Informazione

L'articolo che segue appare sull'ultimo numero - 1/2006 - de L'ERNESTO
(Per l'indice si veda: http://www.lernesto.it/index.aspx?m=53&did=4 )

www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 11-03-06

Perché occorre ritirarsi dal Kosovo


Per affrontare e sostenere l'argomentazione e la parola d'ordine del
ritiro delle truppe italiane dal Kosovo (e dagli altri paesi dove sono
presenti...) intendo affrontare il problema da due angolature: una è
quella relativa alla situazione sul campo, verificando cioè nei fatti
e nella situazione concreta se le giustificazioni o obiettivi che si
diceva sarebbero stati raggiunti attraverso queste operazioni di
guerra, hanno effettivamente cambiato la situazione precedente che si
diceva "necessitare" di cambiamenti e come.

La seconda va vista invece, dal punto di vista "interno", cioè del
nostro paese, cosa questo ha comportato e comporta in termini
politici, civili e sociali, e quali sono le conseguenze dirette sulle
condizioni di vita dei lavoratori e i rischi dal punto di vista degli
equilibri e della convivenza internazionali del nostro paese.

Come si sa, l'aggressione alla Repubblica Federale Jugoslava del 1999,
culmina nei 78 giorni di bombardamenti da parte dei 19 paesi della
Nato, a cui l'Italia ha contribuito con 1381 missioni aeree (è bene
ricordarlo...); ma non bisogna dimenticare i precedenti otto anni
costellati di ricatti, pressioni, sanzioni, embarghi, guerre e
tragedie, che erano già stati necessari per distruggere la vecchia
Jugoslavia. L'8 giugno si arrivava al cessate il fuoco ed agli accordi
di pace di Kumanovo, che attraverso la Risoluzione 1244 del Consiglio
di Sicurezza dell'ONU, sancivano il ritiro delle forze militari
jugoslave (esercito e polizia), sostituite da forze internazionali
(KFOR) che avrebbero dovuto, da un lato garantire la cessazione delle
violenze e la salvaguardia della popolazione civile del Kosovo, e
dall'altro avviare un processo di pacificazione che doveva favorire la
ripresa della vita civile, sociale, economica e politica della regione
serba. L'avevano chiamato "intervento umanitario".

Sono stati raggiunti questi obiettivi nel Kosovo Methoija ?

Prima di tutto facciamo chiarezza sulle presunte motivazioni che
avevano "indotto" all'intervento "umanitario": genocidio, pulizia
etnica e fosse comuni per un "totale massimo" della campagna di
disinformazione strategica, raggiunto nei media di "500.000" albanesi
kosovari uccisi. Penso sia fondamentale scrivere anzi scolpire nella
memoria storica, la cifra non presunta, ma ufficiale finora sancita
dalle forze investigative di 17 paesi, coadiuvate dalla CIA, dall'FBI,
dalla Kfor, dall'Osce, dall'Unmik. ecc. ecc., a tutt'oggi il numero di
corpi identificati è di 2108 vittime appartenenti a tutte le etnie e
decedute per varie cause. A questo proposito vedere l'articolo di F.
Battistini sul Corriere della Sera del 28 novembre 2003.

Sfido chiunque a dimostrare, attraverso dati e documentazioni alla
mano, che uno solo dei diritti negati nell'attuale "Kosovo liberato" e
"democratico" ai serbi, ai rom e alle altre minoranze non albanesi che
vivevano lì da secoli, fosse negato prima del marzo '99 a qualsiasi
minoranza lì residente. Fino all'intervento della Nato erano 14 le
minoranze lì riconosciute e garantite paritariamente. Oggi quante
sono?... Una sola, le altre sono dovute scappare dalla regione o
vivere come prigionieri nelle enclavi circondati dalle forze militari
della Kfor per non essere uccisi. E anche alcune decine di migliaia di
albanesi kosovari sono dovuti scappare in Serbia in quanto
jugoslavisti e considerati traditori dalle forze secessioniste e
scioviniste dell'UCK.

Come detto da Dragan B., un ex lavoratore della Zastava di Pec
nell'intervista raccolta nel video "Kosovo 2005, viaggio
nell'apartheid in Europa" :

"...La democrazia dell'Occidente è una parola falsa e vuota, un
linguaggio che non riusciamo a capire. La democrazia l'avevamo prima,
perché ognuno aveva il proprio lavoro, la propria terra, le proprie
chiese, diritti e doveri sanciti per tutti. Oggi c'è solo distruzione,
odio, violenza, terrore, criminalità. Ecco cosa ha portato qui la
democrazia occidentale...". (1)

Dov'era il genocidio? Dove sono le fosse comuni, i massacri, la
pulizia etnica, gli stupri di massa, le persecuzioni, i diritti
negati? Domande a cui oggi, risponde solo il silenzio da parte di
tutti coloro che si sentirono arruolati nella lotta per il bene contro
il male. Dove naturalmente il bene era la Nato con le sue bombe
umanitarie, politici e mass media occidentali, persino grandi parti
del movimento pacifista, che pur con qualche distinguo ritennero
"necessario" fermare "demoni", violentatori, assassini... ovviamente
tutti rigorosamente serbi.

Oggi che le menzogne di guerra così attentamente descritte dal
giornalista tedesco J. Elsasser nel suo libro (2), oggi che la
sbornia collettiva mass mediatica ispirata dalle strategie di
disinformazione di guerra è superata, e hanno preso nel mirino nuovi
obiettivi: Iraq, Siria, Iran, Bielorussia, Corea Nord, ecc. ecc.; oggi
dove sono, cosa dicono quelle anime candide della politica (anche
pacifista) e della disinformazione, che scrivevano e declamavano in
televisione la loro indignazione contro le ingiustizie e la violenza?
Perché ora tacciono? Dove sono e cosa dicono o cosa scrivono dei
seguenti dati presi da fonti totalmente occidentali e documentati riga
per riga, numero per numero (3), che sintetizzano e inchiodano la
verità storica e le loro menzogne:

oltre 300.000 mila profughi di tutte le etnie, ma nella stragrande
maggioranza serbi e rom, scacciati dalla loro terra; più di 3.000 casi
di desaparecidos denunciati all'Onu e quasi 5.000 presunti, rapiti e
assassinati dal marzo '99 ad oggi; quasi 100.000 persone sopravvissute
alle violenze e alla pulizia etnica dei secessionisti albanesi, che
vivono in poche decine di enclave, veri e propri campi di
concentramento a cielo aperto, di fatto in un regime di apartheid in
Europa (4); centinaia di migliaia di case bruciate e distrutte; 148
monasteri e luoghi di culto ortodosso, distrutti o danneggiati dalle
forze criminali dell'UCK; il Kosovo è oggi indicato dalla stessa DEA (
Agenzia Antidroga Usa) come un narcostato nel cuore dell'Europa;
questa regione è oggi indicata da tutti gli esperti investigativi
occidentali, come il crocevia e lo snodo internazionale di tutti i
traffici criminali, dalla droga alle armi, dalla prostituzione al
traffico di organi, lo stesso ex premier albanese kosovaro B. Bukoshi
ha dichiarato al giornale tedesco Der Spiegel del 1 agosto 2004 :
"...il nostro governo si basa di fatto su strutture mafiose...". E'
una regione senza più apparati produttivi, dove la disoccupazione
degli stessi albanesi kosovari comprende i due terzi della
popolazione; una regione completamente uranizzata dai bombardamenti
umanitari e dove i dati sulle nascite di neonati malfermi o i decessi
per linfomi di Hodgins, sono assolutamente top secret, ma basta
parlare con sanitari del luogo per farsi un'idea della situazione reale.

La verità storica sotto gli occhi di tutti è una sola: l'operazione
Kosovo, ha raggiunto gli obiettivi politici, militari e geostrategici
della Nato e dell'imperialismo, ma è stato un totale fallimento per i
popoli della regione.

Il totale "silenziamento" degli sviluppi dell'illegale Tribunale
dell'Aja per l'ex Jugoslavia, dove l'ex Presidente della RFJ, S.
Milosevic è uno degli accusati, dovrebbe far riflettere. Come mai,
invece di pubblicizzare e far conoscere all'opinione pubblica
occidentale, i risultati, le prove, i fatti documentati, di questo
processo non c'è traccia nei mass media occidentali, se non rare e
limitate eccezioni che non raggiungono il grande pubblico? Il motivo
molto semplicemente è che l'ex Presidente Milosevic, sta frantumando,
azzerando e smantellando tutte le accuse e soprattutto tutto
l'impianto politico, strategico e disinformativo, su cui si fondano
accuse che non hanno neanche uno straccio di prove concrete, dove i
testimoni, spesso addirittura anonimi indicati con sigle, vengono
sistematicamente smentiti o smascherati come falsi, o peggio si
contraddicono e abbandonano l'aula. Dove i testi "eccellenti"
richiesti dalla difesa non accettano di presentarsi al contradditorio
per timore di essere accusati loro stessi di un atto criminale come
l'aggressione e la distruzione di un Paese, la Jugoslavia e dei suoi
popoli, ridotti in miseria e annichilimento. (5) Anche in questo caso
per l'imperialismo un fallimento, anche se la condanna è già stata
emessa prima del processo (6); ma Milosevic non l'hanno piegato e un
libro con gli atti della sua difesa durata giorni è appena stato
editato in Italia (7), dove ogni riga è un atto d'accusa documentato e
suffragato da fatti e documentazioni inoppugnabili, contro la Nato e
l'imperialismo, e di difesa della Jugoslavia e del popolo serbo di
fronte alla storia.

C'è un altro aspetto che non va sottovalutato e che riguarda tutta la
comunità internazionale: i pericoli dell'esplosione di nuove
conflittualità nell'area, legate alla definizione dello status
internazionale della regione, scadenza ormai delineata per giugno
2006, e indirizzata ad una indipendenza "de facto" perseguita come
obiettivo non negoziabile dalla parte albanese e rifiutata in varie
forme e modi dalla comunità serba kosovara e dal governo di Belgrado;
in questo evolversi della situazione si potrebbe determinare un
effetto domino anche per i paesi limitrofi. In quanto la
destabilizzazione dell'area balcanica toccherebbe nuovamente la Serbia
nelle sue zone meridionali, nel Sangiaccato dove ormai da anni la
situazione è in uno stato di tensione quotidiana con violenze,
minacce, attentati e dove una gran parte della popolazione serba e rom
ha deciso di andare via; e nelle valli del Presevo, Medvedja e
Bujanovac dove opera un clandestino Esercito di Liberazione PMB della
minoranza albanese che chiede l'unificazione con il Kosovo. La
Macedonia, dove, forse pochi lo sanno, in molte zone è tuttora vigente
il coprifuoco serale e dove da anni l'agguerrita minoranza albanese
tenta da anni la secessione e l'unificazione con il Kosovo e
l'Albania, anche qui mediante una formazione guerrigliera legata
all'ANA (Armata Nazionale Albanese). Il Montenegro dove nella sua zona
meridionale, dove numerosa e folta è la presenza della comunità
albanese, in cui il controllo statale è ormai di fatto impossibile, e
dove la comunità albanese, negli ultimi anni ha ottenuto numerose
agevolazioni giuridiche, economiche e politiche in una partita di
scambi di favori tra l'ex Uck e l'attuale presidente montenegrino
Djukanovic, perseguito da numerose inchieste legate alla mafia (tra
cui quella della Procura di Bari), ma sostenuto dai secessionisti
albanesi. Per arrivare poi alla Grecia, dove dall'anno scorso si è
formato un partito della minoranza albanese che rivendica il nord del
paese come territorio albanese e predica la separazione, cominciando a
fomentare disordini, violenze e tensioni sociali. E' evidente che la
posta in gioco in quest'area è notevole e che la cenere di nuove
violenze e guerre cova e potrebbe incendiare nuovamente quelle
regioni; le stesse forze internazionali presenti sul campo denunciano
l'alto rischio conflittuale, capace di far precipitare i Balcani in
nuove spirali di guerra. In questo modo verrebbero azzerati tutti i
disegni di pacificazione armata pianificati in questi anni di
occupazione da parte della Nato e si riproporrebbe uno scenario di
"instabilità regionale" con nuovi stravolgimenti di quella parte
d'Europa, probabilmente con ripercussioni anche delle strategie della
stessa Russia, da sempre molto attenta e interessata, per i suoi
stessi interessi nazionali agli equilibri balcanici.

Queste dinamiche se si realizzano, potrebbero coinvolgerci nuovamente,
in quanto membri della Nato, in nuove avventure militari... ovviamente
umanitarie.


Dal punto di vista "interno"

La violazione dell'Art. 11 della Costituzione, avvenuta con
l'aggressione alla Jugoslavia per il Kosovo, della Nato al di fuori
dell'ONU, non è stato solo un problema etico o formale, ma significa
che quando in un paese vengono disconosciuti o calpestati i suoi
ordinamenti statuali, sanciti da una lotta di liberazione nazionale
antifascista, è evidente che anche una formale volontà popolare ne
esce disconosciuta e annichilita; e con essa anche gli stessi
"diritti" in quanto lavoratori e cittadini ne escono fortemente
indeboliti, anche se non ce ne accorgiamo. Quando l'illegittimità
giuridica viene "giustificata" una volta, sarà sempre più difficile
per il futuro, imporre anche a "poteri forti" l'arretramento o la loro
fermata con le armi costituzionali; ognuno troverà le motivazioni o
giustificazioni di "necessarietà" contingente.

Ritengo questo uno dei tasselli attraverso cui da anni sta andando
avanti il processo di "revisionismo storico" su tutti i terreni, che
pezzo per pezzo stanno smantellando quelle radici e quell'identità
nazionale nate il 25 aprile 1945. E su questo le responsabilità della
cosiddetta "sinistra italiana" non sono certo leggere o superficiali;
e questo vale purtroppo anche per coloro che, nello stesso PRC si
avventurano su terreni quali quelli della "...Resistenza che ha
commesso anche orrori", "...la questione Foibe", le teorizzazioni
astoriche e apolitiche circa la questione non violenza, ecc. ecc.

La vicenda Kosovo ha fatto anche emergere la questione della
limitatezza della nostra indipendenza nazionale e della nostra
sovranità, in quanto l'appartenenza all'unica alleanza militare
rimasta, la Nato, comporta l'impossibilità di dire no alle avventure e
strategie militari che questa, assolutamente obsoleta storicamente e
totalmente asservita all'imperialismo USA, persegue per suoi
interessi geopolitici e geostrategici, spesso anche in contrasto con
interessi economici nazionali del nostro paese.

Per rafforzare la posizione contro la guerra è necessario legare alla
nostra realtà sociale l'aspetto materiale dei costi delle guerre. Le
guerre si fanno per gli interessi imperialisti, ma le pagano i
lavoratori ed i popoli; gli imprenditori ed il capitale internazionale
si spartiscono il bottino dei mercati conquistati, i lavoratori, oltre
a "pagare" monetariamente la guerra, avranno anche un ulteriore massa
di diseredati ed immiseriti dalle varie guerre, che busseranno alle
porte dell'occidente, per cercare un lavoro, sottoposti a ricatti e
sfruttamento bestiale, che indebolisce di fatto lo stesso movimento
dei lavoratori e le sue conquiste.

Solo in Kosovo l'Unione Europea ha speso fino ad oggi circa 4 miliardi
e 400 milioni di euro, ed il mantenimento del nostro contingente di
2800 soldati, fa parte delle spese militari delle varie finanziarie; e
queste non vengono mai tagliate, anzi di volta in volta crescono,
mentre le voci dello stato sociale vengono costantemente tagliate se
non levate del tutto. Mentre i soldi per il rinnovo del contratto di
milioni di lavoratori (quest'anno sono quasi 4 milioni i lavoratori
che lottano per il rinnovo dei loro contratti), si dice che non ci
sono e occorrono sacrifici, i soldi per le loro "guerre" cosiddette
"umanitarie" non mancano mai.

Così come va denunciato che nel perpetrare logiche e politiche di
guerra, gli stessi diritti civili e sociali di qualsiasi paese,
vengono ristretti o in casi estremi sospesi; fino ad arrivare
ipoteticamente, ma non assurdamente, a poter sospendere lo stesso
diritto di sciopero o di manifestazioni pubbliche, perché antinazionali.

Occorre far capire che dire no alla guerra significa anche lottare
concretamente per la difesa dei salari e delle conquiste economiche e
sociali dei lavoratori e dei ceti popolari.

Il nostro possibile che fare, come comunisti, movimento per la pace e
antimperialista, e per la difesa degli interessi dei lavoratori.

Con la caduta del campo socialista e progressista formatosi nel corso
del secondo Novecento, al di là dei giudizi nello specifico, tranne i
paladini (a volte inconsci) del liberismo e dell'imperialismo (a volte
umanitario e ammantato di socialdemocrazia), si sarebbe dovuto ormai
aver compreso sia politicamente che storicamente, quale peso e ruolo
di deterrenza sui destini dei popoli e di ogni paese "renitente" al
nuovo ordine mondiale, aveva quella contrapposizione e quel
bilanciamento. E per quantificare materialmente quanto tragico sia
stato il prezzo pagato dai popoli: sia dal punto di vista economico,
sociale, di sviluppo, che in termini di vite umane sacrificate nelle
ormai centinaia di guerre, fatte scatenare dalle politiche
imperialiste di rapina e assoggettamento, basta semplicemente scorrere
una cronaca internazionale di questi ultimi quindici anni. Attraverso
la concezione di "guerra infinita", sulle macerie del muro di Berlino,
dal punto di vista economico si è dispiegata da parte
dell'imperialismo, una vera e propria corsa ai territori di conquista,
utilizzando la disponibilità e gli interessi delle varie "borghesie
compradore" e fomentando e gestendo divisioni, odi o contraddizioni
locali. Questo permette poi attraverso ricatti, pressioni e
imposizioni, anche l'intervento militare in quelle situazioni che
oppongono "resistenza" sotto qualsiasi forma e orientamento, ma che di
fatto sono un ostacolo al controllo e all'assoggettamento al dominio
imperialistico, dei suoi obiettivi ed interessi. Ecco perché qualsiasi
popolo o paese, al di là del tipo di leadership abbia, se cerca di
portare avanti un proprio modello di sviluppo, un proprio percorso di
trasformazione sociale che non è interno e subalterno alle strategie
imperialiste predeterminate, è già un ostacolo, è potenzialmente un
nemico, e davanti a lui si erge una spaventosa e all'apparenza
invincibile macchina da guerra, dove l'imperialismo USA la fa da
padrone ed i vari sub imperialismi europei si arrabattano nella
ricerca degli avanzi per ritagliarsi un ruolo.
Io penso che da questa sintetica e schematica lettura, si possa e si
debba necessariamente partire, sia per comprendere quale disparità di
forze ci sia in campo (e questo non dobbiamo mai scordarlo, per non
fare i grilli parlanti o i liberi pensatori fuori dalla realtà del
mondo); sia per comprendere quali tipi di alleanze, mediazioni,
programmi a breve termine sia possibile e realistico fare (nei terreni
sociali, politici ed economici). Soprattutto io credo, per definire
cosa sia necessario fare, per contribuire ad un processo
internazionale di ricostruzione di un campo di forze comuniste da un
lato e antimperialiste dall'altro; non perché siano in antitesi, ma
semplicemente penso che hanno passaggi, dialettiche e strategie
differenti, pur ritenendo necessario e fondamentale che i comunisti
siano interni e motore, di qualsiasi processo dove vivono forme di
antimperialismo.

Questo seppur faticosamente e tra grandi difficoltà nel contesto
internazionale sta crescendo e avvenendo, essendone testimone diretto
in varie assisi internazionali in questi ultimi anni.

Concretamente, alcuni indirizzi possibili di lavoro:

- Riaffermazione e difesa della Costituzione nata della Resistenza
antifascista e dalla lotta di liberazione nazionale, fondata sul
ripudio della guerra come strumento di soluzione dei conflitti.

- Riapertura di una forte e larga campagna per l'uscita dell'Italia
dalla Nato e delle basi straniere dal nostro territorio, non in una
lettura solo strettamente ideologica, ma fondata sulla base degli
interessi nazionali dei lavoratori e dei ceti popolari, e della lotta
per la pace.

- Riproporre e mantenere costante una campagna contro gli embarghi e
le sanzioni, armi e strumenti di ricatto e annichilimento in primis
dei popoli.

- Chiedere ai candidati comunisti o schierati nella lotta per pace
contro le logiche di guerra, una dichiarazione di intenti, dove si
prende un solenne e pubblico impegno, di rispettare nel loro mandato
una ferma e irresoluta posizione contraria a qualsiasi politica di
guerra del futuro governo, comunque sia camuffata o giustificata (noi
non dimentichiamo che la guerra in Kosovo e l'aggressione alla
Jugoslavia è avvenuta da parte di un governo cosiddetto di centro
sinistra, e un certo signor D'Alema, ancora solo pochi mesi fa in TV
ha ribadito la sua convinzione della giustezza di quella infame
scelta...).

E inoltre prendano l'impegno di sostenere e portare avanti le parole
d'ordine del ritiro dei militari italiani dalle zone di guerra e
dell'uscita dell'Italia dalla Nato.

Sottoscrivendo il concetto basilare che se una guerra viene fatta
senza essere aggrediti, è sempre una guerra d'aggressione e non
difensiva, quindi anticostituzionale.
A noi poi l'impegno di pubblicizzarne i firmatari, come candidati da
sostenere da parte di tutte le realtà di lotta per la pace ed
antimperialiste.

Ritenendo che solo in questo modo, un governo che pretende di voler
essere di cambiamento e intende essere diverso dalle politiche
aggressive e antipopolari del centro destra, potrà costruire una
politica estera fondata su un ruolo di equilibrio nello scenario delle
contraddizioni e conflittualità internazionali, fondata e imperniata
su strategie di pace, collaborazione e sviluppo paritario tra i paesi
ed i popoli.

Il resto sono solo chiacchiere e solite trite promesse elettorali.

- La necessità di un processo di ricostruzione di un vasto e forte
movimento antimperialista, fondato sul rafforzamento e propugnamento
di politiche e strategie di sostegno e difesa delle aspirazioni di
emancipazione e sviluppo dei popoli; di difesa delle sovranità e
integrità territoriali dei paesi; delle indipendenze nazionali di
ciascun paese; e della non ingerenza come pietre miliari delle
relazioni tra popoli e nazioni. Il tutto fondato su una concezione di
diritto internazionale legato agli obiettivi di sviluppo,
emancipazione e difesa dei popoli.

- Nello specifico un appello lo rivolgo sia alla rivista che ospita
questo articolo, L'Ernesto, sia alle altre realtà informative e di
solidarietà, del movimento, ed è quello di sostenere la Campagna
Kosovo Metohija che in anteprima annuncio tramite questa occasione, e
che sarà lanciata a livello nazionale dal Forum Belgrado Italia e SOS
Yugoslavia, concordata e decisa nell'ultima riunione fatta in Dicembre
a Belgrado, a cui ero presente, con esponenti politici, giornalisti,
accademici, militanti della Serbia e dalle comunità delle enclavi
serbe nel Kosovo. Una campagna tesa ad informare e solidarizzare con
gli oppressi e i dimenticati di questa realtà, in concomitanza con il
dibattito dei prossimi mesi per la definizione statutaria della
regione serba.

Un obiettivo concreto che viene proposto all'interno di questa
campagna è quello di chiedere al movimento per la pace ed
antimperialista, e al maggior numero di esponenti istituzionali
coerenti con la lotta per la pace e contro le logiche di guerra, di
sostenere nelle istanze istituzionali e come battaglia politica,
l'applicazione della Risoluzione 1244 dell'ONU, che sancisce la
sovranità federale della Serbia Montenegro sulla regione, la presenza
della polizia e dell'esercito serbo a garanzia e protezione della
legalità costituzionale di tutte le etnie e il diritto al ritorno
delle centinaia di migliaia di profughi di tutte le minoranze
costrette a fuggire.

Per chiunque si ritiene impegnato a difendere gli interessi dei
popoli, questa pacifica parola d'ordine, che fa fede al semplice
rispetto del Diritto Internazionale, può essere unificante e
costruttiva di politiche di pace e rispetto dei diritti dei popoli.
Oltrechè suonare come risarcimento morale e politico per non essere
stati capaci, noi tutti, di impedire la guerra di aggressione e
distruzione della Jugoslavia.


Per ulteriori informazioni, articoli, materiali, libri riguardanti il
Kosovo, vedere sul sito www.resistenze.org, che raccoglie molta
documentazione e indicazioni di altri siti. Comprendente,oltre le
attività di informazione tra cui il Forum di Belgrado Italia, quelle
di solidarietà, tra cui il Progetto SOS Kosovo Metohija di SOS Yugoslavia.

Oppure contattare il 338/1755563.


NOTE:

1) "Kosovo 2005, viaggio nell'apartheid in Europa", Video di SOS
Yugoslavia

2) J. Elsasser, "Menzogne di guerra", La Città del sole Ed.

3) Vedere sul sito www.resistenze.org e sul sito del CNJ, la mole di
articoli e documentazioni di tutti questi anni.

4) Idem, "Kosovo 2005..."

5) Vedere sul sito www.resistenze.org, nel periodico Tribunale Aja
Notizie alcune traduzioni di udienze significative e documentazioni
internazionali circa il Tribunale e i riferimenti di altri siti che
seguono le vicende del processo.

6) Vedere "Jugoslavia 2001, atti fatti e misfatti", Manes ed. dove è
documentato prima che accadesse, che già prima di essere rapito dalla
Nato, Milosevic era cosciente che non sarebbe mai più stato libero.

7) S. Milosevic, "In difesa della Jugoslavia", Zambon ed. (curato da
Icdsm Italia)


Febbraio 2006,

Enrico Vigna, Portavoce del Forum di Belgrado Italia e dei Nuovi
Partigiani della Pace.

(dalla coppia Bonini-D'Avanzo, esperti professionali di
disinformazione strategica, un articolo che spiega molto...)

http://www.repubblica.it/2006/c/sezioni/spettacoli_e_cultura/librobodav/librobodav/librobodav.html

Dal libro "Il mercato della paura" di Carlo Bonini e Giuseppe D'Avanzo
la storia delle brigate "Al Masri", troppo occidentali per essere vere

Quei misteriosi scrivani del web che minacciavano l'Italia

Dal capitolo VI del libro "Il Mercato della Paura" di Carlo Bonini e
Giuseppe D'Avanzo (ed. Einaudi, euro 15,50)


Quando si mostrano il 12 marzo del 2004 per attribuirsi la
responsabilità della strage di Madrid, le "Brigate Abu Hafs Al Masri"
sono materia per soli addetti. La sigla ha un che di misterioso
esattamente come il profilo dei militanti di cui sostiene di essere la
voce. Di loro si sa poco o nulla.

Si sa che hanno rivendicato la strage nella sede delle Nazioni Unite a
Bagdad del 19 agosto 2003 e gli attentati del 15 novembre di quello
stesso anno alle sinagoghe di Istanbul. Si sa che Abu Hafs Al Masri è
il nome di battaglia dell'egiziano Mohammed Atef, caduto nei
combattimenti dell'autunno del 2001 in Afghanistan, quando gli archivi
di intelligence lo fotografano "massimo dirigente militare di Al Qaeda".

Si sa che utilizzano un unico, inafferrabile, strumento di
comunicazione - internet - "postando" le loro rivendicazioni via
e-mail alle redazioni di quotidiani in lingua araba ora a Londra, ora
nei Paesi del Golfo Persico. Si sa che sintassi e immagini utilizzate
nelle loro rivendicazioni hanno molto a che fare con stilemi e
categorie politiche dell'Occidente, assai poco con quelle del moderno
Islam radicale.

Ce n'è abbastanza per nutrire qualche sana diffidenza sull'originalità
della sigla e sulla dichiarata intenzione di chi ne fa uso di dare a
intendere che le Brigate hanno le stimmate di Osama Bin Laden. Ma la
prudenza non abita il nostro cortile e il 2 luglio del 2004, a Parigi,
a conclusione di un vertice bilaterale con il Presidente francese
Jacques Chirac, è il Presidente del Consiglio a spiegare che le
minacce intestate "Abu Hafs Al Masri" "vanno prese sul serio".

A sollecitarne la sortita sono le prime pagine dei quotidiani in
lingua araba "Al Hayat" e "Al Sharq al-Awsat", su cui, quella mattina,
le brigate sono tornate a discettare con un lunghissimo comunicato. La
mossa di Berlusconi si muove in una logica politica che si libera in
un colpo solo di ciò che il buon senso degli addetti dovrebbe
suggerirgli. Il testo del 2 luglio sembra uscito dallo scantinato di
qualche attento collezionista di materiale tutto italiano. Chi lo ha
confezionato puzza di provocatore. Usa arnesi familiari all'album di
famiglia della nostra storia politica recente. Una storia che,
evidentemente, conosce, con cui ha avuto a che fare o che
semplicemente orecchia.

Non si spiegherebbero altrimenti i riferimenti a un fronte di lotta
per svuotare le carceri americane dai prigionieri della guerra al
terrore, espressioni quali "allargare l'area del conflitto" o il
riferimento alla caduta di "fiducia degli investitori nei mercati
americani". Non è un caso, del resto, che mentre Roma promuove le
"Brigate" a nuova stella di prima grandezza del firmamento
fondamentalista, a Berlino, Rainer Lingenthal, portavoce del ministero
dell'interno federale, si smarchi con una sola, semplice mossa:
"Queste affermazioni delle sedicenti Brigate Abu Hafs Al Masri vanno
prese con molta prudenza. E' un gruppo misterioso che è arrivato ad
attribuirsi persino il black-out energetico negli Stati Uniti".

