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Porrajmos
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COOPERATIVA SOCIALE "Romano Pijats"
COOPERATIVA SOCIALE PHRALIPE' FRATERNITA'
Opera Nomadi sezione Lazio
Sportello di Segretariato Sociale per l'avviamento al lavoro delle Comunità Rom, Sinti e Caminanti
celebrerà la
GIORNATA INTERNAZIONALE DEI ROM E DEI SINTI
(8 aprile: ricorrenza del primo Congresso Mondiale dei Rom, avvenuto a Londra l'8 aprile 1971)
In collaborazione con
Municipio Roma V
Municipio Roma VII
Municipio Roma VIII
Municipio Roma XI
Comune di Roma 5.o Dipertimento - Politiche sociali e della salute
Opera Nomadi sezione Lazio
Sportello di Segretariato Sociale per l'avviamento al lavoro delle Comunità Rom, Sinti e Caminanti
ai "Pijats Romanò" (manifestazioni culturali e esposizioni artigianali dei Rom/Sinti!
domenica
dalle ore 8.00 alle ore 12
a Roma
davanti supermercato Auchan
Area Parcheggio Via Collatina di fronte Via Zanibelli
(Municipio Roma VII)
Davanti supermercato SISA
Area Parcheggio Via Mirtillo (Casale Caletto zona La Rustica)
(Municipio Roma V)
Area Parcheggio Via Lungotevere Dante (Zona Ponte Marconi)
(Municipio Roma XI)
Area Parcheggio Viale Tor Bella Monaca (davanti Municipio Roma VIII)
(Municipio Roma VIII)
TROVERAI:
artigianato in rame, antiquariato
abiti usati, collezionismo, bigiotteria etc
esibizione del lavoro effettuato dai maestri ramai Rom
musica balcanica
mostra storico documentaria sul popolo dei Rom, Sinti e Camminanti
banchetti di libri e materiale informativo sul popolo dei Rom, Sinti e Camminanti
Alabarda", n. 204 (3/2006) -
http://www.nuovaalabarda.org/leggi-articolo-in_merito_agli_elenchi_dei_'deportati'_da_gorizia.php
In merito agli elenchi dei 'deportati' da Gorizia
STORIA O PROPAGANDA?
Ha fatto scalpore nei primi giorni di marzo (in curiosa coincidenza
con l'apertura ufficiale della campagna elettorale in Italia), la
notizia che la Slovenia avrebbe finalmente consegnato all'Italia un
elenco di nominativi di "deportati" dalla città di Gorizia nel maggio
1945 ad opera delle truppe jugoslave. L'ANSA si è subito distinta
nello scrivere, a proposito dei "deportati da Gorizia", che "di loro
non si è mai saputo nulla, ma si ritiene che la maggioranza vennero
uccisi nelle foibe carsiche", anche se, a leggere la documentazione
che è stata pubblicata sui quotidiani regionali, appare proprio il
contrario di tutto questo.
Facciamo quindi una breve analisi, per il momento ancora generica (ci
ripromettiamo di produrre un'analisi più dettagliata nei prossimi
tempi) di quanto è apparso sulla stampa. Innanzitutto vi indichiamo
una gustosa "bufala": sul "Messaggero Veneto" dell'8/3/06, tra le
varie foto di repertorio di recuperi di corpi dalle "foibe" (nessuna
della zona del Goriziano, da quanto possiamo vedere dalle nostre
conoscenze), c'è anche una foto che viene presentata come una
"immagine d'epoca che testimonia i rastrellamenti delle truppe
titine". Peccato che questa "foto d'epoca" sia invece un fotogramma
della (pessima) fiction prodotta l'anno scorso dalla RAI, "Il cuore
nel pozzo". Ma andiamo avanti.
Innanzitutto vediamo come sarebbe giunta in Italia questa
documentazione sui goriziani deportati. Il ministro sloveno Rupel
avrebbe consegnato uno studio della storica slovena Nataa Nemec al
sindaco di Nova Gorica, che lo avrebbe consegnato a sua volta, due
mesi or sono, al suo omologo goriziano, Vittorio Brancati. Il quale
avrebbe consegnato la documentazione non ad un istituto storico, non
ad un organismo ufficiale, ma alla rappresentante del Comitato dei
congiunti dei deportati goriziani, la signora Clara Morassi Stanta,
che è figlia di Giovanni Luigi Morassi (indicato nell'articolo come
"presidente della provincia di Gorizia, vicepodestà" e nell'elenco
prodotto dalla storica Nemec anche "PNF, gerarca, nemico degli
sloveni, collaborazionista dei tedeschi"), che fu arrestato e non fece
rientro, nonché vedova di Luigi Stanta, che il sedicente ricercatore
storico Marco Pirina, in "Genocidio " indica come "Prof." e "Vice
Comandante" di una non meglio identificata "Divisione Gorizia", che
gli avrebbe dato le foto, pubblicate nel libro, relative ad un
"eccidio" di 20 militari inquadrati nel XIV Battaglione Costiero (in
linguaggio tecnico il "freiwillige Polizei bataillon", direttamente
sottoposto agli ordini del Reich).
Il primo interrogativo che ci viene in mente è questo: perché lo
"studio" è stato consegnato alla signora Morassi? Il secondo: perché
la signora Morassi lo ha consegnato alla Prefettura e quindi reso di
pubblico dominio proprio in questo particolare momento? Non avrebbe
avuto più senso, da un punto di vista logico, parlarne nel corso del
giorno del ricordo del 10 febbraio e non all'inizio della campagna
elettorale?
Ma questi sono interrogativi che alla fine non hanno molta importanza:
ciò che conta in effetti è la documentazione pubblicata. Dicevamo che
questo sarebbe uno "studio" curato dalla dottoressa Nemec: noi
pensiamo che qualunque storico dovrebbe, prima di rendere pubblico un
proprio studio, cercare di dargli una forma concreta e comprensibile,
e non limitarsi a ricopiare degli appunti, lasciando in piedi
contraddizioni non chiarite e via di seguito.
Per entrare nel merito, diciamo che può essere un criterio valido
dividere le persone a seconda delle proprie qualifiche (militari,
bersaglieri, polizia ), però quantomeno all'interno di uno stesso
elenco dovrebbe essere rispettato l'ordine alfabetico, cosa che non
abbiamo riscontrato; né la numerazione progressiva è corretta. Né
comprendiamo il motivo di fare un elenco a parte per chi fu internato
a Borovnica, un altro per chi morì a Borovnica o a Skofja Loka, e non
inserire questi nominativi nei singoli elenchi per qualifica, ma
questi al limite sono particolari di relativa importanza. Ciò che non
troviamo accettabile è che in questo elenco vengano compresi anche
"149 scomparsi prima del maggio 1945", tra i quali troviamo, al n. 17,
Coos Alfredo, morto in Corsica il 15/10/43; al n. 53 Iach Giuseppe,
partigiano e al n. 86 PUERI Giorgio, partigiano brigata Kosovel,
caduto presso Trnova nel 1944. A che scopo inserire questi nomi (od
anche gli altri nomi di persone che, comunque, sono morte nel corso
della guerra per i più svariati motivi e nei più svariati luoghi), se
non per aumentare la cifra totale dell'elenco e creare più scalpore
intorno al fatto? Lo stesso discorso per l'elenco dei 110 rientrati
dalla prigionia: se sono rientrati, perché comprenderli nell'elenco
che viene spacciato per quello dei "deportati e dispersi"?
Inoltre non è dignitoso, per una ricerca storica, che a fianco di
diversi di questi nominativi (come il già citato partigiano Iach)
appaiono annotazioni di questo tipo: "arrestato a Gorizia 9/5/45
disperso 1943-45". Se esistono dubbi sulla scomparsa o l'uccisione di
una persona, lo storico serio deve spiegare queste contraddizioni,
possibilmente indicando la fonte di ciascuna delle ipotesi (a parte
che nel caso specifico di Iach egli risulta negli studi più recenti
solo come partigiano caduto in combattimento).
Queste le brevi constatazioni in merito alla qualità dello studio che
è stato reso pubblico, uno studio che oltretutto non aggiunge nulla di
nuovo, come ha sostenuto anche Piero Delbello (direttore dell'Istituto
per la cultura istriano fiumano dalmata di Trieste, che comunque non
si vede cosa c'entri con questione relative a Gorizia, che non è né
Istria, né Fiume, né Dalmazia), rispetto agli elenchi di arrestati che
già si conoscevano da tempo. Ma a prescindere da questo, ciò che a
parer nostro invece è fondamentale da rilevare, è che questi elenchi,
lungi dal dimostrare "infoibamenti" e massacri indiscriminati da parte
dell'esercito jugoslavo o dei partigiani nei confronti degli abitanti
di Gorizia, evidenziano invece tutta un'altra serie di cose.
Innanzitutto, come abbiamo già accennato, in questo elenco di circa
1100 persone sono 110 i nominativi di rientrati dalla prigionia e 149
le persone morte prima del 1/5/45; circa 500 sono nominativi non di
"deportati" goriziani, ma di militari (provenienti da tutta Italia)
appartenenti a formazioni che erano di stanza nella ex provincia di
Gorizia (i bersaglieri ad esempio sono stati fatti prigionieri nella
zona di Tolmino, mentre il battaglione costiero nella zona di Cal di
Canale), compresi 33 domobranzi, che non erano una formazione
italiana, ma di sloveni inquadrati nell'esercito nazista; ed erano
inquadrati come "freiwillige" (cioè volontari") nell'esercito del
Reich sia il XIV Battaglione costiero, sia i bersaglieri del
battaglione "Mussolini". Andando avanti, troviamo anche 38 nominativi
di arrestati nella zona di Monfalcone, ed alla fine, dei "deportati
civili" da Gorizia ci rimane solo un elenco di circa 200 nomi, dei
quali, se leggiamo le qualifiche indicate, scopriamo che molti erano
squadristi, molti erano funzionari del Fascio e gerarchi, alcune donne
erano ausiliarie della contraerea (quindi militari da ogni punto di
vista), altri ancora collaborazionisti con la polizia nazista e via di
seguito.
Un discorso a parte va fatto per i carabinieri indicati nell'elenco:
ricordiamo che l'Arma dei Carabinieri fu sciolta, nell'Adriatisches
Küstenland, per ordine dei comandi germanici, con decorrenza 25 luglio
1944. I carabinieri furono quindi inquadrati in altre formazioni
collaborazioniste: generalmente nella Milizia Difesa Territoriale,
cioè il corrispettivo della Guardia Nazionale Repubblicana nel
territorio direttamente soggetto al Reich che non accettava la
presenza di organizzazioni militari "italiane". Altri carabinieri
furono inquadrati negli organismi di polizia (sempre soggetta al
comando germanico); i carabinieri che si rifiutarono di venire
inquadrati nelle formazioni militari soggette al Reich, perché
ritenevano ancora valido il proprio giuramento di fedeltà al Regno
d'Italia, furono deportati nei lager germanici dove molti persero la
vita. Soltanto pochissimi carabinieri rimasero in organico come tali,
quelli che curavano gli uffici stralcio dell'Arma, ma quelli che
furono arrestati, a Gorizia come a Trieste, nei primi giorni di maggio
del 1945 non potevano essere stati arrestati in quanto carabinieri, ma
in quanto ex carabinieri che erano stati inquadrati nelle formazioni
collaborazioniste (e difatti secondo altri elenchi di arrestati, la
maggior parte dei carabinieri dell'elenco di Nemec risultano essere
stati inquadrati nella MDT).
Un'altra cosa importante che appare da questo elenco, è che nessuno di
questi arrestati risulta essere stato "gettato nelle foibe",
nonostante quanto scritto dall'ANSA: gli arresti risultano essere
stati fatti in quanto le persone erano state coinvolte con il passato
regime (per alcuni nominativi troviamo l'indicazione "arrestato per
errore"), mentre la maggior parte, come abbiamo spiegato prima, è
composta da militari catturati ed internati nei campi di prigionia,
come previsto dai regolamenti di guerra. Non "foibe", quindi: arresti
sì, morti anche, ma non "infoibati".
Perché dunque continua questa strumentalizzazione dei morti, che ci si
ostina a definire "infoibati" anche se sono morti altrimenti?
Ricordiamo qui quanto scrivono Pupo e Spazzali (in "Foibe", Bruno
Mondatori 2003): "Quando si parla di foibe ci si riferisce alle
violenze di massa a danno di militari e civili, in larga prevalenza
italiani, scatenatesi nell'autunno del 1943 e nella primavera del 1945
in diverse aree della Venezia Giulia e che nel loro insieme
procurarono alcune migliaia di vittime. È questo un uso del termine
consolidatosi ormai oltre che nel linguaggio comune, anche in quello
storiografico, e che quindi va accolto, purché si tenga conto del suo
significato simbolico e non letterale". Questo concetto è stato
ripreso, negli ultimi anni, da storiografi e divulgatori vari, da
Oliva a Rumici, al più recente Girardo.
Per capire questa mistificazione facciamo un passo indietro nel tempo.
Nel 1976, all'epoca del processo per i crimini della Risiera di San
Sabba (un campo di concentramento e sterminio per ebrei e partigiani
rastrellati nei territori occupati dai nazifascisti, dove si calcola
furono uccise tra le 4.000 e le 5.000 persone), ci fu una campagna
stampa che chiedeva, oggi si direbbe come "par condicio", che si
procedesse in via giudiziaria anche per le "foibe". In quell'occasione
lo storico triestino Giovanni Miccoli sostenne che l'accostamento tra
foibe e Risiera fosse "aberrante", in quanto la Risiera era "il frutto
razionale e scientificamente impostato dall'ideologia nazista, che
come ha prodotto Belsec e Treblinka, e Auschwitz e Mauthausen, e
Sobibor e Dachau, così ha prodotto la Risiera, e l'ha prodotta qui, ha
potuto produrla qui perché, per i fini ai quali doveva rispondere, ha
trovato compiacenti servizi in ambienti largamente predisposti dal
fascismo"; mentre le foibe "sono la risposta che può essere sbagliata,
irrazionale e crudele, ma pure sempre risposta alla persecuzione e
alla repressione violenta e sistematica cui per più di vent'anni lo
Stato italiano ( ) aveva sottoposto le popolazioni slovene e croate di
queste zone. È assurdo parlare, riferendosi ad esse, di genocidio o di
programmazione sistematica di streminio, ma sì di scoppio improvviso
di odii e rancori collettivi a lungo repressi".
Miccoli conclude asserendo che un eventuale processo per "le foibe"
sarebbe un "accostamento storicamente e moralmente infondato se non,
ancora una volta, da un punto di vista nazionalista e fascista, un
processo non ad un'ideologia e a un sistema, e quindi occasione di
crescita e di consapevolezza civile, ma un processo ad una reazione
irrazionale e violenta che trovava rispondenza in tensioni e
lacerazioni di interi gruppi sociali, e perciò inevitabilmente aperto,
per gli equivoci gravi da cui nascerebbe, alla strumentalizzazione
fascista e nazionalista".
Nello scritto appare chiaramente come Miccoli considerasse le "foibe"
nel loro significato letterale e non "simbolico", volendo tenere conto
del linguaggio di Pupo e Spazzali. In effetti, stante che le varie
modalità di morte dei cosiddetti "infoibati" (così definiti appunto
secondo l'interpretazione "allargata") non hanno di per se stesse un
minimo comune denominatore, perché si tratta di episodi diversi tra di
loro che vanno inseriti tutti nell'enorme, abominevole, fenomeno che
fu la seconda guerra mondiale, non sarebbe possibile poter parlare di
un fenomeno "comune" per le "foibe", come invece si può parlare dei
"lager", che furono appunto il risultato di un programma politico
studiato e pianificato a tavolino da un regime autoritario. Mentre, se
si "accoglie" (sia pure nel suo significato "simbolico e non
letterale") l'uso del termine "infoibati", allargandolo anche a coloro
che morirono altrimenti (di tifo nei campi di internamento per
militari, fucilati dopo processo, in esecuzioni sommarie da
regolamenti di conti post-bellici e via di seguito), in base
all'analisi del professor Miccoli prima esposta, questo
"allargamento", che porta a considerare fenomeni diversi tra di loro
come componenti di uno stesso progetto (un non mai dimostrato
storicamente disegno politico del nascente stato jugoslavo di
"eliminazione" degli italiani per la conquista dei territori da essi
abitati) può avere un unico effetto: quello di paragonare il "fenomeno
delle foibe" (che è un "non-fenomeno") al disegno nazifascista di
eliminazione delle "vite zavorra", delle "razze inferiori" e degli
oppositori politici, realizzando in questo modo quell'accostamento
aberrante che era stato denunciato come pericolo da Miccoli ancora nel
1976.
Viene quindi da pensare che sia questo il motivo per cui tanti
divulgatori e storiografi si accaniscono nella propaganda a parlare di
"foibe" nel concetto "allargato" di Pupo e Spazzali,; viene il
sospetto che dietro queste interpretazioni storiografiche ci sia un
movente politico, lo scopo sia quello di criminalizzare e denigrare la
Jugoslavia di Tito, e con essa la lotta di liberazione compiuta a
prezzo di immani sacrifici assieme agli antifascisti di tutte le
nazioni che con essa hanno combattuto, ed infine anche il progetto
politico che fu di Tito e della sua Jugoslavia, il cercare di
costruire un tipo diverso di socialismo, autogestionario e non allineato.
Marzo 2006
0. Links
1. Benedetto XVI: un tedesco di guardia ai roghi (La Plebe)
2. Ancora insistono con la "pista bulgara" (Oss. Balcani)
3. Un uomo generoso e un papato disastroso (F. Barbero / Comunità
cristiana di base)
4. Le "Madres de Plaza de Mayo" al Papa sul caso Pinochet
5. Cile e Vaticano: Una pagina imbarazzante (G. Perreli, da L'
Espresso 10 dicembre 1998)
6. «Il primo Papa no global della storia»: l'unanime coro dei
genuflessi politici italiani
=== 0. LINKS ===
LE RESPONSABILITA' VATICANE NEL CONFLITTO BALCANICO: ALCUNI ELEMENTI.
a cura del Comitato unitario contro la guerra alla Jugoslavia [1999]
https://www.cnj.it/CHICOMEPERCHE/sfrj_04.htm
---
Pagheremo caro ma pagheremo tutti?
IL VATICANO NON DA' UNA MANO
Dossier
SOMMARIO
Introduzione
Pagheremo caro ma pagheremo tutti?
APSA e IOR. Pilastri economici e finanziari del Vaticano
Il particolare ruolo della Mittel SpA
L'inganno dell'Otto per mille
L'esenzione dal pagamento dell'ICI
Quanto costa l'ora di religione?
Radio Vaticana: una radio al di sopra della legge
Dossier a cura di Radio Città Aperta
SCARICABILE ALLA PAGINA:
http://www.contropiano.org/ (sezione "Documenti")
---
De Jean-Paul II à Benoît XVI
L'Église catholique et le projet états-unien de « guerre des
civilisations »
Comme il existait un tandem Jean-Paul II/ Ronald Reagan, il existe
désormais un tandem Benoît XVI / George W. Bush. Cependant le nouveau
pape ne devrait pas marquer de rupture avec son prédécesseur, mais
poursuivre un virage qu'il a amorcé depuis plusieurs mois, en sa
qualité de régent de fait du Saint-Siège. L'Église catholique espère
que la croissance démographique de la communauté hispanique lui
permettra de devenir rapidement majoritaire aux États-Unis et de
devenir la religion officielle du nouvel Empire. Elle se propose aussi
d'exclure l'islam de l'Europe pour faire entrer le continent dans la «
guerre des civilisations ». Par Thierry Meyssan
http://www.voltairenet.org/article16943.html
---
Giovanni Paolo II, un grande amico dei Croati
04.04.2005 [Drago Hedl] Dal ruolo svolto nel riconoscimento
dell'indipendenza della Croazia all'appello alla riconciliazione,
pronunciato a Zagabria nel 1994. Papa Wojtyla ha avuto un'importanza
cruciale nella storia recente del Paese, che ha visitato tre volte. I
Croati piangono un padre [NOTA BENE: in questo articolo, profondamente
reticente e politically correct, non viene nemmeno menzionata la
beatificazione dell'arcivescovo nazista Stepinac e si scrive che nel
1994 le Krajne erano "occupate dai ribelli serbi" (sic).]
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4062/1/51/
---
Walter Peruzzi: I crimini di Dio
Negli ultimi decenni la crisi della modernizzazione ha determinato la
crescita delle religioni, prontamente sfruttata da imam, papi e
chierici vari per riproporre la teocrazia e lo scontro con il
razionalismo illuminista ed il pensiero laico. La chiesa cattolica
gode di una fama quanto mai immeritata di santità ed onestà. Dalle
origini ad oggi, si è contraddistinta per la difesa della schiavitù,
le crociate, la discriminazione delle donne, le campagne omicide
contro indios, eretici, atei.
