Informazione

(francais / english / srpskohrvatski / italiano)

Sulla denuncia per crimini di guerra presentata dalla Jugoslavia contro
la NATO


1. Introduzione e link utili

2. Hague "could not" hold investigation into bombing
campaign against SRY, Del Ponte (February 2004)

3. The Hague International Court of Justice discusses about the suit
filed by Belgrade against 10 NATO member states for bombing FR
Yugoslavia in 1999 (April 2004)

4. L'Italia - implicata nei crimini di guerra - chiede alla Corte
internazionale di giustizia dell'Aja di ''non pronunciarsi'', e la sua
agenzia di stampa cerca di elidere quei crimini usando altre cause, che
non c'entrano assolutamente nulla e sono inconsistenti nel merito,
intentate da Croazia e Bosnia (Aprile 2004)

5. Uoci rasprave pred Medunarodnim sudom. Nemojmo povlaciti tuzbu
protiv NATO ! (Aleksandar Mitic)

6. Pas d'accord sur la plainte contre l'OTAN / No agreement on NATO
charges


=== 1 ===

Introduzione e link utili

Il ritiro della denuncia per crimini di guerra contro la NATO -
depositata nell'aprile 1999 dalla RF di Jugoslavia presso la Corte
Internazionale di Giustizia dell'Aia - e' stato richiesto negli ultimi
tempi da settori dei partiti della destra filo-occidentale al governo
in Serbia, e soprattutto in questi giorni dall'attuale ministro degli
Esteri Vuk Draskovic.

La possibilita' del ritiro - che in base al ricatto occidentale sarebbe
condizione sine qua non per la ammissione della Serbia-Montenegro in
determinati consessi internazionali - e' stata dibattuta nei giorni
scorsi per alcune ore dal parlamento della Serbia, dopodiche' e' stato
dichiarato che l'unica istituzione competente a decidere in materia
sarebbe il parlamento federale (cioe' della Unione di Serbia e
Montenegro). Il dibattito e' stato cosi' bloccato, dopo una fase molto
animata con scambi di accuse soprattutto tra i parlamentari socialisti
e radicali da una parte (contrari al ritiro della denuncia) e
parlamentari della destra filo-statunitense e filo-tedesca dall'altra
(con in testa il partito di Draskovic).

La vicenda ha assunto oramai dei contorni puramente vergognosi. Mentre
infatti tutte le analoghe denunce presentate alle magistrature di vari
paesi (compresa l'Italia) sono state insabbiate sin dall'inizio, e
mentre l'illegittimo "Tribunale ad hoc" istituito dalla NATO all'Aia si
e' costantemente rifiutato di incriminare i dirigenti NATO (vedi
Allegato numero 2), la Corte Internazionale di Giustizia (che ha sempre
sede all'Aia ma e' una istituzione completamente distinta) dopo piu' di
5 anni ancora non si e' pronunciata sulla ammissibilita' della denuncia.
Nel frattempo, le denunce contro Stati Uniti e Spagna sono gia' state
dichiarate insostenibili poiche' questi due Stati non hanno mai
ratificato la legislazione internazionale sul genocidio. Altri paesi,
come l'Italia - gravemente implicata nei crimini di guerra del 1999 -
hanno chiesto alla Corte internazionale di giustizia dell'Aja di ''non
pronunciarsi''. L'ANSA - che nasconde al pubblico italiano il dibattito
dei giorni scorsi al parlamento serbo - ha cercato in passato di
mischiare le carte rilanciando la tesi del partito di Draskovic sulla
presunta necessita' di far cadere "tutte le denunce
contemporaneamente", vale a dire anche le denunce presentate da Croazia
e Bosnia contro la Jugoslavia per "aggressione". Tuttavia queste ultime
non c'entrano assolutamente niente con la prima, e nel merito sono del
tutto inconsistenti e non assimilabili poiche' nessuno potra' mai
provare che la Jugoslavia abbia mai aggredito nessun altro, in quanto
la Jugoslavia non ha mai aggredito nessuno.

In generale, la posizione dei paesi della NATO e' da una parte quella
di far dichiarare illegittima la denuncia, con pretesti come quello che
all'epoca la Jugoslavia "non era membro dell'ONU" (essendone stata
sospesa in forza delle loro stesse pressioni; in realta', pur sospesa
dalle sessioni, la Jugoslavia era membro fondatore delle Nazioni
Unite). Dall'altra, i paesi della NATO contano sul prossimo
scioglimento anche della attuale "Unione di Serbia e Montenegro", nata
nel 2003 per loro stessa volonta' allo scopo di rimuovere quella
Jugoslavia non solo dalla scena politica internazionale, dalle cartine
geografiche e dalla memoria pubblica, ma anche e soprattutto come
soggetto giuridico.
Con la sparizione del "cadavere", gli assassini puntano cioe' a
nascondere il crimine.

Sul Memorandum, preparato su questo tema dall'associazione "Sloboda" di
Belgrado, si veda:

Memorandum "Slobode" protiv povlacenja tuzbi

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3748

La documentazione essenziale sulle conseguenze della aggressione del
1999 dei paesi della NATO contro la RF di Jugoslavia si trova - a cura
della Sezione Italiana del Tribunale Internazionale Indipendente sui
crimini NATO contro la Jugoslavia proposto da Ramsey Clark - al sito:

http://www.pasti.org/tribhome.htm

Vedi in particolare: LE DISTRUZIONI DELLA NATO
SUL TERRITORIO DELLA REPUBBLICA FEDERALE DI JUGOSLAVIA

http://www.pasti.org/lbianco.htm

Tutti i dati e la documentazione fotografica sui crimini di guerra
commessi dalla NATO con i bombardamenti contro la RF di Jugoslavia si
trovano ad esempio ai siti:

http://www.sramota.com/nato/
http://www.justiceyugoslavia.org
http://www.kosovo.com/natobomb.html
http://www.balkan-archive.org.yu/kosovo_crisis/destruction_exhibition/
index.html

Si veda in particolare la versione integrale del "Libro Bianco" del
governo jugoslavo:

WHITE BOOK - NATO BOMBING OF YUGOSLAVIA

PART 1 (March 24- April 24)
http://www.balkan-archive.org.yu/kosovo_crisis/destruction/white_book/

PART 2 (April 25 - June 10)
http://www.balkan-archive.org.yu/kosovo_crisis/destruction/white_book2/

EN FRANCAIS: http://otan99.chiffonrouge.org
les deux volumes du livre blanc des crimes de l’OTAN en Yougoslavie 1999

Infine, sul caso della denuncia presentata all'Aia vedi anche:

BELGRADE ACTION AGAINST NATO BEGINS

http://www.iwpr.net/index.pl?archive/tri/tri_354_2_eng.txt

Preliminary hearings in Serbia and Montenegro vs NATO trial marked by
calls for legal action to be dismissed.
By Rachel S. Taylor in The Hague
IWPR'S TRIBUNAL UPDATE No. 354, April 2004, 2004


(Fine. Note e link a cura di Italo Slavo)


=== 2 ===

http://www.tanjug.co.yu/
EYugWor.htm#Hague%20could%20not%20hold%20investigation%20into%20bombing%
20campaign%20against%20SRY,%20Del%20Ponte

Tanjug - February 1, 2004

Hague could not hold investigation into bombing
campaign against SRY, Del Ponte

20:10 ZAGREB , Feb 1 (Tanjug) - The Hague tribunal
chief prosecutor Carla del Ponte has said that certain
initiatives have been made so that the court held an
investigation into whether the civilians that died
during the NATO bombing campaign against the Federal
Republic of Yugoslavia (SRY) in 1999 were in some
cases victims of war crimes, and not collateral
victims, but that the tribunal could not hold such an
investigation.
Del Ponte said this in an interview the Craotian
television broadcasted late on Saturday.


=== 3 ===

Source: Rick Rozoff, yugoslaviainfo@ yahoogroups.com

---

http://www.tanjug.co.yu/

Tanjug - April 12, 2004

In The Hague to be decided jurisdiction over lawsuit
against NATO

BELGRADE - At the International Court of Justice in
The Hague, which as an institution of the United
Nations is in charge of disputes between states, will
open on April 19 discussions about the suit filed by
Belgrade against 10 NATO member states for bombing FR
Yugoslavia in 1999.
After five-day discussions, the Court,
Radio-Television Serbia reported, is expected to take
a decision within two months whether it has
jurisdiction over the suit against Belgium, Italy, the
Netherlands, Germany, France, Portugal, Canada and
Great Britain.

---

http://www.blic.co.yu/danas/broj/E-Index.htm#7

Blic (Serbia-Montenegro) - April 18, 2004

Today about SCG lawsuit against NATO

The Hague - One-week preliminary debate about lawsuit
by Serbia and Montenegro against NATO for alleged
genocide committed during bombing of Yugoslavia in
1999 is to begin today before the International Court
of Justice in The Hague.
Apart from genocide, NATO countries have been also
accused for illegal application of armed force during
air strikes on the Federal Republic of Yugoslavia in
spring 1999 as well as for crimes against humanity.

---

http://www.bgnewsnet.com/
story.php?sid=4648&PHPSESSID=23f02171f263c6a7515c52d408cbeb21

Bulgarian News Network - April 19, 2004

World Court Opens NATO 1999 Yugoslavia Bombing
Campaign Case

THE HAGUE (BGNES)--The World Court opened hearings on
Monday into a case by Serbia and Montenegro
challenging the legality of NATO's 1999 air strikes
after a Serb crackdown in Kosovo.
NATO members, including Britain, France, Germany,
Belgium, Italy and Canada, will appear before the UN's
highest court to argue that it does not have
jurisdiction to consider Serbia and Montenegro's
claim.
"Belgium maintains all its preliminary objections as
regards jurisdiction and admissibility," Belgian
representative Jan Devadder told the court at the
start of hearings to consider the court's jurisdiction
in the case.
The NATO states concerned said at the time their
action was justified by what they said was Belgrade's
ethnic cleansing of Kosovo's majority ethnic Albanian
population. The former Yugoslavia argued the air
strikes violated international law.
NATO's 11-week bombing campaign forced a Serb pullout
from Kosovo, ending what the alliance regarded as a
crackdown by Serb forces against ethnic Albanians in
the breakaway province during former Yugoslav
president Slobodan Milosevic's rule.
Human Rights Watch says that NATO bombs killed some
500 Yugoslav civilians between March and June, 1999.
Yugoslav authorities said at the time that 2,500
Yugoslavs were killed.

---

http://www.b92.net/english/news/index.php?nav_id=28041&style=headlines

B92 - April 19, 2004

Preliminary hearing on charges against NATO

THE HAGUE -- Monday – The International Court of
Justice in The Hague today begins a preliminary
hearing of charges by Serbia-Montenegro against NATO
member countries over the bombing of Yugoslavia in
1999.
One member of the state’s legal team, Vladimir Djeric,
told B92 that in the next few days the court will
discuss the question of its jurisdiction in the case.
“The court will hear arguments from both sides in
connection with objections and comments from NATO
countries on jurisdiction. The member countries argue
that the court is not competent to rule on this issue
while we, of course, challenge that,” he said.
Charged are eight members of NATO. Additional charges
against the US and Spain have already been dismissed
by the court because both states insist that the
International Court of Justice is not competent to
rule on disputes under the Convention on Genocide.
“The remaining countries argue that, as a state which
was not a member of the UN at the time, we are not
able to address the court,” said Djeric.

---

http://news.bbc.co.uk/2/hi/europe/3639401.stm

BBC News - April 19, 2004

Court considers Nato bombing case

The World Court has begun hearings to decide if it has
jurisdiction in a case against Nato for the 1999
bombing of Yugoslavia during the Kosovo crisis.
Serbia and Montenegro, Yugoslavia's successor state,
accuse eight Nato countries of genocide and violating
international law on the use of force.
The Nato members, including the UK, France and
Germany, say the court is not competent to hear the
case.
The court is hearing from all sides this week before
making a judgement.

'Deliberate destruction'

The original complaint was filed by the former
Yugoslavia just a month after Nato launched air
strikes against the country in March 1999.
The air strikes were not authorised by the UN.
However, the Nato members concerned said at the time
that their actions were justified as they aimed to
protect ethnic Albanians in Kosovo from attacks by
Serb forces.
But lawyers for Serbia and Montenegro accuse the Nato
members of deliberately targeting civilians and
violating international obligations banning the use of
force against another state.
The Nato countries are accused of deliberately
inflicting "conditions of life calculated to cause the
physical destruction of a national group".
"In bombing the Federal Republic of Yugoslavia,
military and civilian targets were attacked. Great
numbers of people were killed, including a great many
civilians," Serbia and Montenegro argued in court
documents.

Objections

The New York-based Human Rights Watch estimates that
from March to June 1999, around 500 civilians were
killed during the Nato strikes in Serbia and Kosovo.
Belgium was the first Nato country to state its
objections before the World Court, officially known as
the International Court of Justice (ICJ) in the Hague.
Belgium's lawyer argued that "there is no longer a
dispute between the countries" and invited the court
to "discontinue the case on all grounds".
The ICJ is also hearing from representatives of the
other countries accused: Canada, France, Germany,
Italy, the Netherlands, Portugal and the UK.
Initial charges against Spain and the United States
have been dropped.
The ICJ is the United Nations' highest legal body to
resolve disputes between nations.

---

http://www.rferl.org/featuresarticle/2004/04/3a2e8c3b-aaa6-4e0f-9e35-
c875101e84b5.html

Radio Free Europe/Radio Liberty
Reuters/Agence France-Presse
April 19, 2004

World Court Opens Case Of Yugoslav Air War

The World Court today opened hearings into a case by
Serbia and Montenegro on the legality of NATO's 1999
air war to end a Serb crackdown on ethnic Albanians.
Yugoslavia, the predecessor state of Serbia and
Montenegro, argued that Belgium, the Netherlands,
Canada, Portugal, the United Kingdom, Germany, France,
and Italy used force illegally during the war.
Yugoslavia's suit also accuses those eight states of
genocide.
Two similar cases were filed against the United States
and Spain in 1999, but the court threw those cases out
on a technicality.
The eight NATO members are expected to argue that the
court does not have jurisdiction to consider the case
against them.
In 1999, NATO launched an air war to end a Serb
crackdown on independence-seeking ethnic Albanians in
Kosovo. Hundreds of civilians were killed in the
bombing campaign.

---

http://www.b92.net/english/news/
index.php?&nav_category=&nav_id=28052&order=priority&style=headlines

B92/Associated Press - April 19, 2004

Court hears genocide charges against NATO

THE HAGUE - Five members of NATO have urged the
International Court of Justice (ICJ) to reject a case
brought by Serbia-Montenegro over the 1999 bombing of
the then Yugoslavia, arguing that when the complaints
were filed the state was not even a member of the
United Nations.
The ICJ, the UN’s highest judicial body, began hearing
arguments today from eight alliance members accused by
Belgrade of genocide during their 78-day bombing
campaign to drive Serb forces from Kosovo.
The court heard today from Canada, Portugal, Britain,
the Netherlands and Belgium. Germany, France and Italy
will present their arguments on Tuesday, while
Serbia-Montenegro will make its case on Wednesday.
Lawyers for the NATO countries stressed today that the
case could not be heard by the Hague-based court
because it was filed eighteen months before
Serbia-Montenegro, then still called Yugoslavia,
joined the United Nations. The complaints, which
include genocide, were filed on April 29, 1999, at the
height of NATO’s air war.
Lawyers rejected outright the charge of genocide.
Belgium’s lawyer, Daniel Bethlehem, said the
accusation was extravagant.
The air strikes were launched on March 24, 1999,
without the backing of a UN Security Council
resolution.

---

http://www.rnw.nl/news/news.html#3980685

Radio Netherlands - April 19, 2004

World Court begins hearings on NATO bombardments

The International Court of Justice in The Hague began
hearings Monday regarding NATO's bombardments of
Yugoslavia in 1999. The case, which was brought before
the court in April of that year by the government of
former Serbian President Slobodan Milosevic, has the
support of the current government of Serbia and
Montenegro.
The government believes the eight NATO member states
had no right to forcibly intervene in the Kosovo
conflict. Belgrade argues that the treaty organisation
had no UN mandate and therefore violated the
sovereignty of the former state of Yugoslavia.
The Netherlands and Belgium have argued that Serbia
and Montenegro has no case because it is not the legal
successor to the former Yugoslavia. The Serbian
authorities will be heard on Wednesday.

---

http://www.makfax.com.mk/news1-a.asp?br=66857

MakFax (Macedonia) - April 19, 2004

Preliminary hearing on charges against NATO

The International Court of Justice in The Hague opens
today a preliminary hearing of charges by
Serbia-Montenegro against NATO member-countries that
took part in NATO-led air strikes on Yugoslavia in
1999.
The court will hear arguments from both sides in
connection with objections and comments from NATO
members over jurisdiction. The NATO member-countries
argue that the court is not competent to rule on this
issue. Representatives of Serbia-Montenegro will
attempt to reassure the court that it has a
jurisdiction to decide whether NATO had violated the
international law by resorting to force against
Yugoslavia in 1999.
Sources in NATO said Belgrade’s charges against seven
members of the Alliance are the main obstacle to
accession of Serbia-Montenegro into Partnership for
Peace (PfP) Program.

---

http://www.tanjug.co.yu/
Tanjug - April 20, 2004

Serbia-Montenegro legal representative to present
Belgrade's stand regarding lawsuit against NATO


THE HAGUE/BELGRADE - Serbia-Montenegro legal
representative Tibor Varadi said on Monday that on
Wednesday he would address the International Court of
Justice (ICJ) and present Belgrade's stand on the
jurisdiction of the ICJ in the lawsuit which FR
Yugoslavia filed against eight NATO member-states that
had bombed Yugoslavia in the spring of 1999. Speaking
for Tanjug over the phone, Varadi said that Dutch and
Belgian representatives had denied the jurisdiction of
the ICJ at the beginning of the debate and that
Canada, Great Britain, Portugal, France, Germany and
Italy would present their stands on Monday afternoon
and on Tuesday.
Charges for genocide, illegal use of force and other
crimes against humanity committed during the 78-day
bombing initially included Spain and the United
States, but the Court had dismisssed the cases against
these states. [Because the latter two have refused to
ratify the relevant treaty and as such are not within
its jurisdiction.]

---

http://www.blic.co.yu/danas/broj/E-Index.htm#6

Blic (Serbia-Montenegro) - April 21, 2004

SCG not giving up charges against NATO

The Hague - Serbia and Montenegro has not given up its
lawsuit against NATO countries for violation of
international humanitarian law during bombing in 1999
and is requesting from the International Court of
Justice in The Hague to say whether it is competent
for that dispute or not. SCG chief representative
Tibor Varadi said that yesterday before the judges of
that court.
Many international humanitarian organizations
confirmed that international law was violated by air
strikes on Yugoslavia. Varadi also specified the
arguments in favor to SCG lawsuit against eight NATO
countries.

---

http://www.b92.net/english/news/
index.php?&nav_category=&nav_id=28082&order=priority&style=headlines

Agence France-Presse - April 21, 2004

Belgrade says NATO bombing made Kosovo problems worse

THE HAGUE - Serbia and Montenegro, which has filed a
genocide claim against eight NATO counties with the
International Court of Justice (ICJ), told the court
Wednesday that the NATO bombing of Serbia in 1999 did
not resolve the crisis in Kosovo but made it worse.
"The bombing did not resolve the problems, they only
made them bigger," Belgrade's lawyer Tibor Varady told
the ICJ, the United Nations' highest legal body.
He stressed that the deadly violence that erupted in
Kosovo last month proved his point.
Wednesday was the third consecutive day of procedural
hearings at the ICJ in the case that Serbia and
Montenegro have filed against Belgium, the
Netherlands, Canada, Portugal, Britain, Germany,
France and Italy.
Belgrade is accusing them of committing genocide with
the NATO air-strikes during the 1999 Kosovo war.
The hearings are dealing with the NATO states'
preliminary objections against the case. Earlier this
week all the NATO countries asked to court to declare
that it was not competent to hear to case.
Many of the states argued that Serbia and Montenegro's
claim could not be considered because it was filed in
1999 when the country was not yet admitted as a UN
member state. It was finally admitted in November 2000.
Lawyers for Belgrade told the court Wednesday that
Serbia and Montenegro, then still called the Federal
Republic of Yugoslavia (FRY), had a "sui generis" or
special position in the UN at the time the complaint
was filed which would not affect the legality of the claim.
On Thursday and Friday the NATO states will have a
chance to submit their response to Belgrade's
arguments before the court.
The NATO air strikes launched on March 24, 1999
without the backing of a UN Security Council
resolution, were aimed at protecting ethnic Albanians
in Kosovo from attacks by Serb forces. The targets
chosen by NATO included anti-aircraft batteries,
military command centres, government buildings,
factories and bridges.

---

http://www.tanjug.co.yu/

Tanjug - April 21, 2004

ICJ to decide on Serbia-Montenegro's lawsuit against
NATO in few months - legal representative

THE HAGUE - Serbia-Montenegro's legal representative
Tibor Varadi said after the Wednesday presentation of
Serbia-Montenegro's arguments from the lawsuit against
eight NATO countries for genocide in the 1999 war that
it was too early to say anything about the oucome of
this process, because the International Court of
Justice in The Hague, which is reviewing its
jurisdiction in the dispute, would most likely make a
decision in a few months. "We presented our stands
today. Now the eight NATO member-countries are to
respond and we will have another opportunity on
Friday," Varadi told Tanjug, summarising the
activities of the delegation he heads at the ICJ.
He said that the eight NATO member-countries "will
tomorrow present counter-arguments to what we said
today and on Friday we will have two hours to respond
to what the NATO countries said," and this would mark
the end of the debate.

---

http://www.tanjug.co.yu/
EYugWor.htm#Genocide%20charges%20against%20NATO%20legally%20founded,%20a
ccording%20to%20Varadi,%20Brownly

Tanjug - April 21, 2004

Genocide charges against NATO legally founded,
according to Varadi

THE HAGUE - Serbia and Montenegro (SCG), which is
suing before the International Court of Justice in The
Hague countries NATO Alliance for genocide, is
claiming that NATO's bombing of FR Yugoslavia in 1999
did not contribute to a solution of the conflict in
Kosovo and Metohija and that its suit for genocide
against the countries members of that military
organisation was legally founded, news agencies
reported on Wednesday.
SCG chief legal representative Tibor Varadi said on
Wednesday before the judges in The Hague that the
bombing did not resolve the problem, but on the
contrary, exasperated it, as evidenced by the bloody
violence that took place last month in Kosovo and
Meothija.

---

http://www.tanjug.co.yu/
Tanjug - April 23, 2004

Serbia-Montenegro favours same principles for all
disputes before ICJ - legal representative

BELGRADE - Tibor Varadi, who represents
Serbia-Montenegro before the International Court of
Justice (ICJ) in The Hague, has said that the main aim
of Serbia-Montenegro's team of legal representatives
is to ensure that the ICJ decide on the issues that
concern all disputes on the basis of same principles.
"Our efforts are to have these principles as the
subject of decision, which is very complicated,"
Varadi told Tanjug after a week-long debate on
Serbia-Montenegro's lawsuit against NATO
member-countries - Belgium, The Netherlands, Canada,
Portugal, Great Britain, Germany, France and Italy -
which bombed FR Yugoslavia (Serbia-Montenegro) for 78
days in the spring of 1999.
"I believe that we have succeeded in responding to
what the lawyers of NATO (members) said," Varadi said.

