sottolineature, il rapporto organico con la UE e il rilancio di
quest’ultima.

Ma i militari italiani sono impegnati altresì in buon numero in
Afghanistan. Questa missione militare NON è, come si vuol far
credere, sotto l’egida dell’ONU, ma è una missione NATO sotto il
comando diretto degli USA. Infatti (cfr. il recente articolo di
Manlio Dinucci sul Manifesto del 13 giugno 2006), «l'11 agosto 2003,
la Nato annuncia di aver “assunto il ruolo di leadership dell'Isaf,
forza con mandato Onu”. E' un vero e proprio colpo di mano: nessuna
risoluzione del Consiglio di sicurezza autorizza la Nato ad assumere
il comando dell'Isaf. Nella risoluzione del 13 ottobre 2003, che
autorizza l'Isaf a operare “in aree esterne a Kabul e dintorni”, e
nelle successive, la Nato non viene mai nominata. Eppure a guidare la
missione, da questo momento, non è più l'Onu ma la Nato: il quartier
generale Isaf viene inserito nella catena di comando della Nato, che
sceglie di volta in volta i generali da mettere a capo dell'Isaf. E
poiché il “comandante supremo alleato” è (per diritto ereditario)
sempre un generale Usa, la missione Isaf viene di fatto inserita
nella catena di comando del Pentagono». NON è dunque una missione di
pacificazione o di interposizione tra fazioni in lotta, ma si tratta
dell’occupazione militare dell’Afghanistan operata da USA e Gran
Bretagna alla fine del 2001 e preparata ben prima del fatidico
attentato dell’11 settembre alle “2 torri”, che è servito da ottima
giustificazione per l’invasione di un paese collocato strategicamente
nel cuore dell’Eurasia, tra Russia, India e Cina, Iran, dove non
erano mai giunte truppe USA e che ora pullula di basi americane che
minacciano da vicino il paese che Samuel Huntington indicava già 10
anni fa nel suo “Scontro di civiltà” come il nemico strategico: la Cina.

La presenza di militari italiani sotto comando USA in un teatro di
guerra per sostenere militarmente un governo filoUSA è un’azione di
guerra contraria alla costituzione italiana. Sostanzialmente non è
diversa dalla presenza militare italiana in Iraq: funge da supporto
alla politica aggressiva degli USA (che usano il terrorismo come
passepartout per le loro guerre) ed è un presupposto per nuove
avventure militari.

Qui, tuttavia, a differenza che in Iraq, USA ed UE agiscono
apparentemente di comune accordo e anche Zapatero invia le sue
truppe. Ma, anche qui, gli interessi delle potenze europee in
Afghanistan e in Eurasia sono concorrenti con quelli degli USA: gli
europei cercano di ritagliarsi, con la presenza militare e gli
investimenti per la “ricostruzione civile”, un loro spazio di
penetrazione. È del tutto evidente, perciò, che all’interno
dell’Unione, che ha nel suo leader Prodi uno dei maggiori esponenti
della borghesia europeista, la battaglia per il ritiro
dall’Afghanistan sarà molto più dura.

Ma qui la posta in gioco è altissima. Infatti, la questione della
pace e della guerra, a differenza di altre di carattere economico-
sociale, su cui si può trattare sulla base dei rapporti di forza (ad
es. entità e modalità della manovra economica, tempi e modi di
attuazione di una nuova scala mobile), inerisce alla natura stessa,
all’identità di un partito comunista. Il comunismo novecentesco nasce
nel 1914 rompendo con le socialdemocrazie che votarono i crediti
della guerra imperialista: tra i primi atti del governo bolscevico
nato dalla rivoluzione di ottobre 1917 è la stipula immediata della
pace con la Germania. Questa grande eredità del comunismo
novecentesco rimane - mi auguro - patrimonio condiviso di tutto il
partito, della “sinistra alternativa”, dei movimenti contro la
guerra. E ciò è ancora più rilevante oggi, nell’epoca del capitale
globale. La lotta contro la guerra imperialista è strategica,
fondamentale, imprescindibile.

Su questa questione il partito tutto deve riprendere con forza la
mobilitazione e i compagni che sono nel parlamento e nelle
istituzioni devono battersi per il ritiro dall’Afghanistan agendo
conseguentemente in tutte le sedi istituzionali e politiche. Il
messaggio che va mandato agli alleati della coalizione è che su
questa questione non sono possibili escamotage, tatticismi o
aggiustamenti di facciata, ma solo un effettivo e radicale mutamento
della politica estera italiana, che va riportata alla sostanza
dell’articolo 11 della Costituzione. Solo su questa base si può
trattare, costruendo lo schieramento più ampio di forze contrarie
all’avventura militare in Afghanistan (e che in parlamento votarono,
come del resto il PRC, contro il suo finanziamento), per definire
modalità e tempi certi e brevi del completo ritiro delle truppe
italiane.