Due settimane dopo, tra il 15 e il 16 luglio, il gioco mostra il
trucco. Nello spazio di quarantotto ore, due comunicati telematici
firmati "un ammiratore tunisino dei due sceicchi" e "Brigate Abu Hafs
Al Masri" riducono la campagna estiva del terrore ad affare
squisitamente italiano. Alla figura di Silvio Berlusconi. La mano che
verga proclami comincia a giocare con l'ultimatum di Osama Bin Laden
scaduto il 15 luglio e ne riscrive i termini a piacere. Il 26 luglio
dà al presidente del consiglio "pochi giorni" per ritirarsi dall'Iraq.
Il 28 luglio promette un futuro imminente di devastazione. Il primo
agosto torna a spostare la deadline del terrore di un paio di
settimane. Per poi riaffacciarsi ossessivamente il 7, il 10, l'11, il
15, il 21 e il 29 di quello stesso mese.

Se si ha voglia di leggere questo scartafaccio se ne coglie il tratto
artefatto. Il segno "italiano" dell'autore si rivela in un prolisso
crescendo di riferimenti presenti e passati al dibattito pubblico di
casa nostra. Dai rapporti Putin-Berlusconi, alla morte violenta del
giornalista Antonio Russo, al dichiarato disprezzo per alcuni noti
commentatori in lingua araba della nostra stampa quotidiana. Le
minacce delle "Brigate" hanno l'attendibilità di uno zero, esattamente
quanto la rivendicazione di fatti di sangue le cui responsabilità
portano ad altri indirizzi. A Bagdad, a Madrid, a Istanbul.

Sarebbe insomma consigliabile non cavalcare questa tigre di carta che
incupisce l'estate italiana. Ma non è quel che accade. Le parole di
Berlusconi dei primi di luglio e il credito aperto alle minacce delle
"Brigate" consiglia a una parte degli apparati mosse accorte e qualche
piccola furbizia. Nessuno trova la forza di denunciare pubblicamente
questa montagna di frottole per quel che è. Il ministro dell'Interno
Giuseppe Pisanu invita genericamente a "non sottovalutare il rischio"
e predica "compostezza nella risposta". Il Sismi arriva a tratteggiare
il possibile profilo di chi si nasconde dietro la sigla "Brigate Abu
Hafs al Masri": "Tutti i messaggi rimandano ad un unico autore,
verosimilmente nordafricano con buona conoscenza dell'attualità
italiana". Qualcuno lo cerca? E chi e cosa lo muove?

Sono domande che restano a ciondolare nel vuoto. Un'urgenza cui
nessuno ritiene di dover dare precedenza. Anche perché, forse, tra gli
addetti nessuno sa poi bene quanto convenga davvero venire a capo di
quella rumorosa campagna di intimidazione. Meglio per tutti resti in
aria come un pallone che, se proprio si deve sgonfiare, è meglio si
sgonfi da solo. Del resto, che il rischio per il nostro Paese non
debba misurarsi sul delirio locutorio della "Brigate" lo spiega con
franchezza proprio il direttore del Sisde, il generale Mario Mori. Il
26 agosto, a Rimini, di fronte alla platea del meeting di Comunione e
Liberazione, l'uomo che ha le chiavi del nostro spionaggio interno si
sottrae al coro dei profeti di sventura. Dice: "La minaccia di un
attentato in Italia esiste, ma non è diversa da quella che incombe su
tutti quei Paesi portatori di una cultura o di una politica che non si
confanno ad un certo estremismo radicale islamico. Ma, credetemi,
l'Italia non è in una situazione pre-spagnola. A chi intende colpirci
manca quel supporto tecnico-logistico che li attarda e li
appesantisce. Se un attacco dovesse arrivare sarebbe improvviso,
imprevedibile, perché può essere lanciato da gente che vive in Italia
da dieci anni, che lavora in un supermarket e, ricevuto un ordine,
cerca di portare a termine il suo compito...".

L'autunno si porta via le "Brigate" neanche fosse un fatto stagionale.
Il misterioso scrivano di Internet si tace d'improvviso e chi, tra gli
addetti, ne ha pesato ogni parola perde interesse nell'affare. Al
punto da ridurlo a semplice accidente, come documenta il breve
passaggio che il Cesis dedica alla misteriosa sigla nella sua
relazione al Parlamento sull'attività della nostra intelligence nel
secondo semestre del 2004: "E' proseguita intensa la propagazione
sulla rete di testi di caratura programmatica, di rivendicazioni e di
comunicati minatori, strumenti di vere e proprie campagne offensive
virtuali che hanno conosciuto il proprio apice durante l'estate, con
una forte accelerazione mediatica anti-italiana. Interamente svoltasi
nel cyberspazio, tale stagione minatoria è stata opera di sigle e
nickname vari, con una netta preponderanza delle sedicenti "Brigate
Abu Hafs Al Masri", comparse a rivendicare anche gli attentati di
Madrid del marzo 2004. Il fenomeno va valutato soprattutto in
relazione alla sua tempistica e ai tratti salienti della minaccia che
intende enfatizzare e amplificare".

Non una parola sulla natura delle "Brigate" e sul lavoro - ammesso ci
sia stato - per venirne a capo. Non un cenno per segnalare che tutti
gli attentati rivendicati con quella sigla (a cominciare da quello di
Madrid) hanno visto accertate altre responsabilità. Tra la fine del
2004 e l'inizio del 2005, la fretta nel mettere in un canto e senza
eccessivi clamori l'estate delle "Brigate" tradisce la convinzione dei
più avvertiti tra gli addetti che la sigla nasconda una campagna di
disinformazione che con Al-Qaeda nulla ha a che fare, ma che nessuno
ha convenienza a raccontare in questi termini. Almeno fino a quando il
gioco non si allarga, come abbiamo visto nel primo capitolo, il 4
maggio del 2005 e Abu Faraj Al Libbi viene catturato nel villaggio di
confine tra Pakistan e Afghanistan. Le "Brigate Abu Hafs Al-Masri" non
hanno nulla a che fare con Al Qaeda.

Nel luglio 2005, le bombe nei metrò di Londra offrono un'altra fugace
opportunità alle "Brigate". Ma è una finestra che si apre e chiude
nello spazio di un mattino. La loro rivendicazione è di cartapesta,
come il comunicato che la segue e la smentisce. "Sono solo una sigla
telematica", conviene ora il ministro dell'interno Giuseppe Pisanu.

Pesano evidentemente le confessioni di Abu Faraj raccolte dagli
americani. Pesa un contesto domestico che comincia a mostrare sintomi
di rigetto di fronte alla sciatta riproposizione della sequenza
allarme-paura-consenso. Pesa un nuovo, grave infortunio della nostra
intelligence militare. E' storia degli inizi di luglio 2005. Alla
vigilia del primo attacco a Londra, una nota del Sismi "informa" che
"fonti di intelligence segnalano la presenza di una scuola di kamikaze
in Lombardia". Si discetta di "istruttori di esplosivi" itineranti,
"appena giunti dall'estero", capaci di fornire know-how in grado di
trasformare aspiranti martiri in bombe umane. La notizia galleggia nel
circuito degli addetti per qualche settimana, quindi, a fine luglio,
dopo il secondo attacco a Londra, il Sismi pensa bene di "spingerla".

La nota, secondo uno schema sperimentato, finisce sulla prima pagina
di un quotidiano che avverte: "Da quanto filtra, il rapporto è "molto
concreto"". Dunque, accende l'allarme e conferma, a posteriori, che la
nostra intelligence ha visto lungo e per tempo il pericolo che ha
appena colpito al cuore Londra. Che anche in Italia si avanza -
peggio, è pronta a colpire - una nuova leva di "homegrown terrorists",
di estremisti domestici pronti a farsi saltare nelle città in cui sono
cresciuti.

La circostanza che esista una "scuola" lombarda in cui diventare
"kamikaze" è un'iperbole che si muove - come sempre - sul sottile
crinale della inverosimiglianza che soltanto la paura può trasformare
in informazione degna di fede. Come sempre, c'è chi, lesto, sale sul
carro del pubblico allarme. A cominciare dal sindaco di Milano
Gabriele Albertini: "Sapevamo dell'esistenza di questi santuari...".
Come sempre, il gioco si mostra subito corto.

La procura della Repubblica di Milano cade dalle nuvole. "Una scuola
di kamikaze? Non ne sappiamo nulla". Cadono dalle nuvole carabinieri e
polizia. Cade dalle nuvole il Sisde, il servizio informazioni interno.
Curioso. Una notizia di questo genere circola da un mese (la nota è
dei primi di luglio) e nessuno ha avuto cuore di condividerla con chi
protegge la quiete delle strade di Milano. Se è una notizia vera,
qualcuno non sta facendo il suo mestiere. Se è una bufala, il Sismi
dovrebbe smentirne la fondatezza.

In entrambi i casi, qualcuno dovrebbe chiedere conto di che cosa sta
succedendo. Colpevolmente non accade nulla. Nei suoi informali
conversari con il Comitato parlamentare di controllo, il direttore del
Sismi conferma l'esistenza di quella allarmata nota e dà appuntamento
alla riapertura del Parlamento per eventuali chiarimenti. La Procura
di Milano ordina al Ros dei carabinieri di vederci più chiaro.
L'estate passa indenne (forse anche la "scuola" ha chiuso per ferie)
e, il 28 settembre, la storia si rivela per quella che è.

Il rapporto del Sismi è una palla gonfiata dalle informazioni
visionarie di un "disturbato mentale, uso al consumo di alcool e
cocaina". Chi immagina a questo punto che lo svelamento della
fanfaluca si traduca in un qualche esito istituzionale, sbaglia.
All'affare, viene dedicata l'attenzione che si riserva a un incidente
stradale in provincia. Dal Comitato parlamentare di controllo si leva
una sola voce. Irata e furiosa. Il senatore di Rifondazione Comunista,
Luigi Malabarba si muove non contro i fabbricatori della bufala, ma
sorprendentemente contro chi (procura di Milano, Ros dei carabinieri,
media) ha osato smascherare l'infondatezza dell'informazione diffusa
dall'intelligence militare. Accusa il senatore: "Mi pare che ci sia
qualcuno che vuole la testa del direttore del Sismi, forse perché poco
disponibile a sposare la tesi del "partito americano" e della
riorganizzazione dell'ordine pubblico e della sicurezza in questo Paese".

Inconsapevolmente, Luigi Malabarba si lascia imprigionare da un'altra
tecnica "sporca" dell'intelligence: la propaganda nera, così
codificata nei manuali di guerra psicologica delle forze armate
statunitensi. "Si tratta di una tecnica impiegata soprattutto dai
militari per screditare il capo di forze guerrigliere ostili (il
leader di un governo nemico o degli insorti) o, genericamente, per
screditare l'avversario principale".

Al senatore viene fatto credere dagli uomini dell'intelligence che ci
sono "inconfessabili ragioni" o "interessi e disegni politici" dietro
le critiche al Sismi. Accecato, il senatore non vede più i fatti e non
si accorge di essere stato preso in trappola dalla propaganda nera
nella sua forma di "eliminazione della credibilità". Così definita dai
manuali: "Di fronte a un'accusa, si può reagire sostenendo che chi
l'ha formulata è una persona squalificata o moralmente equivoca o che
mente per calcolo. Aggredire e depotenziare la fonte significa, di
conseguenza, rendere meno credibile tutto ciò che da quella fonte
proviene".

Naturalmente il silenzio privo di esiti negativi che conclude l'affare
della scuola dei kamikaze non scoraggia il Sismi dal provarci ancora.
Questa volta, la favola in circolazione narra addirittura della
spedizione in Italia di una bomba atomica nella disponibilità di al
Qaeda. Ma la tecnica di disinformazione dovrebbe essere, a questo
punto, trasparente nel suo metodo e nelle sue finalità. Quest'ultima
fanfaluca si può trascurare.

(20 marzo 2006)

(castillano / italiano)

Situación de Bielorrusia en Europa

1. Un giochino...
2. L'Occidente prepara ricatti e provocazioni contro Lukashenko.
Intervista ad Aleksandr Fadeev (22 febbraio)
3. Il Ministero degli Esteri Bielorusso sull'invio di Osservatori
Internazionali per le Elezioni Presidenziali Bielorusse (16 marzo)
4. L'Occidente intensifica la campagna contro la Bielorussia (Prensa
Latina, 12 marzo)
5. Intervista a Konstantin Zatulin, direttore dell'Istituto dei Paesi
della CSI (27 febbraio)

6. Roy Medvedev: Situación de Bielorrusia en Europa (16-03-2006)


=== 1 ===

Un giochino...

In un certo paese (vedere piu' in basso) si e' espresso il seguente
giudizio:

---

***, 18:48

BIELORUSSIA: *** "ESITO VOTO INACCETTABILE, SI RIPETA"
L'amministrazione ****** ritiene che le elezioni presidenziali in
Bielorussia siano state inficiate da un clima di intimidazioni e
pertanto vanno ripetute. ****, ha dichiarato il portavoce *****, "non
accettano" l'esito della consultazione perche' la campagna elettorale
si e' svolta "in un clima di paura". E ha citato "arresti, pestaggi e
frodi" che hanno caratterizzato l'evento. "Noi - ha detto - sosteniamo
la richiesta di una ripetizione del voto".

---

Prova ad indovinare il paese sapendo che si tratta di una nazione il
cui sistema elettorale e' famoso per la sua efficenza nel difendere
l'efficacia del voto dei suoi cittadini

(a cura di Luca)

---

SOLUZIONE:

Dal sito di Repubblica

Cleveland (Ohio), 18:48

BIELORUSSIA: USA "ESITO VOTO INACCETTABILE, SI RIPETA"
L'amministrazione statunitense ritiene che le elezioni presidenziali
in Bielorussia siano state inficiate da un clima di intimidazioni e
pertanto vanno ripetute. Gli Stati Uniti, ha dichiarato il portavoce
Scott McLellan, "non accettano" l'esito della consultazione perche' la
campagna elettorale si e' svolta "in un clima di paura". E ha citato
"arresti, pestaggi e frodi" che hanno caratterizzato l'evento. "Noi -
ha detto - sosteniamo la richiesta di una ripetizione del voto".


=== 2 ===

L'Occidente prepara ricatti e provocazioni contro Lukashenko

Intervista ad Aleksandr Fadeev, dell'Istituto dei Paesi della CSI

a cura di Vasilij Vankov
22 febbraio 2006, KM.RU
in http://www.materick.ru

(...) Nella misura in cui si avvicina la data delle elezioni
presidenziali in Bielorussia (19 marzo) si delineano con maggiore
precisione i dettagli della strategia, che è stata elaborata dai
leader occidentali allo scopo di determinare gli esiti della
consultazione. E' chiaro che, di fronte all'evidenza della debolezza e
della marginalità dell'opposizione bielorussa che le impediscono di
accedere al potere con strumenti legali, i politici dei paesi dell'UE
e degli USA hanno deciso di allestire scenari in cui sia possibile
estromettere con la forza il potere legittimo esercitato dall'attuale
dirigenza della repubblica, nel caso in cui Aleksandr Lukashenko venga
confermato nel nuovo mandato. Come ha dichiarato il presidente del
paese, nel corso di una recente riunione dedicata ai problemi della
sicurezza nazionale, nel periodo elettorale gli organi di difesa
dell'ordine pubblico saranno chiamati ad operare in una situazione
certo non semplice. "Sapete quali pressioni vengono esercitate sulla
Belarus: dallo scoperto ricatto ai tentativi di interferenza negli
affari interni da parte dell'Occidente".

Le caratteristiche della pressione esterna allo scopo di influire
sull'esito delle elezioni presidenziali nella Repubblica di Belarus
vengono descritte in un'intervista esclusiva a KM.RU dell'incaricato
alle questioni della Bielorussia dell'Istituto dei Paesi della CSI
Aleksandr Fadeev.

D. A suo avviso, quanto sono fondate le preoccupazioni di Lukashenko?

A. Fadeev. Purtroppo, corrispondono in pieno alla realtà. E ciò è
stato confermato anche dalla commissione degli osservatori dei paesi
della CSI, che oggi, alla vigilia delle elezioni, lavora in
Bielorussia. Nel suo rapporto sulla situazione della campagna
elettorale nel paese, la commissione ha avuto modo di far notare come
tale fattore, cioè il tentativo di esercitare pressione per
condizionare le elezioni presidenziali, eserciti un ruolo rilevante. E
ciò preoccupa gli osservatori dei paesi della Comunità. Le forze
esterne interessate descrivono intenzionalmente la Bielorussia come un
"paese canaglia" dominato da un regime dittatoriale, dove vengono
violati i principi democratici. Ciò è necessario per esercitare una
continua pressione sulla dirigenza del paese. In particolare, mediante
l'utilizzo del diritto internazionale, che permette tali interferenze
nel caso in cui alla guida dello stato si trovi un dittatore. Questo è
il marchio d'infamia con cui ormai da molto tempo si cerca di bollare
Lukashenko. Tale situazione non è certo solo di oggi. Già nel 1999 il
potere statale bielorusso fu dichiarato illegittimo dall'Occidente. A
quel tempo si dovevano svolgere le elezioni presidenziali sulla base
della nuova Costituzione. Ma esse non si tennero, in quanto nel paese
si svolse un referendum, in cui il popolo della Bielorussia assunse la
decisione di calcolare il mandato presidenziale dal 1996. Così le
elezioni vennero rimandate di due anni. Come si vede, i tentativi
occidentali di delegittimare Lukashenko non sono recenti. Ma in questo
momento l'alleanza occidentale, evidentemente, ha deciso di andare
oltre. Già ora le elezioni presidenziali vengono considerate
falsificate, sebbene nessuna scheda elettorale sia stata ancora
depositata nell'urna. Dal mio punto di vista, la campagna elettorale
procede invece in modo assolutamente democratico. I rappresentanti
dell'opposizione hanno potuto raccogliere tranquillamente le firme per
la presentazione delle candidature. Esponenti dell'opposizione sono
oggi in corsa per la presidenza. E insieme a Lukashenko il 17 febbraio
hanno partecipato alla cerimonia solenne, in cui sono state
formalizzate le candidature. Ora ci troviamo nella fase culminante
della campagna elettorale. A tutti i candidati è stato concesso uno
spazio televisivo. Così che non è assolutamente possibile parlare di
discriminazione alcuna. Ritengo che l'Occidente abbia tutte le
intenzioni di allestire uno scenario di destabilizzazione della
situazione politica interna in Bielorussia, per favorire la rimozione
del capo dello stato legalmente eletto. Ciò non è consentito da alcuna
norma democratica e di diritto internazionale. Si tratta di una
sfacciata interferenza negli affari interni di un paese sovrano.

D. In base a quello che dice, ci si dovrebbe aspettare che, in caso di
vittoria elettorale di Lukashenko, immediatamente dopo i
rappresentanti delle potenze occidentali dichiarino illegittimi i
risultati?

A. Fadeev. Non c'alcun dubbio. Tutto induce a pensarlo. Washington e
Bruxelles sicuramente dichiareranno le elezioni illegittime. Essi
affermeranno che i risultati sono sicuramente frutto di una
falsificazione, ecc. Indipendentemente dal fatto che le elezioni si
svolgano o meno in modo democratico.

D. Quali paesi si impegneranno maggiormente nel corso delle elezioni e
quali strumenti verranno utilizzati?

A. Fadeev. In primo luogo gli USA e i paesi dell'UE. A tal fine verrà
utilizzata la pressione diplomatica con l'aiuto di istituzioni
internazionali quali il Consiglio d'Europa, l'APCE, l'OSCE (di cui
fanno parte anche paesi non europei). Un ruolo attivo nell'esercizio
delle pressioni viene svolto dagli organi statali delle "grandi
potenze", in particolare il Congresso USA (che ancora l'8 marzo
scorso, con un solo voto contrario, si è pronunciato per il
rovesciamento dell' "ultima tirannia d'Europa", nota del traduttore) e
ogni tipo di comitato e commissione presso i parlamenti di questi
paesi. Nell'immediato futuro l'UE creerà un fondo che, secondo
l'attuale proposta, dovrebbe essere destinato alla "lotta contro i
regimi dittatoriali". E dal momento che si è dichiarato che in Europa
esiste un solo regime dittatoriale (in Bielorussia), non è difficile
immaginare dove verranno principalmente dirottati i mezzi. Oggi esiste
il problema di come definire tale fondo, che potrebbe senza ombra di
dubbio essere chiamato "AntiLukashenko". I soldi, si capisce, verranno
destinati alla destabilizzazione della situazione politica interna
della repubblica. Questi fondi sono necessari, poiché l'opposizione in
Bielorussia è praticamente tutta orientata su posizioni
filo-occidentali. E senza la sponsorizzazione da parte delle strutture
politiche dell'Occidente, queste forze marginali, che non godono di
alcun significativo appoggio nella società bielorussa, non possono
sopravvivere. Sono di dimensioni estremamente ridotte, e per condurre
una campagna contro Lukashenko (strumenti elettronici, attività
editoriale, ecc.) hanno bisogno di investire mezzi colossali. A tale
scopo emittenti radiofoniche sono già in funzione direttamente dai
territori della Lituania e della Polonia. Per questa ragione,
l'opposizione bielorussa continua a far appello all'uso della forza da
parte dell'Occidente ed è pronta a sostenerlo. Però, tale variante di
sviluppo degli avvenimenti non corrisponde innanzitutto alle norme del
diritto internazionale. E ciò che è essenziale, non verrà permessa
dalla Russia. Il nostro Ministero degli esteri ha già messo in conto
questa possibilità, lanciando un ammonimento a tutte le forze perché
non interferiscano in qualunque forma nella vita politica della
repubblica.

D. Quali sono i candidati maggiormente appoggiati dall'Occidente?

A. Fadeev. Naturalmente, Aleksandr Milinkevic. Egli è presentato da
un'odiosa struttura nazionalista, nota come "Fronte popolare
bielorusso". E'appoggiato anche dal Partito dei verdi, un organismo
francamente microscopico. Le due ali del "fronte" sono sempre state
filo-occidentali e non lo hanno mai nascosto. Milinkevic è appoggiato
dall'ala guidata da Valentin Vecerko, un personaggio che ha cambiato
il suo cognome in uno più "nazionale" – Vinciuk Vjacerka. Non occorre
farsi illusioni. Il fatto che Milinkevic frequenti tutte le capitali
occidentali la dice lunga sui suoi orientamenti politici. Egli è stato
anche a Mosca, ma qui nessuno dei politici più in vista ha voluto
incontrarlo, a parte chi ha perso in modo clamoroso le elezioni
parlamentari (Nemtzov, tra i leader dell'Unione delle forze di destra,
la principale formazione ultraliberista e filo-occidentale, nota del
traduttore). Per quanto concerne Aleksandr Kozulin, leader del partito
social-democratico "Gramada" ed ex rettore dell'università statale
bielorussa, egli rappresenta, come si dice in Bielorussia, un
"politico dilettante". Non ha neppure ancora formulato un proprio
programma politico, in cui siano precisati valori di fondo e principi
strategici. E' un oppositore politico oltremodo oscillante.

Traduzione dal russo di Mauro Gemma


=== 3 ===

www.resistenze.org - popoli resistenti - bielorussia - 17-03-06

Fonte: Ministero degli Esteri Repubblica Belarus

Il Ministero degli Esteri Bielorusso sull'invio di Osservatori
Internazionali per le Elezioni Presidenziali Bielorusse

Minsk 16.03.2006 - 14:39

Dichiarazione del Capo Settore Informazione del Ministero degli Esteri
Bielorusso A. Popov:

Sulla base del Codice Elettorale Bielorusso e il Documento di
Copenaghen OSCE del 1990, la Repubblica Belarus nei tempi previsti ha
invitato ad inviare Osservatore Internazionali alle Elezioni
Presidenziali una serie di strutture e organizzazioni internazionali
delle quali è parte.
L'invito di osservatori internazionali alle elezioni Presidenziali
testimonia l'apertura della Belarus.

Al Momento attuale lavorano a Minsk le missioni a lungo termine della
CSI (Comunità Stati Indipendenti) e dell'OSCE, saranno
complessivamente 434 osservatori CSI e 450 dell'OSCE.
Sulla base dell'art. 13 del Codice Elettorale gli osservatori
internazionali possono essere invitati in Belarus dal Presidente della
Repubblica, dalla Camera dei Rappresentanti, dal Consiglio della
Repubblica, dal Ministero degli Esteri e dalla Commissione Centrale
Elettorale, solo da questi organi.
Sono in circolazione informazioni circa l'intenzione di una serie di
Stati, in primo luogo quelli confinanti, di inviare in Belarus propri
rappresentanti in qualità di osservatori alle elezioni, senza il
possesso di invito conforme e il conferimento loro dello status
ufficiale di Osservatore.

Lo scopo di questi "cosiddetti" osservatori è quello di creare
situazioni di conflitto durante il periodo di svolgimento delle
elezioni del Presidente della Repubblica e la destabilizzazione del paese.
Tale fatto trova piena conferma nelle affermazioni del deputato
dell'Europarlamento Bogdan Klikh che dichiara l'intenzione di inviare
una delegazione ad hoc dell'Europarlamento.
A tal fine i deputati non hanno alcuna intenzione di presentare
richiesta per l'ottenimento dell'invito per loro viaggio in Belarus,
in quanto "NON RICONOSCONO IL PARLAMENTO BIELORUSSO".
In questo modo, tali deputati in maniera cosciente cercano il
conflitto, nonostante la parte bielorussa ha fatto presente ai
rappresentanti dell'Europarlamento la propria posizione in relazione
all'inopportunità dell'organizzazione di una tale visita

Noi aspettiamo coloro che abbiamo invitato e non coloro che non
abbiamo invitato. Non occorre creare provocazioni.
Ci auguriamo che le valutazioni e conclusioni di tutti gli osservatori
internazionali invitati nella Repubblica Belarus per le Elezioni
Presidenziali siano obbiettive e senza preconcetti

Fonte: Ministero degli Esteri Repubblica Belarus


=== 4 ===

www.resistenze.org - popoli resistenti - bielorussia - 15-03-06

da
http://www.prensalatina.com.mx/article.asp?ID={98093B72-90C0-4D43-956A-ECAD5B0E2D8B}&language=ES

L'Occidente intensifica la campagna contro la Bielorussia

Odalys Buscarion

L'agenzia "Prensa Latina" trasmette

Mosca, 12 mar (PL) La campagna elettorale per la presidenza di Belarus
entra nella sua fase conclusiva in un clima di tensione provocato
dall'opposizione radicale e dall'Occidente, in presenza di un sostegno
popolare che favorisce il presidente Alexander Lukashenko.

Ad una settimana dall'appello alle urne, più del 78 per cento degli
elettori afferma che la prossima domenica voterà per il presidente in
carica, secondo un sondaggio dell'Istituto di ricerche socio-politiche.

I tre contendenti dell'opposizione a Lukashenko hanno ottenuto
percentuali del 3, 1,7 e 1,5 per cento, rispettivamente, ha comunicato
l'agenzia bielorussa Belta.

Si prevede che partecipi alle votazioni circa il 90% dei registrati su
scala nazionale.

Non riconoscendo l'appoggio su cui può contare il presidente –
attribuibile ai risultati economici e alle riforme sociali -,
l'opposizione più radicale è passata dalle semplici proteste di piazza
a deliberati piani di destabilizzazione con il sostegno finanziario
dell'Europa e degli Stati Uniti.

Il comitato di Sicurezza ha presentato all'inizio di questo mese la
documentazione relativa a conteggi falsificati dei voti che avrebbero
attribuito un virtuale trionfo all'oppositore filo-occidentale
Milinkevich con più del 50 per cento, a fronte di meno del 45 per
cento per Lukashenko.

Intervenendo alla televisione il capo di questo organismo, Stepan
Sujorenko, ha anche affermato che esistono prove su piani di un colpo
di Stato, in corrispondenza con le elezioni, finalizzato ad occupare
con la forza il potere.

Ha menzionato tra i patrocinatori l'organizzazione non governativa
(ONG) Partenariato, finanziata dall'estero, che a quanto pare è parte
in causa nella preparazione dei falsi protocolli di voto.

Negli uffici di questa ONG sono state sequestrate circa 100 linee
telefoniche insieme a mappe e a decine di migliaia di dollari.

Il finanziamento a questa organizzazione, a giudicare dalle prove
rinvenute, sarebbe da attribuire a una filiale regionale del
cosiddetto Istituto nazionale democratico, di cui fa parte il
cittadino statunitense David Hamilton.

E' di pubblico dominio che gli Stati Uniti hanno autorizzato uno
stanziamento di circa 12 milioni di dollari per appoggiare nel 2006 le
"attività per il sostegno alla democrazia" in Belarus.

Si sta attuando una campagna colossale di interferenza nelle elezioni
bielorusse da parte di governi stranieri, ha rilevato il giornalista
Jonatan Stil, in un commento sul quotidiano britannico Guardian,
pubblicato di recente.

