Informazione
L'eroica resistenza del popolo iracheno
1. Najaf sotto il fuoco: “I soldati USA possono vincere alcune
battaglie, ma perdiamo la guerra”
(David Pestieau 18/08/2004 - anti-imperialism.net)
2. La Résistance irakienne contre l’occupation
(Subhi Toma 04/08/2004 - info_prc_paris)
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URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/
texte.phtml?section=BD&object_id=22936
Iraq
Najaf sotto il fuoco: “I soldati USA possono vincere alcune battaglie,
ma perdiamo la guerra”
David Pestieau 18-08-2004
Sostenuto dagli F-16 e dagli elicotteri da bombardamento, l’esercito
americano (coadiuvato da alcune centinaia di militari iracheni)
attacca da una settimana le città di Najaf, Baghdad (nei quartieri di
Sadr City, Shula e Sha’ab), Bassora, Nassiriya, Kut, al sud, Falluja,
Samara, Baquouba e Ramadi, all’ovest ed al nord. Centinaia di civili
sono stati uccisi, ma la resistenza è feroce.
Una resistenza ancor più feroce dal momento che il passaggio di potere
del 28 giugno non ha portato nessun miglioramento alla situazione del
popolo iracheno.
Un esempio: Durante questa estate irachena, dove le temperature
variano tra i 45° ed i 55°C, i tagli dell’elettricità sono costanti
(tra le 18 e le 20 ore al giorno). “Non c’è né elettricità né acqua
potabile. Noi abbiamo la corrente solo per sei ore”, raccontava Majid
Jabbar, 35 anni che guida un pick-up per guadagnarsi da vivere.
“Immaginate questa estate caldissima senza corrente! I nostri bambini
non possono dormire la notte, ed è impossibile lavorare decentemente”.
Conseguenze: La depurazione dell’acqua è interrotta, provocando la
propagazione di febbre tifica, dell’epatite e di altre malattie
contagiose; l’aria condizionata è stata tagliata, rendendo la vita
insopportabile per i bambini e per le persone anziane (pensate alla
canicola dello scorso anno nell’Europa occidentale ed immaginate le
conseguenze se avesse fatto tra i 10° ed i 20° in più).
Perché questo nuovo massiccio attacco dell'esercito americano?
Dal presunto passaggio di potere al governo Allawi, il 28 giugno, “la
realtà militare in Irak è che non c’è stata nessuna tregua
dell’insurrezione e che vaste parti del paese sembrano effettivamente
sotto il controllo di gruppi ostili al governo sostenuto dagli Stati
Uniti”, scrive Krugman.
Mentre in giugno prima del passaggio del potere i soldati americani
uccisi sono stati 42, a luglio sono stati 54 e la cifra rischia di
essere ben più elevata in agosto.
I corrispondenti del più accreditato giornale borsistico londinese, The
Financial Times, descrivono come segue la situazione surreale che
persiste a Ramadi (450.000 abitanti): “Nella capitale della più vasta
provincia dell’Irak, il cosiddetto ‘triangolo sunnita’, i ribelli
hanno cominciato ad annunciare il loro arrivo con gli altoparlanti.
‘Chiudete i vostri negozi e le botteghe prima delle 14. Non vogliamo
ferire nessuno. I combattimenti avranno inizio dopo le 14. Restate al
riparo’, annuncia il megafono fissato su un pick-up della Nissan
bianco che circola nel bel mezzo della via principale di Ramadi, alle
13. Alle 13 e 45, le strade sono vuote. Gli edifici del governatorato,
il commissariato di polizia ed i negozi chiudono. La polizia e la
Guardia nazionale irachena, che pattugliavano la città, spariscono
dalla circolazione. Quindici minuti più tardi, la resistenza spunta
dalle vie laterali per prendere possesso dell’arteria principale:
cinque grosse berline della Daewoo e quindici pick-up Nissan muniti di
lancia-granate e di Kalashnikov”.
Sette città irachene sfuggono al controllo americano
Ma ciò che accade a Ramadi non è un caso isolato. In realtà, oltre a
Ramadi, le città di Fallujah, Baquouba, Kut, Mahmoudiya, Hilla e
Samara non sono più sotto il controllo americano, poiché le truppe USA
sono rintanate nelle loro caserme.
Ecco allora che si comprende meglio la constatazione allarmata di
Krugman : “I nostri uomini sono sottoposti ad una severa tensione,
fabbrichiamo più terroristi (leggete resistenti, nda), di quanti ne
uccidiamo; la nostra reputazione, ivi compresa la nostra autorità
morale, è ridotta sempre più a brandelli ogni mese che passa”.
Il sostegno dei paesi alleati degli Stati Uniti si sgretola. Dopo la
Spagna, le Filippine hanno deciso di lasciare l’Irak. I governi di
Blair e Berlusconi sono indeboliti, mentre i paesi dell’est devono far
fanno fronte ad un’opposizione crescente della propria opinione
pubblica: tre polacchi su quattro si dichiarano per il ritorno
immediato delle proprie truppe.
