Informazione

(english / italiano)

E adesso: SPACCARE TUTTO

Dopo il Montenegro, perchè no? Euskadi, Corsica, Sudtirolo, Rep.
Serba di Bosnia, Transnistria, Irlanda del Nord, Catalogna, Bretagna,
Fiandre, Alsazia, Valle d'Aosta, Istria, Trieste e Valli del
Natisone, Sardegna, Abkazia, Padania... Tutto con l'approvazione ed
il "bollino di garanzia" OSCE-UE-NATO-USA, naturalmente.


http://www.mg.co.za/articlePage.aspx?articleid=272551&area=/
breaking_news/breaking_news__international_news/

Agence France-Presse - May 23, 2006

Montenegro vote opens separatist Pandora's box

Calin Neacsu

Zagreb, Croatia - Montenegro's independence could
open a Pandora's box for other separatist movements in
Europe and the former Soviet Union, with some already
claiming the right to follow the same path.
Separatists in Spain's Basque and Catalan regions were
among the first to welcome Montenegro's independence
vote as a positive omen for their aspirations of
loosening ties with Madrid.
But Spanish Foreign Minister Miguel Angel Moratinos
stressed the situations in his country and Montenegro
were "politically, diplomatically, juridically"
incomparable and that making such a comparison would
represent a "great irresponsibility".
His view was supported by European Union foreign
policy chief Javier Solana, who said any such
comparisons would be "delirious". [Delicious?]
A total of 55,5% of Montenegrin voters who took part
in Sunday's referendum opted for independence from the
tiny Balkan state's federation with Serbia.
Podgorica's union with Belgrade was the last vestige
of the former Yugoslav federation, consisting of six
republics that broke apart in a series of wars in the
1990s.
However, after Montenegro the EU has to immediately
tackle the issue of the United Nations-administered
Serbian province of Kosovo, where ethnic Albanians are
the majority. Kosovo Albanians hope to gain
independence this year, a demand Belgrade fiercely
opposes.
....
"Although some refuse to establish a link, possible
independence of Kosovo, which would be internationally
recognised, would legitimise the ambitions of other
separatists who never had their own state," a Western
diplomat based in the Croatian capital Zagreb told
Agence France-Presse, wishing to remain anonymous.
Bosnian Serbs have already said Montenegro's
independence was a good model to be followed by their
entity of Republika Srpska, which, along with the
Muslim-Croat Federation, has made up post-war Bosnia.
For those fighting for the independence of the
Germanic Tyrol region of Italy, and its annexation to
Austria, the outcome of Montenegro's referendum
inspired dreams to organise a similar vote.
A senior Russian lawmaker estimated that Montenegro's
decision to separate from Serbia would spur debate on
the status of Kosovo and could set a "heavy" precedent
for other countries with separatist minorities.
Konstantin Kosachev, chairperson of the Russian
Parliament's foreign-affairs committee, warned of
setting a precedent over Kosovo.
"This will create a precedent heavy with consequences
for other regions," he said, citing in particular
Turkish northern Cyprus and Spain's Basque
separatists.
But even in the former Soviet Union, several regions
are hoping to follow the lead of Montenegro. They were
unilaterally proclaimed during the bloody conflicts
that followed its 1991 collapse and supported by
Moscow, but not recognised by the international
community.
Among them, the breakaway republics of Transdniestr in
Moldova and Abkhazia in Georgia, were the first to say
the vote serves as a model of "self-determination".
"One can only welcome such a civilised method for
gaining self-determination," said the president of
Abkhazia, Sergei Bagapch, quoted by Interfax.
The foreign minister of Transdniestr, Valeri Litskai,
said the outcome of Sunday's referendum in the tiny
Balkan republic was a day for celebration.
"The chief diplomats of all the unrecognised republics
of the former Soviet Union were satisfied" with the
referendum result, he said after a meeting with
representatives of regional minorities in Moscow.

(Source: R. Rozoff on http://groups.yahoo.com/group/yugoslaviainfo/ )

www.resistenze.org - popoli resistenti - croazia - 19-05-06


Dossier Croazia

La Croazia verso la UE e la Nato, la realtà quotidiana dei profughi
serbi e degli antifascisti resta drammatica.

di Enrico Vigna

In una conferenza stampa a Bruxelles F. Frattini, in qualità di vice
presidente della Commissione europea per la Giustizia, Libertà e
Sicurezza, ha di fatto, dato il via libera alla Croazia per
l’ingresso nell’Unione Europea, i cui negoziati tecnici partiranno il
1 gennaio 2007; questo, dopo l’incontro che lo stesso Frattini ha
avuto con il ministro degli Interni croato I. Kirin, durante la sua
visita nella repubblica croata, dove ha trovato un clima fruttuoso e
grande disponibilità da parte croata, ad adempiere agli obiettivi
necessari per l’integrazione nella UE.


Così pure il vice presidente USA D. Cheney, pochi giorni prima, il 6
maggio, aveva anch’egli sostenuto apertamente la repubblica croata e
la sua marcia a grandi passi verso l’integrazione nella NATO, in una
conferenza stampa a Dubrovnik sulla costa croata, dopo un vertice
della cosiddetta “Carta Adriatica”, un mini club a gestione USA-NATO,
comprendente Croazia, Albania e Macedonia (in attesa del Montenegro,
se il 21 Maggio giorno del referendum indetto per la separazione,
vincendo il SI’, lascerà i “cattivi” della Serbia e diverrà
repubblichetta autonoma con i suoi 600.000 abitanti), fondato nel
maggio 2003 per “avvicinare” i tre paesi alle istanze europee ed
all’Alleanza Atlantica in particolare, sotto la supervisione degli
USA come “garanti”. Anche Cheney dopo gli incontri col presidente
croato S. Mesic e il primo ministro I. Sanader, ha dato un giudizio
altamente positivo sugli sviluppi del processo democratico e delle
riforme fondate sul rispetto dei diritti umani e della libertà, che
la Croazia sta attuando in questi anni.


In molte dichiarazioni e interviste gli esponenti croati hanno sempre
sottolineato di essere, o sforzarsi di essere, interni agli standard
e ai requisiti che la Comunità Internazionale ( in questo caso l’UE),
stabilisce nei riguardi del diritto al ritorno dei profughi e dei
rifugiati serbi, scappati dalla pulizia etnica scatenata nella guerra
di secessione dalla Jugoslavia negli anni ’90.
Val la pena continuare a ricordare, che nella sola famigerata
“Operazione tempesta” scatenata dalle forze fasciste e secessioniste
croate, in sole 48 ore tra il 5 e il 6 agosto 1995, nel territorio
delle Kraijne, abitate prevalentemente da serbi, furono assassinati o
rapiti 1542 serbi, che sono parte dei 6780 ( di cui circa mille
donne) uccisi solo in quella regione alla fine della guerra; oltre a
2805 rapiti ( di cui 695 donne) e tuttora scomparsi. Come atto
finale, vi fu un esodo di oltre 300.000 civili serbi verso la Bosnia
e la Serbia ( definito dagli osservatori internazionali, la più
grande operazione di pulizia etnica dal 1945 ad allora ), dove
vivono tuttora nel 2006.

Ricordiamo ancora le dichiarazioni altamente democratiche e roboanti
rilasciate due anni fa dall’ Ambasciatore croato in Italia D.
Kraljevic, ad A. Frate in Notizie Est del 10-05-2004:
“…SIG. AMBASCIATORE, CHE COSA CI PUÒ DIRE RIGUARDO AL RIENTRO DEI
PROFUGHI DI NAZIONALITÀ SERBA NEL TERRITORIO CROATO?

DK: La Croazia ha sottolineato in modo chiaro la propria posizione
verso i profughi e rifugiati: tutti coloro che lo vogliono possono
ritornare quando vogliono. Il substrato normativo che riconosce
questa situazione è costituito dalla “Legge sulle ricostruzione” e
dalla “Legge sulle zone di particolare interesse per lo Stato” con le
successive modifiche ed integrazioni. In base a dette leggi sono
stati adottati quei provvedimenti che attengono alle questioni del
ritorno dei profughi. L’organo competente alla realizzazione del
Programma di ricostruzione è il governo. Con questa normativa il
nostro Paese ha rimosso tutti gli elementi che ostacolavano questo
ritorno. I programmi contenuti nelle leggi che lo disciplinano hanno
un duplice scopo: quello di assicurarne le condizioni indispensabili
ed in più quello di offrire la necessaria infrastruttura di base, sia
quella sociale che quella comunale. Mi riferisco al mettere a
disposizione case, materiale edile, asili, scuole, assistenza sociale
e quanto altro possa servire…”

Questi gli intenti e le dichiarazioni pubbliche. Per chi non segue da
vicino o non conosce la situazione nella realtà dei fatti, si
potrebbe pensare che in questi anni la repubblica croata
“nipotina” dello stato Ustascia del criminale fascista Ante Pavelic,
si è incamminata su una luminosa e democratica strada, lastricata di
aperture e sviluppi tolleranti e progressisti.
Facciamo il punto, affrontando alcuni avvenimenti legati da alcuni
aspetti di fondo, su qual è la realtà quotidiana della vita politica,
sociale e culturale, che si può leggere attraverso ciò che avviene
concretamente in quel paese.
Partiamo da un articolo tradotto dal giornale belgradese Kurir,
riguardante un atto criminale, avvenuto nei mesi scorsi, che è andato
nelle prime pagine dei giornali serbi, mentre nella stampa croata è
stato trattato con sufficienza e ironia, ovviamente la stampa
internazionale occidentale l’ha completamente ignorato.

A proposito della multietnicità e della convivenza civile della
“democratica” nuova Croazia

Dal quotidiano Kurir Belgrado: “ ORRORE! “

Svetko Mlinar (71 anni), Serbo di Benkovac in Croazia, è stato legato
al letto da croati minorenni che hanno indotto un cane a stuprarlo.
Belgrado: Svetko Mlinar, serbo di Bankovac, ha subito un’indicibile
violenza da parte di croati. Due croati minorenni sono entrati con
violenza in casa sua, l’hanno picchiato, derubato, lo hanno legato al
letto e alla fine hanno costretto un cane a stuprarlo. Il
settantunenne Mlinar ha detto che è stato vittima della rapina e
della sodomia solo perché è serbo, ed ha aggiunto che i due croati
già da tempo lo maltrattavano e gli dicevano parolacce che
riguardanti sua madre, anch’essa serba. “Due ragazzi di 16-17 anni,
sono entrati in casa mia verso mezzanotte, mi hanno colpito con le
mani sul collo, mi hanno legato e mi hanno messo sul letto e allora
hanno costretto il cane a stuprarmi. Quando ho sentito il cane che
tentava di sodomizzarmi mi sono dimenato e messo ad urlare, allora
quei due mi hanno slegato e sono scappati. Prima mi hanno rubato
circa 80 euro – racconta Mlinar al giornale croato “Vecernji list”,
che ha anche pubblicato una fotografia in cui il vecchio sfortunato
piange.

In Croazia l’opinione pubblica si è interessata a questo fatto, ma i
media hanno “giudicato” in fretta: hanno chiamato il vecchio “un
ubriacone” che probabilmente ha inventato tutta la storia. Jerej
Ljubomir Crnokrak, parroco della chiesa ortodossa serba di Benkovac,
invece, dice che la casa di Svetko Mlinar si trova all’uscita dal
paese di Benkovac e che è vero che sono avvenuti questi fatti e
aggiunge che alcuni mesi fa anche una vecchietta di nazionalità
serba, che vive di fronte a Mlinar, è stata aggredita. Questo non
aveva suscitato l’interesse dei media, ma la vecchietta è stata
picchiata così tanto che ha passato un mese all’ospedale di Zara.
Mlinar vive da solo, e non ha mai abbandonato Benkovac, neanche
durante la guerra, è difficile pensare che questo vecchietto possa
dare fastidio a qualcuno – dice Crnokrak. Spiega che Benkovac si
trova sulla linea del fronte di una volta, che in Benkovac ci sono
pochi serbi, e per i rapporti tesi con i croati, i serbi scappati non
tornano nelle loro case. La polizia croata su questo avvenimento
mostruoso, per adesso non ha dato alcuna dichiarazione ufficiale, ma
ha portato ad analizzare le coperte che erano sul letto dove era
legato Mlinar. La dottoressa Jasenka Klaric, che ha visitato lo
sfortunato vecchio nell’ospedale di Benkovac, non poteva dimostrare
ma neanche a negare quanto era successo, dicendo che sul suo corpo
“non c’erano tracce ne’ graffi”. Lei ha consigliato la visita di un
chirurgo e di uno psichiatra.

Milorad Pupovac, vice presidente e membro del Partito Indipendente
Democratico serbo nel parlamento croato, dice alla testata
giornalistica Kurir, che ancora aspetta la dichiarazione della
polizia su quanto successo, ma anche che Mlinar sostiene con fermezza
tutto ciò che ha detto.
Se alla fine verrà dimostrato che tutto questo è vero, non sarà
comprensibile per una persona normale, accettare fatti del genere. Si
toccherebbe il fondo sia per l’uomo che per la società in cui
viviamo. Aspettiamo la dichiarazione della polizia, siccome dicono
che non ci sono tracce di scasso dell’alloggio, ma Mlinar sostiene il
contrario, - dice Pupovac, e aggiunge che per gli assalti continui ai
serbi, il gruppo per i diritti umani presso il parlamento croato,
discuterà nelle prossime settimane dei numerosi attacchi etnici
avvenuti nell’ultimo anno.