25-02-2006 - 835 letture
http://www.terrelibere.org/counter.php?riga=218&file=218.htm
--- LINK BREVI:
IL PAPA HA `OCCULTATO' L'INCHIESTA SUGLI ABUSI SESSUALI
Una lettera confidenziale rivela che Joseph Ratzinger ordino' ai
vescovi di non svelare gli abusi sessuali su minori perpetrati da
ecclesiastici
http://www.nuovimondimedia.com/sitonew/modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=1238
1978-2003, IL GIUBILEO DEI REPRESSI: I 25 ANNI DEL PONTIFICATO DI PAPA
WOJTYLA VISTI DA UN'ALTRA PARTE
Il dossier rivela tutti i casi di repressione ecclesiale e teologica
disposti, a partire dal 1979, da papa Wojtyla e dai capi dicastero da
lui scelti
http://www.adistaonline.it/speciali/76italiano.pdf
Antonio Gramsci: Il Vaticano
Articolo di La Correspandance Internationale, 12.03.1924
http://www.resistenze.org/sito/te/cu/la/cula5d16.htm
Questo papa non è stato un grande papa - di Tiziano Tussi
http://www.resistenze.org/sito/te/cu/la/cula5d08.htm
I giorni deliranti del lutto mediatico - di Enrico Penati
http://www.resistenze.org/sito/te/cu/li/culi5d06.htm
La morte del Papa. Note inattuali - di Gino Candreva
http://www.resistenze.org/sito/te/cu/st/cust5d05.htm
Funerali del Papa: un episodio di Simonìa massmediatica - Contropiano
10-04-2005
http://www.anti-imperialism.net/lai/texte.php?langue=5§ion=&id=23717
Hans Küng: Wojtyla, il Papa che ha fallito
http://it.groups.yahoo.com/group/aa-info/message/9997
http://www.corriere.it/Primo_Piano/Documento/2005/03_Marzo/26/index_kung.shtml
Ratzinger su Stepinac (Visnjica broj 491)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4370
Lettera a Wojtyla di Don Vitaliano della Sala
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4368
L'altra faccia del Papa: l'eredità di Giovanni Paolo II nei Balcani
Another Side of the Pope: John Paul II's Balkan Legacy
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4366
http://www.balkanalysis.com/modules.php?name=News&file=print&sid=523
Habemus Europam (aprile 2005)
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4378
KAROL WOJTYLA: Tutte le guerre dell'ultimo papa
di TOMMASO DI FRANCESCO da "IL MANIFESTO" del 9 aprile 2005
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4424
Il Santo Guerriero - di Enzo Bettiza
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/4364
=== 1 ===
http://it.groups.yahoo.com/group/aa-info/message/10045
Benedetto XVI: un tedesco di guardia ai roghi
Sullo sfondo di un ventennale conflitto epocale, d'un regolamento di
conti immaginificamente in bilico tra il vecchio western e la guerra
fredda, l'umile lavoratore della vigna del Signore ha conquistato il
feudo più imponente del mondo. E se le luci della ribalta del suo
pontificato non diventeranno fuochi dell'Inquisizione spagnola sarà
solo per limiti tempo. Quel tempo che manca a Joseph Ratzinger, Papa
di transizione, settantottenne pastore tedesco.
::il libro bianco::
Nativo di Marktl, in Baviera, dove la locale pro-loco si affretta a
lucidare, per i turisti della fede, le pagane vestigia della sua vita
precedente (unghie e incrostazioni calcaree comprese), aviatore
tardivamente antinazista, prete negli anni Cinquanta e teologo
successivamente, ex-progressista folgorato sulla via di Damasco,
pupillo delle sette più oscurantiste, cardinale.
Arcivescovo di Monaco di Baviera, come rappresentante in capo della
influente e potentissima "ala tedesca", capeggiò da grande elettore la
nomina di Karol Woytjla al soglio pontificio, opzionato a sorpresa in
quanto papa debole e facilmente manipolabile, adatto alla contingenza
dello scontro interno e perciò stretto come preda tra le ragnatele del
potere ecclesiastico diviso in fazioni.
Da una parte la loggia massonico-curiale, dall'altra la crescente,
inarrestabile Opus Dei, reazionaria e medievale.
È del cardinale tedesco la regia della prima decisa svolta autoritaria
e restrittiva della gestione del polacco. Bersaglio: le suggestioni
conciliari più avanzate, i teologi che - bontà loro - ritenevano il
Vaticano II viatico dell'ecumenismo moderno e - eretici! -
individuavano nelle istanze del Concilio una giusta integrazione del
cattolicesimo con le istanze più moderate del protestantesimo,
un'apertura alla modernità.
Che il Concilio Vaticano II fosse pietra dello scandalo e pesasse -
come pietra - sulle scelte delle fazioni in lotta entro le mura, non è
mai stato un segreto per nessuno. Settori dell'integralismo vi
intravedevano finanche la "morte della Chiesa" e, nell'attesa di
smantellarne i precetti, provvedevano ad eroderne i contenuti.
Capofila della battaglia al riformismo, la santa piovra dell'Opus Dei,
congregazione segreta che annovera Ratzinger tra le punte di diamante.
Nella seconda metà del 1979 la Congregazione per la dottrina della
fede (l'antica Inquisizione) guidata dal cardinale croato Franjo
Seper, dopo aver attaccato il teologo francese Jacques Pohier e
l'olandese Edward Schillebeeckx, trascina sotto processo lo svizzero
Hans Kung, docente progressista presso l'Università di Tubinga. In
cabina di regia: Joseph Ratzinger. Kung, giudicato "deviazionista"
dalla "verità integrale della Chiesa" perse la cattedra.
Ratzinger ipotecò la poltrona di prefetto dell'ex Sant'Uffizio, che
ottenne il 25 novembre del 1981. L'Opus Dei ne gioì vistosamente. Da
tempo il Panzerkardinal aveva avuto modo di farsi conoscere per le sue
tesi anticonciliari ed antimoderniste e, con dalla sua una laurea
honoris causa dell'Università dell'Opus di Pamplona, si era già
meritato il soprannome di Adolf.
::digressione::
Ma i più accorti compagni, da qualche settimana apertamente adoranti
verso ogni feticcio che sappia di potere temporale ecclesiastico,
tirano il freno e mettono in guardia dal giudicare troppo
affrettatamente simili dettagli e dal relegare un pontificato nei
parametri della politica. L'ultimo avviso in tal senso è venuto dal
compagno Nichi Vendola, neo-governatore delle terre di Puglia.
Rispondiamo, ossequiosi come sempre, che costoro non hanno nulla da
temere dal nostro ostinato lavoro di ricerca: solo perché uno è
tedesco, volava con la Luftwaffe, combatteva in tonaca il comunismo
sul fronte orientale, scomunicava i teologi progressisti, rinnegava il
modernismo e nelle cerchie vaticane lo chiamano Adolf, non è detto che
non possa essere un buon papa compatibile con i precetti del
socialismo! (ironia da sottolineare, vista la tristezza che dilaga nel
movimento).
::la scalata::
All'inizio del 1983 esplode, nei ranghi ecclesiastici, la polemica
sulla "deterrenza nucleare" reaganiana. L'episcopato statunitense
gradirebbe una critica aperta del Vaticano alla corsa al riarmo e
nell'attesa fa da sé, con un documento in cui giudica "immorale" la
minaccia nucleare. Gli Usa si irritano. Ratzinger è fuori di sé dalla
rabbia. Chiude a doppia mandata le porte dell'assemblea vaticana e
presiede, accanto al "progressista" Casaroli, una due giorni con
esponenti dell'episcopato europeo, dal quale esce brandendo un
documento che all'unanimità obbliga i colleghi di tonaca americani a
prendere atto della "moralità" della politica di Raegan. Il pastore
tedesco, a margine della sudata, commentò: "Credo che l'etica, per
essere seria, non possa prescindere da un certo realismo".
Il 26 novembre 1983 è lui ad avere l'onore storico di vergare la
parola "fine" nell'antica controversia tra cattolicesimo e massoneria,
infliggendo un colpo semi-mortale alla fazione curiale, da sempre
attiva in Vaticano con metodi che rasentavano l'agire delle Logge. In
pratica il Santo Uffizio di Ratzinger corregge la posizione tollerante
del Codice di diritto canonico woytjliano e ribadisce
l'inconciliabilità tra Chiesa e massoneria. Da quel momento in poi
ogni avversario dell'Opus nelle cerchie infernali del Vaticano potrà
essere etichettato come "massone" e ricevere il benservito tramite
sempiterna scomunica. Colpo di classe.
A distanza di un anno, il 6 novembre 1984, prosegue l'opera di
restaurazione dichiarando pubblicamente chiusa la "primavera
conciliare", madre di decadenza, degenerazioni inaccettabili, fino
alla paventata "autodistruzione": "dopo le esagerazioni di una
apertura indiscriminata al mondo, dopo le interpretazioni troppo
positive di un mondo agnostico e ateo" Ratzinger definisce la
restaurazione "auspicabile" e "già in atto". Ribadirà il tutto,
rincarando la dose, nel suo libro-intervista Rapporto sulla fede,
pubblicato nel maggio del 1985. L'Opus Dei plaude al suo pupillo e, da
quel momento in maniera definitiva, lo candida alla successione di
Woytjla.
Il dissidente Hans Kung commentò: "Per Ratzinger, oggi esiste al mondo
un unico buon teologo: Joseph Ratzinger. È l'orgoglio dell'uomo di
potere che del potere si è impossessato". Ebbe inoltre il tempo, il
silurato Kung, di sottolineare come l'Opus Dei fosse
"un'organizzazione segreta, un'istituzione teologicamente e
politicamente reazionaria, immischiata nelle banche, nelle università
e nei governi, che ostenta tratti medievali e controriformistici"
sottratta al dominio dei vescovi grazie allo status di "prelatura
personale" concessole da Giovanni Paolo II.
Dopo il Sinodo straordinario dei vescovi del 1985, qualcuno osservò:
"è stato seppellito il Vaticano II, ma senza certificato di morte né
funerale". Lo strapotere della fazione opusiana era evidente e
straripante.
Un ex-membro dell'organizzazione scrisse: "Non ci sono dubbi che
l'obiettivo dell'Obra è di conquistare il potere politico, bancario,
militare. Il sogno, la cospirazione machiavellica che muove gli uomini
dell'Opus è di entrare in tutti i gangli vitali della vita del Paese,
per condizionarli".
::la successione::
Nel 1992 il mondo si accorse, suo malgrado, delle precarie condizioni
di salute di Karol Woytjla. Il Sommo Pontefice era malato del morbo di
Parkinson. Quella stessa estate la guida del pontificato venne di
fatto assunta da un direttorio composto da sei eminenti personaggi
della curia: Ratzinger c'era. Con lui Dziwisz, Re, Navarro-Valls,
Sodano e Ruini.
Il 22 febbraio 1996 al febbricitante Pontefice fu fatta firmare la
costituzione apostolica Universi Dominaci Gregis, contenente
innovazioni importanti sul futuro conclave e disposizioni
sull'elezione del nuovo Papa della cristianità, la più importante
delle quali prevedeva l'annullamento del quorum dei due/terzi dei
votanti già alla trentaquattresima votazione. In sostanza si
facilitava l'avvento della maggioranza semplice. E con la pioggia di
Concistori del pontificato polacco, con la nomina di più di un
centinaio di nuovi cardinali a maggioranza opusiana, l'Opus si
garantiva la successione. Semmai ce ne fosse stato bisogno, giacché a
Papa infermo, dal Giubileo in poi, le consultazioni sono avvenute a
Papa vivo, in un clima grottesco e tragico. Ciò giustifica la brevità
da record del Conclave a cui abbiamo assistito per ventiquattro ore.
Un conclave a lungo preparato, preconfezionato, inscatolato dalla
macchina bellica dell'Opus Dei per riaffermare la propria assoluta
padronanza dell'Impero papale e - secondo qualcuno - organizzato senza
un valido avversario dell'aviatore tedesco, per via della debacle
della fazione curiale, residuale dopo il pontificato di Woytjla, il
Papa dell'Opus.
Magari esclusivamente orientato contro le mire del cardinale Carlo
Maria Martini, progressista e innovativo, definito una "sventura"
dalla mafia spagnola togata.
Di cui un suo ex-membro dice: "L'Opus è come una droga, e fa anche
male alla salute mentale. Ci sono molti che hanno perduto la salute
psichica vivendo dentro l'Obra. Ho conosciuto personalmente due casi
di persone che hanno avuto gravissime crisi psichiche, vivendo
nell'Opus."Ho un problema di vocazione, padre", annunciava ogni tanto
qualche giovane socio. E loro, quelli dell'Opus, rispondevano a tutti
nello stesso modo: "Vai a letto, figliolo, e prenditi un Valium".
Seguite il consiglio del buon padre e buon pontificato a tutti.
La redazione di "Plebe" - riverente e foggiana
20 aprile 2005
=== 2 ===
http://www.osservatoriobalcani.org/article/articleview/4059/1/51/
Bulgaria, tra lutto ed indignazione
04.04.2005 scrive Tanya Mangalakova
1981. Attentato al Papa. Emerge una pista bulgara, mai dimostrata. Nel
2002 lo stesso Pontefice, durante una visita a Sofia, nega vi siano
connessioni tra l'attentato da lui subito e la Bulgaria. Ma non basta,
e proprio in questi tragici giorni, la pista bulgara è emersa
nuovamente. Le reazioni in Bulgaria
Tutti i principali media bulgari si sono occupati con servizi speciali
della morte di Papa Giovanni Paolo II, lo scorso 2 aprile. I cattolici
della Bulgaria sono in lutto. In Bulgaria la comunità cattolica
ammonta secondo il censimento del 2001 - a 43.000 persone circa, lo
0,6% della popolazione. Quest'ultima è concentrata soprattutto nella
città di Plovdiv, Bulgaria centrale, ed ha reagito al tragico evento
con forte trasporto. La maggioranza della popolazione del villaggio di
Rakovski, non lontano di Plovdiv, dove il 90% della popolazione è
cattolico, ha dichiarato di essere pronta e recarsi in pellegrinaggio
a Roma per i funerali del Papa.
Il principale canale della televisione pubblica, BNT 1, ha
ritrasmesso le immagini della visita del Pontefice in Bulgaria, nel
maggio del 2002. "Non ho mia creduto nella cosiddetta "pista bulgara".
Sono molto legato ed affezionato al popolo bulgaro", riferì Giovanni
Paolo II al presidente Georgi Parvanov in quell'occasione.
I media bulgari in questi giorni non si sono solo occupati nel
seguire con attenzione gli ultimi giorni del Papa ma anche del
riemergere delle polemiche e della pista bulgara - riguardanti
l'attentato che il Papa subì nel 1981. Le autorità bulgare che
avevano molto lavorato nel 2002 affinché proprio la visita del
Pontefice potesse finalmente cancellare quell'onta che ritenevano
pesasse sull'immagine del proprio Paese hanno reagito con indignazione.
Così ha fatto ad esempio lo scorso 1 aprile il Presidente Parvanov
che ha dichiarato che "Lo stesso Papa, nella sua visita del 1981,
aveva escluso quest'ipotesi ritenendola un'ingiustizia nei confronti
del nostro Paese".
Il Presidente bulgaro si è detto inoltre sorpreso che quest'ipotesi
sia riemersa proprio due settimane prima della visita ufficiale del
Presidente italiano Azeglio Ciampi a Sofia. "Il governo bulgaro
considera chiusa la questione. Non vi è alcuna connessione tra la
Bulgaria e l'attentato al Papa nel 1981" ha dichiarato ai media locali
Germana Granchova, vice Ministro degli Esteri.
Dal punto di vista giudiziario si era messa la parola fine alle
ipotesi con l'assoluzione in un processo in Italia di Sergei Antonov -
un ex dipendente della compagnia aerea a Roma Balkan Air accusato di
aver partecipato all'organizzazione dell'attentato - per insufficienza
di prove. Il governo bulgaro ha dichiarato comunque di essere a
disposizione per rispondere ad ogni richiesta di informazione, pur
specificando che sino ad ora non ve ne sarebbe stata alcuna.
Documenti segreti
I media bulgari, riprendendo i colleghi italiani, hanno scritto che
l'Italia riaprirà un'inchiesta in modo da venire in possesso dei
documenti riservati delle autorità bulgare sulla questione. I media
bulgari hanno riportato di articoli in Italia dove si affermava che in
questi documenti vi si troverebbero le prove che il KGB sovietico
avrebbe pianificato l'attentato, ed i sevizi segreti della DDR, STASI,
e della Bulgaria, vi avrebbero preso parte.
Secondo Metodi Andreev, in passato a capo della Commissione
parlamentare sui dossier dei servizi segreti, vi sarebbero almeno un
miglio di carteggi tra la STASI ed i servizi segreti bulgari. "Tra
queste ve ne è una dove i servizi segreti bulgari richiedono alla
STASI di fare tutto il possibile per provare l'estraneità della
Bulgaria alla vicenda e per difendere i suoi agenti", ha ricordato
Andreev. Questo, secondo i media bulgari, non proverebbe però nulla:
la Bulgaria avrebbe solo richiesto l'aiuto della DDR per dimostrare la
propria innocenza. Il portavoce del governo, Dimitar Tzonev, ha reso
noto che tutti questi documenti sono a piena disposizione delle
autorità italiane.
La polemica era partita da Berlino. Nei giorni scorsi i media
internazionali avevano infatti riportato che alcuni documenti
rinvenuti nell'archivio della STASI dimostrerebbero il coinvolgimento
di quest'ultima e del KGB e della Bulgaria nell'attentato al Papa. Due
dei principali quotidiani della Bulgara, Troud e 24 Chassa, riportano
però smentite. "Non abbiamo e non abbiamo mai avuto documenti che
rappresentino una prova del coinvolgimento di KGB, STASI o servizi
segreti bulgari nell'attentato a Giovanni Paolo II", ha dichiarato ai
due quotidiani Christian Boos, portavoce della commissione che a
Berlino si occupa del mantenimento dell'archivio della STASI.
Reazioni
Si è scatenata una forte emotività in Bulgaria sul riemergere della
questione. Anche perché questo è avvenuto in concomitanza con la fine
del pontificato di Giovanni Paolo II. I media ne sono stati un fedele
specchio. Il quotidiano Monitor ha scritto nelle sue colonne che i
bulgari non debbono farsi attrarre dalla trappola creata dal giudice
in pensione Ferdinando Imposimato - che a lungo si è occupato del
caso - che non ha mai smesso di diffondere versioni della vicenda che
richiamavano questi archivi della STASI. Troud invece riconduce
l'emersione della pista bulgara al 1982 quando ne parlò per la prima
volta lo statunitense Readers Digest.
Dure le reazioni sempre di Troud ad un'intervista rilasciata da
Ferdinando Imposimato per il settimanale italiano Oggi. "Vi sono
almeno tre grossolani errori del magistrato nell'intervista
rilasciata" si afferma in un editoriale "innanzitutto si afferma che
Dimitar Stoyanov era Ministro degli esteri, ed invece era Ministro
degli interni. Poi Imposimato ha dichiarato che Sergei Antonov uno
dei tre bulgari sospettati di aver partecipato all'attentato - era un
genrale dei servizi segreti ed invece era un impiegato in una
compagnia aerea, tant'è che ora vive di una pensione di 100 euro.
Imposimato ha inoltre richiesto di incontrare Jordan Ormankov, che in
passato si era occupato in Bulgaria dell'inchiesta ed aveva anche
interrogato Ali Agca, condannato poi per aver sparato al Pontefice, ma
Ormankov è morto ben 3 anni fa. Certa gente per continuare ad avere
emozioni forti sprofonda nel passato. Ma la verità è una sola: quella
sottolineata dal Papa durante la sua visita in Bulgaria del 2002",
conclude al vetriolo Troud.
"Non ho mia creduto nella pista bulgara e questo è stato uno dei
principali motivi delle mie dimissioni" ha affermato durante una
trasmissione su BNT 1 Melvin Goodman, ex membro della CIA nel
dipartimento che si occupava dell'Unione Sovietica. Goodman ha poi
aggiunto che era a conoscenza del fatto che la Bulgaria non fosse
coinvolta nell'attentato. "Il direttore della CIA di allora, William
Casey ed il suo vice, mi ordinarono di produrre alcuni documenti che
potessero addossare le responsabilità dell'attentato a URSS e Bulgaria".
Secondo alcuni commentatori il riemergere di questa questione
potrebbe essere derivato dal tentativo di screditare l'immagine del
Paese alla vigilia della firma dell'accordo per l'integrazione della
Bulgaria nell'UE, prevista il prossimo 25 aprile.
Vi sono stati anche alcuni commenti sarcastici: "Viva la pista
bulgara!" ha scritto sul settimanale 168 Chassa lo scrittore Stefan
Kissiov "Non è una questione ciclica ma eterna. E' tempo di prenderne
atto. Come i rumeni hanno fatto i soldi con Dracula, noi dovremmo
farli con la pista bulgara. Qualche ONG potrebbe investire in un museo
titolato a quest'ultima. Si potrebbero anche vendere cappellini con la
scritta: "Ho sparato al Papa, prossimamente sparerò anche a Berlusconi!".
=== 3 ===
25 anni di pontificato
Un uomo generoso e un papato disastroso
La gara è aperta. Chierichetti di destra e di sinistra, su tutti i
video e su tutti i giornali (le eccezioni quasi non si vedono) stanno
andando a gara nello "straparlare", nel tessere elogi per questo
pontificato che "ha cambiato la storia", "si è aperto a tutte le
religioni", "ha visitato tutto il mondo", "ha parlato ai grandi e ai
piccoli", "si è esposto come un eroe della pace". E chi più ne ha più
ne metta. In tutto questo interessato esercizio di retorica ci sono
parecchie omissioni, numerose menzogne, molte dimenticanze. In questo
modo si fanno tacere i fatti.
La struttura della chiesa
Non voglio certo negare la generosità dell'uomo Karol Wojtyla e le sue
intenzioni sincere. Non stiamo parlando di questo. La sua attuale
sofferenza (a parte l'uso interessato e perverso che ne fa
l'istituzione ecclesiastica) ci inclina al rispetto. Anzi, di Wojtyla
mi è sempre piaciuta la passione, anche se quasi sempre essa è stata
contaminata da una cultura del dominio e della spettacolarità.
I fatti ci dicono che in questi 25 anni il papa ha cambiato tutta la
gerarchia, ma soprattutto ha azzerato la collegialità, soffocandola
sotto la sua immagine imperiale onnipresente e sotto una curia
vaticana onnipotente. I vescovi sono stati ridotti a "caporali di
giornata" perché il minimo sgarro può segnare la destituzione,
l'accantonamento o il prepensionamento. Gli ultimi "frammenti" del
Concilio sono stati sepolti sotto una montagna di documenti vaticani.
Su questioni vitali per la testimonianza del Vangelo nel mondo di oggi
(bioetica, etica sessuale, femminismo, ministero delle donne,
possibilità delle seconde nozze, omosessualità, celibato dei preti,
innovazioni liturgiche .) questo papato ha avuto l'arroganza di porsi
come detentore della verità, lasciando in eredità una serie di
pronunciamenti che potranno degnamente figurare nell'albo familiare
del "cristianesimo criminale".
Ha avuto la spudoratezza di presentare come modello, di proclamare
"santo" Escrivà De Balaguer, un uomo autoritario, amico della
dittatura, sessuofobico. Non parliamo poi di ecumenismo: si dialoga
con tutti, ma da un trono sopraelevato. Il papato ha dovuto
necessariamente "rifare i conti" con l'ebraismo, con l'Olocausto, con
l'islam e le religioni asiatiche. Tutto è avvenuto con toni e
linguaggi diplomatici, ma con l'incessante e sottile richiamo alla
indiscussa "supremazia cattolica". La teologia della compagnia, del
"camminare alla pari" è stata totalmente disattesa. Così pure questo
papato è giunto alla scomunica ufficiale (si pensi al caso del teologo
Tissa Balasuriya) e alla defenestrazione sistematica di teologi, di
preti, di operatori pastorali mentre ha promosso ai massimi livelli
della curia romana un cardinale come Pio Laghi, grande collaboratore
nello sterminio di giovani argentini invisi alla dittatura.