Criticando la campagna massiccia contro Minsk, egli ha affermato che
l'Europa e gli Stati Uniti investono somme di milioni di dollari a
sostegno del proprio candidato, così come già avvenne nel 2004 durante
le elezioni in Ucraina, a favore del candidato filo-occidentale Viktor
Juschenko.

Stil ha definito scandaloso l'atteggiamento di intromissione
dell'Occidente nella contesa elettorale del paese slavo.

In merito ai propri contatti con semplici cittadini, il giornalista
britannico rileva che affiora la soddisfazione degli intervistati per
il livello di vita, la stabilità, la moderazione nella politica del
governo e per l'assenza del potere di oligarchi.

Il deputato del Partito Comunista della Federazione Russa nella Duma
di Stato Vladimir Ulas ha attribuito, da parte sua, l'aggressività e
l'isteria della stampa nei confronti della Belarus ai successi
economici dell'attuale amministrazione e alla tendenza
all'integrazione con i popoli slavi.

Ulas ha dichiarato all'agenzia di notizie Belta che i rappresentanti
dell'opposizione operano in uno scenario disegnato fuori dalle
frontiere del paese, da forze interessate ad occupare il potere in
Bielorussia.

Secondo il deputato russo, Belarus supera praticamente tutti i paesi
della Comunità degli Stati Indipendenti (CSI) per quanto riguarda i
principali indici di sviluppo, sebbene non disponga di abbondanti
risorse naturali.

Al momento sono stati accreditati per le elezioni di domenica 19 marzo
più di mille osservatori internazionali, in maggioranza rappresentanti
dell'Organizzazione per la Sicurezza e la Cooperazione in Europa e
della CSI.

Il ministero degli esteri ha denunciato con fermezza il tentativo di
alcuni cittadini di stati limitrofi di entrare nel paese in veste di
osservatori senza la sua autorizzazione.


Traduzione dallo spagnolo a cura del
Centro di Cultura e Documentazione Popolare


=== 5 ===

www.resistenze.org - popoli resistenti - bielorussia - 14-03-06

da http://www.materick.ru , 27 febbraio 2006

Le elezioni in Bielorussia: l'opinione di uno studioso russo

Intervista a Konstantin Zatulin, direttore dell'Istituto dei Paesi
della CSI


In una recente intervista, Konstantin Zatulin, direttore dell'Istituto
dei Paesi della CSI e tra i più autorevoli studiosi russi delle
questioni dello spazio post-sovietico, formula alcune drammatiche
previsioni circa gli esiti della competizione per la presidenza della
repubblica in Bielorussia, denunciando, tra l'altro, le pesantissime
interferenze dell'Occidente nel corso della campagna elettorale.

Il professor Zatulin è anche deputato del partito di governo "Russia
Unitaria".


D. Nel mese di marzo nel territorio della CSI sono attese due
importantissime scadenze politiche: le elezioni presidenziali in
Bielorussia e quelle parlamentari in Ucraina. Cambierà qualcosa nei
rapporti della Russia con questi paesi dopo le elezioni? Ci si deve
attendere qualche sorpresa?

Konstantin Zatulin. Noi auspichiamo che al potere sia in Ucraina che
in Bielorussia arrivino politici che considerino prioritari i rapporti
con la Russia. Personalmente non trovo affatto riprovevole che la
Russia, i suoi politici, la società esprimano le proprie simpatie e
antipatie nelle campagne elettorali che si svolgono ai confini della
Federazione Russa. Noi abbiamo il dovere di esprimere un'opinione in
merito a ciò che sta accadendo ai confini del nostro paese. E sarebbe
molto strano che esprimessimo simpatia per coloro che manifestano una
posizione ostile alla Russia.
In Bielorussia, nonostante tutte le difficoltà che si trova ad
affrontare, noi abbiamo uno stabile interlocutore. Il presidente
Lukashenko concorre alle elezioni e noi non abbiamo alcun interesse a
che il potere in Bielorussia subisca cambiamenti drammatici. Siamo ben
al corrente dei piani esistenti a tal proposito. E non mi riferisco
tanto ai piani per aiutare gli oppositori di Lukashenko nella campagna
elettorale, dal momento che la concorrenza politica rappresenta un
fatto naturale. Il discorso riguarda piuttosto i piani che prevedono
il rovesciamento del presidente e la destabilizzazione della
situazione in Bielorussia, che si stanno elaborando in Occidente.

D. Anche uno dei leader dell'opposizione bielorussa, l'ex ministro
dell'agricoltura della repubblica Vasilij Leonov afferma di conoscere
piani che prevedono l'eliminazione fisica dell'attuale presidente
della Bielorussia.

Konstantin Zatulin. Esistevano, e negli anni ottanta sono venuti alla
luce piani della CIA, che prevedevano l'eliminazione di molti leader
politici. Alcuni di questi leader sono sopravvissuti, altri sono
caduti vittime di questi complotti. Io non escludo che un tale piano
sia stato predisposto anche per Lukashenko.
Al momento attuale, egli rappresenta una figura politica forte, che
gode del sostegno di una parte rilevante della società bielorussa. E'
possibile che, in conseguenza dell'eccessiva solerzia di alcuni
componenti delle commissioni elettorali, possa vedersi aggiudicato
qualche voto in più. E' comunque certo che se anche ciò non avvenisse,
a mio avviso non si riuscirebbe a trovare un solo politico su scala
bielorussa, in grado di amministrare il paese in modo così
soddisfacente. E' un dato di fatto oggettivo. Del resto, mi sembra che
gli stessi leader dell'opposizione in fondo riconoscano di non avere
alcuna possibilità di vittoria.

D. E allora ci si pone la domanda: gli oppositori accetteranno il
verdetto elettorale?

Konstantin Zatulin. A differenza dell'Ucraina di Kuchma, con il suo
regime debole, corrotto, privo di autorità, in Bielorussia il regime è
abbastanza saldo. E, naturalmente, per questa ragione potrebbero
verificarsi provocazioni dirette a creare un clima da scontro civile.
Per far scorrere il sangue a Minsk e in seguito, con il sostegno dei
mezzi di comunicazione di massa, per portare la situazione al punto di
ebollizione. Vale a dire che, se le elezioni non vanno per il verso
giusto, si potrà sempre tentare di destabilizzare la situazione dopo
la consultazione (...)


Traduzione dal russo di Mauro Gemma


=== 6 ===

Da: "mauro gemma"
Oggetto: un articolo dello studioso marxista Roy Medvedev sulla
Bielorussia


http://www.rebelion.org/noticia.php?id=28344

16-03-2006

¿Por qué a Condoleezza Rice no le gustan ni Bielorrusia ni su presidente?

El fenómeno bielorruso

Roy Medvedev - Sovietskaya Rossia


Traducido del ruso para Rebelión por Josafat S.Comín y Andrés Urruti

Situación de Bielorrusia en Europa


La crítica occidental a Bielorrusia

Como es sabido, los políticos occidentales y la prensa occidental no
escatiman en medios para desacreditar y criticar la situación actual
de Bielorrusia. Durante su encuentro en Vilnius (Lituania) con un
grupo de activistas de la oposición bielorrusa, Condoleezza Rice
prácticamente instó abiertamente a derrocar a Alexander Lukashenko,
"último dictador en Europa". Ya en su toma de posesión como Secretaria
de Estado de los EE.UU., declaró que consideraba a Bielorrusia como
"baluarte de la tiranía en Europa". El periodista estadounidense,
Peter Savodnik describía Bielorrusia como un "régimen surrealista de
corte estalinista, que se sustenta únicamente en el miedo, el hambre y
el culto a la personalidad. Lukashenko ya ha destruido todo el sector
privado de la economía. El pueblo vegeta en medio de la pobreza y la
falta de dinero, pues hasta el cobro de los míseros sueldos y
pensiones, depende de la voluntad del presidente." La única
oportunidad de lograr la democracia en Bielorrusia -según Savodnik-
pasa por el derrocamiento de Lukashenko. "Para lograrlo hay que
recurrir a todo: ayudar económicamente a la oposición, dificultar las
inversiones en el país, hacer todo lo necesario, sin tener que
recurrir a suministrar armas a la resistencia. Europa Occidental
considera que no puede empujar a los bielorrusos a la fuerza hacia la
democracia. Pero si realmente quiere ayudar a la revolución bielorrusa
a lograr lo que ya hicieron en Serbia, Georgia y Ucrania, la Unión
Europea debe empezar por quitarse los guantes de piel de cabritilla"
(Wall Street Journal. 11/02/2005. "Slate". EE.UU. 16/02/2005).

Los políticos europeos y especialmente los economistas y los hombres
de negocios europeos son más prudentes en sus valoraciones sobre la
República Belarus, un estado pacífico y tranquilo en el corazón de
Europa, que arroja buenos dividendos en el intercambio comercial con
Europa Occidental. Solo en el pasado 2005, Holanda incrementó la
compra de artículos de fabricación bielorrusa en 3'3 veces y Francia
en 3'8. Incluso los Estados Unidos incrementaron las importaciones de
Bielorrusia en un 50% ("Moskovskie Novosti" 25/11 - 1/12/2005).

El Fondo Monetario Internacional, en la comparativa de sus tablas de
indicadores de desarrollo, constató con cierta sorpresa, que ya en el
2003 el volumen del PIB per cápita de Bielorrusia, prácticamente
duplicaba al ucraniano y superaba en un 15-20% al de Kazajstán o
Rusia. El FMI sabía perfectamente que las inversiones extranjeras y
los créditos de los centros financieros internacionales no están al
alcance de Bielorrusia. ¿Cómo son posibles entonces esos ritmos de
crecimiento que parecen contradecir todas las leyes de la economía?

En el verano de 2005 el FMI publicó un informe especial:"El
crecimiento económico bielorruso, ¿milagro o no?". La investigación
mostraba como la economía bielorrusa viene desarrollándose con
bastante éxito durante los últimos 10 años y según numerosos
indicadores supera los niveles no solo de los países de la CEI, sino
también de Polonia, Lituania, Hungría, Bulgaria, Rumania y otros
países de Europa Oriental. Sin embargo los expertos del FMI no
pudieron terminar de explicar los motivos de este rápido crecimiento.
No podían mencionar factores como la firme, estable y competente
dirección del "último dictador en Europa" o como la recuperación en
Bielorrusia de los principios soviéticos de economía planificada.

Durante muchos años, tanto los medios occidentales como los rusos, han
intentado imponer la imagen de Bielorrusia como la de un país
atrasado, indigente, mísero, con un pueblo olvidado y pasivo.

Pero veamos las impresiones sobre Minsk del periodista ruso Andrei
Bogdanovich, quien en el pasado había escrito de forma poco halagadora
sobre la situación en Bielorrusia. A los viajeros de Moscú les recibe
el nuevo edificio de la estación, de cristal y metal, con
resplandecientes escaleras mecánicas y ascensores. La ciudad sorprende
por su limpieza. Las amplias calles están perfectamente limpias, no
hay vallas publicitarias ni letreros de neón que las afeen. Minsk
produce la impresión de una ciudad soviética modélica, con amplias
avenidas, donde apenas hay atascos, con predominio del transporte
público, con un asfalto excelente, con las líneas como recién pintadas
y con los edificios de viviendas muy cuidados, como si los acabasen de
remozar. Conforme nos acercamos a las afueras vemos más bloques de
viviendas de varios pisos, de nueva planta. En ocasiones encontramos
barrios enteros, donde hace cinco años solo había campos y predios
vacíos. En la ciudad el metro sigue ampliando sus líneas a gran
velocidad, y se construyen nuevos equipamientos sociales. Después del
Palacio de Hielo, se ha construido un nuevo centro deportivo, y ahora
están terminando la construcción de la nueva Biblioteca Nacional. En
general, las sensaciones que deja Minsk son muy agradables. Lo mismo
podemos decir del conjunto del país. Poca gente lo sabe fuera de las
fronteras del país pero Bielorrusia tiene una de las economías que más
está creciendo en Europa. En 2004 el PIB creció en un 11%. En 2005 se
espera que sea del 8'5% y para 2006, los pronósticos hablan del 8%.

Bogdanovich finaliza diciendo: "si, la economía bielorrusa crece a
todo ritmo, a pesar de la activa intromisión del estado. No hay ningún
milagro. El crecimiento del papel del capital privado en la vida
económica del país es inevitable". ("Expert", 12-18/12/2005).

Esta conclusión no acaba de tener lógica, pues la economía bielorrusa
crece 10 años consecutivamente, y la razonable intromisión del estado
representa uno de los importantes factores del éxito. No en vano
Vladimir Putin felicitó en enero de este año al presidente Alexander
Lukashenko por los éxitos económicos bielorrusos.

Bielorrusia avanza

Como integrante de la Unión Soviética, Bielorrusia se consideraba una
de las repúblicas más desarrolladas en lo económico, ocupando el
segundo lugar tras la Federación Rusa en cuanto a nivel de PIB per
cápita y a los indicadores de nivel de vida. El tercer lugar lo
ocupaba Ucrania, que seguía de cerca a Rusia y Bielorrusia. Kazajstán
se incluía en las repúblicas que recibían subsidios y solía ocupar el
sexto o séptimo puesto en las tablas, que reflejaban el nivel de
desarrollo de la economía. ("Cuestiones de economía" nº4-6, 1992).
Está correlación había variado ya para el 2000 y continuó haciéndolo
en años siguientes. En cinco años (2001-2005) el producto interior
bruto de Bielorrusia aumentó en un 42%. En los últimos 10 años el PIB
de Bielorrusia se ha duplicado. ("República". Minsk. 24/12/2005)
Por sus niveles de PIB per cápita, Bielorrusia ocupa el primer lugar
en la CEI, algo que han tenido que reconocer los expertos del FMI.

Según datos de los centros de análisis del FMI y teniendo en cuenta la
paridad de la capacidad de compra de las divisas nacionales en 2001,
el PIB per cápita creció en 2000-2003:

En Ucrania... de 4'75 a 5'85 mil dólares;
En Rusia..... de 6'75 a 7'75 mil dólares;
En Kazajstán.. de 6 a 7'8 mil dólares;
En Bielorrusia.. De 7'25 a 8'7 mil dólares.
("Economía mundial y relaciones internacionales". Nº2, 2004)

En los dos años siguientes Rusia incrementó su PIB en un 13'8%,
Ucrania en un 14'3%, Kazajstán en un 19'2%, Bielorrusia en un 20'2%
("Principales indicadores macroeconómicos de los países de la
Comunidad de Estados Independientes", M.,2005)
Bielorrusia lidera la CEI en lo referente al peso de la producción
tecnológica en el conjunto de la economía, en primer lugar de la
automoción y fabricación de maquinaria. Bielorrusia también lidera las
estadísticas per cápita en cuanto a fabricación de televisores,
frigoríficos, tela y calzado. Supera en 3 veces a Rusia y Ucrania en
producción de carne y en 7 veces a Kazajstán. En productos lácteos,
mantequilla y leche, Bielorrusia supera en 2-3 veces a Ucrania y
Rusia, y ocupa el primer lugar en producción per cápita de azúcar,
patatas, frutas y huevos. Solo se ve superada por Kazajstán en
producción de grano, y por Ucrania, Rusia y Kazajstán en producción de
aceite vegetal. Bielorrusia construye 2'5-3 veces más metros cuadrados
de vivienda cada 10 mil habitantes , que Ucrania o Kazajstán y 15-20%
más que Rusia. ("Comunidad de Estados Independientes". M,.2004).

Podríamos continuar con estas comparativas con multitud de otros
indicadores de producción industrial y agraria.
Bielorrusia encabeza la CEI por tiempos de crecimiento del comercio
exterior. La balanza comercial en 2005 se acercaba a los 30 mil
millones de dólares, con un balance positivo de 700 millones. Para un
país de 10 millones de habitantes, energéticamente dependiente, es un
resultado muy bueno.

Bielorrusia lucha por abrirse un hueco en los mercados. Mantiene
relaciones comerciales con casi 70 países y constantemente mejora el
nivel y la calidad de sus productos. La estructura de su comercio
exterior se corresponde con la de un país europeo industrialmente
desarrollado: su producción es la de la industria transformadora, no
la productora de materias primas. Bielorrusia es uno de los líderes
mundiales en producción de tractores y camiones volquete. Del total de
exportaciones de Bielorrusia, el 36% tenían a Rusia como receptor, el
85 a los países restantes de la CEI y el 44% a países de la Unión
Europea (" Sovietskaya Bielorrusia ", 1/11/2005). También han crecido
mucho las exportaciones a China. Menos de un tercio de las
exportaciones representan los abonos minerales y los derivados del
petróleo. En ambos casos, son productos elaborados, y no materias
primas en bruto.

La oposición a Lukashenko habla y escribe mucho del bajo nivel de vida
en Bielorrusia. Para la comparativa no se escoge Ucrania o Rusia, ni
siquiera las vecinas Polonia, Lituania o Letonia, sino Alemania. Esas
comparaciones no se sustentan. Debemos comparar Bielorrusia del 2005
con la de 1990, o con las actuales Ucrania o Rusia. Así por ejemplo,
la pensión media en Bielorrusia asciende a 104 dólares, la más alta en
la CEI si calculamos en dólares y más aún si tenemos en cuenta la
capacidad adquisitiva por los precios más que asequibles para la gente
mayor de los productos de primera necesidad.

En Bielorrusia a día de hoy tenemos la mejor estructura alimentaria de
la CEI y la "cesta de la compra" más barata, tanto para la infancia
como para la tercera edad. Tiene además el mejor acceso a la vivienda
de la CEI. Sin embargo la esperanza de vida de los bielorrusos ha
descendido de los 71 años en 1990 a los 69 en 2005. En Rusia
encontramos la esperanza más baja de vida al nacer, con 65 años. El
salario medio en Bielorrusia es de 250 dólares mensuales, lo que
representa 80 dólares más que Ucrania y 30 menos que Rusia. El
presupuesto ruso no sufre hoy la falta de ingresos. En Bielorrusia ,
por el contrario, no se dan las diferencias en salario medio e
ingresos, que tenemos en Rusia, tanto entre regiones, como entre
esferas de la producción. El salario medio en la esfera estatal es de
225 dólares al mes ("República". Minsk.24/12/2005)
Por supuesto estas cifras son muy modestas en comparación con Alemania
o Francia. Sin embargo aquí es muy importante la dinámica de
crecimiento. Al duplicar en 10 años (1996-2005) su PIB, Bielorrusia se
fija como meta el triplicarlo para 2010. No hay una dinámica parecida
ni en Europa ni en la CEI.

Lógicamente la oposición bielorrusa conoce todas estas cifras, aunque
las explica a su manera. Uno de los líderes de la oposición, Alexander
Lebedko escribía recientemente en el principal diario opositor de la
república. "¿Dónde está el sentido de la vida? En la verdad. Y la
verdad es esta. En sus 11 años de gobierno, Lukashenko ha creado un
sistema basado en el engaño y el miedo. No es efectivo. Solo funciona
con el látigo de un arriero. No depende de la gente que vive en las
regiones. Esto es algo que el dirigente bielorruso y sus seguidores se
han visto obligados a reconocer públicamente" ("Narodnaya volia"
nº226, 24/10/2005).

Es difícil comentar declaraciones de este tipo. Lukashenko ciertamente
ha creado un efectivo sistema de dirección económica, que él mismo
denomina en ocasiones como "socialismo de mercado". Veamos cuales son
las principales particularidades de este sistema.

El modelo bielorruso

En los años 1992-1993 en Bielorrusia no se produjo ninguna "terapia de
choque". El poder político era débil y estaba dividido, pero la
dirección de la economía no la manejaba un equipo de consejeros
extranjeros, sino el último gobierno soviético, encabezado por el
primer ministro Viacheslav Kebich. Este gobierno intentó llevar a cabo
algunas reformas cautelosas. A finales de 1993 se privatizaron en el
país algunos cientos de pequeñas y medianas empresas. Sin embargo
hasta el verano de 1994 apenas un 3% de los activos soviéticos estaban
en manos privadas.

La ley permitió la libertad total de comercio a precios de mercado,
aunque leyes como esta no provocaron el entusiasmo entre la población,
ya que a finales de 1992 los precios de los principales artículos de
consumo habían subido 11 veces. Mientras, la producción se había
reducido en 1992 en un 26 % y en el 93 en un 11% más. (P.G. Chigrinov.
"Historia de Belarus", Minsk. 2004) Esto demostraba la drástica caída
del poder adquisitivo y del nivel de vida de la población. Cientos de
miles de personas de la hasta entonces próspera Bielorrusia pasaron a
engrosar las listas de parados.

El descontrol y la crisis reinaban en el campo. A principios de 1994
aparecieron 2500 granjas privadas. Pero su peso específico en el total
de la producción del sector agrario apenas representaba un 1%. La
oposición liberal exigía la liquidación de todos los koljoses y
sovjoses, aunque en el campo bielorruso pocos eran los que apoyaban
esas exigencias. Tampoco había en Bielorrusia propuestas serias de
privatización de las grandes empresas industriales. Como es sabido, en
una Bielorrusia relativamente pobre en recursos naturales, en los años
soviéticos se desarrollaron con gran éxito muchos sectores de la
industria transformadora, en primer lugar la construcción de
maquinaria. Muchos economistas denominaban a Bielorrusia como "el
taller de ensamblaje de la URSS". Decenas de sus empresas de
maquinaria, así como de producción de televisores, neveras,
electrodomésticos, equipamiento médico, completaban el ciclo
tecnológico que se iniciaba en Rusia o Ucrania. La economía bielorrusa
en un 80% estaba formada por empresas de último ciclo, dependientes en
materiales y salida a mercados del mercado general de la Unión ("La
economía mundial y las relaciones internacionales"). Esto presuponía
la existencia de un gran porcentaje de trabajo altamente cualificado y
bien retribuido y una parte importante del valor del producto creado.
La mayoría de estas empresas se encontraba en dependencia de la Unión,
y no se podían privatizar sin alterar el desarrollo normal de la
producción. Evidentemente, la desaparición de la URSS destruyó el
funcionamiento normal de la industria bielorrusa.

Muchas fábricas no solo tuvieron que recortar la producción. Tuvieron
que detenerla. Los almacenes estaban llenos, pero no había pedidos
nuevos, ni suministro de piezas, de materia prima ni de energía. En
Bielorrusia no era tan fuerte el deseo de independizarse de Rusia como
lo podía ser en las repúblicas bálticas, dispuestas a cualquier
sacrificio por la independencia. Además los nacionalistas radicales
bielorrusos tenían poca influencia, no tenían programa económico. Sus
preocupaciones principales giraban en torno a los problemas de la
lengua. Despreciaban a la mayor parte de su pueblo, que según ellos
había olvidado su idioma y los símbolos de sus antepasados.

En esta coyuntura, la victoria de Lukashenko en las primeras
elecciones presidenciales fue algo lógico. Enseguida se reactivó la
nueva política económica, asentada en el pragmatismo, el realismo, el
sentido común y la recuperación de los lazos económicos y la
cooperación con Rusia. En Bielorrusia se reinstauró la economía
planificada de tipo soviético, con tareas prefijadas a un año y a
cinco años vista.

El primer plan quinquenal desarrollado bajo la dirección de
Lukashenko, "Principales directrices del desarrollo socio-económico de
la República Belarus para los años 1996-2000", fue aprobado en Minsk
por la Asamblea Popular Bielorrusa y se convirtió en ley.

A finales del año 2005 más del 80% de los activos, en la ciudad y en
el campo de Bielorrusia, correspondían a la propiedad estatal y
cooperativa. No existen oligarcas, y no hay grandes corporaciones
privadas. Pero las empresas bielorrusas, los koljoses y sovjoses,
funcionan, por lo general, mejor que en la época soviética, puesto que
ahora tienen que competir en los mercados ruso y mundial. En la
economía bielorrusa se mantienen, fundamentalmente, las formas de
organización económica (de dirección administrativa) soviéticas, y el
estado apoya incluso a muchas empresas deficitarias. Pero en
Bielorrusia no hay un partido único dirigente, sino un grupo de
partidos que apoya al presidente, y otro grupo de partidos que forman
la oposición. Bielorrusia no persigue el estatus de país con economía
de mercado, sino que construye una sociedad de justicia social,
empleando relaciones de mercado, que se corrigen según las
necesidades. Así, por ejemplo, en Bielorrusia se apoya, mediante
subsidios, el mantenimiento de precios bajos para los productos de
primera necesidad, los servicios de viviendas sociales y los
transportes públicos. Aleksandr Lukashenko ha dado en muchas ocasiones
una clara definición de lo que es el modelo bielorruso: "La esencia
del modelo socioeconómico de desarrollo de nuestro estado", dijo
Lukashenko, en una conferencia de prensa, el 23 de noviembre del 2005,
"consiste en crear un estado para el pueblo. Construimos un estado
orientado a lo social. No hemos ido por el camino de la destrucción, e
incluso renunciamos a la palabra "reforma", que atemorizaba a nuestras
gentes, en Rusia como en Bielorrusia. Nosotros no hablamos de reforma,
sino de perfeccionamiento. No tomamos el camino de destrucción de lo
anterior. Partimos de lo que teníamos, le dimos a todo la vuelta, y
pusimos en pie lo que merecía la pena, y comenzamos a perfeccionar
todo esto. Y básicamente, nos apoyamos en ese fundamento, que fue
creado en la Unión Soviética, aquí, en esta tierra, y levantamos un
edificio económico normal, que hoy nos aporta el resultado definido.
Construimos un modelo que tiene en cuenta, ante todo, al ser humano. Y
únicamente en esto se encuentra la base de la fuerza del presidente y
de nuestro estado, que nunca sacaremos del campo de visión de los
intereses del ciudadano" ("República", 25/11/2005).

La oposición a A. Lukashenko critica resueltamente ese rumbo de
construcción del socialismo de mercado sobre fundamentos soviéticos
("Narodnaya volia", 5/01/2005). Sin embargo, ninguno de los líderes de
la oposición ha sido capaz, hasta el momento, de proponer ninguna otra
estrategia económica o concepción sociopolítica distinta.

Bielorrusia y Rusia

La república de Bielorrusia es el socio y amigo más importante de la
Federación Rusa en la CEI y en Europa. En las fronteras entre Rusia y
Bielorrusia no hay puestos ni postes fronterizos. Los ciudadanos de
Rusia pueden llegar y trabajar en Rusia sin visado ni permiso, y los
ciudadanos de Bielorrusia pueden hacer otro tanto en Rusia. En
nuestros países hay un único espacio de defensa con respecto al oeste,
que mantiene y desarrolla la infraestructura militar soviética.
Nuestros países tienen un sistema común de organización y distribución
del área de defensa y de producción de tecnología militar. La lengua
rusa es, junto al bielorruso, idioma oficial en Bielorrusia.
Bielorrusia nunca ha sido colonia de Rusia, y el pueblo de Bielorrusia
carece de complejos antirrusos, que han intentado inspirarle los
nacionalistas radicales, declarando "decadente" a su propio pueblo.
Más cercano a la realidad estuvo A. Lukashenko, cuando dijo, medio en
broma, que "los bielorrusos son rusos, pero con label de calidad".
Entre Rusia y Bielorrusia nunca ha habido, a lo largo de la historia,
enemistad o conflictos, y, precisamente eso, ha determinado la opción
final de la élite bielorrusa en su orientación hacia Rusia después de
la disolución de la URSS. Como escribió hace poco A. Lukashenko, "el
pueblo bielorruso analizó serenamente la situación e hizo su elección,
en el sentido de demostrar su incorruptible lealtad a la hermandad
eslava. El adoptar una orientación hacia Rusia, abierta y
conscientemente, fue un paso muy responsable. Esa era mi posición de
principio, porque yo creía firmemente en la fuerza creadora de la
unidad de nuestros pueblos" ("Nash sovremennik", Nº 12, 20005).
En Rusia y Bielorrusia hay un modesto, pero común, Estado federado,
con parlamento conjunto, consejo de ministros, Consejo superior de
estado y presupuesto, que en el 2006 contaba con 3000 millones de
rublos (N del T.:cerca de 100 millones de euros). Más de un millar de
funcionarios, dirigidos por Pavel Borodin, trabajan en Minsk en el
Secretariado ejecutivo de este Estado federado, que pronto deberá
establecer su Acta constitutiva. Prosiguen los preparativos para la
introducción de una divisa común para los dos países, sobre la base
del rublo ruso. Naturalmente, también hay problemas. Es fácil
cerciorarse de que casi todas las principales iniciativas de
integración en los últimos 10 años han partido no de Rusia, sino de
Bielorrusia. Muchas de las iniciativas económicas y políticas de
Bielorrusia son silenciadas y tergiversadas, no solo en una parte
significativa de la prensa rusa, sino en las informaciones que llegan
al presidente de Rusia. Resultó extraño escuchar las palabras de V. V.
Putin acerca de que toda la economía de Bielorrusia supone un 3% de la
de Rusia, así como algunas conclusiones de esas equivocadas comparaciones.

