Informazione

Fonte: yugoslaviainfo

Interfax
May 22, 2006


Serbia-Montenegro union has been unsustainable from the beginning -
Milosevic


-"They say that certain Montenegrin Albanians are already demanding an
independence referendum for future unification with independent Kosovo.
Albanians' separatist feelings will also intensify in Macedonia."


MOSCOW - The State Union of Serbia and Montenegro was not viable and
needed reform from the very start, Borislav Milosevic, brother of the
late Yugoslav president Slobodan Miselovic and former Yugoslav
ambassador in Moscow, told Interfax on Monday.

"The State Union of Serbia and Montenegro, which was put together by
the European Union, primarily Javier Solana, in early 2003, lacked
substance and was not viable. There is a bitter, but true, Russian
proverb, 'only a grave can cure a hunchback'," Milosevic said,
referring to the results of the Sunday referendum on Montenegrin
independence.

The Union was bound to witness serious changes eventually, he said.

The European Union has played a sizable role in Balkan political
processes, Milosevic said. "The EU is creating such space in the
Balkans in which nothing can be done without its mediation," he said.

The results of the Montenegrin referendum may affect Belgrade's
position on the Kosovo issue, Milosevic said.

"Serbian authorities have experienced a moral blow. Serbian's position
on Kosovo has weakened, since the state UN Security Council resolution
1244 referred to no longer exists," he said.

The Montenegrin referendum will speed up elections in Serbia and
"intensify centrifugal ambitions" in the Balkans, he said.

"They say that certain Montenegrin Albanians are already demanding an
independence referendum for future unification with independent
Kosovo. Albanians' separatist feelings will also intensify in
Macedonia," he said.





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Montenegro, il delirio della politica europea


1. Due articoli di Tommaso di Francesco:

Dieci, cento, mille secessioni / Finalmente uno Stato per Milo


2. Selezione di notizie ANSA:

# MANICOMIO CRIMINALE PER SOLANA:
GOVERNO BASCO, IN FUTURO REFERENDUM ANCHE EUSKADI /
REFERENDUM;SOLANA,DELIRANTI RAFFRONTI CON SPAGNA / NAZIONALISTI
SPAGNOLI SALUTANO RISULTATO / SPAGNA, BATASUNA INVITA A RISPETTARE
RISULTATO / NESSUN PRECEDENTE PER SPAGNA, GOVERNO

# NOBILTÀ NERA:
REFERENDUM, FORZE ARMATE RISPETTANO RISULTATO / << ... Il ministro
degli esteri Vuk Draskovic ha tuttavia espresso la convinzione che
Belgrado debba essere pronto a riconoscere il Montenegro indipendente
non appena l'esito del voto verra' ufficializzato e ha auspicato che
la Serbia possa approfittare della fine di quest'ultimo vincolo
jugoslavo per ''raccogliersi attorno al principe Aleksandar
Karageorgevic'', erede dell'ex dinastia regnante nazionale, e
rifondarsi come una moderna ''monarchia costituzionale'' ... >> /
MONTENEGRO: EMANUELE FILIBERTO SAVOIA, SI PREPARA NUOVO CORSO /
Parigi 23/5: la Francia festeggia con sua maestà Nikola Petrovic
Njegos principe del Montenegro

# UN PEZZO DI MONTENEGRO NELLA GRANDE ALBANIA:
BERISHA, ADESSO REGIONE PIU' STABILE / KOSOVO,INDIPENDENZA ARRIVERA'
ANCHE PER NOI/ ANSA

# IL CAMORRISTA ESULTA:
LEGALE DJUKANOVIC, ORA PREMIER HA IMMUNITA' PENALE / DJUKANOVIC INVIA
MESSAGGIO A PRODI

# ODIO IDEOLOGICO:
MONTENEGRO: LA CROAZIA SI FELICITA CON L'EX NEMICO ( << ... ''L'esito
del referendum montenegrino segna la definitiva morte politica della
Jugoslavia nata dopo la Prima guerra mondiale'', ha detto il
presidente del parlamento croato Vladimir Seks... Negli ultimi giorni
la stampa e l'opinione pubblica croata erano visibilmente favorevoli
al divorzio del Montenegro vedendo in esso la logica conclusione
della dissoluzione della federazione fondata nel 1945 dal maresciallo
Tito... >> )

# DIVIDE ET IMPERA:
UE, VOTO REFERENDUM E' LEGITTIMO / REFERENDUM; PER USA OK, ESERCIZIO
DEMOCRAZIA / UE; REHN, NUOVA PROSPETTIVA PER ADESIONE


=== 1 ===

il manifesto
23 Maggio 2006

Dieci, cento, mille secessioni

Tommaso Di Francesco

Da ieri, con la secessione del Montenegro dalla Serbia, invece di
un'Europa più forte e allargata, abbiamo uno stato in più, più
frontiere escludenti protette da quello che sarà un nuovo esercito.
Con una storia contrapposta «dopo 90 anni» di rivendicazioni e un
revisionismo attivo di «valori» e «identità» non ben definite che
camminano verso il possibile avvento di nuove monarchie. Tra gli
spettri dei Balcani nasce l'ombra di un nuovo stato, lo stato per
Milo, grande come mezzo Trentino e con tanti abitanti quanto la
provincia di Catania. Djukanovic, inquisito in Italia per
«associazione mafiosa», l'ha tanto voluto che per questo ha
organizzato anche 150 voli aerei gratis di votanti dall'Europa,
tagliandone 34 da Belgrado. Poi, con l'avallo delle organizzazioni
del Vecchio continente, l'Ue e l'Osce, il Consiglio d'Europa, è
arrivato lo stato «autodeterminato». Com'è possibile l'avvento di una
nazione fresca di nomina e la rimessa in discussione dei confini in
Europa, mentre a Ventotene si richiama in vita l'europeismo e
addirittura il nuovo presidente della repubblica dichiara il limite
storico di ogni nazionalismo? E mentre ci prepariamo a votare contro
la devolution dei privilegi territoriali per una superiore
solidarietà del paese? Ma tutto è fatto «secondo gli standard
internazionali» dicono dal fortino di Bruxelles. Allora ha un bel
dire l'ineffabile Javier Solana, factotum della politica estera
europea, quando scandalizzato denuncia come «delirante» ogni
riferimento degli autonomisti baschi e catalani al «modello
montenegrino» e al «precedente di Podgorica». Ora si fa avanti
perfino la Lega che ci fa un pensierino, e addirittura
l'immarcescibile Eva Klotz dichiara che «il Montenegro è un esempio
per il Südtirol». Perché dobbiamo auspicare per noi il contrario di
quello che approviamo per i Balcani. Delle due l'una: o le secessioni
non vanno bene da nessuna parte - nei Balcani e «da noi» - risultando
infatti ormai solo eterodeterminazioni gravide di guerra. Oppure sono
un traguardo ovunque. E allora di che devolution stiamo parlando?
Viva le secessioni.

---

il manifesto
23 Maggio 2006

Finalmente uno Stato per Milo

Il capo della commissione elettorale annuncia prima del tempo
l'indipendenza del Montenegro: il 55,4% a favore, il 44,6% contro.
Tutto bene per Ue e Osce

Tommaso Di Francesco

Dovevano essere ancora scrutinate 25mila schede di 45 seggi ieri
mattina quando, alle 10,30 circa il capo della commissione
elettorale, lo slovacco Frantisek Lipka - esponente di un paese che
fece una secessione autoritaria nel 1992-1993 senza coinvolgere in un
referendum la popolazione ceca e slovacca -, ha confermato con queste
parole la vittoria del sì al referendum per l'indipendenza del
Montenegro dalla Serbia: «Il 55,4% degli elettori si è espresso a
favore e il 44 per cento per il mantenimento dello stato unico».
Mancavano (sic) allo scrutinio, secondo la stessa commmissione
elettorale, 25mila schede, più del 5%dei 480mila elettori aventi
diritto. La sceneggiatura doveva essere rispettata e bisognava
riconoscere ben prima del tempo utile che la quota di «più del
55%»prevista dall'Unione europea per dare legittimità alla scelta
referendaria, era stata superata almeno di qualche decimale in più,
lo 0,4% - mentre i voti che non erano stati contati erano ancora più
del 5%. Una cosa vergognosa, ma non era finita. Perché ci sono state
le quasi eguali, enfatiche felicitazioni arrivate da opposte sponde,
da Niki Vendola con un occhio agli interessi pugliesi, e da Emanuele
Filiberto, con un occhio al passato monarchico e al legame con Casa
Savoia del Montenegro. Passato mica tanto, visto che lo ieratico
ministro Vuk Draskovic da Belgrado ha invitato la Serbia ad accettare
la separazione di Podgorica e a «stringersi attorno alla famiglia
reale dei Karadjorgevic » per rifondarsi come «monarchia
costituzionale ». Una giornata comunque che era cominciata peggio:
nella notte il premier indipendentista Milo Djukanovic aveva
sostanzialmente preannunciato la vittoria facendo scendere in piazza
i separatisti e facendo capire che quelli erano solo una piccola
avanguardia degli altri pronti a scendere in piazza. Così il
Montenegro ha votato, di strettissima misura - il paese resta
pericolosamente spaccato - per l'indipendenza e tutte le istituzioni
internazionali che si battono il petto per difendere il federalismo,
si sono congratulate per la devastazione dell'ultimo residuo di
federalismo della Jugoslavia di Tito. Il risultato del referendum,
che ha visto un'affluenza dell'86,3% dei 485mila aventi diritto, è
stato in un primo tempo contestato dal leader del fronte unionista,
il socialista Predrag Bulatovic. Ma dall'Unione europea è arrivato un
avallo con l'alto rappresentante per la politica estera, Javier
Solana, che si è «congratulato con il popolo montenegrino». Anche per
l'Osce - storica organizzazione sulla Sicurezza e Cooperazione
europea, dal triste ricordo per la responsabilità avuta
nell'abbandono della missione civile in Kosovo che diede il via ai
raid della Nato - tutto è andato «secondo gli standard internazionali
». Ora con la vittoria nel referendum, il Montenegro pone fine a
un'unione storica con la Serbia che andava avanti dal 1918, senza
dimenticare che l'attuale entità statale era stata formata nel 2003
sotto gli occhi dello stesso Javier Solana che ora plaude alla
secessione. Il premier montenegrino Djukanovic, che adesso ha un suo
stato - uno stato per Milo -, ha sempre sostenuto che l'indipendenza
faciliterà l'integrazione nella Ue, e ieri ha annunciato che adesso
il principale obiettivo di questo nuovo paese sovrano è l'ingresso
nell'Unione Europea, celebrando il coronamento di un decennio di
battaglie per staccarsi da Belgrado dopo essere stato nel 1992 il
beniamino di Milosevic. L'obiettivo è raggiungere l'integrazione
nella Ue subito dopo Bulgaria, Romania - il cui ingresso è stato però
rimandato al 2007 pochi giorni fa dall'Ue - e Croazia, ma prima di
Macedonia, Albania e Serbia - con Belgrado i negoziati erano stati da
poco sospesi perché la Serbia-Montenegro non ha ancora estradato il
presunto criminale di guerra serbo, Radko Mladic. Sarà la Serbia ad
ereditare le sedi internazionali, come il seggio alle nazioni unite.
Si divideranno le ambasciate, e si apre un nuovo affare: chi armerà
il nuovo esercito montenegrino? La Serbia resta senza sbocco al mare.
Ci sarà scontro sulla marina militare e le sue appetibili basi. Lo
sconfitto è il premier Vojislav Kostunica che si è battuto per
l'unione di stato. E gli ultranazionalisti Radicali stavolta mandano
a dire da Belgrado che lavoreranno per la riunificazione.


=== 2 ===

### MANICOMIO CRIMINALE PER SOLANA ###

MONTENEGRO: GOVERNO BASCO,IN FUTURO REFERENDUM ANCHE EUSKADI

(ANSA) - MADRID, 20 MAG - Il premier basco Juan Jose Ibarretxe ha
affermato che Euskadi (il paese basco) ''decidera' il proprio
futuro'' cosi' come lo fara' domani il Montenegro con il referendum
di autodeterminazione. Una delegazione del governo regionale basco,
guidata dal responsabile delle relazioni internazionali Inaki Agirre,
si trova gia' in Montenegro, su invito delle autorita' locali per
assistere al referendum dove gli indipendentisti contano di riportare
una vittoria. Ibarretxe, parlando davanti al parlamento regionale, ha
riconosciuto che Montengro ed Euskadi sono due realta' differenti con
cammini distinti ma legate da un nesso comune, e cioe' che entrambe
decideranno il proprio futuro con un referendum. ''Montenegro decide
domenica il suo futuro, cosi' come noi lo decideremo egualmente qui
un giorno'' ha detto Ibarretxe. Nei giorni scorsi Arnaldo Otegi,
leader del partito indipendentista fuorilegge Batasuna, aveva
sottolineato che il voto montenegrino dimostra che si possono tenere
referendum di autodeterminazione in Europa ed aveva invitato l'UE a
''non guardare dall'altra parte'' e a favorire questo diritto anche
nel Paese Basco. Un diritto, aveva detto, il cui riconoscimento
renderebbe ''irreversibile'' il processo in atto per por fine
all'ultimo conflitto armato nell'Unione Europea. (ANSA). GEL
20/05/2006 11:57

MONTENEGRO: REFERENDUM;SOLANA,DELIRANTI RAFFRONTI CON SPAGNA

(ANSA) - BRUXELLES, 22 MAG - Ogni raffronto tra il referendum
sull'indipendenza in Montenegro e il dibattito in corso in Spagna
sull'autodeterminazione dei Paesi Baschi ''sfiora il delirio'': cosi'
l'Alto rappresentante Ue alla politica estera, Javier Solana, ha
risposto alle domande che gli ponevano i cronisti di Madrid dopo il
voto a Podgorica. Al termine di un incontro con la stampa nel quale
ha commentato la vittoria dei 'si'' al referendum montenegrino,
Solana ha sottolineato che non e' possibile stabilire ''alcuna
somiglianza'' fra questo voto e ''altri paesi europei''. Ogni
raffronto su questo punto ''sfiora il delirium tremens'', ha
sottolineato l'Alto rappresentante. (ANSA) RIG
22/05/2006 13:48

MONTENEGRO: NAZIONALISTI SPAGNOLI SALUTANO RISULTATO

(ANSA) - MADRID, 22 MAG - I nazionalisti baschi e catalani hanno oggi
salutato la vittoria degli indipendentisti nel referendum montengrino
esprimendo la speranza che cio' possa avvenire in futuro anche nelle
loro regioni. Il Partito nazionalista basco (Pnv), al governo in
Euskadi, ha detto che il risultato montenegrino ''e' una buona
notizia'' e un ''esercizio di democrazia'' che fa sperare che in
futuro ''si riconosca anche ai baschi il diritto di decidere''. Josep
Lluis Carod Rovira del partito Sinistra repubblicana di Catalogna
(Erc) ha espresso ''una sana invidia democratica'' nei confronti del
Montenegro. Ed ha spiegato che mentre quel paese ha potuto scegliere
l'indipendenza, la Catalogna andra' al futuro referendum solo per
approvare ''uno statuto di autonomia tagliato'' dall'intervento del
parlamento spagnolo. (ANSA). GEL
22/05/2006 17:18

MONTENEGRO: NAZIONALISTI SPAGNOLI SALUTANO RISULTATO (2)

(ANSA) - MADRID, 22 MAG - Per il partito fuorilegge basco Batasuna,
il referendum montenegrino ''stabilisce un precedente, che conferma
che il diritto all'autodeterminazione esiste e si applica all'interno
dell'UE''. Joseba Alvarez, responsabile degli affari internazionali
di Batasuna ha detto all'Ansa che le dichiarazioni di Solana secondo
cui sarebbe ''un delirio'' paragonare la situazione montenegrina con
quella basca dimostra solo ''l'ossessione della classe politica'' a
voler negare precedenti e parallelismi come gia' nel caso irlandese.
''E' vero che il Paese Basco e' diverso dal Montenegro ma e' anche
vero che questo voto dimostra che l'autodeterminazione non e' cosa
del passato ma un diritto dei popoli che si applica quando c'e'
volonta' politica''. (ANSA). GEL
22/05/2006 17:51

MONTENEGRO: SPAGNA, BATASUNA INVITA A RISPETTARE RISULTATO

(ANSA) - MADRID, 23 MAG - Il partito indipendentista basco Batasuna
ha invitato ''la comunita' internazionale ed europea a rispettare
cio' che il popolo del Montenegro ha deciso in maniera democratica''.
Batasuna, posto fuorilegge sotto il governo di Jose' Maria Aznar
perche' considerato ala politica dell'Eta, in una dichiarazione
afferma che il referendum del Montenegro e' un esempio e un
precedente per le ambizioni indipendentiste di Euskadi perche'
''dimostra che il diritto all'autodeterminazione e' reale e si
applica oggi nel cuore dell'Europa''. Rispondendo al responsabile di
politica estera dell'Ue, Javier Solana che ha definito ieri
''delirante'' qualsiasi paragone fra Montenegro e Paese Basco,
Batasuna ricorda che ''il diritto all'autodeterminazione appartiene
ai popoli'' e quindi anche al popolo basco cosi' come a quello del
Montenegro. (ANSA). GEL
23/05/2006 09:38

MONTENEGRO: NESSUN PRECEDENTE PER SPAGNA, GOVERNO

(ANSA) - MADRID, 22 MAG - La vittoria degli indipendentisti al
referendum in Montenegro ''non e' in alcun modo un precedente'' che
si possa applicare alla situazione interna spagnola, in riferimento
ai casi del Paese Basco o della Catalogna. Lo ha detto all'Ansa un
portavoce del ministero degli esteri a Madrid. Il portavoce ha
spiegato che il referendum montenegrino era previsto dalla stessa
costituzione federale con la Serbia, mentre in Spagna la costituzione
non contempla nulla del genere. La fonte ha aggiunto che dato il
rispetto della democrazia e delle regole con cui si e' svolto il
referendum, il suo risultato non puo' che essere accettato e
''accompagnato'' dall'Europa come ''una decisione che spetta ai
montenegrini''. Il ministero degli esteri spagnolo esprime l'auspicio
che la messa in atto della secessione del Montenegro avvenga in modo
tale da non recar danno alla ''stabilita' e alla pace regionale''.
(ANSA). GEL
22/05/2006 18:20


### NOBILTÀ NERA ###

MONTENEGRO: REFERENDUM, FORZE ARMATE RISPETTANO RISULTATO

(ANSA) - BELGRADO, 22 MAG - Il ministero della difesa serbo-
montenegrino ha ribadito oggi da Belgrado che le forze armate
congiunte - destinate a dividersi dopo l'annunciata vittoria del si'
nel referendum per l'indipendenza del piccolo Montenegro dalla Serbia
- non interferiranno in alcun modo nel processo referendario.
''Rispetteremo la volonta' dei cittadini del Montenegro, nonche' le
decisioni politiche e gli accordi che i leader dei due Paesi (Serbia
e Montenegro) prenderanno dopo la pubblicazione dei risultati finali
del referendum'', si legge in una nota ufficiale diffusa stamattina.
Il vertice del governo serbo, e in particolare il premier Vojislav
Kostunica, critico verso le posizioni indipendentiste, non ha ancora
reagito al referendum. Il ministro degli esteri Vuk Draskovic ha
tuttavia espresso la convinzione che Belgrado debba essere pronto a
riconoscere il Montenegro indipendente non appena l'esito del voto
verra' ufficializzato e ha auspicato che la Serbia possa approfittare
della fine di quest'ultimo vincolo jugoslavo per ''raccogliersi
attorno al principe Aleksandar Karageorgevic'', erede dell'ex
dinastia regnante nazionale, e rifondarsi come una moderna
''monarchia costituzionale''. La stampa belgradese, da parte sua, al
pari di quella locale montenegrina, da' per acquisita gia' sulle
prime pagine di stamattina la scelta secessionista del Montenegro.
''Indipendenza'', titola ad esempio Vecernje Novosti; ''Divorzio'',
fa eco il tabloid Blic; ''Indipendenza di misura per il Montenegro'',
sottolinea il piu' posato Danas; ''Fine'', sintetitzza a tutta pagina
il popolare Press. (ANSA). LR
22/05/2006 11:26

MONTENEGRO: EMANUELE FILIBERTO SAVOIA,SI PREPARA NUOVO CORSO

(ANSA) - ROMA, 22 MAG - ''Ho appreso con vivo compiacimento che la
Commissione Elettorale di Podgorica ha confermato il risultato del
Referendum che ieri ha sancito l'indipendenza del Montenegro dalla
Serbia'': e' il commento di Emanuele Filiberto di Savoia al risultato
del referendum. ''Il legame tra Casa Savoia e il Montenegro -
aggiunge - e' ancora vivo e forte. Questo rapporto di amicizia nasce
nel 1896 quando la Principessa Elena Petrovich Njégoch, figlia del Re
Nicola I del Montenegro, ha sposato il mio bisnonno Vittorio Emanuele
III, Re d'Italia. Questa amicizia si e' rinnovata nei decenni e
ancora oggi vede la mia famiglia in stretto contatto con molti
montenegrini e con il Principe Nicola del Montenegro''. ''Sono certo
- dice ancora Emanuele Filiberto - che il ritorno all'indipendenza
dello stato adriatico sara' motivo di riavvicinamento all'Italia e a
tutta l'Europa, un nuovo corso per rilanciarne l'economia e lo
sviluppo oltre a rinnovare e promuovere gli scambi culturali e
turistici. Augurandomi che, nel solco della tradizione secolare,
l'Italia divenga un partner ideale per il supporto allo sviluppo
montenegrino, rivolgo i piu' calorosi auguri al Premier Milo
Djukanovic e a tutti i montenegrini affinché si realizzino i loro
sogni in questa nuova sfida. Sono molto vicino a tutti loro -
conclude - nel ricordo della mia bisnonna la Regina Elena che lega i
nostri Paesi nell'affetto sincero''.(ANSA). QA
22/05/2006 17:21

---

Parigi 23/5: la Francia festeggia con sua maestà Nikola Petrovic
Njegos principe del Montenegro

http://balkans.courriers.info/article6692.html

PARIS (75012)
Conférence débat : le Monténégro après le référendum
LE COURRIER DES BALKANS/AFEBALK
Mise en ligne : mardi 23 mai 2006
Le 23 mai à 19 H 30
Maison d’Europe et d’Orient
3 passage Hennel 75012 Paris
accès par le 105 avenue Daumesnil
Métro Gare de Lyon - sortie Bd. Diderot / ou Bus 57 ou 29
Deux jours après le référendum du 21 mai, le Courrier des Balkans et
l’AFEBalk vous donnent rendez-vous pour analyser à chaud les
résultats, en présence de :
Prince Nicolas Petrovitch Njegosh de Monténégro, président du
Courrier des Balkans
Amaël Cattaruzza, docteur en géographie, secrétaire du Courrier des
Balkans et de l’AFEBalk
Yves Tomic (BDIC, Paris X Nanterres, Président de l’AFEBalk).