I lettori di Vecernji list deridono il vecchio. Così reagiscono in
Croazia quando qualcuno attacca un serbo; la dimostrazione è nei
commenti sul sito del “Vecernji list”, dove i croati deridono il
povero vecchio. “Si tratta del delirio di un vecchio o di una persona
psicologicamente squilibrata” è uno dei messaggi, un altro lettore di
“Vecernji list” scrive: ”…il vecchio dice stronzate” e un altro che “…
era in delirium tremens o che il cane è omosessuale” ......... (D.M.)
Per aggiornamento dell’informazione, il caso è stato confermato vero,
i due ragazzi individuati, ma giustificati come ubriachi.

A proposito del diritto al ritorno e alla riappropriazione dei propri
beni, dei profughi e rifugiati serbi e montenegrini, scappati dalla
pulizia etnica delle forze secessioniste croate, del 1991- 1995

Emblematico, perché specchio di decine di migliaia di altri casi,
quello della signora Krstina Blecic, cittadina di Zara di origini
montenegrine, scappata dalle pulizie etniche delle forze croate
durante la guerra, che lotta da anni contro lo stato croato per
riottenere la sua abitazione statale, dove aveva vissuto per oltre 40
anni presagli durante la guerra secessionista.

Affiancata dalle Associazioni per i Diritti Umani, tra cui il
Comitato Internazionale per i Diritti Umani (ICHR) che la stanno
rappresentando legalmente, la Blecic nel suo appello è arrivata fino
all’Alta Camera della Corte Europea per i Diritti Umani (ECHR), in
una causa contro la Croazia.
Nel marzo scorso la Corte di Strasburgo ha nuovamente respinto il suo
ricorso, dichiarandolo inammissibile. Nella causa la Blecic ha
sostenuto che la Croazia aveva violato il suo diritto di godere
pacificamente della sua casa e dei suoi possedimenti, mentre la
Croazia ha sostenuto che, poiché la Blecic aveva lasciato la casa
“volontariamente” e non aveva intentato causa di sfratto verso la
famiglia occupante, tale violazione non si era verificata.

La gravità di questa decisione va ben oltre il singolo caso, ma mette
la parola fine anche a tutte le decine di migliaia di famiglie di
profughi, a cui erano state espropriate le case ed i terreni a
seguito della loro fuga. Infatti causa una condizione del regolamento
della Corte Europea per i Diritti Umani, essa può occuparsi solamente
dei casi che hanno finito gli iter relativi alle legislazioni dei
paesi interessati e nel contempo le domande alla Corte devono essere
presentate entro i sei mesi dalle decisioni finali delle Corti
locali. Da qui si può capire che il destino del ritorno dei profughi
nelle proprie abitazioni è divenuto legalmente impossibile, infatti
la Croazia aveva “opportunamente” espropriato le case dei serbi e dei
montenegrini nel 1996, al termine della guerra. Questo sancisce la
negazione di fatto, della possibilità del ritorno dei profughi e dei
rifugiati e la negazione oggettiva di un processo di riconciliazione
etnico e l’affermazione di una pulizia etnica della Croazia,
raggiunta dapprima con lo strumento della violenza e della guerra, ed
ora con affinati strumenti legislativi.

Va ricordato che dei 300.000 profughi serbi scappati tra il ’91 e il
’95, indicati dagli organismi internazionali, si calcola che meno di
un terzo è tornato, in stragrande maggioranza anziani, che vivono in
condizioni di vessazioni, pressioni e discriminazioni quotidiane,
come documentato dalle cronache e dalle denunce delle Associazioni
per i Diritti Umani croate come lo Human Rights Watch, il Consiglio
dei Rifugiati Norvegese e anche l’International Crisis Group, che più
volte hanno sollecitato il governo croato a mettere fine a questa
vergognosa situazione, denunciandola pubblicamente in numerose
conferenze stampa. Come il direttore dell’area europea di Human
Rights Watch, Holly Carter che ha dichiarato: “…La perdita del
diritto di abitazione, continua ad impedire ai profughi serbi di
ritornare in Croazia…”. Oppure come dichiarato da Peter Semneby dell’
OSCE, che ha sottolineato che fino a tutto il 2004, l’OSCE aveva
rilevato che “… la Croazia non ha ancora fornito nessuna casa. I
fondi del bilancio statale 2004 inizialmente destinati
all’implementazione del programma, sono stati riallocati per altri
scopi…”.
Riporto qui uno stralcio della lettera del 27-03-2006, pubblicata
dall’Osservatorio dei Balcani, che è un vero e proprio atto di accusa
alla situazione dei diritti in Croazia:

“L’8 Marzo di Krstina Blecic,


L’8 marzo è la festa della donna, ma per me è stata una festa amara.
Gli “auguri” mi sono arrivati dalla Corte Europea “per i diritti
umani” di Strasburgo, la quale ha giudicato il mio ricorso
inammissibile: “ratione temporis” sarebbe il termine giuridico,
oppure, se si preferisce, il cavillo utilizzato per evitare di
prendere una decisione…

Per quale motivo ora il caso diventa inammissibile? Quali sono le
vere motivazioni di questa sentenza, come scacciare il forte dubbio
di una sentenza politica?
Se neanche il Tribunale per i diritti umani difende i diritti più
elementari come quello ad avere una casa e a vivere nel proprio
paese, a chi dobbiamo rivolgerci?
Mi chiedo come si faccia a difendere la pulizia etnica e a dare
ragione ad un paese che ha tolto con violenza tutto ad una persona
sola e già allora anziana e malata, solo perché non era di etnia
croata, malgrado vivesse già da 40 anni in Croazia. Mi chiedo come si
possa dare ragione a quelli che mi hanno cancellata dai libri dei
cittadini croati, che non mi hanno dato la pensione né l’assistenza
medica per ben tre anni, solo perché ero la vedova di un’ufficiale
dell’esercito jugoslavo. Mi chiedo infine come sia possibile far
passare altri 5 anni a Strasburgo per emettere una sentenza senza senso.

Provate ad immaginare che una sera, tornando a casa dal lavoro,
trovaste la porta della vostra casa sbarrata, che qualcuno vi
impedisse, e per sempre, di entrare, anche fosse soltanto per
raccogliere le vostre cose, i vostri libri, le vostre fotografie,
tutte le cose che vi appartengono e che gelosamente avete conservato
per anni. La casa non è solo quattro pareti ed un tetto sotto il
quale vivere, è parte della nostra storia personale; tutto questo a
me è stato tolto, da un giorno all’altro, senza un valido motivo.

Vorrei sottolineare anche che nel 2004, mentre ero ancora in attesa
di sentenza, la “mia” casa era già stata venduta e completamente
stravolta nella sua architettura originaria. La Croazia era già
allora così sicura di vincere la causa?
Una sentenza a me favorevole avrebbe dato speranza a 30.000 persone
avvilite dalla mia stessa tragedia, che oggi vedono naufragare le
loro residue illusioni di giustizia. Proprio qui forse stanno le
motivazioni reali e profonde della sentenza: una soluzione favorevole
del mio caso avrebbe costituito un precedente pericoloso per il
governo croato, e ciò non poteva essere permesso. Ma se così fosse,
ciò vorrebbe dire che la difesa dei diritti umani può essere sospesa
per motivi opportunistici, lasciata da parte quando si tratta di
difendere interessi costituiti, posizioni dominanti.

Che cosa rappresenta oggi questa Corte? Che credibilità può avere
agli occhi della gente un Tribunale sostenitore di un paese che
incarica un Lord inglese, avvocato di riconosciuto prestigio, di
difenderlo legalmente contro una vecchietta pensionata e malata? Per
ironia della sorte lo stesso Lord inglese è presidente della
organizzazione Interights, che protegge i diritti umani. Ci dite a
che gioco giochiamo?

In tutto questo c’è da dire che comunque il giudizio della Gran
Camera non era unanime, 6 giudici su 17 erano contrari ed hanno
sentito il bisogno di esprimere per iscritto il loro dissenso, e
questo gli fa onore. La dichiarazione della portavoce dei legali
croati è stata piena di orgoglio per aver vinto la battaglia contro
una vecchietta ottantenne, nullatenente, malata, derubata,
definitivamente esiliata e privata di ogni diritto. Mi hanno accusata
di aver voluto dare dimensione politica al caso mentre io ho
semplicemente lottato per la mia casa e la mia vita. I legali croati
ignorano che la stessa (non) decisione della Corte di Strasburgo ha
creato un caso politico. È una delusione tremenda per 30.000 famiglie
che in Croazia aspettavano la casa e il risarcimento, ma anche per
tutta l’Europa. Come può un paese che ambisce ad entrare in Europa
attuare una politica di discriminazione? Se un governo nel 21° secolo
può togliere tutto (neanche uno spillo mi è stato permesso di
prendere da casa mia, nemmeno nel 1997, e cioè a guerra finita) ad
una persona e rimanere impunito significa che le parole sono inutili,
che vince la prepotenza e la sopraffazione.

Mi dispiace solo morire dovendo cambiare idea sul mondo e gli uomini,
io che ho sempre creduto fermamente nella umanità e nella giustizia.
E che per questo ho dato un bel contributo in tanti anni nel mio
paese, lavorando per la Croce Rossa 40 anni e aiutando il prossimo.
Bel ringraziamento!
Mi danno speranza solamente quei sei giudici che hanno espresso
fortemente il loro dissenso, mi danno speranza tutti quelli che in
questi anni hanno lottato al mio fianco, come i miei legali, con
coraggio e senza alcun compenso, mi dà speranza la mia famiglia che
nemmeno per un istante ha smesso di sostenermi moralmente, a tutti
loro va il mio ringraziamento.
Nella speranza di sopravvivere. In fede, Krstina Blecic “

A distanza di 10 anni dalla fine del conflitto separatista, questa è
la situazione reale, non le chiacchere enunciate da Frattini, Cheney
e gli altri “osservatori” un po’ troppo sbadati e distratti. E
sottolineo che non si sta parlando di qualche situazione casuale di
ingiustizia o malfunzionamento specifico, ma di problematiche che
riguardano una popolazione che era quasi il 10% dell’intera Croazia,
all’epoca della Jugoslavia. C’è anche da sottolineare come nella
vicina Repubblica Serba di Bosnia, la comunità internazionale ha
fatto in modo che, al contrario della Croazia, il problema del
ritorno dei profughi, in questo caso croati e musulmani ( ma forse
non è casuale…), è stato posto come condizione prioritaria per
qualsiasi processo di cooperazione e sviluppo della regione,
permettendo così a migliaia di famiglie ( si tratta per l’intera
Bosnia di oltre 200.000 case e appartamenti restituiti agli occupanti
dell'anteguerra), di ritornare in possesso delle proprie case e
ricostruire faticosamente una nuova convivenza civile e sociale.
Perché nella nuova Croazia democratica e così vicina agli standard
occidentali dopo 10 anni questo non è avvenuto?

Due pesi, due misure, come è sempre stato in questa storia “jugo
balcanica” ?!
Da un lato i buoni e civili, e dall’altra i cattivi e barbari?
Va messo in rilievo, che affrontare questa problematica non ha un
valore solo di risarcimento morale per eventi legati a guerre e
conflittualità, ma significa affrontare un problema sociale legato a
prospettive future; significa nel concreto dare una risposta in un
ottica futura di ricostruzione per un intero paese. Infatti centinaia
di migliaia di persone senza casa, lavoro, sbandati in situazioni di
mera sopravvivenza giornaliera, rappresentano una contraddizione
sociale che prima o poi, dovrà trovare sbocchi di qualche genere, e
non certo sereni o pacifici, per cercare ed avere giustizia,
riproponendo scenari di instabilità e di nuove conflittualità
drammatiche.

Questa è la profonda miopia e ottusità della classe dirigente croata
ma anche europea.
Penso valga la pena ricordare come memoria storica, come erano le
leggi e i diritti sociali riguardanti il diritto alla casa, che non
solo in Croazia, ma anche nel nostro paese, per oltre il 30% dei
lavoratori sono un miraggio esotico da raggiungere.
Nel regime antidemocratico e obsoleto alla modernità capitalista,
nella Repubblica Federale Socialista Jugoslava aggredita e distrutta
in nome della democrazia e della libertà(….quelle occidentali,
ovviamente…) uno dei principi costituzionali fondamentali era, oltre
il diritto inalienabile al lavoro, alla sanità e all’istruzione (…
tutte cosette scontate anche nell’opulento occidente ?…), quello alla
casa. Ogni impresa di qualsiasi settore lavorativo reinvestiva i
profitti costruendo case ( ma anche strutture sportive e culturali
quali cinema, teatri, ecc.) per i propri lavoratori. Essi acquisivano
il diritto a viverci vita natural durante (con il diritto dei figli a
continuare a viverci di seguito). Tale diritto decadeva solo nel caso
che la casa non fosse utilizzata senza un valido motivo, in questo
caso, dopo un periodo di sei mesi, veniva assegnata ad altra famiglia…
Era il concetto barbaro e primitivo per l’occidente capitalistico, di
proprietà sociale.