Il sospetto per la libertà di ricerca e di espressione ha determinato
un atteggiamento sacrale (il sacerdozio al centro della chiesa) e
tradizionalistico, sopprimento la ricca pluralità della tradizione
cristiana. Insomma. la "struttura wojtyliana" della chiesa ha prodotto
un'amara macedonia, una velenosa miscela di patriarcalismo, di
sessuofobia-omofobia, di sacralità, di repressione, di oscurantismo.
Né possono bastare solenni confessioni dei peccati passati come
"captatio benevolentiae" se poi non avviene una reale conversione.
Non si dica che ci vorrà un altro papato per riparare i guasti di
questo "papa re e imperatore". Potremmo trovarci qualche brutta
sorpresa nei prossimi mesi. Il gioco della successione è in atto e non
promette nulla di buono. Ma non spendo la mia speranza nel cambiamento
del timoniere. Ci vuole ben altro: è necessaria, a mio avviso, una
generazione di donne e di uomini che prendano in mano la gestione
della propria fede, senza più attendere il permesso, l'autorizzazione
o la benedizione della casta gerarchica. Da oggi, senza attendere un
miracoloso domani.
Il mito del papa della pace
Questa è l'ultima favola: Wojtyla eroe della pace. Non mi sembra che
un papato di pace avrebbe diviso la chiesa in chi è dentro e chi è
fuori, in ortodossi e in eretici, in "naturali" e "contro natura", in
buoni e cattivi, in maschi che possono esercitare il ministero e in
donne che debbono servire, in clero che comanda e laici che
obbediscono. Non solo: un papa di pace non avrebbe toccato la mano,
dato la comunione e benedetto un tiranno assassino come Pinochet.
Gesù, quando incontrava i potenti, parlava chiaro. Se tutti ora
partecipano ai festeggiamenti per questi 25 anni di pontificato, è
perché, tutto sommato, anche i più criminali non si sono sentiti
profeticamente attaccati ed evangelicamente sconfessati dalla retorica
papale. A Gesù i potenti hanno fatto ben altri festeggiamenti a
Gerusalemme e sul Calvario.
Restano le parole del papa nel corso dell'ultima guerra. Parole
decantate da tutti come "straordinaria profezia di pace". Il convegno
annuale di "Missione Oggi", mensile dei saveriani, svoltosi a Brescia
il 17 maggio, ha analizzato le dichiarazioni delle gerarchie
cattoliche sulla guerra. Le conclusioni sono chiare: le gerarchie
cattoliche non sono pacifiste.
L'agenzia Adista, in data 7 giugno 2003, riporta le affermazioni di
Massimo Tosco, uno studioso non sospetto: "Se le chiese non vogliono
sfigurare il Vangelo devono testimoniare con forza la pace, senza
addentrarsi in improbabili distinzioni, dalla legittima difesa alla
necessità di disarmare i dittatori. Le gerarchie ecclesiastiche
all'inizio non erano contro la guerra, ma solo contro la guerra
preventiva. E anche successivamente, quando hanno 'radicalizzato' le
loro posizioni, non sono mai riuscite a dire no alla guerra in quanto
tale: basta leggere le dichiarazioni e gli interventi del card. Ruini,
o i documenti delle associazioni e dei movimenti ecclesiali benedetti
dalla Conferenza episcopale italiana come le Sentinelle del mattino"
(cfr. Adista 25 e 28/03). Lo stesso Giovanni Paolo II, secondo
Toschi,è su questa linea: "Il papa non ha mai pronunciato un no alla
guerra 'senza se e senza ma'; ha invece sempre arricchito i suoi
discorsi di sottili distinzioni ispirate alla dottrina della guerra
giusta, come in occasione del discorso agli ambasciatori accreditati
in Vaticano" (cfr. Adista 7/03). La novità sorprendente è che,
"nonostante queste distinzioni, le parole del papa sono state
interpretate come un no secco alla guerra dai cattolici, che non hanno
tenuto in nessun conto i concetti della legittima difesa o della
necessità di disarmare l'aggressore. Hanno invece, con molta
semplicità, interpretato il Vangelo dalla parte delle vittime",
facendo passare anche il papa per un pacifista assoluto, il che non è
vero.
La speranza che non muore
Oltre le ambiguità e i disastri di questo papato, resta intatta la
speranza. La chiesa imperiale e il cristianesimo del potere sono
giunti al capolinea. Le televisioni di tutto il mondo riempiranno gli
schermi e diffonderanno ovunque le immagini di un funerale faraonico e
di un conclave sacro e storico. Sarà uno spettacolo di grande smalto e
di catturanti emozioni. Solenni liturgie in cui i grandi della terra
faranno adeguata comparsa. I gerarchi vaticani, nelle loro porpore,
annunceranno al mondo che lo Spirito Santo ci regala un nuovo "vicario
di Cristo" mettendo sul conto di Dio la perpetuazione di una
istituzione mondana e oppressiva come il papato.
Sono sicuro che anche nel cuore di qualche cardinale si fa strada una
profonda inquitudine. Bisogna sempre ritornare a Nazareth, sui
sentieri del Nazareno, riprendere il suo messaggio e il suo progetto
di semplicità, di amore e di giustizia. Il resto appartiene alla
storia dei potenti.
Pinerolo, 16 ottobre 2003
Franco Barbero
Associazione Viottoli - Comunità cristiana di base
c.so Torino 288 10064 Pinerolo (To) -- tel. 0121322339 - 0121500820
-- fax 01214431148
info @... - http://www.viottoli.it
=== 4 ===
Fonte: Indymedia, Friday, Apr. 08, 2005
Le "Madres de Plaza de Mayo" al Papa sul caso Pinochet
Buenos Aires, 23 febbraio 1999
Signor Giovanni Paolo II
Ci è costato varii giorni il subire la domanda di perdono
che Lei, signor Giovanni Paolo II Wojtila, ha richiesto per il
genocida Pinochet.
Ci rivolgiamo a Lei come ad un cittadino comune perché ci
sembra aberrante che dalla sua poltrona di Papa nel Vaticano, senza
conoscere né aver sofferto in carne propria il pungolo elettrico
(picana), le mutilazioni, lo stupro, si animi in nome di Gesù Cristo a
chiedere clemenza per l'assassino.
Gesù è stato crocifisso e le sue carni lacerate dai giuda
che come Lei oggi difendono gli assassini.
Signor Giovanni Paolo, nessuna madre de1 terzo mondo che
ha dato alla luce un figlio che ha amato, coperto e curato con amore e
che poi è stato mutilato e ucciso dalla dittatura di Pinochet, di
Videla, di Banzer o di Stroessner accetterà rassegnatamente la sua
richiesta di clemenza.
Noi La incontrammo in tre occasioni, però Lei non ha
impedito il massacro, non ha alzato la sua voce per le nostre migliaia
di figli in quegli anni di orrore.
Adesso non ci rimangono dubbi da che parte Lei stia, però
sappia che
sebbene il suo potere sia immenso non arriva fino a Dio, fino a Gesù.
Molti dei nostri figli si ispirarono a Gesù Cristo, nel
donarsi al popolo.
Noi, la Associazione "Madres de Plaza de Mayo"
supplichiamo, chiediamo a Dio in una immensa preghiera che si
estenderà per il mondo, che non perdoni Lei signor Giovanni Paolo II,
che denigra la Chiesa del popolo che soffre, ed in nome dei milioni di
esseri umani che muoiono e continuano a morire oggi nel mondo nelle
mani dei responsabili di genocidio che Lei difende e sostiene,
diciamo: No lo perdone, Señor, a Juan Pablo Segundo.
Asociación Madres de Plaza de Mayo
=== 5 ===
Cile e Vaticano: Una pagina imbarazzante. Caro Pinochet, il papa La
benedice
di Gianni Perreli
da L' Espresso 10 dicembre 1998
A vent'anni dal golpe la legittimazione più calorosa arrivò al
dittatore Augusto Pinochet dalle stanze del Vaticano. 18 febbraio
1993: la privatissima ricorrenza delle sue nozze d'oro viene allietata
da due lettere autografe in spagnolo che esprimono amicizia e stima e
portano in calce le firme di papa Wojtyla e del segretario di Stato
Angelo Sodano. «Al generale Augusto Pinochet Ugarte e alla sua
distinta sposa, Signora Lucia Hiriarde Pinochet, in occasione delle
loro nozze d'oro matrimoniali e come pegno di abbondanti grazie
divine», scrive senza imbarazzo il Sommo Pontefice, «con grande
piacere impartisco, così come ai loro figli e nipoti, una benedizione
apostolica speciale. Giovanni Paolo II.» Ancor più caloroso e prodigo
di apprezzamenti è il messaggio di Sodano, che era stato nunzio
apostolico in Cile dal '77 all'88, e che nell'87 aveva perorato e
organizzato la visita del papa a Santiago, trascurando le accese
proteste dei circoli cattolici impegnati nella difesa dei diritti umani.
Il cardinale scrive di aver ricevuto dal pontefice «il compito di far
pervenire a Sua Eccellenza e alla sua distinta sposa l'autografo
pontificio qui accluso, come espressione di particolare benevolenza».
Aggiunge: «Sua Santità conserva il commosso ricordo del suo incontro
con i membri della sua famiglia in occasione della sua straordinaria
visita pastorale in Cile». E conclude, riaffermando al signor
Generale, «l'espressione della mia più alta e distinta considerazione».
Il Vaticano non rese pubbliche queste missive così partecipi. Né lo
fece Pinochet, che pure probabilmente le aveva sollecitate. Si decise
di mantenerle nell'ambito della sfera privata, per timore che
l'eccesso di enfasi attizzasse nuove polemiche. Ma tre mesi dopo
prevalse la vanità del dittatore. I documenti furono portati alla luce
dal quotidiano cileno "El Mercurio". E furono ripresi da "Témoignage
Chrétien", la rivista francese dei cattolici progressisti. Provocando
«reazioni di rivolta, di tristezza e di vergogna», nel ricordo delle
barbare esecuzioni e delle feroci torture perpetrate dal regime di
Pinochet.
Molti lettori indirizzarono al Vaticano lettere di indignazione. Un
gruppo di preti-operai di Caen diede una risposta particolarmente
risentita all'iniziativa del Papa e di Sodano. Opponendo al commosso
ricordo di Wojtyla «l'emozione davanti alla morte del presidente
Allende e di molti suoi collaboratori; davanti alla retata e al
parcheggio dei sospetti nello stadio di Santiago; davanti alle dita
amputate del cantante Victor Jara per impedirgli di intonare sulla sua
chitarra gli accordi della libertà; davanti alle sparizioni, alle
carcerazioni, alle torture». E la Fraternità e la Comunità Francescana
di Béziert espressero la loro costernazione in modo lapidario:
«Durante il potere di Pinochet Gesù Cristo era crocifisso ancora».
Sentimenti di ripulsa che in Francia si sono riaffacciati dopo
l'arresto a Londra del dittatore. E che subito dopo il recente
incontro in Vaticano fra il cardinal Sodano e il sottosegretario
cileno agli Esteri Mariano Fernandez, visto come un tentativo di
attivare il Vaticano in soccorso di Pinochet, hanno riproposto gli
inquietanti interrogativi che accompagnarono la rivelazione dei
messaggi di auguri. Nel '93, Pinochet non era più il capo dello Stato,
ma solo il comandante delle Forze Armate. E Sodano era tornato già da
cinque anni in Italia dove aveva preso il posto di Agostino Casaroli
al vertice della diplomazia pontificia.
Che ragione c'era di elargire al dittatore riconoscimenti così
entusiastici, coinvolgendo anche il papa in prima persona, per una
ricorrenza non così straordinaria che avrebbe al massimo meritato un
asciutto telegramma di felicitazioni? La risposta, a sentire i
cattolici cileni che lavoravano a Santiago per la Vicaria de la
Solidaridad, un organo della curia che per sedici anni - dal '76 al
'92 - si è battuto contro le atrocità della dittatura, è nel feeling
che, nonostante le tensioni provocate dalle denunce dei sacerdoti
socialmente più impegnati e dagli episodi di cronaca più scabrosi, si
era instaurato fra Sodano e Pinochet.
Nel conflitto fra ragion di Stato e difesa dei diritti umani, pur
senza plateali favoreggiamenti, il nunzio apostolico avrebbe
privilegiato il dialogo con il regime, assecondando l'ipocrita
transizione che provoca ancor oggi nel Cile tante lacerazioni. Negli
inevitabili scontri con Pinochet, Sodano avrebbe badato a difendere
l'istituzione Chiesa più che l'incolumità delle vittime perseguitate
dalla dittatura. Certo, erano tempi tremendi. Ed è probabile che
l'approccio sfumato dell'ambasciatore di Wojtyla sia servito a
prevenire una repressione ancor più spietata. È meno comprensibile
che, come dimostra l'estrema cordialità dei messaggi augurali per le
nozze d'oro, a distanza di pochi anni il Vaticano abbia rimosso le
pagine più tragiche della storia cilena e si sia profuso in attestati
di stima verso il carnefice.
La lunga permanenza di Sodano a Santiago è coincisa con un processo di
spaccatura all'interno della Chiesa cilena. Da un lato le frange più
conservatrici del mondo cattolico facevano quadrato intorno alla
dittatura in nome dell'anticomunismo. Dall'altro gli ambienti più
aperti trasformavano la Vicaria de la Solidaridad nel vero simbolo
dell'antipotere. Una divisione che nelle concitate reazioni
all'arresto del generale affiora ancor oggi. Oltre la metà dei
cattolici cileni teme che la soluzione di processare Pinochet in
patria, per la quale si sta affannando il governo Frei, potrebbe
rivelarsi una beffa alla giustizia. In Cile né la magistratura
militare né quella penale (che anche dopo il ritorno della democrazia
si è ben guardata dall'aprire processi alla dittatura) garantirebbero
imparzialità di giudizio. E si scatenerebbe una nuova ondata di
disordini. Solo un pubblico pentimento di Pinochet - ipotesi
considerata inverosimile - introdurrebbe una nota di distensione,
scongiurando il rischio che i mai sopiti rancori sfocino inaltrettanti
regolamenti di conti.
Da circa sette anni la Vicaria de la Solidaridad, che già dopo il
referendum da cui uscì sconfitto Pinochet nell'88 aveva perso la
funzione primaria, si è trasformata in un centro documentazione.
Attraverso i suoi archivi è possibile ricostruire nei dettagli i
controversi rapporti fra una Chiesa di ispirazione progressista e il
generale che si richiamava anche ai principi della fede cattolica per
giustificare la sua azione disterminio.
Già negli anni Venti la forza della Dc cilena si sviluppa intorno alle
attività umanitarie dei sacerdoti che si schierano al fianco dei
poveri e lottano contro il latifondo premendo per la distribuzione
della terra ai contadini. Una sensibilità immune dagli estremismi
della teologia della liberazione, che nel '70 non ostacola l'ascesa al
governo del socialista Salvador Allende. In quel periodo,
l'arcivescovo di Santiago Raúl Silva Henriquez, cardinale dal '61,
accoglie con benevolenza Fidel Castro che prolunga una visita di Stato
in Cile per 25 giorni, e al momento del congedo gli regala una Bibbia.
Dopo il colpo di stato militare (11 settembre '73), accolto con
moderato sollievo anche dalla Dc nonostante il suicidio di Allende,
Henriquez prende le distanze dal regime. E il 18 settembre, una
settimana dopo il golpe, in occasione della festa nazionale,
impartisce una prima umiliazione a Pinochet rifiutandosi di celebrare
come ogni anno il Te deum davanti alle autorità dello Stato nella
cattedrale, e allestendo la cerimonia in una chiesa meno
rappresentativa. Fonda poi l'8 ottobre, insieme ai responsabili delle
altre fedi religiose, unComitato nazionale per la pace che si scaglia
contro le malefatte del regime. Agli attacchi della stampa e
alleminacce dei golpisti, il cardinale risponde alzando il tiro. E a
Paolo VI, che disgustato dal clima di terrore gli offre sostegno,
risponde che pensa di potercela fare da solo. Se il generale non
allenterà la presa, potrebbe incorrere in una scomunica. Ma Pinochet
stringe sempre più il Cile nella sua morsa. Si allentano le
resistenze, si sfalda anche il fronte religioso. Nel '75 è Henriquez
che chiede aiuto a Paolo VI. Che stavolta si dichiara impotente. La
guerra fredda ha procurato qualche consenso internazionale a Pinochet.
Qualche mese più tardi è il tiranno a tentare un'apertura. Dopo
l'uccisione d uno dei leader dell'ultrasinistra, un gruppo di marxisti
si rifugia nella Nunziatura. E allora Pinochet decide di scrivere al
cardinale: questo è un governo cattolico che vorrebbe buone relazioni
con la Chiesa. Con lei personalmente non ci sono problemi. Il problema
è il Comitato. Il cardinale intuisce che dietro le formalità si cela
un ordine. Il generale non tollera più intralci. E il cardinale finge
di obbedire, senza abdicare ai principi. Scompare il Comitato e al suo
posto, come emanazione della sola curia cattolica, nasce agli inizi
del '76 la Vicaria de la Solidaridad. Un rifugio per le vittime del
regime a cui vengono assicurati patrocinio legale e assistenza medica.
In aperta sfida a Pinochet, pochi mesi dopo l'arrivo di Sodano a
Santiago, Henriquez proclama il '78 anno dei diritti umani in Cile. E
indice un convegno internazionale sulla materia. Sodano si defila. E
quando arriva un messaggio augurale del papa, minimizza attribuendolo
al cardinale di Stato Jean Villot.
I rapporti fra la curia e la chiesa si fanno particolarmente aspri
nell'83, decennale del golpe. Henriquez si spinge a definire inumano
il programma economico varato da Pinochet che applicando le teorie
monetariste dei Chicago's boys ha rimesso in ordine i conti dello
Stato sacrificando però i programmi di assistenza sociale per le
classi meno abbienti. E la giunta militare sbatte in carcere i tre
sacerdoti stranieri che più avevano alzato la voce nelle proteste.
Sodano chiede la loro liberazione. E i tre vengono espulsi.Per evitare
fratture più traumatiche, papa Wojtyla, tramite Sodano, invita i
militari a cercare risposte positive alle condizioni e alle situazioni
di violenza. Pinochet, in cerca di legittimazioni, si dichiara in
sintonia con le aspettative del pontefice: il governo cileno è
impegnato nella creazione di un sistema democratico di ispirazione
occidentale e cristiana; il messaggio di Sua Santità è uno strumento
prezioso per la realizzazione di questi obiettivi. Ma appena sorge
qualche contrasto con la curia di Santiago, si affretta a inviare a
Roma Sergio Rillon, il funzionario governativo per le relazioni con il
Vaticano, che non manca mai di sottolineare l'irritazione del
generale. L'anagrafe dà intanto una mano a Pinochet. Per limiti d'età
va in pensione il cardinale Henriquez. E a sostituirlo viene chiamato
Juan Francisco Fresno, un arcivescovo più in sintonia con Sodano, che
non si sottrarràagli scontri con la dittatura ma li condurrà in modo
meno battagliero.
L'84 per Sodano è un anno vissuto pericolosamente. A Santiago, nella
parrocchia di San Francesco si invoca la punizione divina contro i
torturatori di Stato. Colti di sorpresa, i militari dichiarano guerra
alle frange sovversive della Chiesa. E consegnano a Sodano un dossier
da inoltrare in Vaticano, in cui si proclamano salvatori della patria.
Scoppia poi la grana dei terroristi del Mir, presunti killer del
sindaco di Santiago Carlos Urzia, che attraverso i locali
dell'ambasciata francese trovano rifugio negli uffici della
Nunziatura. È una brutta rogna per Sodano. Anche se il Vaticano non ha
firmato la convenzione sull'asilo politico, ragioni umanitarie
sconsigliano la consegna dei ribelli a un governo che non dà alcuna
garanzia sulla regolarità di un processo. Sodano chiede che ai quattro
venga rilasciato un salvacondotto. I militari si irrigidiscono. E
l'ira dell'ammiraglio José Toribio Merino Castro si scaglia verso
l'obiettivo massimo: il papa, infallibile nelle cose divine, fallibile
in quelle umane
È una mancanza di cortesia, è la prudente replica di Sodano che sulla
sostanza però tiene duro e chiede per la prima volta aiuto legale agli
avvocati della Vicaria, istituzione che ha sempre percepito
pericolosamente estranea alla sua linea diplomatica. Snobbava spesso
le sue ricorrenze, alle quali interveniva l'intero corpo diplomatico.
E secondo i racconti che circolavano nelle comunità ecclesiali,
avrebbe dissuaso un cattolico torturato dal sollecitare l'intervento
della Vicaria. Nel braccio di ferro stavolta è Pinochet a cedere.
Dopo circa tre mesi di battaglie legali, i quattro guerriglieri del
Mir ottengono il salvacondotto e salgono su un aereo diretto in
Ecuador. Ma per Sodano le insidie non sono finite. Il sacerdote
francese Pierre Dubois, parroco de La Victoria (quartiere proletario
della capitale), e Carlos Camus, vescovo di Linares, creano nuovi
attriti col regime, lanciando anatemi dai pulpiti.
Nel 1985 Sodano lancia appelli (ascoltati) per la liberazione
dell'attivista dell'opposizione Carmen Hales, sequestrata e picchiata
da gruppi di estrema destra. Ed entra in rotta di collisione col
governo per gli editoriali anti-Pinochet della rivista cattolica
"Mensaje". Ma dopo il fallito attentato a Pinochet nell'86, Sodano
elabora una strategia della distensione che culmina con la visita del
Papa a Santiago. Ai fedeli che esprimono indignazione, il nunzio
assicura che si tratta di una missione esclusivamente pastorale. Ma
anche se Wojtyla incontra esponenti dell'opposizione, il clou del
viaggio è l'apparizione sul balcone presidenziale del pontefice al
fianco del dittatore. La Vicaria viene invece appena sfiorata. Il Papa
saluta i suoi dirigenti nel cortile antistante, senza mettere piede
nei locali.