La población de Bielorrusia correspondería a un 7% de la población de
Rusia, pero la economía de Bielorrusia corresponde a un 8% de la
economía de Rusia. En el conjunto de la economía de la CEI, en el
2003, Rusia aportaba el 61'5% del total del Producto Interior Bruto
(PIB) de la Comunidad, y Bielorrusia, un 4'8%. En el mundo existen ya
muchos esquemas de integración, pero Rusia y Bielorrusia deben
encontrar su propia variante de Unión, que tenga en cuenta nuestra
historia y nuestras realidades. Bielorrusia debe llevar a cabo la
integración, conservando su soberanía nacional y estatal, y esta es
una postura comprensible y razonable. Nuestras economías son
totalmente compatibles, pero la economía de Rusia, a día de hoy,
incluye demasiados elementos irracionales, que justifican la cautela
de Bielorrusia.

Los problemas de la democracia en Bielorrusia

Los problemas de la democracia en Bielorrusia pueden examinarse desde
distintos ángulos, y por tanto, describir cuadros muy diferentes, en
su mayor parte, muy subjetivos. Pero lo mismo podría decirse de
cualquier país occidental, con "ejemplares", en opinión de muchos,
regímenes democráticos. Mejor sería hablar de las instituciones reales
de poder y de los hechos. Es absolutamente evidente que el presidente
de Bielorrusia posee, de acuerdo con la Constitución del país, enormes
poderes, mucho mayores que los presidentes de Francia, EE.UU. o Rusia.
El presidente bielorruso coordina y dirige la actividad de todas los
poderes del estado, ejecutivo, legislativo y judicial. Los decretos
del presidente de Bielorrusia se consideran leyes provisionales. El
parlamento bicameral bielorruso es, en gran medida, un órgano
representativo y técnico, más que político. No es una tribuna para
declaraciones políticas y lucha de partidos, de los cuales hay muchos
en Bielorrusia, pero que no son grandes, en cuanto a influencia, y no
son capaces de constituirse en alternativa de poder.
Claro está que, en comparación con el orden soviético en Bielorrusia,
no sólo en tiempos de Brezhnev, sino también en los de Gorbachov, la
Bielorrusia actual es un régimen democrático mucho más avanzado. Aquí
se limita, pero no se prohíbe a la prensa opositora, ni se silencian
las emisoras de radio occidentales. Se puede profesar cualquier
religión o adherirse a cualquier filosofía.

Aleksandr Lukashenko llegó al poder en 1994, como resultado de unas
elecciones plenamente democráticas. Sin apoyarse en ningún partido, y
sin tener ningún apoyo financiero sólido, ganó las elecciones, en
primer lugar, gracias a su excepcional talento oratorio, inteligencia
natural, fuerte voluntad y honradez, cualidades de las que todos
pudieron entonces convencerse. En aquellas condiciones de desgobierno
y desbarajuste, sin contar con un fuerte equipo profesional, venció a
competidores mucho más potentes que él en varios parámetros, logrando
el 81% de los votos en la segunda vuelta. Su programa principal se
condensaba en una sola frase: "No estoy ni con los de derechas, ni con
los de izquierdas; estoy con el pueblo". Este lema se mantiene como lo
principal en su programa electoral del año 2006.

Sería extraño y absurdo culpar de la debilidad de la sociedad civil en
Bielorrusia a Aleksandr Lukashenko, y no a la oposición bielorrusa. Al
igual que en el año 1991, hoy en día, demasiados líderes ambiciosos y
grupos políticos de la oposición se dan empujones, estorbándose unos a
otros en un escenario político muy pequeño. En Rusia, Vladimir
Zhirinovsky y Aman Tuleyev se presentaron a las elecciones
presidenciales contra Yeltsin, ya en 1991, y Guennadi Ziuganov, desde
1996. En Bielorrusia no hay figuras semejantes. Aquí, a la oposición
de "primera línea", la sustituyó, a mediados de los años 90, la
oposición de "segunda línea", y, hacia el año 2001, la de "tercera
línea". Semejante rápida sucesión de personas y grupos confundió
incluso a los patrocinadores y asesores occidentales, que exigieron,
aunque solo fuera para el momento de las elecciones de 2006, la unión
de todos los movimientos opositores, "desde los anarquistas a los
monárquicos", y la presentación, frente a Lukashenko, de algún
candidato único. A esta propuesta también se sumaron los
liberal-demócratas, los nacionalistas y los comunistas del Partido de
los Comunistas de Bielorrusia. Los más "ortodoxos" comunistas del
Partido Comunista de Bielorrusia, en cambio, apoyaban al presidente.

El Congreso unificado de fuerzas democráticas se constituyó en Minsk,
el 2 de octubre de 2005, en el Palacio de la Cultura de la fábrica de
automóviles de Minsk. Se reunieron más de 800 delegados de 8 ó 9
partidos. Entre los 70 invitados extranjeros se encontraban los
expresidentes de Polonia, Lech Walesa, y de la República Checa, Vaclav
Havel. De los demócratas rusos, llegaron a Minsk, I. Hakamada, B.
Nemtsov y N. Bielyj. Se realizaron 2 vueltas de votaciones. En la
segunda vuelta venció Aleksandr Milinkievich, profesor de 58 años,
físico de profesión, de la ciudad de Grodno. El hasta entonces poco
conocido político de provincias, había sido, en el pasado, activista
del Frente Popular de Bielorrusia, pero no de los más radicales. (N.
del T.: los "Frentes Populares" fueron movimientos políticos,
generalmente con tendencias de reivindicación nacionalista, que
surgieron en cada república de la URSS en la época de Gorbachov, las
primeras organizaciones políticas legales al margen, pronto en contra,
del PCUS). En febrero del 2006 realizó una activa campaña
preelectoral, dentro y fuera de los límites de Bielorrusia. Los
resultados de esta campaña política los conoceremos el próximo 19 de
marzo. Las elecciones presidenciales en Bielorrusia se celebrarán una
semana antes que las elecciones a la Rada Suprema (parlamento
nacional) de Ucrania. Serán dos acontecimientos muy importantes, no
sólo para estos dos países, sino para toda Europa.

Particularidades del panorama electoral bielorruso

A los líderes de la oposición bielorrusa les va a resultar difícil
llevar la lucha con Lukashenko en cualquier dirección y en cualquier
"campo de batalla" electoral, y ya están diciendo que su meta
principal es, como en los Juegos Olímpicos, no ganar, sino participar.
Ninguno de los líderes opositores prepara tiendas de campaña o
infiernillos para un "maidan" bielorruso (N del T.: Maidan, nombre de
la plaza donde se concentraron y acamparon los partidarios del actual
presidente de Ucrania, Yushenko, durante la famosa "Revolución
Naranja" de Kiev, en 2004). Hasta los periódicos opositores y los
grupos de investigación sociológica, desplegados desde la vecina
Lituania, advierten: "Lukashenko recibirá en las elecciones del 55 al
60% de los votos, pero nos declararán una cifra del 75-80%".
Exactamente lo que dijo en una entrevista para la televisión rusa el
mismo Aleksandr Milinkievich.

¿Sobre que tesis construir la campaña? A cuenta de esto, hasta los
observadores occidentales encuentran dificultades con sus consejos. En
Ucrania, en el otoño del 2004, el principal tema para Yushenko y
Timoshenko (N del T.: los cabecillas de la "revolución naranja")era la
corrupción. Pero el régimen bielorruso no está corrompido, y la
población del país lo sabe. Aquí no hay ni un poder débil, ni ricos
oligarcas. Es difícil acusar a Lukashenko de sumisión a Moscú o de
renuncia a la soberanía bielorrusa. Más bien, es a los políticos rusos
a los que algunos de sus colegas bielorrusos intentan atemorizar con
la supuesta excesiva influencia que Lukashenko y el KGB bielorruso
estarían adquiriendo en Moscú y en Rusia.

También es muy difícil criticar la política socioeconómica de
Lukashenko, pues sus éxitos son evidentes. Las proclamas de que el
actual régimen bielorruso no construye nada y "vive de las rentas
soviéticas" y de la riqueza acumulada en la época de la URSS, son
demasiado poco convincentes. Bielorrusia ha construido mucho por sí
misma en los últimos 5 años, ha renovado sus instalaciones y su
tecnología. El conocido científico y figura pública bielorrusa,
Guennadi Grushevoy, uno de los organizadores de la acción por los
"Niños de Chernobyl", simpatiza totalmente con la oposición, pero les
previene de que no se hagan ilusiones: "El electorado" -dice- "vota,
no por el sistema político que creó A. Lukashenko, no por el modelo
económico, vota por su política social. Si nosotros le decimos que
ahora hay que destrozar todo este sistema social (demostrado que esto
es un soborno primitivo al pueblo), no encontraremos apoyos. No
recibiremos nada, excepto desprecio, del electorado" (A. Feduta.
"Lukashenko. Biografía política", M. 2005).

Pero, ¿cómo demostrar que la política social del régimen de Lukashenko
es un soborno al pueblo, y no un sincero deseo de ayudar a la gente y
preocuparse de la mejora de sus vidas? De hecho, la política social de
Lukashenko surge de modo natural de su ideología, que es hoy la
ideología del estado bielorruso. La ideología estatal bielorrusa no se
basa en los dogmas del marxismo-leninismo, pero tampoco rechaza las
ideas y principios del socialismo, como una sociedad de justicia
social. En todas las estructuras de poder de Bielorrusia hay secciones
de trabajo ideológico, y en la administración del presidente hay una
dirección de ideología. A. Lukashenko expuso su esencia de la forma
más concisa en su mensaje a los ciudadanos con ocasión de la fiesta de
Octubre. "La historia lo atestigua de modo convincente: la Gran
Revolución Socialista de Octubre, cuyo principal objetivo era la
construcción de una sociedad de justicia social, libre de desigualdad
y opresión, estaba dotada de una enorme fuerza creadora. La energía de
Octubre inspiró la victoria en la Gran Guerra Patria, la conquista del
cosmos, los logros laborales del pueblo soviético, hechos reconocidos
en todo el mundo. La revolución de Octubre cambió el destino de
Bielorrusia, dio un potente impulso al renacimiento social y
espiritual de nuestro pueblo. Los bielorrusos consiguieron su propio
estado, crearon una industria de alta tecnología, una agricultura
moderna, una cultura y ciencia de vanguardia. La república de
Bielorrusia es un estado soberano, que goza de estima y prestigio en
la comunidad internacional. Los rasgos distintivos de la Bielorrusia
moderna son la estabilidad política y económica, el acuerdo ciudadano
y la preocupación por la gente. Nuestro país marcha decididamente por
el camino de desarrollo elegido por el pueblo, en la base del cual se
encuentran los ideales legados por Octubre de paz, libertad, igualdad
y justicia" ("Sovietskaya Bielorrusia", 6/11/2005).

Las elecciones en Bielorrusia se observarán con la mayor atención, no
en Occidente, ni en Rusia, sino en la vecina Ucrania. Comparando los
precios de los productos alimenticios en las ciudades de Ucrania y
Bielorrusia, donde son dos veces más baratos, y además, los sueldos y
pensiones son más altos, uno de los publicistas ucranianos exclamó:
"¡Ojalá tuviéramos nosotros esos precios! No, ¡sería necesario pedir a
Aleksandr Lukashenko, después del fin de su mandato presidencial,
trabajar un par de años entre nosotros para beneficio de los
pensionistas! De paso nos libramos de nuestro propio gabinete de
ministros. ¿Con qué nos puede consolar el poder? ¿Acaso sólo con
palabras vacías sobre que en Ucrania hay democracia y en Bielorrusia
no? ¿Y cómo palpar o sopesar esta nuestra democracia o la "opción
europea"? ¿Qué es más importante para una persona sencilla: una
familia bien alimentada o la satisfacción de los "guardianes de la
democracia" de Washington y la UE? ¿Y, en general, quién es patriota
de su país? ¿El que pone orden, da trabajo y pan a sus ciudadanos, o
el que habla de "honor y nación", sin darse cuenta de cómo saquean el
país los oligarcas y sus "compañeros de lucha"? Mira por donde, los
bielorrusos no tuvieron nuestra "suerte". No tienen oligarcas. Ni
siquiera millonarios. A cambio tienen qué y con qué comprar" ("2000",
Kiev, 16/12/2005). Este artículo, escrito desde la ciudad ucraniana de
Zhitomir se publicó en uno de los mejores semanarios ucranianos
"2000", en la sección "Libertad de expresión".

Desde luego, la democracia es algo muy valioso, y hay que luchar por
ella, pero no como lo entienden muchos políticos en Kiev o en Tbilisi
(capital de Georgia). En la segunda mitad de marzo de 2006 sabremos
que piensan acerca de esto los pueblos ucraniano y bielorruso.

From: icdsm-italia @ libero.it
Subject: [icdsm-italia] Una morte tutt'altro che naturale
Date: March 22, 2006 3:57:36 PM GMT+01:00
To: icdsm-italia @ yahoogroups.com


Una morte tutt'altro che naturale


DOCUMENTI E COMMENTI:

- Slobodan Milosevic: L'ULTIMA LETTERA (8 marzo)
- James Petras: "Ci sono molti indizi che ci sia stato qualcosa di
pianificato" (13 marzo)
- Marino Andolina: "Un uomo sofferente di ipertensione e di stress
estremo può essere ucciso in vari modi" (19 marzo)
- Juergen Elsaesser: "La strada del tribunale è cosparsa di cadaveri"
(13 marzo)
- Giancarlo Lannutti: "Le sue veementi controaccuse finiranno
anch'esse archiviate; le testimonianze a dir poco imbarazzanti da lui
richieste (...) resteranno inascoltate" (12 marzo)
- Alberto Tarozzi: "Come in uno specchio deformante" (22 marzo)
- Aldo Bernardini: Lettera al presidente del "Tribunale" Fausto Pocar
(6 marzo)
- Aldo Bernardini: Lettera a "Liberazione", non pubblicata (13 marzo)

NOTIZIE:

- "Milosevic era ridotto malissimo nei giorni antecedenti"...
(quotidiani serbi)
- MILOSEVIC: ALLA PERIFERIA AJA ULTIMA SOSTA PER SLOBO /ANSA
- MILOSEVIC: SI COMPLICA IL REBUS DEI FARMACI /ANSA
- MILOSEVIC: PATOLOGI RUSSI ESAMINERANNO FOTO (sic) AUTOPSIA SALMA
- MILOSEVIC: TPI, CON MORTE IMPUTATO PROCESSO E' FINITO
- Dispacci da www.radioyu.org
- MILOSEVIC: DEPUTATI RUSSI PER INCHIESTA INTERNAZIONALE
- MILOSEVIC: PRESIDENTE TPI, DOCUMENTI PROCESSO SIANO RESI NOTI
- MILOSEVIC: DEDICHIAMOGLI STRADA SAN PIETROBURGO, COMUNISTI
- MILOSEVIC: TPI CERCA DI NASCONDERE SUE COLPE, AVVOCATI
- MILOSEVIC: CERTEZZE SU MORTE, INTERROGATIVI SU CARCERE/ANSA
- MILOSEVIC: CANCELLI APERTI DA OGGI IN 'MAUSOLEO' POZAREVAC

---

Una ricca galleria fotografica dell'ultimo omaggio a Milosevic si
trova sul sito anti-jugoslavo "B92":

http://www.b92.net/info/galerija/index.php?nav_category=99

(si veda l'archivio delle giornate dal 16 al 19 marzo)

Un'altra galleria, con commenti in italiano, è stata realizzata da SOS
Yugoslavia di Torino e si trova alle pagine:

http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/pose6c19.htm
http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/pose6c19a.htm
http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/pose6c19b.htm

---

Upisite se u knjigu zalosti / Firmate nel Libro delle condoglianze:

http://www.slobodanmilosevic.info/


=== DOCUMENTI E COMMENTI ===

fonte: quotidiano junge Welt (Germania) del 15 marzo 2006

http://www.jungewelt.de/2006/03-15/003.php

L'ULTIMA LETTERA DI MILOSEVIC

Gentili signore e signori,

Vi invio i miei ringraziamenti per la solidarietà che avete
manifestato dichiarandovi pronti ad accettarmi per una cura medica.
Vorrei informarvi della cosa seguente: credo che l'ostinazione con cui
mi hanno rifiutato un trattamento in Russia sia motivata, in primo
luogo, dal timore che in occasione di esami approfonditi, si
scoprirebbe che sono stati effettuati interventi attivi e maliziosi
allo scopo di nuocere alla mia salute. Questi interventi non possono
restare nascosti a specialisti russi.

Per giustificare le mie accuse, vi presento un semplice esempio che
troverete in allegato. Questo documento, che ho ricevuto il 7 marzo,
mostra che il 12 gennaio una medicina particolarmente forte fu
individuata nel mio sangue e che, come dichiarano loro stessi, essa è
utilizzata per trattare la tubercolosi e la lebbra, benché io non
abbia preso, durante questi cinque anni nella loro prigione, alcun
antibiotico.

Durante tutto questo tempo, non ho mai avuto, a parte l'influenza,
alcuna malattia contagiosa. Anche il fatto che i medici hanno
impiegato due mesi (per informare sui risultati dell'esame, N.d.Red)
può essere spiegato soltanto da una manipolazione. I responsabili di
questi atti non possono realmente curare la mia malattia, e neppure
quelli contro i quali ho difeso il mio paese in tempo di guerra e che
hanno un interesse a farmi tacere.

Cari signori, voi sapete che medici russi sono giunti alla conclusione
che l'esame ed il trattamento dei problemi dei vasi sanguigni nella
mia testa sono necessari ed urgenti. Ecco perché mi rivolgo a voi,
nella speranza che mi aiutiate a difendere la mia salute contro le
attività criminali in questa istituzione che lavora sotto l'egida
dell'ONU, e che io riceva prima possibile un trattamento adeguato nel
vostro ospedale dai medici in cui nutro fiducia totale, come nella
Russia.

Vi prego di accettare, signore e signori, l'espressione del mio
rispetto profondo.

Slobodan Milosevic

(lettera inviata l'8 marzo; ricevuta l'11 marzo all'ambasciata russa;
traduzione originale: AP; versione italiana a cura di ICDSM-Italia)

===

Sulla morte del presidente Milosevic

Io non ho prove che il presidente Milosevic sia stato assassinato
nella sua cella. So che l'autopsia ha escluso la presenza nel suo
corpo di veleni, e ha osservato a livello del suo cuore i segni di un
infarto.
Come medico non posso però escludere che di omicidio si sia trattato.
Un uomo sofferente di ipertensione e di stress estremo, può essere
ucciso in vari modi che non possono essere dimostrati dall'autopsia.
Il primo modo è quello di curarlo in maniera inadeguata e di
impedirgli di accedere a strutture sanitarie in grado di risolvere al
meglio i suoi problemi. Se aveva una cardiopatia perchè non è stato
sottoposto a coronarografia e poi eventualmente a by pass coronarico?
Ho letto che la sua ipertensione era difficile da trattare; è stato
fatto il possibile per controllarla?
E poi ci sono tanti modi per uccidere un uomo senza lasciare tracce;
non è certo il caso di descriverli qui, per evitare di dare consigli a
qualcuno che sarebbe tentato di usarli. Per esempio un modo per far
venire un infarto ad un cardiopatico è quello di usare un farmaco che
aumenta la pressione, un ormone naturalmente presente nel corpo umano,
che all'analisi tossicologica non verrebbe rilevato.
Quindi ribadisco che non ho dati per sospettare si sia trattato di un
crimine, a parte quello di averlo imprigionato per tanti anni, senza
una sentenza; ma l'ipotesi del delitto non cade per il solo dato
dell'autopsia.

Marino Andolina (medico primario, Trieste)
19 marzo 2006

===

Ci sono molti indizi che la morte di Milosevic fu pianificata

Efraín Chury Iribarne intervista James Petras: i governi inglese,
tedesco e nordamericano erano di fronte a due opzioni molto
sfavorevoli, o la presenza (testimonianza) dei leaders occidentali al
tribunale o la fine del procedimento e la liberazione di Milosevic.
Questo sottintende che avevano una grande motivazione per liquidare
Milosevic, perchè si stava creando una situazione scandalosa e
rivelatrice.

Lunedi 13 marzo 2006

Efraín Chury Iribarne:
Ha preso corpo la notizia della morte di Milosevic, si parla della
somministrazione di una medicina non indicata dai medici e ci si
chiede: Questo può esser vero? Si può trattare di un omicidio? Perchè
e chi sarebbe interessato ad ucciderlo?

Petras:
Bene, stiamo considerando la sua morte e ci sono molti indizi che ci
sia stato qualcosa di pianificato. Per due motivi: primo, lui
sospettava che gli stavano mettendo del veleno nel cibo e si sentiva
male, lo stesso avvocato di Milosevic ha detto che la vittima
sospettava che volevano liquidarlo. Secondo, era ben noto che aveva
problemi di salute, soffriva di pressione alta, ipertensione. Si fece
richiesta che gli dessero il permesso per andare in Russia a curarsi,
anche lo stato russo si offrì di averlo in cura e di rimadarlo in
tribunale quando sarebbe finita la cura, ed il giudice Robertson,
benché sapesse dei suoi problemi di salute, compresi i rapporti dei
medici del tribunale, non lo permise. Anche recentemente, quando
Milosevic dovette interrompere la propria difesa perchè aveva
terribili dolori alla testa, gli negarono tutte le cure mediche
affinchè morisse.
E perchè volevano ucciderlo? Per un fatto molto grave, e cioè che
Milosevic avrebbe chiesto che i giudici presentassero a Clinton ed ai
funzionari del Dipartimento di Stato la richiesta di testimoniare in
tribunale, e questo mi sembra che rivelasse i molti interessi degli
USA nelle aggressioni alla Jugoslavia. C'era il rischio che si
richiedesse la presenza di leader come Tony Blair e altri fra i più
colpevoli delle atrocità perpetrate durante al guerra, idem per i
tedeschi.
E se questa linea fosse passata e i testimoni non fossero comparsi
era inevitabile che dovessero finire il processo e liberare Milosevic,
perchè avrebbe interferito con la difesa e non era possibile
continuare con il procedimento se gli implicati non fossero comparsi.
Allora erano di fronte a due opzioni molto sfavorevoli: o la
testimonianza dei leader occidentali in tribunale o la fine del
processo e la liberazione di Milosevic.
Questo vuol dire che i governi inlgese, tedesco e nordamericano
avevano un grande interesse ad assassinare Milosevic, perchè si stava
creando una situazione molto svantaggiosa e altamente rischiosa. Per
questa ragione io credo che l'unico modo di trattare l'affare sia
un'indagine patologico-forense realizzata da persone completamente
indipendenti.
Ora, il problema è che i tossicologi devono agire in fretta perchè ci
sono dei veleni che possono scomparire in tempi brevi, dopo 24 ore già
non si rilevano più. E invece di consentire un'indagine
patologico-forense rapida, hanno consegnato il cadavere ad alcuni
personaggi olandesi e dopo di loro passerà ad altri, e in questo lasso
non si possono rilevare questo tipo di sostanze tossiche che hanno una
tendenza a dissolversi e scomparire.
Allora io credo che per lo meno rimane chiaro che le autorità hanno
permesso il peggioramento della malattia affinchè morisse e perchè
apparisse, per usare l'eufemismo che loro usano, che fu per cause
naturali, che è un'altra cosa molto opinabile.
Per questo, Chury, dico che Milosevic era un testimome altamente
importante per tutto il mondo perchè mostrava che la politica di
accuse false e omicidi non è solo un problema dell'Irak e dei paesi
arabi musulmani, ma che ci sono anche funzionari occidentali invischiati.

(...)

Fonte: CX36 Radio Centenario
http://www.radio36.com.uy/

===
fonte: quotidiano junge Welt (Germania) del 13 marzo 2006

http://www.jungewelt.de/2006/03-13/003.php

"LA STRADA DEL TRIBUNALE E' COSPARSA DI CADAVERI"

Slobodan Milosevic non è la prima vittima da mettere sul conto degli
investigatori dell'Aia.

di Juergen Elsässer

Il tribunale penale per l'ex Jugoslavia (TPJ) è di solito chiamato
tribunale delle Nazioni Unite, cosa che serve ad ammantarlo di
imparzialità. Tuttavia, ciò non corrisponde alla realtà. La decisione
di realizzarlo non fu presa dall'assemblea generale delle Nazioni
Unite, nel 1993, ma dal Consiglio di sicurezza, come se la giustizia
internazionale facesse parte di quei compiti di mantenimento e
applicazione della pace che soli, secondo la carta dell'ONU, entrano
nella competenza di quest'organo supremo.

A contraddire l'imparzialità del tribunale, si può notare che, fra gli
imputati, ci sono più serbi che rappresentanti di altre nazionalità.
Così, dopo la morte di Milosevic, sono ancora due i capi di stato
serbi che sono in galera: l'ex-presidente della repubblica serba della
Bosnia (Republika Srpska), Biljana Plavsic, come pure il presidente
serbo Milan Milutinovic. Un altro, l'ex-presidente dei serbi della
Bosnia, Radovan Karadzic, è ricercato, così come il suo comandante in
capo, Ratko Mladic. Inoltre il comandante in capo jugoslavo del corpo
del Kosovo, Nebojsa Pavkovic, anch'egli è stato consegnato. Fra i
presidenti ed i comandanti in capo degli avversari dei serbi, soltanto
uno è in prigione a Scheveningen: il comandante croati Ante Gotovina.
Le teste dell'esercito clandestino albanese UÇK, Hashim Thaçi ed Agim
Çeku, esercitano ancora oggi le più alte funzioni politiche in Kosovo.
Quest'ultimo è stato eletto, venerdì scorso, primo ministro della
provincia.

La pressione inquisitoria e l'antipatia anti-serba manifestata dal
procuratore capo attuale all'Aia, Carla Del Ponte (Svizzera), e da
quella che la precedeva, Louise Arbour (Canada), hanno condotto ad un
grande numero di morti, ovviamente, solo fra gli imputati ed i
ricercati di nazionalità serba.

Una sintesi non esauriente:

Il 30 gennaio 1996, Djordje Djukic era rapito da militari musulmani in
occasione di un viaggio condotto in accordo con le truppe
d'occupazione IFOR in Bosnia centrale, e veniva trasferito all'Aia
passando per Sarajevo, benché nessun mandato di sentenza esistesse
all'epoca. Djukic, colpito da un cancro, non ricevette le cure mediche
adeguate e morì il 18 maggio 1996.

Il 10 luglio 1997, le unità speciali britanniche SAS, che sono
inquadrate nelle truppe d'occupazione in Bosnia SFOR, uccisero Simo
Drljaca. Il cadavere presentava tre tracce di tiri a distanza nella
parte posteriore e quella di un colpo mortale finale da breve distanza.

Il 29 giugno 1998, Slavko Dokmanovic si sarebbe impiccato nella sua
cella dell'Aia, benché il presunto suicida fosse sottoposto ad un
controllo intensivo e benché il giudizio dovesse essere pronunciato
solo una settimana più tardi.

Il 3 agosto 1998 Milan Kovacevic morì nella sua cella dell'Aia per una
crisi cardiaca. I suoi avvocati si lagnarono che i suoi problemi di
salute erano conosciuti e che avrebbe potuto essere salvato se ci si
fosse occupati di lui tempestivamente.

Il 9 gennaio 1999, unità della SFOR abbatterono Dragan Gagovic,
insegnante di karate, alla presenza di cinque suoi allievi adolescenti
che si trovavano con lui nell'automobile.

Il 13 ottobre 2000, Janko Janjic impedì il suo arresto, al quale
partecipavano tra l'altro soldati tedeschi della SFOR, facendosi
saltare in aria con una granata.

L'11 aprile 2002, il Parlamento serbo, in violazione della
costituzione, votò una legge che permette il trasferimento di sospetti
all'Aia. In segno di protesta, il deputato socialista Vlajko
Stojiljkovic, che appariva sull'elenco dei ricercati dell'Aia, si tirò
una palla nella testa sulle scale della Camera Alta.

Il 5 gennaio 2006, soldati italiani delle truppe d'occupazione in
Bosnia EUFOR assassinarono, in occasione dell'arresto di Dragomir
Abazovic, sua moglie Rada, che secondo le informazioni fatte circolare
avrebbe difeso suo marito con un Kalasnikov. Per quanto riguarda
l'EUFOR, curiosamente non ci fu nessun ferito, mentre la donna serba
fu uccisa da un solo proiettile.

Il 5 marzo 2006 Milan Babic, presidente della repubblica transitoria
serba di Krajina (1991-1995), avrebbe messo fine ai suoi giorni nella
sua cella dell'Aia. Babic si era consegnato al tribunale nel 2003. Vuk
Draskovic, ministro degli esteri di Serbia-Montenegro, criticò i
responsabili della prigione che avrebbero potuto, secondo lui,
impedire la sua morte.