A proposito di standards democratici e di diritti civili

Proprio in questi giorni è avvenuto un ennesimo episodio che unito ad
altri, che accadono sistematicamente verso chiunque critichi o
denunci le distorsioni e malefatte della leadership croata, può dare
l’idea di qual è il clima politico e di libertà di espressione, che
Frattini e Cheney, ritengono ormai “europeo”.
Un coraggioso giornalista indipendente del settimanale croato Feral
Tribune, Drago Hedl, è stato minacciato di morte mentre camminava
nella città di Osijek, dove vive e lavora; “Ti ucciderò come un
cane”, queste le parole con cui è stato apostrofato in pieno centro
cittadino, alle 14,40 del 9 maggio scorso, come denuncia un
comunicato della Redazione del settimanale l’11 maggio. Il comunicato
della redazione sottolinea che questo episodio, è solo l’ultimo di
una lunga lista di pressioni, minacce e attacchi a cui lo stesso Hedl
ed altri giornalisti, vengono continuamente sottoposti, quando
toccano argomenti spinosi o pericolosi per il buon nome della nuova
Croazia.

La minaccia aperta, stavolta è venuta da un tal Davor Boras di 30
anni e altre due teste rasate, il Boras è presidente della Gioventù
del Parlamento Democratico Croato della Slavonia e Baranja, una delle
tante associazioni che fanno esplicitamente riferimento alla
tradizione sciovinista e fascista in quel paese. La polizia ha
identificato il terzetto e formalizzato la denuncia del giornalista.

Uno dei personaggi di spicco di questa associazione è Branimir
Glavas, durante la guerra uno dei comandanti una unità militare della
zona, denunciato e indicato in molte inchieste giornalistiche e
penali, anche dallo stesso Hedl, come mandante e responsabile di
torture e feroci crimini contro la popolazione locale serba e
montenegrina. Queste le parole di Krunoslav Fehir autodenunciatosi al
Tribunale,come appartenente all’unità di Glavas e colpevole di aver
partecipato all’età di 16 anni e mezzo ad alcuni di questi crimini: “…
I civili serbi venivano condotti in un garage nel cortile
dell'attuale palazzo della Contea, nel centro di Osijek. Lì venivano
interrogati e picchiati. Alcuni di loro, come Cedomir Vuckovic, erano
obbligati a bere l'acido solforico degli accumulatori che si
trovavano nel garage. Ricordo bene come quel Vuckovic, per l'orrore e
la sofferenza, era riuscito in qualche modo a forzare la porta del
garage, cercando scampo. Ho allora aperto il fuoco su di lui
colpendolo… le persone che venivano interrogate nel garage venivano
trasportate in celle frigorifere, morte o ancora in vita, fino al
fiume Drava. Quelli ancora vivi venivano poi uccisi e gettati nel
fiume insieme agli altri. ». ( Da OdB 2-08-05)

Oggi Glavas è Parlamentare croato, magari un giorno sarà parlamentare
europeo, con la benedizione della civile comunità internazionale, in
nome della civile Europa.
Anche la Freedom House, ritenuta un tempio delle cosiddette “società
civili”( in realtà organismo molto vicino alle politiche di
penetrazione ideologica e mediatica delle politiche imperialistiche
occidentali e del Pentagono USA in particolare), ha ultimamente
denunciato in un suo rapporto periodico, lo stato disastroso della
libertà di stampa dell’informazione in Croazia. Arresti, continue e
reiterate minacce di morte, denunce, aggressioni violente, ricatti,
licenziamenti, condanne penali ed economiche, con questo quadro la
Croazia è stata collocata all’85° posto nella statistica riguardante
la libertà di espressione (nella tanto sbandierata civile Italia, non
è che stiamo molto meglio siamo al 79° posto…).


Anche dal fronte dei valori legati alle radici minimali relative al
riconoscimento della lotta contro il nazi fascismo, come base
fondante dell’Europa del dopoguerra, la nuova Croazia è immersa in un
oscurantismo storico e dichiaratamente nostalgico dello Stato
Indipendente Croato del duce ustascia Ante Pavelic, creatura e
compare dei più noti Hitler e Mussolini.
Ostentazione ed esaltazione dei più retrivi e criminali valori
sciovinisti, razzisti e reazionari, sia storici, che politici e
culturali; dove, nuovamente, il clero cattolico croato ritrova le sue
radici ed un ruolo preminente, che già lo resero tristemente complice
ed esaltatore del regime genocida ustascia, negli anni trenta e
quaranta.

I pochi monumenti e simboli antifascisti scampati al delirio
sciovinista e xenofobo degli anni ’90 ( sopravvissuti soprattutto
nella regione istriana e del Carnaro), continuano ad avere vita grama.
Nelle scorse settimane alcuni monumenti e tombe dedicati ai
combattenti partigiani antifascisti, sono stati nuovamente attaccati
e profanati in molti villaggi, deturpati a colpi di martello e con
spray inneggianti al nazifascismo ed allo stato croato ustascia. Dal
’91 ad oggi si calcola che quasi 4000 cippi e tombe di partigiani
dell’esercito popolare di liberazione di Tito, sono stati danneggiati
o distrutti. Le stesse Associazioni antifasciste e il piccolo Partito
Socialista Croato vengono spesso attaccati e dileggiati, con
frequenti casi anche di aggressioni violente.


A proposito di Libertà, Indipendenza e autonomia della “libera e
sovrana” nuova Croazia


Ad aprile la sezione croata di Amnesty International, ha reso noto
che anche la Croazia è stata complice dei voli segreti della CIA, con
i quali gli USA rapivano e deportavano verso luoghi di tortura
sospetti di terrorismo, o forse più semplicemente, presunti nemici
dello strapotere e dominio statunitense in giro per il mondo; secondo
la denuncia è stato l’aeroporto di Dubrovnik, il tassello croato dei
voli segreti, e almeno due casi sono stati individuati e documentati.

Lo stesso direttore dell’aeroporto, T. Peovic, subito dopo che la
notizia è uscita pubblicamente, ha ammesso il fatto dicendo che anche
quest’anno un velivolo “coperto” è transitato più volte da Dubrovnik,
affermando che alle autorità era stato richiesto uno scalo tecnico
per rifornimento di carburante e che non era a conoscenza se
sull’aereo vi erano passeggeri non dichiarati e quindi illegali,
perché non compete all’autorità locale controllare. Se poi è la CIA a
chiederlo…si può immaginare che le libere e sovrane autorità,
fieramente nazionaliste croate ubbidiscano supinamente al padrone
straniero. E vada in cantina l’orgoglio nazionale e la sovranità.
Il governo non ha voluto rilasciare alcuna dichiarazione.

Ora la Croazia si trova tra quei paesi complici di questi misfatti e
ne dovrà anch’essa rispondere al Consiglio d’Europa che indaga sul
caso dei voli segreti CIA nell’area europea, e sulla deportazione
illegale di individui e sul trasporto clandestino di queste, in
violazione delle sovranità degli stati…ovviamente partendo dal
presupposto molto virtuale, che i relativi servizi e governi locali
non fossero complici e consenzienti…

I conti tornano se poi, a questo, si somma l’aspetto delle sempre più
incalzanti pressioni degli USA verso il governo croato perché
sottoscriva un accordo bilaterale ( il famigerato articolo 98 del
cosiddetto Statuto di Roma del 1° maggio 2002 ), in base al quale
cittadini americani ( di fatto spioni e soldati ) sospettati di
crimini di guerra non possono essere estradati verso il Tribunale
Penale Internazionale…non quello illegittimo ed illegale da loro
costituito all’Aja, per sottomettere la Serbia ed i suoi Leader
“renitenti” al suo ordine imperialista ( tra cui l’ex presidente
Slobodan Milosevic fatto morire nel carcere di Scheveningen all’Aja).
Bensì il Tribunale ad egida ONU che questi paladini della democrazia
e della libertà nel mondo si rifiutano di accettare e riconoscere,
perché non diretto da loro.

Intorno a questo si gioca anche la partita dell’entrata della Croazia
nella Nato, passo che gli USA condizionano alle loro esigenze
strategiche imperialistiche, di lunga gittata.
Va ricordato che la Croazia è già presente nell’occupazione
dell’Afghanistan con 150 soldati, che potrebbero anche essere aumentati.

Tutto questo assume i contorni di una tragica farsa, e la memoria va
all’indietro e torna a quel 1991, dove, attorno alle parole d’ordine
di una identità nazionale intesa non in senso patriottico, ma
visceralmente sciovinista ed aggressiva, c’era stata la chiamata al
popolo croato per la guerra e la distruzione della Jugoslavia;
mascherata da parole d’ordine roboanti per la conquista
dell’indipendenza, della sovranità, della libertà tutte radicalmente
fondate su una concezione identitaria croata. Oggidi fronte alla
bassezza einfimità di questa nuova classe politica dirigente
arrembante e insulsa, il pensiero amaro non può che andare alle
decine di migliaia di jugoslavi morti( croati, serbi, musulmani,
rom); stritolati e usati dentro dinamiche e processi tragici, decisi
in capitali straniere interessate esclusivamente alle loro politiche
di profitti, alle mire imperialistiche ed egemoniche, e
fondamentalmente, come sempre, in realtà ostili ad ognuno di essi nel
loro complesso come popoli ( a parte le truppe mercenarie assoldate
dai quisling locali e dai novelli fanatici o nostalgici).

In contrapposizione a tutto ciò, il pensiero inteso come ragionevole
speranza, va ai lavoratori, alla gente di buona volontà, laboriosa ed
onesta, alle nuove generazioni di quella terra jugoslava abitata
insieme secolarmente da croati, serbi, bosniaci, rom, montenegrini,
macedoni, kosovari albanesi e le altre decine di piccole comunità,
che mai furono straniere in quella Jugoslavia che mai smetteremo a
sufficienza di rimpiangere amaramente e tristemente.
Ai discendenti di quel popolo che un giorno seppe eroicamente e con
le sue sole forze, mettere in ginocchio le terribili armate
hitleriane e l’occupante fascista italiano, pagando un prezzo immane;
ad essi, a quei bambini che stanno crescendo dopo l’odio, la guerra,
nella miseria e la disperazione proprie degli sconfitti, ad essi si
rivolge la speranza che possano un giorno, riprendere il mano il
proprio destino, i propri interessi collettivi, il proprio futuro
strappandolo ai “mercanti del tempio”capitalistico e occidentale, mai
sazi e mai sufficientemente opulenti.

L’idea della libertà e del riscatto dovranno rinascere e saranno di
nuovo cercate e riconquistate, anche se è triste pensare che su
quella direttrice tanta strada era stata già fatta.
Ma questo è il corso della storia degli uomini e dei popoli; non è la
prima volta che uomini e popoli sconfitti devono fermarsi mentre
compiono il loro percorso di emancipazione; e anche se la stanchezza,
la sfiducia, il dolore, la disperazione, la paura sembrano
invincibili in quei frangenti, la ruota della storia inesorabile
ricomincia a girare: fa vincere “storicamente” l’inerzia e la
rassegnazione, rigenera in nuove generazioni decisione, forza,
energie, coraggio, fa riacquistare identità collettive e obiettivi da
riconquistare…e così ogni popolo riprende nuovamente in mano il suo
destino e riprende l’inesorabile cammino contro l’ingiustizia e per
il progresso e l’emancipazione. E per le forze dell’oppressione e
dello sfruttamento comincia il crepuscolo ed il tramonto.

Così sarà anche per i popoli della Jugoslavia…un giorno.
Come dice un antico proverbio slavo: “…e così come vennero sulla
nostra terra, se ne andranno…e se non se ne andranno da soli, dovremo
cacciarli via noi…da questa terra che è nostra…”
Così fu anche il 15 maggio 1945 quando nacque la libera Jugoslavia.


15 maggio 2006, Enrico Vigna Forum di Belgrado Italia,
Associazione SOS Yugoslavia

(Per accedere al volantino della iniziativa ed a varia documentazione
sulla vicenda:
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/goriziani06.htm )

Elenco di infoibati!
SICURO?

La stampa italiana ha battuto la grancassa
su quello che ha presentato come l'elenco "degli infoibati di Gorizia".
Ma si tratta veramente di un caso clamoroso,
ed è poi davvero "l'elenco degli infoibati goriziani"?

Nataša Nemec,
ricercatrice storica di Nova Gorica,
autrice dell'elenco in questione,
ha qualcosa da dire in proposito (in italiano).