---

http://www.seeurope.net/en/Story.php?StoryID=50037&LangID=1

Seeurope.net - April 22, 2004

NATO Worsened the Crisis in Kosovo, Serbs tell ICJ

Serbia and Montenegro, which has filed a genocide
claim against eight NATO countries with the
International Court of Justice (ICJ), told the court
yesterday that the NATO bombing of Serbia in 1999 did
not resolve the crisis in Kosovo but made it worse.
“The bombing did not resolve the problems, they only
made them bigger,” Belgrade’s lawyer Tibor Varady told
the ICJ, the United Nations’ highest legal body. He
stressed that the deadly violence that erupted in
Kosovo last month proved his point. Yesterday was the
third consecutive day of procedural hearings at the
ICJ in the case that Serbia and Montenegro has filed
against Belgium, the Netherlands, Canada, Portugal,
Britain, Germany, France and Italy. Belgrade is
accusing them of committing genocide with the NATO air
strikes during the 1999 Kosovo war.


=== 4 ===

http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/serbiamontenegro.shtml

KOSOVO: ITALIA A CORTE, NON PRONUNCIARSI SU ACCUSE BELGRADO

(ANSA) - BRUXELLES, 20 APR - L'Italia ha oggi chiesto alla Corte
internazionale di giustizia dell'Aja di ''non pronunciarsi'' sulla
richiesta avanzata nel 1999 da Serbia e Montenegro contro Roma e
altri paesi della Nato per la loro partecipazione alla guerra in
Kosovo. Le udienze che il Tribunale tiene questa settimana all'Aja
puntano a stabilire la competenza e la ricevibilita' da parte della
stessa Corte delle accuse di Belgrado, senza entrare cioe' nel merito
delle stesse. I ricorsi riguardano ''la legittimita' dell'uso della
forza in Kosovo'' e sono stati depositati da Belgrado il 29 aprile
del 1999, nel pieno dei bombardamenti e della campagna aerea dell'
Alleanza atlantica contro gli obiettivi militari e politici in Serbia
e in Kosovo. Nell'udienza di ieri davanti alla Corte - principale
organo giudiziario delle Nazioni Unite - erano intervenuti i
rappresentanti di Belgio, Canada, Olanda, Portogallo e Gran Bretagna.
Oggi e' stato il turno di Francia, Germania e del rappresentante
del governo italiano, Ivo Braguglia. L'Italia - ha precisato nel
suo intervento Braguglia - ''chiede alla Corte di rinunciare a
pronunciarsi'' sulla richiesta avanzata da Belgrado, ''dal momento
che i contrasti tra Serbia e Montenegro e l'Italia sono venuti meno,
o sono destinati a sparire''. In altre parole, secondo il governo
italiano ''e' venuto a cadere l'oggetto del contendere'' e pertanto
''non c'e' piu' controversia''. Nelle dichiarazioni fatte dal
governo di Belgrado - ha spiegato il rappresentante italiano -
risulta infatti ''che la stessa Serbia e Montenegro sostiene di non
essere parte delle Nazioni Unite e della Convenzione sul genocidio,
ne' all'epoca dei fatti ne' all'epoca della richiesta'' avanzata
appunto da Belgrado nel 1999. Le posizioni manifestate dagli
altri paesi sono stati simili a a quella dell'Italia. Il
rappresentante francese ha per esempio sottolineato che nonostante si
sia giunti ad una situazione giuridicamente ''insolita'', Belgrado
non ha ritirato le accuse contro i paesi membri dell'Alleanza
Atlantica. (ANSA).
RIG 20/04/2004 22:08

SERBIA/MONTENEGRO: CAUSA A NATO, PER NON PAGARE BOSNIA

(ANSA) - BELGRADO, 20 APR - La causa contro la Nato intentata da
Belgrado presso la Corte internazionale di giustizia dell'Aja per i
bombardamenti della primavera 1999 e' uno dei tasselli di un
complicato gioco a incastro che ha come fine l'annullamento della
piu' pericolosa causa intentata da Bosnia e Croazia contro l'allora
Jugoslavia per le guerre balcaniche dei primi anni '90. E' questa
l'interpretazione piu' diffusa sulla stampa serba di oggi per una
mossa che sembra andare in direzione contraria rispetto alla politica
di integrazione perseguita da Serbia e Montenegro, che include
l'adesione al programma 'Partnership per la pace' (Pfp) dell'Alleanza
atlantica. Uno dei requisiti chiesti dalla Nato, ricordano i
giornali, era appunto il ritiro del ricorso presentato alla Corte di
giustizia nell'aprile del 1999, nel pieno dei raid e con il paese
saldamente in mano al nazionalista Slobodan Milosevic. La causa
non e' stata ritirata per ragioni di opportunita': la Corte di
giustizia si e' gia' dichiarata competente in passato sui
procedimenti intentati contro l'allora Jugoslavia da Croazia e
Bosnia, per i quali Belgrado rischia, se condannata, di dover pagare
pesanti risarcimenti. Ad avallare quelle accuse c'e' la sentenza
emessa ieri in appello dal Tribunale penale internazionale per i
crimini di guerra nella ex Jugoslavia, che qualifica di genocidio la
strage di Srebrenica del luglio 1995, costata la vita a un numero
imprecisato di musulmani bosniaci (dai 6.000 agli 8.000, il bilancio
non e' mai stato chiarito). La sentenza del Tpi ''potrebbe
indirettamente avere conseguenze sulle accuse croate e bosniache, che
basano il loro ricorso sulla tesi del genocidio'', ha commentato il
ministro degli esteri uscente Goran Svilanovic. Belgrado,
afferma la stampa, spera segretamente che venga accolta la tesi
presentata dai difensori dei paesi Nato, secondo i quali la Corte di
giustizia dell'Aja sarebbe incompetente a giudicare sui raid in
quanto la Jugoslavia non era all'epoca membro dell'Onu ne' firmataria
della convenzione sul genocidio. Un pronunciamento in questo senso
dei giudici eliminerebbe da un lato un ostacolo all'adesione al
programma Pfp, dall'altro verrebbe a collidere con la dichiarazione
di compatibilita' della corte sui ricorsi croato e bosniaco. Il
neo ministro degli esteri Vuk Draskovic ha sintetizzato cosi' la
posizione di Serbia e Montenegro: ''Credo - ha detto nella sua
cerimonia di insediamento - che tutti dovrebbero lasciar cadere le
loro cause contro tutti. Siamo stati citati in giudizio da Croazia e
Bosnia, e a nostra volta abbiamo citato la Nato, quando tutti stiamo
cercando di migliorare le nostre relazioni con i vicini e di varare
una partnership con l'Alleanza atlantica''. (ANSA). OT
20/04/2004 15:13


=== 5 ===

http://www.glas-javnosti.co.yu/danas/pisma/srpski/pisma.shtml

18. april, 2004

Uoci rasprave pred Medunarodnim sudom

Nemojmo povlaciti tuzbu protiv NATO

Rasprava o tužbi Vlade SRJ protiv deset zemalja NATO pred Medunarodnim
sudom pravde pocece 19. aprila u Hagu. Tužba je podneta 29. aprila
1999, u jeku vazdušnih napada zapocetih agresijom 24. marta te godine.
Samo osam dana pre
pocetka rasprave, igrom slucaja, 11. aprila ove godine, na železnicki
most u Grdelickoj klisuri postavljena je spomen-ploca.
U znak secanja na više od 30 stradalih, desetak raznesenih
eksplozijama, preko 50 povredenih putnika - civila. Smrt su izazvale
cetiri rakete izbacene iz NATO aviona na medunarodni voz. "To je
zlocin, to je pravi terorizam", rekao je, po otkrivanju ploce Velimir
Ilic, republicki ministar za kapitalne investicije.
Ovakve kvalifikacija javnog zlocinackog cina morala bi da bude ideja -
vodilja na predstojecoj raspravi. Pogotovo što postoje javne i tajni
pritisci i uslovljavanja da se tužba povuce. "Oprostite se i od
zajmova, donacija". Bojazan, dakle, postoji.
Odoleti pritiscima naša je moralna i nacionalna obaveza. Od kasetnih
bombi, preostalih iz rata, na našu nesrecu, i danas stradaju deca i
ratari.
O nasladivanju raspojasanih bogova rata, savremenih Arisa, nesrecom
nanetom jednom malom, miroljubivom narodu koji nikad nikoga nije napao.
Uvek se branio. To je cinio i sada.
I pored te istine, opasnost od povlacenja tužbe postoji. Još ranije
Goran Svilanovic, ministar spoljnih poslova, predložio da vlada Bosne i
Hercegovine povuce tužbu protiv SRJ, a mi cemo, zauzvrat, to isto
uciniti s tužbom protov NATO. Bila bi to, da se obistinilo, sramna
trgovina.
Predstavnici naše vlade, na raspravi 19. ovog meseca, trebalo bi da
pokažu i knjigu "Deca optužuju", osamdeset jedno ih je mrtvo. Srpcici i
Albancici.
Drugovi u prerano prekinutom detinjstvu. Trogodišnja Milica Rakic i
16-godišnja Sanja Milenkovic pored 10-godišnjeg Besima Valjetija.
Zanavek sklopljenih ociju. Može li se Medunarodni sud pravde proglasiti
nenadležnim kada je u pitanju odgovornost za njihovu smrt. Zbog
sadašnjosti i, još više, buducnosti.

Aleksandar Mišic
Beograd


=== 6 ===

Source: alerte-otan -
http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages

---

http://www.b92.net/english/news/
index.php?&nav_category=&nav_id=29619&order=priority&style=headlines

Pas d'accord sur la plainte contre l'OTAN

B92 - 24 août

Lors des discussions au parlement serbe aujourd'hui à propos de
l'abandon des poursuites contre l'OTAN, le Mouvement du Renouveau Serbe
était le seul parti qui était en faveur d'un abandon unilatéral et
inconditionnel des charges.
D'un autre côté, aucun parti n'a soutenu la proposition du parti
radical et du parti socialiste, de faire passer une résolution qui
interdirait tout abandon de la plainte.
Tous les partis se sont entendus cependant sur le fait que le Parlement
serbe soit libre de discuter de ce sujet, mais la décision finale doit
invariablement être prise par le parlement national de
Serbie-Monténegro.
La discussion qui a démarré avec des arguments pour la résolution
[proposée par le parti socialiste], et pour ne pas laisser tomber la
plainte en ce moment, a fini par glisser sur des arguments qui ont
divisés les partis, étiquetant les uns de patriotes, les autres de
traîtres, et comprenant également des discussions sur le rôle que
chaque parti avait joué pendant les bombardement de 99.
La discussion continuera demain matin.
Le représentant du parti radical a proposé qu'il y ait 10 heures de
discussion au lieu de 5. Les Conseils pour les Affaires étrangères et
l'Intégration européenne ont rejeté cette proposition, avançant que la
plainte contre l'OTAN était sous la juridiction du parlement de
Serbie-Monténegro.

original

No agreement on NATO charges

21:45 August 24 | Beta

BELGRADE -- Tuesday - In today's parliamentary discussions over the
dropping of charges against NATO, the Serbian Renewal Movement was the
only party that supported a one-sided and unconditional dropping of the
charges.
On the other hand, no parties supported the suggestion of the Radical
and Socialist parties to pass a resolution that would forbid a dropping
of the charges.
All parties agree however, that the Serbian parliament should be free
to discuss this topic, but invariably, the final decision must be made
by the national parliament.
The discussion, which started off with arguments on why the resolution
should be passed and why the charges should not be dropped at this
given moment, later turned into arguments which divided parties,
labeling some patriots and others traitors, and also included
discussions of the roles each party played during the bombing in 1999.
Discussion will continue tomorrow morning.
Radical Party representative Zarko Obradovic proposed that the
discussions last for ten hours instead of five. The Councils for
Foreign Affairs and European Integration denied the proposal, stating
that the case against NATO is under the jurisdiction of
Serbia-Montenegro's Parliament.

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Le Parlement Serbe n'a pas à débattre de la plainte de la RFY contre
l'OTAN

B92 - 24 août

http://www.b92.net/english/news/
index.php?&nav_category=&nav_id=29615&order=priority&style=headlines

Le Parlement serbe, qui débattait aujourd'hui du retrait de la plainte
déposée en 1999 par la Yougoslavie contre les bombardement de l'OTAN
sur l'état fédéral, n'est pas autorisé à traiter de ce problème, selon
ce qu'a déclaré aujourd'hui un expert en droit international.
Vojin Dimitrijevic, qui dirige le Centre de Belgrade pour les Droits de
l'Homme, a déclaré que cette question n'était que l'une de nombreuses
initiatives futiles du gouvernement.
S'exprimant au micro de B92, il a noté que les accusations de génocide
avaient été originellement déposées contre 10 membres de l'OTAN, mais
que celles contre les USA et l'Espagne avaient depuis été retirées.
En tout cas, a dit Vojin Dimitrijevic, à ce stage de l'affaire, il est
trop tôt pour discuter du retrait de la plainte, parce que la Cour
Internationale de Justice avait encore a décider si elle était ou non
compétente pour traiter le cas.
Les Etats défendant avancent l'argument que l'affaire n'est pas de la
juridiction de la Cour parce que à l'époque des bombardements, la
Yougoslavie n'était pas un membre des Nations Unies.
« La première étape doit être pour la cour de se déclarer incompétente,
parce nous n'étions pas membre des Nations Unies [...]. Alors nous
verrons quelle est la situation et si cela vaut la peine de poursuivre
l'affaire », a déclaré Dimitrijevic.
Si la Cour Internationale de Justice se déclare incompétente sur base
du fait que la Yougoslavie n'était pas un membre des Nations Unies au
moment des attaques de l'OTAN, a-t-il dit, alors cela signifierait
employer le même argument que la Yougoslavie avait utilisé jusqu'à
présent dans les procès intentés contre elle par la Bosnie et la
Croatie.
Donc, selon lui, si la Yougoslavie n'a pas le droit de déposer une
accusation, alors elle ne peut pas non plus être accusée, et il ajoute
que, considéré sous cet angle, une telle jurisprudence ne serait pas
une défaite.

Original

NATO charges "not Serbia's concern"

The Serbian Parliament, today debating the withdrawal of charges laid
in 1999 by Yugoslavia over the NATO bombing of the federal state, is
not authorised to deal with the issue, an international law expert said
today.
Vojin Dimitrijevic, who heads the Belgrade Centre for Human Rights,
said that the issue was just one in a series of frivolous government
initiatives.
Speaking to B92, he noted that the genocide charges were originally
laid against ten NATO members but that those against the US and Spain
had since been dropped.
In any case, said Dimitrijevic, at this stage of the dispute it was too
early to discuss withdrawing the accusations, because the International
Court of Justice had yet to decide whether it was competent to deal
with the case.
The defendant states argue that the issue is not within the court's
jurisdiction because at the time of the bombing Yugoslavia was not a
member of the United Nations.
"The first step must be for the court to declare itself incompetent
because we weren't a UN member or to say that it is competent. Then
we'll see what the situation is and whether it is worth taking this
dispute any further," said Dimitrijevic.
If the International Court of Justice declares itself incompetent on
the grounds that Yugoslavia was not a member of the UN at the time of
the NATO attacks, said Dimitrijevic, then this would mean employing the
same argument which Yugoslavia had so far used in the cases brought
against it by Bosnia and Croatia.
Thus, he said, if Yugoslavia has no right to lay charges, then nor can
it be charged, said Dimitrijevic, adding that, looked at in this light,
such a ruling would not be a defeat.

Disinformazione strategica:
I colleghi "iracheni" della Ruder&Finn

http://www.uruknet.info/?s1=1&p=5018&s2=24

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Guerrieri dell'informazione

di Pratap Chatterjee da guerrillanews.com

La Rendon Group è l’agenzia di consulenza che fornisce servizi di
comunicazione politica. I servizi offerti variano dalla creazione di
“un ambiente favorevole in vista della privatizzazione” alla
giustificazione della guerra. Al suo attivo: la manipolazione dei media
durante guerra del Golfo, le reazioni dopo gli attentati dell’11
settembre, la giustificazione dell’invasione in Iraq...

“L’informazione è una componente del potere” – dal sito della Rendon
Group.


Alla vigilia della Convention nazionale dei democratici, un suggestivo
spettacolo pirotecnico illuminava la baia di Boston sotto gli occhi di
eleganti politici, di dirigenti e dei rispettivi amici, che osservavano
da un ristorante in riva al mare di nome Tia’s riservato per
l’occasione.
Rick Rendon, responsabile dell’organizzazione dell’evento, si
intratteneva amabilmente con i propri clienti: i dirigenti della Time
Warner, tra i quali il direttore Richard Parsons che lo aveva
ingaggiato per dedicare la serata a un’importante parlamentare della
California: Nancy Pelosi, leader del partito democratico.
Otto ore dopo, Rendon dava prova delle sue capacità tecnologiche nella
gestione delle informazioni: una video conferenza collegava le 56
delegazioni della Convention del partito democratico distribuite su
tutta la città in 23 luoghi differenti. “Un’iniziativa importante
perché il partito democratico esige che da tutti i suoi deputati emerga
un messaggio coerente e univoco, soprattutto per quanto riguarda la
comunicazione con i media,” ha rivelato a Information Week Rick Rendon,
co-fondatore e socio anziano della Rendon Group.

Comunicazione politica

Per la Rendon Group, il cui motto è: “l’informazione è una componente
del potere,” l’organizzazione dell’evento è stata solo uno dei tanti
servizi di “perception management” (comunicazione politica) che
l’agenzia di consulenza fornisce ai suoi clienti, tra i quali le
agenzie governative del Massachussets, i dirigenti di multinazionali,
il partito democratico, gli uffici della Defense Advanced Research
Projects Agency (DARPA) al Pentagono e il regime militare in Colombia.
I servizi offerti variano dalla creazione di “un ambiente favorevole in
vista della privatizzazione” alla giustificazione della guerra. La
società, che ha sedi a Boston e a Washington DC, è gestita da Rick
Rendon, suo fratello John Rendon, sua cognata Sandra Libby e da David
Perkins, già impiegato al Pentagono.
I rapporti di Rendon con il partito democratico risalgono almeno a 24
anni prima, in occasione della convention di New York del 1980, dove il
suo compito era quello di occuparsi dei deputati. Suo fratello John era
direttore esecutivo e direttore politico del Comitato nazionale
democratico.
Quando Jimmy Carter perse le elezioni contro Ronald Reagan, i Rendon
aprirono bottega come consulenti politici. Quasi un quarto di secolo
dopo la convention di New York, i due fratelli si ritrovano ancora a
stretto contatto sia negli affari che nella politica. John e Rick
sembrano lavorare in due mondi distinti, Boston e Washington, così come
la presenza in rete della Rendon Group si biforca in due siti
differenti, uno interno e l’altro internazionale. John gira il mondo
smerciando strategie di guerra mentre Rick rimane a casa a vendere
pace, produrre video per gli alti dirigenti e organizzare eventi. Ma la
società è a tutti gli effetti un’entità sola e un esame attento
suggerisce come forse questa netta divisione non sia che a sua volta un
caso di “perception management”.

Potere alla guerra

Quando Reagan vinse le elezioni, cancellando in un sol colpo dodici
anni di presidenti repubblicani, i Rendon ampliarono il loro raggio di
azione e John cominciò a fornire servizi di consulenza all’esercito.
Nel 1989 durante l’invasione di Panama, dall’alto di un palazzo di
Panama City (Florida) contribuì alla gestione delle informazioni sulla
guerra.
In occasione della prima guerra del Golfo nel 1991, il suo staff
operava nei dintorni di Taif in Arabia Saudita.
Durante la guerra in Afghanistan , ogni mattina alle 9:30 si riuniva
con alti funzionari del Pentagono per stabilire il comunicato del
giorno.

Una delle sue operazioni mediatiche più famose, realizzata con il
contributo dell’agenzia di pubbliche relazioni Hill & Knowlton, fu
inscenata durante la mobilitazione alla guerra del Golfo del 1991.
Il 10 ottobre 1990 il Congressional Human Rights Caucus (Commissione
per i diritti umani) tenne un’udienza a Capitol Hill. Tom Lantos,
deputato democratico della California, e John Porter, repubblicano
dell’Illinois, presentarono una quindicenne del Kuwait di nome Nayirah.
In lacrime e visibilmente turbata, la ragazza descrisse una scena
orripilante accaduta a Kuwait City. “Facevo la volontaria all’ospedale
al-Addan,” testimoniò. “mentre mi trovavo lì vidi dei soldati iracheni
irrompere con le armi nell’ospedale ed entrare nelle stanze dove
c’erano i neonati nelle incubatrici. Tolsero via i neonati e presero le
incubatrici lasciando morire i bambini a terra sul pavimento gelido”.
Sette senatori favorevoli all’intervento bellico utilizzarono queste
affermazioni per motivare la necessità dell’invasione in Iraq, portando
di fatto alla vittoria del sì per un margine ristretto di cinque voti.
In seguito si scoprì che Nayirah apparteneva alla famiglia reale del
Kuwait, era figlia dell’ambasciatore kuwaitiano negli Stati Uniti e che
l’episodio delle incubatrici era stato inventato.

Un altro trionfo mediatico di cui Rendon va fiero è stata la
manipolazione dei media attuata durante il conflitto vero e proprio.
“Chi di voi ha partecipato alla liberazione del Kuwait… o chi l’ha
soltanto vista in televisione, avrà notato le centinaia di kuwaitiani
che sventolavano delle piccole bandiere americane. Vi siete mai chiesti
come avesse fatto la gente di Kuwait City, dopo essere stata tenuta in
ostaggio per sette lunghi e dolorosi mesi, a procurarsi delle
bandierine americane? E quelle degli altri paesi alleati? Ora lo
sapete. Era uno dei miei compiti,” annunciò nel 1998 a una conferenza
sulla sicurezza nazionale.

Poco dopo gli attentati dell’11 settembre a Wall Street e Washington,
il Pentagono offrì a Rendon un contratto di 100.000 dollari al mese per
rintracciare notizie estere antiamericane, fornire consulenza sulle
strategie di comunicazione e seminare in rete, sulla stampa e in
televisione notizie filoamericane.
Nel 2002 quando il Pentagono tentò di istituire l’Office of Strategic
Influence (Ufficio per la manipolazione strategica) per poter
diffondere nei paesi stranieri notizie fuorvianti, fu proprio Rendon
l’uomo che avevano in mente. Il presidente Bush, infine, fu costretto a
eclissare il progetto dopo il fiume di proteste provenienti dai media e
dall’opinione pubblica, ma guardando indietro ci si chiede se
l’amministrazione non abbia semplicemente deciso di rinominarlo.

Ricevere il messaggio

Un anno fa fu chiesto a John Rendon di tenere un discorso a una
conferenza di funzionari dell’esercito organizzata al King’s College di
Londra su “come utilizzare al meglio le risorse militari nel campo
della gestione delle informazioni, istruendo politici e analisti e
promuovendo piani d’azione all’interno del proprio paese o all’estero”.
“Credo che l’Operation Iraq Freedom (Operazione Iraq libero) ci abbia
assicurato un posto in prima fila per lo scontro tra due diverse
culture della comunicazione. Se si seguivano i media statunitensi o
occidentali la guerra era raffigurata in un certo modo. Se si
ascoltavano o guardavano le notizie trasmesse da un’emittente araba si
ricevevano notizie di tutt’altro genere,” ha affermato Rendon, secondo
una copia del suo discorso ottenuta da CorpWatch. “In altre parti del
mondo la copertura televisiva forniva ai cittadini punti di vista
diversi. In Indonesia, per esempio, dove risiede la più grande
popolazione musulmana del mondo, i telespettatori potevano scegliere
tra la CNN International, la BBC World e, da fine marzo, Al-Jazeera…
Secondo voi qual è stato il canale più visto? Al-Jazeera, ovviamente.”
“E questo ci porta alla prima cosa importante da imparare. Dobbiamo
ancora lavorare se vogliamo far giungere il nostro messaggio al maggior
numero di persone possibile… in una miriade di lingue internazionali…e
con il giusto contesto culturale che permetta al messaggio non solo di
giungere ma anche di essere recepito”.