===

http://www.lernesto.it/index.aspx?m=77&f=2&IDArticolo=8356

Milosevic muore in carcere. Finisce un'era: senza verità

di Giancarlo Lannutti

su Liberazione del 12/03/2006

L'ex presidente jugoslavo si è spento nella sua cella all'Aja, dove
era sotto processo per crimini di guerra e contro l'umanità.
L'avvocato accusa: «Temeva di essere avvelenato»

Slobodan Milosevic è morto. La secca notizia diffusa ieri mattina da
una emittente serba è stata poi confermata dalle fonti ufficiali del
Tribunale penale internazionale dell'Aja: l'ex-presidente prima della
Serbia e poi della "piccola Jugoslavia" è stato trovato morto nella
sua cella alle 9 di ieri mattina, ufficialmente per un fatto cardiaco.
Ma è certo che la sua morte - con il processo a suo carico ancora
pendente dopo ben quattro anni dal suo inizio - susciterà (anzi sta
già suscitando) polemiche e contestazioni, soprattutto essendo
sopravvenuta a pochi giorni dal suicidio, sempre nel carcere dell'Aja,
dell'esponente serbo-croato Milan Babic; ed infatti i sostenitori di
"Slobo", a cominciare dal fratello, già affermano che sia stato
"eliminato" (magari per omissione di cure); il Tribunale ha comunque -
come era del resto prevedibile - ordinato un'inchiesta sulle cause del
decesso.
Ultimo fautore ed interprete della "identità jugoslava" - anche se di
una Jugoslavia fortemente caratterizzata dalla predominanza dei serbi
- la sua scomparsa imprime in ogni caso il sugello a tutta una fase
della storia balcanica del secolo scorso; come conferma il fatto che
dopo la sua cattura e il suo a dir poco discutibile trasferimento
all'Aja nel 2001, anche la "sua" piccola Jugoslavia si è dissolta,
sostituita da una blanda Unione Serbia-Montenegro sempre più
evanescente. Ed ora con la inevitabile archiviazione del procedimento
a suo carico "per decesso dell'imputato" la lunga pagina di cui è
stato protagonista resterà almeno ufficialmente senza risposte
definitive; le circostanze volutamente relegate nell'ombra resteranno
oscure; le sue veementi controaccuse finiranno anch'esse archiviate;
le testimonianze a dir poco imbarazzanti da lui richieste (a
cominciare da quella dell'ex-presidente Bill Clinton e degli altri
leader occidentali che lo osannarono come grande statista nel 1995 per
il suo ruolo nella pace di Dayton per poi demonizzarlo appena tre anni
dopo) resteranno inascoltate; in definitiva il giudizio sulla tragedia
che i Balcani hanno vissuto negli anni '90 resterà affidato
sostanzialmente alle ricostruzioni mass-mediatiche e alla polemica
politica.

Della tragedia della ex-Jugoslavia di Tito, Slobodan Milosevic è stato
comunque il personaggio centrale, l'interprete di primo piano -
insieme certamente al croato Franjo Tudjiman, che però nessuno ha mai
incriminato, finché era vivo, perché amico servizievole degli Stati
Uniti. Osannato in patria dalla popolazione serba (che ai tempi di
Tito si era sentita diminuita nel suo ruolo), demonizzato all'estero,
si è visto attribuire strumentalmente i titoli più contraddittori, da
quello - ricordavamo prima - di grande statista e uomo della pace a
quelli di dittatore e macellaio. In realtà la Serbia di Milosevic,
come la intera "piccola Jugoslavia", non è mai stata una dittatura e
men che mai uno Stato monopartitico, ma piuttosto un regime
caratterizzato da una spregiudicata gestione autoritaria delle
istituzioni; il che tuttavia non ha impedito che ci fosse il
pluripartitismo e che nel 1996 i partiti di opposizione - cosa che non
si è vista in nessuna dittatura - potessero vincere le elezioni
amministrative in tutte le principali città della Serbia, inclusa la
capitale Belgrado.

La sua parabola politica è durata in tutto poco più di quindici anni e
può essere divisa in due fasi distinte, che hanno il punto di
separazione nel famoso raduno di centinaia di migliaia di serbi nella
primavera 1989 a Kosovo Polje, il Campo dei merli, con il rilancio
pubblico e ufficiale dell'"orgoglio nazionale serbo", proclamato non a
caso in quella località in cui si svolse la storica battaglia tra
serbi e turchi del 15 giugno 1389. Fino ad allora dirigente comunista
autorevole quanto schivo e riservato, dopo di allora leader di una
Serbia che rivendicava un suo storico ruolo centrale nei Balcani, con
un graduale passaggio ad una economia di libero mercato ma senza
annullare le acquisizioni basilari del passato, a cominciare dal ruolo
dello Stato nella grande industria. Milosevic nacque il 21 agosto 1941
a Pozarevac, vicino a Belgrado, da un padre insegnante di religione
ortodossa e da una madre che di lì a poco militerà nella Resistenza;
nel giro di pochi anni entrambi i genitori ed anche uno zio generale
moriranno suicidi. All'età di diciotto anni, studente universitario,
si iscrive alla Lega dei comunisti; nel 1962 si laurea in legge ed è
in quegli anni che incontra e sposa Mira Markovic, che dividerà in
toto con lui, nel bene e nel male, la sua intera parabola politica.
Dapprima mostra più interesse per il mondo della economia, e diventa
direttore della Beobanka, responsabile delle relazioni con il Fondo
monetario internazionale. La sua carriera propriamente politica inizia
alla metà degli anni '80. A partire dal 1984 sale rapidamente ai
vertici della Lega dei comunisti di Serbia, nel 1987 ne diventa
presidente, nel 1989 sostituisce il suo mentore, Ivan Stambolic, alla
presidenza della Repubblica, alla quale verrà poi rieletto nel 1992;
nel 1997, non potendo assumere un nuovo mandato, diventerà presidente
della "piccola Jugoslavia". Ma intanto nel 1989 con il raduno oceanico
di Kosovo Polje è salito di prepotenza alla ribalta della scena
balcanica e internazionale, nel 1990 la Lega dei comunisti si è
frantumata nei partiti "nazionali" (in Serbia il partito socialista da
lui guidato) e dopo appena un altro anno le proclamazioni unilaterali
di indipendenza di Slovenia e Croazia - incoraggiate apertamente
dall'Occidente e in prima dalla Germania e dal Vaticano - accendono la
miccia dell'incendio nella ex-Jugoslavia.

Da quel momento la vita e la carriera di Slobo saranno segnate,
direttamente o indirettamente, dalla guerra. Da subito si oppone alla
secessione slovena e croata mobilitando l'esercito federale; chiusa in
poco più di un mese la partita con Lubiana, resterà invece aperta
quella con Zagabria, per la presenza in Croazia di una consistente
minoranza serba, oggi dispersa nei campi profughi della Serbia e della
Repubblica serba di Bosnia. E scoppia intanto il conflitto in Bosnia,
anche qui per l'affrettato riconoscimento occidentale di una entità
nella quale si vorrebbe ripetere a tavolino quella struttura
multietnica e federale che è stata deliberatamente distrutta appena un
anno prima su scala jugoslava. Milosevic non è certo insensibile alle
aspirazioni dei serbi di Bosnia come di quelli di Slovenia e Krajna in
Croazia, vede delinearsi sullo sfondo la possibilità di una Grande
Serbia, sia pure variamente articolata. Ma è troppo accorto e buon
politico per lanciarsi in mosse avventate: l'esercito serbo non ha
alcun ruolo nella guerra di Bosnia, a differenza di quello croato di
Tudjiman; e quando alla metà del 1995 l'intervento della Nato fa
precipitare la situazione, saranno proprio le forti pressioni di
Milosevic a costringere i serbo-bosniaci ad accettare l'accordo di
pace di Dayton. Ironia della sorte: Milosevic è morto ieri in carcere
all'Aja, i serbo-bosniaci Karadzic e Mladic sono ancora uccel di
bosco, quale che sia ovviamente il giudizio sulla legittimità o meno
del tribunale internazionale, voluto fermamente dagli Usa a scopi
essenzialmente politici. Di quella pace gli verrà dato solennemente
atto revocando fra l'altro le sanzioni che erano state adottate contro
il suo Paese. Ma lo spiraglio di pace durerà meno di tre anni, almeno
per la Serbia, perché in Bosnia a undici anni da Dayton la pace è
ancora di là da venire. Nel 1998 scoppia infatti la crisi del Kosovo,
dove Milosevic ha abolito il regime di larga autonomia esistente al
tempo di Tito e dove dopo un susseguirsi di incidenti anche sanguinosi
sono entrate in campo le bande dell'Uck, che si autodefiniscono
"esercito di liberazione" ma che ancora negli ultimi mesi di
quell'anno saranno definite "terroristi" dalla stessa Cia. Ma l'Uck
serve agli Usa, come gli serve l'enfasi mediatica sui presunti
massacri di civili compiuti dai serbi nella provincia albanese: in
realtà nell'atto di accusa dell'Aja ne verranno dettagliati sette, uno
solo dei quali - quello di Racak, risultato poi falso, cioè costruito
dall'Uck - anteriore all'inizio dei bombardamenti su Belgrado; gli
altri, per quanto ovviamente esecrabili, sono dunque riconducibili al
contesto della guerra.

In realtà una Serbia forte, autonoma dalla strategia e dagli interessi
americani e anzi assai vicina alla Russia, costituiva una "anomalia"
da eliminare. Per questo si montò una campagna bellicista senza
precedenti e per questo al famoso e decisivo incontro di Rambouillet
fu presentato alla delegazione serba un progetto di accordo che -
perfino secondo i più onesti fra i leader occidentali - nessun governo
o capo di Stato con un minimo di dignità avrebbe potuto accettare. E
fu la guerra: con i terribili 78 giorni di bombardamenti sulla Serbia,
sul Montenegro e sul Kosovo. Il resto è ormai cronaca: il "golpe
bianco" dell'ottobre 2000 (dopo la sconfitta elettorale) con il
rovesciamento di Milosevic, il suo arresto il 1° aprile 2001,
l'operazione mafiosa con cui il premier Zoran Djindjic (che poi morirà
assassinato) lo prelevò nottetempo per consegnarlo agli americani e al
Tpi scavalcando il presidente Kostunica. Il quale non a caso vuole
vederci oggi chiaro e chiede formalmente che medici serbi partecipino
all'inchiesta sul decesso, mentre la Russia accusa il Tpi di avere
impedito che Slobo fosse curato a Mosca per le sue affezioni
cardiache. Ineffabile la dichiarazione del responsabile esteri europeo
Solana il quale dice di «sperare che la morte di Milosevic aiuti la
Serbia a guardare definitivamente al futuro»: detto da uno dei diretti
responsabili della guerra del 1999 è un epitaffio che si commenta da sé.

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COME IN UNO SPECCHIO DEFORMANTE

condivido una parte delle osservazioni di collon e anche dell'analisi
di vigna e graziosi su jugoinfo.
direi pero che tali analisi rischiano di rimanere oggetto di
riflessione per pochi ''jugoslavisti''.
mi sembra invece che si potrebbe cominciare a prendere in
considerazione qualche elemento di riflessione piu prossimo alla
realta italiana.

diamo allora per assodato, quanto meno in via ipotetica, che la
strategia che sta dietro alla politica statunitense nei balcani,
almeno da un certo punto degli anni 90 in poi, abbia avuto come
obiettivo finale quello di destabilizzare l'europa del
post-bipolarismo proprio nel suo cuore. quello che aveva fruito dei
benefici di costituire una sorta di territorio cuscinetto, dove poteva
starci si il non allineamento della jugo, ma anche una certa agilita
della politica estera italiana (do you remember sigonella?).
questo relativo margine di liberta cessa di avere un senso geopolitico
con la caduta dell'urss.
da qui l'intolleranza verso il debito internazionale jugo, ma anche,
specularmente, quella verso il debito pubblico italiano.
il fmi non rinegozia il debito jugo proprio mentre il governo amato fa
passare la finanziaria ''di sangue'' in italia.
la germania fomenta in jugo la secessione di croazia e slovenia, ma
che ci dice che la lega, in quegli anni, non abbia battuto cassa in
marchi.
qui la strategia usa si coniuga con gli interessi germanici.
in jugo sappiamo come sia finita.
in italia non sappiamo come sarebbe potuta finire se l'alto adige
avesse rappresentato una versione italiana della slovenia (de gasperi
e gruber, involontariamente, l' avevano senza dubbio azzeccata).
altri parallelismi si potrebbero avanzare, ma se il culmine di questa
strategia puo essere visto nella guerra del 99, come primo passo semi
occulto, di un disegno organico statunitense contro l'idea di europa,
allora anche gli eventi piu recenti possono essere letti in una luce
diversa.
procedo ancora per ipotesi.
milosevic è morto avvelenato o è stato lasciato morire, solo per
togliere dalle pesche un tribunale che non sapeva piu che pesci pigliare?
non mi sembra che la donna dal ponte ne abbia gioito.
pure milosevic dichiara a zaccaria de la stampa, poco tempo prima di
morire, (vedi l'articolo di g. zaccaria il giorno dopo la morte), di
avere la sensazione che gli dessero farmaci idonei a vanificare gli
effetti delle medicine.
era lui che se li autosomministrava per andare a mosca? cosi ingenuo
de pensare di sfondare coi giudici?
resta un interrogativo che vigna e graziosi avanzano, ma che credo
meriterebbe di essere portato avanti e che definisce il piu
inquietante dei quadri possibili.
il possibile assassinio di milosevic, sommato all'oscuro suicidio del
leader serbo della krajna babic, sommato all'avvento di ceku in
kosovo, al referendum in montenegro e alle pressioni per l'arresto di
mladic, sembrano fatte apposta per suscitare un'ondata nazionalista in
serbia, mettere fuori gioco l'asse di mediazione kostunica-tadic,
dimostrare che ancora oggi il nazionalismo serbo è estremista e
ingovernabile e cosi dilatare l'area di instabilita dei balcani.
kosovo, bosnia, montenegro, macedonia, e presto il cuore di tutto
questo, la serbia possono diventare ingovernabili, ''l'europa è
impotente'' (gia sentita 7 e 11 anni fa questa storia) e l'intera area
va messa sotto il controllo degli usa e dei suoi piccoli fans locali
(magari con una rosa nel pugno).

qui, per i lettori superstiti, avanzo un'altra ipotesi ancora piu
''estrema'', che si ricollega al tema piu generale, jugo e italia,
storie parallele.
mi domando allora se, una volta perse eventualmente le elezioni,
berlusconi si limitera soltanto, come fece nel 96, a blaterare per un
po' che non ne accetta l'esito (per gli smemorati ando avanti con
questa litania per alcuni giorni).
rendo noto che stavolta ha gia messo le mani avanti parlando di un
milione di schede che i perfidi scrutatori di sinistra gli annulleranno.
... e se questa volta, a differenza del 2001 il premier trovasse
qualche sponda internazionale disposta ad appoggiare i suoi deliri? o
peggio, se i suoi deliri attuali fossero la conseguenza del fatto che,
questa sponda, sa gia di averla?

qui la storia parallela di italia e jugo potrebbe entrare in un
capitolo nuovo e vedere, anche in italia, forme di destabilizzazione
di tipo balcanico, finora solamente sperimentali, come puo essere
stato un premier piduista in un parlamento tutto sommato funzionante.

quale destabilizzazione?
non sono un indovino, ma certo le riflessioni sulla fine di milosevic
avrebbero in tal caso un lugubre significato anticipatore e non solo
quello di un accorata analisi, tutto sommato ancora a distanza, sulle
tristi sorti di un paese cosi vicino e cosi lontano.
potremmo forse specchiare il nostro futuro nel passato e nel presente
dell'exjugo.
come in uno specchio deformante.

alberto tarozzi.
22 marzo 2006

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http://www.pasti.org/bernar33.html

Roma, 6 marzo 2006

S.E. Fausto Pocar
Presidente dell'International Tribunal
for the former Yugoslavia
Churchillplein 1
2517JW The Hague
The Netherlands

Illustre Presidente, caro Pocar,

perdonami se mi rivolgo a Te personalmente per una questione delicata
che attiene al Tuo Ufficio. Di questo Ufficio do per scontata e
rispetto dunque l'indipendenza, anche se, come penso Tu sappia,
mantengo dubbi sul fondamento giuridico del Tribunale che Tu con forte
prestigio comunque presiedi e dubbi anche su specifiche decisioni e
modi di operare dello stesso Tribunale. Se menziono qui questi
particolari, è perché intendo parlarTi con schiettezza e lealtà assolute.

Come componente del Comitato internazionale per la difesa di Slobodan
Milosevic e come modesto studioso ho le mie idee sulla personalità di
Milosevic e sulla sua complessiva azione nella tragedia balcanica.
Ricordo solo il decisivo contributo da parte sua agli accordi di
Dayton e la sua battaglia, da lui vinta, perché la Costituzione serba
del 1990 e quella jugoslava successiva non fossero ispirate a criteri
etnicistici, a differenza di quelle della maggioranza delle
Repubbliche secessioniste.

Desidero anche ricordare il modo, non so quanto conforme ai criteri
dello stato di diritto, in cui Milosevic è stato "trasferito" da
Belgrado all'Aja. Si trattava comunque di un ex Capo di Stato, il modo
ancor mi offende. Or volge il quinto anno che questo Capo di Stato, al
quale non può disconoscersi grande dignità, è incarcerato, direi ad
irrisione della presunzione di innocenza. Si obietterà che questa
sorte è comune a quella di altri jugoslavi detenuti all'Aja. Ma forse
il suo caso presenta peculiarità tutte proprie: inevitabilmente,
attraverso di lui, non si giudicano fatti specifici, ma, al di là di
questi, linee politiche generali, la decisione e l'azione per
resistere contro la disgregazione della Jugoslavia e mantenere questa
patria non per i Serbi, bensì per tutti coloro che vi si
riconoscessero. E in ciò, nel sottoporre quel dirigente a giudizio,
risulta implicito lo sgravio di chi, anche all'esterno di quello
Stato, ha invece voluto, pianificato, attuato la disgregazione della
Jugoslavia.

Un quadro del genere impone a Milosevic un impegno e uno sforzo
sovrumani con evidenti ricadute sulla salute. Anche in ragione di tale
quadro, e non solo per motivi di principio, sarebbe stato impossibile
per Milosevic farsi sostituire da un legale.

In un contesto come quello accennato, la decisione di negare a
Slobodan Milosevic la possibilità di farsi curare, in una situazione
senza dubbio piuttosto grave della sua salute, da istituti e medici di
fiducia, sotto garanzia internazionale e precisamente di uno Stato
membro permanente del Consiglio di sicurezza, come la Federazione
russa, mi pare non rappresenti un momento felice nell'attività del
Tribunale. Certamente, la responsabilità forse non solo storica di
quanto potrà accadere a Milosevic ricadrà sugli autori di una
decisione che non appare ispirata a principi di giustizia e di
umanità. Essa contrasta, senza bisogno qui di entrare in particolari,
con evidenti principi dei diritti dell'uomo che tanto ci affanniamo a
proclamare. Ricordo solo la dichiarazione di Lisbona sui diritti del
paziente, adottata dalla 34° Assemblea medica mondiale del
settembre-ottobre 1981, che va proprio nel senso della richiesta di
Slobodan Milosevic.

I popoli non dimenticheranno.

Io mi rivolgo a Te, senza nulla chiederTi né attendermi, perché su ciò
si rifletta. Un Tribunale che procedesse sulla strada di una
"giustizia" unilaterale in un quadro, e come strumento, di doppi
standard, oggi fin troppo evidenti sulla scena internazionale, non
favorirebbe la pace e la comprensione fra i popoli. Esso, lungi dal
pronunciare decisioni con valore esemplare, raggiungerebbe l'esito
infausto di fomentare nuovi odi, ostilità e i tragici fenomeni di
quelle reazioni della disperazione che il mondo che si proclama civile
rigetta, ma di cui esso porta responsabilità chiare ed incancellabili.

Perdonami queste parole, che - ripeto - non attendono risposte ma
riflessione serena e umana sulla condizione di Slobodan Milosevic.

Aldo Bernardini

===

http://www.pasti.org/bernar34.html

Roma, 13 marzo 2006

Spett.le "Liberazione"
all'att.ne del Direttore
Piero Sansonetti
Fax 06 – 441 83 254

Caro Direttore,

pur se si prescinde da ipotesi più gravi, certamente l'illegale
Tribunale dell'Aja porta una gravissima responsabilità per la morte di
Milosevic e stiamo studiando la possibilità, certo difficile ma
doverosa, di chiedere in diverse sedi l'incriminazione dei suoi
principali esponenti sotto il profilo almeno della colpevole
negligenza. Le motivazioni con cui il 23 febbraio 2006 è stata
respinta l'istanza di Milosevic, corredata di autorevolissimi referti
medici di specialisti russi, di venire curato a Mosca sono risibili e
offensive, nonché lesive dei diritti di un uomo e di un malato. Hanno
detto che se non si fosse fidato di medici locali (olandesi), i medici
di fiducia avrebbero potuto recarsi all'Aja (medici itineranti!) e che
la garanzia offerta dal governo russo non era sufficiente. Avevo
inviato qualche giorno fa, su richiesta di Milosevic, al Presidente
del Tribunale dell'Aja, l'italiano Fausto Pocar, la lettera che qui
allego e che ora suona, insieme ad altri più autorevoli atti, come
messa in mora di un Tribunale privo di fondamento giuridico e
moralmente e politicamente screditato, in quanto in modo palese "di
parte".

Se mi è possibile qui ricordare Milosevic, lo faccio con quanto mi
disse il 16 agosto 2001 nel carcere di Scheveningen: avevo visto a
Belgrado alla vigilia del suo arresto folle di cittadini e di
militanti socialisti e comunisti che l'avrebbero voluto difendere, mi
rispose che non avrebbe consentito un bagno di sangue. Mi disse pure
che riceveva molte lettere da tutte le parti del mondo e che restava
commosso quando veniva appellato "compagno". Quando osservai che la
lotta contro l'attuale potere sovrastante sul pianeta era ardua e
pressoché impossibile, mi fissò negli occhi e replicò che bisogna
lottare sino in fondo. E' quello che egli ha fatto.

Cordiali saluti.

Aldo Bernardini
Membro del Comitato internazionale
per la Difesa di Slobodan Milosevic

(lettera non pubblicata)


=== NOTIZIE ===


"Milosevic era ridotto malissimo nei giorni antecedenti"...

Un imputato dalla Croazia all'Aja (Kordic) ha riferito di avere avuto
un breve incontro con SM il giorno prima che è morto. SM andava
frequentemente al bagno; camminava con grande fatica, dondolando. Era
ridotto male, non rasato, con le gote rientrate, le occhiaie nere.

"Slobodana Miloševica vidio sam dan uoci njegove smrti. Nekoliko je
puta išao u toalet. Jedva je hodao, gegao se. Bio je oronuo,
neobrijan, vidno upalih obraza i tamnih podocnjaka. Gledao je kroz
staklo u veliku prostoriju u kojoj smo sjedili, kao da je nekoga
tražio..."
(Fonte:
http://www.vecernji-list.hr/newsroom/news/croatia/503322/index.do )

Sul "Glas Javnosti" di Belgrado si legge invece che erano stati
riscontrati anche altri farmaci nelle analisi (tra cui il diazepam, un
banalissimo e bruttissimo farmaco ansiolitico), non dichiarati nel
registro delle cure mediche. Il diazepam non è stato rilevato durante
la prima analisi del sangue, mentre sul test ripetuto sul medesimo
campione, poco dopo, è stato riscontrato.
(Fonte: http://www.glas-javnosti.co.yu/danas/srpski/P06031402.shtml )

(a cura di Dk)

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MILOSEVIC: ALLA PERIFERIA AJA ULTIMA SOSTA PER SLOBO /ANSA

(ANSA) - L'AJA, 13 MAR - Qualche kilometro fuori L'Aja, a due passi
dall'autostrada che porta a Rotterdam: e' in questo luogo che si trova
il 'Nederlands Forensisch Institut', il Centro medico legale-forense
dove sabato e' stato portato Slobodan Milosevic, qualche ora dopo
essere stato trovato cadavere nella sua cella di Scheveningen. Tutta
l'area circostante e' triste e desolata: siamo in piena periferia
industriale olandese, in mezzo ad un grande snodo autostradale.
All'ingresso dell'edificio c'e' un cartello bianco che informa che il
'Nederlands Forensisch' fa parte dell'Enfsi, la rete europea di
istituti di scienza forense, e dipende dal Ministero della Giustizia.
Nei dintorni sorge un inceneritore, si vedono molti capannoni, c'e' un
gran via vai di pullmini e camion. Solo poche abitazioni nella zona e
pochissime vetture che circolano, anche quelle che entrano, o escono,
dal Centro. L'edificio dove riposa Milosevic e' una grande
costruzione: un solido blocco in vetro-cemento, molto basso - solo tre
piani - ma molto largo. Non ci sono giornalisti ne' altri visitatori,
solo qualche cameraman per fare le riprese che saranno mandate in onda
al momento opportuno. E' infatti proprio da qui che nelle prossime
ore, molto probabilmente domani, l'ex leader jugoslavo fara' il suo
ultimo viaggio per Belgrado, dopo il via libera dato oggi dalla Corte
dell'Aja alla consegna della salma alla famiglia Milosevic, che sara'
rappresentata dal figlio, Marko.(ANSA). RIG
13/03/2006 19:28

MILOSEVIC: SI COMPLICA IL REBUS DEI FARMACI /ANSA

(dall'inviato Martino Rigacci) (ANSA) - L'AJA, 13 MAR - E' la
tossicologia la chiave di volta per cercare di comprendere le vere
cause della morte di Slobodan Milosevic: un esperto dell'Universita'
olandese di Groningen, Donald Uges, ha oggi confermato che nell'esame
del sangue di Slobo fatto tempo fa sono state rintracciati resti di
rifampicina, un antibiotico con uno spettro di azione molto ampio. Un
prodotto - precisano gli esperti - certo non leggero e che conferma
quella che e' una tesi della quale all'Aja si e' parlato (non solo dal
fronte dell'ex leader jugoslavo) fin dal primo momento, e cioe' che
nel sangue di Slobo ci fossero sostanze del tutto estranee alle cure
alle quali era sottosto da tempo. Ieri notte, la Corte dell'Aja aveva
confermato che l'ex uomo forte di Belgrado era morto per un ''infarto
del miocardio''. Il Tribunale non aveva pero' spiegato le cause della
crisi cardiaca, rinviando ad una data non precisata per conoscere la
parte tossicologica dell'autopsia. Risultati - ha oggi precisato la
Corte - che saranno noti nel corso della settimana. Le dichiarazioni
odierne di Uges hanno quindi rafforzato la tesi che probabilmente
Slobo assumeva in modo volontario (SIC ANSA) un farmaco che forse
metteva a rischio la terapia che seguiva per i problemi cardiaci.
Anche la ragione di fondo per la quale Uges ha fatto gli esami su
Slobo confermano che negli ultimi tempi al carcere di Scheveningen con
il 'detenuto' Milosevic c'era qualcosa che non andava (SIC ANSA). A
rivolgersi all'esperto di Groningen era infatti stato proprio il
Tribunale, per verificare per quale ragione la cura seguita da Slobo
non dava i risultati attesi. Nelle sue spiegazioni, Uges ha riferito
che la rifampincina e' un prodotto che, se si smette improvvisamente
di assumerlo, e si prende contemporaneamente una dose molto forte di
farmaci per far scendere la pressione arteriosa, puo' causare un
probabile abbassamento della pressione stessa: tanto da poter
provocare un infarto. ''Milosevic ha dovuto avere un consigliere molto
raffinato (SIC UGES) che gli ha fornito tutte queste informazioni'',
ha commentato il medico in un'intervista, precisando che Slobo
''probabilmente sperava che il Tpi gli permettesse di andare in Russia
a farsi curare'', per un viaggio di ''sola andata'': una conclusione,
quella di Uges, che certo esula dalla medicina, ma condivisa da molti
osservatori. C'e' pero' anche chi dissente, come il past president
dell'Associazione nazionale medici cardiologi ospedalieri (Anmco)
Alessandro Boccanelli, secondo il quale la la rifampincina non
presenta neppure effetti inibitori dei farmaci contro l'ipertensione
(SIC BOCCANELLI), patologia da cui era affetto Milosevic. Un famoso
cardiologo russo, Leo Bokeria, che era pronto ad accogliere Milosevic
a braccia aperte nella rinomata clinica moscovita da lui diretta, ha
invece lanciato un'accusa pesante: ''Milosevic e' deceduto perche' non
e' stato ben seguito, se aveva manifestato sintomi di infarto
bisognava fare una coronarografia. Si sarebbe cosi' scoperto quanto le
sue arterie si erano ristrette e si poteva allora intervenire con i
bypass, come si fa in dozzine di paesi''. La domanda che ci si pone
ora all'Aja e' comunque come ha fatto Slobo ad avere le pillole
'incriminate', che non facevano parte della cura da seguire (PER
ESEMPIO DROGANDOGLI LA DIETA, ndCNJ). Questo interrogativo rimanda
alle regole della Corte sulle visite ed i controlli per l'ingresso
nelle celle di Scheveningen. Gia' da ieri erano circolate voci sul
fatto che - durante una 'perquisizione' non annunciata fatta nella
cella di Milosevic lo scorso 12 gennaio - erano state trovate delle
medicine non prescritte. Di fronte a questi dubbi, fonti della Corte
si limitano a ricordare quelle che sono le norme interne del Tpi:
vengono controllati solo i familiari dei detenuti, non i
rappresentanti legali oppure i diplomatici. CORPO IN PATRIA. In attesa
che si chiariscano questi lati oscuri, all'Aja e' atteso Marko
Milosevic, il figlio di Slobo che sara' il rappresentante della
famiglia al quale le autorita' olandesi consegnaranno la salma dell'ex
presidente jugoslavo. Secondo le ultime notizie, Marko dovrebbe
arrivare domani per riportare la salma del padre in patria: e non
sara' l'unico a giungere all'Aja, visto che da Mosca arriveranno anche
degli esperti patologi. La Russia ha infatti detto chiaramente che non
si fida dell'autopsia realizzata in Olanda. Anche da morto - ed e'
solo l'inizio - Slobo riesce a creare delle accese contrapposizioni
politiche. Per non parlare delle polemiche e dei contrasti che gia'
spuntano in Serbia. (ANSA) RIG
13/03/2006 20:55

MILOSEVIC: PATOLOGI RUSSI ESAMINERANNO FOTO (sic) AUTOPSIA SALMA

(ANSA) - L'AJA, 14 MAR - I patologi russi giunti oggi in Olanda da
Mosca potranno vedere ''delle immagini e delle fotografie''
dell'autopsia realizzata sul cadavere di Slobodan Milosevic domenica
scorsa. Lo ha riferito un portavoce dell'istituto forense olandese
dell'Aja, dove si trova da sabato la salma dell'ex leader
jugoslavo.(ANSA). RIG
14/03/2006 11:55

+++MILOSEVIC: TPI, CON MORTE IMPUTATO PROCESSO E' FINITO+++

(ANSA) - L'AJA, 14 MAR - Con la morte di Slobodan Milosevic il
processo contro l'ex presidente jugoslavo ''si e' concluso''. Lo ha
dichiarato oggi il presidente della Corte, Patrich Robinson, che stava
portando avanti il procedimento giudiziario contro l'ex leader
jugoslavo al Tribunale penale internazionale dell'Aja. L'udienza e'
durata solo pochi minuti ed e' stata subito chiusa, dopo la
dichiarazione di Robinson.(ANSA). RIG-LEN
14/03/2006 09:16

MILOSEVIC: TPI, CON MORTE IMPUTATO PROCESSO E' FINITO (2)

(ANSA) - L'AJA, 14 MAR - All'udienza lampo, iniziata poco dopo le nove
alla Corte dell'Aja erano presenti fra gli altri il procuratore capo
del Tribunale, Carla Del Ponte, e il consigliere legale di Milosevic,
Zdenko Tomanovic. La morte di Milosevic ''ha privato non solo lui ma
tutte le parti interessate'' del verdetto del giudizio, ha
sottolineato il giudice Robinson precisando che ''la sua morte chiude
il processo''. Milosevic, trovato morto sabato mattina nella sua cella
al carcere della Corte, era accusato di genocidio, crimini di guerra,
crimini contro l'umanita' per le sue responsabilita' durante i
conflitti dei Balcani nei primi anni novanta.(ANSA). RIG-LEN
14/03/2006 09:37

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www.radioyu.org
15.03.2006. 17:07

La Duma statale russa ha approvato unanimemente un documento in cui si
è adoperata per un'urgente abolizione del Tribunale dell'Aja e per
l'interruzione di tutti i processi davanti a questo tribunale. Nel
documento, approvato dopo la morte dell'ex presidente della Serbia e
della Repubblica Federale di Jugoslavia Slobodan Milosevic, i deputati
hanno valutato che il Tribunale non ha dimostrato la necessità della
propria esistenza e che il suo ulteriore funzionamento ha perso ogni
senso. La Duma russa valuta che le decisioni prese dal Tribunale siano
caratterizzate da un assoluta politicizzazione ed imparzialità e che
duplici standard siano diventati la norma lavorativa di questo
tribunale. È assolutamente inaccettabile la grave trasgressione dei
diritti umani nella detenzione del Tribunale, cosa che si è dimostrata
anche attraverso nell'insufficiente assistenza medica ai detenuti,
viene sottolineato nel documento. I deputati della Duma ricordano che
la morte di Milosevic non è la prima fra i detenuti serbi.