Sodano lascia Santiago nel giugno '88. E nell'accomiatarsi si dice
preoccupato per «l'attuale situazione del paese, perché vedo che non
vi è un profondo rispetto degli uni per gli altri.» Cinque anni dopo,
a freddo, il segno del suo rispetto lo riserverà al dittatore.
=== 6 ===
dalla Gazzetta del Mezzogiorno, aprile 2005
I politici italiani unanimi: lascia un segno indelebile nella Storia
ROMA - Giovanni Paolo II lascia un segno indelebile nella storia. I
politici italiani, in interviste rilasciate a vari quotidiani, sono
unanimi nel riconoscere la rilevanza del ruolo giocato dal Papa nei
quasi 27 anni di pontificato e nel sottolineare l'importanza
dell'eredità che lascia al mondo intero per gli anni a venire.
«Questo Papa - dice il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi in
un'intervista a `Il Messaggero' - lascia un segno importante nella
storia, ha riportato in primo piano la dignità e i valori della
persona umana. Ha rotto il velo ipocrita delle ideologie ed è riuscito
con il presidente degli Usa Reagan a sconfiggere il comunismo».
«E' una figura straordinaria -aggiunge il premier- riconosciuta e
amata da tutto il mondo. Il Suo calvario fisico è pari alla Sua
grandezza morale e spirituale».
«La sua eredità - afferma invece Francesco Rutelli in un intervento su
`Europa' - è gigantesca; nessun uomo di Stato del ventesimo secolo è
stato testimone e attore di così grandi e profondi cambiamenti. E
nessuna autorità religiosa è stata così profetica e visionaria, dando
al cattolicesimo il senso profondo del suo significato letterale di
universalità».
«Il primo Papa no global della storia», lo definisce in un'intervista
a «La Stampa» il segretario di Rifondazione comunista Fausto
Bertinotti. «Durante tutto il suo pontificato - spiega il leader del
Prc - Wojtyla ha ingaggiato un corpo a corpo con la modernità. Sia
nell'immersione in essa sia nell'inquietudine di fronte a una
secolarizzazione erosiva dei valori della religione. Qualsiasi cosa
fosse in campo, il Papa l'ha vissuta con lo spirito del militante. Nel
bene e nel male».
«Un innovatore, un coraggioso», per il senatore a vita Giulio
Andreotti. «Adesso - spiega sempre a 'La Stampa' - si vuole
politicizzare tutto, e anche in modo sbagliato. Se c'è una persona che
sfugge a queste classificazioni è proprio questo Papa, che è nello
stesso tempo conservatore nella tradizione, ma anche capace di
aperture enormi in tanti altri campi».
«Ha fatto fare alla Chiesa dei passi giganteschi. Per esempio penso
alla revisione della posizione della Chiesa su Galileo. E poi alla
pacificazione con gli Ebrei, all'apertura in dialogo con l'Islam. Un
uomo estremamente moderno».
Insomma, sintetizza a «Il Messaggero» il sindaco di Roma Walter
Veltroni, «un esempio per credenti e non».
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GALLERIA FOTOGRAFICA DELLE MUTILAZIONI SUBITE DA MILITARI DELLE TRUPPE
DI OCCUPAZIONE STATUNITENSI IN IRAQ
http://www.voltairenet.org/article136827.html
Oficialmente alrededor de 17,000 mutilados estadounidenses por la
invasión de Irak. Para fuentes independientes son más de 30,000.
Esas imágenes que los Estados Unidos no quieren ver
por Agencia IPI
Estas imágenes chocantes nos muestran el costo humano en los Estados
Unidos de la bárbara guerra de Irak. No nos imaginemos en comparación
con el horror y sufrimiento que debe estar padeciendo el pueblo
iraquí. Al ver las terribles fotos de los soldados norteamericanos
mutilados, que gozan de una enorme superioridad militar, nos deja
perplejos de la matanza que debe estar cometiéndose cada día en ese
país. Reportaje fotográfico actualizado.
http://www.voltairenet.org/article136827.html
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LETTERA DI CINDY SHEEHAN NEL SECONDO ANNIVERSARIO DELLA MORTE DEL
FIGLIO CASEY, PERITO NEL CORSO DELLA OCCUPAZIONE MILITARE DELL'IRAQ
http://www.uruknet.info/?s1=1&p=22117&s2=01
Casey Austin Sheehan: May 29, 1979 - April 04, 2004
Cindy Sheehan
March 31, 2006
As far as we can piece things together, March 31st, two years ago is
the day that the First Cavalry arrived in Sadr City, a slum in
Baghdad, formerly named "Saddam City," Iraq. I say "as far as we can
piece together" because we have heard many different stories, but this
date seems to be the one that we have heard most often.
Casey began a letter to us, his family, on April 1, 2004, telling us
that he finally had an address where we could send letters and
packages, and most of all, calling cards. The one and only time he
called home from Kuwait, it had cost him 400 minutes just to connect
the call and he didn't have much time to talk. That was the last we
heard from him. He called about 12:30 one morning and said it was
"hot" he was on his way to mass, and they should be convoying to Iraq
at the end of that week. In his letter he mentioned that he had talked
to me that morning, but I probably wouldn't remember it, because he
had awakened me. Little did he know, I will never forget that call and
I pray fervently that I never forget the sound of his voice.
In his letter he also expressed regret that he wouldn't be home for
his baby sister, Janey's, high school graduation that June. Little did
he know that he would be home. He also told us that the First Cav was
expecting a pretty "smooth year" because the unit that they were
replacing had only 2 casualties for the entire year before. Maybe he
knew, maybe he didn't know that the day he arrived in Baghdad, four
mercenary soldiers from Blackwater Security Company were hanging off
of a bridge in Falluja and the proverbial doo-doo was about to hit the
fan in Iraq and less than 5 days later he would draw his last breath
in an alley thousands of miles away from home, shot dead by a rebel
who didn't welcome him with "flowers and chocolates." I wonder what
his last thought was as he lay dying for George and the other
Chickenhawks.
I would beg Casey not to go to Iraq before he left because we both
knew it was wrong. He would say: "I wish I didn't have to, Mom, but
the sooner I get there the sooner I will be home." Little did Casey
know that not even 4 weeks after the First Cavalry left Ft. Hood, that
he would be coming home in a cardboard box in the freight area of a
United Airlines 747.
I am often accused by the right-wing smear propaganda machine of
making this struggle about me, and not about Casey. How Casey's story
has been lost in the hulla-balloo that almost always is surrounding
me. This is so ironic, because I started working for peace shortly
after Casey was killed to be sure that Casey would not be forgotten by
America, that he would not just be a number. I started this so Casey's
sacrifice would count for love and peace; not hatred, killing, and
lies. I started on my journey for peace to make sure it didn't happen
to other Caseys and their families.
As the two year mark of Casey's death is careening helplessly towards
me, I reflect that even if I tried with all my might, I could never
forget, nor want to forget Casey or his story. I can never forget the
joyous day that he came into our lives on JFK's birthday which was
also Memorial Day that year. I will never forget the 21 Memorial Day
birthdays before Casey donned the uniform of the Military Industrial
Complex that we had where we invited family and friends over for a
bar-be-que to celebrate his life. The two Memorial Day birthdays we
have had so far without him are pain-filled beyond measure and we will
have to endure many, many more. What about the holidays: The happy
ones before Casey was killed, and the devastating ones since he died?
Looking at pictures of the Sheehan family before Casey was killed is
heart-rending to say the least. What about our birthdays? The ones
since 04/04/04 where we won't even get a call from him, wishing us a
happy day?
How many families have BushCo sent on this spiral of never ending
grief and pain? Tens of thousands of people here in America have been
debilitated by their policies and another country and its people lie
in ruins for lies and deceit. How many families around the world have
black holes in their lives that can't be filled by any light, but suck
the light and life from the marrow of the fabric of those families?
No, I won't ever forget about Casey, or Mike Mitchell, KIA with Casey;
or Evan Ashcraft, KIA 7/24/2003; or John Torres, KIA 7/12/2004; or
Chase Comely, KIA on 08/06/2005; Daniel Torres, KIA 2/04/2005; nor
will I forget why I am trying to get our troops out of the predicament
of colossal proportions that George Bush has gotten us into. I won't
forget the thousands of other wonderful Americans who have been
needlessly killed here in the Gulf States and in Iraq for the crimes
of BushCo. Nor will I ever forget the images of dead Iraqis burned by
toxin of this war: white phosphorous; or the 7 month old baby with
half of her head shot off by American troops; or the images of the
Iraqi babies born with horrendous birth defects from left over
depleted uranium from the first gulf war travesty. The images of the
Bush destruction in the desert are horrifying in their brutality and
we should all know that nothing good ever comes from killing innocent
people.
I am convinced that the years of the Bush Regime will go down as the
years that America lost its collective mind. We allowed the Bush crime
family to scare us into two invasions of countries that had nothing to
do with 9/11 and despite all evidence to the contrary, let them assure
us that we are safer because of the uncalled for wars. We have no
problem with the administration authorizing, encouraging, and
condoning torture which only puts our troops and our children and
their children more at risk for terrorist attacks. We allow our
administration to use weapons of mass destruction on the innocent
people of Iraq and think the invasion of Iraq was warranted because
Saddam "used chemical weapons" on his own people. We allowed George
Bush to play golf and Condi to shop for shoes in NYC while citizens of
our country were hanging off of their roofs and drowning in New
Orleans. We allow BushCo to spread the rubbish that we are spreading
"freedom and democracy" in the Middle East, while we allow our
faux-leaders to take away our freedoms here in America and destroy our
democracy with a Republican coup that was bloody but virtually
unopposed by the faux-opposition party and its followers.
My family has had people fighting and needlessly dying in every
mistake of a war that the war machine has tricked our country into
since the Civil War. I will never forget the brave men and women who
have been killed for profit that have gone before us. I won't forget
because I don't ever want it to happen again.
If we didn't learn the lessons of Vietnam until it was too late, let's
learn one while we still can: America will eventually pull out of
Iraq, let's pull our fighting troops out now and I am convinced that
lives on both sides will be saved if we do. If we don't pull out soon,
who knows where else the sickly cancer of American empire will spread
and how many more innocent people like Casey will die.
Also, one lesson that we should have learned from Vietnam is that
there is always a war and an enemy in the offing. The neocon war
machine is planning the new "ist" and "ism" for us to fear next when
the "ism" du jour fails to sufficiently frighten us. We must stay on
our guards against this.
Buddhists say that a person dies twice. Once when his/her physical
body dies and once when the last person to remember him/her dies. We
should never forget the lesson of Casey and his untimely death on the
altar of the war machine. We should never have forgotten the lessons
of the millions dead in Vietnam who were sacrificed on that same altar.
Casey and the millions of others who have been tragically killed by
our leaders in worship of greed for money and power will never die as
long as there are people working for peace and justice.
This is their gift to us. Let's never forget them. Their deaths can't
be in vain.
:: Article nr. 22117 sent on 01-apr-2006 03:36 ECT
:: The address of this page is : www.uruknet.info?p=22117
:: The incoming address of this article is :
www.commondreams.org/views06/0331-28.htm
"Se parliamo di povertà siamo cristiani,
se parliamo di sconfiggerla siamo comunisti"
(don Helder Camara, arcivescovo di Recife; fonte: La Nuova Alabarda)
Il portale tedesco GMX ha riportato una notizia, apparentemente di
fonte AFP/The Times, secondo la quale una seria ricerca scientifica
britannica avrebbe dimostrato che i più intelligenti d'Europa sono i
Tedeschi, mentre i Serbi sono i meno intelligenti della lista.
Anche francesi e russi figurando in fondo a questa classifica di
stampo nazista, la quale, proprio come gli studi sulla eugenetica e le
differenze razziali degli anni Trenta, può apparire su media con
altissima diffusione senza che alcuna voce di sdegno e di protesta si
levi.
-- Ovaj tekst nasli smo na GMX uvodnoj stranici sa raznim
senzacionalistickim vestima, i to dva puta. Prvi put je bio dat IQ
broj samo za one nacije oko 100, a za Rumune, Turke i Srbe je pisalo
da su oni poslednji po tom pitanju. Drugi put je bio dat IQ broj (za
Srbe eto samo 89!! = malko vise nego kod imbecila). --
---
Deutsche sind die intelligentesten Europäer
Die Deutschen sind laut einer britischen Studie das intelligenteste
Volk in Europa. Dicht dahinter folgen Niederländer, Polen und
Schweden. Die Briten sind abgeschlagen, Franzosen sogar auf den
hintersten Plätzen, wie die "Times" unter Berufung auf eine Studie der
Universität Ulster berichtet. Der Forscher Richard Lynn nahm dafür
über Jahre tausende IQ-Tests vor. Lynn führt die tendenziell besseren
Ergebnisse der Mittel- und Nordeuropäer auf das kühlere Klima zurück,
das zu leistungsfähigeren Gehirnen geführte habe. Die
Intelligenzforscherin Elsbeth Stern warnte vor zu simplen Schlüssen.
© AFP
Mit einem durchschnittlichen Intelligenzquotienten von 107 liegen die
Deutschen an der Spitze der Liste. Die Niederländer kommen mit um
Winzigkeiten schlechteren Ergebnissen ebenfalls auf den
Durchschnitts-IQ 107. Knapp dahinter folgen Polen (106), Schweden
(104), Italiener (102), Österreicher und Schweizer (jeweils 101). Dann
erst folgen die Briten (100). Erst auf Platz 19 folgen die Franzosen
(94). Davor liegen unter anderem noch Spanien (98) und Russland (96).
Hinter sich ließen die Franzosen unter anderem Türken (90) und Serben
(89).
Die Menschen in Mittel- und Nordeuropa hätten größere Gehirne
entwickelt, um in den kälteren und fordernden Umgebungen zu überleben,
erklärt der Verfasser der Studie, Richard Lynn, das Ergebnis. "Die
frühen Menschen in den nördlichen Gegenden mussten in kalten Wintern
überleben, als es keine Pflanzen gab und mussten große Tiere jagen",
zitiert die "Times" den Forscher.
Dies sei entscheidend, weil die Ernährung wichtigster Faktor der
Hirnentwicklung sei. "Die Menschen in südlichen Regionen hatten
weniger Eiweiße, Mineralien und Vitamine, die aus dem Fleisch kommen
und entscheidend für das Hirnwachstum sind." Lynn belegt seine These
auch mit der europaweiten Messung der Gehirngröße. So seien die
Gehirne in Nord- und Mitteleuropa im Schnitt 1320 Kubikzentimeter, in
Südeuropa nur 1312 Kubikzentimeter groß.
Renommierte Intelligenzforscher schätzen Lynn als grundsätzlich
seriösen Forscher ein. Sie weisen aber darauf hin, dass bei der
vorliegenden Studie nicht immer der gleiche Test und die gleichen
Rahmenbedingungen herrschten. So nahm Lynn seine Daten aus
verschiedenen Veröffentlichungen. "Das ist deshalb nicht ein
Intelligenz-PISA", sagte die Intelligenzforscherin Stern vom
Max-Planck-Institut für Bildungsforschung in Berlin. "Bei großen
Unterschieden zwischen Ländern kann man aber natürlich überlegen, ob
da nicht auch etwas dahinter steckt."
Subject: [icdsm-italia] Sara Flounders on the Milosevic Case
Date: April 1, 2006 11:53:06 AM GMT+02:00
To: icdsm-italia @yahoogroups.com
http://www.workers.org/2006/world/milosevic-0330/
Milosevic's death: political assassination blamed on victim
By Sara Flounders
Co-Director, International Action Center, NYC
March 16, 2006
In the summer of 2004 I met with former Yugoslav President Slobodan
Milosevic in Scheveningen prison when I was approved as a defense
witness. Before I could get in, I had to pass four totally separate
check points, unable to take in anything but papers. Each level of
security was more rigid than the one before.
No one who has met with President Milosevic over the past four years
would believe he would risk killing himself rather than finishing his
trial. And no one who visited Scheveningen in The Hague would believe
the outlandish claims that somehow he was able to smuggle in
un-prescribed medications on a regular basis. They would instead
suspect that the authorities were desperately trying to cover up their
own crimes.
My role as witness was based on my trip to Yugoslavia in the spring of
1999, during the 78-day U.S./NATO bombing. I visited bombed schools,
hospitals, heating plants and market places, recording the harm done
to civilians. In addition, I had written since 1993 on the
behind-the-scenes U.S. role in the strangulation and forced
dismemberment of Yugoslavia.
Even after my name was accepted as a defense witness, it was a
complicated and lengthy procedure to make the visit. Though all was
approved on the day of the visit, it still took four hours to get
through the checkpoints into the special unit inside the prison where
the defendants for the International Criminal Tribunal for the Former
Yugoslavia (ICTY) were kept totally segregated from general population
and closely monitored.
Scheveningen prison is a maximum-security high-tech facility.
Milosevic and other indicted prisoners are housed in a special prison
unit within the larger prison. This section is spread over four floors
with 12 cells each. The unit is specially patrolled by United Nations
guards. Cameras are everywhere. Every movement of the prisoners is
monitored and controlled. When the president was first placed in his
cell, lights were kept on 24 hours a day and every motion was monitored.
WHERE DID RIFAMPICIN COME FROM?
Now the Dutch authorities claim that Milosevic was taking a rare,
difficult-to-acquire antibiotic used to treat leprosy or tuberculosis
that has the unique ability to counteract the medicine he was taking
to control his high blood pressure. How did this medicine, rifampicin,
get into Milosevic's system? He was held in a maximum security prison
in triple lock down in a special contained unit within a larger Dutch
prison once used by the Nazis to detain Dutch resistance fighters.
When rifampicin was found last Jan. 12 in Milosevic's blood, the ICTY
kept the report of the blood tests secret, even from Milosevic and his
doctors, who were complaining that something terribly wrong was
damaging the defendant's health. While the prisoner and his defense
committee and assistant lawyers were demanding health information, the
ICTY officials sat on this report. If ICTY officials responsible for
Milosevic's health really believed he was sneaking toxic medications
into the prison, why hadn't they publicized this report much earlier?
DELAYS HURT MILOSEVIC
Equally outlandish are the claims that Milosevic staged his illness to
delay the trial. The prosecution delayed the trial, first by adding
charges against the president regarding Croatia and Bosnia when they
realized they had no war-crimes case on the original Kosovo charges,
then by bringing hundreds of witnesses to generate 500,000 pages of
prosecution testimony from February 2002 to February 2004.
Each time Milosevic was too sick to continue in court, the prosecution
moved to impose counsel and to take away the prisoner's right to
present his own defense. Milosevic was determined to use the trial as
a platform to defend not only himself but the people of Yugoslavia,
and to indict the U.S., Germany and the NATO powers for their role in
the criminal destruction of his country. He welcomed the trial as the
only platform where he could make the historical record. In his words
to the court he constantly described why, despite his bad health, he
was determined to continue.
When I met Milosevic it was in the special room that was the only
place where the ICTY allowed him to work or have the court papers to
prepare for his defense. Whenever his blood pressure rose and he was
unable to continue the court sessions, he was also barred from any
access to his defense materials.
During each step of the trial Milosevic's cardiovascular problems,
especially his high blood pressure had resulted in several delays in
the trial. At each step the ICTY officials tried to use the issue of
his health in constant efforts to deny him the right to conduct his
own defense. Neither the illness nor the delays helped his defense.
The ICTY charged that Milosevic was secretly medicating himself and
avoiding taking prescribed medicines. Milosevic answered this charge
himself for the court record on Sept. 1, 2004: "You probably don't
know the practice in your own Detention Unit. I take my medication in
the presence of guards. I'm given them. I take them in the presence of
the guard, and the guard writes down in the book the exact time when I
ingested those medicines."
Despite the life-threatening cardiovascular risk raised in every
dispute with the prosecution, tribunal officials refused even to
secure regular check-ups of the president's health condition. They
also denied access for months to specialists who were willing to come
to Scheveningen, delaying his care.
The president's own explanation of his problem was more consistent and
credible than the ICTY's. In a letter addressed to the Russian Embassy
two days before he died, Milosevic writes that he has taken no
antibiotics in more than four years. He asks why the medical report on
the discovery of rifampicin was kept secret from him for almost two
months. He writes that he believes that "active steps are being taken
to destroy my health." He warns that he is sure he is being poisoned
and that his life is in danger.
A POLITICAL TRIBUNAL
The ICTY's handling of President Milosevic's death has been like its
handling of the entire trial: an attempt to blame the victim for the
crime.
The ICTY is not a real international court, with the ability to try
any accused war criminal. It is a political court set up by the UN
Security Council at the insistence of Secretary of State Madeline
Albright in 1993 in violation of the UN Charter. Its scope is limited
to trying the peoples of the former Yugoslavia and the vast majority
of prisoners are Serbs. It is a propaganda apparatus and internment
camp for political prisoners disguised as an unbiased court. It aims
to punish the victims for the crimes committed against them and to
absolve the imperialist powers who invaded, bombed, dismembered and
forced the privatization of the Socialist Federation of Yugoslavia.
When Milosevic discussed the trial with me, his scope of historical
knowledge, his energy despite his illness, cut through my own jet-lag
and fatigue from the four-hour entrance hurdle and allowed us to
finish the interview with enthusiasm for the next step of the tribunal.
Now the world is asked to believe that Milosevic is responsible for
his own death. It is a scenario so incredibly complex, an elaborate
suicide story that is as improbable as the charges he was facing. The
bought-and-paid-for corporate media is accepting and propagating the
story of his death in the same servile fashion they accepted the very
existence of this illegal court and the justification for the
destruction of Yugoslavia.
Milosevic is now gone. But his summation answering two years of the
prosecution case and his opening defense speech live on. He has left a
ringing indictment of U.S. and European big-power intervention in the
Balkans in a historic document in an "I accuse" format. His speech,
which contains extensive documentation and factual detail, has been
published in Serbian, Greek, French, Russian and English. This
response, "The Defense Speaksfor History and the Future," (IAC 2006)
will stand long after the tawdry war propaganda has collapsed.