Potere alla pace

Mentre il fratello era alla guida della “gestione delle informazioni”
promuovendo la guerra, Rick Rendon si occupava delle pubbliche
relazioni per il progetto educativo post-11 settembre “United We Stand”
(Rimaniamo uniti) del Massachussets; progetto che, secondo il sito
della Rendon Group, “ha creato un simbolo visibile di speranza, una
bandiera americana di enormi dimensioni (20x35 m) formata da circa
40.000 brandelli di stoffa da 15x15 cm con messaggi di patriottismo,
pace, amore e sostegno al proprio paese scritti da 50.000 studenti
provenienti da oltre 675 classi”.
Di recente, Rick si è fatto promotore di un progetto intitolato
“Empower Peace” (Potere alla pace) che sfrutta le tecnologie di video
conferenza della Rendon Group per promuovere la pace tra gli alunni del
Medio Oriente e del Massachussets, anche se in scala ridotta rispetto
alle tecnologie utilizzate per la Convention democratica.
Il primo scambio è stato trasmesso il 20 maggio 2003. Il progetto era
semplice ma stimolante: la El Centro del Cardenal High School di
Boston, gli studenti della Stoneham High School di Stoneham e gli
studenti musulmani della Khawla School del Bahrein hanno parlato tra
loro di pace tramite la tecnologia video della Polycom.
“Per le vecchie generazioni farsi un’opinione o cambiare modo di
pensare è difficile. Per le generazioni future invece è essenziale.
Riponiamo le nostre speranze nelle giovani generazioni future,” ha
dichiarato Rendon all’epoca. Colleen Cull, insegnante alla El centro
del Cardenal High School, ha aggiunto entusiasta: “In sostanza credo
che prenderanno molte delle informazioni ricevute attraverso questo
progetto e le condivideranno con gli amici, i familiari avviando così
l’intero processo di pace”.
Che progetti come quello di “Empower Peace” o “United We Stand” siano
mezzi efficaci per contrastare la retorica antiamericana di Al-Jazeera?
Rick Rendon sta forse aiutando il fratello a comunicare “con le lingue
e con il giusto contesto culturale che permetta al messaggio non solo
di giungere ma anche di essere recepito”, utilizzando gli studenti di
Boston e del Bahrein come strumento per far sembrare l’occupazione
statunitense dell’Iraq un gesto d’amicizia? Rendon non si esprime
sull’argomento. Alla richiesta di discutere dell’invasione in Iraq, ha
risposto bruscamente: “È irrilevante. Sarò lieto di discutere
dell’Empower Peace, ma di nient’altro”.
Poco distante dalla festa da Tia’s a Boston, Rendon dichiarava che il
progetto era stato finanziato interamente dalla sua società. “È stato
realizzato grazie al nostro buon cuore. Si basava su ciò che è
diventata la campagna per la pace razziale tra scuole più grandi del
mondo; ha riunito qui a Boston 15.000 ragazzi per parlare di diversità
e di rispetto reciproco coinvolgendo studenti di Belfast dall’Irlanda
del Nord (cattolici e protestanti) e dal Sud Africa (neri e bianchi);
hanno interagito superando i pregiudizi e i luoghi comuni e hanno
imparato a vivere, studiare e giocare insieme”.

La guerra è pace

Ma come spesso accade nelle relazioni pubbliche il messaggio che
aleggia in superficie non necessariamente coincide con lo scopo ultimo
della campagna.
A rendere più interessante il lavoro dei due fratelli è il fatto che
spesso si servano delle medesime persone: uno di loro venne alla luce
quando inaspettatamente fu ucciso nel nord dell’Iraq nei primi tre
giorni dopo l’invasione del marzo 2003. Paul Moran, freelance per la
Australian Broadcasting Corporation di Adelaide, all’epoca viveva nel
Bahrein e lavorava per la Rendon Group all’Empower Peace. Oltre a
essere un freelance che girava video aziendali per vivere, Moran
lavorava per John Rendon e aveva quindi una doppia vita, secondo
l’Adelaide Advertiser che al funerale intervistò amici e familiari.
Moran fece tesoro della “sua esperienza di cameraman per addestrare i
dissidenti iracheni all’uso di telecamere nascoste per filmare attività
militari. Durante gli incontri tenuti a Teheran, in Iran, mostrava agli
iracheni contrari a Saddam come sfruttare oggetti di uso quotidiano, ad
esempio sacchi di datteri, per nascondere le telecamere… lavorò a
stretto contatto con i partiti di opposizione iracheni in esilio che
incitavano la popolazione a sollevarsi contro Saddam [e]… fu coinvolto
nella defezione di uno scienziato iracheno che fornì al governo
statunitense prove importanti sui laboratori per la costruzione di armi
biologiche, chimiche e nucleari irachene”. Inoltre “fu ingaggiato per
ripristinare una stazione televisiva del Kuwait utilizzata per
trasmettere in Iraq messaggi anti-Saddam e… per fornire annunci di
servizio pubblici per il Pentagono da trasmettere in Iraq in
preparazione dell’Operation Freedom Iraq.” Alcune di queste
trasmissioni vennero registrate a Boston.
Un articolo del Villane Voice rivelò che la Rendon Group aveva chiesto
la collaborazione di un dottorando di Harvard, sebbene in qualche caso
la produzione non fu organizzata in maniera adeguata. “Nessuno sapeva
una parola di arabo. Pensavano stessi ridicolizzando Saddam, ma per
quanto ne capivano potevo anche stroncare il governo americano. Quale
iracheno troverebbe divertente prendersi gioco dei baffi di Saddam,
quando lì li portano quasi tutti?” affermò lo studente, che chiese di
rimanere anonimo.

Il legame Chalabi

Ci si potrebbe chiedere se il “perception management” o la “gestione
delle informazioni” della Rendon Group siano ciò che una volta si
chiamava propaganda o disinformazione.

Alla luce delle recenti dichiarazioni che hanno rivelato come le prove
addotte dall’amministrazione Bush a giustificazione dell’invasione in
Iraq fossero fittizie, è opportuno considerare il ruolo avuto da Moran
e dalla Rendon Group in quella vicenda.
Per esempio Adnan Ihsan Saeed al-Haideri, un tecnico civile iracheno
che dichiarò di aver visto venti edifici segreti presumibilmente
utilizzati per la costruzione di armi chimiche e biologiche, venne
portato di nascosto in Tailandia per essere intervistato da Moran.
Ad assistere al-Haideri vi era Zaab Sethna, portavoce del congresso
nazionale iracheno (INC) e collega di vecchia data di Moran. Non
sorprende che lo stesso INC (noto per il suo fondatore, Ahmed Chalabi,
membro, caduto ormai in disgrazia, del consiglio di governo iracheno)
sia stato creato dalla Rendon Group, secondo quanto emerge dal rapporto
di Peter Jennings della ABC News del febbraio del 1998 che mostrava
come la Rendon Group avesse speso più di 23 milioni di dollari per
conto della CIA.
Secondo la ABC, fu proprio Rendon a trovare un nome per il congresso
nazionale iracheno.
Aggiunge Seymour Hersh del New Yorker che la Rendon Group fu “pagata
dalla CIA quasi cento milioni di dollari” per il lavoro svolto con
l’INC.
Per testate importanti come il New York Times, Chalabi e l’INC furono
tra le “fonti” principali di informazioni per quanto riguarda le
misteriose “armi di distruzione di massa” irachene.
La Rendon Group lavorava forse con Moran e Chalabi grazie a un qualche
contratto speciale stipulato con il governo americano affinché la
guerra fosse giustificata tramite la manipolazione dei media, come ad
esempio il New York Times? Non ci sono prove a confermarlo ma solo
molte coincidenze sospette.
Secondo il reporter australiano John Hosking, che intervistò Zaab
Sethna a Dateline, un programma di informazione australiano, l’unico
altro reporter che riuscì a intervistare al-Haideri prima che fosse
inglobato da un programma di protezione testimoni fu la scandalosa
Judith Miller del New York Times.
Miller firmò numerose inchieste che ribadivano la “minaccia”
rappresentata dalle armi di distruzione di massa irachene e indicò in
al-Haideri la sua fonte.
Articoli e informazioni di natura simile vennero presentati più volte
dall’amministrazione Bush come pretesto per l’attuale guerra in Iraq.
A maggio del 2004, il New York Times pubblicò un editoriale scusandosi
per cinque inchieste, inclusi parecchi articoli di prima pagina,
prodotte tra il 2001 e il 2003 che riferivano di armi biologiche,
chimiche e nucleari presenti in Iraq: “In alcuni casi, le informazioni
che all’epoca furono controverse, e che ora appaiono discutibili, non
vennero accertate con sufficienza o non vennero messe in discussione…
Guardando indietro, vorremmo aver mostrato più decisione nel
riesaminare le dichiarazioni ogni qual volta venivano – o non venivano
– alla luce nuove prove”.

Gestire gli eventi

Rick Rendon ha evitato ogni commento sul ruolo di Moran o sulle
attività della Rendon Group in Iraq. Verso mezzanotte quando la serata
al Tia’s stava ormai per concludersi, Rendon si è allontanato dal
reporter, troncando così l’intervista.
Nel frattempo i suoi committenti della Time Warner e i loro ospiti lo
hanno raggiunto per ringraziarlo dell’ennesima festa ben riuscita e
dell’occasione concessa per parlarsi.
Tra gli ultimi a lasciare la festa c’era Jason Steinbaum, responsabile
dello staff del parlamentare Eliot Engel, deputato democratico di New
York, che ha scambiato qualche parola con CorpWatch: “Chi di noi
frequenta determinate cerimonie è molto grato alle organizzazioni che
le sponsorizzano, siano esse agenzie o associazioni commerciali o altre
tipologie di… altre tipologie di società. Siamo davvero molto grati.
Con alcuni membri della Time Warner lavoro su tematiche che sono di
competenza del comitato di cui fa parte il mio responsabile e cerimonie
come queste ci danno la possibilità di conoscerci dietro le quinte,” ha
dichiarato.
“La Time Warner ha una sua presenza a Washington e siamo bel lieti di
accoglierla nei [nostri] uffici”.

Se John Kerry dovesse vincere le elezioni, potrebbe decidere di fare
affidamento sulla Rendon Group per plasmare l’opinione pubblica sulla
guerra in Iraq.
Dopo tutto i Rendon sono vecchi sostenitori del partito democratico che
sono stati in grado di mostrare due volti completamente diversi pur
lavorando per la stessa società: manipolando l’opinione pubblica nei
confronti delle operazioni anti-guerriglia in Colombia; incitando i
cittadini del Massachussets a pagare le tasse e a riciclare i
contenitori per le bevande; occupandosi delle pubbliche relazioni di
Jean Bertrand Aristide dopo che l’amministrazione Clinton lo aveva
reinsediato al potere e di quelle dei gruppi cittadini che chiedevano
la caduta di Noriega dopo l’invasione dell’esercito statunitense.
E anche se Kerry dovesse essere sconfitto dall’amministrazione
Cheney-Bush, nessun problema, la Rendon Group sarà sempre pronta e al
servizio di chiunque.


Traduzione di Maria Romanazzo per Nuovi Mondi Media
Fonte: http://www.guerrillanews.com/corporate_crime/doc50
36.html
For Fair Use Only

http://www.nuovimondimedia.it/modules.php?op=modlo
ad&name=News&file=article&sid=782&mode=thread&orde

NON C'E' PROPRIO NIENTE DA RIDERE


SERBIA: URANIO IMPOVERITO, CACCIA A UN RIMBORSO INESISTENTE (ANSA) -
BELGRADO, 21 AGO - Aiuti internazionali da 700 a 7.000 euro per i
bambini nati durante o subito dopo i raid della Nato del 1999, per
ripulirsi la coscienza dalle eventuali conseguenze dell'uso di bombe
all'uranio impoverito: era solo una voce senza fondamento, ma da
Leskovac, nella Serbia meridionale, la diceria si e' rapidamente
diffusa in tutto il paese, e ha provocato un vero e proprio assedio di
giovani genitori agli uffici comunali, agli ospedali e alle banche.
Come leggenda metropolitana, e' ben dettagliata: identifica anche
l'ente donatore, la svizzera 'Organizzazione internazionale per la
migrazione' (Iom). Non sono pero' bastate le smentite dei portavoce
dell'Iom a convincere gli aspiranti al rimborso.
L'assalto agli uffici ha provocato gia' molti danni: sono andati in
tilt i sistemi computerizzati, sovraccaricati dalle richieste, e i
pochi impiegati non andati in vacanza hanno dovuto smistare code
chilometriche.
La chiave del misterioso diffondersi della diceria sarebbe secondo la
stampa serba in un fantomatico modulo che i genitori avrebbero dovuto
compilare per formalizzare la richiesta di rimborso: alcuni lo hanno
mostrato ai giornali, senza voler precisare se avessero pagato per
averlo. Si tratta solo di un pezzo di carta elaborato da un comune pc:
e sarebbe la trovata di un abile truffatore, che ha saputo sfruttare le
inquietudini provocate dalle possibili conseguenze a lungo termine
dell'uranio impoverito usato dalla Nato nei raid della primavera 1999.
(ANSA).

OT 20/08/2004 14:18
http://www.ansa.it/balcani/fattidelgiorno/200408201418162340/
200408201418162340.html

"SOCIETA' CIVILE" E "DISOBBEDIENZA"


Dal Venezuela, Fulvio Grimaldi oggi ci scrive:
<<Sul giornalone della reazione sconfitta e tanto più virulenta perchè
si vede bloccati tutti gli sbocchi istituzionali nel futuro
prevedibile, appaiono sempre più frequenti appelli all’eversione. (...)
Un paginone intero sull’edizione odierna invita la “società civile”
alla “disobbedienza” e, trasparentemente, allude alla “guerra civile”,
la minaccia implicitamente. (A proposito, dalle mie lontananze non
riesco a sapere come si pone rispetto ai bolivariani e a Chavez quella
gente che, da noi, usa gli stessi termini propalati dalla destra
fascista e filocolonialista : “società civile”, “disobbedienza
civile”...) E’ vero sono stati stroncati dal voto libero e democratico.
Non gli restano altri mezzi che la violenza, il terrorismo, la
cospirazione...>>
Precisamente come hanno fatto in Jugoslavia.

[ L'associazione "Sloboda" - sezione belgradese del Comitato
Internazionale per la Difesa di Slobodan Milosevic - ha preparato un
dettagliato Memorandum sull'iter della denuncia presentata nel 1999
presso la Corte Internazionale di Giustizia dalla allora RF di
Jugoslavia contro i paesi della NATO per crimini di guerra.
A motivare questo Memorandum e' il ventilato ritiro della suddetta
denuncia, prospettato dall'attuale governo della cosiddetta "Unione di
Serbia e Montenegro" in seguito alle pressioni giunte proprio da parte
NATO. Per i criminali ricattatori della NATO, infatti, il ritiro della
denuncia e' una delle condizioni poste al nuovo staterello per la
normalizzazione dei rapporti con la cosiddetta "comunita'
internazionale" e per l'accesso ai suoi "salotti buoni" - UE,
Partnership for Peace, eccetera.
Ma, di fatto, la cosiddetta "Unione di Serbia e Montenegro" - nata nel
2003 per decreto Solana allo scopo di rimuovere la Jugoslavia dalla
scena politica internazionale, dalle cartine geografiche e dalla
memoria pubblica - e' gia' essa stessa in via di scioglimento. Essa -
cosi' come il suo attuale governo, composto da servili "quisling" come
il ministro degli esteri Vuk Draskovic - e' diretta espressione ed
emanazione dei paesi responsabili dei bombardamenti, che da 15 anni
usano tutti i mezzi possibili per destabilizzare e frantumare il
paese...
(A cura di I. Slavo) ]


Da: "Vladimir Krsljanin"
Data: Lun 23 Ago 2004 14:00:49 Europe/Rome
Oggetto: Memorandum "Slobode" protiv povlacenja tuzbi

M E M O R A N D U M U D R U Z E N J A «S L O B O D A»
PROTIV POVLACENJA TUZBI SR JUGOSLAVIJE PROTIV ZEMALJA NATO PRED
MEDJUNARODNIM SUDOM PRAVDE

Savezna Republika Jugoslavija (SRJ) podnela je 29. aprila 1999. godine
tuzbe Medjunarodnom sudu pravde u Hagu protiv 10 zemalja NATO i to:
Sjedinjenih Americkih Drzava, Ujedinjenog Kraljevstva Velike Britanije
i Severne Irske, Kraljevine Belgije, Kanade, Republike Francuske,
Savezne Republike Nemacke, Republike Italije, Kraljevine Holandije,
Portugala i Kraljevine Spanije, zbog agresije, genocida, ratnih zlocina
i zlocina protiv covecnosti.

Posle javne debate, odrzane izmedju 10. i 12. maja 1999. godine,
Medjunarodni sud pravde je u svojoj Odluci od 2. juna 1999. godine,
odbacio zahtev SRJ za zavodjenje privremenih mera i, oglasavajuci se iz
proceduralnih razloga nenadleznim u pogledu tuzbi protiv SAD i Spanije,
rezervisao za kasnije raspravu o tuzbama protiv ostalih, napred
navedenih, osam zemalja NATO.

Poslednjih meseci pojedini predstavnici vlasti Srbije i Crne Gore
izlaze u javnost sa, manje ili vise otvorenim zalaganjem za povlacenje
tih tuzbi. Najdalje u tome su otisli sadasnji ministar spoljnih poslova
SCG Vuk Draskovic i neki njegovi saradnici, zatim, predsednik Srbije
Boris Tadic i drugi. Na istim linijama su i zalaganja nekih domacih
nevladinih organizacija za koje se pouzdano zna da su finansirane iz
izvora zemalja agresora, pre svega SAD.

Raspolozenje vecinske javnosti je protiv takvih stavova, uz naglaseno
iznenadjenje i nezadovoljstvo prema njihovim nosiocima. Verovatno zato
jos uvek nema zvanicnih stavova ni jedne od nadleznih institucija
vlasti. Iz toga se moze zakljuciti da izjave pojedinaca iz vlasti i
njihovo siroko publikovanje u onim medijima (''demokratski mediji''),
koji niz godina, ako ne i tokom citave poslenje decenije, primaju
finansijsku pomoc od NATO zemalja, imaju za cilj da pripreme domacu
javnost za takav jedan korak.
Obrazlozenja variraju od pojedinca do pojedinca, sto je svojevrsni znak
osecanja neubedljivosti, konfuzije i prikrivanja istine od javnosti.
Najcesce se navodi da SCG ne moze teziti Evropi, evropskim
integracijama, evro-atlantskim integracijama, Partnerstvu za mir i
clanstvu u NATO, a tuziti se istovremeno sa NATO zemljama. Zatim da su
tuzbe SRJ bez izgleda na uspeh i da ce ih Medjunarodni sud pravde
svakako odbaciti, odnosno, proglasiti se nenadleznim. Pri tom se, od
prilike do prilike, kao elementi za ovakvo predvidjanje, javnosti
serviraju stavovi o tome da SRJ u vreme podnosenja tuzbi (april
1999.), ili nije bila clanica UN, ili da nije moguce dokazati
odgovornost tuzenih drzava za genocid nad srpskim narodom, jer to
ukljucuje nameru za istrebljenje celog naroda, ili njegovog dela, a ta
namera ''ocigledno'' nije postojala.

U tim izjavama se, dalje, u javnosti nudi, opet kao stav pojedinaca,
ideja o istovremenom povlacenju tuzbi SCG protiv osam NATO zemalja i
tuzbi Bosne i Hercegovine i Hrvatske protiv SRJ za agresiju, odnosno,
genocid, kao i protiv-tuzbi SRJ protiv BiH i Hrvatske, takodje, pred
Medjunarodnim sudom pravde. Pri tome se precutkuje cinjenica da je
prethodna DOS-ovska vlast, gotovo odmah po preuzimanju drzavnog
kormila, 2001. godine jednostrano povukla pomenute protiv-tuzbe SRJ,
lisavajuci na taj nacin nasu drzavu i narod mogucnosti da se zastite i
ostvare svoje legitimne interese. I to precutkivanje je znak neciste
savesti tzv. demokratske vlasti koja je time pokazala da nije spremna
da snosi odgovornost pred narodom.

Treba podsetiti na cinjenicu da, kada su uspostavljeni formalni
dipslomatski odnosi SRJ i BiH 2001. godine, ''demokratska vlast'' nije
insistirala na prethodnom povlacenju tuzbe Alije Izetbegovica protiv
SRJ za navodnu agresiju i genocid, iako je potpuno jasno da niti je
bilo agresije, ni genocida, niti jedna drzava, dakle, citav jedan
narod, moze biti kolektivno odgovoran za bilo kakav zlocin, niti je
podnosilac tuzbe, Alija Izetbegovic, imao legitimitet da u ime citave
BiH, dakle u ime sva tri njena konstitutivna naroda, podnosi bilo kakvu
tuzbu protiv SRJ, jer je u to vreme srpski narod, kao konstitutivni
narod, bio izopsten iz vlasti BiH sve do uspostavljanja dejtonske BiH,
krajem 1995. godine. Niko iz tzv. demokratske vlasti nije tada koristio
argument o tome da nije normalno da BiH zeli diplomatske odnose,
doborosusedstvo i prijateljstvo sa SRJ dok istovremeno insistira na
tuzbi protiv SRJ, nista manje nego za agresiju i genocid.

Sto se tice zahteva za nadoknadu ratne stete od agresorskih zemalja,
sto je sastavni deo tuzbe SRJ pred Medjunarodnim sudom pravde, autori
pomenutih izjava, manje ili vise otvoreno, obeshrabruju takav zahtev i
ocekivanja nase javnosti. Pri tome se, najcesce, koriste dva osnovna
''argumenta'' : prvi, da smo dobili, ili da cemo dobiti finansijsku
pomoc Zapada, bespovratne ili povoljne kredite, te da ne treba
inistirati na formalnoj nadoknadi ratne stete; drugi, da je iluzija da
se od SAD i drugih clanica NATO zemalja moze ostvariti pravo na ratnu
stetu, jer su oni jaki i tesko ih je na to obavezati. Zato je bolje od
svega odustati, ''a u interesu dobrih buducih odnosa, saradnje i
prijateljstva''.

Sve ove izjave i svi ovi navodni argumenti praceni su ocenom ministra
spoljnih poslova SCG V. Draskovica i drugih pojedinaca iz vlasti da smo
za bombardovanje, odnosno za agresiju NATO, sami krivi, odnosno da je
za sve to kriv Slobodan Milosevic i njegov rezim. Zato je po njima
besmisleno insistirati na ''Milosevicevoj tuzbi'' i ''Milosevicevim
protiv-tuzbama'', jer su ti akti nasledje prethodnog rezima kojeg
''nova, demokratska vlast'' treba da se oslobodi.

Vremenski, ne slucajno, kampanja za povlacenje tuzbi SRJ protiv osam
zemalja NATO, poklapa se sa upornim nastojanjem Haskog Tribunala da
nametanjem branioca po sluzbenoj duznosti predsedniku Slobodanu
Milosevicu, ugrozavanjem njegovog zivota i zdravlja i manipulisanjem
time, promenom pravila postupka na sredini njegovog trajanja, kao i
drugim nezakonitim manevrima, oteza ili onemoguci iznosenje istine i
dokaza o stvarnoj krivici NATO i njegovim zlocinima protiv naroda SRJ
tokom agresije 1999. godine. Ocigledno da druga faza procesa
predstavlja ozbiljnu opasnost za NATO, zemlje - agresore i njihove
lidere da budu objektivno direktnije nego u prvoj fazi procesa
stavljeni na optuzenicku klupu, zbog cega bi povlacenje tuzbi SRJ
otklonilo, ili bar umanjilo takvu opasnost. Uostalom, istu svrhu imalo
je i ponistavanje presude Okruznog suda u Beogradu broj 381/2000. od
21. septembra 2001. godine protiv lidera NATO-drzava od strane bivseg
DOS-ovog rezima.