Venite a sentirla martedi 30 maggio 2006
alle ore 20:30 alla libreria/bar Knulp
Via Madonna del Mare 7/a - TRIESTE/TRST

Organizzano: Promemoria ed ARCI

DRACULA È ASBURGICO E STATUNITENSE



ROMANIA: VENERDI' TORNA AMERICANO IL CASTELLO DI DRACULA

(ANSA) - NEW YORK, 23 MAG - Oltre 60 anni dopo esser stato requisito
dal regime comunista, il castello di Dracula in Romania tornera'
venerdi' nelle mani di uno dei suoi originali proprietari, un erede
della dinastia Asburgo che vive nella contea di Westchester, alle
porte di New York. La consegna delle chiavi all'architetto Dominic
von Hapsburg avverra' a mezzogiorno nel museo del maniero, che e'
anche uno dei piu' popolari luoghi turistici della Romania. Il
castello vale circa 25 milioni di dollari. Apparteneva alla ex regina
Maria che l'aveva lasciato in eredita' alla figlia Ileana nel 1938.
Dieci anni dopo era stato confiscato dai comunisti e caduto in
rovina. Hapsburg, il nuovo proprietario, e' nipote della regina Maria
e ha passato la sua infanzia nel castello. (ANSA). BN
23/05/2006 23:13

ROMANIA: CASTELLO DRACULA TORNA AGLI ASBURGO / ANSA

(di Andreea Iatagan) (ANSA) - BUCAREST, 26 MAG - Oltre 60 anni dopo
essere stato espropriato dal regime comunista, il famoso Castello del
Conte Dracula in Transilvania e' tornato in possesso oggi dei suoi
legittimi proprietari, gli eredi degli imperatori d'Asburgo. Il
Castello Bran, soprannominato dai romeni la 'Fortezza di Dracula',
nella regione di Brasov (Kronstadt) nella Romania centrale, e' stato
simbolicamente consegnato nelle mani di Dominic d'Asburgo, l'ultimo
discendente della dinastia che fino a 88 anni fa aveva guidato la
monarchia austro ungarica, in una cerimonia alla presenza del
ministro della cultura romeno Adrian Iorgulescu. Di professione
architetto, Dominic d'Asburgo e' il nipote della Regina Maria di
Romania e vive oggi nella contea di Westchester, vicino New York.
Durante la cerimonia gli sono state ufficialmente consegnate le
chiavi del castello costruito oltre 700 anni fa e il cui valore
attuale e' stimato sui 25 millioni di dolari. Il castello, associato
al leggendario Conte Dracula e meta di grande attrazione turistica,
fu costruito dai Cavalieri Teutonici nel 1377 per proteggere la
vecchia citta' di Kronstadt (l'orierna Brasov) dagli attachi dei
turchi e divenne la piu' importante fortezza dell'impero
austroungarico in Transilvania. Nel 1920 la citta' di Brasov regalo'
il castello alla Regina Maria per meriti dopo che la Transilvania era
diventata una provincia romena. Da allora il castello fu adibito a
residenza estiva della famiglia reale Fu la Regina Maria, moglie del
secondo re romeno, Ferdinand, della casata degli Hohenzollern-
Sigmaringen, a rinnovare l' antico maniero e lasciarlo in perfette
condizioni nel 1938 alla figlia, la principessa Ileana. Ileana e'
stata l'ultima proprietaria del Castello Bran, prima che il regime
comunista lo confiscasse nel 1948. Dominic d'Asburgo (67 anni) e'
figlio della principessa Ileana, nato dal matrimonio con l'arciduca
Anton di Austria. I primi anni della sua infanzia Dominic li ha
trascorsi nel castello Bran, ma con l'arrivo al potere dei comunisti,
Ileana e la sua intera famiglia emigrarono in Argentina per poi
stabilirsi negli Stati Uniti. Per anni Dominic e' stato in trattative
con il governo per ottenerne la restituzione, ma e' solo ora con una
nuova legge, varata da Bucarest in vista dell'adesione della Romania
nell'Ue nel 2007, che e' riuscito a vedere riconosciuto il suo
diritto a rientrare in possesso del castello. Da oggi, dunque, il
Castello indissolubilmente associato all'efferato conte Dracula,
passa di mano al principe-architetto danubiano-newyorchese. Lo
spirito del conte forse avra' da ridire, e forse con qualche diritto
dal momento che lo storico maniero e' piu' famoso grazie a Dracula,
che non alla dinastia imperiale. A ispirare la leggenda del conte
Dracula fu il principe Vlad Tepes, che visse realmente in Romania nel
15/o secolo, e al quale si ispiro' anche lo scrittore americano Bram
Stocker. Il principe nacque nel 1431 in Transilvania e riusci' a
salire sul trono a seguito di una battaglia sanguinosa contro i
turchi che si erano impadroniti in quegli anni delle province romene.
Fu il suo comportamento feroce che valse al principe Vlad il
soprannome di Tepes 'Dracul', che in romeno significa 'impalatore'.
Il suo metodo preferito per uccidere i nemici e i sudditi
disobbedienti era di impalarli vivi. I libri di storia raccontano che
durante una delle successive battaglie contro i turchi Vlad Tepes
fece trovare all'esercito nemico lungo la strada migliaia di persone
impalate. Esibizione che basto' a scoraggiare i soldati e far loro
fare immediatamente dietro-front. I romeni ricordano oggi il principe
Vlad per il suo valore militare e molti lo consideranno un eroe per
aver resistito alle offensive turche. Il castello, trasformato in
museo dopo la caduta del regime comunista nel 1989, e' da tempo una
delle principali attrazioni turistiche della Romania ed e' proprio
per protteggere il turismo nazionale che il Ministero della Cultura
ha accettato di restituire il castello a condizione pero' che esso
rimanga per almeno tre anni un museo aperto al pubblico. Condizione
questa accettata da Dominic che non esclude neanche di rivenderlo un
giorno allo stato romeno: ''In tre anni avremo tutto il tempo di
riflettere'', ha detto. Bran non e' il primo castello che lo stato
romeno riconsegna ai vecchi proprietari. La stessa legge che ha
permesso a Dominic d'Asburgo di riavere il maniero in Transilvania,
ha consentito anche al Re Michele I di rientrare in possesso del
castello di Peles di Sinaia, nel centro del paese. La famiglia reale
romena e' un ramo degli Hohenzollern-Sigmaringen e ha regnato in
Romania dal 1866 al 1947 con i re Carol I, Ferdinand, Carol II e
Michele I. (ANSA). RED-BUS
26/05/2006 18:57

(Questa è la storia di un partigiano dei Gap triestini, recentemente
scomparso.
Perse la madre in Risiera ed il padre fu fucilato per rappresaglia
dai nazifascisti ad Opicina; il fratello cadde combattendo; lui
stesso fu gravemente ferito.
Ma nel dopoguerra subisce un processo e gli è negata a lungo la
cittadinanza italiana; viceversa, al capo dei torturatori di Trieste,
Collotti, è attribuita una medaglia.
Una storia normale, insomma.)

---

Cari compagni, alcuni giorni fa è morto a Trieste, dopo una lunga
malattia, il compagno Igor Dekleva, partigiano. Lo ricordo come una
persona forte e gentile assieme, che mi ha fatto capire come a volte
delle scelte violente possano essere fatte anche da chi non sarebbe
violento per propria indole, ma che alla fine della violenza non
desiderano altro che vivere in pace. Le pagine che seguono fanno
parte di uno studio sull'Ispettorato Speciale di PS, che operò nella
"Venezia Giulia" tra il 1942 ed il 1945, e raccontano le vicende
tragiche e paradossali che costituirono la vita di Igor Dekleva. Dato
che Igor è morto prima di poter leggere quanto ho scritto su di lui,
desidero rendere pubblica la sua vicenda in questo modo, per
ricordarlo anche a chi non l'ha conosciuto.

Saluti resistenti
Claudia Cernigoi - Trieste

LA STORIA DI IGOR DEKLEVA.

Un paio d’anni or sono scrissi un articolo sulla vicenda di Igor
Dekleva, che riprendeva quanto apparso in un libro di Gian Pietro
Testa [1].
< Quello di Igor Dekleva è un caso che soltanto all’apparenza può
sembrare paradossale, mentre è sintomatico. (…) Appartenente ai GAP
di Trieste, Dekleva cadde in un’imboscata degli uomini
dell’Ispettorato Speciale di PS il 24 aprile 1945 (…) Dekleva si
difese, ci fu una sparatoria, lui rimase ferito, un brigadiere di
Collotti morì. Dekleva era stato processato nel 1943 in Croazia
(dov’era nato) da un tribunale degli ustascia ed espulso in Italia
perché “partigiano italiano”; nel ‘45, anche dopo l’arrivo
degli alleati a Trieste, egli non aveva patria e divenne
ufficialmente apolide. Nel 1954, durante la festa della polizia a
Palermo, Gaetano Collotti fu insignito della medaglia d’argento [2]
al valor militare alla memoria. (…) Pochi mesi dopo la medaglia a
Collotti, Dekleva, uno dei suoi perseguitati, fu sottoposto a
processo per il reato di omicidio nella persona del brigadiere (…)
Non subì carcere, Dekleva, perché il giudice riconobbe che il reato
era coperto da amnistia. Ma moralmente il giudice, nella sua
sentenza, volle condannare Dekleva, fornendo una sottile
disquisizione sul valore della vita umana. Di quella del brigadiere
di Collotti, naturalmente, non di quella del partigiano apolide.
Legittima difesa? Azione di guerra? Neanche parlarne. L’amnistia:
anche troppo per un apolide di nome sloveno, nato in Croazia >.
Qualche tempo dopo incontrai lo stesso Dekleva che mi spiegò che i
fatti non si erano svolti proprio come li riferiva Testa e mi
raccontò cos’era realmente accaduto [3].
Igor Dekleva non avrebbe voluto combattere. Voleva studiare per
diventare medico, farsi una famiglia, avere una vita normale. Cose
queste che sotto il fascismo erano impossibili per uno come lui,
sloveno e comunista. La sua famiglia aveva dovuto rifugiarsi da
Trieste a Zagabria, da dove era stata poi espulsa nel 1942, perché
“partigiani italiani”; così ritornarono a Trieste.
La madre Vera Kalister fu uccisa in Risiera nel giugno del ‘44; il
padre Stanislao fucilato per rappresaglia ad Opicina il 3/4/44
assieme ad altri settanta ostaggi; il fratello Cirillo, partigiano
EPLJ del Distaccamento Litorale Meridionale, cadde il 29/7/44 a San
Giacomo in Colle-Štjak [4]. Igor Dekleva “Miha”, a Trieste faceva
parte del comitato circondariale della Zveza Slovenske Mladine (ZSM,
Unione della Gioventù slovena) e militava nei GAP; < dopo gli arresti
del novembre e dicembre l’associazione della gioventù slovena
ottenne un notevole rinforzo con la venuta a Trieste dei noti
compagni Igor Dekleva-Miha e Carlo Šiškovič-Mitko. Quando tutte le
compagne che costituivano il comitato circondariale dovettero
trasferirsi nella zona già liberata, perché continuamente pedinate
dalla polizia, tutta l’organizzazione della gioventù rimase in mano
dei compagni Miha e Mitko > [5].
La sera del 24 aprile 1945 Dekleva andò ad una riunione clandestina
in un appartamento di via Gatteri, ma quando fu sul pianerottolo si
rese conto che nell’appartamento c’era la polizia che lo stava
aspettando. Gli agenti Ernesto Cenni e Raimondo De Franceschi
aprirono la porta e spararono addosso a Dekleva; lui rispose al fuoco
gettando una bomba e ferendo a sua volta gli agenti e scappò giù
lungo le scale. Davanti al portone trovò un poliziotto, Giuseppe Foti.
< Foti non era della banda Collotti, semplicemente abitava in quel
palazzo. Mi puntò contro la pistola perché voleva arrestarmi. Non
fare il cretino, lasciami andare, gli dissi, non sei neanche in
servizio. Niente da fare, non mi avrebbe lasciato andare. Io ho
dovuto sparare, se non sparavo io mi avrebbe ammazzato lui >.
Dekleva scappò in strada ed in via Ginnastica trovò un milite della
Decima, Attilio Riva, che cercò di fermarlo. Dekleva gli sparò e
l’altro rispose, colpendolo.
< Mi sparò addosso perché non aveva scelta. O io o lui. Era la
guerra >.
Dekleva fu ricoverato all’ospedale, gravemente ferito.
< Arrivò un’ambulanza militare che mi prese su per portarmi
all’ospedale. Quelli dell’Ispettorato volevano ammazzarmi subito,
ma l’autista glielo impedì, mi condusse all’ospedale, e loro con
me. Nell’atrio presero a picchiarmi, ma fu lo stesso portiere a
prendere le mie difese, li bloccò. “Questo è un ospedale, disse
loro, dove credete di essere?” e quelli mi lasciarono stare. Poi
venne Collotti in persona, per arrestarmi, ma i medici non gli
permisero di portarmi via, il dottor D’Este, che aveva già salvato
molte persone, gli mostrò le mie lastre, dove si vedeva che avevo una
scheggia nell’addome e gli disse che ero in fin di vita. Per inciso,
quella scheggia, ce l’ho ancora, non è che fossi in fin di vita per
quel motivo, ma evidentemente a Collotti la cosa fece impressione e
lasciò perdere. Per alcuni giorni quindi mi piantonarono per portarmi
via appena possibile, ma per fortuna arrivarono gli ultimi giorni di
aprile e tutta la “banda” scappò da Trieste perché stavano
arrivando i partigiani. Io rimasi in ospedale due mesi, perciò ho un
alibi di ferro se qualcuno vuole imputarmi qualche “infoibamento”
in quei giorni; uscii dall’ospedale dopo che gli jugoslavi
lasciarono il posto agli angloamericani >, concluse Dekleva con un
pizzico di amara ironia.
Il 26/4/45 presso l’Ospedale Maggiore di Trieste fu steso dal
giudice istruttore Ferruccio Bercich il seguente < processo verbale
di esame testimoni in via informativa > [6].
< Covacich Giovanni fu Luigi ab. via Giulia 24 presentemente
ricoverato all’Ospedale. L’Ufficio dà atto che gli agenti di PS
Attanasio Sante e Jerovasi Giuseppe dell’Ispettorato Speciale,
addetti al piantonamento del ferito Giovanni Covacich (…) hanno
dichiarato che per precise disposizioni ricevute dal dott. G.
Collotti (…) non sono autorizzati a permettere che il Covacich venga
esaminato. A richiesta dell’Ufficio l’agente ausiliario di PS
Moretti Gaetano, pure dell’Ispettorato Speciale, dichiara di essersi
messo in comunicazione telefonica col dott. Collotti e di aver
ricevuto conferma dell’ordine retroindicato con la precisazione che
il divieto di esaminare il ferito si estende altresì all’autorità
giudiziaria, qualora manchi l’autorizzazione dell’autorità
germanica di polizia >.
Vista la coincidenza delle date, domandai ad Igor Dekleva se sapesse
qualcosa di questo Covacich. Dekleva si mise a ridere. < Certo che lo
so, ero io >, e mi spiegò come si erano svolti i fatti.
< Covacich era il nome che risultava sulla carta d’identità che
avevo con me quando sono stato catturato, falsa naturalmente, per
questo risulta nei loro verbali. Chi mi riconobbe in ospedale,
invece, fu un tedesco, un certo Wolf, che mi aveva arrestato tempo
addietro, ma dal quale ero riuscito a scappare. “Ci rivediamo,
dunque, Dekleva”, mi disse. Ma i Tedeschi lasciarono Trieste il 26 o
27 aprile, chi rimase qui fino all’ultimo furono i banditi di
Collotti, rimasero qui anche durante l’insurrezione… mi sembra che
abbiano anche fucilato qualcuno negli ultimi giorni di guerra >.
Quando spiegai a Dekleva come mi fossi imbattuta nel nome Covacich,
volle sapere i nomi di quelli che lo avevano piantonato e, dato che
risultava dal verbale, glieli dissi. Aggiunse che durante il loro
“servizio”, i due non mancavano di dargli dei colpi sulla gamba
rotta, per vendicarsi del fatto che non potevano portarlo via
dall’ospedale, visto che i medici lo avevano dichiarato in fin di
vita.
Attanasio fu processato per collaborazionismo nel dopoguerra,
condannato in primo grado e poi amnistiato. Sostenne a propria
discolpa che era semplicemente andato a dare il cambio ad un collega,
come se ciò non comportasse una sua partecipazione alle attività del
Corpo.
Attilio Riva fu processato nel 1946; sostenne di avere sparato a
Dekleva credendolo un ladro, gli fu riconosciuto che non poteva
sapere di avere sparato contro un partigiano e fu assolto con formula
piena. Fu assolto anche dal reato di collaborazionismo perché < il
solo fatto di essere stato della Decima Mas > non comprovava il
collaborazionismo.
Neppure con la fine della guerra e del nazifascismo Dekleva ebbe la
vita facile, come abbiamo già visto. A parte l’arresto ed il
processo per avere ucciso il brigadiere Foti e ferito gli altri due
agenti, dovette lottare a lungo per ottenere la cittadinanza
italiana, dato che era considerato apolide. Nonostante si fosse
laureato in un’Università italiana, avesse sposato una cittadina
italiana e vivesse da ventotto anni a Trieste, quando nel 1970 chiese
per l’ennesima volta la cittadinanza italiana, gli risposero
negativamente. < Non risulta che l’interessato si sia assimilato
all’ambiente nazionale >, la motivazione ufficiale. Rimase apolide
per altri anni, fino al 1985, quando fu naturalizzato in base alla
legge 21/4/83 (concessione della cittadinanza a stranieri che hanno
sposato una cittadina italiana).
Dekleva è un uomo che avrebbe voluto semplicemente vivere una vita
normale, non combattere ed ammazzare altri uomini, ma fu costretto a
farlo. Non è anche questa un’ennesima violenza fatta contro altri
esseri umani, costringere qualcuno a diventare violento anche se non
vorrebbe?