---
http://www.swans.com/library/art12/zig090.html
The Milosevic Case
John Catalinotto Interviews Sara Flounders
(Swans - March 27, 2006)
John Catalinotto: Sara, you have been active as a writer and political
organizer since the breakup of Yugoslavia was first threatened in the
early 1990s. What was your reaction when you heard that former
Yugoslav President Slobodan Milosevic had died in Scheveningen Prison
in The Hague and that the media was claiming he might have committed
suicide or purposely taken medications that compromised his health?
Sara Flounders: My first reaction was distress that he had died while
in the hands of the same US and NATO forces that had destroyed his
country, Yugoslavia, and which had refused to allow him the medical
care he and his defenders sought, sorrow for his family who had been
prevented from visiting him on a regular basis, and anger that the
same demonization of him that had gone on for the past 16 years spewed
out after his death. As an approved defense witness, I had interviewed
with Milosevic on June 28, 2004. I knew on the one hand how the latest
accusations were as contrived and filled with contradictions as the
whole case against him was, and on the other hand how people
unfamiliar with the facts might be deceived by all the lies.
No one who has met with President Milosevic since he was kidnapped
from Belgrade to The Hague in June of 2001 or who watched him
cross-examine government witnesses during sessions of the
International Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY) could
believe he would kill himself or even risk killing himself rather than
finish his defense. By choosing to defend himself during what was
already a four-year-long hearing he could use the ICTY as a platform
to make his political case against NATO, and he did this well.
Anyone wanting to learn the recent history of the Balkans could
benefit from reading Milosevic's opening defense speech, given on
August 31-September 1, 2004. With it, he has left a ringing indictment
of US and European big-power intervention in the Balkans in a historic
document that follows a J'Accuse format. His speech, which contains
extensive documentation and factual detail, has been published in
Serbian, Greek, French, Russian, and English. This response, which the
International Action Center published just a few months ago in English
under the title, The Defense Speaks for History and the Future, will
stand long after the tawdry war propaganda has collapsed.
And no one who visited Scheveningen in The Hague would believe the
outlandish claims that somehow Milosevic was able to smuggle in
unprescribed medications on a regular basis. Even after my name was
accepted as a defense witness, it was a complicated and lengthy
procedure to get through to Milosevic. Before I could get in, I had to
pass four totally separate checkpoints and was unable to take in
anything but papers. Each level of security was more rigid than the
one before. Though all was approved on the day of the visit, it still
took four hours to get through the checkpoints into the special unit
inside the prison where ICTY defendants were kept -- totally
segregated from the general population and closely monitored.
JC: How did you come to visit Milosevic in Scheveningen and what were
your impressions of him?
SF: My role as witness was based both on my political knowledge -- I
had co-edited two books on its recent history -- and on my trip to
Yugoslavia in the spring of 1999 during the bombing. I went then with
a delegation from the International Action Center that accompanied
former Attorney General Ramsey Clark. In the middle of the 78-day
US/NATO bombing campaign -- it was in mid-May, I visited bombed
schools, hospitals, heating plants, and market places, recording the
destruction done to civilians, what NATO press spokesperson Jamie Shea
in 1999 used to call "collateral damage," although some of those
giving orders later admitted that the civilian infrastructure and the
morale of the Yugoslavs were the main targets of the bombing campaign.
After the cease-fire in June 1999, NATO discovered it had destroyed
only 13 tanks in Kosovo and killed maybe a hundred Yugoslav soldiers,
but had killed hundreds if not thousands of civilians in Serbia,
including hundreds of children, rocket-bombed the television
broadcasting center and the Chinese Embassy, and had polluted the
entire region by bombing the chemical plants at Pancevo near Belgrade.
The day I met Milosevic I had flown over from the U.S., suffered from
lack of sleep and jet lag, and had just gone through four hours of
unpleasant security checks. Milosevic had high blood pressure, but he
was energetic and positive throughout the entire interview, which
lasted more than three hours. He had a clear grasp of what he wanted
from my testimony. He was also in complete command of the history of
the region. Whatever my own desire to rest might have been, his
enthusiasm kept me focused on the work. One got the impression that
his best moments were planning and then carrying out his case.
In the hours we met he expressed no complaints about the physical
conditions under which he was held. He didn't complain about the food,
painfully strict security conditions, lack of being allowed to visit
with any of his family, or any of the other things that the ICTY was
using in an attempt to break his morale. His only complaint was that
the ICTY was able to deny him any access to any preparation material
or files during days and days of imposed rest, anytime his blood
pressure was high or he was sick. These delays further increased the
pressure on him, because each court-imposed "rest" further limited his
preparation time. None of the material was allowed into his cell, so
the hours that he could work were very strictly limited. All of this
was part of the pressure to get him to give up on presenting his own
defense.
He spoke English fluently so we needed no interpreter. Before the ICTY
officials, he spoke only Serbian -- not only was that his right, but
he was aiming his statements at the people back home, who were the
only ones, after the first week, who were able to follow the trial
daily in detail. The reason his trial rebuttals and presentations were
such popular viewing in Serbia every evening after Milosevic had
cross-examined prosecution witnesses or later on the court days when
he presented his witnesses, was that these were familiar figures and
events to people in Serbia. The population constantly saw him as
battling Western propaganda and demonization, not battling for his
personal reputation but always putting the events in the larger
political context, yet taking up the minutest details.
Milosevic had hundreds of files, lists and lists of potential defense
witnesses. Every potential witness had to be approved by the ICTY. He
read an enormous amount and knew at the tip of his tongue each
person's particular view, specific contribution, and general political
orientation. He also had a very detailed and fully developed defense
strategy. There were stacks of books in his office cell and stacks of
files of transcripts with stickers marking specific points to raise or
rebut.
During our interview, Milosevic referred often to his copy of Hidden
Agenda: the U.S.-NATO Takeover of Yugoslavia, in which he had written
many comments in the margins of the text. The book, which the
International Action Center published in 2002, was organized so as to
present a case of war crimes against the NATO leaders and generals. It
followed the outline of a people's tribunal we organized in June 2000
charging [President Bill] Clinton and the other NATO presidents, prime
ministers, chancellors, and generals with war crimes regarding the
aggression against Yugoslavia. Ramsey Clark had prepared our
indictment, and it was all laid out in the form of violations of
international laws.
Most important for Milosevic's work, the book included people's
efforts from around the world to gather the evidence of U.S./NATO's
crimes against Yugoslavia during the bombing and it framed the
political role of these bombings in the breakup of Yugoslavia in the
light of international law and war crimes. These were the exact points
Milosevic wanted to develop in his defense. It was obvious our book
was a useful tool for his own preparation, even if he brought up
additional topics or gave a different emphasis.
JC: You say Milosevic had a different emphasis. What do you mean?
SF: In our people's tribunal, although we presented a case against the
leaders of other NATO countries, the main part of our argument exposed
the role of the United States. Also, we were concentrating mainly on
what is called the Kosovo war, that is, the 1999 military assault on
Yugoslavia with the excuse of defending "human rights" of the ethnic
Albanian people who were a majority of the population in the Kosovo
province of Serbia. Milosevic had to defend his role during the
conflicts involving Croatia and Bosnia-Herzegovina also, and he paid
close attention to the role of the German government -- which was
significant in subverting Yugoslavia in the early 1990s -- and to the
role played by agents of the Vatican. He also developed the historical
role of both Germany and the Catholic Church hierarchy in the Balkans.
Regarding the US role, he used many of the same points we did, but he
also knew -- from the inside -- of the duplicity of US diplomacy.
JC: If the war in Kosovo wasn't fought over human rights, what was
behind this war?
SF: Yugoslavia was the last standing pro-socialist country in Eastern
Europe after the collapse of the Soviet Union. It was also the last
remaining country whose government had not capitulated to the Western
European powers and the United States and given them free entry to the
economy. For that reason alone these powers aimed at what would today
be called "regime change" first in Yugoslavia and then, after they
succeeded in dividing the Yugoslav Federation into weak countries they
could easily rule, in the remaining independent regime in Serbia and
Montenegro headed by the Socialist Party of Serbia, Milosevic's party.
In addition, these big powers, especially the U.S. and Germany, had
their own rivalries and their own interests at stake in the Balkans.
Yugoslavia has strategic importance. It lies on the oil pipeline route
from the Caspian Sea region to Western Europe. It has a skilled,
educated workforce. It is in what the rulers in Berlin consider their
"back yard," just as Washington looks at Latin America. German
diplomacy and subversion had made key inroads in the early 1990s by
backing the secessionist regimes in Croatia and Slovenia. Washington
had as its trump card its military might, and the 1999 war put the
U.S. back in the leading role in the region.
It is instructive that at the end of the 1999 war the big powers held
a conference in Bosnia to carve up Kosovo just as they had met in 1878
in Berlin to carve up the Balkans or in 1885 in Berlin again to carve
up Africa. Without the Soviet Union as a counterweight, these powers
more openly exposed their role as colonial rulers. The United States
set up the large permanent military base, Camp Bondsteel, in Kosovo,
its largest foreign military base since the Vietnam War, poised to
threaten all of the Balkans and Eastern Europe. Germany, France,
Britain, and Italy each took control of pieces of Kosovo, which
includes the valuable mines and refineries in Trepca, their worth
valued at $5 billion. Italy, as the least powerful of these colonial
powers, got control of the part of Kosovo that had the most Depleted
Uranium weapons fired and left as a dangerous waste product of the war.
By 2003, with a client regime in power in Serbia, USX, formerly known
as the U.S. Steel Corporation, had bought the technologically advanced
Sartid steel plant for a mere $23 million, although the Yugoslav
government had invested $1 billion into it from 1990 to 2000. This
plant manufactures specialized steel with buyers on the world market.
And it has workers with more than 30 years experience who are paid
only $159 per month. Sartid was only one of 882 major purchases at low
prices of Yugoslav industries bought up by US and West European
capital. They paid $1.4 billion in total to the Serbian government,
about half of it from US capital.
Like the other wars of the 20th century, the war against Yugoslavia
was fought over conquest of raw materials, markets, and areas to
invest capital.
JC: What was Milosevic's attitude toward the ICTY?
SF: The president constantly raised the illegitimacy of the ICTY, who
set up the tribunal and whose interests it served. He refused to show
respect for the ICTY, and never addressed the ICTY judges by their
titles. He would only say Mr. Robinson, Mr. May. He insisted on
representing himself in the proceedings so as not to be at the mercy
of anyone who may have a separate agenda, and especially to anyone
beholden to the ICTY.
Milosevic did not plead with his own innocence. He didn't push the
responsibility for decisions onto others, as so many US politicians do
when they say that they were not informed about a situation, had bad
advice, were kept in the dark, etc. He focused his strategy entirely
on proving the role and the guilt of the United States, Germany, and
NATO in the dismemberment of the Yugoslav Federation.
During the ICTY proceedings, Milosevic constantly cut through layers
of phony legalisms and procedural motions and put the issue, the fact
or the witness in clear terms. To him, the terms were who had resisted
US/NATO aggression and who had worked for and served US/NATO
aggression. I saw a Dutch television film about the Milosevic case
with some coverage of highlights of testimony. Milosevic showed in his
detailed cross-examination of prosecution witnesses that he often knew
more about the witnesses and their history in Yugoslavia than the
prosecutor who had brought them to The Hague. He often had information
that would discredit their testimony.
When we met he discussed how determined he was to subpoena as
witnesses both Bill Clinton and Tony Blair. He reasoned that if these
leaders of NATO countries refused to testify as hostile witnesses, it
would only further expose just how rigged the entire trial was. Last
month Milosevic asked to have both Clinton and Blair as witnesses and
both refused.
JC: Could you explain what the origins of the ICTY were?
SF: The ICTY is not a real international court, in the sense that the
International Criminal Court (ICC) is. The United States government
refuses to recognize the authority of the ICC since this court has the
ability to try anyone in any country signed up to it for war crimes.
But the ICTY, the one that tried Milosevic, is a political court set
up by the UN Security Council at the insistence of Secretary of State
Madeleine Albright in 1993. As Ramsey Clark has made clear in his
writing many times, there is nothing in the UN Charter that allows the
United Nations Security Council to set up such a court. The ICTY's
scope is limited to trying the peoples of the former Yugoslavia. The
vast majority of the prisoners are Serbs. It is a propaganda apparatus
and internment camp for political prisoners, disguised as an unbiased
court.
The ICTY's goal is to punish the victims for the crimes committed
against them and to absolve the big powers -- who were all the former
colonialist rulers of the world, including the Balkans -- who invaded,
bombed, dismembered, and forced the privatization of the Socialist
Federation of Yugoslavia. When attorneys from Canada and Britain tried
to bring charges against US and NATO figures for war crimes, such as
the bombing of civilian targets, the ICTY decided that it could not
hear these charges.
For six years after the ICTY was established it brought no charges
against Milosevic for anything having to do with the battles in
Croatia or the civil war in Bosnia-Herzegovina. It was only during the
heat of the bombing attack on Yugoslavia, when NATO was desperately
trying to get the Yugoslavs to stop resisting this bombing, that is,
toward the end of May 1999, that the ICTY charged Milosevic with war
crimes regarding Kosovo. German and US politicians had claimed there
were massacres of as many as 100,000 people in Kosovo. This was given
as the reason for intervening. On November 10, 1999, Carla Del Ponte,
chief prosecutor for the ICTY, reported that UN war crimes
investigators and forensic experts from 17 countries who had spent the
entire summer digging in over 195 locations in Kosovo where the media
had reported on the existence of mass graves and had found absolutely
no evidence of any mass graves in Kosovo. Nevertheless, the indictment
of Milosevic for war crimes in Kosovo remained.
After Milosevic was kidnapped and brought to The Hague, the ICTY
realized that they could never make a charge for something like
"genocide" stick regarding Kosovo. The only "massacres" that took
place there were the mass killings from NATO bombing raids. So the
additional charges regarding Bosnia and Croatia were added to the
indictment against Milosevic. In Croatia, the biggest massacre took
place during "Operation Storm" in the summer of 1995. This was an
attack by the neo-fascist Croatian regime and its army, planned with
the assistance of allegedly retired US generals, aimed at the
Serb-origin population of the Krajina region of Croatia. Serbs whose
families had lived in the region for centuries were driven out and
became refugees in Serbia. This left Bosnia, where there was a bloody
three-sided civil war that lasted from 1992 to 1995.
The ICTY ignored the fact that the international community -- that is,
the diplomats of the big powers -- had praised Milosevic for helping
bring about the Dayton Accord in 1995 that ended the civil war.
Instead, they tried but failed to show that he had operational command
of the Bosnian Serb forces. The ICTY prosecutors thought that by
bringing hundreds of witnesses to generate 500,000 pages of
prosecution testimony from February 2002 to February 2004 they could
make a case against Milosevic that would look strong. But his
determination to keep fighting defeated them.
As Milosevic said in his defense speech, he was honored to be
defending himself because "truth and justice are on my side."
At this point the ICTY is an entire multi-million dollar industry at
The Hague and in the Balkans. The two-year budget for the Tribunal for
2004 and 2005 was $271 million. The court expenses have been $500
million in the last five years alone. Private corporations and
foundations pay a substantial part of the budget. There are more than
1,200 employees of the court from 84 countries.
There are special, separate prison guards, monitors, greeters,
translators, clerks, administrators, teams of rotating judges
available for different cases, each with staff, a large prosecutors
department with teams of lawyers, investigators, researchers. Hundreds
of other individuals have part-time employment and consulting jobs in
the Balkans. In a region where unemployment is enormous, the ICTY
payroll is a huge source of funds.
There are no set rules for the ICTY. The judges can make quite
arbitrary decisions ruling about what testimony is legal or not. For
example, when General Wesley Clark, who directed NATO's 1999 war
against Yugoslavia, testified for the prosecution he was allowed to
testify in secret and not in a public session. In addition, the US
government was granted the right to review Wesley Clark's testimony
before the transcripts were released. Further, the judge ruled that
Milosevic on cross-examination could not ask General Wesley Clark
"anything at all about the war waged by NATO against Yugoslavia."
The general had written a book about his experiences in the war in
which he made it clear that the military command had purposely bombed
civilian targets in an attempt to wear down the resistance of the
Yugoslavs and try to turn the population against the government. This
came out because there was a struggle within the Pentagon command
regarding how to divide the bombing effort. Some argued for striking
military targets in Kosovo -- allegedly the reason for entering the
war, that is, as a "humanitarian" effort to protect ethnic Albanians
in Kosovo -- and to strike Serbia. Others argued for focusing all the
effort at striking the civilian infrastructure in Serbia. One can see
why the U.S. didn't want this type of testimony to come out in the
sessions.
JC: Some of Milosevic's supporters say that he was killed by the ICTY.
What evidence do they have of this?
SF: I know there will be many people, especially inside the United
States, who will claim that such a murder is impossible, that the ICTY
would never do this, that there is no evidence. Since we have no
secret evidence, probably the best way to discuss this question is to
simply state some facts that are easy to check.
First of all, this would not be the first time NATO was involved in an
effort to assassinate President Milosevic. On April 22, 1999, NATO
forces fired a missile directly in the bedroom window of his private
residence. He wasn't in the house at that time and escaped death. It
was only after this failed attempt at assassination that on May 27
NATO got the ICTY to announce the indictment of Milosevic for war
crimes in Kosovo. The US and NATO rulers believed five years ago that
a show trial of Milosevic would help subdue Serbia and turn it into a
more willing colony. Now, with the ICTY's case against him in
shambles, they were again better off if Milosevic could be made to
disappear.
Second, everyone is aware the CIA has been involved in assassinations
and attempted assassinations of heads of state. There are even jokes
about all the failed attempts to kill Fidel Castro. Patrice Lumumba
was assassinated in the Congo.
But even if you put all the above aside, and you don't believe that
the ICTY poisoned Milosevic outright, it is responsible for his death
because the ICTY systematically denied Milosevic proper medical
treatment. Despite the life-threatening cardiovascular risk raised in
every dispute with the prosecution, tribunal officials refused even to
secure regular checkups of the president's health condition. They also
denied access for months to specialists who were willing to come to
Scheveningen, thus delaying his care.
There were several mass international campaigns to demand that the
court allow Milosevic to see doctors of his choosing and specialists
who could examine his dangerous heart condition. Tests for his heart
condition were demanded again and again. Thousands of people in Serbia
and around the world signed petitions demanding that specialists be
allowed to visit him. It was only in the fall of 2005 that a team of
three medical specialists from France, Russia, and Serbia was allowed
to examine Milosevic. On November 12, 2005, I attended an emergency
conference in Belgrade that focused on Milosevic's health problems.
The team had released a grave warning that there was serious danger to
former Yugoslav President Slobodan Milosevic's life if the
US-orchestrated show trial at The Hague continued without regard to
his deteriorating health. The team urged an immediate six-week break
in the proceedings to allow time for medical treatment. The ICTY
ignored this request.
On March 18, 2006, the New York Times reported that Russian heart
specialist Dr. Leo Bokeria, who flew to The Hague to review the
autopsy reports on Milosevic, said that "two stents" for blocked
arteries could have saved his life and given him many long years. In
other words, this was not just neglectful treatment by the ICTY, but a
systematic and intentional denial of adequate medical care.
In a letter addressed to the Russian Embassy two days before he died,
Milosevic wrote that he had taken no antibiotics in more than four
years. He asked why the medical report on the discovery of rifampicin
was kept secret from him for almost two months. He wrote that he
believed that "active steps are being taken to destroy my health." He
warned that he was sure he was being poisoned and that his life was in
danger. The president had good reason to suspect foul play. Last
January 12, tests performed by the ICTY doctors found the antibiotic
rifampicin in Milosevic's blood. The ICTY kept the report of the blood
tests secret, even from Milosevic and his doctors, who were
complaining at the time that something terribly wrong was damaging the
defendant's health. While the prisoner and his defense committee and
assistant lawyers were demanding health information, the ICTY
officials sat on this report.
Then the Dutch authorities claimed that Milosevic was taking a rare,
difficult-to-acquire antibiotic used to treat leprosy or tuberculosis
that has the unique ability to counteract the medicine he was taking
to control his high blood pressure. If the authorities believed this,
why hadn't they publicized this report earlier? How did this medicine,
rifampicin, get into Milosevic's system? He was held in a maximum
security prison in triple lockdown in a special contained unit within
a larger Dutch prison once used by the Nazis to detain Dutch
resistance fighters.
Claims that Milosevic staged his illness -- and risked killing himself
-- to delay the trial are equally outlandish. Each time Milosevic was
too sick to continue in court, the prosecution moved to impose counsel
and to take away the prisoner's right to present his own defense. When
I met Milosevic it was in the special room that was the only place
where the ICTY allowed him to work or have the court papers to prepare
his defense. Whenever his blood pressure rose and he was unable to
continue the court sessions, he was also barred from any access to his
defense materials.
Milosevic was determined to use the trial as a platform to defend not
only himself but the people of Yugoslavia, and to indict the U.S.,
Germany, and the NATO powers for their role in the criminal
destruction of his country. He welcomed the trial as the only platform
where he could make the historical record. In his words to the court
he constantly described why, despite his bad health, he was determined
to continue.
The only thing the court did about Milosevic's acknowledged heart
condition was to use it as an excuse to deny him access to his defense
papers for days at a time, whenever his blood pressure went up too
high. During each step of the trial Milosevic's cardiovascular
problems, especially his high blood pressure, had resulted in several
delays in the trial. At each step the ICTY officials tried to use the
issue of his health as they made constant efforts to deny him the
right to conduct his own defense. Neither the illness nor the delays
helped his defense.
The ICTY had earlier charged that Milosevic was secretly medicating
himself and avoiding taking prescribed medicines. Milosevic answered
this charge himself for the court record on September 1, 2004: "You
probably don't know the practice in your own Detention Unit. I take my
medication in the presence of guards. I'm given them. I take them in
the presence of the guard, and the guard writes down in the book the
exact time when I ingested those medicines."
JC: At one point you and other witnesses told the ICTY you would not
appear in the sessions if summoned. What was that about?
SF: Milosevic had to win and win again his basic right to defend
himself. At every step the court sought to deny him this right and to
impose counsel. The ICTY really feared that Milosevic was successfully
taking advantage of his position as defendant and counsel to make a
strong political case. Even after two years of his well-demonstrated
ability to cross-examine all the prosecutions witnesses, the court
again moved to silence Milosevic and impose counsel in order to speed
up the trial. Once he laid out this well reasoned, researched, and
detailed presentation of his entire defense on August 31 and September
1, 2004, the ICTY again moved to impose counsel on him and deny him
the right to defend himself.