Zbog toga nema nikakve sumnje da je povlacenje tuzbi SRJ vazan interes
tuzenih zemalja i NATO pakta u celini. Da nije tako ne bi bilo
pritisaka i ucena da se one povuku. Po svom obimu i intenzitetu, ovi
pritsci su bez presedana u istoriji medjudrzavnih sporova pred
Medjunarodnim sudom pravde. Ovo se jedino moze objasniti time da je
NATO svestan svoje krivice, odnosno da je izvrsio agresiju, prekrsio
Povelju UN, osnovne principe medjunarodnog pravnog poretka, Zenevske i
Haske konvencije i mnoge druge izvore medjunarodnog javcnog prava.
Takodje, prekrsio je i sopstveni Osnivacki akt, a zemlje ucesnice u
agresiji su prekrsile i svoje sopstvene ustave, posto su odluke o
agresiji donete izvan i, najcesce, protiv volje nacionalnih
parlamenata. Otuda je normalno da NATO i njegovi lideri, posebno lideri
koji su igrali kljucnu ulogu u preduzimanju agresije protiv SRJ, svesni
dalekoseznosti posledica eventualnog prihvatanja nasih tuzbi i moguce
osude od strane Medjunarodnog suda pravde, nastoje svim silama da to
unapred sprece. Najbolji put za to jeste - povlacenje tuzbe od strane
SCG.

NATO je svojim uticajem i finansijama obezbedio da u oktobarskom
prevratu 2000. godine i na ''slobodnim i demokratskim izborima'' u SRJ
na najvaznije pozicije vlasti dodju licnosti za koje je siguran da ce
nastupati onako kako nastupaju, odnosno, da ce braniti i nametati
interese NATO pakta i odredjenih zemalja clanica, proglasavajuci te
interese za interese SCG, odnosno Srbije. Pokazalo se da su oni to
revnosno cinili i da i danas to cine, tako da su sa tom naglasenom
servilnoscu i sluganstvom nasu zemlju, umesto izgradnje partnerskih
odnosa sa svetom, posebno Zapadom, pretvorili u savremenog vazala,
koloniju, odnosno monetu za potkusurivanje, o cijim interesima ne
odlucuje nas narod, vec spoljni mentori ''demokratske vlasti''.

Sto se tice ''argumenata'' koje V. Draskovic i drugi pojedinci iz
vlasti navode u prilog povlacenja tuzbe protiv zemalja NATO, stvari
stoje ovako:

A) Nije tacno da SRJ u vreme podnosenja tuzbe (april 1999. godine) nije
bila clanica UN. Cinjenica je da SRJ, koja je bila jedan od osnivaca
svetske organizacije, nikada nije bila iskljucena iz clanstva UN.
Poznati su pokusaji SAD da posredstvom trecih zemalja na Generalnoj
Skupstini UN (tzv. Hrvatska inicijativa), iskljuce SRJ iz clanstva UN.
Ti pokusaji su pretrpeli potpuni neuspeh, jer je velika vecina zemalja
- clanica UN bila protiv iskljucenja SRJ iz clanstva UN, s obzirom da
za to nije postojao nikakav oslonac u Povelji UN. Da je SRJ bila
clanica UN potvrdjuje i tadasnje misljenje glavnog pravnog savetnika
UN. Istina je da je odlukom Generalne Skupstine UN samo privremeno
suspendovano pravo SFRJ (SRJ) na ucesce u radu Generalne Skupstine i
EKOSOK-a. Prema tome, nije bilo razloga, niti pravnog osnova za
podnosenje zahteva za ponovni prijem SRJ u clanstvo UN, kao nove
clanice, kako je to uradio tadasnji predsednik SRJ Vojislav Kostunica
svojim
aktom od 27. oktobra 2000. godine. Ako je bilo razloga za ikakvu molbu,
onda je to mogla biti samo molba za ukidanje privremene suspenzije od
ucesca SRJ u radu Generalne Skupstine i EKOSOK-a, a nikao molba za njen
prijem u clanstvo kao nove drzave. Osim toga, Vojislav Kostunica je
aktom od 27. oktobra 2000. grubo prekrsio Ustav SRJ, jer nije imao
ovlascenje za takvu odluku koja je u iskljucivoj nadleznosti Savezne
skupstine SRJ. Najzad, bez obzira na privremenu suspenziju samo jednog
segmenta clanskih prava, SRJ je, bez prekida, koristila sva druga
clanska prava u Ujedinjenim nacijama, ukljucujuci, na primer, ucesce i
istupanje na sednicama Saveta bezbednosti, ucesce u medjunarodnim
pregovorima pod okriljem UN, kao sto su, na primer, pregovori o zabrani
koriscenja hemijskog oruzja, potpisivanje medjunarodnih konvencija,
neprekodno funkcionisanje Stalne misije SRJ pri UN u Njujorku i dr.
Istovremeno, SRJ je redovno izvrsavala sve svoje clanske obaveze,
ukljucujuci i redovno placanje kontribucije (clanarine), u korist UN.

B) Tuzbe SRJ protiv clanica NATO ukljucuju i zlocin genocida, ali se ne
svode samo na to. One, takodje, obuhvataju odgovornost clanica NATO za
krsenje medjunarodnih obaveza i to: obaveza koje zabranjuju upotrebu
sile protiv druge drzave; obaveza koje zabranjuju intervenciju u
unutrasnje stvari druge drzave; obaveza koje zabranjuju krsenje
suvereniteta druge drzave; obaveza koje stite civilno staniovnistvo i
civilne objekte u vreme rata; obaveze o zastiti zivotne sredine;
obaveze o zastiti slobodne plovidbe na medjunarodnim rekama; obaveza
koje se odnose na osnovna ljudska prava i slobode; obaveze o zabrani
upotrebe zabranjenih oruzja; obaveza kojima se zabranjuje namerno
pogorsavanje uslova zivota civilnog stanovnistva sa ciljem da se
izazove fizicko unistavanje nacionalne grupe.

Ostaje pitanje zasto ministar Vuk Draskovic i drugi pojedinci iz vlasti
kriju od javnosti celinu tuzbi. Moze biti objasnjivo zasto tuzene
clanice NATO to cine, ali je tesko objasniti i nemoguce prihvatiti,
istupanje nasih zvanicnika kao advokata tuzenih zemalja.

V) Sto se tice ideje o istovremenom povlacenju svih tuzbi i
protiv-tuzbi, to su sasvim razlicite stvari i treba ih razlicito i
tretirati. Ni sam NATO ne porice da je napadom na SRJ prekrsio Povelju
UN. Pokusava da to obrazlozi moralnim i humanitarnim motivima.
Medjutim, ne moze se prihvatiti teza o tome da je SRJ izvrsila agresiju
na Hrvatsku i BiH. Tu tezu ne prihvata ogromna vecina svetske
zajednice. Cak su i UN u svojim dokumentima konstatovale da u ratu u
BiH nije ucestvovala JNA, dakle SRJ, vec da je to bio gradjanski rat
(Izvestaj specijalnog predstavnika Generalnog sekretara UN u BiH, iz
maja 1992. godine). Osim toga, Hrvatska i BiH (kao i Slovenija),
pristupile su jednostranoj, protivustavnoj i nasilnoj secesiji od SFRJ,
sto je dovelo do gradjanskog rata u tim dvema bivsim jugoslovenskim
republikama.

Sto se tice nadoknade ratne stete, treba istaci da je to neotudjivo
pravo nase zemlje koje ne zastareva i da stoga niko nema moralno pravo
da formalnim odlukama organa vlasti uskrati (u pravnom smislu) drzavi i
narodu mogucnost ostvarivanja prava na nadoknadu ratne stete.

Osim toga, danas je svima jasno da nikakva pomoc niti je stigla, niti
ce stici - koja bi nadoknadila bar deo stete nanesene agresijom NATO.
Sve sto imamo od tzv. demokratskih promena u proteklom periodu je
enormno povecanje spoljnog zaduzenja, cime su stvoreni realni uslovi
da nasa zemlja, za koju godinu, zapadne u krajnje ozbiljnu duznicku
krizu. Da li ce, kada i kako odgovorni za ogromnu ratnu stetu to
isplatiti nije razlog za odustajanje od zahteva. To je zahtev u ime
drzave i naroda, a ne u ime jedne garniture na vlasti, pogotovu bilo
kog pojedinca.

Sramna je teza predstavnika vlasti kojom pokusavaju da ubede narod da,
u interesu buducih dobrih odnosa sa agresorskim zemljama, prihvati
odustajanje od tuzbe, uz istovremeno isticanje da to odustajanje, kako
uveravaju narod, ''ne sprecava pojedince da individualnim tuzbama traze
nadoknadu svoje stete''. Ciji su to pojedinci ako nisu drzavljani ove
drzave koja ima ustavnu obavezu da ih stiti. Kakva je moc gradjanina -
pojedinca u drzavi koja bi povukla drzavnu tuzbu, ostavljajuci
gradjanina - pojedinca da se tuzi sa vladama najmocnijih zemalja na
svetu? Ako su drzave clanice NATO tako snazne da nece udovoljiti
zahtevu nase drzave za nadoknadu stete, kakva je, tek, sudbina ljudi -
pojedinaca u procesima koji bi eventualno bili pokrenuti?

Cilj izjava u prilog povlacenja tuzbe nije da se zastiti bilo koji
interes nase zemlje ili naroda. Pojedinci, a pre svega oni cija su
imena ovde navedena, vide svoju ulogu u tome da udovolje interesima
NATO i optuzenih zemalja, makar posle njih nastupio i potop za Srbiju.
Medjutim, odustajanje od tuzbe imalo bi visestruke negativne posledice,
a pre svega to bi znacilo:

1. Oslobadjanje NATO i zemalja - agresora od
odgovornosti za sve zlocine pocinjene tokom 78-dnevnog bombardovanja
SRJ. To znaci oslobadjanje od odgovornosti za: nicim izazvanu agresiju,
ubijanje i ranjavanje hiljada ljudi, zena i dece; treniranje,
naoruzavanje, finansiranje, opremanje i snabdevanje teroristicke tzv.
«Oslobodilacke vojske Kosova (OVK)», sa ciljem secesije Kosova i
Metohije od Srbije; napade na civilne ciljeve, razaranje i ostecivanje
kulturnih, verskih i istorijskih spomenika u SRJ; upotrebu zabranjenog
oruzja, kao sto su kasetne bombe i oruzje sa osiromasenim uranijumom;
unistavanje rafinerija i hemijskih postrojenja cime je ucinjena ogromna
steta covekovoj okolini; razaranje industrijskih postrojenja,
komunikacija, mostova, zdravstvenih i kulturnih institucija, i dr.

2. Oslobadjanje NATO i zemalja - agresora od obaveze
da nadoknade ratnu stetu koja prema proceni vlade SRJ iznosi preko 100
milijardi USA dolara;

3. Formalno prihvatanje teze o tome da NATO nije kriv
za agresiju, vec da su krivi nasa zemlja i nas narod oliceni u svom
demokratski izabranom predsedniku Slobodanu Milosevicu i drzavnom i
vojno-politickom rukovodstvu;

4. Legalizaciju nelegalno osnovanog Haskog tribunala
i punu legitimizaciju optuzbi tog Tribunala protiv predsednika
Milosevica i drugih najvisih drzavnih i vojnih rukovodilaca srpskog
naroda za navodne ratne zlocine. To bi bio nacin da se legitimna borba
protiv terorizma na Kosovu i Metohiji i odbrana SRJ od agresije prikaze
kao ratni zlocin, a agresija NATO opravda moralnim i humanitarnim
razlozima.

5. Da postoji sporazum iz Rambujea, iako je poznato
da u Rambujeu nikakvi pregovori nisu vodjeni i da, prema tome, od
strane predstavnika SRJ i Srbije nije prihvacen niti potpisan nikakav
sporazum;

6. Legalizaciju secesije na Kosovu i Metohiji i
reviziju Rezolucije 1244 koja garantuje teritorijalni integritet SRJ,
odnosno Srbije;

7. Reviziju Dejtonsko - Pariskog sporazuma, kojim je
ustanovljena Republika Srpska kao izraz suvereniteta i pune
ravnopravnosti srpskog naroda u okviru Bosne i Hercegovine;

8. Ucvrscivanje, odnosno, jacanje pozicija BiH i
Hrvatske u njihovim neosnovanim tuzbama protiv SRJ, uz prespektivu
nametanja ogromnih obaveza danasnjim i buducim generacijama u Srbiji i
Crnoj Gori za nadoknadu ratne stete.

Konacno, povlacenje tuzbi protiv zemalja - agresora znacilo bi
prihvatanje gubljenja nacionalnog suvereniteta i prakticnog nametanja
nasoj zemlji i narodu stranog protektorata u duzem periodu. To bi,
istovremeno, znacilo davanje dozvole unapred svim buducim agresorima da
pod izmisljenim moralnim i humanitarnim izgovorima, silom pokoravaju
manje i slabije drzave i po sopstvenoj volji namecu vlast koja ce
sluziti interesima jedne, ili grupe najmocnijih zemalja sveta.

Zbog toga je energicno suprotstavljanje pokusajima da se povuku tuzbe
protiv osam zemalja NATO za agresiju i brojne zlocine ne samo nas
vitalni nacionalni interes - da se tim putem izdejstvuje osuda agresora
i obezbedi pravicna nadoknada ratne stete, vec je to i u interesu
rehabilitacije i jacanja osnovnih principa medjunarodnih odnosa,
Povelje UN i medjunarodnog prava, kao i izgradnje pravednog
medjunarodnog poretka.

U Beogradu, 20. avgusta 2004.
UDRUZENJE «SLOBODA»


Dostavljeno:
- Narodnim poslanicima Narodne skupstine Republike Srbije
- Poslanicima Skupstine Srbije i Crne Gore
- Clanovima Saveta ministara Srbije i Crne Gore
- Sredstvima javnog informisanja

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http://www.icdsmireland.org/ (ICDSM Ireland)
http://www.pasti.org/milodif.htm (ICDSM Italy)
http://www.wpc-in.org/ (world peace council)
http://www.geocities.com/b_antinato/ (Balkan antiNATO center)

(francais / italiano)

L'eroica resistenza del popolo iracheno (2)

1. Gli italiani (brava gente) hanno sparato sull'ambulanza?
(M. Forti, 20/8/2004)
2. La rivolta dei senza scarpe
(S. Chiarini, 21/8/2004)
3. Dietro le torture di Abu Ghraib c'è anche la mano dei medici
statunitensi. Il rapporto della rivista inglese Lancet
(L'Unita' 20/8/2004; Il manifesto 21/8/2004)

4. Une vidéo empoisonnée: L'affaire Nicholas Berg
(Reseau Voltaire, 18 mai 2004)


=== 1 ===

il manifesto - 20 Agosto 2004

Hanno sparato sull'ambulanza?

Micah Garen ha filmato i militari italiani a Nassiriya. Ma la notizia è
scomparsa, come lui
MARINA FORTI

I militari italiani hanno sparato contro un'ambulanza, a Nassiriya il 6
agosto, durante una battaglia contro le milizie di Moqtada al Sadr? No,
secondo la versione ufficiale delle autorità militari italiane: quel
giorno hanno sparato contro un veicolo che non si era fermato all'alt e
sventato così l'attacco di un'auto-bomba lanciata contro di loro. E
invece sì, secondo le immagini e le testimonianze raccolte di un
giornalista americano là presente: le truppe italiane hanno centrato
proprio un'ambulanza, uccidendo 4 persone tra cui una donna incinta.
L'autore di quelle immagini è il giornalista Micah Garen, la cui sorte
è ora appena a un filo: scomparso a Nassiriya la sera di venerdì 13
agosto, rapito insieme al suo interprete Amir Doushi forse da persone
legate al traffico di oggetti antichi trafugate (è su questo che stava
lavorando da mesi a Nassiriya), forse passato da un gruppo di rapitori
a un altro: mercoledì sera il rapimento è stato rivendicato da una
sedicente «brigata dei martiri», che in un filmato messo in onda dalla
tv araba Al Jazeera minaccia di ucciderlo entro 48 ore (cioè entro
questa sera) se le truppe americane non si ritireranno da Najaf.

La situazione è doppiamente complicata, e per questo separiamo, almeno
per ora, i due fatti: il rapimento del giornalista e gli avvenimenti di
quel 6 agosto. E soffermiamoci sulla seconda parte della storia,
quell'ambulanza.

Le immagini girate da Micah Garen sono andate in onda al Tg3 e poi al
Tg2, la sera del 7 agosto, in un servizio firmato da Agostino
Mauriello: si vedeva un'ambulanza bruciata e un uomo (l'autista,
sopravvissuto) racconta che gli hanno sparato contro. Ci sono anche
altre testimonianze. Nel servizio parla anche un portavoce dei militari
italiani: smentiscono, dicono che loro hanno sparato a un veicolo che
non si è fermato all'alt, il veicolo è esploso e questo prova che era
un'auto- bomba.

La cosa meriterebbe un'indagine: invece è caduta nel silenzio quasi
generale, e sembra sepolta anche ora che Micah Garen rischia la vita.

Eppure un seguito c'è stato, e ne parla proprio Garen in un messaggio
e-mail inviato l'11 agosto al Comitato per la protezione del
giornalisti (Cpj, organizzazione con sede a New York: vedi la nostra
ricostruzione del rapimento sul manifesto di ieri): «Dopo la messa in
onda siamo stati chiamati dalla polizia militare italiana per essere
interrogati. Io sono stato trattenuto fino alle 5 del mattina», scrive
Garen: «Volevano i miei filmati ma io gli ho dato un Cd con le
interviste». Il giorno dopo è preso e interrogato di nuovo, come anche
il suo interprete. «A quel punto ho lasciato il campo. Anche se sono
fuori dalla loro zona di responsabilità e sono un cittadino americano,
ho paura che continuino a perseguitarmi in qualche modo, visto che
hanno aperto un'inchiesta militare». Ci hanno interrogati come
criminali, me e quelli della Rai, precisa lo stesso giorno Garen in un
messaggio a un amico (riportato dall'Unità il 18 agosto).

I movimenti di Garen sono segnati: l'11 agosto lascia il campo italiano
di cui era ospite non più gradito (il portavoce del comando italiano
Ettore Sarli ha precisato ieri all'agenzia Ansa che il giornalista se
n'è andato di sua volontà), e va a Baghdad. Il 12 agosto è a Baghdad,
visita l'ufficio del New York Times (stava lavorando a un articolo per
loro) e quel pomeriggio torna a Nassiriya; il 13 si fa vivo con sua
madre ma quella sera è rapito. La notizia del rapimento circola lunedì,
il 16.

Nel frattempo, la notizia dell'ambulanza è scomparsa. La Rai non ne
parla più: dopo la messa in onda di quel servizio il ministero della
difesa telefona per congratularsi e la Rai decide di tacere: dire che
ha ricevuto pressioni è il minimo. L'Associazione Articolo 21 ieri ha
parlato di «censura» e Stefano Corradino commenta che questa è una
conseguenza del giornalismo embedded. Quanto allo stato maggiore della
difesa italiana, la ricerca di commenti o precisazioni è stata finora
inutile: dopo un lungo inseguimento telefonico siano stati indirizzati
a un numero cellulare disperatamente irraggiungibile.


=== 2 ===

il manifesto - 21 Agosto 2004

La rivolta dei senza scarpe

Al Sadr beffa gli Usa lascia la moschea di Ali e scompare nei
sotterranei di Najaf. Un suo sermone è stato letto ieri nella vicina
Kufa ma di lui non c'è traccia
STEFANO CHIARINI

La consegna delle chiavi del mausoleo di Ali agli uomini dell'anziano
capo spirituale degli sciiti, l'aytollah Ali al Sistani, e l'uscita
dalla grande moschea con la cupola ricoperta di mattonelle d'oro, 7.777
per l'esattezza, dei seguaci armati del leader sciita radicale Moqtada
al Sadr, potrebbe portare ad una sospensione del conto alla rovescia
proprio sul baratro di un assalto finale alla città e ai luoghi santi
sciiti. Affidando il mausoleo all'ayatollah Ali al Sistani, Moqtada al
Sadr potrebbe così essere riuscito a salvare per il momento la vita sua
e dei suoi uomini e a segnare alcuni importanti punti nella difficile
partita a scacchi della resistenza all'occupazione americana. A questo
punto il rispetto di una eventuale tregua e della clausola sulla base
della quale i luoghi santi dovranno essere protetti non dalla polizia
irachena facente capo al governo collaborazionista Allawi ma dalle
guardie stipendiate dall'Hawza, una sorta di Vaticano degli sciiti
composto dai più importanti ayatollah con tutti i loro seminari,
dipenderà dall'autorità dello stesso Sistani, la massima «fonte di
ispirazione» per tutti gli sciiti. Di fronte all'offerta di al Sadr,
l'ayatollah al Sistani - esponente della tradizione «pietista»
favorevole ad un disinteresse delle gerarchie nei confronti della vita
politica (tutti i poteri sono illegittimi in attesa del ritorno del
Mahdi, basta che non colpiscano la religione) - già oggetto di forti
critiche per aver lasciato Najaf nel momento più drammatico e per non
aver sostenuto apertamente la resistenza all'occupazione, non poteva
che accettare di ritornare in gioco. Anche perché ricuperare il
controllo sul mausoleo di Ali, da aprile nelle mani degli uomini di
Moqtada al Sadr, senza spargimento di sangue non è certo per Sistani
poca cosa sia nei confronti dei suoi seguaci che degli stessi occupanti.

Moqtada al Sadr, da parte sua, per il momento, non solo sembra essere
riuscito a sganciarsi dall'assedio Usa (scomparendo nei pozzi e nei
cunicoli di Najaf come il Mahdi che tornerà alla fine dei tempi a
portare la giustizia al mondo), ma esce dal confronto politicamente
assai più forte di quanto non fosse ai primi di agosto. E' infatti la
seconda volta dallo scorso aprile, che gli Stati uniti tentano di far
fuori lui, le sue milizie, il sostegno di cui gode e più in generale
tutti i movimenti di resistenza all'occupazione, sunniti e sciiti,
senza riuscirci. L'attacco Usa era scattato ai primi di agosto quando,
rompendo una tregua raggiunta con al Sadr a giugno, i marines hanno
tentato con un colpo di mano di arrestarlo e, non riuscendoci, hanno
cominciato ad arrestare suoi collaboratori nel centro sud del paese e
ad attaccare le postazioni delle sue milizie. Parallelamente con
pesanti bombardamenti e una offensiva generalizzata i comandi Usa
cercavano di riprendere il controllo delle città sunnite e sciite dalle
quali erano stati praticamente cacciati e che non riconoscono più il
governo collaborazionista di Allawi. La loro offensiva, al di là della
uccisione di centinaia di resistenti e di cittadini iracheni, per il
momento non sembra abbia in realtà portato alcun risultato positivo per
gli occupanti e per il governo Allawi. Il fatto che i partiti sciiti
presenti nel governo, in particolare «al Dawa» e il Consiglio superiore
della rivoluzione islamica in Iraq (lo Sciri) nella loro dirigenza (e
con il determinante beneplacito di Tehran) avessero dato via libera
all'offensiva americana che avrebbe tolto loro di mezzo un sempre più
popolare concorrente, non è stato sufficiente per chiudere il cappio
attorno ad al Sadr. Non è stato possibile per la popolarità del giovane
leader radicale che da tempo, sull'esempio degli Hezbollah libanesi,
gioca la carta della «resistenza nazionale» contro gli occupanti e
della «unità del paese» contro le tendenze secessioniste delle province
curde e contro la kurdizzazione della città di Kirkuk con la cacciata
delle popolazioni arabe e turcomanne. Non a caso in tutte le iniziative
di al Sadr c'è sempre la vecchia bandiera irachena mentre spesso nella
polemica contro il clero conservatore e pietista di Najaf, l'esponente
sciita ha sostenuto che il loro disinteresse nei confronti della
resistenza deriverebbe dalle origini «straniere», soprattutto iraniane,
dei massimi esponenti religiosi sciiti. Questa carta «nazionale» e gli
attacchi ai partiti presenti nel governo gli hanno provocato la
freddezza e il mancato appoggio del governo iraniano, assai più vicino
allo Sciri, ma un forte consenso all'interno del paese, non solo tra
gli sciiti ma anche tra i sunniti. Anche il gesto di aver affidato le
chiavi alle autorità religiose irachene di Najaf escludendo la polizia
e il governo Allawi (considerati strumenti degli americani) costituisce
agli occhi degli iracheni un' altra soluzione «nazionale» incruenta
contrapposta a quella militare sostenuta dagli Usa. Al Sadr, ancora una
volta, è riuscito a saldare l'elemento «nazionale», quello religioso
della «difesa dei luoghi santi» con quello sociale di un riscatto, oggi
e non un domani con l'arrivo del Mahdi, rivolto «ai senza scarpe» del
paese, alle masse di giovani delle periferie delle città che, non solo
a Sadr city, ma anche in altre sette città del sud del paese sono
affluiti in massa ad infoltire le schiere dei suoi seguaci. Tale
popolarità ha finito per isolare il governo Allawi e per dividere lo
stesso fronte sciita dei partiti che sostengono l'occupazione. Se poi
al Sadr riuscirà ad uscire dall'assedio conservando le sue milizie, i
suoi seguaci, e il controllo delle più importanti città del sud
dell'Iraq, allora il futuro del governo Allawi e della presenza
militare americana in Iraq sarà segnato. Anche se lo stesso al Sadr
dovesse essere ucciso o fatto prigioniero.