18.03.2006. 17:31
Piu' di centomila persone si sono radunate oggi davanti all'Assemblea
della Serbia e Montenegro, nel pieno centro di Belgrado, dove sotto un
padiglione era esposta la bara con la salma dell'ex presidente della
Serbia e la Jugoslavia, Slobodan Milosevic. Attorno alla bara, durante
la cerimonia funebre, stavano sempre le guardie d' onore. Oltre agli
alti funzionari del Partito socialista, del quale Milosevic era il
presidente, sulla tribuna c'erano anche gli alti esponenti del Partito
radicale, molti deputati della Duma russa, e i membri del Comitato
internazionale per la difesa di Slobodan Milosevic. Konstantin
Kosacov, il capo del Comitato per la politica estera della Duma, il
parlamento russo, ha detto che la morte di Slobodan Milosevic non
causera' un ribaltamento radicale nella vita politica della Serbia,
aggiungendo comunque che l'atteggiamento negativo dell'Occidente nei
confronti della Serbia potrebbe suscitare la radicalizzazione dei
sentimenti politici nella societa' serba. Il vice presidente del
Comitato internazionale per la difesa di Slobodan Milosevic, il
bulgaro Velko Vlaknov, nel suo discorso ha sottolineato che la morte
precoce di Milosevic ha suscitato la commozione e la rabbia, perche'
il presidente Milosevic e' stato ucciso, e non e' morto di una
malattia naturale. Vlaknov ha accusato i giudici del Tribunale
dell'Aia di averlo ucciso, perche' non erano in grado di condannarlo
in un processo regolare. Il vice presidente della Duma russa Sergej
Baburin, nel suo discorso ha dichiarato che i colpevoli della morte
dell'ex presidente della Serbia e la Jugoslavia devono essere puniti,
e che i detenuti nella prigione dell'Aia devono essere liberati. Il
presidente del Comitato internazionale per la difesa di Slobodan
Milosevic, l'ex procuratore generale degli Stati Uniti ( ex ministro
della giustizia ) Ramsy Clark ha ricordato che l'Occidente era fermo
nella sua decisione di isolare la Jugoslavia, di farla a pezzi e di
imporle la sua volontà, e che il presidente Milosevic si e' opposto a
questa decisione. L'ideologo e uno dei fondatori del partito
socialista Mihajlo Markovic ha valutato che il peccato mortale di
Milosevic era la sua decisione di non piegarsi davanti alla forza dei
potenti, i quali chiedevano l'assoluta obbedienza e la dominazione
coloniale. Il segretario generale del Partito radicale Aleksandar
Vucic ha letto l'ultimo messaggio del presidente del partito Vojislav
Seselj, dal carcere del Tribunae dell'Aia, nel quale è stato
sottolineato che il popolo saprà rispettare il sacrificio di
Milosevic. Il vice presidente del Partito socialista Milorad Vucelic,
nel suo discorso tenuto alla fine della cerimonia commemorativa, ha
dichiarato che la morte di Slobodan Milosevic è il biglietto
d'entrata nella storia scritta dal popolo serbo.

18.03.2006. 17:18

Il capo del Comitato per la politica estera della Duma russa
Konstantin Kosacev ha valutato che la morte di Slobodan Milosevic non
causera' la ribalta radicale della vita politica in Serbia,
aggiungendo comunque che l'atteggiamento dell'Occidente nei confronti
della Serbia potrebbe causare la radicalizzazione dei sentimenti
politici nella societa' serba. »Mi pare che l'Occidente,
sottovalutando l'atteggiamento e gli interessi della Serbia riguardo
alla questione kosovara, passando sotto silenzio la distruzione e il
saccheggio dei monasteri e i monumenti serbi, rallentando
continuamente il processo dell'integrazione della Serbia nella
Comunita' Europea, e negando ogni aiuto, otterra' i risultati migliori
nella radicalizzazione dei sentimenti politci dei serbi, di quanto non
l'abbia fatto la morte di Milosevic, ha dichiarato Konstantin Kosacov.


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MILOSEVIC: DEPUTATI RUSSI PER INCHIESTA INTERNAZIONALE

(ANSA) - MOSCA, 14 MAR - Con una risoluzione approvata all' unanimita'
i deputati russi hanno chiesto oggi l'apertura di una inchiesta
internazionale ''indipendente'' sulle circostanze della morte dell'ex
presidente jugoslavo Slobodan Milosevic e hanno definito
''inopportuna'' l'ulteriore esistenza del Tribunale internazionale
dell'Aja sull'ex Jugoslavia (Tpi). In aula al momento del voto della
risoluzione erano presenti 432 deputati. Si intitoli una strada di San
Pietroburgo a Slobodan Milosevic, ''caduto tragicamente dietro le
sbarre del cosidetto tribunale dell'Aja'': lo chiedono a gran voce i
comunisti dell'ex-capitale zarista, in una lettera aperta alla
governatrice della regione Valentina Matvienko e al presidente
Vladimir Putin. Principale forza di opposizione, i comunisti russi
stanno difendendo a spada tratta l'ex-presidente jugoslavo al punto da
inserirlo nello stesso Pantheon dove venerano Gramsci, Allende, Lenin
e Che Guevara. Hanno anche individuato la strada da ribattezzare cosi'
da ''immortalare la memoria'' del defunto leader serbo: via Belgrado.
Nell'appello a Putin e alla Matvienko si chiede anche che nel parco
vicino all'attuale via Belgrado sia eretto un busto di Milosevic. I
comunisti di San Pietroburgo si dicono convinte che la loro proposta
sara' sostenuta da ''tutte le persone oneste della Russia e
dell'Europa''. (ANSA). LQ (ANSA). LQ
15/03/2006 10:48

MILOSEVIC: DEPUTATI RUSSI PER INCHIESTA INTERNAZIONALE (2)

(ANSA) - MOSCA, 15 MAR - A giudizio dei parlamentari russi il
tribunale dell'Aja ha emesso sentenze ''completamente politicizzate e
di parte'' e ha usato ''il doppio standard come norma del suo
lavoro''. La risoluzione della Duma chiede che i casi sotto esame
vengano chiusi ''nel piu' breve tempo possibile'' e che ''l'ulteriore
esistenza del tribunale sia dichiarata inopportuna''. I deputati russi
manderanno la risoluzione ai Paesi della Nato e al tribunale, che
''sono responsabili di gravi violazioni delle leggi umanitarie
internazionali commesse sul territorio del'ex Jugoslavia dopo il
1991''. (ANSA). LQ
15/03/2006 10:49

MILOSEVIC: PRESIDENTE TPI,DOCUMENTI PROCESSO SIANO RESI NOTI

(ANSA) - L'AJA, 15 MAR - Il presidente del Tribunale penale
internazionale sull'ex Jugoslavia, l'italiano Fausto Pocar, ha chiesto
ai giudici del processo contro Slobodan Milosevic che alcuni documenti
finora segreti di tale procedimento giudiziario possano essere viste
dagli esperti delle due inchieste in corso sulla morte dell'ex
presidente jugoslavo. Lo ha sottolineato in una richiesta resa nota
oggi all'Aja lo stesso giudice italiano, precisando che la camera che
portava avanti il processo contro Milosevic dovrebbe ora ''modificare,
o abolire, le misure di protezione poste per alcuni dei documenti del
dossier Milosevic''. Subito dopo la morte dell'ex leader jugoslavo,
sono scattate all'Aja due indagini per accertare le cause del decesso:
la prima da parte delle autorita' olandesi, la seconda interna alla
Corte dell'Aja, disposta dallo stesso Pocar, che si sta svolgendo
sotto la responsabilita' del vice-presidente del Tpi, il giudice Kevin
Parker. E' probabile che fra i ''documenti confidenziali'' dei quali
Pocar chiede l'accesso alle indagini ci siano i risultati delle
analisi medici realizzate su Milosevic negli ultimi mesi. (ANSA) RIG
15/03/2006 12:25

MILOSEVIC: DEDICHIAMOGLI STRADA SAN PIETROBURGO, COMUNISTI

(ANSA) - MOSCA, 15 MAR - Si intitoli una strada di San Pietroburgo a
Slobodan Milosevic, ''caduto tragicamente dietro le sbarre del
cosidetto tribunale dell'Aja'': lo chiedono a gran voce i comunisti
dell'ex-capitale zarista, in una lettera aperta alla governatrice
della regione Valentina Matvienko e al presidente Vladimir Putin.
Principale forza di opposizione, i comunisti russi stanno difendendo a
spada tratta l'ex-presidente jugoslavo al punto da inserirlo nello
stesso Pantheon dove venerano Gramsci, Allende, Lenin e Che Guevara.
Hanno anche individuato la strada da ribattezzare cosi' da
''immortalare la memoria'' del defunto leader serbo: via Belgrado.
Nell'appello a Putin e alla Matvienko si chiede anche che nel parco
vicino all'attuale via Belgrado sia eretto un busto di Milosevic. I
comunisti di San Pietroburgo si dicono convinte che la loro proposta
sara' sostenuta da ''tutte le persone oneste della Russia e
dell'Europa''. (ANSA). LQ
15/03/2006 13:56

MILOSEVIC: TPI CERCA DI NASCONDERE SUE COLPE, AVVOCATI

(ANSA) - BELGRADO, 17 MAR - Alcuni degli avvocati di Slobodan
Milosevic hanno accusato oggi il Tribunale penale internazionale
dell'Aja (Tpi) di essere impegnato a ''cercare di cancellare le
tracce'' delle proprie colpe per la morte dell'ex presidente serbo e
jugoslavo, avvenuta nel carcere olandese di Scheveningen sabato
scorso. Parlando a nome anche di altri legali, l'avvocato Branko Rakic
ha sottolineato che non ci sono prove per dire che Milosevic sia stato
ucciso, ma ha aggiunto che gli organismi giudiziari dell'Aja sono
responsabili di non avergli garantito l'assistenza medica necessaria.
E cercano ora di giustificarsi tentando di spacciare la versione
secondo cui Slobo avrebbe assunto deliberatemente rifampicina -
sostanza di cui finora non si e' trovata peraltro traccia negli esami
- per peggiorare le sue condizioni di salute nella speranza di essere
scarcerato. ''Noi non possiamo dire che Milosevic sia stato
assassinato - ha detto Rakic a Belgrado -, ma e' chiaro che ci sono
state alcune negligenze, in conseguenza delle quali egli e' morto''.
Secondo il legale, i vertici del Tpi dopo l'accaduto ''si sono fatti
prendere dal panico e cercano ora di cancellare le tracce delle loro
responsabilita'''. Responsabilita' che a giudizio di Rakic sono legate
innanzi tutto al fatto di aver ''rifiutato a Milosevic le cure'' che
egli aveva chiesto - sollecitando negli ultimi mesi di essere
trasferito in un centro cardiologico specializzato a Mosca - e di cui
''aveva bisogno''. (ANSA). LR
17/03/2006 17:32

MILOSEVIC: CERTEZZE SU MORTE, INTERROGATIVI SU CARCERE/ANSA

(ANSA) - L'AJA, 17 MAR - Dopo una lunga serie di misteri, sulle cause
della morte di Slobodan Milosevic alla Corte dell'Aja e' l'ora delle
certezze. Il presidente del Tpi, l'italiano Fausto Pocar, ha reso noto
che l'ex presidente jugoslavo non solo non e' stato avvelenato, ma che
nel suo sangue non c'erano tracce di farmaci strani. Le dichiarazioni
fatte oggi in una conferenza stampa al Tpi sono giunte una settimana
dopo la morte del sessantaquattrenne Slobo: e sono stati annunci che
hanno chiuso gli interrogativi sulle vere cause del decesso, aprendo
pero' una serie di quesiti sul funzionamento del carcere di
Sheveningen, dove sabato scorso l'ex presidente jugoslavo e' stato
trovato senza vita. TOSSICOLOGIA. In un incontro con la stampa insieme
al cancelliere della Corte, Hans Holthius, Pocar ha letto un rapporto
che in sostanza rileva tre punti chiave: dai risultati ''preliminari''
dell'esame tossicologico non risultano tracce di ''avvelenamento'' ne'
del farmaco ''rifampincina'', mentre ci sono resti di ''medicine
prescritte, ma - ha precisato il giudice - non a livelli di
concentrazione tossica''. Nel sangue di Slobo non c'erano quindi
tracce di rifampincina, il potente antibiotico che avrebbe potuto
neutralizzare gli effetti dei farmaci prescritti che Milosevic
prendeva, visto che oramai da anni soffriva di problemi cardiaci e di
ipertensione. Sempre in merito alla rifampincina, il cancelliere
Holthius ha precisato che resti del prodotto erano stati trovati in
un' analisi realizzata precedentemente, ma non in quelle portate a
termine domenica, in parallelo con l'autopsia. Lo stesso Holthius ha
tenuto a precisare che le tracce della rifampincina scompariscono (SIC
ANSA) dal sangue ''molto rapidamente'', e cioe' in uno o due giorni.
Anche se per i risultati definitivi delle analisi bisognera' attendere
ancora qualche giorno, rimane il fatto che molto probabilmente (SIC)
Milosevic e' morto per un infarto del miocardio, visto che soffriva di
due lesioni cardiache: proprio come aveva stabilito fin dal primo
momento l'autopsia. CARCERE SOTTO LENTE INGRANDIMENTO. Oltre a quello
del 'dossier' tossicologico, l'altro tema affrontato nella conferenza
stampa e' stato quello del funzionamento del centro di detenzione di
Scheveningen, dove Milosevic si trovava fin dal suo arrivo da Belgrado
nel giugno del 2001. Confermando le voci circolate all'Aja questi
ultimi giorni, Holthius ha ammesso che nel gennaio scorso, nella cella
di Slobo vennero scoperti dei ''prodotti introdotti'' nel carcere
furtivamente. Di fronte al pressing dei cronisti, Holthius non ha
d'altra parte saputo spiegare come Slobo abbia potuto avere nella sua
cella medicinali non prescritti, e forse anche bibite alcoliche. Il
fatto quindi che il detenuto piu' illustre del carcere abbia avuto a
disposizione materiale teoricamente non ammesso nel carcere getta
delle ombre sul funzionamento ed i regolamenti in vigore a
Scheveningen. Pur sottolineando la ''professionalita''' del personale
della prigione, Pocar ha fatto sapere di aver disposto ''un'audit'
esterno'' sul funzionamento del centro di detenzione, al fine di
''assicurare la massima trasparenza'': in un modo o in un altro, sulla
morte di Slobo all'Aja ci sono ancora molti punti oscuri. (ANSA) RIG
17/03/2006 18:28

MILOSEVIC: CANCELLI APERTI DA OGGI IN 'MAUSOLEO' POZAREVAC

(ANSA) - POZAREVAC (SERBIA), 19 MAR - Cancelli aperti e prime visite,
da oggi, nel giardino della villa di famiglia di Pozarevac (Serbia
centrale) laddove ieri e' stata tumulata la salma dell'ex presidente
jugoslavo Slobodan Milosevic alla presenza di diverse decine di
migliaia di fedeli. In fila, stamattina, soprattutto concittadini
dell'uomo che fu al potere a Belgrado nel decennio del sanguinoso
tracollo della ex Jugoslavia e che e' morto una settimana fa nel
carcere olandese del tribunale internazionale dell'Aja (Tpi) chiamato
a giudicare i crimini di guerra degli anni '90. Una figura controversa
e che tuttavia, nel giorno dell'ultimo saluto, si e' riproposta come
simbolo per una certa Serbia profonda, scesa in strada ieri per una
cerimonia funebre trasformatasi in atto di accusa contro il Tpi, gli
Usa, l'Occidente in genere. Una Serbia che nega le responsabilita' del
vecchio regime nei conflitti di Croazia, Bosnia e Kosovo, ed e'
tornata a inneggiare a 'Slobo' come a ''un eroe della difesa della
nazione'' slava e ''della lotta all'imperialismo''. Precedute da due
giorni di esibizione del feretro nei locali del periferico ex Museo
della Rivoluzione, a Belgrado, le esequie - senza alcun onore di Stato
- si sono svolte ieri in due fasi. Dapprima la salma e' stata portata
di fronte alle sede del parlamento federale dove secondo la polizia si
sono riunite 80.000 persone (50.000 stando ad altre fonti, mezzo
milione secondo l'inattendibile calcolo degli organizzatori). Una
folla composta soprattutto da anziani e gente di mezza eta', militanti
nostalgici del Partito socialista (ex comunista) di Milosevic (Sps) e
ultranazionalisti del Partito radicale (Srs), ai quale si sono rivolti
per le orazioni funebri vecchi compagni del defunto e alcuni ospiti
stranieri: comunisti e nazionalisti russi e bulgari in particolare,
oltre all'eccentrico (SIC ANSA) segretario alla giustizia americano
dell'era Carter, Ramsey Clark. Successivamente il corteo si e'
spostato a Pozarevac, cittadina natale di Milosevic a 80 chilometri
dalla capitale, dove l'ex leader e' stato inumato - presenti ancora
70-80.000 persone - in un clima di commozione, sotto una lastra di
marmo ricoperta poi da corone di fiori. Alle esequie non ha
partecipato la famiglia: la moglie Mirjana Markovic e il figlio Marko,
entrambi rifugiati in Russia e alle prese con problemi giudiziari in
patria, hanno inviato l'estremo saluto in due missive nelle quali
hanno accusato le attuali autorita' serbe di tradimento e di
minacciare addirittura la loro vita. La figlia Marija, da parte sua,
e' rimasta in Montenegro, dove vive, poiche' contraria alla sepoltura
paterna in Serbia. (ANSA). LR
19/03/2006 07:14







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IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
Il j'accuse di Slobodan Milosevic
di fronte al "Tribunale ad hoc" dell'Aia"
(Ed. Zambon 2005, 10 euro)

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Adolfo Amoroso, ROMA, causale: DIFESA MILOSEVIC ***
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http://www.un.org/icty/transe54/transe54.htm (IN ENGLISH)
http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm (EN FRANCAIS)

From: icdsm-italia
Subject: [icdsm-italia] Diamo a Milosevic quel che e’ di Milosevic
Date: March 21, 2006 10:03:03 AM GMT+01:00
To: icdsm-italia @yahoogroups.com


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www.resistenze.org - pensiero resistente - editoriali - 19-03-06

"Diamo a Milosevic quel che e' di Milosevic..."


di Marcello Graziosi e Enrico Vigna


Slobodan Milosevic è morto, nel corso di un processo illegale,
organizzato da un tribunale illegale nel cuore dell'Europa, senza
poter godere di alcuno dei diritti che la grande maggioranza delle
legislazioni europee riserva ai detenuti. Si discuterà forse per mesi
di infarto, suicidio, avvelenamento, ma quello che colpisce è
l'arroganza politica e "burocratica" mostrata dal Tribunale Penale
Internazionale dell'Aja, un organo del tutto illegale ed illegittimo,
creato sotto le pressioni USA e NATO e non contemplato dalla Carta
dell'ONU; un organo politico più che giuridico finanziato dagli USA e
da soggetti privati come Soros, che da anni lavorano alla
destabilizzazione di quegli stati che ostacolano i disegni
geostrategici dell'imperialismo statunitense come europeo, a partire,
proprio in queste settimane, dalla Repubblica di Bielorussia.

Il TPI ha violato nelle sue stesse procedure tutti i principi del
diritto internazionale, avendo formulato proprie leggi e propri
regolamenti, modificabili nel corso dei procedimenti con la sola
delibera del suo Presidente o del Procuratore; avendo la facoltà di
rifiutare a proprio arbitrio gli avvocati od i testimoni della difesa
e decretare contemporaneamente l'attendibilità di testimoni
sconosciuti e non contro-interrogabili, come di negare la
consultazione degli atti d'accusa, e via dicendo. Una moderna
Inquisizione.

La reazione stizzita della signora Carla del Ponte è comprensibile,
odiosa ma comprensibile, perché il TPI non è riuscito a piegare ed
umiliare l'imputato Milosevic, non è riuscito a scaricare sull'ex
presidente jugoslavo e sul popolo serbo le responsabilità delle tante
guerre balcaniche seguite ai disegni secessionisti di Slovenia e
Croazia. Nonostante una campagna di stampa capillare, che in questi
giorni è ripresa in grande stile, il TPI non è riuscito a riscrivere
in maniera unilaterale la storia di quegli anni terribili, fallendo di
fatto nella missione che gli era stata affidata dalle autorità di
Washington e Bruxelles. Sullo stesso processo a Milosevic, partito in
mondovisione, è calato gradatamente un silenzio impenetrabile e
misterioso da parte dei grandi mezzi di comunicazione, grazie
soprattutto alla caparbietà mostrata dall'imputato nel difendersi e
nel contrattaccare. Il solo rimpianto è non poter vedere Clinton, la
signora Albright, Solana, D'Alema, Fischer e tanti altri protagonisti
esterni delle tragedie jugoslave alla sbarra.

Sono stati spesi milioni di euro, è stata setacciata mezza Serbia in
una gigantesca caccia alle streghe, sono state prodotte decine di
milioni di pagine di atti di accusa, sono stati ricattati e minacciati
testimoni, imputati, avvocati nel tentativo di ostacolare la verità.
Nonostante questo, dopo quasi 5 anni, a 37 ore dalla fine del
dibattimento, Milosevic è morto ed il Tribunale si è trovato con un
pugno di mosche in mano. L'impianto accusatorio, che conteneva
evidenti elementi di strumentalità sul piano politico, non ha retto al
confronto con l'ex presidente, deciso a difendersi fino alla fine, a
sostegno del quale si sono mobilitati avvocati e giuristi
internazionali, accademici del diritto, giudici, deputati europei e di
diversi altri paesi del mondo. Alcuni, come Ramsey Clark, ex ministro
della Giustizia USA e tra i fondatori nel 2001 del "Comitato
Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic", non si sono
schierati sulla base di simpatie partitiche ma come un atto di
resistenza e di giustizia contro l'arroganza e la cancellazione
progressiva del concetto stesso di diritto internazionale, come fin
qui riconosciuto a partire dalla Carta dell'ONU, da parte degli USA e
della NATO. E' del tutto evidente che la sentenza a carico di
Milosevic era già stata emessa all'inizio del processo, e nessun
elemento eventualmente emerso nel corso del dibattimento avrebbe
potuto modificare questa condizione: i finanziatori del Tribunale
hanno pagato per ottenere la condanna politica di Milosevic e degli
altri imputati serbi. Punto e basta.

Il 30 ottobre 2005 lo stesso Milosevic ha osservato con grande
realismo: "...se questo Tribunale per quanto illegale, riesce anche a
ignorare le falsità clamorose contenute negli atti di incriminazione…
tanto vale che leggiate la sentenza contro di me, la sentenza che
siete stati istruiti ad emettere… Se la Corte non si rende conto
dell'assurdità del rinvio a giudizio letto ieri in aula, dove si
sostiene che la Jugoslavia non è stata vittima di un attacco della
NATO, ma ha aggredito sé stessa, è consigliabile risparmiare tempo e
passare direttamente alla sentenza. Leggetela e non mi annoiate...".

Su una cosa, per la verità, sussistono pochi dubbi: la morte di
Milosevic è avvenuta alla vigilia di avvenimenti che potrebbero
incendiare di nuovo l'intera penisola balcanica, alla vigilia di
nuove, probabili mortificazioni ed umiliazioni per il popolo e la
nazione serbi, mentre emergono con sempre maggiore nettezza le enormi
responsabilità dei contingenti di occupazione NATO e dei rispettivi
governi. Il 21 maggio il Montenegro voterà il referendum per la
probabile secessione dalla federazione con la Serbia, completando così
il quadro di disgregazione dei territori della ex-Jugoslavia, mentre
tra pochi mesi il Kosovo potrebbe non essere più nemmeno formalmente
una provincia autonoma serba. Un duplice, ulteriore schiaffo per un
popolo che ha subito più di ogni altro la disgregazione della
ex-Jugoslavia, vittima di un embargo terrorista, di 78 giorni di
pesanti bombardamenti, di un vero e proprio colpo di stato (ottobre
2000) con rischi concreti di guerra civile. Un popolo che ha sofferto
e pagato duramente le politiche imperialiste di espansione ad est
della NATO e del "blocco occidentale" dalla metà degli anni '80 del
secolo scorso ad oggi. Nel 1984 gli Stati Uniti hanno deciso di
sfruttare le contraddizioni e le debolezze di quella che era la
Repubblica Socialista Federale Jugoslava per liquidare, a qualsiasi
costo, il "socialismo di mercato" come parte di quell'offensiva che
avrebbe travolto anche l'Unione Sovietica e l'intero blocco
socialista. Non sono stati i serbi a destabilizzare la Jugoslavia ed a
muovere guerra a sloveni e croati, pur potendo essere discutibili
alcune scelte operate dallo stesso Milosevic a partire dal 1989,
quando però altri e più pericolosi nazionalismi erano cresciuti grazie
a potenti appoggi esterni. Per conferma basterebbe chiedere tanto
all'attuale presidente croato Mesic, tra gli autori della famigerata
"Operazione Tempesta", un'operazione in grande stile contro le
popolazioni serbe e rom residenti in Croazia, quanto, se fosse ancora
in vita, all'ex presidente bosniaco Izetbegovic, musulmano
secessionista, criminale di guerra e stretto alleato dell'Occidente.

Nessuno si ricorda dei serbi di Kraijna e Slavonia, delle vittime
civili serbe di Srebrenica. Nessuno si ricorda di Fikret Abdic, che ha
combattuto con le sue forze musulmane nella Zapadna Bosna a fianco
dell'Armata Jugoslava contro i secessionisti di Izetbegovic. Nessuno,
oggi, difende i serbi che tentano disperatamente di sopravvivere nelle
enclavi kosovare dopo la pulizia etnica subita dai fascisti dell'Uçk,
amici ed alleati della NATO?