Numerose aziende private hanno deciso di lasciare il paese e di non
servire più le forze di occupazione.
Inoltre, dopo cinque settimane del nuovo governo iracheno, gli
strateghi americani hanno deciso di ricorrere al terrore per tentare
di uscire da questo vicolo cieco. Se attaccano Moqtada Al-Sadr, è
perché reputano che questa fazione della resistenza è quella
militarmente meno forte (vedi “Moqtada Al-Sadr e l’esercito di al-Mahdi
una parte della resistenza”).
Il Primo ministro Allawi così come lo percepisce il popolo iracheno:
“il sindaco di tre vie di Baghdad”
Ma la battaglia di Najaf si sta rivelando già un disastro politico.
La più alta autorità sunnita del paese ha appena decretato una fatwa
(un’ingiunzione religiosa) che dichiara che è vietato a ogni musulmano
di portare un qualsiasi aiuto alle truppe di occupazione americane che
si battono contro i “loro fratelli musulmani”.
Alcuni elementi dell’esercito iracheno, supervisionati dagli
americani, si sono rifiutati di combattere a Najaf e fraternizzano con
la popolazione, cosa che è all’origine del cessate il fuoco di questo
venerdì.
Le contraddizioni si acuiscono anche in seno alle forze politiche
irachene protette dagli americani. La maggioranza del consiglio
provinciale di Najaf, instaurato da Washington, è dimissionaria.
Nello stesso tempo, il vice-governatore della provincia di Bassora ha
dichiarato che avrebbe rotto col governo provvisorio responsabile
delle violenze a Najaf. Il potere reale del governo iracheno si
riassume bene nel soprannome dato dalla popolazione al primo ministro
Allawi : “il sindaco di tre vie di Baghdad”.
L’aggressione contro Najaf sta radicalizzando ulteriormente la
popolazione in Irak ma anche in Iran, in Libano e nel resto del Medio
Oriente. Quindi, come afferma lo stratega francese Paul-Marie de la
Gorce : “La resistenza ha guadagnato il sostegno popolare ma non è
ancora unificata, cosa che resta la sua debolezza”.
Moqtada Al-Sadr e l’esercito di al-Mahdi, una parte della resistenza
Molti si interrogano su Moqtada Al-Sadr : è sostenuto dall’Iran? Vuole
instaurare una repubblica islamica?
Moqtada Al-Sadr ed i suoi sostenitori rappresentano una parte della
resistenza nel Sud dell’Irak ed a Baghdad. Il suo esercito di al-Mahdi
è poco addestrato ed è armato solo con armi leggere, cosa che lo rende
vulnerabile.
Dato che il suo movimento si è costituito solamente nell’aprile del
2003, è ancora poco strutturato.
Ma ha potuto godere di un certo finanziamento, delle armi, di un
sostegno logistico dei vecchi baathisti che formano oggi il cuore
della resistenza armata, come hanno confermato anche alcuni capi del
resistenza baathista in un’intervista del giugno scorso.
Il padre di Moqtada Al-Sadr che è stato ucciso nel 1999, aveva
ricevuto all’inizio degli anni ‘90 il sostegno del partito Baath
contro i movimenti islamici filo-iraniani (come il Dawa o il Consiglio
Supremo della Rivoluzione Islamica, che sono oggi nel governo
provvisorio).
Anche se si è evoluto in seguito in un’opposizione anti-Saddam
Hussein, questa fazione non aveva affatto la stessa natura dei
movimenti filo-iraniani.
Moqtada Al-Sadr si presenta innanzitutto come un nazionalista arabo,
un difensore dell’integrità dell’Irak, prima di sventolare la sua
ideologia islamica. In questo senso, è in opposizione coi movimenti
filo-iraniani che conrastano violentemente il nazionalismo arabo.
Insorti estremisti ed integralisti?
“L’arte dei media dominanti consiste nel presentare la resistenza
irachena come essenzialmente integralista e legata ad Al Qaeda”, mi
scriveva recentemente, e a giusto titolo, un amico. Non c’è niente di
più vero, come attestato dagli stessi esperti militari USA.
“Lo scopo: demonizzare la resistenza, fare passare il conflitto per un
combattimento tra il mondo cristiano civilizzato e la barbarie
integralista musulmana”, aggiungeva. “Viene nascosto sui media tutto
quello che potrebbe dimostrare che la reale posta in gioco è un’altra:
forze antimperialiste contro forza coloniale di occupazione”. Perché,
infatti, si insiste costantemente sulle forze islamiche della
resistenza, senza parlare mai dei partiti islamici (come il Dawa) che
partecipano al governo filo-americano? Il pericolo dell’Islam viene
agitato unicamente quando intralcia gli interessi degli Stati Uniti e
dei suoi alleati?
Persino degli ufficiali americani e degli esperti militari americani
danno tutta una altra immagine della realtà.