=== 3 ===

http://www.uruknet.info/?s1=3&p=4924&s2=21

Denuncia di un settimanale scientifico: «Medici militari Usa coinvolti
nelle torture»

L'Unità

20 agosto 2004 - Un medico inserì un catetere nel cadavere di un uomo
morto sotto tortura per far risultare che era ancora vivo quando arrivò
in ospedale. Un medicò certificò come morte naturale il decesso di un
prigioniero torturato e poi sospeso al soffitto della sua cella dove
morì per strangolamento. Un altro medico, intervenuto perché un
prigioniero aveva perso conoscenza durante le torture, lo rianimò e poi
consentì ai torturatori di continuare. Sono solo alcuni dei casi,
documentati, in cui medici militari americani hanno preso parte ai
maltrattamenti sui prigionieri, in violazione sia delle convezioni
internazionali che delle norme etiche che devono regolare la
professione medica

La complicità dei medici e degli altri operatori sanitari militari
statunitensi nelle torture e negli abusi sui prigionieri in Iraq,
Afganistan e Guantanamo è denunciata da un articolo e dall’editoriale
dell’ultimo numero di The Lancet ( http://www.thelancet.com/home ),
prestigioso settimanale britannico di medicina, una delle più
accreditate riviste scientifiche del mondo.

«Quasi tre anni ci chiedemmo se il mondo occidentale prendesse ancora
sul serio i diritti umani... La risposta alla domanda che ci siamo
posti tre anni fa è chiaramente un “no”» sostiene l’editoriale (
http://www.thelancet.com/journal/vol364/iss9435/full/
llan.364.9435.analysis_and_interpretation.30569 ) attribuibile al
direttore Richard Horton «I diritti umani sono una vittima del
disperato tentativo di ottenere dei risultati nella guerra contro il
terrorismo. La questione che dobbiamo ora porci è: quanta parte hanno
avuto i medici in questi abusi?».

La domanda di Horton non è soltanto retorica, come meticolosamente
spiega Steven H. Miles in Abu Ghraib: its legacy for military medicine,
Abu Ghraib, la sua eredità per la medicina militare (
http://www.thelancet.com/journal/vol364/iss9435/full/
llan.364.9435.review_and_opinion.30574.1 ). Il racconto di Miles è
basato esclusivamente su documenti ufficiali, che documenta con
puntiglio in ben 59 note a pie’ di pagina nelle quali vengono citate
relazioni, testimonianze, dichiarazioni ufficiali. Nessuno scandalismo,
dunque, ma solo verità documentali.

Il quadro che ne esce è ugualmente terrificante, a cominciare dalla
partecipazione di alcuni medici alla definizione e alla messa in
pratica di «interrogatori coercitivi dal punto psicologico e fisico».
Miles, citando la testimonianza del colonnello dell’Us Army Thomas M.
Pappas, riferisce in particolare che «un medico ed uno psichiatra hanno
contribuito a mettere a punto, approvare e monitorare gli interrogatori
ad Abu Ghraib». Comportamenti contrari all’etica medica e alle regole
internazionali che regolano la professione.

Oltre agli episodi citati all’inizio, nell’articolo di The Lancet sono
enumerati moltissimi altri episodi raccapriccianti che hanno visto
coinvolti medici o personale paramedico. Come nel caso due medici che
consentirono alle guardie di suturare direttamente lesioni provocate a
dei prigionieri dai pestaggi in carcere. Miles riferisce anche di
certificati di morte falsi che attestavano cause di morte naturale
quando invece erano evidenti segni di violenza sui cadaveri.

«Abu Ghraib lascia una pesante eredità» conclude l’autore. «La
reputazione della medicina militare, delle forze armate americane e
degli Stati Uniti è stata danneggiata. Dopo Abu Ghraib, la
compromissione della legalità internazionale ha aumentato i rischi per
i prigionieri di guerra perché ha diminuito la credibilità degli
appelli internazionali in loro favore».


(Per leggere il testo integrale degli articoli di The Lancet è
necessaria una registrazione gratuita al sito del settimanale)

http://www.unita.it/index.asp?SEZIONE_COD=HP&TOPIC
_TIPO=&TOPIC_ID=37016

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il manifesto - 21 Agosto 2004

NUOVE TESTIMONIANZE

I piccoli dottor Mengele dell'esercito americano all'opera a Abu Ghraib

Un ruolo attivo

I referti degli iracheni morti sotto interrogatorio falsificati per far
sparire ogni prova di violenza. Il rapporto della rivista inglese Lancet
CARLO MARIA MIELE

Dietro le torture di Abu Ghraib c'è anche la mano dei medici
statunitensi. I dottori dell'esercito americano impiegati nel campo di
prigionia alle porte di Baghdad avrebbero lasciato mano libera ai
militari, coprendo i casi di abuso, creando falsi referti, ma talvolta
assumendo anche un ruolo attivo. Ad affermarlo è l'autorevole rivista
scientifica britannica Lancet, che in un lungo articolo, corredato da
fonti e testimonianze, ricostruisce l'operato dei nuovi Mengele. Il
rapporto parla di malati abbandonati a se stessi, di abusi sui
prigionieri con handicap e di infezioni lasciate imputridire.
All'interno della prigione dell'esercito, ai detenuti non sarebbe stato
garantito nessuno dei diritti previsti dalla convenzione di Ginevra.
Entrare ad Abu Ghraib significava essere dimenticati per sempre. Le
autorità del carcere non effettuavano i controlli medici regolari, non
denunciavano i casi di malattia o i decessi, né comunicavano alle
famiglie eventuali trasferimenti dei malati in altre strutture. Gli
iracheni morti durante le torture venivano classificati come deceduti
per infarto, colpo apoplettico, o «cause naturali». Un medico - si
legge nel rapporto - inserì un catetere intravenoso nel corpo di un
prigioniero morto durante gli interrogatori per far credere che fosse
stato trasferito ancora vivo in ospedale.

Partendo dagli atti del congresso degli Stati uniti e dalle
testimonianze giurate di prigionieri e soldati, l'autore dell'indagine,
il professore dell'università del Minnesota Steven Miles, arriva ad
affermare che «il sistema medico dell'esercito americano non ha
protetto i diritti umani dei detenuti, talvolta collaborando negli
interrogatori delle guardie carcerarie, senza denunciare i ferimenti e
i decessi causati da maltrattamenti». Nel lungo elenco degli abusi
rilevati vi sono casi di pestaggio, bruciature, asfissìa, minacce,
umiliazioni sessuali e isolamento. In questo scenario dell'orrore, la
colpa dei medici non sarebbero stata semplicemente quella di essere
rimasti spettatori passivi. I racconti dei detenuti, inclusi nel
rapporto, superano ogni immaginazione. Gli interrogatori ad Abu Ghraib
avvenivano in presenza di un medico e di uno psichiatra: quando il
prigioniero, vittima dei pestaggi, perdeva i sensi, loro intervenivano
per rimetterlo in sesto, permettendo agli aguzzini di continuare il
proprio lavoro. Altre testimonianze parlano di ferite sui prigionieri
causate e suturate personalmente dalle guardie del carcere, per
esplicita concessione dei medici. «Le giustificazioni legali - scrive
Miles - come chiedersi se i detenuti fossero prigionieri di guerra,
soldati, combattenti nemici, terroristi, cittadini di stati caduti,
ribelli o criminali, fanno perdere di vista la questione centrale». Le
tante dichiarazioni di principi sottoscritte dagli Stati uniti, e lo
stesso regolamento interno dell'esercito, infatti, «proibiscono ai
militari di fare uso della tortura e dei trattamenti degradanti su
tutti gli esseri umani». Un discorso che dovrebbe valere maggiormente
per i medici. L'esercito statunitense, per bocca di un suo portavoce,
si è affrettato a smentire il rapporto, definendolo «approssimativo»,
mentre alcune organizzazioni mediche americane hanno sostenuto che, se
le accuse venissero confermate, i medici di Abu Ghraib dovrebbero
essere messi sotto giudizio.

In un suo editoriale, il Lancet fa un appello a creare una nuova
commissione di inchiesta sulle torture, che sappia analizzare maggiori
elementi di quanto è stato fatto finora. Le prospettive future però
appaiono tutt'altro che incoraggianti: «Lo stato attuale di crisi del
diritto internazionale - conclude Miles - ha aumentato i rischi per gli
individui che diventano prigionieri di guerra dopo Abu Ghraib, perché è
diminuita la credibilità degli appelli internazionali per loro».


=== 4 ===

http://www.reseauvoltaire.net/article13960.html

Une vidéo empoisonnée

L'affaire Nicholas Berg

L'insoutenable violence de la vidéo de l'assassinat de Nicholas Berg a
suscité des réactions immédiates, passionnelles et contradictoires.
Pourtant, une analyse rigoureuse met en évidence la complexité
réfléchie de la scénarisation et la polysémie délibérée des images.
Loin d'être le témoignage brut d'une mise à mort, cette production a
été conçue pour renforcer les préjugés et les antagonismes de la guerre
des civilisations. Il ne s'agit pas d'un reportage, mais d'un outil
élaboré de propagande.

18 mai 2004

Este artículo puede ser consultado en español en redvoltaire.net
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Une séquence vidéo de l'assassinat de Nicholas Berg a été diffusée par
trois grandes chaînes de télévision anglo-saxonnes, le 12 mai 2004. Le
lendemain, son authenticité a été confirmée par la CIA qui a précisé
avoir identifié le meurtrier en la personne d'Abou Moussab Zarkaoui.
Cependant l'interprétation d'un document suppose une analyse rigoureuse.

Origine de la vidéo

L'existence de ce document a été rapportée par le bureau de Reuters à
Dubaï, le 12 mai. Il aurait été trouvé sur le site arabophone
http://www.al-ansar.biz/. Dans l'heure qui suivit, il était diffusé par
Fox news, CNN et la BBC. Cependant, les chaînes arabes qui souhaitaient
se le procurer ne le trouvaient pas sur le site indiqué. Toutes les
versions actuellement disponibles proviennent des trois grandes chaînes
anglo-saxonnes.
Le site internet de référence était hébergé par une société malaise.
Devant l'afflux de connections, celui-ci l'a retiré de sorte qu'il a
disparu aujourd'hui. Le nom de domaine était la propriété d'Arab Press
House, une respectable société de presse basée à Londres et sans lien
avec des islamistes.

Style littéraire de la vidéo

Le document, d'une durée de 5 minutes 37 secondes, est d'une trop
faible définition pour permettre la lecture de détails. Il est composé
de deux séquences distinctes (la présentation et l'exécution). Il a été
monté pour limiter la scène de la décapitation, mais le montage son est
distinct du montage image. La bande semble avoir été post-sonorisée, de
sorte qu'il est impossible de savoir si la voix que l'on entend lire le
communiqué est celle de l'assassin, ni si les cris sont ceux de sa
victime. Cependant, la désynchronisation peut être une conséquence de
la compression de la vidéo pour la diffuser sur le Web. La caméra est
d'abord posée sur un pied, puis elle est portée à l'épaule pendant les
deux plans du meurtre pour renforcer le stress du spectateur.

La mise en scène est à double lecture selon les publics :

Pour les uns, Nicholas Berg s'identifie en donnant les prénoms de ses
parents, frère et sœur, laissant entendre qu'il est juif. Puis des
islamistes encagoulés dénoncent les États-Unis et le président
pakistanais. Ils le décapitent alors pour venger « les abus sataniques
d'hommes et de femmes musulmans à la prison d'Abu Ghraib ». La violence
difficilement soutenable de la scène induit le spectateur à penser que
la barbarie des meurtriers est sans commune mesure avec les abus des
GI's. Les islamistes paraissent incarner le Mal.

Pour les autres, Nicholas Berg est vêtu d'un pyjama orange identique à
celui des détenus de Guantanamo et porte une barbe comme les
islamistes. Il se présente assis sur une chaise identique à celles
visibles sur les photos de tortures à Abu Grahib. Des personnages
encagoulés, se présentant comme des islamistes, déversent un torrent de
haine. L'un d'entre eux, portant une bague en or ce qui est strictement
prohibé chez les fondamentalistes, sort un couteau et l'égorge. En
reproduisant le sacrifice abrahamique, mais un substituant un homme à
l'agneau, il commet un sacrilège. La violence difficilement soutenable
de la scène induit le spectateur à penser que les États-Unis sont prêts
à n'importe quelle barbarie contre leurs propres ressortissants pour
stigmatiser les musulmans.

Incohérences du document

L'accoutrement des ravisseurs évoque moins des résistants au milieu
d'une guerre sanglante qu'une nécessité d'« uniformes » de terroristes
tous identiques pour les besoins du tournage.
Deux des « terroristes arabes » portent leur main gauche au visage
durant la séquence. C'est un geste qui n'est pas courant, même par
inadvertance, dans la culture arabe où la main gauche, réservée à
l'hygiène, ne doit pas être portée au visage.
La méthode employée, soit un découpage à l'aide d'un couteau-scie
militaire vise à reproduire le rituel abrahamique et est inadapté à la
situation. Les décapitations sont généralement effectuées d'un coup sec
à l'aide d'une lame lourde et bien affûtée, qu'il s'agissent d'une
hache ou d'un sabre.
Le corps de la victime ne bouge pratiquement pas lors de la
décapitation, ou plutôt du découpage de sa tête. Il n'éprouve pas les
convulsions qui sont habituellement observées lorsqu'on décapite un
être humain ou un animal.
La quantité de sang qui s'échappe du corps et de la tête semble très
faible. Cet effet est peut-être dû au montage vidéo, le time code
laissant supposer une coupure vidéo de 9 minutes. Le sang se serait
écoulé lors de la séquence supprimée.

Identification de l'assassin

La CIA n'a pas indiqué à partir de quels éléments elle avait identifié
l'assassin comme étant Abou Moussab Zarkaoui. Depuis plusieurs mois,
l'Agence s'efforce de présenter cet individu comme le successeur
d'Oussama Ben Laden.
On ne comprend pas pourquoi M. Zarkaoui, si c'est lui, cacherait son
visage qui est reproduit sur des milliers de tracts proposant 10
millions de dollars de récompense pour son arrestation.
Dans des rapports précédents, la CIA avait indiqué qu'Abou Moussab
Zarkaoui avait perdu une jambe lors d'un bombardement en Afghanistan.
Il a également été précisé que des points étaient tatoués sur sa main
gauche. Or, l'assassin n'est ni handicapé, ni tatoué.
M. Zarkaoui est réputé avoir un accent jordanien. Ce qui n'est pas le
cas de la voix que l'on entend. Mais si la vidéo est post-sonorisée,
cette voix n'est pas forcément celle de l'assassin.

Identification d'Al Qaïda

La traduction de la bande son diffusée dans les médias états-uniens
fait référence à Al Qaïda. Il s'agit en fait d'une erreur qui a été
rectifiée depuis par le National Virtual Translation Center.

Identification de la victime

Les forces de la Coalition ont découvert avant la diffusion de la vidéo
un corps décapité qu'elles ont identifié comme étant celui de Nicholas
Berg. Il a été rapatrié aux Etats-Unis et inhummé.
La famille du défunt l'a reconnu sur la vidéo.

Profil de la victime

L'entreprise de la famille Berg (père et fils) figurait dans la liste
des « ennemis de l'État » publiée sur le site pro-Bush freerepublic. Le
père s'était engagé dans le mouvement anti-guerre A.N.S.W.E.R., présidé
par Ramsey Clark.

Lors d'un séjour d'études dans l'Oklahoma, Nick Berg aurait prêté son
adresse de messagerie avec son mot de passe à quelqu'un qu'il ne
connaissait pas, qui lui-même l'aurait prêté à un proche de Zacarias
Moussaoui, le Français accusé d'avoir participé à l'organisation des
attentats du 11 septembre. Berg avait par la suite été interrogé par le
FBI qui avait conclu à une coïncidence et donc à son innocence.
Pourtant, Carol Devine-Molin (enterstageright.com) affirme qu'il avait
de nouveau été interrogé bien après le 11 septembre, ainsi que lors de
sa détention précédant sa disparition. Le FBI aurait dans cette
hypothèse de sérieux doutes sur lui.
Nick s'était rendu en Israël auparavant, sans prendre soin de demander
aux douanes israéliennes de ne pas apposer de tampon, comme le font par
prudence beaucoup d'États-uniens voyageant au Moyen-Orient.
Selon le Seattle Post-Intelligencer, « Berg a d'abord travaillé en Irak
en décembre et janvier avant d'y retourner en mars. Il inspectait les
installations de communication, dont certaines étaient détruites par la
guerre ou les pillards. Lors de ces séjours en Irak, il a travaillé sur
une tour d'Abou Ghraib, prison dans laquelle ont été commises des
tortures. » Il l'a fait en compagnie de Aziz Kadoory Aziz, également
connu sous le nom de Aziz al-Taee, avec qui il avait lancé son
entreprise de tours de communications. Or, M. Kaddory Aziz est le
fondateur du Conseil irako-américain. Farouche partisan de l'invasion,
il intervenait parfois sur Fox News et organisait des manifestations de
soutien aux troupes avant la guerre. Il est réputé agent de la CIA.
Selon le Guardian, la société de Berg venait de se voir attribuer un
contrat dans le cadre du consortium Iraqi Media Network (un programme
de la NED/CIA).
Seuls des sociétés de confiance pouvaient soumissionner aux marchés des
télécommunications à Abu Ghraib et pour l'Iraqi Media Network.
Nicholas Berg a été arrêté sans papiers par le commandement de la
Coalition à Mossoul, le 25 mars. Il a été incarcéré prétendument pour
le temps de son identification. La famille Berg a fait appel vainement
au consulat pour le faire libérer. Puis, elle a porté plainte, le 5
avril, contre les autorités US pour détention illégale, mentionnant le
fait que les diplomates n'avaient plus aucun pouvoir pour intervenir
sur son cas. Il a été relâché peu après, le 8 avril. Pendant cette
période, il a été interrogé par trois fois par le FBI. Les autorités
ont déclaré avoir tenté de le persuader de quitter le pays pour sa
propre sécurité, sans pour autant l'avoir rapatrié de force.

Conclusion

L'histoire de la victime donne l'impression qu'elle a d'abord été
proche d'un islamiste et des milieux anti-guerre, puis qu'elle a été
retournée jusqu'à travailler avec un agent de la CIA, sans que les
services états-uniens aient été certains de sa fidélité. Cette dualité
ouvre la possibilité de nombreuses interprétations de l'événement.
Compte tenu de son parcours, de son montage, de sa scénarisation et de
ses incohérences, on ne peut considérer cette vidéo comme un témoignage
au premier degré. Au contraire, sa violence et sa mise en scène
polysémique traduisent une volonté d'égarer le spectateur. Elle
apparaît dès lors comme un outil de propagande de la guerre des
civilisations, suscitant une lecture différente selon les groupes
culturels et renforçant les antagonismes.

I DS mobilitati contro Chavez e contro il popolo venezuelano

FULVIO GRIMALDI da CARACAS, 20/8/04

Questa e`una città bellísima, abbruttita dal potere ma riscattata da
questa sua umanità variopinta, nel senso etnico-estetico del termine,
che mimetizza la devastazione cementizia – magniloquenza fasscistoide
del dittatore Hímenes, speculazione alla Ciancimino del ladrone Carlos
Andres Perez, velleità manhattiane dell’ultimo sovrano della Quarta
Repubblica, Caldera, sopraffatto da Chavez e dalla rivoluzione della
Quinta – con la sua pervasiva e allegra motilità, una nuova-antica
musica che permea calcestruzzi e asfalti, lo sconfinato rosso della
testimonianza revoluzionaria in tessuto di maglia e di bandiera, il
formicolio dell’economia informale che secerne trovate e trovatine
sempre nuove. E’ una città che corre per il lungo, con per spina
dorsale un rapido, elegante e mortalmente condizionato metrò,sempre
zeppo di gente, mamme con bimbi disinvolti, già un po’ bolivariani,
tutti sempre premurosi e gentili. Come un fiume ha, sulle sponde
ripide, la pioggia delle favelas, qui ranchos, rosse di tegole e
traforati che, col procedere da ovest a est, degenerano in villette e
villone dei quartieri alti. E’ un percorso di classe e, qui piu`che
altrove, antropologico,quello lungo il metrò da ovest a est. Prima
Sucre, groviglio di superfetazioni tuguriali e improvvisazioni edilize
nate fatiscenti, ora in rapido risanamento, 90% chavisti, proletari e
anche quelli che qualcuno con scarsa equità definì “lumpen”, straccioni
un po’ malviventi, sottoproletari, ma che qui sono l’ossigeno della
rivoluzione altrochè, dopo le forze produttive di Lenin, Stalin e,
ahinoi, moderate da Togliatti, dopo la rivoluzione possibile anche con
i contadini senza passare per il capitalismo, almeno fino a Mao,
rivoluzione di sottoproletari e soldati, poi di contadini e poi di
operai. E pare che funzioni. Poi Bellas Artes, Capitolio, Plaza
Bolivar e Plaza Candelaria, cuore commerciale, microcommerciale, dei
servizi, piccole imprese, pubblico impiego, focosamente chavista
anch’esso, più da ideología che da bisogno. La transizione nei
quartieri Sabana Grande e Chacaito, dove tutto si mescola ed emerge
quel ceto medio urbano che la rivoluzione vorrebbe “positivo”, ma che
ancora si fa fatica a sottrarre ad aspirazioni e condizionamenti
culturali fasulli. Quinde l’orrore post- e neocolonialista creolo di
Altamira e La Castellana, zeppo di grottescherie alla Telefoni Bianchi,
con le ghette, o con i cappelli alla principessa Margaret, in stile
anni ’30, ma subitissimamente disponibili a precipitarse al di sotto di
ogni stile, nella barbarie di una volgarità tutta borghese, desposta a
tutto pur di tenere il tacco sul collo degli altri, quelli meno
bianco-lividi, meno malati, meno degradati in deriva genetica e
intellettuale. Sono, dal punto di vista fisico i più brutti, peggio
assai anche dei drop-out barbuti e barboni che ancora di notte
rovistano nei monti di basura, ancora sfuggiti a quegli incredibili
programmi – misiones – di emancipazione sociale che la rivoluzione, con
grande aiuti umani cubani, ha iniettato nella società: sanità,
istruzione, alfabetismo, casa, terra, sport, cultura.