### UN PEZZO DI MONTENEGRO NELLA GRANDE ALBANIA ###

MONTENEGRO: BERISHA, ADESSO REGIONE PIU' STABILE

(ANSA) - TIRANA, 22 MAG - ''La vittoria del referendum per
l'indipendenza del Montenegro, insieme alla futura indipendenza del
Kosovo, faranno definitivamente archiviare una lunga storia di guerre
nella regione'': lo ha detto il premier albanese Sali Berisha nel suo
primo commento ai risultati del voto giunti da Podgorica. ''Da oggi
in poi tutti i cittadini del Montenegro, senza distinzione di etnia,
saranno piu' liberi, e i Balcani piu' stabili e piu' sicuri'' ha
aggiunto Berisha. Il premier ha voluto rivolgere una rassicurazione
al governo montenegrino sulla volonta' dell'Albania di ''espandere e
approfondire ulteriormente la collaborazione con il nuovo Stato
indipendente''. Berisha si e' infine compiaciuto per l'atteggiamento
avuto dal governo serbo nei confronti del ''diritto dei montenegrini
all'autodeterminazione', un comportamento che secondo il premier
albanese ''aiuta la Serbia a distaccarsi dal suo passato''.(ANSA) BLL-
COR
22/05/2006 17:51

MONTENEGRO: KOSOVO,INDIPENDENZA ARRIVERA' ANCHE PER NOI/ ANSA

(ANSA) - PRISTINA, 22 MAG - In Kosovo si festeggia l'indipendenza del
Montenegro, quasi come fosse la propria stessa indipendenza. Un
traguardo che gli albanesi dell'attuale provincia autonoma inseguono
da 17 anni, essendo stati i primi tra i popoli dell'ex federazione
jugoslava a chiedere un referendum sull'autodeterminazione. Tutta la
leadership albanese del Kosovo si e' espressa oggi con toni
entusiastici per il risultato raggiunto da Podgorica. Di sapore
naturalmente opposto le reazioni della minoranza serba che ha
considerato quel voto ''un autentico tradimento''. ''L'indipendenza
del Montenegro, insieme alla futura indipendenza del Kosovo, faranno
definitivamente archiviare una lunga storia di guerre nella
regione'', ha commentato il premier albanese Sali Berisha. ''Da oggi
in poi tutti i cittadini del Montenegro, senza distinzione di etnia,
saranno piu' liberi, e i Balcani piu' stabili e piu' sicuri'' ha
aggiunto. ''La separazione del Montenegro dall'unione con la Serbia
consacrata dal referendum, fa cadere anche l'ultimo alibi che ci
negava il diritto all'indipendenza'' spiega un analista di Pristina.
Il riferimento e' alla risoluzione 1244 delle Nazioni Unite che nel
1999 fisso' le regole da seguire dopo la fine del conflitto fra
Belgrado e la Nato, e che fissava un Kosovo come ''parte della
federazione jugoslava'', quindi non indipendente. Ma con la piena
sovranita' riconosciuta ora al Montenegro, la federazione non esiste
piu', e quindi secondo gli albanesi decade anche quell'ultimo vincolo
sancito dalle Nazioni Unite. E' soprattutto con questa prospettiva
che gli albanesi del Montenegro, che costituiscono il 7 per cento
della popolazione, hanno votato in favore della secessione da
Belgrado. Un voto addirittura decisivo, alla luce di quel risicato
0,4 per cento che ha sancito la vittoria dei ''si''. Tirana si e'
detta compiaciuta per l'atteggiamento dimostrato dal governo serbo
nei confronti del ''diritto dei montenegrini all'autodeterminazione',
un comportamento che secondo il premier albanese ''aiuta la Serbia a
distaccarsi dal suo passato''. Affermazione che suona anche come
un'implicita esortazione a proseguire su questa strada, ora che i
negoziati sullo status del Kosovo entrano nella loro fase definita e
cruciale. Anche Pristina tento' di staccarsi da Belgrado con un voto
popolare: era il 1989, la consultazione non autorizzata dal governo
serbo si concluse con il 100 per cento dei voti a favore della
secessione ma il risultato non venne riconosciuto da nessuno Stato.
Fu l'inizio della repressione da parte della Serbia, cui segui' la
resistenza (prima pacifica, poi armata) sostenuta poi dai
bombardamenti della Nato e rimpiazzata infine da un protettorato
internazionale, che va avanti da sette anni e che nei prossimi mesi
potrebbe concludersi con la proclamazione dell'agognata indipendenza.
Non piu' attraverso un referendum, come accaduto per i montenegrini,
ma tramite un negoziato che va faticosamente avanti fra Pristina e
Belgrado e con la mediazione della comunita' internazionale. (ANSA).
BLL-COR
22/05/2006 19:55


### IL CAMORRISTA ESULTA ###

MONTENEGRO: LEGALE DJUKANOVIC,ORA PREMIER HA IMMUNITA' PENALE

(ANSA) - BARI, 22 MAG - ''Il referendum ha confermato l'assunto del
primo ministro, Milo Djukanovic, circa la sovranita' del Montenegro:
quindi ora nessun dubbio puo' rimanere circa l'immunita' dei capi di
Stato e di governo di cui godeva e gode Djukanovic''. Ne e' convinto
il penalista napoletano Enrico Tuccillo, difensore di Milo
Djukanovic, indagato a Bari per associazione mafiosa finalizzata al
traffico di sigarette di contrabbando e al riciclaggio di danaro,
reati contestati tra la fine degli anni Novanta e il 2000.
Sull'immunita' dalla giurisdizione penale si era pronunciata lo
scorso anno la Cassazione che aveva affermato che a Djukanovic non
spetta l'immunita' riservata ai capi di Stato e di governo, non
essendo il Montenegro uno Stato sovrano e un soggetto autonomo ed
indipendente. A giudizio del legale, anche a seguito del risultato
del referendum che ha proclamato l'indipendenza dalla Serbia, ''tutte
le indagini compiute dalle Procure di Napoli e Bari, che non hanno
portato a nulla, devono essere dichiarate improcedibili perche' il
presidente Djukanovic gode di un'immunita' di carattere assoluto.
Cio' vuol dire che non si puo' procedere ne' nel merito ne' contro la
persona''. ''Djukanovic - continua il legale - ha sempre confermato
di non temere il merito delle accuse che sono inesistenti, ma non
poteva accettare l'interpretazione secondo cui il Montenegro non
fosse uno Stato, e che al suo presidente della Repubblica e al capo
del suo governo non fosse riconosciuta l'immunita' dalla
giurisdizione penale''. ''Stasera - conclude Tuccillo - su invito del
presidente Djukanovic, assieme ai miei colleghi di studio che hanno
seguito in caso giudiziario, mi rechero' in Montenegro per
festeggiare l'emozione di un popolo sovrano che proclama al mondo la
propria liberta' e la propria indipendenza''. (ANSA). BU
22/05/2006 18:27

MONTENEGRO: DJUKANOVIC INVIA MESSAGGIO A PRODI

(ANSA) - BELGRADO, 22 MAG - Il primo ministro montenegrino, Milo
Djukanovic, alfiere dell'indipendenza dalla Serbia, ha inviato oggi
un messaggio di felicitazioni al nuovo presidente del Consiglio
italiano, Romano Prodi, tra i suoi primi atti pubblici seguiti alla
vittoria nel referendum di ieri. Nel messaggio, Djukanovic ha
ricordato ''la lunga tradizione di amicizia e buon vicinato'' tra
Italia e Montenegro, definendola ''buona base per un'ulteriore
collaborazione''. Il leader di Podgorica - tuttora nel mirino della
magistratura italiana per una controversa vicenda di traffico di
sigarette risalente ad alcuni anni or sono - ha quindi sottolineato
che ''la riconquista della piena sovranita''' da parte del Montenegro
''apre nuove possibilita''' alle prospettive di cooperazione
bilaterale. (ANSA). LR
22/05/2006 19:30


### ODIO IDEOLOGICO ###

MONTENEGRO: LA CROAZIA SI FELICITA CON L'EX NEMICO

(ANSA) - ZAGABRIA, 22 MAG - I piu' alti dirigenti politici croati si
sono felicitati oggi con i loro colleghi montenegrini per il
risultato positivo del referendum sull'indipendenza dell'ultima
repubblica jugoslava per lasciare la federazione che dieci anni fa
insieme alla Serbia con le armi contesto' il diritto della Croazia a
divorziare da Belgrado. ''Si tratta di un evento cruciale nella
recente storia del Montenegro '' ha scritto il presidente croato
Stipe Mesic in un comunicato diffuso a Zagabria ed ha aggiunto ''di
essere convinto che l'esistenza di un Montenegro stabile e
progredito, devoto ai valori europei, sia anche nell'interesse della
Croazia''. Anche il premier Ivo Sanader, oggi in visita in Macedonia,
si e' felicitato con il premier montenegrino Milo Djukanovic, leader
del campo indipendentista, dicendosi sicuro che la piena indipendenza
di Podgorica contribuira' alla stabilizzazione dell'intera regione
dei Balcani e all'avvicinamento del Montenegro alle integrazioni
euroatlantiche. ''L'esito del referendum montenegrino segna la
definitiva morte politica della Jugoslavia nata dopo la Prima guerra
mondiale'', ha detto il presidente del parlamento croato Vladimir
Seks in una lettera inviata al suo omologo montenegrino Ranko
Krivokapic. Seks ha auspicato che anche i montenegrini che ieri hanno
votato per l'unione con la Serbia accetteranno con sincerita' e
lealta' il risultato e che non ci saranno contestazioni o
boicottaggi. Le relazioni tra Zagabria e Podgorica si sono
stabilizzate sin dalla fine degli anni Novanta e la conclusione delle
guerre jugoslave nelle quali i due paesi si erano trovati dalla parte
opposta, in particolar modo dopo le scuse di Djukanovic a tutti i
croati che hanno eventualmente sofferto per la partecipazione dei
suoi connazionali nelle operazioni belliche dell'esercito jugoslavo,
controllato all'epoca dall'uomo forte di Belgrado, il presidente
serbo Slobodan Milosevic. Negli ultimi giorni la stampa e l'opinione
pubblica croata erano visibilmente favorevoli al divorzio del
Montenegro vedendo in esso la logica conclusione della dissoluzione
della federazione fondata nel 1945 dal maresciallo Tito. (ANSA). COR
22/05/2006 18:25


### DIVIDE ET IMPERA ###

MONTENEGRO: UE, VOTO REFERENDUM E' LEGITTIMO

(ANSA) - BRUXELLES, 22 MAG - La presidenza austriaca di turno dell'Ue
ha riconosciuto la ''legittimita' del referendum'' sull' indipendenza
del Montenegro. L'Ue ha inoltre sottolineato di ritenere che ''il
voto verra' riconosciuto da tutte le forze politiche del paese e
della regione'', afferma in una nota la ministro degli esteri di
Vienna, Ursula Plassnik, precisando che ''la legittimita'' del
referendum e' ''assicurato'' dall'alta affluenza alle urne. (ANSA) RIG
22/05/2006 19:18

MONTENEGRO: REFERENDUM; PER USA OK, ESERCIZIO DEMOCRAZIA

(ANSA) - WASHINGTON, 22 MAG - L'Amministrazione degli Stati Uniti
accoglie con soddisfazione lo svolgimento ''regolare'' del referendum
in Montenegro, che ha visto la vittoria degli indipendentisti. Tom
Casey, portavoce del Dipartimento di Stato, esprime ''plauso per la
maniera pacifica, democratica e trasparente in cui si e' svolto il
referendum. Ci congratuliamo quindi con la popolazione del
Montenegro''. ''Pensiamo che il processo vada applaudito'', ha
proseguito il portavoce, notando che ''c'e' stata una grande
affluenza al voto. Ora, aspetteremo di conoscere i risultati
ufficiali'', prima d'esprimere un giudizio di merito. Resta il dato
positivo che gli osservatori dell'Osce hanno constatato la
regolarita' delle consultazioni. Sollecitato dai giornalisti, Casey
non ha voluto fare previsioni su ''possibili legami'' tra l'esito del
referendum in Montenegro e ''i negoziati sullo status del Kosovo''.
(ANSA). I05*GP
22/05/2006 22:21

MONTENEGRO: UE; REHN, NUOVA PROSPETTIVA PER ADESIONE

(ANSA) - BRUXELLES, 23 MAG - La vittoria del si' nel referendum di
domenica ''apre una prospettiva per l'adesione di Montenegro
all'Unione europea'', ha detto il commissario Ue all'allargamento
Olli Rehn, dopo essersi compiaciuto per l'ordinato svolgimento del
voto. ''Ora tutte le parti dovranno rispettare il risultato e
lavorare insieme per costruire un consenso sulla base dei valori e
degli standard europei'', ha aggiunto. Per quanto riguarda la Serbia,
Rehn ha rilevato che Belgrado ha ugualmente la possibilita' di
avvicinarsi all'Ue, ''in particolare cooperando con il Tribunale
penale internazionale (Tpi) per la ex Jugoslavia''. Il negoziato tra
Bruxelles ed i dirigenti serbi e' stato recentemente sospeso a
seguito della mancata consegna alla corte dell'Aja di Radovan
Karadzic e Ratko Mladic, latitanti ormai da dieci anni ed accusati di
genocidio, crimini di guerra e contro l'umanita' per il ruolo avuto
nella guerra dei Balcani. In attesa della conferma dei risultati del
referendum, il commissario all'allargamento ha annunciato che la
Commissione preparera' due proposte per il Consiglio dei ministri:
una per un nuovo Accordo si associazione e stabilizzazione (Asa) da
negoziare con il Montenegro ed una per modificare la trattativa con
la Serbia in conseguenza della divisione tra i due stati. Le
proposte, ha spiegato Rehn, mirano a ''consolidare i risultati
ottenuti ed a gettare le basi affinche' il negoziato possa
continuare''. (ANSA). VS
23/05/2006 12:08


Kao jugoslovenski pioniri, borit'cemo se uvijek za bratstvo i jedinstvo svih naroda !

Come i pionieri jugoslavi, lotteremo sempre per la fratellanza e l'unità di tutti i popoli




SPACCARE I PAESI VA BENE - MA SOLO QUELLI DEGLI ALTRI


Lo spagnolo Xavier Solana - che da segretario generale della NATO nel
1999 guidò i bombardamenti con bombe a grappolo ed uranio impoverito
su piazze, ponti, treni passeggeri, industrie chimiche jugoslave - è
anche il grande sponsor della cancellazione della Jugoslavia dalle
carte geografiche europee per avere voluto la creazione di una
precaria "Unione di Serbia e Montenegro" (nel 2003) ed il successivo
referendum atto a demolire anche di quest'ultima (svoltosi pochi
giorni fa).

MONTENEGRO: REFERENDUM; SOLANA, DELIRANTI RAFFRONTI CON SPAGNA

(ANSA) - BRUXELLES, 22 MAG - Ogni raffronto tra il referendum
sull'indipendenza in Montenegro e il dibattito in corso in Spagna
sull'autodeterminazione dei Paesi Baschi ''sfiora il delirio'': cosi'
l'Alto rappresentante Ue alla politica estera, Javier Solana, ha
risposto alle domande che gli ponevano i cronisti di Madrid dopo il
voto a Podgorica. Al termine di un incontro con la stampa nel quale
ha commentato la vittoria dei 'si'' al referendum montenegrino,
Solana ha sottolineato che non e' possibile stabilire ''alcuna
somiglianza'' fra questo voto e ''altri paesi europei''. Ogni
raffronto su questo punto ''sfiora il delirium tremens'', ha
sottolineato l'Alto rappresentante. (ANSA) RIG
22/05/2006 13:48

In occasione dell'uscita del prossimo numero di "Contropiano per la
rete dei comunisti", anticipiamo l'articolo di fondo di questo numero.
Gli altri temi del nr. 2/2006 di Contropiano:
1) Dibattito su "Rappresentanza politica e accumulazione delle
forze per una ipotesi politica di classe e indipendente"
2) L'avviso ai naviganti (di Giorgio Gattei)
3) Il "bambino e l'acqua sporca". La Rete dei comunisti apre il
dibattito sul Novecento
4) Scala mobile: banco di prova del nuovo governo. Salari al palo
5) Reportage sul movimento contro la precarietà in Francia
6) La rivolta dei latinos dentro e alle frontiere degli Stati
Uniti (Bianca Cerri)
7) Resistenza globale: intervista al FPLP, intervento di Mufid
Keteish (Libano)

Mail: cpiano @...
Sito : http://www.contropiano.org
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Il soft power dell'Europa
Guerra sporca in Iraq ma guerra "pulita" in Afganistan?

Il tragico inganno del "peace keeping"

Le manifeste ambizioni del nucleo duro del governo Prodi

di Sergio Cararo*


In un mondo minacciato dalla guerra e dalla disperata ricerca degli
Stati Uniti tesa a mantenere ed estendere la propria egemonia
globale, in molti ambiti cerca di riaffacciarsi l'ambizione ad un
multilateralismo nella gestione delle relazioni internazionali che
ridimensioni la supremazia statunitense, ricostruendo così quelle
condizioni di equilibrio che, nel bene e nel male, il bipolarismo est-
ovest aveva assicurato dalla fine della II Guerra mondiale alla fine
degli anni Ottanta.

Nella crisi e nella guerra irachena, gli Stati Uniti ed i loro
alleati più stretti si sono posizionati sul terreno della guerra
preventiva e sulla strategia della sicurezza nazionale USA, mentre il
resto del mondo - incluse potenze di un certo rilievo come Francia,
Germania, Russia, Cina - si sono sottratte al coinvolgimento in una
aggressione militare diretta come quella scatenata in Iraq. Lo
stesso posizionamento non è avvenuto però sull'Afganistan (dove sono
aumentate ad esempio le truppe spagnole ritirate invece dall'Iraq) né
sulla destabilizzazione della Siria (dove Francia e USA parlano lo
stesso linguaggio) né sulla neutralizzazione delle ambizioni nucleari
iraniane.

Nel dibattito sull'urgenza di un nuovo multilaterismo nelle relazioni
internazionali si è affacciata una sorta di divaricazione tra i
sostenitori dell'hard power cioè dell'esercizio diretto, brutale e
frontale della forza militare nelle aree strategiche ed i sostenitori
del soft power che affida invece ad un mix di pressioni diplomatiche,
tavoli di negoziato, sanzioni economiche, interventi militari con la
copertura dell'ONU, l'eliminazione dei problemi o dei governi scomodi
ed il controllo delle aree strategiche.

Su questa seconda opzione si sono schierati i governi, le elitè
intellettuali, le forze politiche moderate, progressiste o liberali
che hanno rigettato il brutale intervento militare anglo-statunitense
contro l'Iraq. In realtà queste forze hanno sostenuto anche posizioni
incoerenti, rendendosi responsabili dell'aggressione alla Jugoslavia
o dell'occupazione dell'Afganistan come modello di intervento
"multilaterale", ma criticando l'attacco e l'occupazione dell'Iraq in
quanto modello di intervento "unilaterale". Su tutti pesano poi le
opzioni in cantiere sia negli USA che in Europa per neutralizzare
l'Iran, destabilizzare la Siria, occupare il Darfur per tenere la
Cina fuori dagli assetti africani, determinare chi vincerà la
competizione tra il progetto statunitense del "Grande Medio Oriente"
o quello europeo del "Mercato Unico Euro-Mediterraneo" del 2010.


Soft power, peace keeping, governance: il nuovo lessico del colonialismo

Il cuore della opzione fondata sul soft power e l'intervento
"multilaterale", coincide in larga parte con i principali governi
europei, alle prese anch'essi con la definizione di una propria
dottrina di politica militare ed internazionale adeguata alle
possibilità e alle ambizioni del processo che ha portato alla moneta
unica, all'Unione Europea ed al suo Trattato Costituzionale comune.

In questa ambizione europea va inquadrato il nuovo governo Prodi, un
governo il cui nucleo duro è rappresentato dagli interessi che
spingono verso il Partito Democratico (dai DS al Corriere della Sera,
dalla Margherita alla Confindustria) contorniato dai partiti che
hanno dato vita all'Unione e che sembrano destinati ad un ruolo di
garanzia della stabilità e di marginalizzazione dai poteri
decisionali. Il governo Prodi maneggia questi problemi assai meglio
del suo predecessore Berlusconi, troppo limitato da un appiattimento
controproducente sulle posizioni statunitensi e israeliane. Il nuovo
esecutivo lancia suggestioni accattivanti utilizzando anglismi che
non inquietano più di tanto l'opinione pubblica ed anche settori
della sinistra: soft power, peace keeping e governance saranno
categorie che sentiremo spesso aleggiare quando il governo italiano
dovrà decidere di prendere parte a missioni militari all'estero o a
contribuire al depotenziamento della resistenza globale emersa in
questi anni a livello internazionale contro il neocolonialismo e
l'imperialismo.


In Italia riecheggiano i toni della "guerra umanitaria"

Attendere ancora per sganciare l'Italia dalla guerra, potrebbe essere
fatale, sia per chi è presente sul campo a Nassiriya o in Afganistan,
sia per le conseguenze all'interno del nostro paese, sia per la
prevedibile escalation regionale e globale della guerra in Medio
Oriente.

Mentre la guerra contro il popolo iracheno e afgano continua, le
prospettive di una nuova aggressione all'Iran si fanno ogni giorno
più forti, tornano a farsi sentire anche i templari del "peace
keeping" che quelle truppe, magari, vorrebbero portarle rapidamente
anche in Sudan e in Africa. Due esempi tra tutti: il discorso di
investitura di Giorgio Napoletano e la coraggiosa trasmissione
Report, che domenica 14 maggio ci ha invece offerto un servizio sui
militari italiani in Afganistan decisamente "embedded" e che non
avrebbe affatto sfigurato nelle trasmissioni delle reti Mediaset come
la famigerata "Terra" di Toni Capuozzo. Dunque l'arrivo dei DS al
governo, ci riconsegna un TG3 e le sue rubriche pronte a legittimare
il modello del "peace keeping" e a riaprire e ripetere la vergognosa
pagina del 1999, quando sostennero apertamente e spudoratamente i
bombardamenti "umanitari" contro la Jugoslavia.

La cornice dentro cui il governo Prodi intende dispiegare la sua
azione politica e internazionale, risiede ancora nel ruolo e nelle
ambizioni dell'Unione Europea.

Il primo ministro belga Guy Verhofstadt, qualche tempo fa, riassumeva
bene il ruolo, la percezione e le ambizioni internazionali
dell'Europa "L'Unione Europea gode nel mondo di una fama più moderata
che gli Stati Uniti. L'Europa è rappresentata come un esempio di
cooperazione multilaterale. E' chiamata per mediare e pacificare
nell'ambito di conflitti complessi. L'Europa è vista come un
continente sensibile alle sfide sociali ed ecologiche" (1).

A questa immagine dell'Europa come soggetto capace di cooperazione
multilaterale e di mediazione dei conflitti, fa la sponda anche
Romano Prodi, attuale Presidente del Consiglio in Italia: "L'Europa
si presenta al mondo come il più straordinario esempio di governo
democratico della globalizzazione.Dal Baltico ai Balcani l'Europa sta
dimostrando in modo tangibile quanto essa sia in grado di fare, come
potenza regionale, per la sicurezza e la stabilità internazionale".
Rivendicando "con serenità e con orgoglio" come l'Europa abbia fatto
la sua parte nel Kosovo (sic!), Prodi va un po' oltre e sottolinea
come in questa prospettiva regionale, " le sfide saranno quella del
Mediterraneo e dell'arco dei paesi che si collocano immediatamente al
di là delle frontiere dell'Europa riunificata". Prodi definisce
dunque una precisa area di influenza del modello europeo e del
modello concettuale/operativo con cui intervenire in questa area che
nel 2010 dovrà entrare a far parte del Mercato Unico Euro-
Mediterraneo.(2)


Dal peace keeping al peace-enforcement. Fare la guerra senza dirlo

Secondo un assioma del tutto informale, la divaricazione sugli
strumenti di intervento ed ingerenza nelle crisi internazionali
corrisponderebbe anche ad un posizionamento politico: l'hard power e
il peace enforcement sarebbero di destra mentre il soft power e il
peace keeping sarebbe di sinistra.

Al di là di categorie consolatorie o peggio ancora auto-assolutorie,
niente di ciò sarebbe più errato.

L'esperienza fatta nel teatro di crisi africano dalle missioni
militari dell'Unione Europea in Congo o da quelle francesi in Costa
d'Avorio, fa ritenere ad alcuni osservatori militari come "Il peace-
keeping tradizionale stia lasciando il passo a forme di tutela della
pace decisamente più risolute" e che l'Unione Europea potrebbe
diventare protagonista anche di un intervento militare nel Darfur, in
Sudan (3)

In realtà, come analizzano egregiamente due giuristi - Luisa Lerda e
Vincenzo Di Ferdinando - siamo in presenza di una "evoluzione" degli
strumenti di intervento militare internazionale.

La dottrina del peace keeping ha raggruppato le operazioni di pace -
a seconda del contesto e del periodo storico - in tre categorie:
operazioni di prima, di seconda e di terza generazione (4).

1) Nelle prime vengono comprese tutte le operazioni poste in
essere nel periodo della guerra fredda e portate a compimento prima
del crollo del muro di Berlino. Esse vengono giustificate in base al
capo VI della Carta delle Nazioni Unite che si occupa della soluzione
pacifica delle controversie. Queste operazioni prevedono l'impiego di
militari con compiti di interposizione previo consenso dello Stato
ospite e le forze militari devono mantenersi neutrali tra le parti in
conflitto. E' previsto l'uso delle armi solo per legittima difesa.