I, along with hundreds of other witnesses who had agreed to testify
for the defense, sent letters notifying the court that we were
outraged by the ICTY decision to impose counsel on Milosevic against
his will and to deprive him of his lawful and fundamental right to
self defense. Under these court-imposed conditions we each wrote to
the court that we could not participate as witnesses in the proceedings.
Faced with a mass insurrection of all of the witnesses that Milosevic
had called and the ICTY had already approved, and the inability of the
imposed counsel, Steven Kaye, to provide any witnesses, the ICTY was
forced to back down in its attempt to deny Milosevic his right to
present his own defense. The media kept repeating after he died that
Milosevic faced 66 counts of war crimes charges. Whether it was 66 or
66 million, none of them had been proven. His death saved the ICTY
from either convicting him without sufficient evidence or admitting
that he could not be found guilty of these charges. In the course of
the four years of proceedings, Milosevic had shown that the real
"butchers of the Balkans" were found not in Belgrade but in Berlin,
Brussels, and Washington.
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IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
Il j'accuse di Slobodan Milosevic
di fronte al "Tribunale ad hoc" dell'Aia"
(Ed. Zambon 2005, 10 euro)
Tutte le informazioni sul libro, appena uscito, alle pagine:
http://www.pasti.org/autodif.html
http://it.groups.yahoo.com/group/icdsm-italia/message/204
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*** Conto Corrente Postale numero 86557006, intestato ad
Adolfo Amoroso, ROMA, causale: DIFESA MILOSEVIC ***
LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
http://www.un.org/icty/transe54/transe54.htm (IN ENGLISH)
http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm (EN FRANCAIS)
Qui est le nouveau premier ministre du Kosovo?
LA RFA DANS LA GUERRE AU KOSOVO
de JÜRGEN ELSÄSSER
L'Harmattan 2002
Publié en 2000 à Hambourg par les éditions Konkret, cet ouvrage a
immédiatement connu un vif succès dans les pays de Langue allemande où
il s'est vendu à plus de 10000 exemplaires en un an et il en est
aujourd'hui à sa quarantième édition. Il a en outre été maintes fois
cité lors du procès Milosevic devant la Cour de Justice Internationale
de La Haye
Le lecteur y découvre des informations de première main sur un aspect
totalement ignoré en France de la politique étrangère de l'équipe
Schröder- Scharping- Fischer : comment l'opinion publique d'outre-Rhin
a été délibérément manipulée par les instances fédérales pour engager
la Bundeswehr dans le conflit du Kosovo.
Jürgen ELSÄSSER 45 ans est rédacteur du mensuel KONKRET. Il a publié
de nombreux ouvrages dont « la Face grimaçante de notre histoire »
(Berlin 1999) ; « Plus jamais la guerre sans nous le Kosovo et la
nouvelle géopolitique allemande » (Hambourg 1999) « Make Love and War
comment les verts et les soixante-huitards changent la république »
(Bonn- 2002)
Quelques extraits de ce livre très documenté
---
Le loup déguisé en berger
Dès le tout début du stationnement de la Kfor, on pouvait lire dans
les journaux occidentaux dans quoi l'OTAN s'est embarquée en
collaborant avec l'UCK. Fin juin 1999, l'expert des Balkans Chris
Hedges rapporta dans le New York Times: "Les commandants en chef de
l'UCK (...) tuent, emprisonnent et font le ménage dans leurs propres
rangs pour intimider les rivaux potentiels; c'est ce que disent des
commandants de l'armée rebelle désormais hors fonction, de même que
des diplomates occidentaux. On rapporte que la campagne, au cours de
laquelle pas moins d'une demi- douzaine de commandants en chef ont été
abattus, était dirigée par Hashim Thaci et deux de ses lieutenants,
Azem Syla et Xhavit Haliti. "10 Un ancien officier de l'UCK témoigna
que deux exécutions eurent lieu après le début des bombardements en
avril 1999 et qu'elles furent mises sur le dos des Serbes. Malgré
cette déclaration, le Tribunal Pénal International de La Haye n'a pas
formulé, jusqu'à ce jour, d'accusation contre Thaci et a même démenti
enquêter sur cette affaire. Il serait probablement trop pénible de
publier un avis de recherche, comme pour Milosevic et Karadzic,
justement pour l'homme que Wolfgang Petritsch et Madeleine Albright
venaient de hisser sur le fauteuil de partenaire reconnu aux
pourparlers de Rambouillet.
Le cas d'Agim Ceku montre qu'il ne s'agit pas seulement, comme cela a
été dit jusqu'ici, de machinations et de guerres de gangs entre
groupes de mafia se faisant concurrence, mais que tout cela est un
aspect d'un système de domination raciste par la terreur. Ceku était
commandant en chef de l'UCK pendant la guerre et, en octobre 1999, il
fut nommé commandant du Corps de Protection du Kosovo (TMK) par la
Kfor, Corps qui devait absorber l'UCK. Avant de rejoindre 1'UCK, ce
Kosovar albanais avait servi comme général dans l'armée croate.
D'après des données du journal spécialisé dans les affaires
militaires, Jane`s Defence Weekly, Ceku était le "cerveau de
l'offensive réussie de l'armée croate à Medak" en septembre 1993. «
L'opération menée sous le nom de code Terre brûlée conduisit à la
destruction totale des villages serbes de Divoselo, Pocitelj et
Citluk, plus de cent civils furent assassinés ou tués. » Ceku était,
toujours d'après des données du fane `s Defence Weekly, aussi un des
responsables militaires de l'Opération Tempête lors de laquelle les
troupes de Zagreb prirent d'assaut la Krajina durant l'été 1995 et
expulsèrent les 200 000 Serbes qui y vivaient. « D'après le Comité
croate d'Helsinki pour les droits de l'homme, il y eut plusieurs
massacres pendant la guerre éclair de trois jours dont au moins 410
victimes civiles nommément identifiées. ». L'organisation serbe des
droits de l'homme, Veritas, rapporta qu'en 1995, 2101 civils serbes de
la Krajina et ailleurs en Croatie furent tués ou disparurent sans
laisser de trace la plupart d'entre eux pendant l'Opération Tempête.'
Des Casques Bleus canadiens furent témoins d'actes atroces commis par
les troupes croates:
"Tous les Serbes qui n'avaient pas quitté leur maison furent
systématiquement `nettoyés ethniquement' par des commandos de la mort
croates se déplaçant continuellement à travers le pays. On abattit
toute bête abandonnée, on pilla et mit le feu à toute habitation
supposée serbe." Contrairement aux événements s'étant produits peu
avant du côté bosniaque à Srebrenica, ceux-ci ne trouvèrent guère de
résonance dans l'opinion publique occidentale. Selon le Taz par
exemple, il n'y avait pas du tout eu d'expulsion hors de la Krajina.
"Pourquoi des personnes sur l'ordre de chefs fous quittent- elles leur
ferme, leur appartement, leur travail ?" cherche à savoir la
commentatrice du Taz, Dunja Melcic. Et Hans Koschnick du SPD, ancien
commissaire de l'Union Européenne à Mostar, applaudit à l'invasion de
la Krajina en l'appelant une "tentative pour rétablir la loi, une
unité étatique. "
Un rapport interne du Tribunal Pénal International de La Haye portant
le titre Acte d'accusation Opération Tempête Un cas unique,
remarque: "Pendant l'offensive militaire, l'armée croate et la police
spéciale commirent de nombreuses atteintes aux lois internationales
protégeant les droits de l'homme, entre autres le bombardement de Knin
et d'autres villes avec des grenades. Durant l'offensive militaire et
les cent jours qui suivirent, au moins 150 civils serbes furent
exécutés en masse et plusieurs centaines disparurent." Plus loin, on
lit qu"il y a suffisamment d'éléments contre trois généraux qui
avaient le commandement militaire de l'Opération Tempête" pour les
poursuivre pour crimes de guerre.
Le rapport interne de La Haye épais de 150 pages ne fut communiqué au
New York Times que juste avant le début des bombardements contre la
Yougoslavie et il y fut publié par extraits. C'était quelque peu
pénible pour l'OTAN, car Ceku venait tout juste de remplacer Suleiman
Selimi comme chef militaire de l'UCK lors des négociations de
Rambouillet, ce dernier ayant refusé l'accord proposé. Rapidement, la
porte-parole du Tribunal fit alors savoir que "les documents (ne
représenteraient) en aucune manière les conclusions de l'acte
d'accusation." Les déclarations des témoins et des collaborateurs du
Tribunal furent minimisées, il ne s'agirait que "de prises de
position, d'arguments et d'hypothèses." Le rapport interne n'a pas,
jusqu'à ce jour, été rendu public et le collaborateur qui l'avait
transmis au New York Times ne travaille plus pour le Tribunal.
Lorsqu'on demanda pendant la guerre au porte-parole de l'OTAN, Jamie
Shea, quelle était la relation de l'Occident avec un homme tel que
Ceku, qui aurait été impliqué dans des nettoyages ethniques, il
répondit: "Le chef qu'elle (l'UCK) se donne, c'est entièrement son
affaire." Ainsi, plus d'obstacle à la carrière ultérieure d'Agim Ceku.
Extrait du bulletin Comaguer n° 140.
France: la jeunesse en lutte
(lettera di liceali francesi ai propri genitori sulla necessità di
opporsi al progetto CPE - "Contratto di Primo Impiego"; trad. a cura
di Olga J.)
---
Srednjoskolaci grada Arasa koji su se listom digli, kao mahom sva
omladina Francuske, protiv novih radnih ugovora uputili su ovo pismo
roditeljima. Pismo rezimski mediji nisu objavili i ono kruzi samo u
elektronskoj mrezi slobodnih medija.
Potpisali su ga ucenici sledecih srednjih skola cije nazive ostavljamo
u izvornoj verziji radi lakseg raspoznavanja: Carnot, Gambetta,
Robespierre, Guy Mollet, Savary, Jules Ferry, Le Caron i Lycée Agricole.
Aras, 24. marta 2006.
Draga majko, dragi oce,
Vec prilicno dugo moji skolski drugovi, pa i ja sa njima, kao i velika
vecina srednjoskolaca sirom Francuske, trazimo od vlade povlacenje
CPE-a, usvojenog zakona koji treba uskoro da stupi na snagu a
predvidjen je za nas buduce mlade radnike pocetnike. Isprva nisam puno
znao o tom novom zakonu a sada sam sasvim upucen i svestan koliko je
koban.
Na jednom transparentu smo istakli: "ZA JEDNOKRATNU UPOTREBU" jer nam
je takvu sudbinu vlada namenila usvajanjem zakona o ugovoru o radu
koji poslodavcu daje mogucnost da radnika otpusti od danas do sutra
bez obaveze da u otkazu navede makar neki razlog.
Takodje smo istakli: « ZA EKSPLOATACIJU »! Jer kako cu ja kada pocnem
da radim, pod takvim ugovorom moci da stavim neku primedbu,
suprotstavim svoje misljenje, recju, da se slobodno i otvoreno
izrazavam ako mi svakog trenutka preti otkaz? Niti cu moci da trazim
povisicu, niti bolje uslove rada. Niti cu moci da se borim za sebe
licno, niti da potpisujem peticije. Zar to nije strasno?
Vas, draga majko i oce, na radnom mestu vrednuju kao zaposlene. Ja pod
tim novim ugovorom ne samo da necu imati tretman kakav vas dvoje
imate, nego me tokom dve a mozda i vise godina nece voditi ni na
radnom ni na platnom spisku. Pa shodno tome, necu imati ni pravo glasa
na sastancima i zborovima radnika, jednostavno, imacu status
nepostojeceg. Sto je najstrasnije, u slucaju da se zaposlim u nekom
privrednom preduzecu, moja plata nece ulaziti u zavrsni obracun, sto
ce imati negativne posledice uopste, sa stanovista interesa zaposlenih
radnika u celosti.
Po tom zakonu, ako ne bude povucen, ja kao otpusteni radnik necu imati
pravo na sestomesecnu nadoknadu u vidu procentualno umanjene plate.
Isplatice mi samo jednokratnu pomoc u visini 8% mojih ukupnih
primanja. Dakle, ne vise 10% kako garantuje postojeci zakon kojim je
trenutno regulisan rad po ugovoru na odredjeno vreme. Posle cega mi
sleduje 480 mesecno dva meseca. I to je sve! Da naglasim da je
potrebno najmanje 4 meseca rada da bi se staklo pravo i na toliko.
Izmedju dva ugovora vreme cekanja na birou za zaposljavanje ne sme
biti krace od 2 meseca!
Ako zakon ne bude povucen, bicu prinudjen da vam ostanem na teretu
duze nego sto je bilo za ocekivati. Zivo se nadam da cete se sa tim
pomiriti. Takodje,ako budem u prilici da mogu da kupim automobil,
moracete da garantujete za mene kod banke, jer sa takvim ugovorom ni
jedna nece hteti da mi dodeli kredit. Pri svemu tome imam u vidu da je
zivot iz dana u dan sve skuplji i da se sve teze sastavlja kraj s krajem.
Ugovor o zaposljavanju pocetnika propisan je clanom takozvanog
Borloovog Zakona o Ravnopravnosti. Smesnog li naziva za zakon koji
dovodi u neravnopravan polozaj radnike ispod 27 godina i 11 meseci
starosti u odnosu na ostale. Ima sveg i svaceg u tom Zakonu. Primerara
radi pomenucu clan iz tog zakona koji propisuje radni ugovor za
radnike preko 50 godina starosti koji nisu prosli nista bolje od nas
buducih pocetnika jer su im propisani isti uslovi kao i nama. Navescu
jos propis koji regulise zaposljavanje maloletnika u sklopu obuke, i
sto je jos gore, predvidja mogucnost nocnog rada za decu uzrasta od 15
godina. Time nisu iscrpljene sve strahote pomenutog zakona.
Kao sto vidite, dragi moji roditelji, situacija je ozbiljna. Taj zakon
je iz temelja doveo u pitanje Pravo na rad i Radno pravo. Poceli su od
nas mladih, a nastavice sa podrivanjem osnovnih ustavom zagarantovanih
prava i sloboda. Docice ubrzo na red i ugovori pod kojima vasa
generacija radi - ugovori na neodredjeno vreme (CDI).
Imajuci sve to u vidu, moja bitka danas jeste bitka i za vase
interese, a da vi toga mozda niste svesni. Omladina je dala primer
svojom hrabroscu i cvrstom resenoscu, zasto ne biste i vi?
U utorak 28. marta, sindikalne organizacije studenata, srednjoskolaca,
radnika, zovu na strajk i masovne demonstracije. Ja bih zeleo dragi
moji roditelji, da mi se pridruzite kako bismo toga dana bili sto
brojniji i kako bismo pokazali da je porodica kao takva jedinstvena u
borbi protiv socijalne regresije i samovolje vlasti.
Stupite zato u strajk i budimo jedinstveni. Svi na ulice!
Suocena sa opasnoscu, omladina je reagovala ali bez ocekivanih
rezultata. Zato sada rodielji treba da se izjasne. Upozorite na to
kolege i prijatelje.
Sve sam vam rekao. Racunam na vas, draga majko i oce, i na vasu pomoc
u borbi protiv socijalne nepravde i samovolje. A ukoliko budete od
upravnika skole, po nalogu najvisih instanci, dobili pisma ili pretece
telefonske pozive, imajte na umu da omladina ne lenstvuje vec da
samopregornogradi bolje sutra. Ti koji prete nista ne mogu izgubiti,
njima je buducnost obezbedjena, mogu samo obraz da izgube.
Vas dragi sin koji vas neizmerno voli.
--- FRANCAIS ---
Lettre à nos parents
Arras le 24 mars 2006
Ma chère maman, mon cher Papa,
Depuis quelques semaines, avec un grand nombre de mes copains et de
mes copines, mais aussi avec d'autres jeunes des autres lycées, je
demande le retrait du CPE. Au début, je ne savais pas très bien ce
qu'était le CPE mais maintenant je suis sûr-e que ce contrat première
embauche va me nuire pendant des années.
Sur nos pancartes, il est inscrit « jetable », savez vous qu'un
employeur aura la possibilité de me licencier à n'importe quel moment,
par une simple lettre et sans explication à fournir.
Sur nos pancartes, il est inscrit « exploitable », comment me
sera-t-il possible de refuser, de dire Non, de réclamer ou de
simplement parler franchement, puisque la porte sera toujours
entrouverte pour me mettre dehors. Il me sera impossible de demander
une augmentation de salaire, ou des améliorations de mes conditions de
travail. Il me sera impossible de revendiquer ou de signer la moindre
pétition, c'est terrible.
Toi Maman et toi Papa, dans ton entreprise, tu es considéré-e. Moi
avec un CPE, je serais pendant deux ans voire plus, absent-es des
effectifs. Je n'aurai pas le droit de vote pour les élections
professionnelles ni pour les Prud'hommes. Pire, si je travaille dans
une entreprise avec un comité d'entreprise, mon salaire ne sera pas
inclus dans le calcul de la masse salariale. C'est-à-dire que je vais
là encore pénaliser les autres salariés.
Avec le CPE, le licenciement ne donne pas droit à une indemnité basée
sur un pourcentage du salaire pendant les six premiers mois. Avec le
CPE quand on est licencié, on touche d'abord une prime de 8% des
salaires perçus (CDD 10%) et 480 pendant deux mois puis plus rien, et
encore, il faut quatre mois de présence. Et entre deux CPE, la
période ne peut être inférieure à 2 mois.
Dans ce cas, vous comprendrez que je serais encore à la maison pendant
quelques années, et j'espère que vous accepterez de m'accueillir même
si cela n'était pas prévu. De même si je veux acheter une voiture, il
faudra que vous vous portiez caution et de payer les traites du crédit
si je suis licencié-e même si le motif est intolérable et « bidon ».
Pourtant, les fins de mois sont difficiles et les factures de plus en
plus lourdes.
Le CPE est un des articles d'une Loi, c'est la Loi Borloo sur
l'égalité des chances. Drôle de nom pour une Loi qui divise et qui
rend les salariés-es jeunes inégaux face aux autres, les plus de 27
ans et 11 mois. Dans cette Loi, d'autres articles ; le contrat emploi
senior qui est un CPE mais pour ceux de 56 à 59 ans. Il y a aussi le
retour du travail des enfants à 14 ans dans l'apprentissage et pire
encore le retour de la possibilité de travailler de nuit à partir de
l'âge de 15 ans. Et plein d'autres mesures menaçantes sont dans cette
Loi.
Ma chère maman, mon cher Papa, la situation est grave. Avec la mise en
place de cette Loi, c'est tout le Droit du et au Travail qui est remis
en cause. Ils ont commencé par la jeunesse, mais la suite rapide sera
la remise en cause de tout le Code du Travail et des Statuts. C'est la
remise en cause de votre CDI.
La lutte que je mène aujourd'hui, c'est pour toi maman et pour toi
papa, et peut être que vous ne le saviez pas. La jeunesse a montré
l'exemple de son courage et de sa détermination, pourquoi pas vous ?
Mardi 28 mars, les syndicats de salariés, d'étudiants, de lycéens,
appellent à la grève partout et à venir manifester. Je souhaite que
toi Maman, toi Papa, que Mamie et Papy, vous m'accompagniez pour être
encore plus nombreux et montrer des familles unies et solidaires face
à l'arbitraire et à la régression sociale.
Alors faites la grève et rendez vous tous ensemble le mardi 28 mars à
14h00 place de la gare d'Arras.
La jeunesse est face à un danger et elle a réagi, elle n'a pas été
écoutée, aux parents de réagir. Dites le à vos amis et vos collègues.
Voilà, vous savez tout. Alors, Maman, Papa, je compte sur vous pour
m'aider et me sauver des griffes de l'injustice sociale anti-jeune. Et
même si sur ordre, les proviseurs envoient des lettres, si les
professeurs principaux menacent par téléphone, sachez que nous ne
sommes pas paresseux-ses, mais que nous sommes en lutte pour notre
avenir, alors que le leur est bien assuré et qu'ils n'ont rien à
perdre d'autre que leur dignité.
Votre enfant qui vous embrasse très fort.
Texte des lycéens en lutte d'Arras : de Carnot, de Gambetta, de
Robespierre, de Guy Mollet, de Savary, de Jules Ferry, de Le Caron, du
Lycée Agricole.