Il casino che vanno facendo i sopravvissuti dello sfacelo borghese,
sempre foraggiati e istigati dai vampiro planetario del Nord, per
quanto buon viso a cattivo gioco vadano facendo in questi giorni del
trionfo irrimediabile di Chavez, nasce dalla coscienza di essere
cadaveri insepolti, un film dell’orrore girato e rigirato alla
disperata, con l’innesto ematico flebizzato da Washington, scienziato
pazzo che non demorde e manda la sua creatura a sfogare la sua
impotente mostruosità sulle forme di vita che invece fioriscono. Hanno
chiesto, con pretesti da farsa, di verificare i risultati del
referendum, divenuto da revocatorio imperiosamente confermativo,
l’hanno chiesto in forma irrituale, senza ricorrere alla Corte Suprema
con tanto di argomenti minimamente credibili, solo pestando
nevroticamente i piedi agganciati a quel “vedremo, una volta dissipati
i dubbi e le ombre” dei furbi statunitensi, dei vili europei, della
fetida Chiesa cattolica, immemore dei crimini inflitti alle genti di
questo continente. Generosamente, ma anche sicurissima del fatto suo,
la Commissione Elettorale Nazionale (tre membri onesti, due assoldati
dall’elite fascistoide e golpista) e gli Osservatori Internazionali,
compresi gli ex-amici fidati dell’oligarchia, Centro Carter e OSA, ora
rinnegati (fecero il diavolo a quattro per far riconoscere un milione
circa di firme di deceduti e replicanti per imporre il referendum)
hanno accettato. Hanno tirato a sorte 150 seggi, sono usciti gli stessi
identici risultati offerti dall’elettronica, anzi, ulteriori conteggi
di sezioni con procedimento manuale hanno portato la quota dei NO dal
58,25% al 59,60%. E allora hanno disconosciuto anche questa verifica,
hanno disconosciuto tutto, anche che a mezzogiorno sono le dodici, e
hanno proclamato la delegittimazione del governo.

Non scherziamo, sono diventati più pericolosi. Il 26 settembre si
giocano quanto rimane, cioè niente. Ci saranno quelle che qui chiamano
elezioni regionali, quelle nei 22 Stati, in ognuno dei quali ha vinto
Chavez (perlopiù con percentuali del 65-75%, bravi contadini, indigeni,
cooperative, meno nei grande agglomerati urbani) e, sull’onda di quanto
è successo domenica 15 agosto, è assolutamente prevedibile che la
rivoluzione, finora a capo di soli 13 Stati, li conquisti tutti quanti
. E allora sarà la fine davvero: la omogenizzazione rivoluzionaria del
paese, lo sradicamento dei caudillo che hanno governato su piedistalli
feudali di privilegio e corruzione, sistematicamente mettendo i bastoni
tra le ruote al lavoro rivoluzionario, all’emancipazione sociale delle
campagne dei militanti bolivariani: circoli, pattuglie, unità di
battaglia, così si chiamano, con buona pace di Lidia Menapace.
Linguaggio militaresco? Ebbene sì, linguaggio da combattimento e se non
è combattimento quello che queste masse e le loro organizzazioni
conducono contro l’imperialismo e i locali golpisti fascisti pronti a
tutto, che gli hanno sequestrato il capo democraticamente sette volte
eletto, che gli hanno inflitto una serrata padronale pari a un embargo
di taglio iracheno, che hanno disseminato terrorismo per le strade del
paese, che hanno cospirato con la Cia e con il Mossad, che hanno
assoldato killer, che brigano con il mafiopresidente colombiano per
squartare la propria nazione, e che da sempre hanno rubato, rubato,
rubato...

Oggi questa marmaglia da Notte dei morti viventi, vista la tenaglia in
cui si trova incastrato il padrino Bush tra criminalità organizzata di
Miami, che reclama il pagamento del debito contratto con il golpe
elettorale della cosca sion-fascista del gennaio 2000, e prezzo del
petrolio che la fantastica resistenza irachena infligge alle sue
speranze novembrine di rielezione e il cui calmiere solo Chavez può
assicurargli, pensa di poter forzare la mano agli USA lacerando le vene
del paese. Mendoza, governatore dello Stato di Miranda e capo della
cosiddetta Coordinadora Democratica, cupola mafiofascista
dell’opposizione, e Cisneiros,berlusconide mediatico, si sono
precipitati in Florida a raccattare sostegno al terrorismo. Si tratta
di mandare in vacca le elezioni di fine settembre, niente più elezioni
visto che le vincono gli altri, è la tradizionale lezione della classe
dirigente USA. E allora che si spari nelle strade, che i deputati
dell’opposizione vadano sull’Aventino, che si ricuperi tra gli amici
nel pianeta una fiducia, ora persa per la disfatta, attraverso la
delegittimazione istituzionale, che si torni a parlare del “colonello
golpista”, dell’autoritarismo pseudodemocratico del tiranno, delle
brigate armate clandestine a promozione della rivoluzione....

C’è già un precursore. L’Italia, come spesso di questi anni e decenni,
fa una figura di merda. E mica il governo, mica i forzaitalioti, anzi,
hanno riconosciuto, sulla scia di tutto il mondo, la vittoria di
Chavez, magari contorcendosi dagli spasmi. Qui c’è un giornale di
destra, massimo organo dell’oligarchia, una specie di “Libero” con meno
indegnità professionale, che si chiama “El Nacional”, fonte prediletta,
anzi, unica, dell’ANSA. Ieri pubblicava con fierezza, uno accanto
all’altro due articoli omologhi. Uno di tale “famoso costituzionalista”
Hermann Escarrà, faccia alla Bondi (e basterebbe), che, vista la caduta
di tutte le opzioni per la rivincita, si rivolge alle Forze Armate e,
democraticamente, le invita a ricordarsi che non devono essere “leali a
un uomo, bensì alla nazione, specie quando le istituzioni sono
delegittimate”. Un chiaro invito al golpe e, se non funziona, ci sono
sempre i paramilitari riabilitati e i militari di Uribe. Accanto,
appunto, foto e parole, entrambe rivoltanti nel contesto, di tale
Ignazio Vacca, dirigente dei DS, mi auguro, per il decoro della
famiglia, non parente di Salvatore. Vacca, osservatore internazionale
del referendum, non ufficiale per eccesso di sputtanamento, ma invitato
e accreditato dalla Coordinadora, cioè da quelli del golpe dei 17 morti
ammazzati, della serrata che ha fatto perdere 10 miliardi di dollari al
paese e la salute a tanti deboli,degli attentati terroristici di questa
primavera, del rifiuto di stare a qualsiasi regola del gioco. Un DS!
Vi potete sbigottire solo se non sapete che fu preceduto qui come
corifeo dell’oligarchia golpista da D’Alema, questo Vacca, che
nell’intervista arriva a minacciare, dopo diffuse imprecazioni contro
la “democrazia non articolata” dell’autoritario Chavez ed esaltazioni
della politica sociale e inclusiva dei fantaccini Cia di Plaza Altamira
(di cui apprezze le componenti progressiste), “l’intervento contundente
della comunità internazionale” qualora Chavez non mettesse la coda tra
le gambe.

Peggio di questo cialtrone diessino e del suo capo opusdeista solo il
cardinale Castillo Lara, presidente emerito della Pontificia
Commissione per lo Stato Vaticano, cui è stata messa a disposizione per
certe farneticazioni revansciste addirittura la Radio Vaticana. Il
prelato, che figura tra i papabili e sicuramente sarebbe degno del
predecessore finto pacifista e disintegratore della Jugoslavia e dei
poveri di America Indio-afro-latina, si dice sicuro del 65% per cento
conquistato dal “sì” alla revoca di Chavez, illuminato come tanti dallo
Spirito Santo, e afferma di sapere che ai poveri Chavez ha dato 60
dollari a testa perchè votassero “no”. Moltiplicate 60 per quasi sei
milioni e avrete gli introiti petroliferi del paese per un semestre.
Costo un po’ alto per uno che ha dietro da sei anni la maggioranza del
popolo. Del resto, la conferenza episcopale del Venezuela non è stata
da meno: guai a non dissipare i dubbi, a non cancellare le ombre del
voto...

Ho parlato con tanti amici qui: Rodrigo Chavez, coordinatore nazionale
dei Circoli Bolivariani, i soviet di questa rivoluzione, Hector
Navarro, ministro dell’istruzione superiore, Efraim Andrade,
ex-ministro e iniziatore della prima vera riforma agraria mai fatta in
America Indio-afro-latina, il deputato Willian Lara, coordinatore
nazionale del MVR, organizzatore straordinario della campagna
elettorale, braccio destro di Chavez, i compagni del PCV, la
coordinatrice nazionale della Scuola Bolivariana, pure una compagna,
l’altro deputato Rafael Lacava. Una squadra di tutto rispetto per una
rivoluzione di tutto rispetto. Se si appaiano ai nostri politici viene
da farsi flagellanti. I loro giornali non si arrendono alla logica e
alla disinformazione imperialiste: terrorismi, moltitudini,
disobbedienze, menate varie. Dovreste vedere come la TV di Stato e il
quotidiano della rivoluzione “Diario VEA” trattano la resistenza
irachena, con che rispetto, con che dettaglio, con che gratitudine per
questa eroica avanguardia della lotta antimperialista. Ieri, per
esempio, paginone centrale e grandi servizi tv sul 60. anniversario
della conquista di Parigi da parte dei partigiani francesi, grandi
ricordi di Garcia Lorca, assassinato in questo giorno del 1936, e della
battaglia rivoluzionaria dei repubblicani di Spagna. C’era pure la foto
del comandante Luigi Longo. E ora qui ci si presenta un Ignazio Vacca!
Non fanno confusione qui tra terrorismi e guerriglia, tra provocatori e
resistenti e ogni Intifada è sacra fino alla vittoria.

Mi ha detto Rafael Lacava, che pure frequenta Bertinotti, Gennaro,
anagraficamente Migliore, un Marco Consolo che si occuperebbe ( a noi
pare un po’ clandestinamente) di Sud America, di trovare inconcepibile
che si possa stare insieme a un D’Alema che qui appoggia apertamente i
fascisti, che ha bombardato e squartato la Jugoslavia, che accetta
altre guerre. A questi venezuelani qui, non credo che i compagni di RC
abbiano raccontato cosa dicono e fanno a proposito di Cuba (e di chi
Cuba difende con l’arma della verità), o la massima del detto Migliore
che “Intifada fino alla vittoria non sarà mai la nostra parola
d’ordine”. Non gli sarebbe convenuto... E, infatti, Lacava aggiunge:
noi qui abbiamo vinto e da sei anni vinciamo perchè al popolo abbiamo
proposto un programma totalmente alternativo, per una società
totalmente diversa, non ci siamo confusi con i residui del vecchio
regime, AD (Azione Democratica) o Copei (Socialcristiani, si fa per
dire), con un corredo di ex-trotzkisti che ancora si chiamano “Bandera
Roja” e altri fasulloni detti “MAS” (Movimiento al Socialismo), non
siamo stati moderatamente diversi. Avremmo perso. A copiare ci si
rimette sempre”. C’era da pensare a Treu, Bersani, Turco, Fassino... e
ai loro futuri alleati.

Ho fatto un bell’incontro ieri, al CNE (Commissione Elettorale
Nazionale). La più importante figura della sinistra sudamericana, la
più rivoluzionaria, quella che ai portoalegristi d’antan sbattè la
porta in faccia quando questi no-global e disobbedienti rifiutarono la
presenza di Fidel e delle FARC colombiane. L’anno dopo, poi, venne lì
Chavez, fu un trionfo e dei disobbedienti si parlò sempre meno, con i
risultati poi visti a Mumbai. Hebe de Bonafini, la madre delle Madri di
Plaza de Majo, qui anche lei come osservatrice, accanto all’altro
grande, Eduardo Galeano, mi racconta come fosse assai perplessa, anzi
contraria, su Chavez, “per via delle sue origini militari”. E aggiuge:
“Ma da quando ho capito chi fosse Chavez, cosa volesse e cosa facesse,
lo vedo con occhi ben diversi: Il suo è un processo che aiuta tutti noi
latinoamericani, un processo rivoluzionario impegnato, intelligente e
ingegnoso. Il presidente Chavez è un saggio, un tipo che se se ne
ascoltano discorsi, si capisce quello che dice, si sente uno che sa
molto, che ha letto, che si spiega in modo che lo si comprenda. Sono
pochi i presidenti che hanno queste qualità: Fidel Castro e Chavez, non
ne conosco altri. E’ così che vediamo il processo bolivariano con occhi
assai positivi. Questo presidente non retrocede, va avanti, cammina,
cammina, cammina... e avanza. C’è una bella diferenza, del resto, tra
militari argentini e militari venezuelani. I primi vengono dalla
borghesia, dai terratenientes, i secondi, da quando Chavez e i suoi vi
lavoravano negli anni ’80, sono figli del popolo, dei poveri e dei ceti
medi”. Del resto, arricciare il naso perchè uno viene dal militare,
almeno da queste parti, è come arricciarlo di fronte a chi proviene da
un ghetto nero.

Se lo dice Ebe. E quasi sei milioni di venezuelani...

(Ovaj tekst na srpskohrvatskom:
http://komunist.free.fr/arhiva/jun2004/kps.html )

http://komunist.free.fr
Dall’Archivio: Giugno 2004


Il Partito Comunista di Slovenia non riconosce la disgregazione della
RFS di Jugoslavia


Il PCS dichiara di non riconoscere la disgregazione forzata e
anticostituzionale della Repubblica Federativa Socialista di
Jugoslavia, ed in particolare l’abrogazione illegale delle
organizzazioni della Lega dei Comunisti; basandosi su e sottolineando
tutte le decisioni dell’AVNOJ [Fronte antifascista popolare di
liberazione della Jugoslavia], dichiara che, come allora, i popoli
jugoslavi non hanno mai riconosciuto la disgregazione fascista e
imperialista della Jugoslavia, e nemmeno ora la disgregazione e
frantumazione della RFSJ da parte delle forze unite antisocialiste, sia
quelle dall’estero che quelle dai territori della RFSJ. Dichiara
inoltre che, nello spirito dei principi socialisti sul diritto
all'autodeterminazione, proporrà la riunificazione ed il rinnovamento
della RFSJ nell’atto e nella forma di una democratica dichiarazione
sulla quale si esprimerà la maggiorparte della popolazione.

Negli anni 90, le forze unite antisocialiste, dall’estero e
dall’interno - i cosiddetti fattori esterni ed interni - hanno spaccato
la RFSJ con una routine di propaganda, con macchinazioni e menzogne,
stravolgendo i problemi, cioè imponendo la priorità di formare
staterelli con sistema capitalistico, contro il sistema socialista di
autogestione della RFSJ, schivando cosi' abilmente
un’autodeterminazione alternativa dei cittadini in favore del sistema
socialista o di quello capitalista. Nel processo distruttivo della
Jugoslavia hanno usato mezzi e metodi in chiaro contrasto con le norme
giuridiche, formalmente acquisite e verificate nelle relazioni
internazionali ed inserite nella Carta delle NU. Concretamente: il
divieto dell’intromissione negli affari interni di uno Stato e della
pianificazione della sua distruzione. Hanno organizzato ed usato gli
appartenenti di poteri borghesi spodestati e rampolli delle formazioni
armate occupatrici nella II Guerra mondiale, carrieristi, profittatori,
criminali ed altri traditori.

Con una propaganda che ha superato le fandonie della propaganda
fascista nella II Guerra mondiale, hanno lanciato false accuse di
disuguaglianza nazionale tra i popoli slavi incitandoli a scontri
nazional-religiosi con il chiaro intento di indurli alla reciproca
distruzione.

La barbara borghesia al potere, con una denazionalizzazione e
privatizzazione selvaggia dei beni nazionali e sociali, naturalmente ha
tolto ai lavoratori i diritti sociali acquisiti nel socialismo -
l’autogestione del lavoro, le decisioni sul reddito, sulla sanità e
sull’educazione gratuita, la previdenza sociale e lo sviluppo di ogni
singolo e famiglia - insieme a tanti altri diritti. Ha troncato i
percorsi di una vita comune e fruttuosa attraverso l’instaurazione di
frontiere statali, ed ha interrotto la cooperazione economica,
culturale, scientifica e le altre forme di cooperazione necessarie per
un comune sviluppo. Il saccheggio, la corruzione, la criminalità, la
distruzione morale e l’indebitamento oltre misura presso gli
sfruttatori stranieri sono stati un perfido inganno ai danni del popolo.

Nonostante il loro arresto, però, gli ideali dell’AVNOJ di unità e
fratellanza, di giustizia e di verità, per una più larga democrazia,
per una più completa felicità sia individuale che collettiva, senza i
quali non c'e' progresso nella civiltà, non sono stati distrutti.

Sono gli sfruttatori ad organizzare i conflitti, le crisi, il caos, gli
scontri, le guerre e tutto quello che esse comportano.

Invitiamo tutti i cittadini, cioè le masse popolari, la classe operaia,
i contadini, gli intellettuali, ad unire le proprie forze insieme al
proprio animo, contro tutte le disgrazie e pericoli delle minacce che
provengono dagli sfruttatori, e per la sicurezza dei popoli slavi.

30.5.2004

Comitato Centrale del PCS
Sezione Litorale sloveno

(Traduzione a cura del CNJ)

(SEE ALSO THE USEFUL LINKS BELOW)

Depleted uranium: Dirty bombs, dirty missiles, dirty bullets

A death sentence here and abroad
by Leuren Moret

SF Bayview, 18 August 2004
www.globalresearch.ca 21 August 2004

The URL of this article is:
http://globalresearch.ca/articles/MOR408A.html


“Military men are just dumb stupid animals to be used as pawns in
foreign policy.” - Henry Kissinger, quoted in “Kiss the Boys Goodbye:
How the United States Betrayed Its Own POW’s in Vietnam”

Vietnam was a chemical war for oil, permanently contaminating large
regions and countries downriver with Agent Orange, and environmentally
the most devastating war in world history. But since 1991, the U.S. has
staged four nuclear wars using depleted uranium weaponry, which, like
Agent Orange, meets the U.S. government definition of Weapons of Mass
Destruction. Vast regions in the Middle East and Central Asia have been
permanently contaminated with radiation.

And what about our soldiers? Terry Jemison of the Department of
Veterans Affairs reported this week to the American Free Press that
“Gulf-era veterans” now on medical disability since 1991 number
518,739, with only 7,035 reported wounded in Iraq in that same 14-year
period.

This week the American Free Press dropped a “dirty bomb” on the
Pentagon by reporting that eight out of 20 men who served in one unit
in the 2003 U.S. military offensive in Iraq now have malignancies. That
means that 40 percent of the soldiers in that unit have developed
malignancies in just 16 months.

Since these soldiers were exposed to vaccines and depleted uranium
(DU) only, this is strong evidence for researchers and scientists
working on this issue, that DU is the definitive cause of Gulf War
Syndrome. Vaccines are not known to cause cancer. One of the first
published researchers on Gulf War Syndrome, who also served in 1991 in
Iraq, Dr. Andras Korényi-Both, is in agreement with Barbara Goodno from
the Department of Defense’s Deployment Health Support Directorate, that
in this war soldiers were not exposed to chemicals, pesticides,
bioagents or other suspect causes this time to confuse the issue.

This powerful new evidence is blowing holes in the cover-up
perpetrated by the Pentagon and three presidential administrations ever
since DU was first used in 1991 in the Persian Gulf War. Fourteen years
after the introduction of DU on the battlefield in 1991, the long-term
effects have revealed that DU is a death sentence and very nasty stuff.

Scientists studying the biological effects of uranium in the 1960s
reported that it targets the DNA. Marion Fulk, a nuclear physical
chemist retired from the Livermore Nuclear Weapons Lab and formerly
involved with the Manhattan Project, interprets the new and rapid
malignancies in soldiers from the 2003 war as “spectacular … and a
matter of concern.”

This evidence shows that of the three effects which DU has on
biological systems - radiation, chemical and particulate – the
particulate effect from nano-size particles is the most dominant one
immediately after exposure and targets the Master Code in the DNA. This
is bad news, but it explains why DU causes a myriad of diseases which
are difficult to define.

In simple words, DU “trashes the body.” When asked if the main
purpose for using it was for destroying things and killing people, Fulk
was more specific: “I would say that it is the perfect weapon for
killing lots of people.”

Soldiers developing malignancies so quickly since 2003 can be
expected to develop multiple cancers from independent causes. This
phenomenon has been reported by doctors in hospitals treating civilians
following NATO bombing with DU in Yugoslavia in 1998-1999 and the U.S.
military invasion of Iraq using DU for the first time in 1991. Medical
experts report that this phenomenon of multiple malignancies from
unrelated causes has been unknown until now and is a new syndrome
associated with internal DU exposure.

Just 467 U.S. personnel were wounded in the three-week Persian Gulf
War in 1990-1991. Out of 580,400 soldiers who served in Gulf War I,
11,000 are dead, and by 2000 there were 325,000 on permanent medical
disability. This astounding number of disabled vets means that a decade
later, 56 percent of those soldiers who served now have medical
problems.

The number of disabled vets reported up to 2000 has been increasing
by 43,000 every year. Brad Flohr of the Department of Veterans Affairs
told American Free Press that he believes there are more disabled vets
now than even after World War II.

They brought it home

Not only were soldiers exposed to DU on and off the battlefields,
but they brought it home. DU in the semen of soldiers internally
contaminated their wives, partners and girlfriends. Tragically, some
women in their 20s and 30s who were sexual partners of exposed soldiers
developed endometriosis and were forced to have hysterectomies because
of health problems.

In a group of 251 soldiers from a study group in Mississippi who
had all had normal babies before the Gulf War, 67 percent of their
post-war babies were born with severe birth defects. They were born
with missing legs, arms, organs or eyes or had immune system and blood
diseases. In some veterans’ families now, the only normal or healthy
members of the family are the children born before the war.

The Department of Veterans Affairs has stated that they do not keep
records of birth defects occurring in families of veterans.

How did they hide it?

Before a new weapons system can be used, it must be fully tested.
The blueprint for depleted uranium weapons is a 1943 declassified
document from the Manhattan Project.

Harvard President and physicist James B. Conant, who developed
poison gas in World War I, was brought into the Manhattan Project by
the father of presidential candidate John Kerry. Kerry’s father served
at a high level in the Manhattan Project and was a CIA agent.

Conant was chair of the S-1 Poison Gas Committee, which recommended
developing poison gas weapons from the radioactive trash of the atomic
bomb project in World War II. At that time, it was known that
radioactive materials dispersed in bombs from the air, from land
vehicles or on the battlefield produced very fine radioactive dust
which would penetrate all protective clothing, any gas mask or filter
or the skin. By contaminating the lungs and blood, it could kill or
cause illness very quickly.

They also recommended it as a permanent terrain contaminant, which
could be used to destroy populations by contaminating water supplies
and agricultural land with the radioactive dust.

The first DU weapons system was developed for the Navy in 1968, and
DU weapons were given to and used by Israel in 1973 under U.S.
supervision in the Yom Kippur war against the Arabs.

The Phalanx weapons system, using DU, was tested on the USS Bigelow
out of Hunters Point Naval Shipyard in 1977, and DU weapons have been
sold by the U.S. to 29 countries.

Military research report summaries detail the testing of DU from
1974-1999 at military testing grounds, bombing and gunnery ranges and
at civilian labs under contract. Today 42 states are contaminated with
DU from manufacture, testing and deployment.

Women living around these facilities have reported increases in
endometriosis, birth defects in babies, leukemia in children and
cancers and other diseases in adults. Thousands of tons of DU weapons
tested for decades by the Navy on four bombing and gunnery ranges
around Fallon, Nevada, is no doubt the cause of the fastest growing
leukemia cluster in the U.S. over the past decade. The military denies
that DU is the cause.