2) Le operazioni di "seconda generazione" hanno visto crescere i
compiti di natura civile e attenuarsi la presenza militare (rimpatrio
dei rifugiati, controllo della regolarità di elezioni o referendum,
assistenza umanitaria). Permangono le caratteristiche di neutralità
delle forze impiegate e del consenso degli Stati che ospitano i
contingenti delle missioni;

3) Le operazioni di "terza generazione" si differenziano
sostanzialmente dalle prime due. Le forze militari sono legittimate
all'uso della violenza con il fine non più di mantenere la pace ma di
imporla (peace-enforcement). Dunque rispetto alle prime due
generazioni, i contingenti militari non sono più neutrali e possono
operare anche in assenza del consenso degli Stati in cui intervengono
i contingenti militari delle missioni internazionali. Questo
meccanismo sarebbe consentito dal capo VII della Carta delle Nazioni
Unite che autorizza l'intervento in caso di minaccia alla pace, ma
questo concetto è stato esteso a dismisura andando oltre la minaccia
alla pace ed inserendovi le "catastrofi umanitarie". La guerra
umanitaria nasce dentro questa ambiguità.

Già con il Trattato Europeo di Amsterdam era emersa un'ampia delega
all'Unione Europea per la costituzione e gestione di operazioni
militari di mantenimento della pace che spaziano dal peace keeping di
prima generazione a quelle più "intrusive" che prevedono l'uso della
forza (peace enforcement). Il recente Trattato Costituzionale europeo
va ben oltre.


Il crescente ruolo delle ONG nelle missioni militari

Se fino ad oggi il peace-keeping ha rassicurato gli animi e
consentito alle forze progressiste di nascondere dietro un dito le
proprie ambiguità su missioni militari neocoloniali o sulle ingerenze
militari umanitarie, nel movimento per la pace sarà bene sbarazzarsi
di ogni benevolenza verso questa categoria.

Il crescente coinvolgimento delle ONG nelle operazioni militari di
ingerenza umanitaria, non deve consertire alcuna forma di complicità.
Anche perché i pianificatori militari del Pentagono, della NATO e
dell'Unione Europea condividono ormai il modello di vero e proprio
"outsorcing della guerra" che affida ad agenzie "civili" sia numero
sia ambiti della sicurezza sia la cooptazione delle missioni
umanitarie dentro le operazioni militari vere e proprie.

Questo connubio immorale tra forze armate e organizzazioni civili, ha
fatto che oggi il peace-keeping sia diventato addirittura materia di
insegnamento nelle università italiane. E' il caso delle università
di Bologna, Roma, Firenze, Pisa, Ferrara, Milano,Torino per citarne
alcune.

In un master di "Peace-keeping and security studies" dell'Università
di Roma Tre è prevista la partecipazione di 30 civili e 26 ufficiali
e dirigenti della Difesa. In un master della facoltà di Scienze
Politiche dell'Università di Milano, su 9 docenti, cinque sono civili
e quattro sono ufficiali delle forze armate. La presentazione di
questo master afferma esplicitamente che "Il master si propone di
favorire la condivisione di una base di conoscenza e di linguaggio
comune tra militari e civili, tanto più necessaria quanto frequente
diviene il loro impiego coordinato".

Un analista militare italiano, Giuseppe Romeo, ci toglie da ogni
imbarazzo: "Le missioni di peace-keeping si sono rivelate la nuova
frontiera delle Forze Armate.Le missioni di peace-keeping non possono
esaurire se stesse soltanto nel concepire l'impiego delle Forze
Armate esclusivamente in missioni umanitarie.In Iraq non si gioca una
partita di peace-keeping ma una partita di vera e propria peace-
enforcing" (5)

Questo salto di qualità è stato incubato e sperimentato proprio nella
ex Jugoslavia e con l'aggressione NATO del 1999 contro la Serbia.

I suoi teorici spaziano da Bernard Kouchner (esponente dei MSF/
Francia ed oggi deputato del PSF) alle teste d'uovo di Soros
riunitesi in quell'International Crisis Group (da adesso ICG) che
porta enormi responsabilità nella dissoluzione della Jugoslavia,
nella campagna serbofobica che l'ha accompagnata finanche alla
privatizzazione e annessione delle miniere di Trepca in Kosovo ed
oggi nella crisi dell'Ucraina.

Alla guida dell'ICG c'è il sig. Gareth Evans, ex ministro degli
esteri laburista australiano e candidato al premio Nobel per la Pace
nel 1994 (che invece fu poi assegnato a Yasser Arafat ed a Shimon
Peres) (6).

Secondo Evans, i conflitti e le catastrofi umanitarie vanno
prevenute. Come? "Le strategie di prevenzione strutturale implicano
la consueta miscela di tecniche - strategie di sostegno diplomatico,
economico, politico, mezzi militari - associate alla minaccia di un
intervento militare e perfino al preventivo dispiegamento di truppe
come è successo in Macedonia nel 1998". Quello indicato da Evans è un
contesto molto significativo perché è esattamente lo stesso in cui il
generale inglese Jackson confessava in una famosa intervista, che i
militari inglesi e americani erano in Macedonia per restarvi a
protezione dei corridoi strategici e degli oleodotti che sarebbero
transitati in quel territorio(7)

L'idea di peace-keeping di Evans e dell'ICG è anch'essa emblematica:
"Esistono diversi livelli di utilizzo della forza militare. Uno di
questi è la minaccia in contesto di prevenzione, finalizzata a
mettere i cattivi sull'avviso che in caso di superamento del limite
si troveranno a fronteggiare una reazione militare. Un altro,
corollario della democrazia preventiva, consiste nella spiegamento
preventivo di forze sul campo, finalizzato a dare un segnale
immediato di impegno simbolico. Il terzo è costituito dal
tradizionale sistema previsto dalla Carta delle Nazioni Unite
consistente nel sostegno della resistenza contro le aggressioni
esterne. Il quarto livello è quello propriamente peace-keeping cioè
di tutela di quelle situazioni in cui si è stabilita una qualche
forma di pace e la presenza militare ha scopi di supervisione,
monitoraggio e verifica della tregua" (8). Dunque il peace-keeping
non è la prima ma l'ultima opzione ad esser presa in considerazione
dei teorici dell'ingerenza umanitaria.

La conclusione che possiamo trarne è che il peace-keeping di terza
generazione e nelle condizioni del XXI° Secolo è ormai una dottrina
politico-militare di ingerenza di un altro paese da parte delle
principali potenze in seno all'ONU, alla NATO o all'Unione Europea.

Quest'ultima, con il Trattato Costituzionale Europeo e con il
documento elaborato da Javier Solana, ha avviato un processo assai
rapido per dotarsi dell'hard power militare, tecnologico e politico
che le consenta - come sostiene Solana - di affrontare le nuove
minacce. "In un'era di globalizzazione, le minacce lontane possono
rappresentare una preoccupazione così come quelle che sono più a
portata di mano" afferma Javier Solana "Il concetto di autodifesa
fino alla guerra fredda si basava sulla minaccia di invasione, ma con
le nuove minacce la prima linea di difesa si trova spesso all'estero.
Le nuove minacce sono dinamiche e se abbandonate, diventeranno sempre
più pericolose. Ciò comporta che dobbiamo essere pronti ad agire
prima che si verifichi la crisi" (9).


I signori della guerra a Washington o Bruxelles parlano la stessa lingua

E' quasi incredibile la connessione tra i concetti strategici
espressi da persone dell'establishment diverse tra loro. Bush e i
neocons teorizzano la guerra preventiva; un laburista come Gareth
Evans teorizza l'intervento militare preventivo sul terreno ; il
rappresentante della politica estera e di sicurezza europea Javier
Solana afferma che occorre essere pronti ad agire preventivamente
anche al di fuori dei confini dell'Unione Europea. Ma non ci avevano
detto che il soft power dell'Europa e il modello del peace-keeping
erano diversi e alternativi all'hard power e alla guerra preventiva
di Bush dei cattivi americani? Ha le idee chiare su questo il prof.
Arturo Colombo che, intervistato dal Manifesto sulla espansione a sud
della missione militare in Afganistan ha sottolineato come "si
tratterà di una missione estremamente pericolosa, anche se continuerà
a operare nella finzione di un'operazione di peace keeping. Questo
secondo elemento, se rappresenta un vantaggio dal momento che
fornisce all'ISAF legittimazione ufficiale, d'altro lato - quando
inizieranno ad arrivare le prime vittime - svelerà l'ipocrisia di
fondo di un'operazione che è anche di guerra mascherata da missione
di pace" (10).

Il ricorso agli anglismi nel linguaggio politico rischia di
confondere non solo le parole e le categorie ma rischia di fare
confusione nelle idee e nelle posizioni politiche della sinistra
italiana e dei movimenti per la pace. Quel "NO alla guerra senza se e
senza ma" ci risulta ancora la bussola giusta per orientare l'azione
politica dei movimenti e della sinistra nei prossimi mesi.


* direttore di Contropiano per la rete dei comunisti

Note:

(1) Guy Verhofstadt "Plaidoyer pour un nouvelle atlantisme", l'Aja,
19 Febbraio 2002
(2) Romano Prodi : « L'Europa, il sogno, le scelte », novembre 2003
(3) Report di www.equilibri.net. Aprile 2004
(4) Luisa Lerda, Vincenzo Di Ferdinando: "Le operazioni di peace-
keeping" nel sistema comunitario", in "Diritto e Diritti", rivista
giuridica ondine
(5) Giuseppe Romeo: "Sicurezza industriale" in Pagine Difesa, 2004
(6) L'ICG è stato costituito nel 1995 con le donazioni di George
Soros. Tra i fondatori ci sono l'ex ambasciatore USA in Jugoslavia
Morton Abramovitz, il giornalista de L'Economist Marc Malloch
Brown,lo scrittore Mario Vargas Llosa, l'ex primo ministro francese
Michel Rocard. Nell'attuale consiglio ci sono Emma Bonino, Jaques
Delors, il generale americano Wesley Clark, Shimon Peres e l'ex
ministro degli esteri polacco Geremek.
(7) Intervista del gen. Jackson ad Alberto Negri su Sole 24 Ore del
24 aprile 1999
(8) Intervista di Moises Naim a Gareth Evans, in "Global" aprile 2001.
(9) Tobias Pfuger in Informationsstelle Militarisierung, novembre
2003/Indymedia
(10) Intervista sul Manifesto del 16 maggio 2006

From: icdsm-italia @...
Subject: [icdsm-italia] After Milosevic's defamation and murder
Date: May 23, 2006 11:21:32 AM GMT+02:00
To: icdsm-italia @yahoogroups.com


After Milosevic's defamation and murder

(I dubbi sulla dinamica dell'assassinio di Milosevic persistono,
visto anche il rifiuto da parte del "Tribunale ad hoc" di desecretare
i referti delle analisi e visite mediche effettuate durante la
detenzione / Vari relatori intervenuti nel corso di una conferenza
recentemente svoltasi in Irlanda hanno posto il problema del
carattere fazioso ed illegale del "Tribunale" / Dopo il misterioso
licenziamento del braccio destro della Del Ponte, Florence Hartmann,
circolano adesso voci riguardo ad una inchiesta aperta per "molestie
sessuali" nei confronti dell'altro collaboratore della "pubblica
accusa", Geoffrey Nice, il quale pure non lavora più per questa
istituzione para-legale...)

---

IWPR’S TRIBUNAL UPDATE No. 451, May 5, 2006 -- www.iwpr.net

<< ... Tribunal Update is supported by the European Commission, the
Dutch Ministry for Development and Cooperation, the Swedish
International Development and Cooperation Agency, the Foreign and
Commonwealth Office, and other funders. IWPR also acknowledges
general support from the Ford Foundation... >>

MILOSEVIC TRIAL: FAIR, FAKED OR FANTASY?

Conference delegates debate Hague tribunal’s performance and ask
whether the former Serb leader got a fair hearing.

By Helen Warrell in Galway

More than a month after former Yugoslav president Slobodan Milosevic
was buried with all the pomp and splendour of a lavish Belgrade
ceremony, there is no danger of the subject of his trial being laid
to rest.

This week, tribunal employees, Balkans experts, academics, diplomats
and legal commentators gathered at the Irish Centre for Human Rights
in Galway to attend a conference ambitiously titled “The Slobodan
Milosevic Trial: The Verdict”.

William Schabas, a genocide expert and the centre’s director,
acknowledged the unusual nature of the meeting as he opened the
debate. “I cannot think of a precedent for this happening in
international law,” he said. “We could certainly never do this in
national law.”

The conference was born out of a feeling that the unexpected death of
Milosevic just as the four year case against him was ending called
for some sort of closure, which tribunal judges would no longer be
able to provide.

However, the discussions concentrated not on the guilt or innocence
of Milosevic, but on passing verdict on the tribunal itself. Rather
than being a debate about the strength of the evidence brought
against the ex-president, the focus was on how it had been presented.

Participants looked at whether the trial had been fair, and whether
enough had been done to protect the rights of the former president as
he defended himself.

The overall tone of the conference was critical, and this mood
extended from procedural aspects of the Milosevic trial all the way
to back to first principles, with some participants suggesting the
tribunal was politicised from the start and thus had little hope of
being fair.

The opposing view was not heard so strongly in Galway - that the
undoubted problems the Hague court has encountered along the way
should not obscure the bigger picture. Supporters of the Hague
process have argued strongly elsewhere that war criminals must be
brought to account and some kind of closure sought among the
communities involved in a conflict – and that participants on all
sides should be subject to investigation.

One speaker who did make this point was Michael Scharf, director of
the Frederick K Cox International Law Centre at Case Western Reserve
University, who said that with the advent of the Hague court, "the
era of impunity has been replaced by an era of accountability".

Stephen Kay, Milosevic’s court-assigned counsel, was among those who
expressed concern that the political history behind the tribunal may
have compromised its ability to dispense justice in a fair and
coherent manner.

He insisted that ad hoc tribunals such as the International Criminal
Tribunal for the Former Yugoslavia host “political trials” which end
up being “weighed down by the dead hand of the international
community from which they are born”.

Kay and co-counsel Gillian Higgins were present on each day of the
trial, and were responsible for writing Milosevic’s legal submissions
to the court. From the unique vantage point of someone who had close
contact with Milosevic, Kay is adamant that the action brought
against his client was an example of “selective justice”.

“[The Hague cases] are put forward as trials for the benefit of the
community out of which the conflict is arising. But we all know that
states and nations get away [with illegal actions] if they are on the
right side of the United Nations Security Council,” he said.

Fairness depends partially on all parties being subject to the same
rules and conditions, and Kay and others at the Galway conference
suggested this was not the case in the Milosevic trial.

John Laughland, a British journalist who is currently writing a book
that argues that the trial was a “corruption of international
justice”, asked why the Yugoslav tribunal had failed to indict NATO
for war crimes following its controversial air strikes on Kosovo
between March and June 1999.

David Scheffer, former ambassador-at-large for war crimes in the US
State Department, replied that his government had been “very engaged”
with the tribunal prosecution on this issue and had felt “very
strongly” that there was no need for an investigation.

Scheffer also firmly denied that the American government had lobbied
the prosecutor to indict Milosevic in 1999. “[The Hague tribunal] is
an independent court,” he said.

Despite such assurances, there have been frequent criticisms that the
Milosevic indictment –166 pages of allegations concerning crimes in
Bosnia, Croatia, and Kosovo – was not the work of an independent body.

The Bosnia indictment, which accuses Milosevic of genocide and
complicity in genocide against Bosnian Muslims, came under particular
criticism from Schabas, who said that “sticking on a genocide count”
in order to “keep a third of Yugoslavia happy” was no way to run a
trial.

He argued that even the most famous instance of genocide in the wars
in the former Yugoslavia, the 1995 Srebrenica massacre in which some
8,000 Bosnian Muslim men and boys were killed by advancing Bosnian
Serb troops, was not ordered by Milosevic or any of the Serb
leadership in Belgrade.

Kay went further to suggest that the infamous Scorpions video, which
appears to show Bosnian Serb paramilitaries carrying out executions
at Srebrenica, was “not part of the evidence against Milosevic”,
and “was just shown [during the trial] so that the world media would
report it”.

This was not the only criticism that Milosevic’s counsel levelled at
the fairness of the trial.

Gillian Higgins suggested that the length and breadth of the
indictment had taken an “inordinately excessive” toll on all the
parties involved. She cited the fact that in the Milosevic
indictment, deportation alone was listed as eight different forms of
criminal conduct in 64 locations spanning 13 municipalities. The
prosecution’s exhibits amounted to 85,526 pages of printed material
and 117 videos.

“Was the scope of the trial too broad and far-reaching to be fair?”
she asked.

Higgins’s conclusion was that although international trials are not
inherently unfair, “the larger the battlefield and the longer the
war, the harder it is to protect the rights of the accused”.

Throughout the trial, many observers suggested that the conflict
within the courtroom was aggravated by Milosevic himself. However,
when Scharf said that Milosevic had obstructed the trial, he met with
a storm of criticism.

Higgins objected strongly to the characterisation of Milosevic as
disruptive and said the judges had never referred to him in this way.

Defending the former president’s often antagonistic stance, Higgins
said, “The courtroom is a place of battle, and that is what Milosevic
was prepared for.”

Schabas agreed that Milosevic “was not obnoxious and difficult in the
courtroom”, while Kay said that it had been “pure political
expediency” and not obstructiveness on Milosevic’s part that had
caused people to object to him representing himself.

Kay feels strongly that the question of Milosevic’s right to defend
himself is key to the successful working of the whole trial. “You
have to structure the trial so that the man who knows the case best
can argue that case,” he said. “No lawyer in the world knew that case
better than Milosevic.”

But in all their criticisms, Milosevic’s lawyers were careful not to
lay blame on individuals within the tribunal. Rounding off her
evaluation of the trial, Higgins was surprisingly conciliatory.

“Looking back at the courtroom and the players that toiled day in,
year out, every person in the courtroom worked endlessly to ensure
that the accused’s rights were protected, however differently these
rights were perceived by the parties,” she said.

Another problem highlighted at the conference was the differences of
approach taken by participants in the Hague process.

Michael Johnson, the former chief of prosecutions at the Hague
tribunal, implied that prosecutors had not always agreed on the right
course of action.

“The prosecution is a large institution which doesn’t always speak
with one voice,” he said, adding that differences in culture and
national procedures had led to a diversity of attitudes among
prosecutors, even on such fundamental issues such as the objective of
holding a trial.

“[Within the prosecution] there are those who believe that their
purpose was to prove the history of the conflict. There are [also]
those who strongly believe that the job of the prosecution was to
prove the guilt or innocence of the accused,” said Johnson.

According to Kay, this difference is vital. If the tribunal tries to
create a historical record, it will only distract from the details of
the crimes as they occurred.

“You lose sight of the bodies in the sandpit, the empty villages, the
shelling in the cities,” he said. “This is the material stuff of the
trial.”

But if many at the Galway conference criticised the conduct of the
trial and some of the underlying principles, a few such as Mark
Vlasic, who worked on the Milosevic prosecution case, reminded
everyone that the trial had been prompted by very real acts of violence.

"Witnesses came [to the tribunal] from all over the world. For them,
it was a positive experience: they went back to their cities, towns,
hamlets, villages and told about how they had testified against one
who had caused so much trouble in their countries," said Vlasic.

"It is easy to step back and discuss these trials in an abstract way
but mass graves litter the Balkans. The ICTY [former Yugoslav
tribunal] serves as a forum for these lost souls."

Helen Warrell is an IWPR contributor.

---

IWPR’S TRIBUNAL UPDATE No. 453, May 22, 2006 -- www.iwpr.net

<< ... Tribunal Update is supported by the European Commission, the
Dutch Ministry for Development and Cooperation, the Swedish
International Development and Cooperation Agency, the Foreign and
Commonwealth Office, and other funders. IWPR also acknowledges
general support from the Ford Foundation... >>

JUDGES TO DECIDE ON MILOSEVIC DOCUMENTS

Tribunal President Judge Fausto Pocar has asked the same set of
judges who oversaw Slobodan Milosevic’s trial to decide whether
confidentiality measures should be lifted from documents relating to
his medical treatment in The Hague and his efforts to receive care in
Moscow.

The lawyers formerly assigned to the former Yugoslav president’s
defence case, Steven Kay and Gillian Higgins, say Milosevic wanted
the material made public.

They previously considered asking the chamber which handled
Milosevic’s trial – made up of Judge Patrick Robinson, Judge Iain
Bonomy and Judge O-gon Kwon – to address the issue. But they were
informed by the registry that since the case was closed, these judges
were no longer in a position to deal with the issue.

Kay and Higgins’s next move was to approach a chamber tasked with
deciding whether confidential records from the Milosevic trial could
be made available for an inquest and an inquiry. Again, they were
told that they were speaking to the wrong people.

The lawyers subsequently turned to the appeals chamber in an effort
to overturn the latter decision. But that bid was thrown out earlier
this week, with the appeals judges arguing that Kay and Higgins were
no longer formally involved in any case at the tribunal and were
therefore not in a position to petition its judges.

The lawyers had insisted that this fact should be overlooked. The
court had a responsibility to resolve outstanding issues which would
otherwise “perplex” Milosevic’s family and risk damaging the
tribunal’s reputation, they said, especially given the historical
significance of his trial.

The appeals judges insisted that a Dutch inquest and an internal
inquiry into Milosevic’s death, and an audit of the tribunal’s
detention facilities, would provide “ample information” to
Milosevic’s relatives and satisfy public interest in the issue.

In his latest order, published on May 18, Judge Pocar requested
Judges Robinson, Bonomy and Kwon to decide whether “there is any
reason in the interests of justice” for unveiling the documents.

He noted that the choice of chamber took into account the court’s
“trial management and case distribution needs”.

---

www.b92.net
B92, Belgrade - April 27, 2006

Nice under investigation? | 09:44 April 27 | B92

THE HAGUE -- Rumours are circulating that Hague Prosecutor Jeffrey
Nice is under sexual harassment investigations.

The Hague did not want to comment on the issue. Hague spokesperson
Anton Nikiforov told reporters that Nice no longer works for the
Tribunal and that he was let go after the death of Slobodan Milosevic.

He also said that the questions posed by the reporters are of a
private and personal nature and do not concern the Tribunal.

"If anything does exist, that is a question that will be handled by
the Sector for Personal Questions in (the UN's headquarters) New
York." Nikiforov said.


==========================

IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
Il j'accuse di Slobodan Milosevic
di fronte al "Tribunale ad hoc" dell'Aia"
(Ed. Zambon 2005, 10 euro)

Tutte le informazioni sul libro, appena uscito, alle pagine:
http://www.pasti.org/autodif.html
http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/204

==========================
ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27 -- 00043 Ciampino (Roma)
tel/fax +39-06-7915200 -- email: icdsm-italia @ libero.it
http://www.pasti.org/linkmilo.html
*** Conto Corrente Postale numero 86557006, intestato ad
Adolfo Amoroso, ROMA, causale: DIFESA MILOSEVIC ***
LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
http://www.un.org/icty/transe54/transe54.htm (IN ENGLISH)
http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm (EN FRANCAIS)

L'HDZ SPECULA ECONOMICAMENTE SU TITO


Il 20 maggio scorso per la ricorrenza del compleanno di Tito e per la
Giornata della Gioventù - che nella Repubblica Federativa e
Socialista si festeggiava il 25 maggio - si sono radunate a Kumrovec
in Croazia, paese natio di Tito, tantissime persone giunte in
pullman da ogni dove. In effetti l'avvenimento, con il passare degli
anni, assomiglia sempre di più ad una gran kermesse dove si balla
persino il cocek e l'atmosfera rasenta la provocazione e la presa in
giro. Grande è infatti il desiderio, da parte dei nuovi padroni del
paese, di screditare quella che è tradizionalmente, insieme al 29
Novembre, la più grande festa jugoslavista. Ma il maggior guaio è che
l'amministrazione di Kumrovec è in mano all'HDZ, il partito
antijugoslavo ed ustascioide fondato da Tudjman (e da Mesic prima del
suo "salto della quaglia"); il sindaco ha preteso che ogni
partecipante alla kermesse pagasse 8 kune per accedere al sito - il
che moltiplicato per 10 mila persone fa più di ottanta mila kune
ovvero più di diecimila euro guadagnati per offendere la memoria di
Tito, non certo per festeggiarlo. Dopo un iniziale contrasto si è
venuti ad un compromesso tra gli organizzatori e l'amministrazione,
ma il tutto offre ancora una immagine scabrosa della Croazia e della
regione dello Zagorje. Per festaggiare Tito bisogna pagare la gabella
all'HDZ! "Fra poco ci faranno pagare anche l'aria che respiriamo,
questi maledetti", ritiene giustamente una compagna jugoslava della
Croazia.