Se vogliamo effettivamente ritornare alla sostanza dell’articolo 11
della Costituzione bisogna sviluppare anche un’azione culturale di
critica della guerra in netta contrapposizione con le posizioni
predominanti nel futuro “partito democratico”, sostenitore della tesi
che la guerra contro l’Iraq del 2003 è sbagliata perché decisa
unilateralmente dagli USA, mentre, come si può leggere tra le righe
del programma dell’Unione (cfr. pp. 97-102), gli interventi militari
multilaterali avallati da organismi sopranazionali – tra cui si
elenca non solo l’ONU, ma anche la UE e la NATO -, sarebbero
legittimi, di “polizia internazionale” (cfr. p. 98), cui il programma
auspica che l’Italia dia un consistente apporto. È con questo tipo di
discorso che si giustifica il mantenimento e l’ampliamento della
missione in Afghanistan.

È sulla base di questo discorso, sostenuto dalla più complessa
costruzione ideologica della “guerra umanitaria”, che si promosse
l’aggressione militare della primavera 1999 contro la Jugoslavia,
rispetto alla quale né il presidente del consiglio Prodi, né
l’attuale ministro degli esteri, e nel ’99 presidente del consiglio,
Massimo d’Alema, hanno manifestato la sia pur minima autocritica,
rivendicando anzi con pervicacia la giustezza di quella devastante
guerra.

Sulle cui conseguenze vi è un colpevole silenzio e disattenzione
anche da parte della sinistra alternativa. In particolare – salvo
qualche eccezione - sulla situazione in Kosovo si tace: eppure si
tratta della vita di centinaia di migliaia di persone che subiscono
oggi condizioni infami. Alla presenza delle forze militari della KFOR
(prevalentemente paesi NATO) e dell’UNMIK, il Kosovo sotto
protettorato ONU si è trasformato in una gabbia a cielo aperto per le
poche decine di migliaia di serbi e rom rimasti. Oltre 300.000 hanno
dovuto abbandonare, sotto la violenza del nazionalismo estremista
albanese espresso dall’UCK, la terra che abitavano. I serbi sono
costretti a vivere in condizioni di estrema insicurezza, sono
continuamente oggetto di attacchi e violenze, sono discriminati
nell’accesso al lavoro e alle cure mediche, sono privati dell’uso
della propria lingua negli uffici pubblici, nei tribunali, nelle
istituzioni. Il pogrom antiserbo del marzo 2004 ha provocato decine
di morti e migliaia di feriti, costretto alla fuga altre migliaia di
serbi, bruciato e saccheggiato le loro case e i luoghi della memoria
e della cultura come i preziosi monasteri medievali. Dove sono finiti
i difensori dei “diritti umani”?

In violazione della risoluzione 1244/99 dell’ONU, le potenze che nel
1999 scatenarono la guerra contro la Jugoslavia (e tra esse ebbe un
ruolo decisivo il nostro paese allora guidato dal governo D’Alema),
si apprestano a dare origine ad un nuovo microstato etnicamente puro.
La formalizzazione internazionale dell’indipendenza del Kosovo
significherà con ogni probabilità l’espulsione massiccia di tutti i
serbi rimasti: l’Onu, in previsione di ciò che potrebbe accadere non
appena tagliato definitivamente il cordone ombelicale che lega il
Kosovo alla Serbia ha già preparato un piano di evacuazione per
70.000 persone. L’ulteriore spezzettamento di quella che fu la
Jugoslavia – con la recentissima secessione del Montenegro e
l’annunciata formazione di uno stato monoetnico del Kosovo - non
favorisce i processi di pace.

Il PRC che – unico sulla scena italiana – si oppose alla “guerra
umanitaria” del 1999, non può oggi chiudere gli occhi sulla
drammatica situazione dei Balcani. Vanno avviate campagne di
sensibilizzazione di massa sul silenzioso etnocidio in corso in
Kosovo e, attraverso i nostri rappresentanti nelle istituzioni – in
particolare nel parlamento e governo nazionali e nelle regioni – va
sviluppata una politica che contrasti ulteriori processi di
frantumazione della ex Jugoslavia e tuteli i diritti delle minoranze
del Kosovo a ritornare nella loro terra e a vivere una vita dignitosa
e sicura in una regione effettivamente multietnica.