Nei Balcani si staglia il profilo politico dell'Unione Europea,
imperialista e subalterna agli USA, forte con i deboli e debole con i
forti. Un'Europa che ha fatto la scelta strategica di sostenere a
piene mani le forze e le istanze più reazionarie.

Se, da una parte, la Croazia governata dai nipotini di Pavelic,
Stepinac e del "padre della patria" Tudjman, che ha le maggiori
responsabilità nelle guerre che hanno insanguinato la ex-Jugoslavia
(dalla cacciata dei serbi, al intervento diretto nel conflitto
bosniaco, alle politiche di assimilazione in Erzegovina), potrebbe
negoziare l'ingresso nell'Unione Europea, dall'altra la Serbia,
nazione nemica dell'Occidente, è destinata a subire un nuovo scacco,
l'ennesimo.

Milosevic muore all'Aja, mentre le bande fasciste del criminale di
guerra Ceku governano il Kosovo e si rendono protagoniste di una
spietata pulizia etnica, nel silenzio assordante di tutte le
istituzioni ed organizzazioni europee ed internazionali, a danno di
tutti coloro, anche albanesi, che tentano di contrastarne l'egemonia.
Non la pulizia etnica utilizzata per giustificare la "guerra
umanitaria" della primavera 1999, vera come le armi di distruzione di
massa di Saddam (a partire dalla supposta strage di Racak, una sorta
di "reality show" allestito ad uso e consumo delle titubanti opinioni
pubbliche occidentali), ma un vero e proprio progetto di annullamento
dell'identità nazionale serba e multietnica nella provincia. Una
politica apertamente fascista sostenuta dalla NATO, così come un
futuro Kosovo indipendente segnerebbe senza alcun dubbio una vittoria
postuma per Mussolini ed il fascismo italiano. Una vergogna,
un'infamia della quale dovrebbero rispondere davanti al mondo tutti i
governi europei, incluso il governo D'Alema.

Non è su questa strada che si potrà costruire un futuro di pace in
questa tormentata e tribolata parte di Europa. Nuovi rancori sono
destinati a covare sotto la cenere, con esiti potenzialmente
drammatici per l'intera comunità internazionale.

Pristina, Podgorica, la stessa Albania "democratica e moderna" sono
diventati il centro di ogni sorta di traffici illeciti, dalle armi
alla prostituzione, dalla droga all'immigrazione clandestina, alle
sigarette (chi ricorda la fatidica "retata" della polizia a Napoli con
arresto dell'allora ministro degli esteri montenegrino?), ma le
istituzioni europee preferiscono concentrarsi sulla destabilizzazione
"umanitaria" di Bielorussia e Transnistria, nel tentativo di portare a
termine l'ennesima umiliazione per la Russia. Uno dei tanti strumenti
per far sapere a Putin che disturbare il manovratore è rischioso.

Milosevic ha disturbato il manovratore, ha tentato di impedire la
penetrazione imperialista nei Balcani ed ha pagato con la vita. Dopo
aver tentato di fermare la disgregazione della federazione jugoslava,
funzionale ai disegni di Stati Uniti ed Unione Europea, Milosevic ha
evitato di prendere parte direttamente alla guerra in Bosnia
(contrariamente all'esercito fascista croato), ricoprendo un ruolo
importante nella chiusura degli Accordi di Dayton, sottoscritti anche
facendo pressioni sui serbi di Bosnia.

Nonostante questo, l'ex presidente jugoslavo continuava ad essere
definito "macellaio".

Egli ha tentato di governare il proprio paese (la "mini" Jugoslavia),
il solo multietnico dell'area, perseguendo un modello di sviluppo
originale, in grado di salvaguardare la transizione al mercato con
l'intervento pubblico in economia ed un forte stato sociale, aprendo
così un durissimo contenzioso con Fondo Monetario e Banca Mondiale.
Una "mini" Jugoslavia sovrana, con una collocazione autonoma sul piano
internazionale ed una marcata propensione anti-atlantica,
continuatrice della tradizione del "non-allineamento".

Una "mini-Jugoslavia" multipartitica, dove l'opposizione governava dal
1996 la maggior parte delle grandi città, inclusa Belgrado (nel
"regime" della RFJ vi erano 186 partiti legalmente riconosciuti, 78
reti televisive ed 87 radio private, il 75% delle quali finanziate
dall'occidente, oltre a decine di quotidiani di opposizione).
Nonostante questo, in Occidente Milosevic è stato e rimane un
"dittatore": una ben strana dittatura davvero quella che ha governato
Belgrado fino all'ottobre 2000.

La Repubblica Federale Jugoslava (oggi Unione serbo-montenegrina)
costituiva in realtà un'esperienza anomala, non allineata e troppo
indipendente, anche rispetto alla deriva moderata delle
socialdemocrazie europee (soprattutto occidentali), un pericoloso
precedente da cancellare con ogni mezzo. In teoria e, purtroppo, anche
in pratica: dai bombardamenti al golpe dell'ottobre 2000, benedetto
anche dalla sinistra radicale italiana (da "Belgrado ride"
all'entusiasmo per la caduta del "Muro di Belgrado"). Dall'ottobre
2000 non esistono in Serbia quotidiani o televisioni di opposizione,
mentre le condizioni di vita e di lavoro delle masse popolari sono
drasticamente peggiorate. Un gran bel risultato davvero.

Il popolo serbo ricorda in queste ore il suo ex Presidente, con lunghe
code nelle Federazioni del Partito Socialista Serbo, al Museo della
Resistenza di Tito e con veglie nelle chiese ortodosse, dalla Serbia
alle enclavi del Kosovo, alla Bosnia serba.

All'interno del quadro politico serbo si è aperto, intanto, un braccio
di ferro sulla sepoltura in patria. Contro si sono schierati i settori
più aggressivi della ex opposizione, una volta legati a Djindjic ed
oggi al presidente Tadic, filo-atlantici e legati a doppie mani
all'Occidente; a favore il presidente Kostunica esponente di una
borghesia nazionale non in sintonia con le borghesie compradore nel
cartello delle opposizioni, già frantumatosi miseramente, il quale
cerca con molte contraddizioni, almeno di difendere la sovranità e
l'autonomia della Serbia nel quadro balcanico ed internazionale,
sostenuto in questo da socialisti e radicali. Conclusione: i funerali
di Milosevic si terranno sabato 18 marzo a Pozarevac, suo paese natale.

"Io sono il vincitore morale! – ha detto Milosevic all'Aia il 30
ottobre 2001-. Io sono fiero di ogni cosa da me fatta, perché sempre
fatta per il mio popolo ed il mio paese, ed in modo onesto. Io ho solo
esercitato il diritto di ogni cittadino a difendere il proprio paese,
e questo è il vero motivo per cui mi hanno illegalmente arrestato. Se
voi state cercando dei criminali di guerra l'indirizzo non è qui a
Scheveningen (il carcere olandese dov'era detenuto, Ndt) ma al
Quartier Generale della Nato e nelle capitali occidentali, dove è
stata pianificata la distruzione del mio paese, la Jugoslavia, e del
mio popolo... Noi non abbiamo attaccato o aggredito nessuno, ma ci
hanno costretto a combattere a casa nostra, per difendere il nostro
paese e la nostra terra...
Questo abbiamo fatto e lo rifaremmo perché questa non è un'infamia ma
un onore per qualsiasi popolo e uomo...".








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IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
Il j'accuse di Slobodan Milosevic
di fronte al "Tribunale ad hoc" dell'Aia"
(Ed. Zambon 2005, 10 euro)

Tutte le informazioni sul libro, appena uscito, alle pagine:
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Adolfo Amoroso, ROMA, causale: DIFESA MILOSEVIC ***
LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
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http://www.un.org/icty/transf54/transf54.htm (EN FRANCAIS)

da Mauro Gemma riceviamo e volentieri giriamo:


Elezioni presidenziali in Bielorussia: i primi risultati

Si profila una schiacciante vittoria di Lukashenko già al primo turno


Mentre ci accingiamo a chiudere il numero di "Nuove Resistenti",
vengono resi noti i primissimi risultati delle elezioni presidenziali
svoltesi oggi in Bielorussia Gli exit-poll e lo spoglio dei voti nelle
prime sezioni elettorali (in questo momento un quarto circa, con l'88%
delle preferenze a Lukashenko) sembrano confermare le previsioni
della vigilia.

Il presidente in carica Aleksander Lukashenko non solo verrebbe
riconfermato al primo turno, ma raccoglierebbe sul suo nome e attorno
al suo programma l'81,8 %, la schiacciante maggioranza dei voti
attribuiti da quasi il 90% dei 7 milioni di cittadini bielorussi che
erano chiamati alle urne. Un vero e proprio plebiscito.

Per i suoi concorrenti e per i loro sponsor occidentali sarà molto
difficile trovare argomenti convincenti per contestare la vittoria del
leader bielorusso. Il più votato dei candidati dell'opposizione,
Aleksander Milinkevich, alla testa di una coalizione ultranazionalista
che ha potuto utilizzare le decine di milioni di dollari stanziati
negli USA e la copertura mediatica garantita dall'Unione Europea dai
territori della Polonia e della Lituania, non riuscirebbe ad andare
oltre il 5,7% dei consensi. Gli altri due contendenti, Kozulin e
Gaidukovich, otterrebbero rispettivamente non più del 4,6% e 3,8%.

Il popolo bielorusso si è così pronunciato per la continuità
dell'originale esperienza di governo, inaugurata da Lukashenko una
dozzina di anni fa.

I cittadini della Repubblica di Belarus hanno scelto il modello di
"stato sociale" che ha preservato il loro paese dagli squilibri e
dalle ingiustizie delle ricette neoliberiste imposte agli altri stati
dell'ex Unione Sovietica. Hanno scelto la via del controllo pubblico
delle risorse strategiche del paese e del rifiuto della dipendenza
coloniale dall'Occidente. Hanno scelto di sbarrare la strada
all'espansione della NATO fino alle porte di Mosca. Hanno scelto di
proseguire spediti nella direzione della riunificazione politica ed
economica dello spazio post-sovietico, rifiutando il nazionalismo
disgregatore dell'unità dei popoli dell'ex URSS.

E' un dato difficilmente contestabile da chiunque guardi alla
Bielorussia con un minimo di obiettività.

Sappiamo bene, però, che l'imperialismo non mollerà la presa tanto
facilmente su un paese che così ostinatamente cerca di resistergli.
L'imperialismo cercherà –ovviamente con il poderoso sostegno degli
strumenti di comunicazione di massa di cui dispone – di imbastire ogni
tipo di provocazione e, soprattutto di influenzare l'opinione pubblica
americana ed europea per convincerla della necessità di adottare
misure estreme nei confronti della piccola repubblica.

I dirigenti degli USA e dell'Unione Europea hanno già delegittimato il
voto, prima ancora che si aprissero i seggi elettorali. Lo smacco
subito oggi potrebbe accentuarne l'aggressività.

Nel centro di Minsk, per questa sera è stata programmata, da parte di
gruppi organizzati ("Zubr") apertamente istigati e finanziati
dall'amministrazione USA, una manifestazione che si propone di
ripetere lo stesso drammatico copione che ha consentito negli anni
scorsi la realizzazione, sotto forma di "rivoluzioni colorate", dei
colpi di stato in Jugoslavia, in Georgia e in Ucraina.

Nel momento in cui scriviamo i dimostranti non sembrano essere più di
2.500, e tra questi diversi sono gli ucraini appartenenti alla
famigerata "Pora" con bandiere nazionali, bastoni e tirapugni al
seguito. I manifestanti sarebbero incitati da Milinkevich e Kozulin a
dare vita a un corteo e a provocare scontri con la polizia. Tutto fa
pensare però che si tratti solo di una reazione rabbiosa e impotente
che si propone di mascherare penosamente il vero e proprio "flop" di
quella che, nelle intenzioni, doveva rappresentare una nuova
"rivoluzione arancione".

In quanto a noi, consapevoli delle responsabilità che competono ai
militanti del movimento antimperialista in questo frangente, abbiamo
deciso di seguire con grande attenzione gli sviluppi della situazione
e ci siamo ripromessi di tornare ancora sull'argomento nei prossimi
numeri di "Nuove Resistenti", con altre notizie e approfondimenti.

Fin da ora, però, invitiamo le nostre lettrici e i nostri lettori,
tutti i militanti antimperialisti e del movimento per la pace ad
esprimere la propria solidarietà con la scelta democratica dei
cittadini della Repubblica di Belarus, ad esigere il rispetto del
verdetto espresso dalle urne e a rintuzzare, con un opportuno lavoro
di controinformazione, tutte le provocazioni che potrebbero essere
alimentate dalle campagne di stampa dei prossimi giorni, anticipate
dai commenti dei TG di questa sera.

19 marzo 2006

La redazione di "Nuove Resistenti"
http://www.resistenze.org

----- Original Message -----
From: Secretaria Consejeros
To: Consejero Politico
Cc: Oficina Embajador
Sent: Friday, March 17, 2006 3:40 PM
Subject: APPELLO PER LA CHIUSURA DI GUANTANAMO E CONTRO LE TORTURE


URGENTE

Stimati amici:

Vi alleghiamo la dichiarazione contro le carceri yankee, contro la
tortura e la doppia morale che impera in materia di diritti umani, che
è stata promossa da un gruppo di famosi intellettuali su scala
mondiale, tra questi vari Premi Nobel. La dichiarazione è stata
firmata da numerosi amici ed associazioni.

Dobbiamo dare la massima diffusione possibile a questa dichiarazione e
promuovere nuove adesioni.

Tutte le firme dei nostri amici sono benvenute ed anche quelle delle
organizzazioni solidali.

È stato molto difficile farla pubblicare in Italia, è stato fatto come
pubblicità sul quotidiano La Repubblica, pagando un cifra alta.

È stata pubblicata sull'edizione di oggi, venerdì 17 marzo, a pagina 20.

Contiamo sul Vostro sostegno.


Ambasciata di Cuba in Italia.


Nota: Per aderire potete farlo attraverso uno qualsiasi dei seguenti
indirizzi internet e potete farlo a titolo personale o a nome
dell'associazione di appartenenza.


www.derechos-humanos.com ;

www.derechos-humanos.info;

www.droits-humains.info ;

www.hhrr.info


Potete inviare un messaggio e.mail a :
derechoshumanos @ derechos-humanos.com


CESSI L'IPOCRISIA IN TEMA DI DIRITTI UMANI


In coincidenza con la diffusioni di nuove immagini di torture inflitte
da militari statunitensi a prigionieri iracheni, il prossimo 20 marzo
inizierà a Ginevra il 62° periodo di sessioni della Commissione dei
Diritti Umani dell'ONU.

Gli Stati Uniti ed i loro alleati dell'Unione Europea hanno impedito
ripetutamente a tale Commissione di pronunciarsi contro le massicce e
sistematiche violazioni dei diritti umani promosse in nome della
cosiddetta guerra contro il terrorismo.

I governi dell'Unione Europea si sono rifiutati di riconoscere le
testimonianze e le prove presentate dai cittadini dei loro paesi che
hanno patito diverse forme di tortura nella base navale di Guantanamo.
Hanno permesso, inoltre, il transito di aeromobili della CIA che
trasferivano prigionieri verso centri illegali di detenzione nella
stessa Europa e in altre regioni.

I firmatari del presente documento chiamano gli intellettuali, gli
artisti, gli attivisti sociali e gli uomini e le donne di buona
volontà ad unirsi alla loro rivendicazione: la Commissione dei
Diritti Umani, od il Consiglio che la sostituirà, deve esigere la
chiusura immediata dei centri di detenzione arbitraria creati dagli
Stati Uniti e la cessazione di tutte queste flagranti violazioni della
dignità umana.


Marzo 2006

15.03.06

Hay muchas indicaciones de que la muerte de Milosevic fue planificada

x James Petras - La Haine

Efraín Chury Iribarne entrevista a James Petras : Los gobiernos
inglés, alemán y norteamericano estaban frente a dos opciones muy
desfavorables, o la presencia de los líderes occidentales en el
tribunal o la terminación del juicio y la liberación de Milosevic. Eso
indica que tenían una alta motivación para liquidar a Milosevic,
porque se estaba presentando una situación sumamente reveladora y
escandalosa

Comentarios de James Petras. Lunes 13 de marzo de 2006


Efraín Chury Iribarne: Ha ganado cuerpo la noticia de la muerte de
Milosevic, se habla de un medicamento contrario al tratamiento que se
le daba y uno se pregunta ¿Esto puede ser cierto, esto puede ser un
asesinato? ¿Por qué y quién estaría interesado en asesinarlo?

Petras: Bueno, estamos estudiando el caso del muerto y hay muchas
indicaciones de que era algo planificado. Por dos lados: primero, él
tenía sospechas que le estaban poniendo veneno en su comida y se
sentía mal, el mismo abogado de Milosevic decía que la víctima
sospechaba que querían liquidarlo. Segundo, era muy notorio que tenía
problemas de salud, de altísimo grado de presión en la sangre,
hipertensión. Pidieron que le dieran permiso para ir a Rusia para su
tratamiento, incluso el estado de Rusia se ofrece a tratarlo y
devolverlo al juicio cuando terminara el tratamiento y el juez
Robertsen, a pesar de que tenía conocimiento del problema de salud,
incluso los informes de los médicos allá en el Tribunal, no lo
permitieron. Incluso recientemente cuando Milosevic tenía que parar su
propia defensa porque sentía terribles dolores de cabeza, le negaron
todo tratamiento médico para que se muriera.
¿Y por qué querían matarlo? por una cosa muy grave, y es que Milosevic
quería pedir que los jueces presenten a Clinton y a funcionarios del
Departamento de Estado un documento pidiendo sus testimonios en el
juicio, y eso me parece que hubiera revelado muchas coincidencias de
Estados Unidos con los asaltos en Yugoslavia. Tenía el peligro de
pedir la presencia de líderes como Tony Blair y otros más implicados,
sobre las atrocidades y las intervenciones que hicieran en la guerra,
lo mismo con los alemanes. Y si eso pasaba y los testimonios no
aparecían, es decir, si Clinton no quería aparecer por pedido de
Milosevic, era inevitable que tenían que terminar el juicio y liberar
a Milosevic, porque eso interfería con la defensa y no era posible
continuar con el procedimiento si los implicados no aparecen.
Entonces estaban frente a dos opciones muy desfavorables, o la
presencia de los líderes occidentales en el tribunal o la terminación
del juicio y la liberación de Milosevic. Eso indica que los gobiernos
inglés, alemán y norteamericano tenían una alta motivación para
liquidar a Milosevic, porque se estaba presentando una situación
sumamente reveladora y escandalosa. Por esa razón yo creo que la única
forma de tratar el asunto es una investigación patológico-forense
realizada por personas completamente independientes.
Ahora, el problema es que los toxicólogos deben actuar con toda prisa
porque hay tipos de veneno que pueden desaparecer en corto tiempo, a
las 24 horas ya no los encuentran. Y en vez de permitir una
investigación patológico-forense rápida, entregaron el cadáver a
algunos personajes holandeses, y después de ellos pasará a otros, y en
este plazo no se pueden encontrar estos tipos de químicos que tienen
una tendencia a disolverse y desaparecer. Entonces yo creo que por lo
menos queda claro que las autoridades permitieron el avance de las
enfermedades para que se muera, y que parezca -según el eufemismo que
ellos usan- que fue por causas naturales, que es algo muy relativo.
Por eso, Chury, digo que Milosevic era un testimonio sumamente
importante para todo el mundo, porque mostraba que la política de
acusaciones falsas y asesinatos no sólo es problema de Irak y los
países árabes musulmanes, sino que también hay funcionarios
occidentales afectados.

Chury: Petras, nos venimos a América. Hubo elecciones en Colombia, más
del 50 por ciento de abstención; mayoría de Uribe en el Congreso...
Uno se pregunta ¿qué perspectivas tiene Colombia con este resultado y
lo que sobre vendrá?

Petras: La guerra continúa y como sabes, en estas elecciones más de un
tercio de las municipalidades no votaron, porque están bajo influencia
fuerte de los guerrilleros. Y es un punto muy importante que al hablar
de Colombia debemos hablar de las dos Colombias: la parte que controla
Uribe y la parte que controla la guerrilla de las FARC, y más allá,
dentro de lo que controla Uribe, funcionan los paramilitares. Es
imposible hablar de elecciones libres cuando hay miles y miles de
paramilitares funcionando no sólo como fuerza vinculada con el
gobierno sino que ya están dentro del gobierno. Hay muchas
sindicaciones entre las listas de Uribe, que son personas directamente
vinculadas con los paramilitares. Incluso una semana antes, a causa de
un informe aparecido en periódicos y revistas, algunos partidos
tuvieron que hacer una purga, eliminar a notorios paramilitares, pero
la mayoría quedan en la lista. Y eso me parece una indicación de que
la política militarista y represiva van a continuar, no hay ninguna
posibilidad de que el Congreso tome iniciativas nuevas para buscar la
paz.
Uribe tiene que enfrentar el hecho de que todo el Plan Colombia, a
pesar de 3 mil millones de dólares de ayuda militar y Estados Unidos
con 1.500 hombres de las fuerzas especiales, ha sufrido derrotas
contundentes desde noviembre pasado hasta ahora, en la lucha contra la
guerrilla, y es un hecho al que nadie puede escapar. Creo que el
problema de Uribe es que está desesperado por mostrar alguna victoria
y entonces inventa la fábula de que un grupo de 80 guerrilleros se
entregaron y presentó fotos de un avión donde supuestamente trajeron
al fotógrafo, y después descubrimos que los 80 no eran guerrilleros
capturados o entregados sino que eran delincuentes, personas que su
historia tiene muy poco que ver con la guerrilla. Y el avión era un
avión que estaba desde hace tiempo capturado por las fuerzas
antinarcótioas. Toda esa farsa de Uribe es una indicación de que el
hombre está desesperado. Puede ganar las elecciones, pero no tiene el
poder.

Chury: Bien, subo hasta México. Salinas de Gortari salió a atacar al
candidato López Obrador. ¿Quién será el ganador de las próximas
elecciones y la otra pregunta es si hay posibilidades de cambios
estructurales en el México actual?

Petras: Primero quiero anotar que el diario progresista La Jornada
puso en la primera página en grandes títulos el ataque de Salinas
contra López Obrador, y lo hizo por una razón muy clara: porque
cualquier persona a la que Salinas ataca recibe un aumento de 10 ó 15
por ciento de los votantes. Salinas está tan mal visto -lo llaman
Orejas, porque tiene orejas como elefante- que dicen que es el más
corrupto, el más delincuente de todos los presidentes mexicanos desde
Porfirio Díaz en el siglo 19. Creo que el hecho de que Salinas lo
ataque es una buena indicación de que López Obrador representa algo
progresista para la política de México, y es un efecto boomerang que
Salinas ataca y López Obrador sale ganando. Gana más apoyo, gana más
firmeza entre los que van a votar por él.
¿Qué posibilidades hay de cambios estructurales? Bueno, hay muchas
demandas de los movimientos sindicales, los movimientos populares, los
zapatistas, los campesinos. Hay enormes demandas para cambios en la
estructura de tierras, en el fortalecimiento del sector público
revirtiendo las privatizaciones. Todo está sobre la mesa, incluso
aumentar el salario mínimo y romper con el tratado de libre comercio.
Ahora, si gana López Obrador yo no creo que él vaya a hacer un cambio
estructural; lo que sí puede hacer es aumentar los gastos sociales
dirigido a los grupos más pobres, parar la extensión de las
privatizaciones hacia nuevos sectores, más que recuperar lo que está
perdido. Creo que en algunos casos podría ser favorable a las
negociaciones colectivas de los sindicatos, tal vez modificar alguna
de las cláusulas del tratado de libre comercio y mejorar las
condiciones de México, por lo menos las condiciones de negociaciones
para no ser tan servil como el actual presidente Fox.
En otras palabras, yo creo que podría mejorar las cosas frente al
gobierno ultraliberal que está funcionando ahora. Una política de
bienestar social posiblemente socialdemócrata o social-liberal, ahí
está el asunto.

Chury: ¿Cómo viste el encuentro Kirchner-Tabaré Vázquez [en Chile]
donde se pusieron de acuerdo para pedir un gesto a las multinacionales
que están levantando las gigantescas plantas pasteras aquí en Uruguay,
la suspensión por 90 días y a la vez que se levanten los piquetes en
la Argentina? Dejó un marco de dudas sobre si se cumple o no el
acuerdo. Aquí algunos gremios del PIT-CNT están en contra de parar las
obras, la oposición de derechas también está en contra de todo esto y
se ha planteado una gran duda. ¿Hay antecedentes de hechos como este o
parecidos en que se le haya pedido a estas empresas que paren y hayan
parado sus actividades, o generalmente siguen adelante?

Petras: Bueno, estamos en una situación que requiere un contexto: hay
tanta desocupación en Uruguay, hay tan pocos esfuerzos para generar
empleo a partir de inversiones directas del Estado, especialmente con
este gobierno liberal que hay en Uruguay, que los obreros y
sindicalistas están desesperados por cualquier obra,
independientemente de los efectos que tenga sobre el ambiente y otras
actividades que esta genere. Actúan en una forma que se podría llamar
reaccionaria, pero con una base social. Yo no estoy de acuerdo, pero
es comprensible.
Ahora, el acuerdo mismo es una forma de tratar de negociar una cosa
que son los efectos contaminantes, que van a seguir, pero que por lo
menos pueden ser controlados. Hay tecnologías que pueden bajar el
grado de contaminación. Las empresas hace mucho tiempo que han
indicado públicamente que estaban dispuestas a negociar el contrato
original. Y era el gobierno de Astori y Vázquez el que se negaba, o
por lo menos declaraba públicamente que los contratos eran
irreversibles. Lo que es una gran mentira porque nada está escrito en
piedra, los contratos estaban abiertos para renegociar,
particularmente frente a la crítica que venía de Argentina que
paralizaba el transporte entre los dos países.
Ahora que Vázquez ha reconocido la idiotez de esta propuesta y ha
acordado con Kirchner reconsiderarla y tal vez modificarla, podríamos
decir que es un paso positivo y los dinosaurios del coloradismo y
blanquismo que están criticando una reconsideración racional, es
porque recibieron mucha inspiración de la posición original de Astori
y Vázquez. Por eso se atreven a actuar ahora en la forma que están
actuando, exigiendo que no se discuta, que no se negocie, porque
temían esta apertura que ofreció el mismo gobierno. Y me parece que
hay que tomar nota cuando el gobierno abre la puerta hacia la
contaminación o el neoliberalismo y la derecha aprovecha para
empujarlo más allá, porque entonces hay una complicidad entre la
posición original del gobierno y la respuesta de la derecha. Como se
suele decir, la bestia de la derecha huele sangre y quiere aprovechar,
sabiendo que tiene aliados cómplices en el gobierno.

Chury: La última pregunta por hoy. Hemos visto cómo ha recrudecido la
guerra en Irak entre chiitas y sunníes. ¿Estamos ante una guerra
civil, y eso a quién le puede servir?

Petras: El otro día estaba revisando unos archivos de Irak sobre
demografía y encontré un hecho sobresaliente, y es que hay 3 millones
de matrimonios mixtos chiitas y sunníes, de antes de la invasión
norteamericana.
Eso significa que existía una gran intimidad entre los dos grupos
religiosos supuestamente enemigos, que pueden llegar no sólo a tener
amistades y comercios juntos, sino hasta el matrimonio, compartir
familias y criar niños. Es decir, que las diferencias nunca llegaron
al antagonismo antes de la invasión. A partir de la invasión,
estimulado, fomentado y provocado por las fuerzas de ocupación
norteamericanas, asesoradas por los israelitas, se fomenta la
división, se politizan las diferencias hasta el punto de infiltrar
esos grupos. Y con provocadores hacer asaltos, volar templos y otros
lugares para que se pase de la coexistencia pacífica hacia una guerra
civil, para destruir la autoridad y convertir al país en un desierto.
Ahora supuestamente se quejan de que se está llegando a una guerra
civil que puede debilitar la conformación de un gobierno
pronorteamericano, pero ya no hay un gobierno pronorteamericano, los
llamados gobernantes están todos atrás de muros de cinco metros, no se
atreven a salir si no hay carros blindados. Esos no son gobiernos y no
pueden gobernar, y por eso yo creo que muchos de los conflictos están
generados por grupos al servicio de las fuerzas ocupantes.
Ya tenemos varios ejemplos de comandos ingleses encontrados o
capturados por la policía de Irak que llevaban dinamita para su acción
de provocación, no son cosas inventadas, ya hay pruebas de personajes
que actúan supuestamente como insurgentes y que matan
indiscriminadamente. Eso no es política, y ni Al Qaeda ni ningún otro
grupo está interesado en matar musulmanes para crear una situación
favorable a los países ocupantes, mucho menos los antiimperialistas
irakíes.

CX36 Radio Centenario
http://www.radio36.com.uy/

 

progetti di relazione: Ospitalità bambini profughi di guerra 
Pubblicato 10 03 2006 da ufficio stampa 


Ospitalità bambini profughi di guerra


Per il quinto anno consecutivo si promuove l’iniziativa “C’è un bambino che...”, ospitalità di bambini provenienti da Kraljevo (ex Jugoslavia) profughi dal Kosovo in seguito alla guerra del 1999. 