(srpskohrvatski / english)

(Il Nuovo Partito Comunista di Jugoslavia ha fatto appello a votare
NO al referendum svoltosi domenica 21 maggio 2006, su istigazione
della "Unione" Europea e della NATO, per sciogliere l'Unione di
Serbia e Montenegro. In un altro testo che qui riportiamo, la NKPJ
spiega che la partecipazione dei comunisti alle "libere elezioni"
delle nuove repubblichette post-socialiste di tutta l'Europa
centroorientale è impedita di fatto da regolamentazioni-capestro,
soprattutto di carattere finanziario...)


NKPJ on global policies of capitalism and against splitting
SerbiaMontenegro

1. GLOBAL POLICIES OF CAPITALISM AND RESPONSE FROM COMMUNISTS
Intervention of NKPJ at the International Meeting of Communist and
Workers’ Parties “Current Trends In Capitalism: Economic, Social
And Political Impact. The Communists’ Alternative”, Athens, 18-20
November, 2005

2. SAOPŠTENJE CK NKPJ: RECITE NE!
CENTRAL COMMITTEE OF THE NEW COMMUNIST PARTY OF YUGOSLAVIA
DECLARATION. SAY "NO!"


=== 1 ===

<< ... After the counterrevolution in Yugoslavia, the current power,
in fact, doesn't allow the communists to participate in the
elections. They adopted a law according to which we are supposed to
present 10,500 signatures ... We have to pay a 15,000-euro tax, in
advance ... >>


Source: http://www.solidnet.org

International Meeting of Communist and Workers’ Parties
“Current Trends In Capitalism: Economic, Social And Political
Impact. The Communists’ Alternative”
Athens, 18-20 November, 2005


Branko Kitanovic, Secretary-General of the New Communist Party of
Yugoslavia (NCPY)
Branimir Ivanovich, member of the SECRETARIAT of NCPY

GLOBAL POLICIES OF CAPITALISM AND RESPONSE FROM COMMUNISTS


Dear comrades:

I salute you on behalf of the New Communist Party of Yugoslavia. I
will try to briefly present the points of view of our Party regarding
the principal subject of our meeting.

As you all know, the propagandistic, subversive, economic, political
and military expansion and aggression of imperialism, headed by the
United States and the European Union, is ongoing and growing. Now,
the imperialists, with the pretext of implementing “democracy”
and “human rights” are focused on continuing to fraction Russia,
on the indirect appropriation of natural resources, in particular in
the Near and Middle East, on turning the Balkans into their military
range, a political protectorate and an economic neocolony. In
Eastern Europe and in most of the former Soviet republics, the most
reactionary forces have been placed in power. The United States
continues trying hard to increasingly strengthen colonial domination
in Latin America; but thanks to the progressive forces of this
region, the Bush policy suffered a shameful defeat recently, at the
Argentina continental conference. The process of the imperialist
siege on China continues, but we are firmly convinced that it will
also be defeated.

The imperial globalization policy, besides being based on fire and
the sword, relies on the use of many exploitation levers, such as the
IMF, the World Bank, the European Bank, the World Trade Organization
and other military, economic and political partnerships.

What should the communists’ answer be to the challenge of
capitalism? Of course, it cannot be of a single type, since
communists today act under different conditions, in different States
with different politico-economic systems. In seven or eight
countries of the world the communists are in power; in some
countries, they are part of the state and regional power together
with a patriotic bourgeoisie; in many States, bourgeois are
represented in parliaments as powerful or small fractions.
Regrettably, there is a large group of countries where communists are
forced to act illegally or semilegally. In most countries, though,
they exist legally just formally and the prevailing power subjects
them to strict or great discrimination.

This is particularly typical for most countries in Eastern Europe,
the Balkans and in most of the republics of the post-Soviet space.
All these countries are in a total relationship of vassalage
regarding the United States and the European Union. Their domestic
policy is much worse than that of their masters, and their foreign
policy is determined by Washington, London and Berlin. We are
referring, in the first place to the republics of former old
Socialist Federal Republic of Yugoslavia (SFRY), Poland, Bulgaria,
Hungary and Rumania.

We couldn’t receive anything from the former communist parties; all
the assets of these parties were forcibly seized by the bourgeoisie.
With the exception of the Workers Party of Hungary, all the remaining
new parties have been left without locales, without the indispensable
administrative inventory or the elementary technical instruments and,
of course, without monetary resources. Also, the power imposes very
hard financial and legal obligations upon us. Under such conditions,
it is very difficult to fight against the vassal power and against
its masters.

Nevertheless, we believe that, for example, in the split Yugoslavia
(Serbia and Montenegro), the communists, having elementary conditions
for their work –even at present—have been one of the political
leading forces in Parliament.

Nevertheless, we continue the class struggle under the existing
conditions. It is clear that you cannot carry out an effective class
struggle without a precise Marxist-Leninist orientation and without a
mass party that can attract to its ranks youth, certain forces of the
unions, the progressive part of the women’s movement, the poor and
middle-class layers of the peasantry, the antifascist fighters, and
the peace movement. In this respect, the Communist Party of Greece
provides a very useful example.

Today, in the territories of the former Socialist Federal Republic of
Yugoslavia, most of the youth is hypnotized by the bourgeois
propaganda, which acts through the movies, decadent music and songs,
television, computer techniques, through different forms of
amusement, a distorted understanding of sports, narcotics, erroneous
education and diverse aberrations. Of course, a certain part of
youth receives money for its political behavior and activity. Some
of them receive large sums of money; for example, the members of the
pro-fascist organization “Otpor”, that is “Resistance”, which
the American, English and German agencies used in the coups d'etat in
Yugoslavia, Georgia, Ukraine, Kyrgyzstan and failingly in Belarus.

On the other hand, 95 percent of the young people in Yugoslavia –and
I think that in other former socialist countries—are comparatively
worse off than under socialism. Youth accounts for almost 65 percent
of two million unemployed in Yugoslavia (in split Yugoslavia).

Bourgeois propaganda, consciously and skillfully, with the help of a
powerful propaganda industry, seduces young people with deceitful
ideas that the bourgeois way of life, allegedly, offers people the
possibility to become millionaires. On the other hand, it
systematically influences to achieve the loss of national identity,
of national dignity, to turn youths into the capitalists' obedient
puppets, to distort their points of view and the system of values.

Unfortunately, in the struggle to strengthen the ranks and positions
of communist parties in the former socialist countries, they have no
help other than verbal support. Without some material aid, the
communist parties of this region are not in a position to effectively
wage the fight against the vassals of world capitalism that seized
power.

We don't have enough support on the media of the socialist countries
or in the big parties of the bourgeois countries. Of course, we are
thinking of the communist parties. For example, after the
counterrevolution in Yugoslavia, the current power, in fact, doesn't
allow the communists to participate in the elections. They adopted a
law according to which we are supposed to present 10,500 signatures
to be able to participate in the parliamentary elections. This is
not a problem; we used to gather 50,000 signatures in the past and
under the law it was necessary to have 25,000. The problem is that
each signatory is supposed to show up with all their documents before
a tribunal in a certain place. But the law doesn't call for the
tribunal to send an employee to a certain place to certify the
signatures. The time is short and the tribunal justifies itself by
saying that it doesn't have enough officials (not for the communists)
to do this job.

To participate in the elections, we have to pay a 15,000-euro tax, in
advance, and the tribunal officials come to cover, on average, 10% of
the seats (of the locale)* , and the last two times we couldn’t
participate in the elections. We have informed many of the communist
parties on this and other forms of discrimination related to the
electoral processes many times, but not one of them has paid attention.

We have stated all this because we believe the support and solidarity
from the sister countries should be materialized in a concrete
manner, and the fight against imperialism and its vassals should be
waged as one.

We are convinced that the meeting in Athens will positively impact
the future solidarity in the anti-imperialist struggle.


(Many thanks to CP of Cuba for the translation into English)


=== 2 ===

SAOPŠTENJE CK NKPJ
RECITE NE!

Nova komunistička partrija Jugoslavije, koja deluje u svim
republikama bivše SFRJ, apeluje na radne ljude, narode i narodnosti,
sve rodoljube i sve progresivne ljude Crne Gore da na referendumu 21.
maja 2006. godine kažu _NE!_ Svim separatistima koji pokušavaju da
razdvoje bratske narode Crne Gore i Srbije.

Narodi Crne Gore i Srbije su iz hiljadu razloga predodredjeni da žive
u istoj državi. To je bio san, to je bila vekovna težnja i borba
naših slavnih predaka. To je bila i ostala i ponosna obaveza naše
generacije. Preko NKPJ apel za jedinstvenu državu Crne Gore i Srbije
uputile su i sve komunističke partije slovenskih zemalja: Rusije,
Ukrajine, Belorusije, Poljske, Češke, Bugarske i Slovačke. Na
jedinstvo pozivaju i Sveslovenski komitet i sve patriotske snage u
slovenskim zemljama.
Licemerno i petparačko tvrdjenje separatista da ćemo tobože biti
„jači-kada smo slabiji, manji i drugačiji“, odnosno
„evropskiji“ je besmislica koja ne zaslužuje ni da se pobija.
Liliputanska „država“ Mila Djukanovića, odvojena od Srbije
postala bi meta ekspazionista, pretvorila bi se u carstvo
belosvetskih mafijaša, izgubila bi svoj indentitet i slobodu.
Razbijanje naše države, naše zajedničke otađbine dugoročno je
planirano u sprezi separatista Crne Gore, svih neprijatelja našeg
naroda, zajedničke države i progresa.
Slobodarski i ponosni gradjani Crne Gore, ne dozvolite da na našu
generaciju padne istorijsko prokletstvo, ne dozvolite da zarad tudjih
i mafijaških interesa budu razdvojeni bratski narodi Crne Gore i
Srbije!
Ma kakve probleme savladjivali, ma gde išle, u radosti i nevolji,
Crna Gora i Srbija pre će stići i biće uspešnije kao jedinstvena
država.
RECITE NE!

---

CENTRAL COMMITTEE OF THE NEW COMMUNIST PARTY OF YUGOSLAVIA DECLARATION.

SAY "NO!"

The CC of the NCPY, which is active in all republics of former
Yugoslavia, appeals to the working people, nations, ethnic groups,
patriots and all anti-fascists of Montenegro to say *NO* in the
referendum of 21 May 2006 to all separatists seeking to split the
brother-peoples of Montenegro and Serbia.

The peoples of Montenegro and Serbia have been destined for thousands
of reasons to live in one and the same state.That was the centuries-
old dream of our glorious ancestors' striving and struggling. It was
and remains the honorable obligation of our generation. Through the
New Communist Party of Yugoslavia, all communist parties of the
Slavic countries make this appeal: Russia, Ukraine, Belarus, Poland,
Bulgaria, the Czech republic and Slovakia. They call on all patriotic
forces in the Slavic lands to unity.

The hypocritical and cheap claim of the separatists that we will be
"stronger" -- when we are weaker, smaller and "different"; that we
will be "more European" is idiocy not worthy of a rebuttal. The
Lilliputian "state" of Milo Djukanovic, separated from Serbia, will
be on the hit list of all the expansionists of the world. It will be
the kingdom of the world mafias and lose its identity and freedom.

The disintegration of our state, our common fatherland has been long
in the planning by the separatists of Montenegro in harness with all
the enemies of our people, our unitary state, and of progress.
Freedom loving and proud citizens of Montenegro! Do not allow a
historic curse to befall our nation! Do not permit the brothers of
Montenegro and Serbia to be divided to the profit of foreign mafias!

Whatever the problems and wherever things may lead, in joys or
troubles, Montenegro and Serbia will have more success as a unified
state.

SAY "NO"!

NCPY
Beograd May 20th 2006

(italiano / english / srpskohrvatski)

Stradanje Srba u Sarajevu

Miscellanea di documentazione sui crimini commessi contro i serbi di
Sarajevo
(in ordine cronologico inverso)

---

LINK:

THE TRUTH
The film about war crimes against the Serbs in the former Yugoslavia.
"To forgive, but never to forget"
The projection of this film took place at the Sava centre in Belgrade
on July 9, 2005
The event was organized by the Radical party of Serbia and the
Patriarch Pavle attended the projection

http://www.snp-miletic.org.yu/modules.php?
name=Downloads&d_op=getit&lid=48

---

Da www.radioyu.org del 7.5.2006:
Il settimanale »La Bosnia libera« di Sarajevo sulla copertina della
sua ultima edizione ha pubblicato le fotografie in cui si vedono le
uccisioni dei serbi accadute a Sarajevo nell'anno 1992. In queste
fotografie si vedono i serbi che sono stati uccisi nel comune Novi
Grad, la Citta' nuova, di Srajevo, e nel comune il Campo di Alipasa.
Il quotidiano scrive che durante la guerra a Sarajevo sono stati
uccisi circa 850 serbi. In un testo assai lungo dedicato alle
uccisioni dei serbi avvenute nel corso della guerra in Bosnia ed
Erzegovina, pubblicato su questo quotidiano, e’ stato precisato che
gli esponenti politici della Repubblica serba sostengono che durante
la guerra a Sarajevo sono state uccise alcune migliaia di persone di
nazionalita' serba.

---

> Vecernji list, 05.05.2006

> Bh tjednik Slobodna Bosna objavio šokantne fotografije okrutnih
> ubojstava Srba u Sarajevu

> Ubijeno više od 800 ljudi jer su bili Srbi!
>
> Bh tjednik Slobodna Bosna objavio je u novom broju prvi put
> prikazane fotografije ubojstava iz 1992. na kojima se vide stravi?
> ni primjeri
> bestijalne osvete nad Srbima iz sarajevske op?ine Novi grad.
> Pedesetak clanova Udruženja obitelji nestalih i ubijenih Srba u
> Sarajevu
> prosvjedovalo je ispred zgrade Vlade FBiH traže?i od premijera
> Ahmeta Hahipaši?a da se formira komisija za istraživanje istine o
> stradanju sarajevskih Srba.
>
> Budu?i da je premijer bio na odmoru, predsjednicu udruženja Mirjanu
> Simani? primio je ministar Gavrilo Grahovac, koji je objasnio da se
> komisija ne može formirati jer je Sarajevo podijeljeno me?
> uentitetskom linijom, pa se komisija može formirati samo na
> državnoj razini.
>
> Nakon toga su predstavnike toga udruženja primili srpski
> parlamentarci i ?lanovi Vije?a ministara BiH, koji su za
> neformiranje te komisije optužili državnog premijera Adnana Terzi?
> a, tvrde?i da se Bošnjaci ne mogu suo?iti s ?injenicom kako je u
> Sarajevu ubijeno oko osam tisu?a Srba, objavljeno je u Sobodnoj Bosni.
>
> Cijela stvar odugovla?i se bez ikakvih razloga. Zbog toga razna
> udruženja manipuliraju brojem ubijenh i nestalih izjavio je zastupnik
> SNSD-a Nikola Špiri?. Prije pet godina ratni ?lan Predsjedništva
> RBiH i predsjednik Srpskog gra?anskog vije?a Mirko Pejanovi? je u
> intervjuu za beogradske medije izjavio da je tijekom opsade u
> Sarajevu stradalo izme?u 2500 i 3000 gra?ana srpske nacionalnosti.
>
> Godinu kasnije, Savez logoraša RS-a iznio je podatke da je u
> Sarajevu ubijeno više od 8000 Srba. Predsjednik logoraša RS-a
> Slavko Jovi?i? tvrdi da je samo kroz vojni zatvor "Ramiz Sal?
> in" (bivša vojarna JNA Viktor Bubanj) prošlo više od 5000 Srba, od
> kojih je 500 ubijeno, a da je u Sarajevu nestalo 536 osoba srpske
> nacionalnosti. U prosincu 2004. na novinskoj konferenciji u Banjoj
> Luci tadašnji direktor policije RS-a Dragomir Andan predo?io je
> 5000 kartona ubijenih i nestalih Srba.
> Iz tih kartona vidi se da je samo u naselju Otoka ubijeno više od
> 500 Srba, a 412 u naselju Pofali?i.
>
> Poslije toga je CJS Isto?no Sarajevo po?eo podnositi krivi?ne
> prijave. Prva krivi?na prijava podnijeta je protiv 24 osobe za
> ubojstvo 229 Srba u Pofali?ima, a zatim i protiv 13 osoba za
> ubojstvo 243 Srbina u naselju Dobrinja. Po tvrdnjama glavnog
> tužitelja iz Isto?nog Sarajeva Rajka ?olovi?a, policija RS-a
> podnijela je 106 krivi?nih prijava za ubojstvo sarajevskih Srba
> protiv 1061 osobe. Me?utim, *prema izvorima iz Haaškog tribunala,
> koje je tretiralo sva ubojstva na podru?ju CSB Sarajevo, ukupno je
> ubijeno 836 civila srpske nacionalnosti izvan ratnih djelovanja*.
>
> Direktor istraživa?ko-dokumentacijskog centra u Sarajevu Mirsad
> Toka?a tvrdnje o tisu?ama ubijenih sarajevskih Srba smatra politi?kim
> naga?anjima. Na prvoj strani dokumenta koji je prezentirao javnosti
> Dragomir Andan ime jednog te istog ?ovjeka ponavlja se deset puta.
> Taj popis objavila je beogradska politika, nakon ?ega mi se iz
> Beograda javio jedan ?ovjek i rekao da se njegovo ime i ime žene
> nalazi na popisu iako su živi. S njima smo u stalnom kontaktu, kao
> i s još tridesetak ljudi koje je policija proglasila mrtvima kazao
> je Toka?a.
>
> Na podru?ju deset sarajevskih op?ina, po rije?ima Amora Mašovi?a,
> broj nestalih osoba srpske nacionalnosti procjenjuje se na 250 do
> 300. Srpska je strana provodila neku vrstu eti?kog ?iš?enja mrtvih
> kaže Mašovi? i dodaje da Ured za traženje nestalih u RS-u nije
> tragao za nestalima nego je premještao posmrtne ostatke srba koji
> su stradali u Sarajevu tijekom rata i koji su pod svojim imenom i
> prezimenom bili pokopani na sarajevskim grobljima.
>
> Za ?lanove Ureda za traženje nestalih RS-a prilikom ekshumacija
> jedino je bilo bitno da je osoba srpske nacionalnosti i da je
> pokopana u razdoblju od 1992. do 1995., tvrdi Mašovi?, objavio je
> tjednik Slobodna Bosna.
>
> http://www.slobodna-bosna.ba/
>
> 04.5.2006
>
> RATNI ZLO?INI: Stradanje Srba u Sarajevu

> Prošle nedjelje je Parlament BiH oformio komisiju koja bi trebala
> istražiti zlo?ine koje je "legalna vlast" po?inila nad sarajevskiim
> Srbima: naši novinari otkrivaju stravi?nu istinu o ovom jezivom
> procesu

http://www.slobodna-bosna.ba/Images/Naslovnice/naslovna494-big.jpg

---

http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4578/1/51/

I buchi neri di Sarajevo

04.08.2005 Da Sarajevo, scrive Massimo Moratti

Il caso degli scomparsi serbi di Sarajevo: senza esito gli scavi
condotti nelle settimane scorse a Dariva alla ricerca di fosse
comuni, ma la Commissione per i Diritti Umani ha ordinato alle
autorità della Federazione BH di continuare le indagini
Sarajevo

Giuseppe (o Josef) Dariva è il nome di un italiano che si stabilì a
Sarajevo nel 1889, aprendo una locanda alle porte della città, dove
arrivavano le carovane di mercanti provenienti da Visegrad e dalla
Bosnia orientale. La locanda, che aveva anche uno stabilimento
balneare, era situata alla confluenza della Milijacka con la
Mostanica, un rio secondario che scende dalle colline attorno a
Faletici nella periferia di Sarajevo.

Dariva è oggi uno dei posti di svago preferiti dai Sarajevesi. Allo
scopo di valorizzare la zona, la municipalità di Stari Grad ha
attrezzato l'area con una pista ciclabile, panchine, chioschi, vi è
perfino una palestra d'arrampicata. Ogni giorno centinaia di persone
passeggiano lungo il "viale degli ambasciatori" (dove vi è un albero
per ogni ambasciatore) continuando verso la località di Dariva fino
ad arrivare al Ponte della Capra (Kozija Cuprija), pregevole
manufatto in stile bosniaco che ricorda per le forme e le strutture
il ben più famoso ponte di Mostar. Dariva è il posto ideale per fare
jogging, per farsi un giro in bicicletta o per chi vuol fare una
passeggiata romantica...

E' qui che, verso la fine di giugno, proprio nel punto dove il signor
Giuseppe aveva il suo stabilimento balneare, un escavatore comincia a
rimuovere della terra e ad effettuare degli scavi. La stranezza è
che l'area degli scavi è delimitata da un nastro giallo che dice,
"Mjesto zlocina – Crime Scene". La scena di un crimine come insegnano
tutti i film polizieschi. Un poliziotto sorveglia discretamente lo
scavo. Alla sera, controllando i media locali, arriva la spiegazione,
che è come un pugno nello stomaco. Nella località di Dariva si
troverebbe una fossa comune dove sarebbero sepolti dei Serbi di
Sarajevo. Gli scavi sono iniziati allo scopo di recuperare possibili
resti umani. Per citare Bozidar Stanisic, un vero e proprio buco nero
nella coscienza comune.

Il giorno dopo la curiosità è forte e il poliziotto di turno è
l'unica possibile fonte di informazioni. Il poliziotto della polizia
cantonale di Sarajevo, combattuto tra la voglia di dire la sua e di
mantenere un contegno ufficiale, vuole prima sincerarsi della mia
identità. Poi, risponde in modo laconico: "Dicono che vi sia una
fossa comune di Serbi uccisi durante il conflitto. Sono sicuro al 99%
che non troveranno nulla". Le parole del poliziotto della Sarajevo
federale sono significative. In quelle parole il suo messaggio è
implicito: "non troveranno nulla" vuol dire "noi non siamo come
loro", cioè noi di Sarajevo non abbiamo ucciso civili nè li abbiamo
sepolti in fosse comuni. È il messaggio dei sarajevesi che vogliono
distinguere chiaramente tra chi ha commesso i crimini e chi no. Ma
nemmeno il poliziotto è sicuro al 100%...

I giorni successivi si fa maggior luce sull'episodio. Mentre gli
scavi continuano e si estendono infruttuosamente alla zona vicina,
vengo a sapere che è stato il tribunale di Sarajevo Est (ex Srpsko
Sarajevo, cioè la parte di Sarajevo che ricade nella Republika
Srpska) ad ordinare gli scavi, cercando di investigare possibili
crimini di guerra commessi contro i Serbi a Sarajevo.

L'episodio va calato nel suo contesto. Si è a fine giugno, pochi
giorni prima della cerimonia di Srebrenica, che ha attirato
l'attenzione mondiale sul crimine commesso 10 anni fa. Da parte della
Republika Srpska si è sempre cercato di sollevare il caso di Sarajevo
dicendo che migliaia di serbi sono scomparsi a Sarajevo nel corso del
conflitto. In una sorta di danse macabre del dopoguerra, le autorità
della Republika Srpska utilizzano le riesumazioni e le fosse comuni
allo scopo di allontanare l'attenzione dalle commemorazioni di
Srebrenica e chiaramente ricompattare l'elettorato serbo bosniaco.

Le autorità e i cittadini di Sarajevo respingono decisamente che
fatti del genere possano essere accaduti in città. Mentre le ruspe
stanno scavando sotto gli occhi della International Commission for
Missing Person, della polizia locale e della Commissione per gli
Scomparsi della Republika Srpska, un pensionato sarajevese, nel corso
della sua passeggiata mattutina, si avvicina infuriato ai luoghi
degli scavi e incomincia a gridare a gran voce che non si troverà
nulla nella zona dello scavo, perchè lì non sono avvenuti crimini di
alcun genere e che anzi le spese di tutto quel dispiegamento di forze
dovrebbero essere addebitate a chi ha avanzato la richiesta di
eseguire certi scavi.

È la reazione di un pensionato, ma non solo la sua, anche quella di
numerosi cittadini che non voglio essere assimilati ai crimini
commessi da parte serba, che respingono in modo netto e preciso le
accuse che vengono sollevate nei loro confronti. Pochi giorni dopo,
gli scavi vengono abbandonati e la terra smossa viene rimessa al suo
posto dato che non si è riusciti a trovare nulla.

Eppure, le richieste serbe non sono del tutto prive di fondamento.
Che dei serbi siano scomparsi a Sarajevo è un dato di fatto. Musan
Topalovic, detto Caco, durante la guerra era stato responsabile per
l'uccisione di numerosi civili serbi. Kazani è il posto alle porte di
Sarajevo dove numerosi civili serbi erano stati uccisi dalle milizie
di Caco. Le stime variano da 300 a 3000, nel solito balletto di
cifre. Caco era poi stato liquidato dagli stessi bosniaci nel corso
del conflitto, dato che la sua banda era diventata troppo potente. I
processi per gli episodi di Kazani sono avvenuti nel corso degli anni
scorsi, ma ancora non è stata fatta piena luce, nè su questo episodio
nè su altri episodi avvenuti a Sarajevo nel corso del conflitto.