[1] Il brano seguente è tratto dal libro di Gian Pietro Testa “La
strage di Peteano”, Einaudi, 1975, p. 78, 79.
[2] In realtà la medaglia era di bronzo, come vedremo più avanti.
[3] Testimonianze di Igor Dekleva all’autrice, luglio 1998 e agosto
2002.
[4] “Caduti, dispersi e vittime civili…”, cit..
[5] In “Trieste nella lotta verso la democrazia”, op. cit., p. 73.
[6] Carteggio processuale Gueli, cit.

Fonte: yugoslaviainfo

http://www.dw-world.de/dw/article/0,2144,2030985,00.html


Deutsche Welle
May 25, 2006



Disputed Author Handke Awarded German Literary Prize Austrian writer Peter
Handke is controversial because of his stance on Serbia


Controversial Austrian playwright and novelist Peter Handke was awarded the
city of Düsseldorf's Heine Prize for literature.

The Heine Prize, endowed for 50,000 euros ($64,000), is one of the three
highest-paying literature prizes in Germany. The jury said Handke - like
Heinrich Heine, the German poet after whom the prize is named - obstinately
follows the way to an "open truth." He puts forth his own poetic world view,
in contrast to broader public opinion, they said. The prize will be awared
on Dec. 13.

Handke wrote the groundbreaking experimental play "Offending the Audience"
and the novel "The Goalie's Anxiety at the Penalty Kick", but may be best
know for writing the novel "Wings of Desire", which was turned into a film
by Wim Wenders.

Pro-Serbian stance

He is controversial because of his pro-Serbian stance during the Balkan
wars, and his support for the Serbian regime.

Recently, French national theatre Comédie-Française removed the play "Voyage
to the Sonorous Land or the Art of Asking" from its 2007 season lineup,
after Handke spoke at the burial of former Serbian [president] Slobodan
Milosevic in March.

Handke, who lives in France, said in an essay in the French newspaper
Libération: "Let's stop laying the massacre . on the backs of the Serbian
military and paramilitary. And listen - at last - to the survivors of the
Muslim massacres in numerous Serbian villages around Srebrenica."

'Glad' acceptance

Last year, Handke's publisher, Suhrkamp Verlag, said the author would
categorically refuse any more literature prizes; in Paris, however, Handke
said he would "gladly" accept the Heine Prize.

Up to now, winners of the Heine Prize have included Walter Jens, Günter
Kunert, Max Frisch, Wolf Biermann, Hans Magnus Enzensberger, Elfriede
Jelinek und Robert Gernhardt.


Le texte suivante en français:

The following text in english: 

---



OSCE CONFERENZA INTERNAZIONALE ONG
Discorso del 16 Maggio 2006 al Palazzo d’Egmont - Bruxelles


LA DISINFORMAZIONE in EX JUGOSLAVIA E IN KOSOVO

di Jean Toschi Marazzani Visconti


Il linguista statunitense Noam Chomsky, nel saggio “Les illusioni necessarie”, scrive che, nei regimi democratici, le illusioni necessarie non possono essere imposte con la forza. Devono essere istillate nella testa della gente con mezzi raffinati…


E per creare “le illusioni necessarie” è necessario creare degli scenari credibili. Impiegare una comunicazione aggressiva e avere l’aiuto dei media: in due parole inventare la storia, propagare una disinformazione più credibile della realtà. La disinformazione si sviluppa attraverso la menzogna o l’omissione. In effetti è un nuovo modo di fare la guerra: è la guerra mediatica.
Nell’ ex Jugoslavia i Serbi sono caduti nella trappola della guerra mediatica, che è riuscita a far loro perdere ogni credibilità e li ha totalmente isolati sul piano internazionale. Non si può parlare della disinformazione in Kosovo senza ricordare quanto è successo in ex Jugoslavia prima, di cui il dossier Kosovo ne è una conseguenza.
L’eccellente lavoro di agenzie di comunicazione come Ruder&Finn Global Public Affaire, Hill&Knowlton, Saachi&Saachi, McCann&Erickson et Walter Thompson (queste ultime collaborano spesso con la CIA) è riuscito a creare l’immagine di vittime da un lato e di carnefici dall’altro, sia in Iraq che nell’ex Jugoslavia, e a minimizzare l’orrore della guerra con la formulazione di slogan come “guerra umanitaria”, “azione di polizia internazionale”, “danni collaterali”. L’agenzia di comunicazione impiega una tecnica operativa, spesso mortale, tendente a piazzare il governo cliente in posizione vantaggiosa agli occhi del mondo. Gli schemi sono ripetitivi. Una campagna di martellamento diffamatorio viene lanciata nella stampa, dove una serie di rivelazioni ignobili sul comportamento della parte avversa crea un pregiudizio negativo che si ancorerà profondamente nell’inconscio collettivo. Un esempio: l’immagine del musulmano scheletrico dietro il filo spinato è rimasto istituzionale per rappresentare i nuovi nazisti. In realtà si trattava di un campo di rifugiati a Tiernopolje nella Bosnia serba, dove la gente era libera dei suoi movimenti. Infatti, l'équipe della televisione britannica ITN, che ha fatto lo scoop, si trovava dietro il filo spinato e aveva piazzato gli uomini intorno al luogo cintato dove stava per proteggere il suo materiale dai furti. (De Groene Amsterdaamer 1996)
James Harff, all’epoca direttore della Ruder Finn Global Public Affairs, in un'intervista con il giornalista francese Jacques Merlino, riportata nel suo libro(Les vérités yougoslaves ne sont pas toutes bonnes à dire), parlando dei clienti nella ex Jugoslavia, della strategia e dei successi raggiunti, diceva: "Fra il 2 e il 5 agosto 1992, il New York Newsday é uscito con la notizia dei campi. Abbiamo afferrato la cosa al volo e immediatamente abbiamo messo in contatto tre grandi organizzazioni ebraiche: B'nai B'rith Anti-Defamation League, American Committee e American Jewish Congress (...) l'entrata in gioco delle organizzazioni ebraiche a fianco dei bosniaci fu uno straordinario colpo di poker. Allo stesso tempo abbiamo potuto nell'opinione pubblica far coincidere serbi con nazi (...) Il nostro lavoro non é di verificare l'informazione (...) Il nostro mestiere é di disseminare le informazioni, farle circolare il più velocemente possibile per ottenere che le tesi favorevoli alla nostra causa siano le prime ad uscire (...) Quando un' informazione é buona per noi, dobbiamo ancorarla subito nell'opinione pubblica. Perché sappiamo molto bene che é la prima notizia che conta. Le smentite non hanno alcuna efficacia (...) Siamo dei professionisti. Abbiamo un lavoro da fare e lo facciamo. Non siamo pagati per fare della morale. E anche quando questa fosse messa in discussione, avremmo la coscienza tranquilla. Poiché, se lei intende provare che i serbi sono delle povere vittime, vada avanti, si troverà solo (...)".

I servizi dell’agenzia Ruder &Finn Global Public Affairs sono stati assunti all’inizio del conflitto jugoslavo dalla Croazia, dai Musulmani della Bosnia Erzegovina e dall’opposizione del Kosovo. Nel frattempo i Croati, i Musulmani di Bosnia e l’opposizione del Kosovo godevano dell’appoggio di forti lobby degli USA, in particolare del senatore Robert Dole del Partito Repubblicano americano, e dell’aiuto della Germania. Bisogna anche aggiungere che i Musulmani bosniaci erano fortemente aiutati dall’Iran e dai Paesi arabi.

Nell’agosto 1991, la Repubblica di Croazia assume l’agenzia Ruder &Finn Global Public Affairs che difenderà l’immagine della Croazia nella crisi dei Balcani. Il suo contratto scadrà nel giugno 1992. Durante quel periodo il governo della Croazia approvò la nuova Costituzione, secondo la quale più di 600.000 Serbi e altre etnie si ritrovarono stranieri in patria. I Serbi furono obbligati ad abbandonare le loro case (40.000 nel 1992) o forzati a staccarsi dalla Croazia e a dichiarare l’indipendenza delle Kraijna a maggioranza serba. I media non hanno mai menzionato questo avvenimento. Hanno anche passato sotto silenzio il massacro della Sacca di Medak e di altri villaggi nel settembre 1993, la pulizia etnica e i massacri della Kraijna occidentale, il 1 maggio 1995, durante l’Operazione Flash e quelli della Kninska Kraijna, il 4 agosto 1995 durante l’operazione Storm, che ha provocato la partenza di circa 250.000 Serbi che non hanno mai più potuto far ritorno in Kraijna. Tutto questo avveniva con l’aiuto dell’Agenzia di mercenari US « Military Professional Resources » e l’occhiolino del Dipartimento di Stato Americano. Alcun media ha nemmeno menzionato o visitato i terribili campi croati di prigionia di Lora vicino a Spalato, di Tarcin o di Caplina fra gli altri.