L’iniziativa, organizzata dalla associazione “Un Ponte per...” in collaborazione con l’Ateneo di Tor Vergata, anche quest’anno si svolgerà in tre settimane, a partire da sabato 17 Giugno fino a domenica 9 Luglio, coinvolgendo molte famiglie di dipendenti dell’Ateneo stesso. 

Il programma per l’estate 2006, da definire nei dettagli, nelle prime due settimane vedrà protagonista il mare cercando la collaborazione di Atac e Trambus per il trasporto dal punto di ritrovo fino a Tor San Lorenzo e ritorno.
La terza settimana i ragazzini parteciperanno alle attività di un centro estivo (ancora da definire) convenzionato con l’università. 

L’impegno per le famiglie partecipanti è quello di offrire ai piccoli ospiti (oltre, ovviamente, a tutto l’amore possibile e alle necessarie attenzioni) vitto e alloggio per 3 settimane, disponibilità ad accompagnarli la mattina presso i punti di ritrovo, che verranno stabiliti insieme e a riprenderli nel tardo pomeriggio (dal mare intorno alle 19,00, dal centro estivo intorno alle 17,00). 

Il sabato e la domenica, durante i quali i ragazzini non partecipano ad alcuna attività, generalmente si organizzano iniziative di gruppo per condividere l’esperienza, cercando di favorire una maggiore conoscenza e integrazione fra diverse realtà. 

I minori, che viaggeranno con aereo Jat Airways, arriveranno a Roma-Fiumicino con il visto turistico concesso dall’ambasciata italiana a Belgrado dopo la trasmissione dei relativi nulla osta da parte del Comitato per la Tutela dei Minori Stranieri (Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali) il quale, a sua volta, lo concederà solo dopo aver ricevuto il nulla osta dalla Questura Centrale, relativo alle famiglie ospitanti. 

E’ prevista la presenza di uno o più accompagnatori di madre lingua per tutto il periodo di permanenza in Italia. 

Da quest’anno, i ragazzini frequentano un mini corso di lingua italiana di base, così da essere più preparati all’eventualità di una partecipazione. Costi fissi a carico di ciascuna famiglia ospitante (a prescindere dal numero degli ospiti): 

Euro 100,00 come contributo all’Associazione “Un Ponte per...” per le spese di gestione del progetto;
Spese relative alle due settimane di mare, comprensive di ombrelloni, sdraie, lettini, bagnino, panini per il pranzo e gelati, il cui totale verrà diviso in parti uguali fra le famiglie ospitanti (circa 50 euro a settimana);
Costi relativi a eventuali iniziative nei giorni festivi alle quali la partecipazione, benché auspicata, non è obbligatoria!

Verrà indetta una riunione fra quanti avranno aderito o vorranno, comunque, informazioni dirette, per stabilire insieme il programma definitivo.

Chiunque avesse intenzione di partecipare all’iniziativa è pregato, per facilitare il compito del gruppo organizzatore, di farlo sapere entro e non oltre il 30 Aprile 2006, attraverso il modulo di adesione che può essere richiesto contattando il responsabile dell’iniziativa,
Alessandro Di Meo:
alessandro.di.meo@... tel. 06-7259 3058 ( cell. 339 6132894 )
oppure la sede di Un Ponte per...: posta@...
tel 06-44702906 oppure 06-44360708 fax 06-44703172

Per partecipare scarica il form



(italiano / english)

Il Ministro degli esteri albanese Mustafaj ha recentemente dichiarato che la secessione del Kosovo - data per scontata a causa dell'atteggiamento neo-nazista di NATO ed UE in materia - causerà la messa in discussione dei confini della Repubblica di Albania, che si annetterà non solo il Kosovo, ma anche la zona della Macedonia a maggioranza schipetara... Si veda il dispaccio ANSA in fondo.


From:   r_rozoff
Subject: [yugoslaviainfo] Greece Alarmed By Albanian Statement On Shifting Of Borders
Date: March 17, 2006 3:19:50 AM GMT+01:00




Makfax (Macedonia)
March 16, 2006


Mustafaj's statement raises concerns in Greece too


Athens - The statement of the Albanian Foreign
Minister Besnik Mustafaj suggesting that shifting of
borders might take place raised concerns in the Greek
authorities, Athens's media reported today.

"Such statements undermine the efforts for
guaranteeing the region's stability and its European
perspective, moreover it comes in a moment when
everybody, with no exceptions, have to cooperate",
said George Koumoutsakos, the spokesman of the Greek
Foreign Ministry.

Koumoutsakos added he "wholeheartedly hopes" that the
translation of the Mustafaj's statement "was
incomplete and inaccurate", Makfax agency reports. 
------------------------------------------------------


Makfax (Macedonia)
March 14, 2006


Mustafaj says no border guarantees upon division of
Kosovo


Tirana - Albania cannot guarantee inviolability of
borders with Macedonia and Kosovo if the Serbian
province undergoes division, Albanian Foreign Minister
Besnik Mustafaj said on Tuesday.

"Tirana stands ready for any contingency, and if
Kosovo is divided, Albania could not guarantee
inviolability of the borders", Mustafaj told Alsat TV
station, as commenting the thesis of Kosovo-Albania
merge upon granting province's independence.

"As soon as last October, I said in front of high
officials in Brussels that if division of Kosovo takes
place, Albania could no longer guarantee inviolability
of borders with Kosovo, but with Albanian part of
Macedonia as well", Mustafaj said in Alsat's TV
programme.

"We keep a close eye on the current developments, and
I assure you, Albania would not be caught without
contingency plan for any given situation", said the
Albanian Minister.

In the same TV programme, the Vice-President of DPA
Menduh Taci said "establishing an independent Kosovo
and national identity of Kosovars raises the issue of
the identity of Albanians living in Macedonia".

"I am against forming new identities. As we grow
accustomed to the identity of Kosovars we will start
forgetting that they are Albanians. Personally, I can
accept that compromise, since 90 percent of Kosovo's
citizens are Albanians and the official language in
all institutions is the Albanian. However, such a move
gives no answer as to what will be the identity of the
Albanians living in Macedonia", said Taci. 
------------------------------------------------------


Focus News Agency (Bulgaria)
March 16, 2006


Albanian Foreign Minister: If Kosovo Is Divided We
Cannot Guarantee Borders with Macedonia Will Remain
the Same


Skopje/Tirana - “Albania cannot guarantee that borders
between Macedonia and Kosovo will remain the same if
after the talks on its status Kosov is divided”,
Albanian Foreign Minister Besnik Mustafaj stated in
interview with TV station Alsat cited by Macedonian
agency Makfax. 

"Tirana stands ready for any contingency, and if
Kosovo is divided, Albania could not guarantee
inviolability of the borders", Mustafaj commented.

According to Mustafaj Albania keeps a close eye on the
current developments it would not be caught without
contingency plan for any given situation. 

In the same TV programme, the Vice-President of DPA
Menduh Taci said "establishing an independent Kosovo
and national identity of Kosovars raises the issue of
the identity of Albanians living in Macedonia".
------------------------------------------------------


Focus News Agency (Bulgaria)
March 16, 2006


EU: Only Possible Change of Borders of Balkans is
Related to Kosovo and Montenegro


Brussels - The European Union is certain that the only
possible territorial change on the Balkans is
connected to the Kosovo status and the state relations
between Serbia and Montenegro. 

However, it could not lead to a change in the borders
of the neighbouring states, said Christina Gallah,
spokeswoman for the EU High Representative for the
Common Foreign and Security Policy Javier Solana,
Balkan Web reported. 

She commented on a statement of Albanian Foreign
Minister Besnik Mustafaj, who said that Albania could
not guarantee that the state borders would remain
unchanged if Kosovo were divided. 

In a television program on Tuesday, Mustafaj said that
under such circumstances, not only the border between
Albania and Kosovo could be changed, but also the
border with the part of Macedonia, which is populated
with Albanians. 

---

 KOSOVO: POLEMICHE PER DICHIARAZIONI MUSTAFAJ SU CONFINI

(ANSA) - TIRANA, 15 MAR - E' polemica sulle dichiarazioni rilasciate dal ministro degli esteri albanese, Besnik Mustafaj, sul futuro dei confini nazionali nell'eventualita' che dai negoziati internazionali dovesse derivare una divisione del Kosovo. ''Qualora il Kosovo venisse diviso, noi non possiamo offrire piu' garanzie sulla intoccabilita' dei confini dell'Albania non solo con il Kosovo ma anche con la parte albanese di Macedonia'' ha affermato il capo della diplomazia di Tirana nel corso di un'intervista televisiva. Una dichiarazione forse solo accademica ma che ha scatenato immediate reazioni politiche, e non soltanto a Belgrado. Il capo dei negoziatori serbi, Goran Bogdanovic parlando nella citta' kosovara di Mitrovica, ha accusato Mustafaj di voler rilanciare in questo modo il progetto di ''grande Albania''. Molto critici verso l'affermazione di Mustafaj anche esponenti dell'opposizione albanese. L'ex ministro degli esteri, Paskal Milo, ha detto che Mustafaj deve presentarsi immediatamente davanti alla commissione esteri del parlamento per dare spiegazioni. ''Sono rimasto stupefatto - ha commentato Milo - perche' la posizione di Mustafaj va apertamente contro la linea stabilita dal gruppo di contatto'' incaricato di monitorare la soluzione adottata sullo status del Kosovo. L'ex premier Ilir Meta ha accusato il ministro in carica di ''minacciare la stabilita' della regione, che si rischia ogni qualvolta si mettono in discussione i confini''. Secondo Meta ''qualunque sia lo scenario che dovesse determinarsi nel Kosovo, questo non potra' cambiare la posizione dell'Albania rispetto alla Macedonia che e' gia' stata riconosciuta da noi come uno Stato sovrano''. In quanto ad un'eventuale suddivisione della provincia serba a maggioranza albanese, l'ex premier avverte che essa ''non potra' mai essere una soluzione, poiche' produrrebbe immediatamente effetti anche nella vicina valle di Presevo e la destabilizzazione di tutta la regione''. Durissima la reazione del partito socialista, principale forza dell'opposizione: ''Quella di Mustafaj e' una dichiarazione irresponsabile e di conseguenza preoccupante, allarmante e pericolosa - si legge in un comunicato diffusa a Tirana - simili atteggiamenti alimentano gli estremismi nazionalistici e minacciano gravemente l'integrita' dei Paesi della regione arrivando a incitare la disintegrazione della Macedonia''. Besnik Mustafaj nel pomeriggio ha provato a puntualizzare la sua affermazione: ''Il governo rimane per il riconoscimento del Kosovo come uno Stato indipendente - ha detto a Tirana reagendo alle polemiche - mentre la scelta di una sua divisione e' stata e rimane inaccettabile, e obbligatoriamente provocherebbe scosse che rischierebbero anche la revisione dei confini''. (ANSA). BLL-COR
15/03/2006 18:05 


 
(deutsch + english)
 
[L'annuncio dell'omaggio pubblico e del funerale di Slobodan Milosevic, pervenutoci dall'ICDSM, e poi il testo integrale dell'ultima sua lettera ed altra preziosa documentazione dagli eccezionali compagni tedeschi.]


==========================

IN DIFESA DELLA JUGOSLAVIA
Il j'accuse di Slobodan Milosevic 
di fronte al "Tribunale ad hoc" dell'Aia" 
(Ed. Zambon 2005, 10 euro)

Tutte le informazioni sul libro, appena uscito, alle pagine:

==========================
ICDSM - Sezione Italiana
c/o GAMADI, Via L. Da Vinci  27 -- 00043 Ciampino (Roma)
tel/fax +39-06-7915200 -- email: icdsm-italia @ libero.it
  *** Conto Corrente Postale numero 86557006, intestato ad 
  Adolfo Amoroso, ROMA, causale: DIFESA MILOSEVIC ***
LE TRASCRIZIONI "UFFICIALI" DEL "PROCESSO" SI TROVANO AI SITI:
==========================


1. LA DERNIÈRE LETTRE DE MILOSEVIC
2. SLOBODAN MILOSEVIC EST MORT (par Klaus Hartmann, jW 13/3/2006)
3. Entretien avec Klaus Hartmann (jW 13/3/2006)
4. »DES CADAVRES JONCHENT LA ROUTE DU TRIBUNAL« (par Jürgen Elsässer, jW 13/3/2006)
5. COMMUNIQUÉ DE «SLOBODA» CONCERNANT LA MORT DE SLOBODAN MILOSEVIC (11/3/2006)


=== 1 ===

source : journal junge Welt (Allemagne) du 15 mars 2006

LA DERNIÈRE LETTRE DE MILOSEVIC

Chers mesdames et messieurs,

Je vous transmets mes remerciements pour la solidarité que vous avez manifesté en vous déclarant prêts à m'accepter pour un traitement médical.

Je voudrais vous informer de la chose suivante : je crois que la persistance avec laquelle on m'a refusé un traitement en Russie est motivée, en premier lieu, par la crainte que lors d'examens approfondis, on découvrirait que des démarches actives et malicieuses ont été entreprises dans le but de nuire à ma santé. Ces démarches ne sauraient rester cachées à des spécialistes russes.

Afin de justifier mes accusations, je vous présente un simple exemple que vous trouverez en annexe. Ce document, qui j'ai reçu le 7 mars, montre que le 12 janvier un médicament particulièrement fort fut décelé dans mon sang et qui, comme ils le déclarent eux-mêmes, est utilisé pour traiter la tuberculose et la lèpre, bien que je n'ai pris, durant ces cinq années dans leur prison, aucun antibiotique.

Pendant tout ce temps, je n'ai jamais eu, sinon une grippe, aucun maladie contagieuse. Également le fait que les médecins aient pris deux mois [pour informer des résultats de l'examen, N.d.Red] ne peut être expliqué que par une manipulation. Les responsables de ces actes ne peuvent vraiment pas traiter ma maladie, ni non plus ceux contre lesquels j'ai défendu mon pays en temps de guerre et qui ont un intérêt à me faire taire.

Cher messieurs, vous savez que des médecins russes sont parvenus à la conclusion que l'examen et le traitement des problèmes des vaisseaux sanguins dans ma tête sont nécessaires et urgents. C'est pourquoi, je m'adresse à vous dans l'espoir que vous m'aidiez à défendre ma santé contre les activités criminelles dans cette institution travaillant sous l'égide de l'ONU et que je reçoive aussitôt que possible un traitement adapté dans votre hôpital par les médecins en qui j'ai totale confiance comme en la Russie.

Je vous prie d'agréer mesdames, messieurs, l'expression de mon respect profond.

Slobodan Milosevic

(lettre envoyée le 8 mars; reçue le 11 mars à l'ambassade russe;
Traduction originale: AP)

Traduit de l'allemand


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SLOBODAN MILOSEVIC EST MORT

par Klaus Hartmann
Vice-président et président du bureau directeur de l'ICDSM, porte-parole de la section allemande

Ce samedi 11 mars 2006, se répandait la nouvelle : Slobodan Milosevic a été retrouvé mort dans sa cellule de prison à La Haye.

Dans les grands médias, la nouvelle a déclenché les réflexes automatiques de défense : toute mise en doute à une cause naturelle du décès devient pour eux une hypothèse farfelue. Cela, ils le savent déjà avant que les résultats de l'autopsie n'aient été présentés et le maintiennent dur comme fer, de la même manière que, pour eux, la culpabilité de Slobodan Milosevic était déjà claire et nette, avant que le show judiciaire ne s'ouvre à La Haye.

Cependant, c'est un fait que, la veille, lors de la séance de préparation avec le prochain témoin, Momir Bulatovic, ex-président du Monténégro, Milosevic faisait part de ses craintes à son conseiller juridique, Zdenko Tomanovic, d'être empoisonné en prison et d'être traité avec de mauvais médicaments. Milosevic appelait instamment à l'aide le gouvernement russe dans une lettre que Tomanovic remettait le même jour, 10 mars 2006, à l'ambassade russe aux Pays-Bas.

C'est aussi un fait avéré que, lors d'un examen sanguin, des traces inexplicables de médicaments contre la lèpre et la tuberculose neutralisant l'action des médicaments contre l'hypertension furent détectées. Un fait supplémentaire est que Milosevic, il y a deux ans, avait rapporté au tribunal que sa ration alimentaire en prison qui ne se distinguait pas en apparence de celles des autres détenus avait été brusquement échangée par un garde, ce qui fut ignoré par les juges et qui n'intéressa pas les médias.

Indépendamment des résultats des examens, si ceux-ci sont conduits de manière indépendante et objective, on peut constater la réalisation tragique des craintes exprimées quant au calcul d'une solution biologique à l'affaire Milosevic. Dans les conditions données, même une cause naturelle au décès serait le résultat de sa liquidation programmée. Les mots inhumains de Carla Del Ponte, procureur en chef, dans le Neue Zürcher Zeitung du 18 juillet 2003 parlent d'eux-mêmes : « Il se porte très, très bien. Beaucoup de personnes de 60 ans et plus souffrent d'hypertension. Nous ne le ménageons pas. J'espère que vous n'avez pas cette impression ».

Ces mots montrent que derrière la fausse façade juridique, c'est un tribunal d'exception aux ordres de l'OTAN qui agit et dans lequel l'accusation joue le rôle de l'ange de la mort et des juges soudoyés celui de bourreaux. Ils sont responsables non seulement de violation des normes de l'ONU concernant le traitement des prisonniers, mais ils sont aussi de lâches criminels sans scrupule. Eux et ceux qui se cachent derrière doivent être jugés et leur institution doit être dissoute comme Abou ghraïb et Guantanamo.

L'OTAN et leurs scribouilleurs se plaignent d'avoir été empêchés, par la mort de Milosevic, de prononcer un jugement dans leur semblant de tribunal. Ils cherchent à nier que l'accusation n'est pas parvenue, jusqu'au dernier jour de procès, à présenter une seule preuve, alors que l'accusé a réfuté jusqu'à présent toutes les accusations et que sa mort est donc, pour ce faux tribunal, une issue salvatrice d'un dilemme insoluble. Tous ceux à qui les médias ont caché pendant des années toute information sur le déroulement des débats au procès, doivent continuer à croire que bombardement signifie humanité et que la victime d'une guerre d'agression est le responsable.

Les membres de la section allemande du Comité International pour la Défense de Slobodan Milosevic (ICDSM) pleurent avec sa famille, avec les Serbes, avec les progressistes du monde entier, la victime d'une machinerie criminelle, le grand homme d'état et politicien, l'internationaliste et anti-impérialiste. Nous ne permettrons pas que la vérité sur la destruction de la Yougoslavie soit réduite au silence.

Traduit de l'allemand


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source : journal junge Welt (Allemagne) du 13 mars 2006

»LES JUGES SONT UNE BANDE DE LÂCHES CRIMINELS«

Milosevic craignait d'être empoisonné. Il pria le gouvernement russe de le protéger. Entretien avec Klaus Hartmann*.

Q: Samedi, l'ancien président yougoslave Slobodan Milosevic a été retrouvé mort dans sa cellule de prison à Scheveningen, près de La Haye aux Pays-Bas. Ses supporters craignaient le pire pour lui depuis longtemps. Vous-même évoquiez déjà, il y a des années, le danger d'une « solution biologique » avec laquelle le prétendu tribunal des criminels de guerre de La Haye pourrait, au besoin, faire taire Milosevic pour toujours.

KH: Déjà en 2002, il y avait de nombreux indices allant dans le sens d'une « solution biologique ». Le point principal était la façon de traiter les recommandations médicales face à l'état de santé critique de Milosevic. Déjà à cette époque, un groupe de médecins allemands s'était adressé au tribunal « soucieux de la vie et la santé de Slobodan Milosevic », car les propositions médicales concernant le déroulement du procès n'avaient pas été appliquées, car aucun contrôle médical ni aucune thérapie n'était effectuée. À la réponse du tribunal qu'un « bon suivi médical de haute qualité était effectué par le centre médical de la prison », l'initiative des médecins répondait que ce centre ne consiste que d'un médecin non-spécialiste et d'une infirmière et que la « qualité réside en cela qu'à la place de médicaments contre l'hypertension, des médicaments augmentant la tension furent administrés ». Déjà à cette époque, il était question de recourir à un avocat commis d'office contre la volonté de Milosevic, ce qui augmentait le stress et les risques.

Q: Comment a réagit le tribunal aux appels des médecins ?

Un médecin néerlandais appelé par le tribunal lui-même constatait une « hypertension primaire, des dommages secondaires d'organes et des poussées d'hypertension ainsi qu'un risque d'apoplexie, d'infarctus et de décès ». Ceci fut commenté par Carla Del Ponte, procureur en chef du tribunal, dans le Neue Zürcher Zeitung du 18 juillet 2003 en ces termes : « Il se porte très, très bien. Beaucoup de personnes de 60 ans et plus souffrent d'hypertension. Nous ne le ménageons pas. J'espère que vous n'avez pas cette impression ». Des appels renouvelés des médecins allemands restèrent inentendus. Un jour avant que la mort de Milosevic ne soit découverte, des membres dirigeants de l'ICDSM s'adressèrent au Conseil de sécurité de l'ONU pour protester contre le refus d'un traitement cardiologique dans une clinique spécialisée de Moscou. Bien que le gouvernement russe ait présenté la garantie requise pour son retour, les bourreaux du tribunal se permirent l'affront diplomatique inouï d'un refus, stigmatisant ainsi implicitement la Russie comme un état voyou.

Q: Dans l'entourage de Milosevic, on parle de la possibilité d'un empoisonnement.

Et pas sans raison. Ce même vendredi se déroula dans la prison de Scheveningen une séance de préparation avec le prochain témoin, l'ancien président du Monténégro, Momir Bulatovic. À cette occasion, Milosevic exprimait à son conseiller juridique la crainte d'être empoisonné en prison. Milosevic rédigea une lettre personnelle dans laquelle il appelait instamment à l'aide le gouvernement russe. Tomanovic transmit la lettre le jour même à l'ambassade russe aux Pays-Bas.

Il y a déjà deux ans, Milosevic avait fait remarquer que sa ration alimentaire en prison, qui ne se distinguait pas en apparence de celle des autres détenus, fut brusquement échangée par l'un des gardes. Cette information sur l'événement alarmant ne fut pas entendu par les juges. Tout cela montre que, derrière la fausse façade de justice, un tribunal d'exception aux ordres de l'OTAN est à l'oeuvre et où l'accusation joue le rôle d'ange de la mort et les juges soudoyés celui de bourreaux. Ils sont responsables non seulement de la violation des normes de l'ONU concernant le traitement des prisonniers, mais ils sont aussi de lâches criminels sans scrupule. Leur institution avec un nombre surprenant de morts doit être dissoute comme Abou ghraïb et Guantanamo.


Entretien: Anna Gutenberg

*Klaus Hartmann est vice-président du Comité International pour la Défense de l'ancien président yougoslave Slobodan Milosevic (ICDSM).


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source : journal junge Welt (Allemagne) du 13 mars 2006

»DES CADAVRES JONCHENT LA ROUTE DU TRIBUNAL«

Slobodan Milosevic n'est pas la première victime à mettre sur le compte des enquêteurs de La Haye.

par Jürgen Elsässer

Le tribunal pénal pour l'ex-Yougoslavie (TPI) est couramment appelé tribunal des Nations unies, ce qui est destiné à le doter d'un aspect d'impartialité. Cependant, cela ne correspond pas à la réalité. La décision de le mettre en place ne fut pas prise par l'assemblée générale des Nations unies en 1993, mais par le Conseil de sécurité, comme si la justice internationale faisait partie des tâches de maintien et d'application de la paix, qui seules, d'après la charte de l'ONU, entrent dans la compétence de cet organe suprême.

Contre l'impartialité du tribunal, on peut noter que, parmi les accusés, il y a plus de Serbes que de représentants d'autres nationalités. Ainsi, après la mort de Milosevic, ce sont encore deux autres chefs d'état serbes qui sont en cellule : l'ex-présidente de la république serbe de Bosnie (Republika Srpska), Biljana Plavsic, ainsi que le président serbe Milan Milutinovic. Un autre ex-président des Serbes de Bosnie, Radovan Karadzic, est également recherché comme son commandant en chef, Ratko Mladic. De même le commandant en chef yougoslave du corps du Kosovo, Nebojsa Pavkovic a, lui aussi, été livré. Parmi les présidents et commandants en chef des adversaires des Serbes, seulement un seul est en prison à Scheveningen : le commandant en chef croate Ante Gotovina. Les têtes de l'armée clandestine albanaise UÇK, Hashim Thaçi et Agim Çeku, exercent encore aujourd'hui les plus hautes fonctions politiques au Kosovo. Ce dernier a été élu, vendredi dernier, premier ministre de la province.

La pression des recherches et l'antipathie anti-Serbes manifeste de la procureur en chef actuelle à La Haye, Carla Del Ponte (Suisse) et de celle qui la précédait Louise Arbour (Canada) ont conduit à un grand nombre de morts parmi les accusés et recherchés, évidemment seulement chez ceux de nationalité serbe. 

Un aperçu non-exhaustif :

Le 30 janvier 1996, Djordje Djukic était kidnappé par une troupe musulmane lors d'un voyage conduit en accord avec la troupe d'occupation IFOR en Bosnie centrale et transféré à La Haye en passant par Sarajevo, bien qu'aucun mandat d'arrêt n'exista à l'époque. Djukic, atteint d'un cancer, ne reçut pas de traitement médical approprié et décéda le 18 mai 1996.

Le 10 juillet 1997, des unités spéciales britanniques des SAS appartenant aux troupes d'occupation en Bosnie SFOR tuèrent Simo Drljaca. Le cadavre présentait trois traces de tirs à distance dans le dos et celle d'un tir mortel final à courte distance.

Le 29 juin 1998, on prétend que Slavko Dokmanovic se serait pendu dans sa cellule de La Haye, bien que le prétendu suicidé fut soumis à un contrôle accru et que le jugement devait être prononcé une semaine plus tard.

Le 3 août 1998, décéda Milan Kovacevic dans sa cellule de La Haye d'une crise cardiaque. Ses avocats se plaignirent que ses problèmes de santé étaient connus et qu'il aurait pu être sauvé si on s'était occupé de lui à temps.

Le 9 janvier 1999, des unités de la SFOR abattirent Dragan Gagovic en présence de cinq adolescents qui se trouvaient dans la voiture du professeur de karaté.

Le 13 octobre 2000, Janko Janjic empêcha son arrestation, à laquelle participaient entre autres des soldats allemands de la SFOR, en se faisant sauter à l'aide d'une grenade.

Le 11 avril 2002, le parlement serbe, en violation de la constitution, vota une loi permettant le transfert de suspects à La Haye. En marque de protestation, le député socialiste Vlajko Stojiljkovic, qui figurait sur la liste des recherchés de La Haye, se tira une balle dans la tête sur les escaliers de la Chambre haute.

Le 5 janvier 2006, des soldats italiens des troupes d'occupation en Bosnie EUFOR assassinèrent, lors de l'arrestation de Dragomir Abazovic, sa femme Rada, qui aurait prétendument défendu son mari avec une Kalachnikov. Du côté de l'EUFOR, il n'y avait bizarrement aucun blessé tandis que la femme serbe fut tuée d'une seule balle.

Le 5 mars 2006, on prétend que Milan Babic, président de l'éphémère république serbe de Krajina (1991-1995) ait mis fin à ses jours dans sa cellule de La Haye. Babic s'était livré lui-même au tribunal en 2003. Vuk Draskovic, ministre des Affaires étrangères de Serbie-Monténégro, critiqua les responsables de la prison qui auraient pu, selon lui, empêcher sa mort.


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source : journal junge Welt (Allemagne) du 13 mars 2006

COMMUNIQUÉ DE «SLOBODA» CONCERNANT LA MORT DE SLOBODAN MILOSEVIC

Belgrade, le 11 mars 2006

Le président Slobodan Milosevic, le grand combattant pour la liberté et la dignité du peuple serbe et dont le nom représente la lutte pour le droit international dans le monde, a été tué ce matin dans la prison de Scheveningen.

Le tribunal de La Haye est directement responsable de ce crime, car il refusa au président Slobodan Milosevic un traitement à Moscou, malgré son état de santé critique.

Nous appelons le secrétaire général des Nations unies à suspendre immédiatement les travaux de cette institution criminelle et demandons au Conseil de sécurité de l'ONU de l'abolir.

Nous exigeons du gouvernement serbe de cesser immédiatement toute coopération avec le tribunal et le mettons en garde, d'empêcher le peuple de témoigner son respect au président Milosevic. Dans le cas contraire, le peuple en tirera les conséquences qui s'imposent.

Qui était Milosevic et ce pour quoi il a lutté, le peuple serbe le sait mieux que quiconque, comme tous les hommes épris de liberté du monde entier. Sa mort doit mettre fin à la politique renégate et de division, qui entraîne le pays et ses habitants à la ruine.

Nous appelons le peuple à l'unité pour défendre, suivant l'exemple de Milosevic, sa liberté et sa dignité.

Le livre de condoléances sera disposé à partir de dimanche 12 mars à 9 heures dans les locaux de l'organisation SLOBODA, 16 rue Rajiceva, à Belgrade.

SLOBODA - Comité national pour la libération de Slobodan Milosevic

Traduit de l'allemand