Il caso dei Serbi scomparsi da Sarajevo è destinato ad alimentare
ancora numerose polemiche. La Commissione dei Diritti Umani, che dal
2004 ha sostituito la Camera dei Diritti Umani, ha emanato alcune
decisioni sulla scomparsa dei serbi a Sarajevo ordinando alle
autorità della Federazione di investigare in modo dettagliato e
significativo gli episodi riguardanti la scomparsa dei Serbi da
Sarajevo [Caso di Samardzic e Sehovac contro la Federazione di Bosnia
ed Erzegovina, v. http://www.hrc.ba/commission/eng/decisions/
index.asp ].

Una simile decisione della Camera dei Diritti Umani, emanata nel
2003, aveva condotto alla fine al famoso rapporto della "Commissione
Srebrenica" che è risultato nella prima ammissione dei crimini
commessi da parte delle autorità della Republika Srpska dopo la
caduta dell'enclave. Il rapporto finale della "Commissione
Srebrenica" è giunto solo dopo notevoli insistenze della comunità
internazionale. Tale ammissione e condanna dei crimini, tuttavia,
rappresenta uno dei punti di svolta del processo di riconciliazione
in Bosnia ed Erzegovina.

Al momento però, per gli episodi di Sarajevo, non risulta che le
autorità della Federazione abbiano fatto piena luce, come richiesto
dalla Commissione per i Diritti Umani. E quindi da parte della
Republika Srpska si continua con le affermazioni relative ai massacri
di Serbi a Sarajevo, mentre da parte della Federazione si respingono
tali accuse, ma senza far luce sugli episodi. E ciò contribuisce ad
alimentare le memorie divise, a far sì che il passato conflitto in
Bosnia ed Erzegovina sia ancora una fonte di divisione, da sfruttare
ad arte per ricreare tensioni etniche. Così come era avvenuto nel
1991 con le manipolazioni su Jasenovac...

---

http://www.seeurope.net/en/Story.php?StoryID=54373&LangID=1

Seeurope.Net
Tanjug - January 11, 2005

BOSNIA AND HERZEGOVINA: ICTY Has Evidence of Crimes
Against Sarajevo Serbs

Marko Mikerevic, Sarajevo Higher Military Court judge
during the war, has said that he has documentation and
the names of 123 Bosniaks who had ordered or directly
participated in the torture and killing of Serbs in
Sarajevo.

"I submitted the documentation to The Hague Tribunal
after the war, when I left Sarajevo," Mikerevic told
the Republic of Srpska media, adding that it will be
very difficult to establish the exact number of Serbs
that were killed in Sarajevo, but that the number is
between 8,000 and 10,000 people.

---

http://www.seeurope.net/en/Story.php?StoryID=48134&LangID=1

Seeurope.net
Februry 16, 2004

BOSNIA AND HERCEGOVINA: 2,500 Sarajevo Serb Civilians
Were Killed During War?

On the basis of collected evidence, the Istina (Truth)
Association of Srpsko Sarajevo (Bosnian Serb part of
Sarajevo) has established that Bosniaks had 168 small
prison camps in Sarajevo where they tortured and
killed Serb civilians during the war, Association
Managing Board President Milan Jovovic said on Monday.


"We have evidence on the murder of 2,500 Sarajevo
Serbs, including their names and the place where they
were killed," Jovovic told Republika Srpska media and
added that the Association also had the names of 1,100
killers and persons from whom they received orders,
Tanjug reported.

http://www.seeurope.net/en/Story.php?StoryID=48134&LangID=1

(srpskohrvatski / deutsch / english / francais / italiano)

Jugoslavia a pezzi: da cinque a sei?

Montenegro: il 21 maggio si vota sulla secessione


=== LINKS: ===

Sulla liquidazione della RF di Jugoslavia e la insostenibile "Unione"
tra Serbia e Montenegro si veda il nostro comunicato del febbraio 2003:

Hanno suicidato la Jugoslavia

https://www.cnj.it//POLITICA/serimo2003.htm

---

Dal portale Osservatorio Balcani:

* Montenegro: scenari per il dopo referendum
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/5707
* I numeri del referendum in Montenegro
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/5700
* Montenegro, miccia referendaria
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/5640
* L’esercito di Serbia e Montenegro nella nebbia
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/5590
* Referendum Montenegro: il video scandalo
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/5457
* Serbia e Montenegro, divisi sulla musica
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/5427
* Referendum Montenegro, 21 maggio
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/5350
* Referendum Montenegro, manca l’intesa politica
http://www.osservatoriobalcani.org/article/view/5280

---

http://it.groups.yahoo.com/group/tera_de_confin/message/11560

--- In tera_de_confin @yahoogroups.com, "Umberto U." ha scritto:

Il prossimo referendum sull' indipendenza del Montenegro potrebbe
creare un nuovo stato nei Balcani e lungo la cota dell' Adriatico. Ha
quindi un' importanza decisamente maggiore di quanto non si pensi
comunemente. Per contribuire alla comprensione del fenomeno e tentare
di dare una risposta alla domanda di base e cioè se si tratti di
questione etnica o politica, riporto un interessante riassunto dei
censimenti operati in zona dal 1909 al 2003.

http://www.njegos.org/census/index.htm

Overview of Montenegro census' data on ethnicity from 1909 to 2003

Please note that in the Balkans a word "ethnicity" is the synonym of
"nationality" (narodnost, nacionalnost) which is more often in use.
In this article we use "ethnicity" closer to Westerners for whom
"nationality" is the same as "citizenship" for The Balkan peoples...

http://www.njegos.org/census/index.htm

---

Newsletter vom 19.05.2006 - Die Wiederauferstehung Jugoslawiens

BELGRAD/PODGORICA/BERLIN (Eigener Bericht) - Am kommenden Sonntag
stimmt die Bevölkerung Montenegros über das Ausscheiden aus dem
Staatenbund mit Serbien ab. Das Votum entscheidet über den formalen
Abschluss der von Berlin betriebenen Zerschlagung des ehemaligen
Jugoslawien. Die Befürworter der Sezession profitieren von Maßnahmen
Deutschlands und der EU, die dem montenegrinischen Spitzenpersonal
ungebrochene Unterstützung zukommen lassen - trotz seit Jahren
andauernder strafrechtlicher Ermittlungen wegen offenkundiger
Schmuggelkriminalität. Zwar würde Berlin eine weitere Isolierung
Serbiens begrüßen, jedoch wird der endgültigen Sezession
Montenegros inzwischen keine entscheidende Bedeutung mehr
beigemessen. Der Staatenbund mit Serbien funktioniere ohnehin
"überhaupt nicht", erklären Politikberater. Um die Nutzbarkeit
Südosteuropas für Unternehmen aus den westlichen Industriestaaten zu
verbessern, arbeitet die EU inzwischen an einem Plan, der die
wirtschaftlichen Triebfedern des NATO-Krieges offenlegt: Das Gebiet
des in machtlose Kleinstaaten zerschlagenen ehemaligen Jugoslawien
soll im Rahmen einer Freihandelszone wieder zusammengeschlossen werden.

http://www.german-foreign-policy.com/de/fulltext/56363

---

DU SITE ANTI-YOUGOSLAVE "COURRIER DE BALKANS":

Minorités : les Albanais sont-ils discriminés au Monténégro ?
http://balkans.courriers.info/article6615.html

Référendum au Monténégro : l’enjeu des minorités
http://balkans.courriers.info/article6551.html

Kosovo-Monténégro : une liaison dangereuse
http://balkans.courriers.info/article6584.html

---

MONTENEGRO: AUTHORITIES FACE MURDER COVER-UP CLAIMS
Families accuse Podgorica officials of trying to protect their
childrens' assailants.
JOVANOVIC KILLING / SURINA INVESTIGATION / JOVANOVIC INVESTIGATION /
LINKS WITH SECURITY SERVICES
By Berislav Jelinic in Dubrovnik, Hugh Griffiths in Dubrovnik and
Belgrade and Gordana Igric in London
IWPR'S BALKAN CRISIS REPORT, No. 527, November 18, 2004

www.iwpr.net


=== NEWS: ===

CONTRABBANDO: A GIUDIZIO BOSS DELLA TORRE E COMPLICI

(ANSA) - BARI, 13 APR - E' stato rinviato a giudizio il presunto boss
internazionale del contrabbando di sigarette, Franco Della Torre, di
63 anni, di Mendrisio (Svizzera), accusato di essere stato tra i capi
della potente organizzazione mafiosa che tra la seconda meta' degli
anni Novanta e l'inizio del 2000 ha trafficato, attraverso la Puglia,
mille tonnellate al mese di sigarette di contrabbando tra il
Montenegro e l'Europa comunitaria e ha riciclato i proventi in
Svizzera. Lo ha deciso il gup del Tribunale di Bari Marco Guida che
ha disposto il rinvio a giudizio di altri cinque presunti componenti
della 'cupola' internazionale del contrabbando di tabacchi: Michele
Antonio Varano, di 52, di Centrache (Catanzaro), del cittadino
svizzero Patrick Monnier, di 53, (cittadino francese dimorante in
Svizzera), dello spagnolo Luis Angel Garcia Cancio, del suo
collaboratore e coimputato, il cittadino svizzero Jurg Hermann Graf,
e del napoletano Paolo Savino, di 66, residente a Lugano. Il processo
nei confronti dei sei imputati comincera' il 4 ottobre 2006 dinanzi
ai giudici della prima sezione penale del Tribunale di Bari. (ANSA). BU
13/04/2006 16:42

CONTRABBANDO: A GIUDIZIO BOSS DELLA TORRE E COMPLICI (2)

(ANSA) - BARI, 13 APR - Per altri cinque imputati (altri dieci erano
stati rinviati a giudizio nei mesi scorsi) che hanno chiesto di
essere giudicati con rito abbreviato - i pugliesi Francesco Nardelli
e Luciano De Marco, l'albanese Pellumb Asllnaj, lo svizzero Lelio
Vincenzo Baldi (residente in Puglia) e Francesco Venturini -
l'udienza e' stata aggiornata al 15 dicembre prossimo quando dovrebbe
essere ratificata anche la richiesta di patteggiamento della pena
avanzata dall'imputato Silverio Ferrari. Per i cittadini svizzeri
Della Torre e Graf - che in Svizzera hanno in corso un processo per
fatti analoghi - si attende, su richiesta delle parti e in base alla
Convenzione europea di assistenza giudiziaria e l'accordo italo-
svizzero 367 del 2001, la decisione dei ministero della giustizia
italiano sul trasferimento della giurisdizione in Svizzera. In questo
modo il processo a loro carico in Italia verrebbe sospeso in attesa
della definizione del dibattimento in Svizzera, la cui sentenza
verrebbe poi riconosciuta dalla magistratura italiana. Secondo la Dda
di Bari, all'epoca dei fatti contestati Della Torre era titolare
dell'unica licenza di importazione rilasciata nel '95 dalle autorita'
del Montenegro per l'importazione in quel Paese di 100.000 casse di
sigarette al mese, pari a mille tonnellate. Forte della licenza, il
presunto boss - sempre secondo l'accusa - ha stretto un patto con
Gerardo Cuomo, di 58 anni, di Gragnano (Napoli) - condannato con rito
abbreviato il 20 novembre 2004 per associazione mafiosa a sette anni
e quattro mesi di reclusione in un processo 'stralcio' conclusosi
dinanzi al gup di Bari - e con Savino, Varano, Monnier, Cancio e
Graf. A queste persone, secondo il pm d'udienza della Dda Eugenia
Pontassuglia, Della Torre avrebbe affidato complessivamente quattro
sub-concessioni utilizzando le quali lui e gli altri imputati hanno
rifornito di sigarette di contrabbando le associazioni mafiose che
operavano in Puglia e Campania che ottenevano i tabacchi via mare:
dal Montenegro partivano 'scafi blu' che sbarcavano in Puglia le
sigarette che poi venivano caricate su auto e furgoni, e inviate in
Italia, Spagna e Gran Bretagna. Per questo motivo a Della Torre e
agli altri cinque imputati rinviati oggi a giudizio viene contestato
il reato di associazione mafiosa finalizzata al contrabbando e al
riciclaggio. (ANSA). BU
13/04/2006 16:55

MONTENEGRO: REFERENDUM, FERMATI MILITANTI ANTI-SECESSIONE

(ANSA) - BELGRADO, 25 APR - Tre esponenti del fronte anti-
indipendentista sono stati fermati nelle ultime ore in Montenegro, ma
due sono stati rilasciati quasi subito sulla scia di un coro di
proteste, a meno di un mese dal referendum del 21 maggio che potrebbe
sancire la secessione di questa piccola repubblica adriatica ex
jugoslava dalla sorella maggiore serba. L'episodio ha alimentato
nuove tensioni nel Paese, profondamente spaccato al suo interno tra i
favorevoli al divorzio - guidati dall'uomo forte del governo locale
Milo Djukanovic - e i contrari, spalleggiati dalla Serbia. E ha
paralizzato per qualche ora il lavoro della commissione incaricata di
chiudere proprio stasera le procedura della registrazione dei
votanti. In manette sono finiti Nikola Medojevic, rappresentante
dell'opposizione anti-indipendentista nella stessa commissione, e
altri due militanti dello stesso schieramento, Dragan Garic e Marica
Babovic. Tutti e tre sono stati accusati dalla magistratura di
Podgorica di aver cercato di manipolare le liste elettorali,
inserendo in particolare nomi di defunti. Accuse che peraltro i tre
respingono e che la loro parte politica interpreta come il frutto di
un'intimidazione politico- giudiziaria commissionata dal clan di
Djukanovic. La protesta che ne e' derivata si e' tradotta in un
appello a Javier Solana, alto rappresentante per la politica estera
dell'Unione Europea, che si e' assunto compiti di mediazione per
garantire la regolarita' del delicato referendum. Ed e' stata gia'
recepita dall'emissario speciale dell'Ue per il dossier montenegrino,
lo slovacco Miroslav Lajcak, il quale ha annunciato una sua nuova
missione a Podgorica e ha deplorato il triplice fermo quanto meno
come una misura eccessiva. Anche da Belgrado si sono levate
lamentele, mentre Djukanovic ha difeso l'operato dei magistrati
affermando che ''nessuno puo' essere al di sopra della legge''. Alla
fine, la reazione di Lajcak e l'immediato blocco della commissione di
registrazione referendaria da parte del rappresentante europeo
Frantisek Lipka hanno indotto comunque le autorita' montenegrine a
fare una mezza marcia indietro. Medojevic e Garic sono stati
scarcerati in serata, mentre in stato di detenzione (sulla base di un
provvedimento di fermo di 30 giorni) e' rimasta per ora solo la
Babovic.(ANSA). LR
25/04/2006 19:16

MONTENEGRO: SERBIA AVVERTE, CON DIVORZIO CAMBIERA' TUTTO

(ANSA) - BELGRADO, 8 MAG - Se il piccolo Montenegro si separera'
dalla Serbia, nel referendum indipendentista previsto tra meno di due
settimane, ''neppure un singolo aspetto'' delle relazioni
privilegiate tra le due ultime repubbliche ex jugoslave rimaste unite
potra' essere come prima. L'ammonimento e' stato ribadito oggi, in
un'intervista, dal ministro della giustizia serbo, Zoran Stojkovic, a
13 giorni dal referendum del 21 maggio: una consultazione che spacca
profondamente il Montenegro, ma che i piu' recenti sondaggi -
commissionati in loco tra sospetti di pressioni e compravendite di
voti - indicano a favore delle forze secessioniste, guidate dal
premier e uomo forte locale Milo Djukanovic, apparentemente in grado
di superare l'insolita soglia del 55% di si' concordata con l'Ue come
quota minima per dare il via libera al divorzio. Se prevarranno i no
- ha detto Stojkovic al giornale montenegrino Dan - l'Unione di
Serbia e Montenegro, creata nel 2003 sulle ceneri della piccola
Jugoslavia di Slobodan Milosevic, ''potra' trasformarsi rapidamente
in uno Stato davvero funzionante''. ''Al contrario - ha avvertito -,
se il 21 maggio il popolo del Montenegro decidera' di continuare la
propria vita come un Paese indipendente, neppure un singolo aspetto
delle nostre relazioni potra' restare come e' ora''. Un ammonimento
che coinvolge evidentemente i molti interessi economici comuni e
soprattutto lo status della comunita' montenegrina presente in
Serbia, quasi pari all'intera popolazione residente nel Paese
d'origine (650.000 persone). Stojkovic ha quindi accusato Djukanovic
e il governo locale di Podgorica di ''ingannare i cittadini dicendo
loro che le cose andranno meglio in un piccolo Stato indipendente''.
Belgrado ha fatto sapere di essere pronta ad accettare il responso
delle urne del referendum indetto nella repubblica adriatica. Ma non
per questo rinuncia ad appoggiare la campagna del fronte anti-
indipendentista montenegrino, il quale accusa i rivali di voler di
fatto svendere le risorse del Paese. Djukanovic ha replicato in
questi giorni di non avere invece ''alcun intento anti-serbo,
malgrado il governo serbo presenti i favorevoli all'indipendenza come
nemici''. E ha sostenuto di voler solo liberare il Montenegro
dall'abbraccio di Belgrado - e dalle lentezze imputate ai serbi sulla
consegna alla giustizia internazionale degli ultimi ricercati per
crimini di guerra - per accelerare l'integrazione con l'Unione
Europea. (ANSA). LR
08/05/2006 16:36

---

http://www.makfax.com.mk/look/novina/article.tpl?
IdLanguage=1&IdPublication=2&NrArticle=21345&NrIssue=13&NrSection=20

MakFax (Macedonia) - May 8, 2006

Montenegro's Albanians demand statehood rights

New York - Albanian parties in Montenegro said they
will back Montenegro's independence in the upcoming
referendum but only if they are given the rights of
statehood nation.
In the course of three-day conference of the
Democratic League of Albanians, which took place in
New York last weekend, the ethnic Albanian political
leaders from Montenegro confirmed that they would vote
in the referendum slated for 21 May.
The leader of the Democratic League of Albanians,
Mehmed Bardhi, said once Montenegro is granted
independence from Serbia, the next step would be to
define the rights of Albanians in Montenegro.
"We support the pro-independence bloc, but we are not
inside the bloc," Bardhi said.

---

MONTENEGRO: REFERENDUM, PATRIARCA SERBIA CONTRO SECESSIONE

(ANSA) - BELGRADO, 11 MAG - L'anziano patriarca ortodosso di Belgrado
Pavle, capo della Chiesa serba e punto di riferimento anche di non
pochi fedeli nel vicino Montenegro, ha lanciato un appello contro la
dissoluzione dell'Unione serbo-montenegrina a 10 giorni dall'ennesimo
referendum indipendentista promosso sul territorio della defunta
jugoslavia. In una lettera indirizzata oggi al presidente
dell'Unione, il montenegrino Svetozar Marovic, Pavle scrive che ''la
disintegrazione dell'unita' del nostro Stato e dei nostri popoli,
costruita nel corso di molte generazioni e pagata con la vita da
innumerevoli vittime, non puo' portare nulla di buono''. ''Al
contrario - aggiunge - puo' produrre conseguenze negative durevoli
nei giorni a venire, minacciando i popoli e la loro liberta' sia in
Serbia sia in Montenegro''. La salvaguardia dell'unione, secondo il
patriarca, e' inoltre premessa importante nella battaglia per la
difesa della sovranita' sul Kosovo, la provincia a maggioranza
albanese che ambisce a sua volta alla secessione, ma che la Serbia
rivendica come culla secolare della sua cultura e della sua fede. La
lettera a Marovic rappresenta un intervento politico diretto del
patriarcato in vista del referendum del 21 maggio. Un referendum
promosso dal governo locale del Montenegro - favorevole al distacco
dalla sorella maggiore serba - ma che vede timori di brogli e
profonde divisioni in seno alla societa' montenegrina. Con i fautori
del si' all'indipendenza in vantaggio, secondo i sondaggi, ma i
contrari ancora forti. La dichiarazione di Pavle arriva proprio nel
giorno in cui a Belgrado sono tornati a riunirsi attorno al mediatore
dell'Ue Miroslav Lajcak, per esaminare gli scenari del dopo voto, i
vertici delle due repubbliche: il presidente e il premier serbi,
Boris Tadic e Vojislav Kostunica, e quelli montenegrini, Filip
Vujanovic e Milo Djukanovic. Un incontro a margine del quale Lajcak
ha sostenuto che l' esito del referendum (l'Ue ha chiesto e ottenuto
che il Montenegro proclami la sua indipendenza solo se i si'
supereranno il 55% dei voti) e' ''ancora incerto''. Ma che ha pure
confermato la rigidita' delle posizioni degli interlocutori: da un
lato quella di Djukanovic, convinto in ogni caso della vittoria del
fronte secessionista; dall'altro quella di Kostunica, che afferma a
essere pronto a rispettare la volonta' del popolo montenegrino, ma
senza rinunciare a sostenere le ragioni degli anti indipendentisti e
a minacciare in caso di divorzio di far calare un muro: a tutto
svantaggio degli interessi economici comuni e dello status dei
moltissimi montenegrini residenti in Serbia. (ANSA). LR
11/05/2006 15:52

MONTENEGRO: REFERENDUM; UE, EVITARE AZIONI UNILATERALI

(ANSA) - BRUXELLES, 15 MAG - Serbia e Montenegro evitino ''azioni
unilaterali'' prima e dopo il referendum sull' indipendenza di
Podgorica del 21 maggio, e in ogni caso siano pronti a discutere su
cosa fare in seguito al voto, qualunque sia il suo esito: e' quanto
emerge dalle conclusioni del Consiglio dei ministri degli esteri Ue,
rese note oggi a Bruxelles. Il Consiglio ''richiede ad entrambe le
parti di rispettare le regole previste dal referendum, di evitare
azioni unilaterali e di accettare l'esito di un referendum condotto
legittimamente'', si legge nel testo adottato oggi. Su richiesta
dell'Ue, le autorita' montenegrine hanno adottato una legge che
prevede che la vittoria dei si' al referendum sara' convalidata solo
in caso di maggioranza del 55%, e di partecipazione di meta' degli
aventi diritto al voto. I ministri Ue hanno inoltre ribadito
l'importanza di dare agli elettori montenegrini (circa 450.000) la
possibilita' di fare una scelta ''libera e informata tra alternative
chiaramente distinguibili, e senza interferenze''. ''Colloqui diretti
tra Belgrado e Podgorica sul da farsi, saranno necessari all'indomani
del referendum, qualunque sia il suo esito'', conclude il testo dei
ministri Ue.(ANSA) KVW
15/05/2006 14:48