Nel maggio 1992, la Repubblica musulmana di Bosnia impiega i servizi dell’agenzia Ruder&Finn Global Public Affairs che curerà la sua immagine internazionale e i contatti con i media. Il contratto terminerà nel dicembre 1992. A proposito di questo periodo si legge in “Offensive in the Balkans” di Yossef Bodansky a pagina 54: “Fin dall’estate 1992, c’erano state delle marcate provocazioni messe in atto dalle forze musulmane per sollecitare un maggiore intervento militare occidentale contro i serbi e, in misura minore contro i croati. Inizialmente queste provocazioni erano costituite principalmente da attacchi senza senso alla stessa popolazione musulmana, ma ben presto inclusero attacchi ad obiettivi occidentali e delle Nazioni Unite.(…) Investigazioni da parte delle Nazioni Unite e di altri esperti militari includevano fra queste azioni auto-inflitte la bomba della fila del pane (27 maggio 1992), la sparatoria alla visita di Douglas Hurd (17 luglio 1992), il tiro dei cecchini nel cimitero (4 agosto 1992), l’uccisione del presentatore e produttore televisivo americano della ABC, David Kaplan ( 13 agosto 1992) e l’abbattimento di un velivolo da trasporto dell’Aviazione Italiana G.222 in avvicinamento a Sarajevo (3 settembre 1992). In tutti questi casi le forze serbe erano fuori portata, e le armi usate contro le vittime non erano quelle lamentate dalle autorità musulmano-bosniache e dai ripetitivi media occidentali.”


Il governo di Sarajevo molto abilmente ottenne l’intervento definitivo degli USA e della NATO nell’agosto 1995, ma prima si è dovuto vedere sugli schermi le due granate sul mercato di Markale, il 6 febbraio 1994 (68 morti e 200 feriti), e il 28 agosto 1995 (37 morti e 86 feriti).

Sull’esplosione si esprimerà François Mitterand nel libro « L’année des adieux » a pagina 175 : «  E’ vero che ciò che cercano fin dall’inizio è l’internazionalizzazione, così necessaria, con delle provocazioni (…) Qualche giorno fa M. Boutros Ghali m’ha detto di essere sicuro che la granata caduta sul mercato di Sarajevo era una provocazione bosniaca».
Lord David Owen confermava la storia della granata bosniaca di Markale a pagina 260/261 del suo libro « Balkan Odyssey ».

Si racconta che il presidente Clinton, sotto pressione dei media e del senatore Dole avesse promesso ad Aljia Izetbegovic di fare intervenire la NATO se si fossero verificati più di 5000 morti. L’11 luglio 1995, Srebrenica fu la risposta. La tempesta mediatica fu terribile. Il fatto che la “zona protetta” – secondo il Consiglio dei Sicurezza dell’ONU disarmata – da dove la 28° divisione musulmana e il suo capo Naser Oric attaccava i villaggi serbi, uccideva, saccheggiava e rientrava nella città, non interessava la stampa. Nessuno s’informò sull’enorme numero di morti civili serbi nei villaggi intorno a Srebrenica e nella cittadina di Bratunac. Oltre 1500 morti serbi uccisi fra il 1992 e il 1995 sono passati sotto silenzio. I Serbi hanno sempre respinto l’accusa di aver giustiziato fra i 7000 e gli 8000 soldati musulmani, ricordando di aver mandato al sicuro in territorio musulmano le donne, i bambini e i vecchi, ma anche i soldati che avevano accettato di consegnare le armi. Nessun media ha investigato sulle ragioni della caduta della città protetta da 15.000 soldati musulmani attaccati da una forza molto inferiore e sul fatto che il comando in capo di Sarajevo avesse richiamato il comandante Naser Oric e 20 dei suoi migliori ufficiali lasciando la divisione senza guida. Alcun giornalista nemmeno investigò sullo svolgimento dei combattimenti e di queste morti. Bernard Kouchner racconta nel suo libro


«  Les guerriers de la Paix », che durante la sua visita al capezzale di Alija Izetbegovic morente, l’abile statista aveva ammesso che le cifre erano state gonfiate espressamente.

In Ottobre 1992, la Repubblica di Kosova, ovvero l’opposizione albanese del Kosovo, firma un contratto con l’agenzia Ruder&Finn Global Public Affairs per curare la propria immagine nella crisi balcanica e negli avvenimenti a seguire.
Questa regione, così controversa, si trova nel sud della Serbia e per secoli fu la terra dei Serbi. Chiamata Kosova dagli albanesi, per i serbi essa é Kosmet, contrazione di Kosovo “la piana dei merli”(kos) e Metohija “proprietà della chiesa” (metoh). 1300 chiese e monasteri di rara bellezza testimoniano il passaggio di religiosi e artisti provenienti da Costantinopoli a partire dal IX secolo. L’invasione ottomana, la presenza dell’Italia fascista e della Germania nazista hanno causato la fuga dei serbi in favore della minoranza albanese che con il tempo è diventata maggioranza.
Nel 1998 l’UCK era chiamata dalla stampa « terroristi », poi « guerriglieri » infine « combattenti per la libertà di Kosova », una regione che volevano strappare alla Serbia, secondo i principi della Lega di Prizren, fondata nel 1978, che aveva formulato per la prima volta il concetto di “Grande Albania” e che il 16 settembre 1943 rinasceva negli Stati Uniti.

Questa promozione dell’UCK ha dato un’immagine più accettabile al pubblico internazionale. Dopo la nuova definizione la milizia serba fu accusata di uccidere la gente nei villaggi albanesi nella caccia all’UCK. I media non spiegarono che l’UCK si nascondeva dietro ai civili albanesi che cercavano salvezza nei boschi e non raccontarono che venivano rapiti più Albanesi che Serbi e che questi Albanesi e questi Serbi venivano rapiti perché favorevoli al dialogo e che non si sarebbero più rivisti vivi.


Quando nel 1998 Slobodan Milosevic, presidente della nuova Jugoslavia accettò tutti i punti imposti da Richard Halbrooke (Kosovo Verification Mission: diminuzione delle forze serbe, controllo aereo della NATO, spiegamento di forze della NATO in Macedonia per proteggere i verificatori dell’OSCE), l’amministrazione Clinton aveva già la guerra nella sua agenda, bisognava accelerare il processo: uno scenario ormai conosciuto – dai falsi carnai con cadaveri di recupero di Timisoara, al tempo della liquidazione di Ceausescu si era ripetuto ogni volta fosse necessario sollevare l’indignazione pubblica – fu realizzato il venerdì 15 gennaio 1999.


I verificatori dell’OSCE in Kosovo avevano imposto alla milicija jugoslava di rendere loro conto di ogni operazione di polizia contro l’UCK, ma improvvisamente il pubblico internazionale si confrontò con l’orrore della fossa di Racak.


E’ interessante rileggere un commento del Figaro di sabato 20 gennaio 1999 : “ La scena dei cadaveri degli albanesi in abiti civili allineati in un fossato, che avrebbe dovuto scioccare l’intero mondo, non fu scoperta che la mattina seguente intorno alle 9 da giornalisti subito seguiti da osservatori dell’OSCE. In quel momento, il villaggio era nuovamente nelle mani degli armati dell’UCK, che condussero i visitatori stranieri, man mano che arrivavano, verso il luogo del presunto massacro. Verso mezzogiorno, William Walker in persona arrivò ed espresse la sua indignazione. Tutti i testimoni albanesi diedero la stessa versione: a mezzogiorno i poliziotti serbi erano entrati di forza nelle case e avevano separato le donne dagli uomini, che condotti sulla cima della collina avevano ucciso senza molte storie. Il fatto più inquietante è che le immagini filmate dai giornalisti di APTV – che Le Figaro ha visionato ieri – contraddicono radicalmente quella versione.”

Le autopsie confermarono che le amputazioni erano state inferte dopo la morte e i patologi finnici, bielorussi e jugoslavi giudicarono che le ferite mortali erano state causate da pallottole tirate da lontano.
I verificatori dell’OSCE non pubblicarono il loro rapporto e lasciarono esplodere il caso mediatico, nessuna indagine da parte dei media.
Alla Conferenza di Pace al Castello di Rambouillet, l’ambasciatore jugoslavo all’ONU Branko Brankovic, che aveva partecipato a tutti gli incontri dichiarò: “In 17 giorni a Rambouillet non abbiamo mai visto la delegazione albanese che avrebbe dovuto essere il nostro interlocutore e non abbiamo mai visto il testo che è stato firmato solo da alcuni membri di quella delegazione.(…) il Presidente della Serbia, Milan Milutinovic, tenne una conferenza stampa alle nove di sera nella residenza jugoslava. Erano presenti almeno un centinaio di giornalisti e una ventina di telecamere delle reti mondiali. Il Presidente spiegò con chiarezza che si trattava di un ultimatum e che le due delegazioni non si erano mai incontrate per discutere l’accordo e quindi non potevamo accettare niente che non fosse stato discusso con la delegazione albanese su quella parte politica che riguardava l’autonomia del Kosovo Metohjia. Nessun media ha riportato una sola frase della conferenza stampa. Non possiamo dare l’indipendenza ad una parte del nostro paese che ha fatto parte della storia della Serbia e della Jugoslavia per oltre mille anni. (..) Gli americani hanno continuato a dire che erano favorevoli all’autonomia, ma il testo che hanno proposto sull’autonomia de facto significava indipendenza. Volevano la presenza di una forza militare con il pretesto, in quel momento, di osservare e assicurare l’applicazione dell’accordo politico sull’autonomia”. Ebbene i media hanno tenuto la bocca ben chiusa.
24 marzo 1999, inizio dei bombardamenti sulla Federazione delle Repubbliche Jugoslave. La Serbia, il Kosovo e il Monténégro sono martellati senza tregua per 78 giorni. Dal 24 marzo all’ 8 giugno, trenta-quattromila attacchi aerei sono eseguiti da mille aerei. Diecimila missili furono lanciati contenenti 79.000 tonnellate d'esplosivo; 152 contenitori di «cluster bombs» (bombe a frammentazione) vennero sganciati senza contare le innumerevoli bombe alla grafite e all’ uranio impoverito. Nel corso di cento missioni dei caccia US A- Thunderbolt, che utilizzavano mitragliere capaci di tirare 3.900 colpi al minuto, uno su cinque di questi proiettili conteneva 300 grammi di U.I., informazioni date dal generale Wald il 7 maggio 1999, nel corso della guerra. Il Segretario Generale della NATO, George Robertson, in una lettera del 7 febbraio 2000, confermava quanto sopra al Segretario Generale dell'ONU, Kofi Annan. (Il Manifesto, 10-11 Marzo 2000. Balkans Infos, 3 avril 2000).
Da una mappa ottenuta faticosamente dall’alto comando della NATO, sembra che la zona sottoposta al tiro più nutrito di U.I. sia quella che da Kosovska Mitrovica scende fino a Pec, Dakovica e Prizren. Sono le zone coperte dai contingenti europei. I media: silenzio.
Quando i bombardamenti incominciarono e i danni e le morti dei civili iniziarono ad impressionare negativamente il pubblico internazionale, venne fuori la storia dell’”Operazione ferro di cavallo”: piano strategico, in realtà inesistente, che avrebbe avuto lo scopo di far scappare gli shiptar dal Kosovo. In un’intervista apparsa sulla rivista geopolitica liMes del giugno 2000, il generale Nebojsa Pavkovic, comandante della 3° armata in Kosovo e in seguito capo di Stato Maggiore jugoslavo, affermava: “
« La NATO ha inventato l’epurazione etnica per giustificare l’aggressione. Hanno persuaso i terroristi ad organizzare la fuoruscita. Alcuni venivano scacciati a forza dalle loro case, li mandavano in Macedonia e in Albania, poi li facevano rientrare di nascosto.” L’affermazione del generale Pavkovic sarebbe stata confermata dai rapporti dell’OSCE diffusi in ritardo.
Nel giugno 1999, per terminare la guerra il Gruppo dei G 8 si accordò su un piano, secondo il quale quanto era stato negato a Rambouillet veniva approvato: solo il Kosovo passava sotto il protettorato della NATO, mentre la Serbia restava una nazione sovrana. Erano state accettate tutte le richieste serbe: 1) Non ci sarebbe stato un referendum alla fine dei tre anni probatori che doveva consacrare l’indipendenza del Kosovo. Anzi veniva confermata più volte la sua appartenenza alla RFY. 2) All’entrata in Kosovo i contingenti NATO sarebbero stati soggetti all’autorità dell'ONU, fino ad allora negata, e avrebbero agito sotto il suo mandato. Questa era stata una reiterata richiesta della Jugoslavia a Rambouillet, disposta a trattare con l’ONU e non con la NATO. 3) La NATO avrebbe avuto la responsabilità di mantenere l’ordine in Kosovo senza la polizia serba che avrebbe potuto essere accusata di ogni incidente. In ogni caso, dopo un certo periodo, questa avrebbe avuto il controllo delle frontiere e la protezione dei monasteri che non costituiscono un valore solo per gli ortodossi, ma anche per tutta la cultura occidentale.Con gli accordi di Kumanovo, giugno 199, era stato stabilito che dopo 5 anni la regione sarebbe tornata sotto il controllo di Belgrado. Questo trattato era diventato in seguito la soluzione 1244 del Consiglio di Sicurezza. La soluzione non è mai stata applicata. Non una parola da parte dei media.
Alla fine della guerra la KFOR s’installò in Kosovo. Per giustificare i vasti e crudeli regolamenti di conti dell’UCK, che la NATO non ha mai cercato di frenare, e la pulizia etnica di tutte le nazionalità non albanesi., si incomiciò a parlare di fosse comuni come in Bosnia. La prima stima del numero delle vittime albanesi si aggirava sui 100.000 morti. L’amministratore dell’ONU, Bernard Kouchner, aveva riportato la cifra ad 11.000 fra morti e dispersi dichiarando di basarsi sui rapporti del tribunale dell’Aja, che smentì. I corpi ritrovati sarebbero piuttosto nelle centinaia.Il capo dell’equipe di medici spagnoli, il dottor Juan Lopez Palafox, dichiarava che per quanto i suoi uomini avessero potuto constatare: «nell’ex Jugoslavia erano stati commessi crimini orribili, ma conseguenti alla guerra» I responsabili hanno ammesso che il risultato delle esumazioni non corrispondevano ai racconti drammatici dei rifugiati, come erano stati riportati dai porta-parola occidentali durante il conflitto. (The Guardian, 18 agosto 2000). E i media quasi in silenzio.