La vergogna nell'armadio
di Enzo Collotti
Tra mezze verità e mezze menzogne è giunta a una conclusione pilatesca
l'inchiesta parlamentare sulle cause dell'occultamento dei fascicoli
relativi ai crimini nazifascisti prima e dopo l'8 settembre. Eppure la
relazione di minoranza ha messo in luce con chiarezza connivenze e
responsabilità nell'azione di copertura
Con la presentazione della relazione firmata dalla maggioranza si è
conclusa nelle scorse settimane l'attività della commissione
parlamentare di inchiesta sulle cause dell'occultamento di fascicoli
relativi a crimini nazifascisti. La commissione era stata istituita
(con legge 15 maggio 2003, n. 107) allo scopo di indagare le
motivazioni e le circostanze che portarono all'occultamento, nel
cosiddetto «armadio della vergogna», di parecchie centinaia di
fascicoli relativi a istruttorie avviate, ma mai portate a termine,
dalla magistratura militare in merito a fatti criminosi di cui si
resero responsabili fascisti e nazisti durante la seconda guerra
mondiale. Ma la relazione di maggioranza della commissione presentata
dal parlamentare di An Raisi, a quel che sappiamo, è riuscita a non
contentare nessuno se è vero che su di essa si è astenuto perfino il
presidente della Commissione, l'esponente dell'Udc Tanzilli, sorpreso
egli stesso dalla conclusione pilatesca con la quale il relatore
escludeva che l'occultamento fosse mai avvenuto. Per questo, in
mancanza di qualsiasi spiegazione su come fosse potuto accadere che
ben 695 fascicoli relativi a fatti di estrema gravità fossero spariti
dalla circolazione, se ne potrebbe concludere che a nulla è servita
l'inchiesta parlamentare, salvo a ribadire per la seconda volta
l'impossibilità di venire a capo in maniera attendibile di quello che
rimane uno degli ennesimi misteri d'Italia. In realtà, le cose non
stanno esattamente in questi termini: per fortuna infatti esiste una
relazione di minoranza - seria, documentata, sostenuta dall'audizione
di una pattuglia di agguerriti esperti - che cerca di dare una
risposta argomentata e politica ai molti quesiti e ai molti filoni
d'indagine che sono stati affrontati dalla Commissione. Si tratta di
un lavoro che, se potesse essere pubblicato, di per sé
rappresenterebbe una sorta di «libro nero» della giustizia italiana in
materia di crimini di guerra: un testo che metterebbe a nudo non solo
connivenze e tutele corporative di settori delle forze armate italiane
nelle pieghe della continuità dello stato a cavallo dell'armistizio
dell'8 settembre del 1943, ma anche complicità e responsabilità dei
ministri della difesa e degli esteri della repubblica italiana per le
impunità accordate prima a membri delle forze armate e dell'apparato
fascista per crimini commessi prima del settembre del '43 in territori
d'occupazione dell'Italia e in seguito, dopo l'8 settembre, ad
appartenenti all'apparato repressivo nazista e ai suoi complici della
Repubblica di Salò per azioni in violazione dei diritti umani contro
la popolazione italiana sotto l'occupazione tedesca. Si tratta di un
complesso di procedure e di problemi, di un intreccio di circostanze e
di interferenze apparentemente inspiegabili, spesso con una forte
componente di carattere tecnico, che fanno sì che molte questioni non
siano facilmente accessibili ad un pubblico non particolarmente
esperto. Questo ha consentito ogni possibilità di sottrarle
all'attenzione del grosso pubblico, nonostante il rilievo politico che
molte di esse indubbiamente avevano e retrospettivamente tuttora
hanno. Facciamo un solo esempio, ma capitale, per capire le molte
filiazioni di problemi al tempo stesso giuridici, storici e politici
(di politica interna e di politica internazionale) che sono derivate
dalla domanda preliminare sottesa all'impostazione generale
dell'inchiesta, ossia il quesito sulla perseguibilità dei criminali di
guerra. Ebbene, una volta posto il quesito, l'indagine ha aperto una
serie di passaggi necessari per arrivare a circoscrivere l'oggetto
specifico della ricerca. Tra di essi, i casi più importanti hanno
richiesto la ricognizione di almeno questi punti: 1) la questione dei
crimini di guerra commessi dall'Italia in particolare in Jugoslavia e
in Grecia, come e perché non vennero mai puniti; 2) la questione - al
di là delle iniziali intenzioni - della mancata punizione dei
responsabili di crimini commessi dai tedeschi in Italia, motivata
spesso dall'utilizzazione di costoro da parte dei servizi segreti
statunitensi, compreso il caso clamoroso di Theodor Saevecke, il
responsabile delle uccisioni di piazzale Loreto dell'agosto del 1944,
che ha potuto essere processato a Torino soltanto nel 1998 alla
vigilia della morte, dopo avere percorso una onorata carriera nella
politica della Bundesrepublik; 3) la sorte dei collaborazionisti
italiani reclutati per i servizi segreti statunitensi, quali gli
esponenti della X Mas, con in testa Valerio Borghese, la cui storia
porta anche alle origini dell'organizzazione Gladio. Bastano queste
citazioni per concludere che non vi è chi non veda la rilevanza tutta
politica delle circostanze citate. Una volta scoperchiata la pentola,
è incalcolabile la dose dei veleni che ne fuoriescono, veleni che
hanno corroso il fragile scheletro della democrazia italiana.
Fermiamoci a uno solo dei filoni che abbiamo citato, perché è quello
con il quale dovremmo confrontarci più da vicino, dato che ormai non
passa giorno che la politica italiana non torni a protestare la sua
innocenza e a presentare l'Italia come vittima di altrui nefandezze.
Parliamo dei crimini commessi dall'Italia durante la sua occupazione
in Jugoslavia e in Grecia (sulle questioni coloniali altri è già
intervenuto con maggiore autorità e competenza). Ebbene, avevamo
sperato, come del resto è stato auspicato anche da altri, che in
occasione dell'ultima giornata del ricordo il presidente della
repubblica potesse levare una autorevole parola per impedire che
ancora una volta si celebrasse quella che è stata ripetutamente
definita come una memoria dimezzata. Ma questa speranza è stata una
volta di più delusa, soffocata solo da retorica patriottica. Parlare
delle ferite che l'Italia ha inferto ad altri popoli, oltre che in
primo luogo alla propria dignità, in questo paese significa pur sempre
compiere delitto di lesa patria. E così, barcamenandoci tra mezze
verità e mezze menzogne, perpetuiamo le ambiguità di chi non ha mai il
coraggio civile di fare i conti con la propria storia, rifiutando
quella radicalità etica che altri popoli, per esempio i tedeschi,
hanno saputo assumere, dando prova del loro senso di responsabilità e
della loro attendibilità. Eppure i lavori della commissione sembravano
avere fatto propri gli esiti delle ricerche di studiosi seri e
affidabili - lo storico tedesco Klinkhammer e almeno gli storici
italiani Pezzino e Focardi - che in più circostanze hanno chiarito
come e perché i crimini italiani siano rimasti impuniti, e come e
perché non sia stata perseguita neppure la pista dei crimini tedeschi,
nel timore che una riapertura di questo discorso costringesse a
portare alla sbarra anche militari e funzionari italiani imputati di
crimini. Gli studi avevano evidenziato la politica della diplomazia e
dei governi italiani da Badoglio in poi per dilazionare ogni risposta
alle richieste di Grecia e soprattutto Jugoslavia (senza contare
Albania ed Etiopia), incoraggiati in questa loro tattica dal graduale
venir meno negli stessi anglo- americani - che pure avevano
caldeggiato la punizione dei crimini - di ogni interesse nel riaprire
il contenzioso con l'Italia, da parte inglese presumibilmente per non
indebolire il ruolo della monarchia nella fase della cobelligeranza.
Ma neppure dopo il trattato di pace del febbraio del 1947, che pure
attribuiva ai vincitori il diritto di rivendicare la consegna degli
incriminati, gli alleati intesero servirsi della loro possibilità di
un intervento che avrebbe incoraggiato anche le residue pretese di
Grecia e Jugoslavia di arrivare a una resa dei conti. La
documentazione di prima mano di questi comportamenti, che videro in
primo piano l'attività del ministero degli esteri e di quello della
difesa, sembrava fosse stata acquisita dalla commissione d'inchiesta
ma per quel che ne sappiamo non è stata alla fine recepita nella
relazione conclusiva. Evidentemente, nell'ottica di una tutela a
oltranza dell'onore nazional- patriottico, dei responsabili italiani
dei crimini non deve rimanere la benché minima traccia, così come
traccia non deve rimanere dei collaborazionisti fascisti di Salò che
si resero corresponsabili delle stragi naziste dell'estate del 1944 e
dei mesi precedenti la sconfitta della Wehrmacht sul fronte italiano.
Diciamo francamente che si tratta di una assai poco onorevole pagina
della nostra fuoriuscita dalla guerra. Per sottrarsi a un giudizio
internazionale il governo italiano si impegnò a sottoporre alla
giustizia italiana i responsabili di crimini, ma si preoccupò poi
essenzialmente di dilazionarne il giudizio fino ad assicurarne
l'impunità, speculando fra l'altro sulla guerra fredda, una volta
ottenuto il tacito assenso degli angloamericani al colpo di spugna.
Nessuna preoccupazione dunque di fare chiarezza sui comportamenti
dell'Italia, solo l'enfatizzazione dell'orgoglio nazionale, la
soddisfazione per avere umiliato greci e jugoslavi, ostaggi oramai di
conflitti tra grandi potenze che passavano tranquillamente sulle loro
teste, l'ottimo risultato di avere dato coperture corporative ferree
ai rappresentanti dell'imperialismo fascista e ai collaborazionisti
con i tedeschi. L'ultima delle preoccupazioni era evidentemente quella
di dare una risposta positiva al senso di giustizia delle popolazioni
che erano state offese dalla ferocia degli occupanti. Se è vero che
dai lavori della Commissione che ha indagato sull'armadio della
vergogna è stata esclusa molta della documentazione che abbiamo
citato, bisognerà pure che qualcuno ci spieghi a quale risultato è
approdato il lavoro della commissione e se alla vergogna dell'armadio
non si è aggiunta anche quella vera di avere sprecato una occasione
irripetibile per fare luce su un nodo non irrilevante del nostro
passato. Probabilmente anche una occasione in più per riflettere come
e perché nel nostro paese non sia possibile alcuna impostazione seria
di un discorso che riguardi la politica della memoria, che è sempre
una memoria non solo dimezzata ma anche strabica.
Mister Sam Brownback - che d'ora in poi chiameremo "lo Zio Sam" -
sponsorizza le rivendicazioni revansciste degli esuli istriani,
sudeti, dalmati, prussiani e quant'altro in Europa si possa ritrovare,
rimestando nel secchio della spazzatura della Storia del Novecento,
allo scopo di destabilizzare i confini determinatisi alla fine della
Seconda Guerra Mondiale e per capovolgere gli esiti di questa...
Da Il Piccolo del 31/3/2006
Adesioni alla richiesta di arbitrato internazionale per dirimere la
questione che riguarda anche tre milioni di tedeschi dei Sudeti
Beni degli esuli, vertice finale a Bruxelles
L'Unione degli istriani mette a punto il documento in vista
dell'incontro col commissario Rehn
TRIESTE Weekend lavorativo a Bruxelles per l'Unione degli Istriani,
convocata a Bruxelles dai legali incaricati per la messa a punto
degli ultimi dettagli del documento ufficiale, siglato dagli
eurodeputati che si sono fatti promotori delle richieste di
restituzione dei beni, da sottoporre all'incontro con il Commissario
Olli Rehn.
Quello di domani sarà l'ultimo appuntamento prima della riunione con
il Commissario all'allargamento dell'Unione europea che, salvo
deroghe o spostamenti dell'ultimo momento, avrà luogo nella capitale
belga entro il mese di aprile e per il quale il presidente
dell'Unione deli Istriani Lacota ha sollecitato tutte le forze
affinché l'esito possa coincidere con l'inizio di un nuovo percorso
nell'ambito del rispetto dei diritti degli esuli in campo
internazionale.
«In queste ultime due settimane abbiamo avuto una serie di contatti
e incontri estremamente proficui - spiega Lacota - e il più
significativo è quello con il presidente della Commissione per la
Cooperazione e la sicurezza in Europa (CSCE), il senatore americano
Sam Brownback, che si è dimostrata persona estremamente sensibile
verso ogni sorta di violazione dei diritti di proprietà, definendo
egli stesso inammissibile l'esistenza di simili situazioni in
Europa, alla luce della chiara e trasparente legislazione
comunitaria che coinvolge tutti i nuovi paesi dell'Europa orientale
da poco entrati a far parte dell'UE».
Il senatore Brownback è già intervenuto personalmente alcune
settimane fa presso il premier polacco Kazimierz Marcinkiewicz
condannando le discriminazioni di Varsavia nei confronti dei diritti
degli esuli tedeschi espulsi in circa cinque milioni dall'attuale
area geografica della Polonia e da qui è partito l'invito rivoltogli
dall'Unione degli Istriani di verificare le gravi discriminazioni e
i «furti» a danno degli esuli istriani, fiumani e dalmati
espropriati illegalmente delle loro proprietà.
Intanto ci sono alcune importanti adesioni alla richiesta di
arbitrato internazionale europeo per dirimere la questione dei beni,
proposta sempre dall'Unione degli istriani.
L'eurodeputato bavarese di origine boema, Bernd Posselt, presidente
della Südetendeutsche Landsmannschaft (l'Organizzazione degli oltre
tre milioni di esuli tedeschi dai Sudeti) ha aderito alle richieste
e all'orizzonte, anche in vista del prossimo raduno dei Sudeti in
programma per il primo fine settimana di giugno a Norimberga, al
quale una delegazione dell'Unione degli istriani è stata invitata,
c'è proprio un vertice tra esuli tedeschi ed istriani, proposto
dalla presidente della Federazione delle Associazioni tedesche, la
deputata al Bundestag Erika Steinbach, peraltro molto vicina al
cancelliere Angela Merkel.
Subject: [icdsm-italia] Milosevic : fate un test ai vostri media
Date: March 31, 2006 12:37:03 PM GMT+02:00
To: icdsm-italia@yahoogroups. com
Milosevic : fate un test ai vostri media
di Michel Collon
http://www.michelcollon.info <http://www.michelcollon.info/>
(Traduzione di Curzio Bettio di Soccorso Popolare di Padova)
É diventato un po' meno difficile determinare se siamo stati informati
in modo corretto sulla Jugoslavia. Avevano il diritto di presentarci
la guerra della NATO come una guerra "umanitaria"? Le Grandi Potenze
avevano strategie segrete? I media ci hanno raccontato menzogne e
hanno diffuso propaganda di guerra?
Noi vi invitiamo a prendere in considerazione questo breve test sui
mezzi di informazione in modo da avere una chiara visione e saggiare
come i vostri media stanno per informarvi nelle prossime ore.
MEDIA QUIZ: quanto valida è la nostra informazione riguardo alla
distruzione della Jugoslavia?
1 La guerra ha avuto inizio nel 1991 con le secessioni della Slovenia
e della Croazia?
O Sì O No O Non so
2 La Germania ha deliberatamente provocato la guerra civile?
O Sì O No O Non so
3 Davvero gli Stati Uniti sono rimasti "passivi e disinteressati"
durante questa guerra?
O Sì O No O Non so
4 La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno
contribuito a distruggere questa nazione?
O Sì O No O Non so
5 I media hanno dato un'immagine falsa dei "nostri amici" Tudjman &
Izetbegovic?
O Sì O No O Non so
6 I media hanno nascosto le linee essenziali della storia e della
geografia della Bosnia?
O Sì O No O Non so
7 Il tema "i Serbi aggressori, i Croati e i Musulmani vittime"
risultava corretto?
O Sì O No O Non so
8 É stata la Serbia a dare inizio ad un programma di pulizia etnica?
O Sì O No O Non so
9 I media hanno riferito in modo corretto su Srebrenica?
O Sì O No O Non so
10 Le prime vittime della guerra sono state causate dai Serbi?
O Sì O No O Non so
11 La famosa immagine dei "campi di concentramento" era falsa?
O Sì O No O Non so
12 Ci hanno detto la verità sulle storie dei tre grandi massacri di
Sarajevo?
O Sì O No O Non so
13 La più grande pulizia etnica della guerra è stata commessa
dall'Esercito Croato?
O Sì O No O Non so
14 Gli Stati Uniti hanno usato anche in Bosnia armi ad Uranio Depleto?
O Sì O No O Non so
15 La guerra contro la Jugoslavia è stata unicamente una " guerra
buona" degli Stati Uniti?
O Sì O No O Non so
RISPOSTE:
1 Nel 1991, o anche PRIMA?
La guerra ha avuto inizio nel 1991 con le secessioni della Slovenia e
della Croazia?
NO. Nel 1979, il BND (la CIA tedesca) aveva inviato una squadra di
agenti segreti a Zagabria. Missione: appoggiare Franjo Tudjman, un
razzista che aveva attivamente promosso l'odio etnico e aveva fatto
tutto il possibile per la disgregazione della Jugoslavia. La Germania
aveva appoggiato e finanziato questo Le Pen Croato, e gli aveva
inviato armi prima della guerra.
A che scopo? Berlino non ha mai accettato l'esistenza di uno stato
Jugoslavo unificato che aveva coraggiosamente fatto resistenza
all'aggressione Tedesca in due guerre mondiali. Attraverso la
disgregazione della Jugoslavia in molti mini stati più facilmente
controllabili, la Germania ha cercato di controllare i Balcani. Una
zona economica questa, che deve essere annessa in modo da eliminare le
autorità locali, per esportare i prodotti Tedeschi verso questa area,
e di dominarla come mercato. Ed è un corridoio strategico verso il
petrolio e il gas naturale del Medio Oriente e del Caucaso. Nel 1992,
Il Ministro dell'Interno Bavarese ha dichiarato: "Helmut Kohl ha avuto
successo là dove nemmeno l'Imperatore Guglielmo o Hitler erano
riusciti." ( Vedere le carte geografiche di confronto "Jugoslavia nel
1941--nel 1991", Mentitori a Poker, pp. 68-69)
2 Volontà Tedesca?
La Germania ha deliberatamente provocato la guerra civile?
SÌ. All'inizio del Summit di Maastricht nel 1991, il Cancelliere
Tedesco Kohl era l'unico a desiderare lo smantellamento della
Jugoslavia e a precipitosamente riconoscere l'"indipendenza" della
Slovenia e della Croazia, sfidando sia il Diritto Internazionale che
la Costituzione Jugoslava. Ma la crescita della potenza della Germania
avrebbe imposto questa follia a tutti i suoi alleati. Parigi e Londra
immediatamente si conformarono.
Secondo il The Observer di Londra: "Il Primo Ministro Major ha pagato
a caro prezzo l'aver appoggiato le politiche della Germania nei
confronti della Jugoslavia, che tutti gli osservatori affermavano
venir precipitata nella guerra."
In effetti, tutti gli esperti avevano messo in guardia che questo
"riconoscimento" avrebbe provocato una guerra civile. Perché?
1. Quasi dappertutto la Repubblica Jugoslava presentava una
miscellanea di diverse nazionalità. Separare i territori era
un'assurdità, come dividere Parigi o Londra in distretti municipali
etnicamente puri.
2. Dando appoggio al neo-fascista Tudjman e al nazionalista Musulmano
Izetbegovic, (che aveva in gioventù collaborato con Hitler), era certo
che si sarebbe provocato il panico nelle importanti minoranze Serbe
che avevano vissuto per secoli in Croazia e in Bosnia. Ogni famiglia
Serba aveva perso almeno un membro nell'orribile genocidio scatenato
dai fascisti Croati e Musulmani, agenti della Germania Nazista nel
1941-45.
Solo la Jugoslavia di Tito era riuscita a riportare la pace, la
giustizia e la coesistenza. Ma Berlino, e quindi Washington,
desideravano una volta per tutte mandare in pezzi questo Paese che
loro affermavano essere "troppo spostato a Sinistra". (vedi quesito n. 4).
3 Gli Stati Uniti passivi?
Davvero gli Stati Uniti sono rimasti "passivi e disinteressati"
durante questa guerra?
NO. Lord Owen, inviato speciale in Bosnia dell'Unione Europea, ed in
seguito osservatore in posizione di rilievo, ha scritto nelle sue
memorie: "Io ho grande rispetto per gli Stati Uniti. Ma, in anni
recenti(1992-95) la diplomazia di questo Paese ha avuta la colpa di
aver prolungato senza necessità la guerra in Bosnia."
Con quali metodi? Mentre i Tedeschi erano occupati a prendere il
controllo della Slovenia, della Croazia e, eventualmente, della
Bosnia, Washington faceva pressione su Izetbegovic, il leader
nazionalista Musulmano a Sarajevo: "Non deve sottoscrivere alcun
accordo di pace proposto dagli Europei. Noi vinceremo la guerra sul
campo in suo favore." Da qui, Washington ha prolungato per due anni le
orribili sofferenze inflitte a tutto il popolo della Bosnia.
Per quali obiettivi?
1. Annullare tutti i vantaggi che Berlino aveva acquisito in questa
regione strategica dei Balcani.
2. Dividere ed indebolire l'Unione Europea. 3. Insediare la NATO come
il poliziotto del Continente Europeo. 4. Limitare tutti gli accessi
Russi al Mar Mediterraneo. 5. Imporre la sua leadership militare e
politica, in vista della preparazione di tutte le altre guerre, dato
che la guerra contro la Jugoslavia era al contempo una guerra non
dichiarata contro l'Europa. Dopo la caduta del Muro di Berlino, le
strategie degli USA erano condotte verso lo stroncare, ad ogni costo,
l'emergere dell'Europa come superpotenza. Quindi, ogni cosa veniva
messa in essere per indebolire l'Europa militarmente e politicamente.
4 La Banca Mondiale & il Fondo Monetario Internazionale
La Banca Mondiale e il Fondo Monetario Internazionale hanno
contribuito a distruggere questa nazione?
SÌ. Nel dicembre 1989, il FMI imponeva condizioni capestro alla
Jugoslavia, che costringevano il Primo Ministro Markovic a mendicare
aiuti da George Bush padre. Questi "aiuti" avevano la mira di
destabilizzare e far fallire tutte le grandi imprese a conduzione
statale.
La Banca Mondiale smantellava il sistema bancario, faceva licenziare
525.000 lavoratori in un anno, quindi ingiungeva l'immediata
eliminazione di due su tre posti di lavoro. La qualità della vita
crollò drammaticamente.
Queste politiche e l'incidenza sempre più crescente delle fermate del
lavoro in tutte le Repubbliche della Jugoslavia in solidarietà con i
lavoratori disoccupati intensificavano le contraddizioni fra i leaders
delle varie Repubbliche, a cui Belgrado non poteva più a lungo inviare
finanziamenti. Per sottrarsi da questo pasticcio, i leaders pensarono
di ricorrere a tattiche di separazione ed investirono molto negli asti
nazionalisti. Questa guerra era stata infiammata dall'esterno. Così
come tante altre guerre. La guerra contro la Jugoslavia era una guerra
della globalizzazione. Tutte le grandi potenze dell'Occidente
cercavano di liquidare il sistema economico Jugoslavo perché da loro
ritenuto troppo di Sinistra: con un forte settore pubblico, con
importanti diritti sociali, resistente alle multinazionali...La
ragione effettiva di questi diversi conflitti contro la Jugoslavia può
essere letta in questa osservazione (una minaccia?) del Washington
Post: "Milosevic è stato incapace di comprendere il messaggio politico
della caduta del Muro di Berlino. Gli altri politici Comunisti hanno
accettato il modello Occidentale, ma Milosevic ha intrapreso un
diverso cammino." (4 agosto 1996).
5 "I nostri amici"
I media hanno dato un'immagine falsa dei "nostri amici" Tudjman &
Izetbegovic?
SÌ. I leaders iper-nazionalisti Croati e Musulmani sono stato
presentati come pure vittime, dei grandi democratici antirazzisti. Ma
il loro passato, tanto quanto il loro presente, doveva metterci in
allarme. Quando era andato al potere, Franjo Tudjman aveva dichiarato:
"Sono felice che mia moglie non è ne' Ebrea ne' Serba". Immediatamente
dava un altro nome alle strade che erano state contrassegnate con i
nomi di partigiani antifascisti, reintroduceva la moneta e la bandiera
del vecchio regime genocida fascista, e cambiava la Costituzione in
modo da far andarsene i Serbi.