MONTENEGRO: REFERENDUM IN VISTA, POLEMICHE E SOSPETTI /ANSA

(ANSA) - BELGRADO, 15 MAG - Far risorgere lo Stato del Montenegro non
solo per ragioni politiche, ''ma anche sentimentali''. Arriva oggi
dal principe Nikola Petrovic, erede della dinastia che per tre secoli
regno' sui montenegrini e consanguineo della regina Elena, penultima
sovrana d'Italia, l'appello che apre la settimana finale di campagna
elettorale in vista del referendum del 21 maggio: consultazione
popolare incaricata di stabilire se mantenere o dissolvere l'unione
tra il piccolo Montenegro e la Serbia, ultimo legame non ancora
spezzato tra repubbliche di quella che fu la Jugoslavia. Un
appuntamento al quale sono chiamati i cittadini montenegrini aventi
diritto al voto: meno di 500.000 persone residenti in un Paese-
fazzoletto appollaiato tra le cime piu' impervie dei Balcani e la
costa adriatica. Il suggello alla secessione richiede una
partecipazione minima del 50% e un totale di si' non inferiore al 55%
dei votanti: percentuale insolita concordata con le parti dal
mediatore dell'Ue, lo slovacco Miroslav Lajcak, nella speranza di
evitare troppe contestazioni. E di stemperare il sottofondo polemico
che non cessa di accompagnare la campagna elettorale, tra sospetti di
compravendita di suffragi e denunce di pressioni sugli elettori, sia
a carico dei notabili locali montenegrini, favorevoli al si', sia del
governo di Belgrado, schierato per il no. Il quesito e' semplice:
volete voi conservare l'Unione di Serbia e Montenegro (nata nel 2003
sulle ceneri della Jugoslavia di Slobodan Milosevic, con la
benedizione di quella stessa Unione Europea che ora non esclude di
poter accettare la separazione) o preferite la via dell'indipendenza?
A favore di questa seconda opzione e' schierata compatta la
nomenklatura del governo locale di Podgorica (ex Titograd), la
capitale montenegrina, oltre a testimonial d'eccezione come il
principe Nikola (che dopo il referendum ipotizza finanche una
restaurazione monarchica) o come la vecchia gloria calcistica Dejan
Savicevic. In testa a tutti c'e' l'uomo forte della repubblica, il
premier Milo Djukanovic, tuttora nel mirino della magistratura
italiana per vecchie storie di traffici di sigarette, ma riconosciuto
nel mondo come interlocutore da diverse cancellerie occidentali e
dotato all'interno di un consenso e di un sistema di potere ben
strutturati. Non manca tuttavia neppure una consistente opposizione
anti-secessionista, che i sondaggi danno indietro, ma non ancora
battuta. Un'opposizione che fa leva non solo sulle nostalgie del
passato (rappresentate dal leader del partito socialista locale, l'ex
miloseviciano Pedrag Bulatovic), ma anche su interessi piuttosto
diffusi e sulle spaccature profonde che la questione ingenera nel
cuore dell'opinione pubblica montenegrina. E sulla quale puntano le
loro carte sia il governo serbo di Vojislav Kostunica, che non pare
per ora rassegnato al divorzio, sia il Patriarca di Belgrado, Pavle,
alfiere dichiarato della storica fratellanza slavo-ortodossa a due.
L'ultima settimana di campagna referendaria, scattata oggi a
Podgorica, prevede un fitto calendario di comizi. Sullo sfondo i
sondaggi indicano i paladini dell'indipendenza a cavallo del picco
fatidico del 55%, forti del sostegno del grosso dei montenegrini
etnici e delle minoranze albanese e bosniaca. Ma non negano un solido
43% ai portabandiera del mantenimento dei legami con i quasi otto
milioni di abitanti Serbia: associati agli appena 650.000 del
Montenegro da una fragile struttura interstatale, ma anche da
evidenti affinita' etnico-culturali e da un vasto interscambio di
individui e d'interessi. Per rafforzare la loro posizione, Djukanovic
e gli indipendentisti hanno tenuto fuori dalla consultazione i
montenegrini residenti stabilmente in Serbia, vale a dire alcune
centinaia di migliaia di persone. Mentre sul fronte opposto il
governo di Belgrado non ha esitato a pagare il viaggio agli studenti
universitari di origine montenegrina che sono solo domiciliati
temporaneamente in terra serba (e quindi ammessi al referendum), ma
che in larga parte sono contro la lacerazione. Kostunica del resto ha
chiarito che Belgrado accettera' il responso delle urne, ma resta
convinta che la secessione ''non possa portare nulla di buono a
nessuno'' ed e' pronta a far calare un muro in caso di vittoria dei
si'. Una posizione che non prelude al ripetersi di scenari tragici
come quelli che accompagnarono la progressiva scomposizione di tutte
le altre repubbliche ex jugolsave negli anni '90, anche perche' il
capo di Stato maggiore dell'attuale esercito serbo-montenegrino,
generale Ljubisa Jokic, ha ribadito proprio oggi che le forze armate
stavolta non intendono in alcun modo interferire. E che pero' rischia
di gettare benzina sul fuoco delle contraddizioni interne presenti in
seno alla stessa societa' montenegrina, capaci magari di esplodere
all'indomani del voto. Contraddizioni che Djukanovic prova a
disinnescare, assicurando che l'indipendenza del suo Paese
significhera' solo una piu' rapida adesione all'Ue. Ma che comunque
restano, malgrado gli appelli ecumenici di Bruxelles al ''dialogo''.
L'elemento di massima tensione potrebbe essere rappresentato in
particolare da una vittoria di si' con una quota sopra il 50, ma
sotto il 55%. Un risultato 'grigio' che per la Serbia significherebbe
partita chiusa, ma che gia' gli indipendentisti evocano come premessa
di ''ulteriori negoziati''. A dispetto delle parole del mediatore
Lajcak e del numero uno della politica estera dell'Ue, Javier Solana,
secondo i quali ''non esiste nessuna zona grigia, ma solo un accordo
preciso'': indipendenza con il 55% piu' uno dei consensi,
mantenimento dell'Unione sotto questa soglia.(ANSA). LR
15/05/2006 19:09

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Notizie da www.radioyu.org
15. maj 2006. 12:06

MONTENEGRO ERLAJNZ otkazao letove za 19., 20., 21. i 22. maj



Crnogorska aviokompanija MONTENEGRO ERLAJNZ otkazala je ukupno 34
leta predvidjena za 19., 20., 21. i 22. maj, saopštio je beogradski
aerodrom NIKOLA TESLA. Otkazani su letovi na linijama za Beograd,
Cirih, Tivat i Podgoricu. U obaveštenju crnogorskog avioprevoznika
nije naveden razlog otkazivanja letova, koji se podudaraju sa danima
održavanja referenduma u Crnoj Gori, navedeno je u saopštenju
aerodoroma NIKOLA TESLA. Istovremeno, jedan od rukovodilaca JAT
ERVEJZA Saša Vlaisavljević izjavio je za TANJUG da će ta kompanija
uvesti dodatne linije i leteti avionima većeg kapacitetea za Crnu
Goru u dane referenduma u toj republici, ako putnici pokažu
interesovanje za to. JAT ERVEJZ će pratiti stanje na svojim redovnim
linijama i u zavisnosti od interesovanja putnika pojačaće u tim
danima linije za Crnu Goru, rekao je Vlaisavljević.



La Montengro Air lines ha annullato i voli del 19, 20, 21 e 22
maggio, 34 in totale. La notizia è stata rilasciata dalla direzione
dell' aeroporto "Nikola Tesla" di Belgrado. I voli sospesi riguardano
le linee di Belgrado, Zurigo, Tivat e Podgorica. Non è stata
rilasciata nessuna motivazione sulla sospensione dei voli nei giorni
quando nel Montenegro si svolge il referendum (per la seccessione),
lo riferiscono dall' aeroporto "Nikola Tesla". Contenporaneamente uno
dei dirigenti della JAT Airways, Sasha Vlaisavljevic, ha dichiarato
che la sua compagnia aumenterà i voli per il Montenegro con aerei di
maggior capacità nei giorni del referendum in questa Repubblica se ci
sarà maggior interesse di passeggeri. La JAT seguirà la situazione
del Referendum in Montenegro e se necessario aumenterà i voli durante
il referendum, ha sottolineato Vlaisavljevic

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MONTENEGRO: REFERENDUM; ULTIMO DUELLO TV, TRA TENSIONI

(ANSA) - BELGRADO, 16 MAG - Ultimo duello tv, oggi, sugli schermi del
canale pubblico del Montenegro, in vista del referendum di domenica
prossima sul possibile distacco della piccola repubblica adriatica
dalla Serbia: esito che segnerebbe l'atto finale di cio' che resta
della defunta Jugoslavia. Protagonisti del confronto il premier del
governo montenegrino, Milo Djukanovic, alfiere del divorzio, e il
leader del locale fronte d'opposizione unionista, Predrag Bulatovic.
Entrambi a caccia degli indecisi, probabile ago della bilancia della
sfida sullo sfondo di sondaggi che indicano lo schieramento
indipendentista proprio a cavallo di quel 55% di consensi concordato
- con la mediazione dell'Ue - come soglia minima di garanzia per
formalizzare l'eventuale secessione. Segnata da polemiche che si
trascinano da tempo e da sospetti di pressioni sui meno di 500.000
elettori montenegrini chiamati alle urne, l'ultima settimana di
campagna referendaria e' entrata nel vivo con una serie di comizi e
manifestazioni. Il fronte del si' puo' contare sulle risorse del
governo locale e del sistema di potere che fa capo al premier
Djukanovic, ma anche sull'appoggio di buona parte dei montenegrini
etnici e delle minoranze musulmane albanese e bosniaca. Gli si
contrappongono i paladini del no, indietro ma non ancora battuti
secondo le previsioni, che oggi organizzano a Podgorica una grande
kermesse elettorale conclusiva e che a loro volta hanno carte da
giocare: il sostegno esterno di Belgrado, ma soprattutto un solido
consenso interno superiore al 40%, che non si esaurisce ai soli serbi
etnici residenti in Montenegro. Decisivo, alla fin fine, potrebbe
essere proprio l'esito del faccia a faccia televisivo. Djukanovic vi
si presenta sull'onda dell'ennesimo appello popolare pro-
indipendenza: appello in cui l'uomo forte di Podgorica ha ripetuto
ancora una volta di voler liberare dall'abbraccio di Belgrado il
Montenegro - ''ostaggio'' a suo dire di una Serbia 12 volte piu'
popolosa e ancora inadempiente nella consegna alla giustizia
internazionale degli ultimi criminali di guerra dell'era Milosevic -
per separarne i destini e accelerarne l'avvicinamento all'Ue. Ma ha
garantito al contempo di volere la pace civile all'interno dopo il
voto e un dialogo privilegiato, su basi nuove, con la stessa Serbia.
Parole alle quali il rivale Bulatovic ha risposto accusando il
premier di ''non aver vergogna dinanzi a Dio'' e additandolo come
''trafficante di sigarette'' con riferimenti impliciti ai problemi
che Djukanovic ha tuttora con la magistratura italiana. Ma
soprattutto rivendicando la storica fratellanza con la Serbia come
antidoto a ''una politica avventurista d'interessi personali,
saccheggio e privatizzazione'' del Montenegro. (ANSA). LR
16/05/2006 17:00

MONTENEGRO:REFERENDUM,PREMIER CHIEDE MANTENERE UNITA' SERBIA

(ANSA) - BELGRADO, 17 MAG - Il primo ministro serbo Vojislav
Kostunica ha indirizzato oggi un appello diretto agli elettori
montenegrini affinche' non votino a favore della rottura dell' Unione
tra Serbia e Montenegro nel referendum in programma domenica
prossima. Referendum che gli ultimi sondaggi indicano a favore (con
un 56% di consensi) delle posizioni indipendentiste. Nell'appello,
Kostunica invita ''il popolo del Montenegro'' a ''costruire su basi
di uguaglianza (con quello serbo) il nostro comune futuro europeo''.
Egli ricorda inoltre i legami storici, culturali, economici e
religiosi intessuti tra i due paesi e i due popoli e ribadisce che la
Serbia ''tende una mano fraterna'' per conservare ''un futuro di
unita'''. La divisione dello Stato unitario - avverte Kostunica -
''non sarebbe al contrario utile ne' alla Serbia ne' al Montenegro''.
Serbia e Montenegro (circa otto milioni di abitanti la prima, 650.000
il secondo) sono le ultime due repubbliche ex jugoslave riunite in un
solo Stato. Il referendum di domenica 21 dara' luogo al divorzio se a
favore del si' s'esprimera' almeno il 55% dei votanti montenegrini,
cosi' come concordato dagli opposti schieramenti con i mediatori
europei. La consultazione e' stata promossa dall'attuale governo
locale guidato da Milo Djukanovic, che sostiene la necessita'
dell'indipendenza piena di Podgorica per sottrarre il piccolo
Montenegro dai condizionamenti politici ed economici della Serbia
(tuttora in contenzioso con l'Occidente per la mancata consegna alla
giustizia internazionale degli ultimi criminali di guerra dell'era
Milosevic) e accelerarne l'avvicinamento all'Ue. Contro la secessione
e' schierata invece l'opposizione interna, che imputa a Djukanovic di
coltivare solo interessi personali ed e' appoggiata dal patriarcato
ortodosso di Belgrado e soprattutto dal governo serbo: il quale
ultimo ha fatto piu' volte sapere di essere disposto ad accettare il
responso delle urne quale che sia, ma minaccia comunque di far calare
un muro col Montenegro in caso di vittoria dei si', a tutto danno
della numerosa comunita' montenegrina residente in Serbia. (ANSA). LR
17/05/2006 17:48

SPAGNA: BATASUNA, AUTODETERMINAZIONE BASCHI COME MONTENEGRO

(ANSA) - SAN SEBASTIAN (SPAGNA), 18 MAG - Il partito indipendentista
Batasuna ha chiesto oggi per il Paese Basco lo stesso ''diritto a
decidere'' se vuole essere indipendente di cui godra' domenica il
Montenegro. Il leader dell'illegale Batasuna Arnaldo Otegi ha detto
ai giornalisti a San Sebastian che la realizzazione del ''diritto
all'autodeterminazione nel cuore dell'Europa'' contraddice e
ridicolizza le affermazioni del premier spagnolo Jose Luis Rodriguez
Zapatero secondo cui ''il diritto di autodeterminazione non esiste''.
Otegi ha sottolineato che ''il diritto a decidere'' in Euskadi
consentira' di rendere ''irreversibile'' il processo di pace
rafforzando al tempo stesso la sicurezza in Europa. (ANSA). GEL
18/05/2006 13:39

MONTENEGRO: REFERENDUM, IN BALLO PURE MONDIALI CALCIO/ANSA

(di Alessandro Logroscino) (ANSA) - BELGRADO, 18 MAG - Non e' solo
l'Italia di calciopoli a rischiare l'immagine agli imminenti mondiali
di Germania. Una presenza imbarazzante - ma per ragioni affatto
diverse, di natura politica - potrebbe essere anche quella della
Serbia-Montenegro, che teme di ritrovarsi nell'insolita situazione di
rappresentare un Paese non piu' esistente. Un Paese in predicato di
scioglimento sullo sfondo del referendum indipendentista montenegrino
che domenica prossima, in caso di vittoria dei si', sancira' la fine
dell'ultimo Stato unitario superstite fra repubbliche ex jugoslave.
La partita, quella referendaria, non pare ancora chiusa. Lo
testimonia il ritmo frenetico delle ultime ore di campagna
elettorale, destinata a concludersi stanotte per lasciare spazio a
due giorni di silenzio pre-scrutinio. I sondaggi indicano peraltro un
vantaggio del fronte separatista, guidato dal uomo forte e premier
montenegrino Milo Djukanovic, sebbene poco al di sopra del 55% dei
consensi: soglia minima di garanzia concordata con i mediatori
dell'Ue per suggellare il via libera al divorzio. Mentre le scommesse
- consentite in Serbia e vietate in Montenegro, ma giocate
clandestinamente anche li', in molte ricevitorie sportive - non
escludono una rimonta finale dello schieramento anti-secessione. Le
ultime quote degli allibratori belgradesi offrono anzi l'ipotesi di
un esito con il 55% piu' uno di si' a percentuali leggermente meno
probabili di quella opposta: l'indipendenza paga 1,95 contro 1,
mentre la conferma dell'unione e' data a 1,75 contro 1. Al di la' del
gioco d'azzardo, il carismatico Djukanovic, 44 anni, che stasera
chiudera' la sua campagna con un mega-comizio nella capitale
montenegrina Podgorica, si e' detto convinto ancora oggi che il
partito del si' andra' incontro al trionfo: ''Abbiamo atteso 88 anni
per riavere la nostra indipendenza e otterremo piu' del 55% dei
suffragi'', ha assicurato. Sulla trincea avversa, il portabandiera
del no, Predrag Bulatovic, protagonista del traghettamento del suo
partito socialista montenegrino (gia' miloseviciano) oltre le secche
della mera nostalgia, si dice invece speranzoso del contrario. ''Se
l'affluenza sara' dell'85%, avremo abbastanza voti per scongiurare
l'avventura della disgregazione del nostro Stato'', ha affermato dopo
aver ricevuto a Belgrado la benedizione del governo serbo del
panslavista Vojislav Kostunica e quella del patriarca Pavle: capo
della chiesa ortodossa serba e punto di riferimento anche per diversi
fedeli montenegrini. Nei discorsi da bar, e sulle pagine di molti
giornali, il tema del momento - legato al referendum - sembra essere
pero' quello calcistico. Che ne sara' - ci si chiede - della
nazionale serbo-montenegrina, qualificatasi brillantemente per la
fase finale di Germania 2006, se alla fin della fiera Djukanovic e
compagni dovessero confermare i pronostici e averla vinta? La Fifa,
scrive oggi l'agenzia Tanjug, ha fatto sapere che l'idea di
un'esclusione della squadra guidata dall'interista Dejan Stankovic e'
fuori questione. ''Per noi - ha spiegato un portavoce - contano le
qualificazioni, cio' che eventualmente succede dopo non vale: la
Serbia-Montenegro si e' qualificata ed e' ammessa sotto la
denominazione con cui s'e' iscritta''. Qualche incognita tuttavia
resta, di fronte alla prospettiva di presentarsi in campo con i
colori d'una bandiera che potrebbe essere stata gia' ammainata. Tanto
piu' che la divisione tra il governo di Podgorica (favorevole alla
separazione) e quello serbo (contrario) e la profonda spaccatura
politica interna alla stessa opinione pubblica del Montenegro non
hanno mancato di contagiare il mondo dello sport. Come simboleggia
perfettamente la guerra aperta dichiarata di recente alla federazione
calcio di Belgrado (con tanto di accuse di corruzione e di
taroccamento delle partite) dall'ex campione milanista e presidente
della federazione locale montenegrina Dejan Savicevic: amico di Milo
Djukanovic e testimonial d'eccezione nella battaglia elettorale per
il si' all'indipendenza. Le tensioni, d'altro canto, non si spingono
fino all'ipotesi della rinuncia. Ipotesi neppure considerata dai
molti appassionati di calcio e da tutti i dirigenti sportivi della
Serbia, consapevoli di quanto il loro Paese (circa 8 milioni di
abitanti, contro i 650.000 scarsi del Montenegro) contribuisca oggi
alla nazionale comune e alle sue glorie pallonare. Ma contro la quale
sono schierati anche i tifosi montenegrini, i quali tra i 23
convocati per i mondiali tedeschi hanno un solo alfiere (il leccese
Mirko Vucinic). E che pero' sanno bene che l'indipendenza potra'
forse produrre l' accelerazione del cammino verso l'Ue, come giura
Djukanovic; e potra' magari rafforzare il pieno controllo interno
delle risorse offerte dal turismo, dal mare, dai casino', dalle
ambizioni da porto franco e da qualche industria locale. Ma
certamente lascera' la piccola repubblica adriatica senza una
selezione calcistica degna di questo nome. (ANSA) LR
18/05/2006 17:19


From:   icdsm-italia   @...
Subject: [icdsm-italia] Milosevic’s Death In The Propaganda System
Date: May 18, 2006 11:51:15 AM GMT+02:00
To:   icdsm-italia   @yahoogroups.com

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IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
Il j'accuse di Slobodan Milosevic 
di fronte al "Tribunale ad hoc" dell'Aia" 
(Ed. Zambon 2005, 10 euro)

Tutte le informazioni sul libro, appena uscito, alle pagine:

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ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci  27 -- 00043 Ciampino (Roma)
tel/fax +39-06-7915200 -- email: icdsm-italia @ libero.it
  *** Conto Corrente Postale numero 86557006, intestato ad 
  Adolfo Amoroso, ROMA, causale: DIFESA MILOSEVIC ***
LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
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From:   Tim Fenton
Subject: [yugoslaviainfo] Milosevic’s Death In The Propaganda System
Date: May 18, 2006 8:27:27 AM GMT+02:00


Excellent piece by Ed Herman and David Peterson on George Kenney's website:

http://www.electricpolitics.com/2006/05/milosevics_death_in_the_propag.html


Milosevic’s Death In The Propaganda System


By Edward S. Herman and David Peterson

[Published in Z Magazine (May, 2006), in a slightly abridged version and without footnotes. Posted here in full with the kind permission of the authors.]


The March 11 death of former Yugoslav President Slobodan Milosevic in his prison cell in The Hague was greeted by Western political circles and media alike with an outpouring of venom that reflected the demon role assigned to him in the myth-making of the past 15 years. Milosevic was a "monster," a "sociopath," and a "war criminal who wrecked southeastern Europe in the latter part of the 20th century," former U.S. Ambassador to the United Nations and a chief architect of Clinton era policy toward the region, Richard Holbrooke, told the Cable News Network the very first morning. "Milosevic started four wars. He lost them all. The biggest of them all was the one in Bosnia, where over 300,000 people died, two-and-a-half million homeless. And we bombed him in August and September of 1995. We should have done this much earlier."[1] During this and the ten days following his death terms such as "Butcher of the Balkans" and "Butcher of Belgrade" were used dozens and perhaps hundreds of times in the U.S. media alone (and widely used abroad as well).[2] 

Milosevic was the demon inserted between the two rounds of demonization of Saddam Hussein (1990-1991 and 2002-2006). Thus, the "Butcher of the Balkans" was elevated to the same pantheon of officially designated monsters as the Butcher of Baghdad, whereas other figures such as Ariel Sharon, whose 1982 invasion of Lebanon and the subsequent managed killings at Sabra and Shatila were cited by the International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY, or Yugoslav Tribunal) as an illustration of "genocide,"[3] remains an honored statesman, a "man of peace," and certainly never the "Butcher of Tel Aviv."

The political basis of these designations is made clearer by the fact that Milosevic had been Richard Holbrooke's partner in arriving at the Dayton Peace accords of 1995, with Bosnian Serb leaders Ratko Mladic and Radovan Karadzic, later to be made his co-villains, already designated war criminals by the ICTY. "People keep asking whether Milosevic is going to deliver on the peace agreement," Holbrooke said at Dayton. "It's impossible to answer that question right now. All we know is that he has delivered on everything...over the past four months."[4] Similarly, Saddam Hussein was a partner of the United States and Britain throughout the 1980s, given economic and military aid and diplomatic support by this Anglo-American coalition. There were no "butcher" designations then, although it was during this period that Saddam's behavior was at its most deadly and he was actually using "weapons of mass destruction," although with Western support. Exemption from invidious language as well as sanctions, bombing, and trials in courts of justice follow from offering positive service, and of course the same exemptions attach to the powerful able to guide and/or use these subaltern leaders![5]

As regards Milosevic, his initial indictment for war crimes by the ICTY, on May 22, 1999, said nothing about Bosnia—it was based solely on his alleged "superior authority" and command responsibility for 344 deaths in Kosovo, all but 45 of which occurred after NATO began its bombing war against Yugoslavia on March 24, 1999.[6] Croatia and Bosnia were only brought into the picture by the ICTY prosecutor several months after Milosevic's June 28, 2001 kidnapping and transfer to the Hague, surely based on the fact that the number of bodies found in Kosovo after the end of the bombing war was disappointingly small, and certainly not sufficient to sustain a charge of "genocide."[7] Hence Croatia and especially Bosnia, although these also posed a potential numbers problem, and there was the awkwardness of the six year delay in bringing in Milosevic as the lead villain in that case, and the problem of his constructive role in Dayton and earlier peace efforts (described below). However, the Tribunal could count on the mainstream media not bringing up these awkward matters, and you will not find them mentioned in the numerous articles on the trial by Marlise Simons in the New York Times.[8]

As regards the numbers problem, here too mainstream media protectiveness of the demonizing narrative was at a high level. For Kosovo, the U.S. Defense and State Departments had claimed at various times during the bombing war that 100,000, 225,000 and in one press release 500,000 Kosovo Albanians had been killed by the Yugoslav army.[9] This was eventually pared to 11,000, although after a uniquely intensive search only some 4,000 bodies were found, including unknown numbers of fighters and victims of NATO and KLA actions; and as of early March, 2006, only 2,398 people remain listed by the Red Cross as still missing.[10] There has never been any hint of criticism in the mainstream media of the inflated numbers given by U.S. officials, nor have there been any doubts expressed as to the accuracy of the 11,000 figure, although it came from sources of proven unreliability and was 70 percent higher than the official body count plus list of missing (6,398). In the New York Times, Michael Ignatieff explained that if the numbers of bodies found was less than 11,000 it must have been because the Serbs moved them out.[11] He never explained why the bodies plus missing total fell far short of 11,000, but he didn't have to worry: in dealing with a demonized enemy anything goes.