Harry Kissinger faceva osservare (sulle pagine del Washington Post del 22 febbraio 1999 a proposito della Conferenza di Rambouillet) : “ Un Kosovo indipendente tenderebbe ad incorporare le minoranze albanesi vicine di Macedonia e forse l’Albania stessa… Il Kosovo diventerebbe allora la premessa di un’iniziativa dell’ONU in Macedonia, esattamente come lo spiegamento in Bosnia è stato invocato per giustificare l’intervento in Kosovo?In breve, la NATO deve diventare un’impresa votata a stabilire una serie intera di protettorati NATO nei Balcani?».
Le osservazioni di Kissinger dopo 7 anni sono ancora valide. Si prospetta anche la possibilità che il vecchio piano della Lega di Prizren si applichi al sud della Serbia, la valle di Presevo, e alla parte est del Montenegro fino a sfiorare la capitale Podgorica.
Attualmente si sta discutendo l’indipendenza del Kosovo a Vienna, ma la diversità culturale del territorio non è più altro che un ricordo. Si deve notare che la regione è ora quasi totalmente albanese poiché tutte le altre nazionalità (Serbi, Rom, Ebrei, Graci, Goranzi, Turchi e altri), e anche i Croati, che vivevano da 800 anni nei villaggi sulle montagne di Skopska Gora fra il Kosovo e la Macedonia, sono stati cacciati.
Sembra che l’UNHCR si prepari ad evacuare 40.000 Serbi fra coloro che vivono in enclavi sotto la debole protezione della KFOR dalla fine della guerra.
Questa indipendenza potrebbe anche destabilizzare la Bosnia che vive una libertà limitata sotto il controllo dell’EUFOR, senza aver risolto dopo 11 anni il problema delle tre etnie e con una presenza crescente di musulmani dei paesi arabi nel paese. Sembra che siano oltre 50.000.
Un rapporto della KFOR-NATO ha denunciato lo spaventoso aumento del crimine organizzato e di traffici illegali in Kosovo. Hasim Thaqui – l’interlocutore che Madeline Albright preferiva al presidente Rugosa a Rambouillet quando era il comandante dell’UCK, oggi leader del Partito Democraticodel Kosovo – ha accusato il Governo di Agim Ceku di essere formato da criminali. Da notare che Ceku, ex generale dell’UCK, è colui che ha comndato i Croati nel massacro della Sacca di Medak in Kraijna.
L’ex Primo ministro Ramush Haradinaj, leader del partito di Ceku, AAK, é accusato dal TPIY dell’Aja di crimini di guerra. Comunque l’INTERPOL ha ritirato i mandati di cattura nei confronti di Thaqi, Ceku e Haradinaj, ricercati a Belgrado per crimini di guerra.
Una cosa è certa intervenendo nei Balcani gli USA e la NATO hanno legalizzato l’illegalità. E i media hanno fatto il loro gioco.


(*) Documents et interviews se trouvent dans le livre « Il Corridoio » publié par La città del sole (Naples) - 
https://www.cnj.it/INIZIATIVE/jeantoschi.htm



Intellettuali di servizio: Predrag Matvejevic (4)

PREDRAG "PREZZEMOLO" MATVEJEVIC USA "MILOSEVIC" ANCHE PER
GIUSTIFICARE LA SECESSIONE MONTENEGRINA

Prima finge di dolersi per la dissoluzione della Jugoslavia e poi:
<< in questo momento le condizioni per una qualsiasi nuova comunità
statale simile a quella che era l’ex Jugoslavia non esistono >>,
anzi: << bisogna anche mettersi nella pelle di quei montenegrini
“indipendentisti” che erano spinti da Milosevic e dalla sua Serbia in
una compromettente, umiliante avventura... >>
E con la secessione del Montenegro non è ancora finita; spezzare le
reni alla Serbia! << Deve esser risolto il problema cruciale del Kosovo,
laddove vive una maggioranza del novanta per cento di abitanti di
origine albanese >> Reciprocità per i serbi di Bosnia? Non sia mai:
<< Rimane anche la questione drammatica della Repubblica serba
("srpska") in Bosnia-Erzegovina, un paese che non può funzionare come
uno stato vero e proprio avendo un altro stato in suo seno, nato
dall’aggressione e dalla "pulizia etnica" di Karadzic e di Mladic. >>

RISULTATO: le secessioni vanno bene solo se servono a uccidere la
Jugoslavia e seppellire i serbi.
Ancora una volta, l'accademico di servizio Predrag Matvejevic ha svolto
bene il compitino assegnatogli dai killer della Jugoslavia.

L'ignobile testo nella sua interezza:
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/5733/1/

===

Sul vergognoso opportunismo del professor Matvejevic si veda anche
(in ordine cronologico inverso):

Matvejevic o "fojibama" / sulle "foibe" parte seconda...
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4906
e http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4936
Predrag Matvejevic o "fojibama" / sulle "foibe" parte prima...
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4311
Predrag Matvejevic o manjinama / sulle minoranze...
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3103
Matvejevic contro Arafat
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2928
Intellettuali di servizio: Predrag Matvejevic (3)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2775
Lettera di protesta a Radio Tre
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2655
Dopo un articolo sul ponte di Mostar: lettera di protesta al
"Messaggero"
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2753
... ed anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1462
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1280
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/1093
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/345
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/32

Dedicata a Matvejevic: la poesia VIDJEH CUDO...
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2600

CONDY E MAX

“Qui a Washington ci ricordiamo tutti della grande credibilità sua,
presidente, ai tempi del Kosovo”. “Abbiamo grande stima per il suo
comportamento di allora e siamo certi che potremo sempre collaborare,
come a quei tempi, e che lei non cambierà comportamento rispetto ad
allora”.

Dal Corriere della Sera del 21 maggio. Condoleeza Rice telefona a
D'Alema per raccomandarsi sulla condotta dell'Italia rispetto alla
missione in Iraq.





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(english / italiano)

---

Komunistická strana Čech a Moravy
Communist Party of Bohemia and Moravia

Head Office: Politickych Veznu 9 Phone: + 4202 22 89 74 28
110 00 Prague 1 Fax: + 4202 22 89 74 49
Czech Republic E-mail: leftnews @...
http: //www.kscm.cz



Prague, May 23, 2006


Anticommunists endanger regularity of the parliamentary elections in
the Czech Republic


The organizers of the anti-communist pre-election campaign called “T-
shirt Against Communism” who are giving out those T-shirts with
slogan “Kill a Communist to Strengthen the Peace”. They are
culminating their campaign, shortly before the parliamentary
elections, by the call for stealing the Slates of the Communist Party
of Bohemia and Moravia (CPBM), which are usually sent by the post
from the side of the Municipality to the voters.

The weekly RESPEKT has also participated on that unlawful action by
promising those who will “collect” as many as possible Slates of
the CPBM that they will be awarded with 6 months free subscription.

This unprecedented anticommunist campaign gravely threatens the
democratic character and regularity of the forthcoming parliamentary
elections in the Czech Republic.


H. Charfo
Head of the CC´s Department of International Relations
Communist Party of Bohemia and Moravia


--- TRADUZIONE ---


Partito Comunista di Boemia e Moravia

http: //www.kscm.cz


Praga, 23 maggio 2006


Gli anticomunisti mettono in pericolo la regolarità delle elezioni
parlamentari nella Repubblica Ceca


Gli organizzatori della campagna anti-comunista pre-elettorale
denominata “T-shirt contro il comunismo” distribuiscono queste T-
shirt con lo slogan “Ammazza un comunista per rafforzare la pace”.
La
loro campagna sta culminando, poco prima delle elezioni parlamentari,
con un appello a rubare le Liste dei candidati del Partito Comunista
di Boemia e Moravia (CPBM), che vengono di solito spedite per posta
da parte della municipalità ai votanti.

Anche il settimanale RESPEKT ha partecipato a questa azione illegale
promettendo a quelli che “collezioneranno” il più possibile di
liste
del CPBM che verranno premiati con 6 mesi di abbonamento gratuito.

Questa campagna anticomunista senza precedenti minaccia seriamente il
carattere democratico e la regolarità delle imminenti elezioni
parlamentari nella Repubblica Ceca.


H. Charfo
Capo del Dipartimento Relazioni Internazionali del CC
Partito Comunista di Boemia e Moravia

(srpskohrvatski / english / italiano)

The imperialist breakup of Serbia and Montenegro

1. Savez komunisticke omladine Jugoslavije -SKOJ-
Ne prihvatamo imperijalsticko razbijanje Srbije i Crne Gore / We do
not accept the imperialist break-up of Serbia and Montenegro

2. IZJAVA SEKRETARIJATA NKPJ

3. Il fratello di Milosevic: L'"Unione" era destinata a fallire /
Serbia-Montenegro union has been unsustainable from the beginning -
Milosevic

4. Transdnestr expert: Everybody who can will make use of Montenegro
precedent



=== 1 ===

Savez komunisticke omladine Jugoslavije -SKOJ-
http://www.skoj.co.sr/

Ne prihvatamo imperijalsticko razbijanje Srbije i Crne Gore


Zapadni imperijalizam, predvodjen Sjedinjenim Americkim Državama,
21.maja na «referendumu» u Crnoj Gori, uspeo je na žalost da
ostvari svoj rušilački cilj zapocet još 1990. godine,potpuno
razbijanje Socijalističke Federativne Republike Jugoslavije,
ravnopravne zajednice jugoslovenskih naroda i nacionalnih manjina i
prve socijalističke države u istoriji jugoslovenskih naroda. Prva
faza finalnog udarca zapadnog imperijalizma na ostatke Jugoslavije
izvedena je 4. februara 2003. godine kada su proimperijalistički
buržoaski kontrarevolucionarni režimi u Beogradu i Podgorici doneli
odluku o ukidanju Savezne Republike Jugoslavije a druga konačna faza
sprovedena je u subotu na «referendumu» u Podgorici. Iako je Savez
komunističke omladine Jugoslavije(SKOJ), kao omladinska organizacija
Nove komunističke partije Jugoslavije (NKPJ), kategorički istupio
protiv razbijanja Savezne Republike Jugoslavije i stvaranja
konfederalne tvorevine Srbije i Crne Gore, pod kontrolom
proimperijalističkih režima u Beogradu i Podgorici, podržao je
poziv Partije da se radni ljudi, antiimperijalisti, patrioti i ostali
progresivni građani u Crnoj Gori izjasne protiv otcepljenja Crne
Gore, prvenstveno jer je tako nešto retrogradno bilo prvenstveni cilj
zapadnog imperijalizma predvođenog SAD. U intreresu zapadnog
imperijalizma, zarad političkog, ekonomskog i vojnog širenja na
Istok ka Rusiji je, između ostalog,i razbijanje jedinstva Srbije i
Crne Gore i raspirivanje međusobne netrpeljivosti između radničke
klase Crne Gore i radničke klase Srbije. SKOJ nepokolebljivo stoji na
pozicijama Međunarodnog omladinskog komunističkog pokreta protiv
menjanja granica na Balkanu,ustanovljenih nakon Drugog svetskog rata.
Politika «što gore to bolje» je osnovna ideja vodilja zapadnog
imperijalizma na prostoru bivše Jugoslavije.
SKOJ izražava duboko žaljenje i ogorčenje zbog razbijanja države
Srbije i Crne Gore na lažiranom "referendumu" pod pokroviteljstvom
Evropske unije.
Mnogobrojne nepobitne činjenice ukazuju da je secesija CG isplanirana
spregom Djukanovićevog proimperijalističkog buržoaskog
separatističkog režima i čelnika Evropske unije i SAD. O tome
svedoče mnogobrojni potezi i mere proimperijalističke vlade u
Podgorici uoči i u toku referenduma, preduzimani u dogovoru sa njenim
zapadnim mentorima. Referendumsko pitanje u velikoj meri sugeriše
odgovor u prilogu razbijanja zajedničke države. I pored toga,
organizatori "referenduma" su morali da pribegnu grubim
falsifikatima, uz aktivno učesće predstavnika EU Lajcika i Lipke.
Takođe, u kampanji uoči “refenduma” Djukanovićev
proimperijalistički separatistički režim je putem državnih medija
koje kontroliše podstrekivao separatističku atmosferu i antisrpsko
raspoloženje. Zabeleženi su I brojni primeri hapšenja aktivista za
očuvanje zajedničke države, pokušaja falsifikovanja biračkih
spiskova i druge nepravilnosti. Građanima Crne Gore sa prebivalištem
u Srbiji je uskraćeno pravo da se izjasne 21.maja.Separatizam Mila
Djukanovića i anticrnogorsku kampanju su podržavale I pojedine
proimperijalističke buržoaske stranke u Srbiji od kojih su one
najuticajnije deo vladajućeg režima u Beogradu. SKOJ sa gnušanjem
odbacuje priznanje rezultata “referenduma” od strane buržoaskog
režima u Beogradu, čime on i pored svog deklarativnog zalaganja za
zajedničku državu jasno pokazuje svoju proimperijalističku
orijentaciju.
Narod Srbije i Crne Gore sudbinski je predodreðen da živi u
zajedničkoj drzavi, da deli dobro i zlo. Ideja o zajedništvu živece
večito i nadživeće secesioniste i izdajnike svih boja. Doći će
dan kada će se radnička klasa Crne Gore i radnička klasa Srbije
ujediniti, reći ne svojim proimperijalističkim vlastodršcima i
pružiti ruku svojoj braći i sestrama proleterima sa prostora naše
socijalističke otadžbine Socijalističke Federativne Republike
Jugoslavije u borbi za istinsku slobodu, ravnopravnost i nezavisnost
do koje može doći samo proterivanjem imperijalizma sa ovih prostora.