Durante la sua campagna elettorale del 1990, Izetbegovic ristampava la
sua "Dichiarazione Islamica": "Non vi può essere alcuna pace, nemmeno
coesistenza fra la religione Islamica e quelle istituzioni sociali e
politiche che Islamiche non sono."
Egli insediava un regime corrotto e di stampo mafioso, basato
principalmente sul mercato nero lucrativo e sulla rapina dei fondi
degli aiuti internazionali. Invocava l'aiuto, con la benedizione di
Washington, e l'assistenza di mercenari Islamici, più particolarmente
di al Qaeda.
Quando la guerra si scatenò, dalle tre fazioni in campo venivano
commessi crimini pesanti, ma per nascondere queste vicende, la
situazione veniva resa incomprensibile.
6 Storia & geografia
I media hanno nascosto le linee essenziali della storia e della
geografia della Bosnia?
SÌ. Noi siamo stati indotti a pensare che i Serbi siano stati gli
aggressori, che avevano invaso dall'esterno dei suoi confini la
Bosnia. In realtà, tre erano i gruppi nazionali che vivevano da lungo
tempo in Bosnia: i Musulmani (43%), i Serbi (31%), i Croati (17%). E
non bisogna dimenticare che il 7% degli "Jugoslavi" era nato da
matrimoni misti o preferiva rifuggire da un'identità a stretta
nazionalità.
Dividere la Bosnia secondo le nazionalità, come indicava l'Unione
Europea, era assurdo e pericoloso. Questa popolazione non omogenea era
completamente mescolata: i Musulmani vivevano principalmente nelle
città, mentre i Serbi e i Croati costituivano la classe contadina ed
erano dispersi nelle varie province. La Bosnia non poteva essere
smembrata senza una guerra civile. Infatti, i Serbi di Bosnia non
hanno combattuto per invadere i territori di "altri", ma per salvare i
loro stessi territori e rendere stabili i corridoi di comunicazione
fra questi. Era una situazione assurda e sanguinosa, con tutte le
devastazioni di una guerra civile, ma questa guerra civile era stata
provocata dalle grandi potenze.
7 "Individui buoni" e "individui cattivi"
Il tema "i Serbi aggressori, i Croati e i Musulmani vittime" risultava
corretto?
NO. Al comando delle forze ONU in Bosnia dal luglio 1993 al gennaio
1994, il generale Belga Briquemont si trovava in una posizione
opportuna per dichiarare: "La disinformazione è totale(...). La
Televisione ha bisogno di un capro espiatorio. Per il momento, vi è
completa unanimità nel condannare i Serbi, e questo in nessun modo
facilita la ricerca per una soluzione. Io non credo che si possa
osservare il problema della ex Jugoslavia e della Bosnia-Erzegovina
solo da un'angolatura anti Serba. Si tratta di una questione ben più
complicata. Un giorno, nel mezzo della guerra Croato-Musulmana,
abbiamo ricevuto alcune informazioni su massacri commessi
dall'esercito Croato. Un giornalista Americano mi diceva: "Se voi
diffondete questo tipo di informazione, l'opinione pubblica Americana
non potrebbe capire più nulla."
Qui non si tratta di negare i crimini commessi dalle forze Serbe.
L'unica ideologia, che si trova negli scritti del leader Serbo
Bosniaco Karadzic, si situa all'ala di estrema destra. Ma in realtà,
dopo lo smantellamento della Jugoslavia, certe forze criminali e
politiche di tutte le parti hanno usato i metodi di guerra per
impadronirsi di territori e ricchezze. Nei tre campi, Croato,
Musulmano, e Serbo, le milizie hanno commesso crimini gravi. A
detrimento di tutti i popoli. Così, nell'agosto 1994, il leader
nazionalista Musulmano di Sarajevo, Izetbegovic, attaccava la regione
Musulmana di Bihac, sotto il controllo di Fikret Abdic, che aveva
preso le distanze da Izetbegovic e desiderava vivere in armonia con i
suoi vicini Serbi e Croati. In questa offensiva, Izetbegovic veniva
aiutato da sei generali USA.
Rimanere silenti sui crimini dei "nostri amici", ma demonizzando
chiunque ci resista è la classica propaganda di guerra. Molteplici
sono le menzogne mediatiche completamente fabbricate da una agenzia di
pubbliche relazioni USA, la Ruder Finn, colleghi della famosa agenzia
Hill & Knowlton, che ha creato la menzogna mediatica sulle incubatrici
con neonati sottratte dagli Iracheni da un centro pediatrico in Kuwait.
8 "Pulizia etnica"?
É stata la Serbia a dare inizio ad un programma di pulizia etnica?
NO. Se si pensa che la pulizia etnica fosse realmente il programma del
"dittatore Milosevic", si deve ammettere che questo programma sia
stato inefficace completamente. Visto che per tutti gli anni di guerra
e ancor oggi, uno su cinque degli abitanti della Serbia non è Serbo. A
Belgrado vi sono e vi sono sempre state molte minoranze che vivono
senza alcuna difficoltà: Musulmani, Rom, Albanesi, Macedoni, Turchi,
Ungheresi, Gorani,...
In realtà, contrariamente all'immagine fornita dalla stampa, oggi la
Serbia è il solo stato della ex Jugoslavia, insieme con la Macedonia,
che rimane "multinazionale". D'altro canto, tutti gli altri
protettorati della NATO, Croazia, Bosnia e Kosovo, hanno messo in
pratica una quasi totale pulizia etnica.
Milosevic aveva protestato per gli eccessi commessi dalle milizie
Serbe in Bosnia. Sua moglie si era pronunciata diverse volte contro
questi eccessi. Anche la Serbia aveva imposto un embargo contro
Karadzic. Certamente, una parte dell'opinione pubblica Serba era stata
condizionata dal nazionalismo razzista. Ma questo era dovuto
precisamente alla Germania e alle grandi potenze che hanno fatto
piombare il Paese nella guerra civile e di conseguenza nell'odio.
9 Srebrenica
I media hanno riferito in modo corretto su Srebrenica?
NO. Primo elemento. Anche se ci sono ragioni per condannare crimini
abominevoli, la verità storica, necessaria per la riconciliazione, non
viene servita da processi propagandistici che usano in modo
irriflessivo il termine "genocidio", offuscando il fatto che molte
delle vittime erano morte nei combattimenti ed esagerando
sistematicamente le cifre. Inchieste hanno determinato che molte delle
"vittime" qualche mese più tardi erano state trovate a votare in
elezioni successive o avevano preso parte ancora ad altre battaglie
nell'esercito di Izetbegovic. Queste informazioni sono state e restano
oscurate. In questa sede sorvoliamo sull'argomento numeri, che solo
storici seri saranno in grado di vagliare sistematicamente e in modo
definitivo.
Secondo elemento. Perché i media nascondono gli avvenimenti essenziali
per una comprensione di questo dramma? All'inizio, questa regione era
abitata da Musulmani e Serbi. Questi ultimi sono stati scacciati nel
1993 per mezzo di una pulizia etnica messa in atto dalle truppe
Musulmane dei nazionalisti di Izetbegovic. Il generale Francese
Morillon, che comandava le truppe ONU in questo scacchiere, accusa:
"Nella notte del Natale Ortodosso, la notte santa del gennaio 1993,
Nasser Oric scatenava raids contro i villaggi Serbi...Vi sono state
teste tagliate, massacri abominevoli commessi dalle forze di Nasser
Oric in tutti i villaggi della regione." (Documenti informativi
dall'Assemblea Nazionale Francese, Srebrenica, t 2, pp. 140-154)
La voglia di vendetta non può scusare i crimini commessi in seguito.
Ma perché vengono sistematicamente nascosti I crimini dei "nostri amici"?
Terzo elemento. Come le altre zone demilitarizzate, le cosiddette
"enclavi di sicurezza", anche Srebrenica, in realtà, era un'area usata
dalle forze di Izetbegovic per riorganizzarsi, sotto la protezione
dell'ONU, da una completa disfatta. Sorprendentemente, le truppe di
Oric si ritiravano da Srebrenica proprio una settimana prima del
massacro. Il generale Francese Germanos: "Oric aveva apertamente
dichiarato che dovevano abbandonare Srebrenica perché "loro" volevano
che Srebrenica cadesse. Quel "loro" era riferito a Izetbegovic."
E perché? Risulta interessante far riferimento ad un curioso documento
ONU, redatto un anno e mezzo prima da Kofi Annan: "Izetbegovic aveva
preso conoscenza che un intervento in Bosnia della Nato era possibile.
Ma questo sarebbe potuto avvenire solo se i Serbi si fossero aperti
con la forza la strada verso Srebrenica e avessero massacrato almeno
5.000 persone[sic]." Un massacro pronosticato un anno e mezzo prima
che avvenisse! (Rapporto ONU del 28-29 novembre)
Il generale Morillon ci ha inoltre anche informato che "É la gente di
Izetbegovic che si è opposta all'evacuazione di tutti coloro che
avevano fatto richiesta di andarsene, e questi erano in tanti." La sua
conclusione: "Mladic , a Srebrenica, era caduto in una trappola."
10 Prime vittime.
Le prime vittime della guerra sono state causate dai Serbi?
NO. Il 28 giugno 1991, la polizia Slovena aveva giustiziato due
soldati disarmati dell'esercito nazionale Jugoslavo, che si erano
arresi a Holmec, una postazione sul confine Austriaco. Questo veniva
reso noto dal giornale Slovenske Novice. Inoltre, è stato "dimostrato
che il vero inizio" si è avuto quando tre soldati dello stesso
esercito Jugoslavo di una postazione sul confine con l'Italia, che si
erano arresi, erano stati ammazzati. (Fatti e testimonianze riportate
all'ICTY all'Aja, cfr. Crimini dimenticati, Igor Mekina, AIM Lubiana,
11/02/99).
11 Campi di concentramento?
La famosa immagine dei "campi di concentramento" era falsa?
SÌ. Fabbricata da Bernard Kouchner e "Médecins du Monde", questa
immagine mostrava alcuni "prigionieri" rinchiusi, apparentemente
dietro filo spinato. Uno di questi aveva le costole che sporgevano in
modo terribile. Kouchner aveva appiccicato accanto alla foto una
torretta di guardia del campo di Auschwitz e da qui la denuncia e
l'accusa di "sterminio di massa". Per far passare in modo martellante
il messaggio "Serbi = Nazisti". Con questo, appoggiava la campagna di
demonizzazione lanciata dall'agenzia USA di pubbliche relazioni, la
Ruder Finn.
Ma alla falsificazione completa aveva dato il proprio contributo un
documento del canale televisivo Britannico ITN.
L'inganno diveniva palese quando si prese in visione quello spezzone
mostrato contemporaneamente da una troupe televisiva locale. In
realtà, la telecamera era stata deliberatamente piazzata dai
Britannici dietro i due unici blocchi di filo spinato che formavano
una recinzione attorno ad una vecchia staccionata di una struttura
agricola. I "prigionieri" si trovavano all' "esterno" del filo
spinato. Ed erano liberi, come profughi in questo campo che sfuggivano
alla guerra e alle milizie che volevano costringerli a combattere. Nel
film completo, il solo prigioniero che parla Inglese dichiara per tre
volte al giornalista della ITN di essere stato trattato bene e di
ritenersi sicuro. L'uomo con le costole in rilievo, (gravemente
malato), mentre i suoi compagni sembravano essere in un buono stato di
salute, era il solo ad essere ripreso in primo piano. Il montaggio di
Kouchner era una grossa frode menzognera. (Cfr Mentitori a Poker, p. 34)
Vi erano sicuramente dei campi in Bosnia. Non di sterminio, ma
piuttosto per la preparazione allo scambio di prigionieri. In questi
luoghi venivano messe in atto violazioni dei Diritti Umani. Ma perché
a questo riguardo ci vengono nascosti i documenti ONU? Questi
riportano di sei campi di concentramento Croati, due Campi Serbi ed un
campo Musulmano.
12 Sarajevo
Ci hanno detto la verità sulle storie dei tre grandi massacri di
Sarajevo?
NO. Per tre volte l'opinione pubblica Occidentale veniva sconvolta da
queste immagini terribili: dozzine di vittime fatte a pezzi davanti ad
un panificio o nella piazza del mercato di Sarajevo. Immediatamente i
Serbi venivano accusati di avere ammazzato civili, bombardando la
città. Questo, malgrado le numerose contraddizioni dei comunicati
ufficiali.
Ma mai che l'opinione pubblica venisse informata dei risultati delle
inchieste condotte fuori dell'ambito ONU. Nessuno dei documenti ONU
che accusasse le forze del presidente Izetbegovic. In più, funzionari
Occidentali di grado elevato sapevano di questa cosa, ma la tenevano
accuratamente celata. Era solo più tardi che il capo redazione del
Nouvel Observateur, Jean Daniel, ammetteva: "Oggi ho da dire questo.
Ho sentito, nell'ordine, Edouard Balladur (Primo Ministro Francese del
tempo), François Léotard (Ministro della Difesa), Alain Juppé
(Ministro degli Esteri), e due generali di grado elevato, che,
fidandosi del fatto che non li avrei nominati, mi hanno dichiarato
(...)che il proiettile fatto scoppiare sull'area del mercato era stato
sparato dagli stessi Musulmani! Che costoro avevano procurato la
carneficina al loro stesso popolo! Questa presa d'atto era spaventosa!
Sì, mi ha risposto il Primo Ministro, senza esitazione..." (Nouvel
Observateur, 21 agosto 1995)
Perché queste manipolazioni? Come per caso, ogni massacro avveniva
giusto prima di qualche incontro importante, a giustificare qualche
misura dell'Occidente: un embargo contro i Serbi (92), un
bombardamento della NATO (94), l'offensiva finale (95). La NATO e
Izetbegovic applicavano un principio essenziale della propaganda di
guerra: giustificare l'offensiva con una menzogna mediatica, un
"massacro" per creare uno shock nella pubblica opinione.
La versione ufficiale sull'assedio di Sarajevo ha nascosto diversi
punti: 1. Certamente le forze Serbe hanno commesso crimini pesanti. Ma
quei civili che desideravano fuggire attraverso un tunnel che
permetteva loro di abbandonare la città erano stati bloccati dal
regime di Izetbegovic, che bramava massimizzare la clientela per il
suo mercato nero, rapinando il denaro degli aiuti internazionali. 2.
In particolar modo era importante presentare un'immagine in bianco e
nero del popolo vittima e dei suoi aggressori. In realtà, sempre a
Sarajevo, i cecchini di Izetbegovic regolarmente ammazzavano gli
abitanti dei quartieri Serbi della città, senza che nessuno parlasse
mai di ciò. 3. Nello stesso modo erano avvenute gravi atrocità, ad
esempio, a Mostar. Ma qui, erano state causate dalla lotta fra le
forze dei Croati e dei Musulmani, che da molto tempo prima avevano
scacciato tutti i Serbi.
13 La più grande "pulizia"
La più grande pulizia etnica della guerra è stata commessa
dall'Esercito Croato?
SÌ. Il 4 agosto 1995, centomila soldati Croati, centocinquanta tanks,
duecento mezzi di trasporto truppe, più di trecento pezzi di
artiglieria, e quaranta lanciamissili aggredivano la popolazione Serba
della Krajina. Più di 150.000 Serbi erano stati costretti ad
abbandonare questa regione, da loro abitata da secoli. Venivano
commesse le peggiori atrocità di guerra: le forze Croate ammazzavano i
vecchi impossibilitati ad andarsene, e bruciavano l'85% delle case
abbandonate.
Clinton definiva l'offensiva "efficace". Il suo Segretario di Stato
affermava: "Aver riconquistato la Krajina poteva provocare una nuova
situazione strategica a noi favorevole." Peggio ancora: gli Stati
Uniti avevano consigliato la Croazia nel corso della sua offensiva,
secondo l'ammissione del Ministro degli Esteri Croato. Inoltre, è
stata Washington che si era fatto carico della formazione
"democratica" di questo esercito. (Mentitori a Poker, pp. 193-194)
14 Bombe all'Uranio
Gli Stati Uniti hanno usato anche in Bosnia armi ad Uranio Depleto?
SÌ. Ad una conferenza internazionale, "Uranio, parlano le vittime",
organizzata a Brussels nel marzo 2001, un medico Bosniaco ha
presentato una guardia forestale Serbo Bosniaca, una vittima come
molte altre di tumori multipli atipici e dalla metastasi veloce, dopo
essere stato esposto all'azione dell'Uranio Depleto nelle aree
bombardate dagli USA.
Un ufficiale sanitario Bosniaco ha illustrato alcune statistiche: la
popolazione di un quartiere Serbo di Sarajevo bombardata dagli aerei
USA nel 1995, (una popolazione in seguito espulsa da quella città),
mostrava un aumento cinque volte più alto nei vari tipi di cancro.
Le armi che usano Uranio Depleto hanno consentito agli USA, ma anche
alla Francia e alla Gran Bretagna, di sbarazzarsi di quantità enormi
di scorie dai loro impianti nucleari. Questi sottoprodotti inquinano
in modo preoccupante la terra, come pure le falde freatiche del
sottosuolo, provocando cancro, leucemia e anomalie mostruose nei nati
(compresi i bambini nati da militari contaminati). In breve, l'uso di
queste armi ad Uranio Depleto ha trasformato diverse regioni in vaste
discariche nucleari per l'eternità. (video e pubblicazione "Uranio,
parlano le vittime").
15 Solamente una "Guerra Giusta"
La guerra contro la Jugoslavia è stata unicamente una "guerra buona"
degli Stati Uniti?
NO. Gli Stati Uniti hanno cercato di far credere che stavano
combattendo una guerra umanitaria. E, in questa occasione, si sono
presentati come difensori dei Musulmani. Ma in realtà sono stati
Washington e Berlino a provocare questa guerra. Deliberatamente.
Nell'interesse egoistico di conquistare certi obiettivi strategici: la
colonizzazione economica dei Balcani, il conseguimento del controllo
dei corridoi per il trasporto del petrolio, e la lotta per il dominio
del mondo.
Gli USA non hanno mai combattuto una guerra umanitaria. E non sono
stati i pompieri in questa guerra contro la Jugoslavia, sono stati i
piromani. Sono stati i maggiori colpevoli delle sofferenze inflitte a
tutto il popolo. Gli USA non possono essere, da un canto, gli amici
dei Musulmani nei Balcani, e, dall'altro, il loro peggior nemico in
Palestina e nell'Iraq. Gli USA sono nemici dei Musulmani dappertutto.
E sono il nemico più pericoloso per i popoli del mondo. Stanno
minacciando la Siria, l'Iran, la Corea del Nord, Cuba, e qualche volta
anche la Cina. Poiché la loro strategia di guerra non ha altro
obiettivo che di conservare un ordine economico di ingiustizie, di
dominio, di sfruttamento di ogni regione sulla terra al fine di
arricchire ulteriormente una piccola manciata di super-miliardari.
Questo è perché è tanto importante smascherare tutto le menzogne dei
media e rendere note le verità sulla guerra contro la Jugoslavia:
questa è stata una guerra di aggressione!
___________________________
In conclusione. Un appello
Non vi daremo una "valutazione di merito" per stabilire il grado di
manipolazione mediatica a cui avete dovuto essere soggetti. Questo
livello può essere definito indecente. Nel corso di questi dieci anni,
troppi innocenti hanno sofferto e soffrono ancor oggi a causa della
disinformazione orchestrata dalle grandi potenze con l'obiettivo di
far avanzare il loro dominio imperialistico.
E altre persone, anche vicine a voi, o forse voi stessi, hanno dovuto
subire un altro insulto: sapere che dietro a queste menzogne
orchestrate stava qualcosa di traumatizzante, ma non essere in grado
di fare qualcosa contro tutto questo. Tutto questo è stato frutto del
potente indottrinamento della presa di coscienza della pubblica opinione.
Le risposte che abbiamo fornito di seguito sono il risultato di lunghe
ricerche, che hanno richiesto una grande quantità di tempo ed indagini
approfondite per fare esplodere la verità. Abbiamo voluto con questo
mostrarvi che è possibile sfuggire all'incantesimo ipnotico dei media
che intende farci accettare quello che non è accettabile. Che fare?
Non basta, dopo le menzogne di ogni conflitto, dire: "Mai più!" Noi
dobbiamo cercare senza tregua di capire cosa c'è veramente in gioco in
ogni guerra, dal punto di vista economico che strategico. Per
stracciare la cortina dietro la quale i burattinai invisibili tirano i
fili dietro le quinte. Per organizzarci collettivamente, per fare
indagini in modo più rapido. E per diffondere in modo più ampio
possibile i risultati di questi "media quiz".
Voi potete aiutare a rinforzare gli effetti di questi "media quiz"
contattandoci. Perché noi non dobbiamo mai assuefarci a questo orrore
e a questo cinismo.
Da consultare
(in francese):
- Diana Johnstone : Milosevic all'Aja : più diventa interessante, meno
se ne parla.
http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2005-08-30%2013:15:33&log=invites
- Ed Herman - il TPI, organo della NATO e della malafede
http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2006-01-27%2005:46:36&log=invites
- Jean Bricmont - Intervista sull'imperialismo umanitario
http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2006-01-06%2010:02:17&log=articles
- Michel Collon - Médias, abbattete questo uomo !
http://www.michelcollon.info/articles.php?dateaccess=2004-05-01%2018:34:54&log=articles
- E numerose altre testimonianze ed analisi. Mettete alla prova i
vostri media. Non permettete loro di esprimere opinioni al posto vostro!
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IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
Il j'accuse di Slobodan Milosevic
di fronte al "Tribunale ad hoc" dell'Aia"
(Ed. Zambon 2005, 10 euro)
Tutte le informazioni sul libro, appena uscito, alle pagine:
http://www.pasti.org/autodif.html
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ICDSM - Sezione Italiana
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*** Conto Corrente Postale numero 86557006, intestato ad
Adolfo Amoroso, ROMA, causale: DIFESA MILOSEVIC ***
LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
http://www.un.org/icty/transe54/transe54.htm (IN ENGLISH)
http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm (EN FRANCAIS)