By January, 1993, Bosnian Muslim officials were claiming that 200,000 or sometimes greater numbers of Bosnian Muslims had been slaughtered by the Serbs,[12] and although the numbers were unverified and emanated from a biased source they were immediately accepted and institutionalized by the mainstream media and journalist campaigners for war like David Rieff, Ignatieff, Christopher Hitchens, and Ed Vulliamy. Smaller estimates, under 100,000, by former State Department official George Kenney and others with intelligence access, were simply ignored. However, in 2003, a study by Ewa Tabeau and Jakub Bijak, researchers working for the Demographic Unit of the Office of the Prosecutor at the ICTY, and ongoing research by Mirsad Tokaca, at the Sarajevo-based and Norwegian and Bosnian government-funded Research and Documentation Center, both came out with estimates of total Bosnian deaths on the order of 100,000.[13] In the Tabeau-Bijak study only 55,000 of these were civilians, including over 16,000 Serbs. These are certainly not negligible numbers, but they are far less satisfactory than 200,000 Bosnian Muslims (or more) if you are eager to make a case for their being victims of "genocide" and to justify the intense focus on this killing area as opposed to others, some of which involved numbers running to seven digits.[14]

It should be noted that there has also been a challenge to the claimed numbers of executions in the Srebrenica massacre, which has been maintained at 8,000 since the events of July 1995. In this case, as in Kosovo, the number of bodies found in the vicinity fell far short of the initially claimed (and long sustained) total—only some 2,600, including unknown numbers who may have been killed in action or before July 1995. Other evidence in support of the 8,000 has been meager, and despite Madeleine Albright's statement in August 1995 that "we will be watching" via satellite, no satellite evidence of moved or reburied bodies has ever been provided to the public. There is a good case to be made that, while there were surely hundreds of executions, and possibly as many as a thousand or more, the 8,000 figure is a political construct and eminently challengeable.[15]

But doubting the Srebrenica narrative is dangerous, and even approving the work of someone who has raised any questions whatsoever can elicit attacks. This was dramatically evident in an interview of Noam Chomsky by Emma Brockes, published in the London Guardian on October 31, 2005, where the headline of the interview read:[16]


Q: Do you regret supporting those who say the Srebrenica massacre is exaggerated.
A: My only regret is that I didn't do it strongly enough.


The quotes were manufactured by Brockes and The Guardian, with Brockes claiming additionally that Chomsky said that "during the Bosnian war the 'massacre' at Srebrenica was probably exaggerated," after which she sneers at his childish uses of quotation marks, which again she constructed out of the whole cloth—quotation marks are not used in verbal interviews—along with Chomsky's alleged remark on exaggeration. Chomsky did laud Diana Johnstone's book Fools' Crusade and signed a letter assailing a decision not to publish it in Sweden. Johnstone is said by Brockes to have claimed that the Srebrenica numbers executed were "exaggerated," but Johnstone never used that word, never denied executions, and spent most of her discussion on Srebrenica on its context and the uses to which the massacre claims were put. It is enlightening, however, to see that any suggestion that the 8,000 number was inflated is illicit and to be condemned, without further discussion.

Brockes' misrepresentations were sufficiently clear and numerous that The Guardian published a set of comments titled "Corrections and clarifications" and removed the interview from their web site.[17] This in turn elicited a furious response from what we may call the "Bosnia Genocide Lobby," a well-organized set of institutions and individuals funded by George Soros, Western governments, and others, who attack any challenges to the established narrative. One of the more important responses to the "corrections" was a letter signed by 25 writers and analysts, a number affiliated with the Lobby's organizations—the Balkan Investigative Reporting Network (publisher of Balkan Insight), the Bosnian Institute, and the Institute for War and Peace Reporting—and journalists like David Rieff, David Rohde, and Ed Vulliamy, all of whom challenged the "correction" and called upon The Guardian to retract it.[18]

Perhaps the most notable feature of this letter is its use of the words "revisionism" and "denial" to refer to any questioning of the established number, and its treating any suggestion of doubt as intolerable. The "authority" on a matter like whether there was "genocide" is the ICTY, "an international court established by the United Nations"—hence presumably an independent and authoritative body, despite massive evidence to the contrary (see below). Interestingly, the ICTY itself indicated that the 8,000 figure might be exaggerated, as its judges stated that the evidence only "suggests" that a "majority" of the 7,000-8,000 classed as "missing" were executed, as opposed to dying in the fighting, which gives a possible figure of only 3,600-4,100 executed, the judges thus falling into the "revisionist" and "denial" class.[19]

Of course, the Tabeau-Bijak papers and the research of the Tokaca-led RDC (not yet finalized at the time of this writing) are also clear-cut cases of "revisionism" and "denial," according to the Lobby's peculiar usage of these terms. But given the fact that the work of the former was supported by the ICTY itself and the latter by the Norwegian and Bosnian governments, the Lobby's reflexive resort to this kind of charge could not be employed. In this case the chosen route was silence, a route also taken by the mainstream media and U.S. officials.[20] For the media across the globe, a Nexis database search for the first eleven days beginning with Milosevic's death,[21] discloses that the reported death toll from the wars in Bosnia and Herzegovina—or in the former Yugoslavia altogether[22]—was said to be 200,000 or greater in at least 202 different items (i.e., news reports, obituaries, editorials and op-eds), and 100,000 in only 13. Indeed, in at least 99 different items, the death toll was estimated to be 250,000; and 300,000 in no less than 27 different items. For the U.S. media alone the ratio was 76 to 2. Although it has been the conclusion of the ICTY's as well as the Bosnian Government's researchers that a figure in the vicinity of 100,000 is the more accurate estimate for war-related deaths in Bosnia, that figure was the least-often cited in reports and comments on the wars. It is testimony to the deep-seated bias of the media that the death toll issued by relatively scholarly establishment sources is not able to displace the old and higher figures that were issued by Bosnian Muslim officials who were noted for lack of scruple.[23] The journalists hate to abandon numbers that have fitted their biases so well.


The ICTY as a Political Arm of NATO

Before examining the charges Milosevic has faced in his trial, let us look more closely at the body that brought those charges, that "international court established by the United Nations." It is of course an interesting fact that the United States, which has been a leader in the organization and support of the ICTY, has refused to have anything to do with the recently organized International Criminal Court, allegedly because it poses a threat of "politicization."[24] Unbiased commentators might ask whether the problem with the ICC might be that it was less subject to U.S. control than the ICTY, and whether the merit of the ICTY from the U.S. standpoint might have been its domination by the United States and hence politicization in a proper direction. The point doesn't arise for apologists for the ICTY such as the 25 signers of the pro-Brockes letter to The Guardian or to Marlise Simons et al., in good part because dominant U.S. influence is seen as natural, appropriate, and assuredly to be used for proper ends. The word 'politicization' is not used in such cases of deep internalized bias, any more than words like 'aggression' or 'terrorism'.

But in fact the politicization of the ICTY was thoroughgoing, with initial organization, staffing, funding, and the vetting of top personnel by high NATO officials,[25] with the NATO powers providing (or withholding[26]) information and serving as the police arm of the ICTY, and most critically, with the ICTY's actions closely geared to NATO demands.

The political role of the ICTY was even openly acknowledged by former State Department lawyer Michael Scharf, who stated back in 1999 that the organization was seen in the government as "little more than a public relations tool," useful also "to isolate offending leaders diplomatically" and to "fortify the international political will to employ economic sanctions or use force."[27] York University Professor of Law Michael Mandel has made a convincing case in his How America Gets Away With Murder that the ICTY was brought into existence "as a way of opposing the peace process and justifying the military solution that they [U.S. leaders] favored."[28] He points out that State Department official Lawrence Eagleburger named the top Serb leaders as war criminals in December 1992, shortly before the ICTY was created in 1993, and that U.S. officials were already using alleged Serb criminality to subvert peace plans that were under consideration in 1992 and 1993. The argument was that "justice" must not give way to political expediency and goals such as ending conflict without more fighting. "In other words, the proposal for a war crimes tribunal was used by the Americans to justify their intention to go to war, collateral damage and all, by branding their proposed enemies as Nazis."[29]

The proof of the Mandel charge is the evidence of history. The United States and Izetbegovic scuttled the important Lisbon peace agreement of February 1992, and they helped prevent peace via the Vance-Owen and Owen-Stoltenberg plans, as is described in David Owen’s memoir Balkan Odyssey.[30] This peace-prevention program kept the Bosnian wars going for nearly four years in all, ending up with a settlement at Dayton that reduced Bosnia to a NATO colonial province. In the run-up to the Kosovo war, the ICTY's work was very closely geared to NATO's (and essentially the U.S.'s) plan for war. As NATO began planning for war in June 1998, the ICTY began a parallel campaign of well-publicized accusations and investigations of Serb actions in Kosovo and denunciations of Serb behavior.[31] In one of the landmark events propelling war, with the killings at Racak on January 15, 1999, ICTY chief prosecutor Louise Arbour rushed to seek admission to the scene on the very next day, quickly declaring this a "war crime," based solely on a communication with U.S. and OSCE representative William Walker.[32] Two months later, on March 31, 1999, just a week after the bombing war began, Arbour held a press conference to publicize the formerly sealed indictment of Zeljko Raznatovic ("Arkan"), an indictment prepared as early as September 1997, but released at a time when it geared well with the propaganda needs of the NATO powers.[33]

The indictment of Milosevic and four others on May 22, 1999 (though not published until May 27),[34] was a high-point in ICTY public relations service to NATO, and was clearly done in collaboration with NATO officials.[35] It occurred in the midst of the 78-day NATO bombing war against Yugoslavia, and more specifically at a time when NATO had begun bombing Serbian civilian facilities and infrastructure. This last was causing unease and eliciting criticism even in the NATO countries, and the indictment served the public relations function of distracting attention from the new turn in the NATO bombing to the villainy of the leaders of the target country. Clinton, Madeleine Albright and James Rubin quickly called attention to this implication, Albright stating that the indictments "make very clear to the world and the publics in our countries that this [NATO policy] is justified because of the crimes committed, and I think also will enable us to keep moving all these processes [translation: bombing] forward."[36]

The indictment was put together hastily, based on information supplied the ICTY prosecutor by the United States and United Kingdom, both interested parties, information admittedly unverified by the Tribunal itself (despite prosecutor Arbour's statement on April 20, 1999 that "We are subject to extremely stringent rules of evidence with respect to the admissibility and the credibility of the product that we will tender in court, we certainly will not be advancing any case against anybody on the basis of unsubstantiated, unverifiable, uncorroborated allegations"[37]). Its political nature was further indicated by statements by Arbour at the time, that she issued the indictment because "the evidence upon which this indictment was confirmed raises serious questions about their [the indictees] suitability to be guarantors of any deal let alone a peace agreement." Of course, Milosevic and his indicted colleagues had not been tried and convicted, but although Arbour stated that indictees are "entitled to the presumption of innocence until they are convicted," the "evidence" here (unverified by the ICTY) demanded that that rule be set aside![38]

Still earlier, in July 1995, the ICTY had indicted Mladic and Karadzic for their roles in wartime Bosnia and Herzegovina, including the charge of "genocide" for the conduct of their subordinates at various detention facilities dating back to 1992. Four months later, in mid-November, the ICTY extended this indictment to cover a second count of "genocide" at Srebrenica, well before the facts of the case had been collected and verified by the ICTY, but serving to exclude these two Bosnian Serb officials from the Dayton process.[39] Noting that the indictment "marks a fundamental step," then-ICTY President Antonio Cassese explicitly acknowledged its political objective in an interview with the Italian newspaper L'Unita. "The indictment means that these gentlemen will not be able to participate in peace negotiations," Cassese emphasized. "Let us see who will sit down at the negotiating table now with a man accused of genocide."[40] As Scharf noted in 1999, one of the aims in the creation of the ICTY was "to isolate enemy leaders diplomatically"—a political aim, not a judicial one.[41]

While Arbour was extremely alert to the unverified war crime at Racak, offering next day service, when Michael Mandel presented her with a three volume dossier on NATO war crimes in May 1999, it took her and her successor Carla del Ponte an entire year to consider the case, with del Ponte finally declaring that a preliminary check had found that this set of allegations did not even provide a basis for opening an investigation! An internal report had declared that with only 495 dead victims "there is simply no evidence of the necessary crime base for charges of genocide or crimes against humanity," although 45 deaths at Racak had put Arbour into aggressive motion and the May 22, 1999 indictment of Milosevic listed only 344 victims, unverified by the ICTY.[42] The ICTY's "independence" is further clarified by the fact that del Ponte's leading expert in developing the case for no investigation indicated that he had relied on NATO country press releases as an information source, declaring them "generally reliable and that explanations have been honestly given."[43] We may recall prosecutor Arbour's assurance, cited earlier, that her office employs only "extremely stringent rules of evidence" that exclude "unsubstantiated, unverifiable, uncorroborated allegations," now clearly excluding allegations by her (and del Ponte's) NATO masters.

These evidences of ICTY political subordination, even facilitation of war crimes—the bombing of Serb civilian facilities was stepped up immediately following the ICTY indictment of Milosevic in late May 1999—and its laughable basis for not even investigating NATO's war crimes, would have discredited the ICTY as a supposedly judicial body, if we were not dealing with a well-oiled propaganda machine that can swallow anything in the cause of bringing "justice" to a demonized enemy. And demonization is easy in dealing with a civil war, where there are many victims with just grievances and/or political axes to grind. The trick is to choose the right ones, parade them in great numbers and with emotions rife, allow unlimited use of hearsay evidence,[44] attribute their pain to the demon, strip away the context, and rewrite history, and it will be evident that justice demands the demon's head.


The Charges Against Milosevic

In the demonization of Milosevic, some of the major claims supporting his demon status were formulated in the charges spelled out in the several indictments against him,[45] along with the evidence brought in support of those charges. These all had been or became premises of the mainstream media and members of the Lobby. Let us turn to those charges and see how they stand up today, the prosecution having completed its case in late February 2004, and Milosevic putting up his defense from late August, 2004, cut off by his death.[46]


1. Author of four wars and orchestrator of those wars

Central to the ICTY case and repeated in virtually all the articles on the death of Milosevic is the claim that he was not just personally responsible for the Balkan wars of the 1990s, but that he was perhaps uniquely responsible for them as well. Thus the indictments of Milosevic are replete with charges that he participated in a "joint criminal enterprise as co-perpetrator," and that, depending on the territory at issue (Kosovo, Croatia, or Bosnia), the "purpose" of each of these joint criminal enterprises was the "expulsion of a substantial portion of," or the "forcible removal of the majority of," or the "forcible and permanent removal of the majority of" the ethnic non-Serb populations from each territory, either to "ensure continued Serbian control" or to create a "new Serb-dominated state"—the so-called "Greater Serbia" that has so entranced Western commentary.[47] Milosevic "bore chief responsibility for the break-up of Yugoslavia…and for the subsequent wars," Misha Glenny maintained throughout a series of obituaries about Milosevic.[48] As Richard Holbrooke summed up the demon theory in an op-ed column, Milosevic's death in his prison cell "knowing he would never see freedom again" was a "fitting end for someone who started four wars (all of which he lost), causing 300,000 deaths, leaving more than 2m people homeless and wrecking the Balkans."[49] Following Milosevic's death, sentiments such as these were an almost uniform refrain in the Western media. The other nationalisms that surfaced in these wars were allegedly responsive; only that of Milosevic and the Serbs was causal.

This evil villain interpretation of recent Balkan history is not merely simple-minded, it is contradicted by massive evidence. For one thing, it falsifies the role of the other nationalisms in the Balkans—Croatian nationalism was strong and its proponents like President Franjo Tudjman were eager and planning for secession well before Milosevic was in power[50]; and Bosnian Muslim President Alija Izetbegovic's drive for Muslim domination in Bosnia dated back at least as far as his Islamic Declaration of 1970.[51] Secondly, it overstates Milosevic's nationalism, which was itself responsive to the perceived threats to Serbian interests and nationalist sentiments arising from his constituents; and his famous ultra-nationalist speeches of 1987 and 1989 were not ultra-nationalist at all. At various points, these speeches touted the importance of "brotherhood and unity" to the survival of Yugoslavia; they warned against all forms of "separatism and nationalism" as anti-modern and counter-revolutionary; and they called for mutual toleration and "full equality for all nations" within a multinational Yugoslavia, using language carefully kept out of news reports of those speeches.[52] Among the myths constructed to explain the breakup of Yugoslavia and its incorporation into Western structures, surely the one that accuses Milosevic of having used these two speeches to stoke the nationalistic fires that would accompany Yugoslavia's demise ranks as the most enduring.

Third, this view grossly underrates the role of Germany, the United States and other external powers in producing and underwriting the wars. Germany led the way in encouraging Slovenia and Croatia to secede from Yugoslavia, in violation of the Helsinki agreement and Yugoslav Constitution. Any Yugoslav army action to prevent this illegal secession and protect the integrity of Yugoslavia's common state could be said to be "responsive," with Germany and the leaders of the seceding countries "authors" of the wars that followed.

Fourth, the great powers were also heavily responsible for these wars by their refusal to allow the "nations" within the seceding artificial republics to remove themselves and stay with Yugoslavia or merge into Serbia or Croatia peacefully. The EU-sponsored Badinter Commission (1991-1992) declared against such separation, although this would have been a plausible right of secession at least as justified as the secession of the republics. This externally imposed declaration was heavily responsible for the ethnic struggles and cleansing that ensued.

Fifth, Milosevic was president of Serbia, but not Yugoslavia, at the time of Slovenia's secession in late June, 1991, and had nothing to do with the Yugoslav army’s response.[53] That response was confused and extremely modest, with skirmishes that lasted only ten days. Some "war"! As for Milosevic's responsibility for the Kosovo war, it is now clear that the United States and its allies, including the ICTY, were preparing for a war by April 1998,[54] with the United States eventually helping arm the KLA and giving the KLA reason to believe that NATO would eventually come to its aid by direct military intervention. It is also well established that the early 1999 Rambouillet peace talks were a fraud, with the "bar" deliberately raised to assure Yugoslav rejection and justify a military attack.[55] Milosevic didn't start this war, the United States and its NATO allies did, and they did so in plain violation of the UN Charter.


2. Aim to create a "Greater Serbia"

In the series of ICTY indictments of Milosevic, the claim that he was striving to produce a "Greater Serbia" ranks high in the explanation of the Yugoslav wars. Six years ago, Tim Judah wrote that it was a "cruel irony" that it all began with the slogan "All Serbs in One State;" and in an obituary in the Washington Post this past March, we read again that Milosevic's "pledge to unify all Serbs in one state turned into an ironic promise."[56] But in truth this is neither a "cruel" nor any other kind of irony. Much less is it a valid explanation. Rather, it is a gross misrepresentation of both the dynamics of those cruel conflicts and of Milosevic's language and politics. In one of the most remarkable developments in the Milosevic trial, on August 25, 2005, after former deputy prime minister of Serbia Vojislav Seselj had given compelling testimony that this notion of a "joint criminal enterprise" and Milosevic's role in the supposed search for a "Greater Serbia" was incompatible with a wide array of facts, prosecuting counsel Geoffrey Nice acknowledged to the court that Milosevic had never advocated a "Greater Serbia" but rather that he wanted all Serbs to remain living together in one state.[57] That is, Nice conceded that Milosevic's aim was defensive—that he wanted to prevent the dismantling of Yugoslavia, but as a second line of defense he sought to help the stranded Serb minorities in the exiting republics stay together. This of course was what Abraham Lincoln was doing after the secession of the Southern states in the run-up to the Civil War—presumably, he was trying to create a "Greater America." This spectacular admission by Nice, which confused the judges, would seem to have removed or rendered innocuous a central ICTY charge.

But it is not even true that Milosevic fought regularly to keep all Serbs in one state. He either supported or agreed to a series of settlements, like Brioni (July 1991), Lisbon (February 1992), Vance-Owen (January 1993), Owen-Stoltenberg (August 1993), the European Action Plan (January 1994), the Contact Group Plan (July 1994), and ultimately the Dayton Accords (November 1995)—none of which would have kept all Serbs in one state. He declined to defend the Krajina Serbs when they were ethnically cleansed from Croatia from May to August 1995. He agreed to an official contraction in the earlier Socialist Federal Republic of Yugoslavia to the Federal Republic of Yugoslavia (i.e., to Serbia and Montenegro—itself now undergoing a final breakup), which in effect abandoned the Serbs in Croatia and Bosnia to their fate outside any "Greater Serbia." His aid to Serbs in both Croatia and Bosnia was sporadic, and their leaders felt him to have been an opportunistic and unreliable ally, more concerned with getting sanctions against Yugoslavia removed than making serious sacrifices for the stranded Serbs elsewhere.

In short, Milosevic struggled fitfully to defend Serbs who felt stranded and threatened in hostile secessionist states of a progressively dismantled Yugoslavia; and he wanted but did not fight very hard to preserve a shrunken Yugoslav Federation that would have kept all the Serbs in a successor common state. To call this a drive for a "Greater Serbia" is Orwellian political rhetoric that transforms a weak (and failed) defense into a bold and aggressive offense.


3. Leader with command responsibility of a "joint criminal enterprise" aiming to eliminate Bosnian Muslims

The ICTY has been extremely demanding in applying the concept of command responsibility to Milosevic, and remarkably liberal in finding him leader of a "joint criminal enterprise." During the trial not one of the 296 prosecution witnesses testified to any instruction to commit actions that constituted war crimes or to his expression of approval of criminal actions, and no documents were put into the record supporting the prosecution view on these matters (whereas quite a few witnesses testified to his anger at war crimes, and cited cases of prosecution of Yugoslav personnel for war-criminal activities). But still, he should have known and was responsible for his subordinates. Needless to say, the same rule was not applied by the ICTY to the top leaders of NATO, Croatia, and Bosnia and Herzegovina.

The "joint criminal enterprise" concept was adopted by the prosecution to extend his indictment responsibilities to warfare in Croatia and Bosnia and Herzegovina, and especially to join Milosevic with Mladic and Karadzic as partners in the more extensive killings in Bosnia.[58] It was awkward that the latter two were indicted back in 1995 and not the "boss," but as noted earlier the media won’t notice. In the indictments of Milosevic issued during 2001, the boss and the Bosnian Serb leaders allegedly had a common goal: To eliminate the Muslims in the interest of that "Greater Serbia." Unfortunately, no common "plan" was ever uncovered, but the alleged partners did sometimes cooperate and Muslims were killed.

There is much solider evidence of a Croat-U.S. plan to remove Serbs from the Krajina, efficiently implemented in May and August 1995, but somehow this has never been pursued by the ICTY as a "joint criminal enterprise." The one involving Milosevic also runs up against Milosevic's previously mentioned acceptance of a series of peace plans from 1991 onward, sometimes with furious opposition from the Bosnian Serb leaders, efforts by the demon that obviously did not envisage the elimination of Muslims.


4. Guilty of "genocide"

Milosevic could be indicted for two counts of "genocide" in 2001 because earlier in that same year the Bosnian Serb General Radislav Krstic had been found guilty of "genocide," and Milosevic was the boss of the "joint criminal enterprise." The Krstic judgment was based on the events at Srebrenica, but was built on ICTY judge-logic that, like the argument for a "joint criminal enterprise," is not merely untenable, but nonsensical. Can you be aiming to exterminate all Bosnian Muslims if you spare the women and children and execute largely if not exclusively military-aged men until then encamped in one of the supposedly demilitarized "Safe Areas"? The court's ruling in the Krstic judgment was that actions constitute genocide if the perpetrators regarded "the intended destruction as sufficient to annihilate the group as a distinct entity in the geographic area at issue."[59] This made genocide the equivalent of ethnic cleansing, and there must have been dozens of cases of "genocide" in Bosnia on this foolish criterion,[60] including many carried out by Bosnian Muslim leader Naser Oric in 1992-1993 in the villages near Srebrenica. It would very clearly make the Croatian removal and killing of the Krajina Serbs (with active U.S. aid) a case of genocide—more clearly in fact than the Srebrenica massacre, as the Croatian cleansing involved the killing of several hundred women and children and covered a much larger geographic area.

The Krstic finding of genocide was not only tooled and used selectively by the ICTY, it was a debasement of the meaning of the word and arguably a "revisionist" usage that downplays the significance of policies that aim to wipe out an entire people (as Elie Wiesel himself has pointed out[61]). What is more, the Milosevic trial produced not one iota of evidence that Milosevic knew about, or approved, or had the power to control the events at Srebrenica, which were rooted in local conditions and carried out by Bosnian Serb forces. Indeed, in a scholarly and exhaustive study, Dutch historian Cees Wiebes writes that the "mood in Belgrade was one of disbelief… An interview with [the Bosnian-Serb mining official] Rajko Dukic, who talked to Milosevic after the fall of the enclave, indicates that [Milosevic] was indeed surprised. [Milosevic] had asked the group of persons that included Dukic 'which idiot' had taken the decision to attack Srebrenica."[62]


The Death—or Killing—of Milosevic

The death of Milosevic was a boon to the ICTY. His defense was going well, and had dealt severe blows to the prosecution claims on his supposed aim of a "Greater Serbia," the Racak massacre, the supposedly close links and common aims of the joint conspirators, the history of the wars for which Milosevic was claimed to be responsible, and the policies of the Yugoslav military and police. Of course his defense was almost entirely unreported in the mainstream media, but it would have made the judges final decision and report problematic. Given the political role of the ICTY and biases deeply embedded in the carefully chosen judges, as well as the media and culture at large, there is no doubt that Milosevic would have been found guilty—a political court provides a political decision. But their report and decision would have been vulnerable to critical attack, as there is no way that an honest and unbiased court could avoid finding against the prosecution. In fact, it would have thrown the case out a long time ago.