The medical profession has been active in the cover-up - just as
they were in hiding the effects from the American public - of low level
radiation from atmospheric testing and nuclear power plants. A medical
doctor in Northern California reported being trained by the Pentagon
with other doctors, months before the 2003 war started, to diagnose and
treat soldiers returning from the 2003 war for mental problems only.

Medical professionals in hospitals and facilities treating
returning soldiers were threatened with $10,000 fines if they talked
about the soldiers or their medical problems. They were also threatened
with jail.

Reporters have also been prevented access to more than 14,000
medically evacuated soldiers flown nightly since the 2003 war in C-150s
from Germany who are brought to Walter Reed Hospital near Washington,
D.C.

Dr. Robert Gould, former president of the Bay Area chapter of
Physicians for Social Responsibility (PSR), has contacted three medical
doctors since February 2004, after I had been invited to speak about
DU. Dr. Katharine Thomasson, president of the Oregon chapter of the
PSR, informed me that Dr. Gould had contacted her and tried to convince
her to cancel her invitation for me to speak about DU at Portland State
University on April 12. Although I was able to do a presentation, Dr.
Thomasson told me I could only talk about DU in Oregon “and nothing
overseas … nothing political.”

Dr. Gould also contacted and discouraged Dr. Ross Wilcox in
Toronto, Canada, from inviting me to speak to Physicians for Global
Survival (PGS), the Canadian equivalent of PSR, several months later.
When that didn’t work, he contacted Dr. Allan Connoly, the Canadian
national president of PGS, who was able to cancel my invitation and
nearly succeeded in preventing Dr. Wilcox, his own member, from showing
photos and presenting details on civilians suffering from DU exposure
and cancer provided to him by doctors in southern Iraq.

Dr. Janette Sherman, a former and long-standing member of PSR,
reported that she finally quit some time after being invited to lunch
by a new PSR executive administrator. After the woman had pumped Dr.
Sherman for information all through lunch about her position on key
issues, the woman informed Dr. Sherman that her last job had been with
the CIA.

How was the truth about DU hidden from military personnel serving
in successive DU wars? Before his tragic death, Sen. Paul Wellstone
informed Joyce Riley, R.N., B.S.N., executive director of the American
Gulf War Veterans Association, that 95 percent of Gulf War veterans had
been recycled out of the military by 1995. Any of those continuing in
military service were isolated from each other, preventing critical
information being transferred to new troops. The “next DU war” had
already been planned, and those planning it wanted “no skunk at the
garden party.”


The US has a dirty (DU) little (CIA) secret

A new book just published at the American Free Press by Michael
Collins Piper, “The High Priests of War: The Secret History of How
America’s Neo-Conservative Trotskyites Came to Power and Orchestrated
the War Against Iraq as the First Step in Their Drive for Global
Empire,” details the early plans for a war against the Arab world by
Henry Kissinger and the neo-cons in the late 1960s and early 1970s.
That just happens to coincide with getting the DU “show on the road”
and the oil crisis in the Middle East, which caused concern not only to
President Nixon. The British had been plotting and scheming for control
of the oil in Iraq for decades since first using poison gas on the
Iraqis and Kurds in 1912.

The book details the creation of the neo-cons by their “godfather”
and Trotsky lover Irving Kristol, who pushed for a “war against
terrorism” long before 9/11 and was lavishly funded for years by the
CIA. His son, William Kristol, is one of the most influential men in
the United States.

Both are public relations men for the Israeli lobby’s
neo-conservative network, with strong ties to Rupert Murdoch. Kissinger
also has ties to this network and the Carlyle Group, who, one could
say, have facilitated these omnicidal wars beginning from the time
former President Bush took office. It would be easy to say that we are
recycling World Wars I and II, with the same faces.

When I asked Vietnam Special Ops Green Beret Capt. John McCarthy,
who could have devised this omnicidal plan to use DU to destroy the
genetic code and genetic future of large populations of Arabs and
Moslems in the Middle East and Central Asia - just coincidentally the
areas where most of the world’s oil deposits are located - he replied:
“It has all the handprints of Henry Kissinger.”

In Zbignew Brzezinski’s book “The Grand Chessboard: American
Primacy and Its Geostrategic Imperatives,” the map of the Eurasian
chessboard includes four regions strategic to U.S. foreign policy. The
“South” region corresponds precisely to the regions now contaminated
permanently with radiation from U.S. bombs, missiles and bullets made
with thousands of tons of DU.

A Japanese professor, Dr. K. Yagasaki, has calculated that 800 tons
of DU is the atomicity equivalent of 83,000 Nagasaki bombs. The U.S.
has used more DU since 1991 than the atomicity equivalent of 400,000
Nagasaki bombs. Four nuclear wars indeed, and 10 times the amount of
radiation released into the atmosphere from atmospheric testing!

No wonder our soldiers, their families and the people of the Middle
East, Yugoslavia and Central Asia are sick. But as Henry Kissinger said
after Vietnam when our soldiers came home ill from Agent Orange,
“Military men are just dumb stupid animals to be used for foreign
policy.”

Unfortunately, more and more of those soldiers are men and women
with brown skin. And unfortunately, the DU radioactive dust will be
carried around the world and deposited in our environments just as the
“smog of war” from the 1991 Gulf War was found in deposits in South
America, the Himalayas and Hawaii.

In June 2003, the World Health Organization announced in a press
release that global cancer rates will increase 50 percent by 2020. What
else do they know that they aren’t telling us? I know that depleted
uranium is a death sentence … for all of us. We will all die in silent
ways.


To learn more

Sources used in this story that readers are encouraged to consult:

American Free Press four-part series on DU by Christopher Bollyn.

Part I: “Depleted Uranium: U.S. Commits War Crime Against Iraq,
Humanity,”
www.americanfreepress.net/depleted_uranium.html ;

Part II: “Cancer Epidemic Caused by U.S. WMD: MD Says Depleted
Uranium Definitively Linked,”
www.americanfreepress.net/html/cancer_epidemic_.html

August 2004 World Affairs Journal. Leuren Moret: “Depleted Uranium:
The Trojan Horse of Nuclear War,”
www.mindfully.org/Nucs/2004/DU-Trojan-Horse1jul04.htm and

http://globalresearch.ca/articles/MOR407A.html

August 2004 Coastal Post Online. Carol Sterrit: “Marin Depleted
Uranium Resolution Heats Up – GI’s Will Come Home To A Slow Death,”
www.coastalpost.com/04/08/01

World Depleted Uranium Weapons Conference, Hamburg, Germany,
October 16-19, 2004:
www.worlduraniumweaponsconference.de/speakers/speakers.htm

International Criminal Tribunal for Afghanistan. Written opinion of
Judge Niloufer Baghwat:
www.mindfully.org/Reform/2004/Afghanistan-Criminal-Tribunal10mar04.htm

“Discounted Casualties: The Human Cost of Nuclear War” by Akira
Tashiro, foreword by Leuren Moret,
www.chugoku-np.co.jp/abom/uran/index_e.html


Global Research Contributing Editor Leuren Moret is a geoscientist who
has worked around the world on radiation issues, educating citizens,
the media, members of parliaments and Congress and other officials. She
became a whistleblower in 1991 at the Livermore Nuclear Weapons Lab
after experiencing major science fraud on the Yucca Mountain Project.
An environmental commissioner in the City of Berkeley, she can be
reached at leurenmoret @ yahoo.com .

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équitable seulement.

---------------------

SEE ALSO:

Depleted Uranium: America's Silent Weapon of Mass Destruction
(by Sally Carless)

http://www.commondreams.org/views04/0713-13.htm

The Weapons of American Terrorism

http://free.freespeech.org/americanstateterrorism/weapons/
DepletedUranium.html

Gulf War Illnesses -- At Home and Abroad*
(by Janette Sherman, M.D.)

http://www.dissidentvoice.org/Aug04/Sherman0809.htm

Mi moramo u Jugoslaviji na primjeru pokazati da ne može biti manjine i
većine. Socijalizam manjinu i većinu odbacuje. On traži ravnopravnost
između manjine i većine a onda nema ni većine ni manjine nego ima jedan
narod. - Tito


http://www.bratstvo.cjb.net

Voyage d'inspection citoyenne au Kosovo

( Vous pouvez suivre l'ensemble du Journal de voyage sur le site du
Commité de Surveillance OTAN à l'adresse:
http://www.csotan.org/Kosovo2004/ )

1. Voyage d'inspection citoyenne au Kosovo:
- 3e jour (15 août 2004)
- 4e jour (16 août 2004)
- 5e et 6e jour (17 et 18 août 2004)

2. Kosovo : L'OTAN et l'ONU incapables de protéger les minorités (Terre
d'Escale)

( SOURCE: alerte_otan -
http://fr.groups.yahoo.com/group/alerte_otan/messages )


=== 1 ===

Voyage d'inspection citoyenne au Kosovo


3e jour : 15 août

Nous passons la matinée au monastère de Banja, au nord de Mitrovica, au
milieu d'une foule de milliers de Serbes venus pour assister à la
cérémonie marquant le retour, après quelques siècles d'absence, de
moines en ce lieu venant d'être reconstruit. Sont présents, outre une
foule considérable par rapport au nombre de Serbes vivant dans la
région, à peu près tous les leaders serbes du Kosovo, ainsi que le
gratin de l'église orthodoxe serbe, dont le patriarche Pavle.

En début d'après-midi, nous nous rendons sous escorte de la police de
l'ONU, dans ce qui reste de la mahala rom de Mitrovica, située sur la
rive sud de l' Ibar, la rivière divisant la ville entre secteurs serbe
et albanais. L'escorte est justifiée par la présence parmi nous d'un
Rom ayant passe la plus grande partie de sa vie dans ce quartier. Avant
sa destruction totale lors de l'arrive des forces de l'OTAN et des
extrémistes de l'UCK, la mahala comptait 7.000 habitant et était le
plus grand quartier rom du Kosovo. Alors que nous venons d'entamer la
visite, deux voitures bloquent la ruelle par laquelle nos véhicules et
ceux de la police avaient accède a la mahala. Quelque peu paniques, les
policiers appellent des renforts qui font dégager les véhicules
indésirables. Mais la visite de la mahala est courte et nous rentrons
au quartier nord de la ville.

A l'occasion d'une nouvelle visite (a pied et sans escorte) dans le sud
de Mitrovica, nous avons encore le temps de jeter un oeil a église
orthodoxe incendie en mars - et de la photographier malgré la tentative
de soldats marocains de la KFOR (force internationale sous commandement
OTAN) de nous en empêcher.

Nous partons ensuite dans la région de Pristina et trouvons un logement
dans le petit village serbe de Laplje Selo, a quelques Km de Gracanica,
petite ville peuplée de Serbes et de Roms et ou se trouve, depuis 1999,
le siège de église orthodoxe du Kosovo.


4e jour: 16 août

Les États-Unis et le crime organisé

Apres une brève rencontre avec le leader serbe Momcilo Trajkovic à
Laplje Selo, nous partons à Pristina pour notre rendez-vous avec
l'ombudsman (médiateur) du Kosovo, le Polonais Marek Nowicki.

Chargé de surveiller les problèmes dans le domaine des droits humains,
il dresse un tableau sans complaisance de la situation au Kosovo et des
grandes responsabilités de la communauté internationale. S il s'occupe
également de problèmes internes à la communauté albanaise (comme la
construction pratiquement toujours illégale de nouveaux immeubles
partout au Kosovo), l'essentiel de l'entretien est consacre au sort des
minorités. Selon lui, le manque de clarté sur le statut final du Kosovo
(indépendance, autonomie ?) aggrave les tensions pesant sur toutes les
communautés et contribue à la situation économique catastrophique de la
province. Il nous déclare que le vrai pouvoir ici est partage entre les
Etats-Unis et le crime organise, et accessoirement par l'Allemagne. Il
nous livre plusieurs exemples illustrant l'intolérance extrême de
nombreux Albanais envers les Serbes, comme ce garçon serbe blesse par
balles dans le village de Gorazdevac, puis décédé à son arrivée à
l'hôpital parce que le véhicule l'y transportant, conduit par son père,
a été bloqué pendant de précieuses minutes par une foule s'apprêtant à
lyncher le père et le fils agonisant. Si la police de l'ONU est arrivée
juste à temps pour empêcher le lynchage, il était trop tard pour sauver
le fils. Il considère que son principal succès, en 4 ans de travail au
Kosovo, est d'avoir gagne la confiance de toutes les communautés. Et
surtout, il implore les gouvernements occidentaux de ne pas expulser
les réfugiés du Kosovo appartenant à des minorités, une pratique à
laquelle ont fréquemment recours les autorités allemandes, envers les
Roms principalement.

L après-midi, après avoir vu l'église orthodoxe de Pristina, détruite
en mars dernier, nous visitons plusieurs localités touchées par les
émeutes de mars, en particulier les villes de Kosovo Polje et de
Lipljan. Le niveau de destruction est impressionnant et la situation
des derniers Serbes qui y sont présents est particulièrement tragique,
confinés dans quelques immeubles ayant échappé à la destruction.
Autrefois majoritaires dans les deux villes, les Serbes ne sont
maintenant plus que quelques dizaines de familles à y subsister. Des
maisons sont en cours de reconstruction (par des ouvriers albanais),
mais il est à craindre, comme cela est arrive plusieurs fois ces
dernières semaines, qu'elles seront incendiées des qu elles seront
achevées.

En début de soirée, nous rendons une autre visite particulièrement
éprouvante à la petite mahala rom de Gracanica. Si les Roms disent
n'avoir aucun problème avec leurs voisins serbes (nous avons vu les
enfants des uns et des autres jouer ensemble), leur misère dépasse
l'entendement. Vivant à plusieurs par pièce, les fenêtres de leurs
maisons sont brisées et les toits perces. Parmi eux se trouvent de
nombreux réfugiés de Pristina. Les plus mal lotis sont plusieurs
personnes âgées et des enfants, gravement malades, mais incapables de
payer les soins médicaux. Ils nous disent que, depuis 5 ans, notre
délégation est la 1ere à les visiter et à s'intéresser à leur sort. Si
l'un ou l'autre a un job auprès de l'ONU, la plupart survivent grâce à
la mendicité ou, pour les plus ages, grâce à une maigre pension payée
par Belgrade.


5e et 6e jour

17 août 2004

A la rencontre des Croates et des Roms

Nous visitons Janjevo, dernière localité peuple de Croates au Kosovo.

Isolée au pied de hautes montagnes, cette petite ville compte une
majorité albanaise, mais y vivraient également diverses minorités
musulmanes comme des Turcs, des Gorans et des Roms. La langue
serbo-croate y est parlée librement, mais seules des inscriptions en
albanais sont visibles de la rue. En l'absence de leur prêtre, le
contact avec les Croates est difficile. Ils ne semblent se plaindre que
de la situation économique, et du manque de travail en particulier. Ils
ne sont plus que 200 ou 300 et leur lent exode vers la Croatie, entamé
il y a de nombreuses années, semble se poursuivre aujourd'hui.

Revenus à Gracanica, nous quittons l'enclave serbe pour nous rendre
dans la ville de Gnjilane, au nord-est du Kosovo. Nous sommes reçus par
des habitants roms qui nous fournissent un logement. S"ils ont de bons
contacts avec leurs voisins albanais, ils n'osent pas s exprimer dans
leur langue dans le reste de la ville. En mars, alors que la police et
la KFOR étaient aux abonnés absents, ce sont ces voisins qui les ont
sauvés de la foule albanaise qui voulait brûler leurs maisons. Mais
leur exode, entamé en 1999, se poursuit : la maison où nous devions
loger vient d'être vendue et ses anciens propriétaires, un couple de
personnes âgées, devrait définitivement quitter le Kosovo le mois
prochain.


18 août 2004

La KFOR nous photographie et nous empeche de photographier

A Gnjilane, nous rencontrons des représentants de la communauté rom de
Gnjilane. Les Roms y sont maintenant moins de 400, alors qu'ils étaient
6.000 avant la guerre. Ils parlent de l'"épidémie de haine" qui s'est
emparée du Kosovo depuis les bombardements de l'OTAN. Jusqu'à ce
moment, aucune violence à caractère inter-ethnique n'avait eu lieu et
les diverses communautés (rom, serbe et albanaise) vivaient en bonne
entente. Après les expulsions massives qui avaient marqué l'arrivée des
soldats de l'OTAN en 1999, la situation s'était quelque peu stabilisée
et quelques dizaines de Roms étaient revenus. Les événements de mars
ont particulièrement traumatisé la communauté, sauvée de justesse grâce
à l'intervention de ses voisins albanais. Peu de Roms pensent rester à
Gnjilane, la plupart essayant de vendre leur maison. Alors qu'on nous
raconte divers cas de violences et de meurtres à l'encontre de Serbes
et de Roms, une femme nous déclare : "La question n'est pas de savoir
si nous partirons, mais quand".

Apres la visite d'un quartier rom brûlé en 1999 par les extrémistes
albanais, nous nous rendons ensuite dans le village de Silovo, un des
principaux villages serbes de la région de Gnjilane. Nous sommes reçus
par le personnel et les responsables de la télévision locale, seul
media en serbe accessible (quand il n'y a pas de coupure d'électricité)
à quelques milliers de Serbes vivant autour de Gnjilane. Dépendante
financièrement de publicités de commerçants et surtout d'un contrat
avec la KFOR, qui diffuse une émission hebdomadaire à destination de la
population serbe, l'avenir de la station est précaire. Nous visitons
ensuite l'école du village, ou vivent une cinquantaine de Serbes
expulsés de Gnjilane en mars dernier. Seules 3 ou 4 maisons seraient
encore occupées par des Serbes à Gnjilane.

L'après-midi, nous partons pour Dragas, dans l'extrême sud du Kosovo.
Nous passons par Camp Bondsteel, la plus grande base américaine des
Balkans, et par l'enclave serbe de Strpce, située dans les montagnes
Sar, les plus hautes montagnes de toute l'ex-Yougoslavie. En quittant
l'enclave, une partie de l'équipe est arrêtée par des soldats allemands
de la KFOR, interrogée et photographiée en cachette. Finalement, après
quelques échanges peu courtois, les Allemands daignent autoriser la
poursuite du voyage. Un peu plus loin, quelques kilomètres avant
Prizren, nous passons par les ruines du monastère serbe des Saints
Archanges, détruit en mars par les extrémistes albanais. Alors que le
monastère n'était pas surveillé auparavant, il est gardé par la KFOR
depuis sa destruction. Les soldats allemands en faction semblent
surtout préoccupés à empêcher toute photo des ruines...

Nous arrivons en début de soirée à Dragas, petite ville près des
frontières de l'Albanie et de la Macédoine et peuplée maintenant par
une majorité d'Albanais. Mais il s'agit du centre urbain de la
communauté Goran, des Slaves de religion musulmane, parlant une langue
proche du macédonien et du serbe. La plupart d'entre eux veulent être
scolarisés en langue serbe et ont connu de gros problèmes ces dernières
années, mais la situation semble s'améliorer progressivement.


Vous pouvez suivre l'ensemble du Journal de voyage sur le site du
Commité de Surveillance OTAN à l'adresse
http://www.csotan.org/Kosovo2004/


=== 2 ===

http://www.terredescale.net/article.php3?id_article=324

Kosovo : L'OTAN et l'ONU incapables de protéger les minorités

Par Terre d'Escale.
Publié le 18 août 2004.

La Force de Paix au Kosovo placée sous le commandement de l'OTAN ainsi
que la police internationale de l'ONU ont lamentablement failli à leur
mission de protection des minorités lors des émeutes généralisées qui
ont éclaté en mars dernier au Kosovo. C'est ce que constate Human
Rights Watch aujourd'hui dans le premier rapport circonstancié sur les
violences. La protection des communautés minoritaires sera un défi
majeur pour le nouvel administrateur de l'ONU pour le Kosovo, Soren
Jessen-Petersen, qui doit entrer en fonction le 3 août.

Le rapport de 66 pages, intitulé "Failure to Protect : Anti-Minority
Violence in Kosovo, March 2004," décrit les attaques généralisées
menées au Kosovo les 17 et 18 mars contre les Serbes, les Roms, les
Ashkalis (Roms albanophones) et d'autres minorités. Human Rights Watch
explique en détail l'effondrement presque total des institutions de
sécurité du Kosovo lors de la crise-la Force de Paix au Kososo (KFOR)
placée sous le commandement de l'OTAN, la police civile internationale
de la Mission d'administration intérimaire des Nations Unies au Kosovo
(MINUK) et le Service de police du Kosovo recruté sur place (KPS). Sur
base de nombreux entretiens avec des victimes appartenant aux minorités
et avec des responsables de la sécurité, le rapport fournit maints
détails-jusqu'alors non disponibles-sur ce qui est arrivé à des
dizaines de communautés lors des émeutes.

"Pour l'OTAN et les Nations Unies au Kosovo, il s'agissait du plus
grand test sur le plan de la sécurité depuis 1999, lorsque les
minorités avaient été chassées de chez elles sous le regard passif de
la communauté internationale," a déclaré Rachel Denber, directrice
exécutive par intérim à la Division Europe et Asie Centrale de Human
Rights Watch. "Mais ils ont raté le test. Dans bien trop de cas, les
soldats de la paix de l'OTAN ont cadenassé les grilles de leurs bases
et ont regardé brûler les maisons des Serbes." Le 17 mars, 33
émeutes au minimum ont éclaté au Kosovo sur une période de 48 heures,
et selon les estimations, elles auraient impliqué 51.000
protestataires. Dix-neuf personnes ont perdu la vie au cours des
violences. Au moins 550 maisons et 27 églises et monastères orthodoxes
ont été incendiés et environ 4.100 personnes des communautés
minoritaires ont été déplacées de chez elles.

Les recherches de Human Rights Watch ont établi que les groupes
ethniques albanais ont agi avec une impitoyable efficacité,
débarrassant bon nombre de zones du Kosovo de tous les vestiges d'une
présence serbe. Ils ont également visé d'autres communautés
minoritaires, notamment les Roms et les Ashkalis. Dans un grand nombre
de villages touchés par les violences, absolument toutes les
habitations serbes, roms ou ashkalis ont été détruites lors des
attaques, que celles-ci soient spontanées ou organisées.

Dans le village de Svinjare, les 137 maisons serbes ont été incendiées
mais les habitations voisines abritant des Albanais de souche sont
restées intactes. A Vucitrn, autre village proche, les 69 maisons
ashkalis ont été détruites, tandis qu'à Kosovo Polje, plus de 100
habitations serbes et roms ont été incendiées, tout comme le bureau de
poste, l'école serbe et l'hôpital serbe. La moindre présence serbe est
irrémédiablement prise pour cible : à Djakovica, des Albanais de souche
ont assiégé l'église orthodoxe serbe qui abritait les seules Serbes
encore présentes dans la ville : cinq femmes âgées. Ces dernières ont
dû être évacuées.

Bien que les troupes de la KFOR dirigées par l'OTAN et la police civile
internationale de la MINUK aient pour mandat spécifique d'assurer la
sécurité des minorités au Kosovo, elles ont failli à leur mission de
protection lors des émeutes, laissant souvent les minorités serbes ou
autres à la merci des meutes d'Albanais de souche pendant de longues
heures avant d'enfin réagir. A Svinjare, un groupe important d'Albanais
de souche est passé juste en face de la principale base française de la
KFOR pour se rendre dans le village, avant de bouter le feu à toutes
les habitations appartenant aux minorités. La KFOR n'est pas venue au
secours des Serbes, alors que Svinjare est située à quelques centaines
de mètres de la base. La KFOR française n'a pas non plus réagi lors de
l'attaque anti-ashkali perpétrée à Vucitrn, bien que le village se
trouve à proximité de deux bases françaises de la KFOR.