Živelo bratstvo naroda Srbije i Crne Gore!

Živelo bratstvo naroda Socijalističke Federativne Republike
Jugoslavije!

Balkan pripada balkanskim narodima!

23. maj 2006.

CK SKOJ

Beograd

---

League of Communist Youth of Yugoslavia -SKOJ- statement:

“We do not accept the imperialist break-up of Serbia and Montenegro”

Western imperialism, led by the USA, in the referendum of 21 May 2006
in Montenegro unfortunately realized its destructive goal of creating
the project begun in 1990 of totally smashing the Socialist Federal
Republic of Yugoslavia, which was the equal-rights union of Yugoslav
nations and ethnic minorities and the first socialist state in the
history of Yugoslavia.

The first phase of the final blow of western imperialism on the
remnants of Yugoslavia was carried out on 4 February 2003, when the
bourgeois pro-imperialist counter-revolutionary regimes in Belgrade
and Podgorica resolved to terminate the Federal Republic of
Yugoslavia, and the second and final phase was executed this past
Saturday in the “referendum” in Podgorica. Although the League of
communist youth of Yugoslavia (SKOJ), as the youth movement of the
new Communist Party of Yugoslavia (NKPJ), categorically stood against
the dissolution of the Federal Republic of Yugoslavia and against
the creation of the union of con-federal creatures of Serbia and
Montenegro under the control of the pro-imperialist regime in
Belgrade and Podgorica. SKOJ supported the call of the Party to
working people, anti-imperialists, patriots and progressive citizens
in Montenegro to make clear their opposition to the secession of
Montenegro, primarily because something so retrograde was the primary
goal of western imperialism under the leadership of the USA.

The goal of western imperialism is to realize political, economic,
and military expansion to the east, toward Russia, among other
things, and to destroy the unity of Serbia and Montenegro was also
demolish the mutual tolerance between the working class of Montenegro
and the working class of Serbia.

SKOJ unshakably stands on the positions of the International
Communist Youth against change of borders in the Balkans that were
established after the Second World War. The policy “the worse, the
better” is the basic idea of western imperialism on the territory
of former Yugoslavia.

SKOJ expresses deep regret and bitterness at the destruction of the
state of Serbia and Montenegro by the fraudulent “referendum”
perpetrated under the umbrella of the European Union.

Many unassailable facts show that the secession of Montenegro had
been planned jointly by Djukanovic’s pro-imperialist bourgeois
regime with the leadership of the EU and the USA. Numerous moves and
measures of the pro-imperialist government in Podgorica on the eve
and in the course of the referendum were undertaken by arrangement
with the western masters.

The referendum question in large measure suggests an answer in favor
of termination of the common state.

Besides that, the organizers of the “referendum” had to resort to
gross fabrications together with the active participation of EU
representatives Lajcik and Lipka.

Also, on the eve of the “referendum” Djukanovic’s pro-
imperialist separatist regime used the controlled puppet-state media
to intensify the separatist atmosphere and anti-Serb mood.

Many examples were recorded of arrests of anti-secession activists
and of attempts to falsify lists of voters, as well as other
irregularities. Montenegro’s citizens resident in Serbia were denied
their right to vote on 21 May. Milo Djukanovic’s and Montenegro’s
pro-imperialist campaign was also supported by some pro-imperialist
bourgeois parties in Serbia, the most influential being the part of
the regime in power in Belgrade.

SKOJ, with disgust, rejects the recognition by the Belgrade regime of
the “referendum” results. This clearly shows, despite their pro-
forma support of a unified state their pro-imperialist orientation.

The people of Serbia and Montenegro are fore-ordained by destiny to
live in a unified state and to share the good and the bad.

The idea of living together in one state is eternal and will outlive
the secessionists and traitors of all stripes. The day will come when
the working class of Montenegro and the working class of Serbia will
unite and say NO to their pro-imperialist rulers and extend the hand
to their proletarian brothers and sisters from the territory of our
socialist fatherland, the Socialist Federal Republic of Yugoslavia,
in the struggle for true freedom, equality and independence. This
will come about only by driving out imperialism from our territory.

Long live the brotherhood and unity of Serbia and Montenegro!

Long live the brotherhood and unity of the peoples of the Socialist
Federal Republic of Yugoslavia!

The Balkans belong to the Balkan peoples!

23 May 2006.

Central Committee of the League of the Communist Yout of Yugoslavia

CK SKOJ

Belgrade


=== 2 ===

IZJAVA SEKRETARIJATA NKPJ

REZULTAT "REFERENDUMA FALSIFIKAT"

Nova komunisticka partija Jugoslavije izrazava duboko zaljenje i
ogorcenje zbog razbijanja drzave Srbije i Crne Gore na laziranom
"referendumu" pod pokroviteljstvom Evropske Unije.

NKPJ u potpunosti podrzava Blok za Zajednicku drzavu koji ne priznaje
"referendum".

Mnogobrojne nepobitne cinjenice ukazuju da je secesija SG isplanirana
spregom Djukanovicevih separatista i celnika Evropske unije i SAD. O
tome svedoce mnogobrojni potezi i mere vlade u Podgorici uoci i u toku
referenduma, preduzimani u dogovoru sa njenim zapadnim mentorima.
Referendumsko pitanje u velikoj meri sugerise odgovor u prilogu
razbijanja drzave. I pored toga, organizatori "referenduma" su morali da
pribegnu grubim falsifikatima, uz aktivno ucesce predstavnika EU Lajcika
i Lipke.

Narod Srbije i Crne Gore sudbinski je predodredjen da zivi u zajednickoj
drzavi, da deli dobro i zlo. Ideja o zajednistvu zivece vecito i
nadzivece secesioniste i izdajnike svih boja.

25.05.2005.g.
Beograd
Za NKPJ
sr Branko Kitanovic


=== 3 ===

MONTENEGRO: FRATELLO MILOSEVIC, UNIONE DESTINATA A FALLIRE

(ANSA) - MOSCA, 22 MAG - Per Borislav Milosevic, fratello del defunto
presidente jugoslavo Slobodan, l'unione tra Serbia e Montenegro era
destinata a finire essendo una creatura ''senza sostanza''
dell'Unione europea e ''in particolare di Javier Solana''. ''Un amaro
ma vero proverbio russo dice che la tomba e' l'unico rimedio per un
gobbo'', ha sottolineato Borislav Milosevic, ex-ambasciatore della
Jugoslavia a Mosca, dove vive. A suo giudizio il referendun vinto
dagli indipendentisti montenegrini ''intensifica le spinte
centrifughe nei Balcani'' e indebolisce i serbi negli sforzi per
impedire l'indipendenza del Kosovo. Serghei Bagapsh, 'presidente'
dell'Abkhazia, una regione secessionista della Georgia che al pari
dell'Ossezia del sud rivendica l'indipendenza e gode della protezione
dei russi, ha da parte sua dato il benvenuto alla ''civile
separazione del Montenegro dalla Serbia'' e ha auspicato lo stesso
copione per la zona da lui governata. ''Adesso che il processo di
autodeterminazione e' ripreso Abkhazia e Ossezia del sud - ha
dichiarato - dovrebbero ottenere l'indipendenza''. (ANSA). LQ
22/05/2006 17:17

---

http://www.interfax.com/3/158418/news.aspx

Interfax - May 22, 2006

Serbia-Montenegro union has been unsustainable from the beginning -
Milosevic

MOSCOW - The State Union of Serbia and Montenegro was
not viable and needed reform from the very start,
Borislav Milosevic, brother of the late Yugoslav
president Slobodan Miselovic and former Yugoslav
ambassador in Moscow, told Interfax on
Monday.
"The State Union of Serbia and Montenegro, which was
put together by the European Union, primarily Javier
Solana, in early 2003, lacked substance and was not
viable. There is a bitter, but true, Russian
proverb, 'only a grave can cure a hunchback',"
Milosevic said, referring to the results of the Sunday
referendum on Montenegrin independence.
The Union was bound to witness serious changes
eventually, he said.
The European Union has played a sizable role in Balkan
political processes, Milosevic said. "The EU is
creating such space in the Balkans in which nothing
can be done without its mediation," he said.
The results of the Montenegrin referendum may affect
Belgrade's position on the Kosovo issue, Milosevic
said.
"Serbian authorities have experienced a moral blow.
Serbian's position on Kosovo has weakened, since the
state UN Security Council resolution 1244 referred to
no longer exists," he said.
The Montenegrin referendum will speed up elections in
Serbia and "intensify centrifugal ambitions" in the
Balkans, he said.
"They say that certain Montenegrin Albanians are
already demanding an independence referendum for
future unification with independent Kosovo.
Albanians' separatist feelings will also intensify
in Macedonia," he said.


=== 4 ===

http://www.regnum.ru/english/644589.html

Regnum (Russia) - May 24, 2006

Transdnestr expert: Everybody who can will make use of
Montenegro precedent

In an interview to REGNUM in Tiraspol on May 23 chief
expert of the Transdniestr office of Russia’s National
Strategy Council Vladimir Bukarsky commented on the
May 21 independence referendum in Montenegro.
"In Montenegro over 55% of people voted for their
country’s withdrawal from the union with Serbia. The
outcome of the referendum is another step towards the
revision of the present world map and the further
change of the world borders.
"The recognition of Montenegro’s independence is one
more nail driven in the coffin of the chimera of
“inviolability of borders in Europe.”
"The first nail was driven when the Soviet Union and
federative Yugoslavia were destroyed. Today, nobody
doubts that very many “en route states” will follow
Montenegro’s example: Kosovo, Serbian, Croatian and
Muslim communities in Bosnia and Herzegovina,
Albanians in Macedonia, Basques and Catalans in Spain,
Corsicans in France, Irishmen, Scotsmen and Welshmen
in Great Britain, Flemings in Belgium and the
Netherlands, French-speaking Catholics in Canadian
Quebec.
"Montenegro’s independence will have a direct effect
on the whole post-Soviet area and will give new
independence arguments to Transdnestr, Abkhazia, South
Ossetia and Karabakh.
"Unless the Ukrainian authorities change their policy
on the Russian-speaking South-East – the whole
Novorossiya from Odessa to Kharkov will get a moral
right to follow Montenegro’s precedent.
"By its persistent policy to liquidate Serbia’s
independence the EU itself is provoking new conflicts
and chaos on borders.
"At the same time, one cannot but admit that the
Montenegro precedent is good for Transdnestr and other
unrecognized states. This precedent means that if one
consistently moves towards independence, he will get
it sooner or later," says Bukarsky.

Fonte: yugoslaviainfo

Interfax
May 22, 2006


Serbia-Montenegro union has been unsustainable from the beginning -
Milosevic


-"They say that certain Montenegrin Albanians are already demanding an
independence referendum for future unification with independent Kosovo.
Albanians' separatist feelings will also intensify in Macedonia."


MOSCOW - The State Union of Serbia and Montenegro was not viable and
needed reform from the very start, Borislav Milosevic, brother of the
late Yugoslav president Slobodan Miselovic and former Yugoslav
ambassador in Moscow, told Interfax on Monday.

"The State Union of Serbia and Montenegro, which was put together by
the European Union, primarily Javier Solana, in early 2003, lacked
substance and was not viable. There is a bitter, but true, Russian
proverb, 'only a grave can cure a hunchback'," Milosevic said,
referring to the results of the Sunday referendum on Montenegrin
independence.

The Union was bound to witness serious changes eventually, he said.

The European Union has played a sizable role in Balkan political
processes, Milosevic said. "The EU is creating such space in the
Balkans in which nothing can be done without its mediation," he said.

The results of the Montenegrin referendum may affect Belgrade's
position on the Kosovo issue, Milosevic said.

"Serbian authorities have experienced a moral blow. Serbian's position
on Kosovo has weakened, since the state UN Security Council resolution
1244 referred to no longer exists," he said.

The Montenegrin referendum will speed up elections in Serbia and
"intensify centrifugal ambitions" in the Balkans, he said.

"They say that certain Montenegrin Albanians are already demanding an
independence referendum for future unification with independent
Kosovo. Albanians' separatist feelings will also intensify in
Macedonia," he said.





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