Milosevic's death ends the need to construct a juridical argument for the necessary finding of guilt. His guilt was decided long ago, and the mainstream media have declared him guilty once again in the death denunciations, which have consisted largely of name-calling and repetition of the farcical claims discu

(Message over 64 KB, truncated)


(english / italiano)

NO NED


--- SEGNALAZIONE INIZIATIVA:

Data: Wed, 17 May 2006 00:40:00 +0200
Da: "CONTROPIANO" <cpiano @ tiscali.it>
Oggetto: Dibattito con Gianni Minà il 19 maggio a Roma (La Villetta)

Le eredità del "Che".
Quali sorprese ci riservano ancora la Cuba di Fidel, il Venezuela di
Chavez, la Bolivia di Morales?

Comunicato stampa

Venerdi 19 maggio a Roma, alle 17.30, presso l'Associazione "La
Villetta" (via degli Armatori 3), Gianni Minà presenterà l'ultimo
numero della rivista "Latinoamerica" ,contenente tra l'altro uno
speciale dedicato al Che, servizi sulla Bolivia di Evo Morales e la
denuncia di due studiosi statunitensi (W. Smith e B. Jackson) sulle
attività del NED (National Endowment for Democracy) l'agenzia creata
e utilizzata dai servizi segreti statunitensi per "esportare la
democrazia" e che Emma Bonino vorrebbe importare anche in Italia.
Insieme a Gianni Minà ci saranno la direttrice della rivista
Alessandra Riccio e il nuovo ambasciatore di Cuba in Italia Rodney
Lopez.
La serata organizzata dall'Associazione di solidarietà con Cuba "La
Villetta" servirà anche a rilanciare in Italia la campagna
internazionale per la liberazione dei Cinque patrioti cubani
incarcerati negli Stati Uniti per aver svelato al FBI l'esistenza di
una rete terroristica anticubana a Miami.
Verrà inoltre proiettato il film "I diari della motocicletta" e ci
sarà una cena sociale.

per informazioni: tel 065110757 oppure 3386984415


--- SEGNALAZIONE LINK: http://www.iefd.org/

Compagni statunitensi ci segnalano la creazione di una struttura -
International Endowement for Democracy (IED) - che "rifà il verso"
all'agenzia statunitense NED invertendone gli obiettivi: cercando
cioè di portare la democrazia nel paese che ne ha più bisogno di
tutti, gli Stati Uniti d'America. Il sito http://www.iefd.org/
contiene eccezionale documentazione che smaschera compiti e pratiche
reali della NED.

---

From: michael parenti
Subject: International Endowement for Democracy
Date: May 1, 2006 9:09:19 AM GMT+02:00

Dear Friends

Bertell Ollman has started the International Endowement for Democracy
(IED). It tries to reverse the ill-doings of the federally funded
National Endowement For Democracy which spends money in other
countries to bring them the trappings of democracy---along with free
market privatization, globalization, murderous coups, and wars.

The IED is trying to do the opposite. It is appealing to people in
other countries to help us bring democracy to the United States where
it is most needed and where a more democratic governance would have
crucial salutory effects upon the entire globe.

At Bertell's request, and as a member of the IED board, I am sending
along this information about the IED for your consideration. You can
access it at http://www.iefd.org/?r=r01.

kind regards,
Michael Parenti

---

http://www.iefd.org/lang/it01.php

Appello Urgente Al Popolo Del Mondo

Dalla

Fondazione Internazionale per la Democrazia (F.I.D.).

The International Endowment for Democracy, una nuova fondazione senza
fini di lucro il cui consiglio d’amministrazione include Howard Zinn
(il più noto teorico radicale americano), Mumia Abu-Jamal (il più
famoso prigioniero politico americano), Gore Vidal (il principale
romanziere e saggista progressista americano), Ramsey Clark (il primo
avvocato del mondo nella difesa dei diritti umani), Barbara Foley
(presidentessa dell’Alleanza della Sinistra, il sindacato dei
progressisti accademici), Immanuel Wallerstein (ex-presidente
dell’Associazione Sociologica Internazionale), Michael Ratner
(presidente del Centro per i Diritti Costituzionali e ex-presidente
della Lawyers’ Guild), David Harvey (il geografo più citato del
mondo), il compianto Harry Magdoff (co-redattore "fino alla sua morte
il primo gennaio del 2006" della più importante rivista teorica
marxista americana, Monthly Review), e altri 24 studiosi, avvocati e
attivisti progressisti americani).

PREAMBOLO
Domanda:

In che maniera il paese che ha appena fatto l’esperienza di due
elezioni presidenziali rubate si compiace caratterizzarsi?

Risposta:

"La più Grande Democrazia del Mondo".

Domanda:

In che maniera il governo illegittimo di questo paese descrive il suo
modo di sottoporre i popoli del mondo intero alla sua dominazione
qualunque sia il costo a questi ultimi ed al loro ambiente attraverso
una varietà di mezzi militari, economici e culturali?

Risposta:

"Costruzione Democratica Nazionale" o "Promozione della Democrazia".

Domanda:

Che nome ha dato il governo degli Stati Uniti all’organizzazione da
esso creata per sovvertire i governi (fra cui Haiti e Venezuela i cui
presidenti sono stati eletti onestamente) che esso non approva?

Risposta:

La Fondazione Nazionale per la Democrazia (N..E.D., The National
Endowment for Democracy).

C’è un migliore esempio in qualunque luogo della terra della vecchia
massima dello scrittore francese, La Rochefoucauld: "L’Ipocrisia è
l’omaggio che il vizio paga alla virtù"? In un mondo dove nessuna
virtù gode di un valore più elevato della democrazia, il governo
statunitense ha considerato il pavoneggiare i suoi peggiori vizi
sotto la bandiera della "democrazia" come mossa astuta. Noi dobbiamo
essere più astuti, vedendo questa ipocrisia e i vizi criminali che
questa serve per quello che sono. E lottare contro di essi. Tutti
noi, insieme.

APPELLO

Aiuto! Aiuto! La casa è in fiamme e noi tutti ci abitiamo. Il governo
degli Stati Uniti e le sue organizzazioni dipendenti, come la
Fondazione Nazionale per la Democrazia (N.E.D.), hanno reagito
all’incendio gettando più petrolio su di esso.

Essi la chiamano "la costruzione democratica nazionale"--un nome
elegante per le guerre senza fine, il furto della proprietà comune,
le disuglianze economiche esplosive, i diritti civili sempre più
deboli (che include l’uso della tortura), e la degradazione sempre
più intensa e la distruzione addirittura del nostro ambiente naturale
nascoste dietro il "libero commercio" e la promessa (raramente
mantenuta) di una elezione "libera". Miliardi di persone fuori
d’America vogliono che cessi questa pazzia, ma che cosa possono fare?
La nostra organizzazione nuova e indipendente, la Fondazione
Internazionale per la Democrazia (F.I.D.) crede che essa cesserà solo
se la costruzione democratica nazionale (la cosa autentica, non il
petrolio) viene applicata agli U.S.A., che sono il paese più
responsabile per questi avvenimenti globali spaventosi, e che il
popolo dappertutto può giocare un ruolo nella sua realizzazione.

In breve: se gruppi come la Fondazione Nazionale per la Democrazia
(N.E.D.) utilizza fondi provenienti dal governo americano (donde
"Nazionale") e una grande dose di ipocrisia per sovvertire la
democrazia all’estero, la Fondazione Internazionale per la Democrazia
(F.I.D.) spera di servirsi del denaro estero (donde "Internazionale")
per costruire una vera democrazia nel paese che ne ha più bisogno,
gli Stati Uniti d’America.

Noi facciamo un appello anche alla comunità internazionale a
controllare le elezioni negli Stati Uniti. C’è ancora qualcuno nel
mondo fuori degli U.S.A. che non riconoscca il bisogno di un tale
controllo?

Questo non perchè c’è meno democrazia in America che altrove, alcuni
altri paesi sono anche peggiori a questo riguardo, ma perchè il
disavanzo democratico di cui soffre il nostro paese costituisce una
più grande minaccia alla vita, la libertà e la ricerca della felicità
dei popoli del globo intero che non le azioni di qualsiasi altro
regime. Come vittima della linea politica distruttiva del suo proprio
governo, la grande maggioranza degli Americani non ha nessun
interesse nel ritenerla e cambierebbe questa politica istantaneamente
se la nostra democrazia funzionasse come viene descritta dalle
autorità ufficiali del paese. Che questa linea politica non abbia
funzionato in questa maniera è dovuto al fatto che essa non può
farla, perchè le leggi, le elezioni, i media, le scuole e altri mezzi
per mettere in moto tali cambiamenti sono stati alterati dalla loro
forma originale (per mezzo di preconcetti pregiudiziali sistematici
e, sempre di più, con la nuda repressione), nascosti (con l’ignoranza
imposta), comprati dal Grande Denaro (soprattutto questo), e quando
"necessario" rubati (come nelle ultime due elezioni presidenziali).
Chi può dubitare che la gente dappertutto ha un grande interesse
nella democratizzazione dell’America.

Può darsi che questo sia un primato: gli Americani chiedono aiuto
alla gente di altri paesi. Tuttavia, molte persone che ricevono
questo Appello fuori d’America stanno probabilmente chiedendosi "Per
quale ragione dobbiamo aiutare gli Americani a fare i cambiamenti
necessari nel loro paese? Non abbiamo abbastanza da fare nel nostro
paese?" La risposta può essere presentata nel modo migliore con
un’altra domanda: C’è un lettore che abita fuori della capitale del
suo paese che pensa sia uno spreco di tempo e denaro cercare di
influenzare la politica del governo che ha la sua sede nella
capitale? Se è là che si trova il potere principale. Ebbene, in
questo periodo dell’imperialismo militare, economico e culturale
americano, Washington è diventata la vera capitale del vostro paese,
perchè è là che molte delle decisioni più distruttive che si
ripercuotono sulla vostra vita vengono prese. Sembra ragionevole,
dunque, da un punto di vista politico, dedicare almeno una porzione
del vostro tempo, delle vostre energie e del vostro denaro a un
tentativo di rendere reali i cambiamenti che voi desiderate a
Washington. Se questo è veramente possibile.

In questo momento della storia, noi che viviamo negli Stati Uniti
siamo i meglio collocati per affrontare il nostro oppressore comune.
La responsabilità che spetta a noi, dunque, è enorme, ma le nostre
forze sono deboli. Mentre il tentativo da parte del governo al potere
di minare il processo democratico è in corso, anche se questo
processo era debole, esso ci fornisce di una questione chiave sulla
quale i nostri leaders sono estremamente vulnerabili. Come attesta
l’esplosione dell’ipocrisia governativa, la democrazia rimane la
virtù prediletta del popolo americano. È su questa questione
cruciale, con le sue larghe implicazioni per la linea politica in
America e nel mondo, che abbiamo bisogno del vostro aiuto.

Ci sono molti gruppi negli Stati Uniti che stanno tentando di
difendere ciò che rimane della nostra democrazia raggrinzata e/o
costruirne una migliore e più egalitaria. Ma per lo più essi sono
piccoli, e mancano di fondi. La Fondazione Internazionale per la
Democrazia (F.I.D.) vuole dare ai popoli di tutto il mondo la
possibilità di partecipare a questa lotta cruciale con un contributo
(non importa quanto sia piccolo) a noi, che poi distribuiremo ad
alcuni di questi gruppi. A parte le nostre spese di operazione
normali (nessun membro del Consiglio d’Amministrazione riceve un
salario), tutto il denaro ricevuto sarà inoltrato ai gruppi scelti.
Per quanto questa idea possa sembrare strana, con questa
manifestazione di solidarietà , la gente ovunque è ora in grado di
aiutare se stessa aiutando noi a aiutare loro. Forse questo non è
tanto anormale, dopo tutto.


I contributori possibili dovrebbero sapere anche che noi non daremo
denaro a qualsiasi partito politico, o accettare denaro da qualsiasi
organizzazione coinvolta in forme violente di attitività politica, o
da qualsiasi governo straniero.

Ai lettori americani, che non hanno bisogno del nostro consiglio per
dare denaro alle loro organizzazioni progressiste favorite, chiediamo
soltanto di continuare a fare quello che avete già fatto (va bene, un
pò di più), ma vi preghiamo di inoltrare questo Appello ai vostri
amici e conoscenti, soprattutto coloro che vengono da paesi esteri.
(Nel caso che vogliate mostrare il vostro appoggio a questa
iniziativa potete farlo con un contributo finanziario. È certo che
non vi cacceremo via.)


Il successo del nostro progetto richiede la diffusione del nostro
messaggio a milioni di persone in tutto il mondo. Allora, se
approvate quello che stiamo facendo e pensate che potrebbe essere
importante, vi chiediamo urgentemente di mandare questo appello
(legato al nostro sito elettronico) a tutte le persone elencate nel
vostro albero e-mail, ed ai siti e blogs che voi visitate nonché alle
liste di gruppi e organizzazioni a cui appartenete, particolarmente
fuori degli Stati Uniti. E per favore, non mancate di contattare i
vostri amici nei media. Si dice che l’organizzazione MoveOn ha
raggiunto fra dieci e venti milioni di Americani a favore di Howard
Dean durante le elezioni primarie presidenziali del 2004 proprio in
questo modo, ma è possibile che il nostro sia il primo tentativo di
estendere questa strategia a tutto il mondo. È certamente il primo
tentativo di usare Internet per coinvolgere tutto il mondo nella
democratizzazione "compito tanto necessario" degli Stati Uniti. La
natura supremamente grave e le dimensioni planetarie del nostro
problema rendono necessario questo approccio. La nuova tecnologia
Internet lo fa possibile. Ma ci vuole un pò di aiuto da voi per farlo
diventare una realtà.
Non Potreste Aiutarci?

* Vedete il nostro sito--www.iefd.org—per informazioni sulle
cose seguenti, gran parte delle quali in diverse lingue.

* Vedete la rubrica Come Aiutare per i particolari su come fare
un contributo.

* Vedete la nostra Autorizzazione Stampa

* Vedete il nostro esposto di Scopo per una analisi più
dettagliata della crisi della democrazia americana e ciò che speriamo
di fare.

* Vedete Chi Siamo per alcuni fatti biografici e le
pubblicazioni dei membri del nostro Consiglio d’Amministrazione.

* Vedete Dove Va Il Denaro per le nostre priorità e procedure
nell’inoltrare i fondi raccolti (e, più tardi, quanto denaro abbiamo
ricevuto e a chi l’abbiamo dato).


Per contattarci:
Siti WEB:
www.internationalendowmentfordemocracy.org e www.iefd.org

Posta elettronica:
comments@... (per i commenti o le domande dei lettori)
media@... (per richieste d’informazione dirette ai media)

Posta normale:
International Endowment for Democracy (I.E.D.)
P. O. Box 3005,Prince Street Station
New York, New York 10012, U.S.A.

Presidente della F.I.D.
Prof. Bertell Ollman
Dipartimento di Scienze Politiche, N.Y.U.

Comitato Esecutivo della F.I.D.
Prof. Michael Brown
Dipartimento di Sociologia, Northeastern University
Prof. Barbara Foley
Dipartimento di Studi Inglesi, Rutgers University
Prof. Emerito John Manley
Dipartimento di Scienze Politiche, Stanford University
Michael Smith, Avvocato


--- SEGNALAZIONE ARTICOLO:

il manifesto
06 Aprile 2006

STATI UNITI

Il mercato dei diritti umani

Libertà di violare

Washington ormai può violare impunemente qualunque diritto umano o
civile in nome della lotta al terrorismo
GIANNI MINA'

In gergo le chiamano renditions, consegne, e riguardano le operazioni
di trasferimento di persone sequestrate, sbattute illegalmente da un
paese all'altro, poste in detenzione segreta e torturate nel contesto
della presunta «guerra al terrore». E' una pratica messa in atto
senza nessun imbarazzo dal governo degli Stati uniti e rivelata, con
prove indiscutibili, proprio in queste ultime ore da Amnesty
International. Eppure, l'informazione dei paesi civili e democratici,
su questa storia nefanda, brilla per il suo silenzio assordante,
limitandosi, nel migliore dei casi, a una notizia impaginata senza
risalto.
Negli stessi giorni, una denuncia presentata davanti al super
procuratore dei diritti umani di Città del Messico, dr. Mario Alvarez
Ledesma, rivela che nel paese del presidente Fox, il compagno di
rancho di George W. Bush, dal 2004 al 2006, sono stati assassinati 11
giornalisti (22 in totale dal 2000). Gli ultimi due il 9 e il 10
marzo del 2006. Ora il Messico supera la Colombia in questo triste
primato di reporter assassinati passato nell'indifferenza dei grandi
media. Non c'è purtroppo da stupirsi. L'abitudine a eludere è stata
vieppiù praticata da quando gli Stati uniti e l'Inghilterra hanno
deciso di portare la «democrazia» in Afghanistan e Iraq, dove, negli
ultimi tempi c'è stato un crescendo impressionante. Prima l'assedio
di Samarra per stanare, con i metodi sommari già usati a Falluja, la
guerriglia sunnita, poi il massacro di innocenti compiuto dai marines
a Ishaqui (5 bambini, 4 donne e 2 uomini), infine la mattanza messa
in atto dalle forze di occupazione Usa nella moschea sciita Moustafa
di Baghdad.
Gli Stati uniti possono violare ormai impunemente qualunque diritto
umano o civile come conferma il caso denunciato da The Nation dei
3000/5000 cittadini nordamericani di fede islamica desaparecidos in
conseguenza delle leggi antiterrorismo volute dal presidente dopo
l'11 settembre 2001, o possono comminare, senza suscitare scandalo,
pene tombali a 5 agenti dell'intelligence cubana colpevoli solo di
aver smascherato le centrali terroristiche che dalla Florida
organizzavano attentati nell'isola de la Revolución causando negli
anni oltre 3500 morti e più di 10000 feriti.
Gli Stati uniti possono addirittura sostenere di essere impegnati
nella guerra contro il terrorismo, mentre invece lo praticano o sono
complici di terroristi accertati come Orlando Bosch (mente criminale
dell'attentato del 1976 a un aereo civile cubano e liberato con un
indulto nel '89 da Bush padre) o José Basulto, Romy Frometa o Luis
Posada Carriles ai quali è stato concesso in vari momenti asilo o
protezione. Posada Carriles che si vantò delle azioni terroristiche a
Cuba nell' estate del '99 e commentò con assoluto cinismo la morte
del cittadino italiano Fabio Di Celmo («stava nel posto sbagliato al
momento sbagliato») ha addirittura consigliato pubblicamente il
governo di Washington di essere accorto: «Sul mio caso credo andrebbe
applicato il segreto di stato».
Non stupisce quindi che a metà marzo sette premi Nobel,(Pérez
Esquivel, Rigoberta Menchú, Saramago, Nadine Gordimer, Harold Pinter,
Dario Fo e Wolle Sojnka) insieme a Ramsey Clark, ex ministro della
Giustizia Usa e migliaia di altre personalità abbiano firmato un
appello nel quale denunciano gli Stati uniti e i loro alleati de
l'Unione europea «per le sistematiche violazioni dei diritti umani
perpetrate proprio in nome della cosiddetta guerra al terrorismo».
L'appello malgrado il prestigio dei firmatari è stato segnalato in
Italia da pochi media. La Repubblica l'ha ospitato solo come
pubblicità a pagamento, cosi come fece nel 2004 il New York Times per
l'appello sui 5 cubani detenuti illegalmente negli Stati uniti
pagato, fra gli altri, dall'ex ministro della Giustizia Ramsey Clark,
dal vescovo di Detroit Thomas Gumbleton, e da Noam Chomsky che lo
stesso New York Times poco tempo prima aveva definito «il più
prestigioso intellettuale vivente».
Non sorprende quindi che i maggiori giornali italiani abbiano
presentato la battaglia combattuta poche settimane fa all'Onu per
sostituire la vecchia commissione per i diritti umani con un nuovo
consiglio più efficiente, come il tentativo di nazioni ritenute
democratiche di evitare la possibilità a paesi accusati invece di
illiberalità di entrare a far parte, come è successo in un recente
passato, dell'organismo di controllo. Era in gioco invece anche il
tentativo di diverse nazioni vessate e ricattate ogni anno dal
governo degli Stati uniti di affrancarsi dall'obbligo di votare
sempre come voleva Washington che spesso brandiva il tema dei diritti
umani come una clava contro paesi (ultimo il Venezuela di Chávez) non
allineati ai loro interessi economici e politici. Ogni primavera
infatti da decenni, si assisteva ad un vero e proprio «mercato dei
diritti umani», come denunciò Rigoberta Menchú che, per l'opposizione
sistematica degli Stati uniti, non vide mai condannato il genocidio
perpetrato negli anni '80 dalla dittatura militare guatemalteca
contro le popolazioni maya proprio con la complicità del governo di
Washington. Qualche anno fa l'India si era vista addirittura tagliare
un prestito già accordato dagli Stati uniti per aver disatteso
l'ordine di votare il rituale documento di censura a Cuba voluto dal
Dipartimento di stato. E' la stessa logica per la quale gli Usa
premevano sulla Serbia per farsi consegnare i sospetti criminali di
guerra e nello stesso tempo insistevano per firmare un trattato che
obbligava lo stesso paese slavo a non consegnare mai (neanche
all'Aja) cittadini nordamericani sospettati di essere responsabili
degli stessi misfatti.
Ultimamente però il «mercato dei diritti umani», considerati gli
impegni Usa in Medio Oriente, era diventato troppo oneroso per
l'amministrazione di Bush Jr. Il 15 marzo, poi, 170 nazioni hanno
trovato l'accordo per un progetto di riforma del vecchio comitato dei
diritti umani che non rassicurava completamente Washington sulla
possibilità di poter ancora usare a piacimento questo strumento non
solo contro le nazioni illiberali, ma anche contro le nazioni non
allineate alle proprie esigenze. Così John Bolton il «falco»
catapultato da Bush al Palazzo di vetro ha votato contro la riforma
con l'appoggio solo di Israele e delle Isole Marshall e Palau (dove
ci sono due basi militari Usa). Non a caso sono gli stessi paesi che,
ogni autunno, contrariamente al resto del mondo si esprimono in
favore dell'embargo a Cuba.
Le campagne di convincimento e persuasione dell'opinione pubblica
mondiale, messe in atto nelle più recenti congiunture storiche per
assecondare gli obiettivi Usa sono state preparate ogni volta da
organismi come il Ned (National endowment for democracy), una vera e
propria agenzia di propaganda diretta dalla Cia. Proprio in un saggio
per Latinoamerica, pubblicato anche dal manifesto, Wayne Smith (il
diplomatico nordamericano che più si è occupato di Cuba) ha spiegato
che «il Ned influenza e cerca di condizionare per conto del governo
di Washington, stampa, partiti politici, organismi sindacali di
nazioni non in sintonia con i disegni economici e strategici degli
Stati uniti» e ha aggiunto che «questo pericoloso retaggio della
guerra fredda sarebbe ora fosse consegnato alla pattumiera della
storia».
E invece questo organismo è più che mai all'opera. Per convincere
dell'opportunità di un colpo di stato contro Chávez in Venezuela o
per organizzare la rivoluzione arancione in Ucraina.
Una macchina che deve creare consenso e che si avvale di agenzie
d'informazione, radio, televisione o di associazioni disponibili per
questo genere di promozione, come Reporters sans Frontières. Bruce
Jackson, docente di storia americana all'università di Buffalo lo ha
chiarito senza possibilità di smentita sempre su Latinoamerica. Per
questo sorprende che al punto 16 del programma elettorale dei
socialisti e dei radicali della Rosa nel pugno ci sia proprio
l'intenzione di creare un Italian and European Endowment for
Democracy esattamente sul modello della casa madre fondata in Usa da
Ronald Reagan nel 1984. Un progetto perché la Cia possa controllare
direttamente il governo dell'Unione se vincesse le elezioni? O un
progetto, dopo la fine dell'era di Fini e Martino, di condizionare
ancora la politica estera italiana?