Les troupes de la KFOR sous le commandement allemand ne se sont pas
déployées pour protéger la population serbe et ses églises et
monastères orthodoxes historiques, en dépit des appels à l'aide répétés
qui émanaient des policiers allemands de la MINUK basés dans la ville.
Le village de Belo Polje, proche de la principale base italienne de la
KFOR, a été réduit en cendres. Dans la capitale Pristina, des Serbes
ont été forcés de se barricader dans leurs appartements pendant que les
émeutiers d'origine albanaise tiraient sur eux, pillaient et brûlaient
les appartements des étages inférieurs. Il a fallu six heures avant que
la KFOR et la MINUK ne leur viennent en aide. Les violences ont été
déclenchées par une série d'événements, en particulier des accusations
sensationnalistes et en définitive non fondées selon lesquels des
Serbes étaient responsables de la noyade de trois garçons d'origine
albanaise. Les autres détonateurs ont été d'une part la colère qui
s'est emparée des Albanais de souche en raison du blocage de la
principale route Pristina-Skopje par des villageois serbes qui
voulaient protester contre le meurtre par balle d'un adolescent serbe
par des inconnus, et d'autre part la manifestation du 16 mars organisée
par des groupes d'anciens combattants et autres individus liés à
l'Armée de Libération du Kosovo (UCK) maintenant dispersée, lesquels
protestaient contre l'arrestation d'anciens dirigeants de l'UCK
inculpés de crimes de guerre.

"Les violences devraient être un signal d'alarme pour l'OTAN et les
Nations Unies" a déclaré Rachel Denber. "Les paroles seules ne
suffisent pas pour protéger les communautés minoritaires ou créer un
Kosovo multiethnique. Ce qu'il faut ici, c'est une véritable réforme
des structures de sécurité internationales."

Human Rights Watch a réclamé une enquête indépendante et approfondie
sur la réaction de la KFOR, de la police de la MINUK et du KPS face aux
violences. Le rapport recommande par ailleurs que la KFOR et la police
de la MINUK reçoivent une formation et du matériel adéquat pour pouvoir
contrôler les émeutes, et que la structure de commandement de la KFOR
soit plus centralisée

(francais / italiano)

L'eroica resistenza del popolo iracheno

1. Najaf sotto il fuoco: “I soldati USA possono vincere alcune
battaglie, ma perdiamo la guerra”
(David Pestieau 18/08/2004 - anti-imperialism.net)
2. La Résistance irakienne contre l’occupation
(Subhi Toma 04/08/2004 - info_prc_paris)


=== 1 ===

URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/
texte.phtml?section=BD&object_id=22936

Iraq

Najaf sotto il fuoco: “I soldati USA possono vincere alcune battaglie,
ma perdiamo la guerra”

David Pestieau 18-08-2004


Sostenuto dagli F-16 e dagli elicotteri da bombardamento, l’esercito
americano (coadiuvato da alcune centinaia di militari iracheni)
attacca da una settimana le città di Najaf, Baghdad (nei quartieri di
Sadr City, Shula e Sha’ab), Bassora, Nassiriya, Kut, al sud, Falluja,
Samara, Baquouba e Ramadi, all’ovest ed al nord. Centinaia di civili
sono stati uccisi, ma la resistenza è feroce.
Una resistenza ancor più feroce dal momento che il passaggio di potere
del 28 giugno non ha portato nessun miglioramento alla situazione del
popolo iracheno.
Un esempio: Durante questa estate irachena, dove le temperature
variano tra i 45° ed i 55°C, i tagli dell’elettricità sono costanti
(tra le 18 e le 20 ore al giorno). “Non c’è né elettricità né acqua
potabile. Noi abbiamo la corrente solo per sei ore”, raccontava Majid
Jabbar, 35 anni che guida un pick-up per guadagnarsi da vivere.
“Immaginate questa estate caldissima senza corrente! I nostri bambini
non possono dormire la notte, ed è impossibile lavorare decentemente”.
Conseguenze: La depurazione dell’acqua è interrotta, provocando la
propagazione di febbre tifica, dell’epatite e di altre malattie
contagiose; l’aria condizionata è stata tagliata, rendendo la vita
insopportabile per i bambini e per le persone anziane (pensate alla
canicola dello scorso anno nell’Europa occidentale ed immaginate le
conseguenze se avesse fatto tra i 10° ed i 20° in più).

Perché questo nuovo massiccio attacco dell'esercito americano?

Dal presunto passaggio di potere al governo Allawi, il 28 giugno, “la
realtà militare in Irak è che non c’è stata nessuna tregua
dell’insurrezione e che vaste parti del paese sembrano effettivamente
sotto il controllo di gruppi ostili al governo sostenuto dagli Stati
Uniti”, scrive Krugman.
Mentre in giugno prima del passaggio del potere i soldati americani
uccisi sono stati 42, a luglio sono stati 54 e la cifra rischia di
essere ben più elevata in agosto.
I corrispondenti del più accreditato giornale borsistico londinese, The
Financial Times, descrivono come segue la situazione surreale che
persiste a Ramadi (450.000 abitanti): “Nella capitale della più vasta
provincia dell’Irak, il cosiddetto ‘triangolo sunnita’, i ribelli
hanno cominciato ad annunciare il loro arrivo con gli altoparlanti.
‘Chiudete i vostri negozi e le botteghe prima delle 14. Non vogliamo
ferire nessuno. I combattimenti avranno inizio dopo le 14. Restate al
riparo’, annuncia il megafono fissato su un pick-up della Nissan
bianco che circola nel bel mezzo della via principale di Ramadi, alle
13. Alle 13 e 45, le strade sono vuote. Gli edifici del governatorato,
il commissariato di polizia ed i negozi chiudono. La polizia e la
Guardia nazionale irachena, che pattugliavano la città, spariscono
dalla circolazione. Quindici minuti più tardi, la resistenza spunta
dalle vie laterali per prendere possesso dell’arteria principale:
cinque grosse berline della Daewoo e quindici pick-up Nissan muniti di
lancia-granate e di Kalashnikov”.

Sette città irachene sfuggono al controllo americano

Ma ciò che accade a Ramadi non è un caso isolato. In realtà, oltre a
Ramadi, le città di Fallujah, Baquouba, Kut, Mahmoudiya, Hilla e
Samara non sono più sotto il controllo americano, poiché le truppe USA
sono rintanate nelle loro caserme.
Ecco allora che si comprende meglio la constatazione allarmata di
Krugman : “I nostri uomini sono sottoposti ad una severa tensione,
fabbrichiamo più terroristi (leggete resistenti, nda), di quanti ne
uccidiamo; la nostra reputazione, ivi compresa la nostra autorità
morale, è ridotta sempre più a brandelli ogni mese che passa”.
Il sostegno dei paesi alleati degli Stati Uniti si sgretola. Dopo la
Spagna, le Filippine hanno deciso di lasciare l’Irak. I governi di
Blair e Berlusconi sono indeboliti, mentre i paesi dell’est devono far
fanno fronte ad un’opposizione crescente della propria opinione
pubblica: tre polacchi su quattro si dichiarano per il ritorno
immediato delle proprie truppe.
Numerose aziende private hanno deciso di lasciare il paese e di non
servire più le forze di occupazione.
Inoltre, dopo cinque settimane del nuovo governo iracheno, gli
strateghi americani hanno deciso di ricorrere al terrore per tentare
di uscire da questo vicolo cieco. Se attaccano Moqtada Al-Sadr, è
perché reputano che questa fazione della resistenza è quella
militarmente meno forte (vedi “Moqtada Al-Sadr e l’esercito di al-Mahdi
una parte della resistenza”).

Il Primo ministro Allawi così come lo percepisce il popolo iracheno:
“il sindaco di tre vie di Baghdad”

Ma la battaglia di Najaf si sta rivelando già un disastro politico.
La più alta autorità sunnita del paese ha appena decretato una fatwa
(un’ingiunzione religiosa) che dichiara che è vietato a ogni musulmano
di portare un qualsiasi aiuto alle truppe di occupazione americane che
si battono contro i “loro fratelli musulmani”.
Alcuni elementi dell’esercito iracheno, supervisionati dagli
americani, si sono rifiutati di combattere a Najaf e fraternizzano con
la popolazione, cosa che è all’origine del cessate il fuoco di questo
venerdì.
Le contraddizioni si acuiscono anche in seno alle forze politiche
irachene protette dagli americani. La maggioranza del consiglio
provinciale di Najaf, instaurato da Washington, è dimissionaria.
Nello stesso tempo, il vice-governatore della provincia di Bassora ha
dichiarato che avrebbe rotto col governo provvisorio responsabile
delle violenze a Najaf. Il potere reale del governo iracheno si
riassume bene nel soprannome dato dalla popolazione al primo ministro
Allawi : “il sindaco di tre vie di Baghdad”.
L’aggressione contro Najaf sta radicalizzando ulteriormente la
popolazione in Irak ma anche in Iran, in Libano e nel resto del Medio
Oriente. Quindi, come afferma lo stratega francese Paul-Marie de la
Gorce : “La resistenza ha guadagnato il sostegno popolare ma non è
ancora unificata, cosa che resta la sua debolezza”.

Moqtada Al-Sadr e l’esercito di al-Mahdi, una parte della resistenza

Molti si interrogano su Moqtada Al-Sadr : è sostenuto dall’Iran? Vuole
instaurare una repubblica islamica?
Moqtada Al-Sadr ed i suoi sostenitori rappresentano una parte della
resistenza nel Sud dell’Irak ed a Baghdad. Il suo esercito di al-Mahdi
è poco addestrato ed è armato solo con armi leggere, cosa che lo rende
vulnerabile.
Dato che il suo movimento si è costituito solamente nell’aprile del
2003, è ancora poco strutturato.
Ma ha potuto godere di un certo finanziamento, delle armi, di un
sostegno logistico dei vecchi baathisti che formano oggi il cuore
della resistenza armata, come hanno confermato anche alcuni capi del
resistenza baathista in un’intervista del giugno scorso.
Il padre di Moqtada Al-Sadr che è stato ucciso nel 1999, aveva
ricevuto all’inizio degli anni ‘90 il sostegno del partito Baath
contro i movimenti islamici filo-iraniani (come il Dawa o il Consiglio
Supremo della Rivoluzione Islamica, che sono oggi nel governo
provvisorio).
Anche se si è evoluto in seguito in un’opposizione anti-Saddam
Hussein, questa fazione non aveva affatto la stessa natura dei
movimenti filo-iraniani.
Moqtada Al-Sadr si presenta innanzitutto come un nazionalista arabo,
un difensore dell’integrità dell’Irak, prima di sventolare la sua
ideologia islamica. In questo senso, è in opposizione coi movimenti
filo-iraniani che conrastano violentemente il nazionalismo arabo.

Insorti estremisti ed integralisti?

“L’arte dei media dominanti consiste nel presentare la resistenza
irachena come essenzialmente integralista e legata ad Al Qaeda”, mi
scriveva recentemente, e a giusto titolo, un amico. Non c’è niente di
più vero, come attestato dagli stessi esperti militari USA.
“Lo scopo: demonizzare la resistenza, fare passare il conflitto per un
combattimento tra il mondo cristiano civilizzato e la barbarie
integralista musulmana”, aggiungeva. “Viene nascosto sui media tutto
quello che potrebbe dimostrare che la reale posta in gioco è un’altra:
forze antimperialiste contro forza coloniale di occupazione”. Perché,
infatti, si insiste costantemente sulle forze islamiche della
resistenza, senza parlare mai dei partiti islamici (come il Dawa) che
partecipano al governo filo-americano? Il pericolo dell’Islam viene
agitato unicamente quando intralcia gli interessi degli Stati Uniti e
dei suoi alleati?
Persino degli ufficiali americani e degli esperti militari americani
danno tutta una altra immagine della realtà.
“Contrariamente a ciò che vorrebbe far credere il governo americano,
l’insurrezione in Irak è diretta da forze ben armate ed è molto più
estesa di quanto non si pensasse in principio, dichiarano dei
responsabile dell’esercito americano”, afferma un articolo
dell’Associated Press.
Questi responsabile hanno dichiarato all’AP che i guerriglieri sono in
grado di lanciare degli appelli ai propri sostenitori per gonfiare le
proprie forze e portarle almeno a 20.000 uomini e che godono di
talmente tanto sostegno popolare tra i nazionalisti iracheni scontenti
della presenza delle truppe americane che è impossibile venirne a capo.
“Non siamo all’alba di una jihad, qui”, ha dichiarato un ufficiale
dell’esercito americano a Baghdad.
Quest’ufficiale che ha percorso migliaia di chilometri in ogni
direzione attraverso l’Irak per incontrare i ribelli o i loro
rappresentanti, ha dichiarato che i capi della guerriglia venivano
dalle diverse sezioni del partito Baath di Saddam, e più in
particolare dal suo Ufficio militare. Hanno costituito decine di
cellule.
“La maggior parte degli insorti lottano per potere assumere un ruolo
più importante in seno ad una società laica, e non in uno Stato
islamico in stile talebano”, ha proseguito l’ufficiale. “Quasi tutti i
guerriglieri sono degli iracheni”.
“Gli analisti civili sono generalmente d’accordo nel dire che gli
Stati Uniti e le autorità irachene hanno esagerato  di molto  il ruolo
dei combattenti stranieri e degli estremisti musulmani”, conclude
l’AP.
“Una parte troppo importante dell’analisi americana si fissa su dei
termini come ‘jihadista’ e, allo stesso modo, cerca quasi
meccanicamente di legare ogni cosa ad Osama bin Laden”, ha dichiarato
Anthony Cordesman, uno specialista dell’Irak del Centro degli Studi
Strategici ed Internazionali. “Qualsiasi corrente di opinione pubblica
in Irak (…) sostiene il carattere nazionalista di ciò che accade
attualmente”.
“Bene, i guerriglieri sono motivati dall’Islam allo stesso modo in cui
la religione motiva i soldati americani, che hanno la stessa tendenza
a pregare quando sono in guerra”, ha dichiarato ancora un ufficiale
dell’esercito americano.
Ha aggiunto di avere anche incontrato quattro dirigenti tribali di
Ramadi che gli avevano spiegato “chiaramente” che non volevano uno
Stato islamico, anche se le moschee erano utilizzate come santuari
degli insorti e centri di finanziamento.
“Liberare l’Irak dalle truppe americane costituisce la motivazione
della maggior parte dei ribelli, e non la formazione di uno Stato
islamico” confermano gli analisti.
L’ufficiale USA ha dichiarato inoltre che gli insorti iracheni hanno
un grosso vantaggio rispetto ad ogni guerriglia in altre parti: molte
armi, del denaro, ed erano addestrati. “Hanno imparato molto durante
l’anno scorso, e con un incremento progressivo dei propri effettivi
rispetto alle forze americane, che ruotano, e alle forze di sicurezza
irachene”, prosegue Cordesman a proposito dei guerriglieri. “Hanno
imparato a reagire molto velocemente ed in un modo che i nostri piani
e le nostre tattiche abituali non sono efficaci”.


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Data: Fri, 20 Aug 2004 17:13:30 -0000
Da: "rifondazione_paris"
Oggetto: [info-prc-paris] La Résistance irakienne contre
l’occupation- de S. Toma

Nous publions cet article de Subhi Toma sur la resistence irakienne
_____

La Résistance irakienne contre l'occupation exprime la volonté d'un
peuple victime d'agression et de spoliation

LES CRIMES

Les crimes commis par l'administration Bush en Irak ont causé
plusieurs dizaines de milliers de morts parmi la population civile
(37 000, selon le journal émirati The Gulf Today du 4 août 2004),
sans compter les prisonniers, les torturés, les villes détruites, et
les sites culturels pillés depuis l'invasion.

Outre une main mise sur l'industrie pétrolifère de l'Irak,
l'administration Bush vise également à implanter durablement les
entreprises américaines dans le pays. La destruction massive des
infrastructures et la libéralisation de l'économie, qui ont permis
de brader l'industrie nationale, ont donc constitué la première
étape d'une reconstruction de l'économie dépendant désormais de la
seule volonté américaine (Décret 39 du Conseil provisoire mis en
place par l'administrateur P.Bremer).

Ce projet de domination de type colonialiste devait pour aboutir
provoquer des conflits entre communautés afin d'empêcher l'union des
forces s'opposant à l'occupation. Mais l'émergence de la résistance,
qui dénonce les visées criminelles des actes dirigés contre les
diverses communautés, renforce l'unité du peuple, et met
l'administration américaine dans l'incapacité d'atteindre ses
objectifs. L'échec de la reconstruction du pays par les entreprises
liées à la famille Bush en est la démonstration.

Plus de 16 mois après la fin de la guerre la plupart des
infrastructures endommagées sont encore en ruine, seuls 50% des
foyers irakiens sont alimentés en eau potable, les coupures de
courant atteignent un niveau record, l'approvisionnement en essence
est sévèrement rationné et le système de santé est en pleine
déliquescence.

Confrontée à la guérilla et incapable de relancer l'activité dans un
pays où le taux de chômage a dépassé les 50% parmi la population en
âge de travailler (Le Monde du 29 juin 2004), l'administration Bush
est donc en passe de subir un échec cuisant, non seulement sur le
plan militaire mais aussi sur le plan économique et commercial.

De plus, la recherche d'un profit maximal dans un pays exsangue a
rapidement suscité le rejet par la population de la politique
d'exploitation exercée par les entreprises américaines, lesquelles,
au lieu de recruter parmi les chômeurs irakiens qualifiés, préfèrent
l'emploi d'une main d'œuvre immigrée bon marché. Selon le quotidien
Al Bayan du 1er août 2004, 5000 immigrés indiens sont ainsi soumis à
des conditions de travail inhumaines sur les bases et chantiers
américains en Irak.

Face à cette politique de spoliation, les Irakiens n'ont d'autre
choix que de s'opposer à l'occupation par tous les moyens.
L'opposition mobilise aujourd'hui autant les jeunes privés d'avenir,
les chômeurs, les anciens militaires, que les nouveaux exclus
(l'ancienne élite irakienne écartée car soupçonnée d'allégeance à
l'ancien régime et tous ceux ne répondant pas aux critères de
formation anglo-saxonne).

La destruction de 80% des Instituts d'études supérieures et la
fermeture de 134 sections d'enseignement universitaire faute de
financement (déclaration du nouveau ministre de l'Enseignement
supérieur au journal Al Charq Al Awsat du 1er août 2004) augmentent
le taux de chômage parmi les jeunes et viennent nourrir le mouvement
de lutte contre l'occupation.

Les pillages

Sous l'occupation, les revenus de l'Irak, censés contribuer au bien-
être de la population, ont été estimés à 20 milliards de dollars et
se composent comme suit : les revenus pétroliers, les sommes
accordées par les pays donateurs, ainsi que les fonds irakiens
libérés par les différents pays en vue de financer la reconstruction.
86% des contrats de reconstruction ont été confiés aux entreprises
américaines et une grande partie des fonds alloués a été dilapidée
frauduleusement. Selon le journal saoudien Al Charq Al Awsat du 5
août, les bénéfices de l'entreprise Haliberton pour une année
d'activité en Irak s'élèvent à 3,6 milliards de dollars, dont une
partie a été réalisée en majorant de 50% le prix du carburant acheté
au Koweït pour le compte de l'autorité d'occupation.

M. Al-Aulum, membre de l'ancien Conseil provisoire installé par
l'administration Bush, a accusé publiquement le gouverneur civil M.
Bremer de malversations, de détournements de fonds, et
d'attributions illégales de contrats. Il a indiqué également qu'une
grande quantité de mercure irakien a été acheminée clandestinement
vers les Etats-Unis (Al-Watan, journal saoudien du 16 juillet 2004).

Un rapport officiel, publié dans le Los Angeles Times du 29 juillet
2004, fait état de dizaines de cas de détournements commis par
l'autorité d'occupation (achat de matériels fictifs, paiement de
travaux non effectués.). L'inspecteur général de cette autorité a
déclaré à la chaîne d'information américaine CNN, le 30 juillet
2004, qu'il n'était pas en mesure de justifier des dépenses portant
sur un milliard de dollars.
Un membre du cabinet du Ministère du commerce, placé sous la tutelle
de M. Bremer, a été condamné pour complicité de vol de 24 millions
de dollars.
La juge irakienne Madame Ismaël Haqui vient de demander l'ouverture
d'une enquête sur les millions de dollars détournés par Robert
Cross, ancien conseiller du même P.Bremer au Ministère des Affaires
sociales en Irak (journal Al-Arab du 15 juillet 2004).

Le rejet massif de ces crimes et pillages organisés constitue donc
les vrais motifs d'une résistance qui a acculé M. Bush à recourir à
un transfert précipité de l'autorité à des Irakiens qui ne sont
guère que des supplétifs locaux.

Le transfert du pouvoir.

Par le transfert de l'autorité au tandem Negroponte-Allaoui,
l'administration Bush cherche à alimenter la peur en provoquant une
guerre entre Irakiens.

Du reste, le président américain ne cache pas ses intentions en
répétant à l'envi qu'il n'envisage aucun changement de politique.

La désignation de J. Negroponte en qualité d'ambassadeur à Bagdad
confirme cette volonté. Ce nouvel homme fort de l'Irak s'est, en
effet, rendu célèbre en organisant les escadrons de la mort en
Amérique centrale dans les années 80.

Il en va de même pour le nouveau premier ministre irakien M.
Allaoui, recruté par la CIA dans les années 90 pour déstabiliser le
régime de Saddam, en fomentant des attentats à la voiture piégée
(New York Times du 9 juin 2004).

M. Allaoui, en signe de fermeté face à la résistance, a procédé
personnellement le 27 juin 2004 à l'exécution de six prisonniers
dans un commissariat de Bagdad (selon le journal australien Sydney
Morning Herald du 17 juillet 2004).

Dès sa nomination au poste de chef du gouvernement le 28 juin 2004,
M. Allaoui a décrété la loi martiale, le rétablissement de la peine
de mort, la censure et légitimé le bombardement des villes jugées
rebelles.

Pour asseoir son autorité par la terreur, le gouvernement
transitoire, appuyé par l'armée américaine, organise des attaques
sanglantes en bombardant des villes. A ce jour, le bilan de ces
actions se chiffre à des centaines de morts et des milliers de
blessés.

Ces massacres sont perpétrés avec le concours de la plus grande
agence d'espionnage américaine à l'étranger. Les 500 officiers de la
CIA installés en Irak sont chargés de conseiller les nouveaux
responsables et de créer un service de renseignement capable de
manipuler les groupes politiques (cf. les déclarations de l'ancien
membre du Conseil provisoire, Ahmad Chalabi, au journal saoudien Al
Hayat du 23 juillet 2004).

En procédant à un « transfert » de pouvoir, l'administration Bush
cherche certes à minimiser les pertes américaines à la veille des
élections américaines de novembre, mais aussi à élargir le soutien
international nécessaire à leur maintien dans le pays.
Les néo-conservateurs s'imaginaient coloniser l'Irak avec
l'assentiment des populations. Après avoir essuyé leur premier échec
face à la résistance, ils espèrent encore parvenir à leur fin avec
l'aide de l'ONU.

Devant la détermination des Irakiens qui luttent pour la libération
de leur pays, il sera difficile de légitimer un pouvoir pro-
américain en Irak et d'assurer la victoire de Bush., et ce quelque
soit le moyen utilisé : aide de l'OTAN ou parodie d'élections sur
des bases ethniques et confessionnelles.

Par la seule volonté d'un peuple face à une armée d'occupation de
200 000 soldats et de dizaines de milliers de mercenaires, des
villes irakiennes comme Falouja et Sammara ont été libérées ; les
batailles quotidiennes à Bagdad, Mossoul, Najaf, et Bassorah,
témoignent d'un vaste mouvement de révolte et condamnent le
gouvernement provisoire à un isolement sans équivoque.

Dans ces conditions, et pour contribuer efficacement au règlement de
la question irakienne, la communauté internationale, au lieu de se
fourvoyer dans un éventuel soutien à M. Bush, doit agir pour faire
respecter les droits des peuples à disposer d'eux-mêmes, exiger la
décolonisation et le départ rapide des troupes étrangères.

S.TOMA
04/08/2004

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