“Contrariamente a ciò che vorrebbe far credere il governo americano,
l’insurrezione in Irak è diretta da forze ben armate ed è molto più
estesa di quanto non si pensasse in principio, dichiarano dei
responsabile dell’esercito americano”, afferma un articolo
dell’Associated Press.
Questi responsabile hanno dichiarato all’AP che i guerriglieri sono in
grado di lanciare degli appelli ai propri sostenitori per gonfiare le
proprie forze e portarle almeno a 20.000 uomini e che godono di
talmente tanto sostegno popolare tra i nazionalisti iracheni scontenti
della presenza delle truppe americane che è impossibile venirne a capo.
“Non siamo all’alba di una jihad, qui”, ha dichiarato un ufficiale
dell’esercito americano a Baghdad.
Quest’ufficiale che ha percorso migliaia di chilometri in ogni
direzione attraverso l’Irak per incontrare i ribelli o i loro
rappresentanti, ha dichiarato che i capi della guerriglia venivano
dalle diverse sezioni del partito Baath di Saddam, e più in
particolare dal suo Ufficio militare. Hanno costituito decine di
cellule.
“La maggior parte degli insorti lottano per potere assumere un ruolo
più importante in seno ad una società laica, e non in uno Stato
islamico in stile talebano”, ha proseguito l’ufficiale. “Quasi tutti i
guerriglieri sono degli iracheni”.
“Gli analisti civili sono generalmente d’accordo nel dire che gli
Stati Uniti e le autorità irachene hanno esagerato di molto il ruolo
dei combattenti stranieri e degli estremisti musulmani”, conclude
l’AP.
“Una parte troppo importante dell’analisi americana si fissa su dei
termini come ‘jihadista’ e, allo stesso modo, cerca quasi
meccanicamente di legare ogni cosa ad Osama bin Laden”, ha dichiarato
Anthony Cordesman, uno specialista dell’Irak del Centro degli Studi
Strategici ed Internazionali. “Qualsiasi corrente di opinione pubblica
in Irak (…) sostiene il carattere nazionalista di ciò che accade
attualmente”.
“Bene, i guerriglieri sono motivati dall’Islam allo stesso modo in cui
la religione motiva i soldati americani, che hanno la stessa tendenza
a pregare quando sono in guerra”, ha dichiarato ancora un ufficiale
dell’esercito americano.
Ha aggiunto di avere anche incontrato quattro dirigenti tribali di
Ramadi che gli avevano spiegato “chiaramente” che non volevano uno
Stato islamico, anche se le moschee erano utilizzate come santuari
degli insorti e centri di finanziamento.
“Liberare l’Irak dalle truppe americane costituisce la motivazione
della maggior parte dei ribelli, e non la formazione di uno Stato
islamico” confermano gli analisti.
L’ufficiale USA ha dichiarato inoltre che gli insorti iracheni hanno
un grosso vantaggio rispetto ad ogni guerriglia in altre parti: molte
armi, del denaro, ed erano addestrati. “Hanno imparato molto durante
l’anno scorso, e con un incremento progressivo dei propri effettivi
rispetto alle forze americane, che ruotano, e alle forze di sicurezza
irachene”, prosegue Cordesman a proposito dei guerriglieri. “Hanno
imparato a reagire molto velocemente ed in un modo che i nostri piani
e le nostre tattiche abituali non sono efficaci”.
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Data: Fri, 20 Aug 2004 17:13:30 -0000
Da: "rifondazione_paris"
Oggetto: [info-prc-paris] La Résistance irakienne contre
l’occupation- de S. Toma
Nous publions cet article de Subhi Toma sur la resistence irakienne
_____
La Résistance irakienne contre l'occupation exprime la volonté d'un
peuple victime d'agression et de spoliation
LES CRIMES
Les crimes commis par l'administration Bush en Irak ont causé
plusieurs dizaines de milliers de morts parmi la population civile
(37 000, selon le journal émirati The Gulf Today du 4 août 2004),
sans compter les prisonniers, les torturés, les villes détruites, et
les sites culturels pillés depuis l'invasion.
Outre une main mise sur l'industrie pétrolifère de l'Irak,
l'administration Bush vise également à implanter durablement les
entreprises américaines dans le pays. La destruction massive des
infrastructures et la libéralisation de l'économie, qui ont permis
de brader l'industrie nationale, ont donc constitué la première
étape d'une reconstruction de l'économie dépendant désormais de la
seule volonté américaine (Décret 39 du Conseil provisoire mis en
place par l'administrateur P.Bremer).
Ce projet de domination de type colonialiste devait pour aboutir
provoquer des conflits entre communautés afin d'empêcher l'union des
forces s'opposant à l'occupation. Mais l'émergence de la résistance,
qui dénonce les visées criminelles des actes dirigés contre les
diverses communautés, renforce l'unité du peuple, et met
l'administration américaine dans l'incapacité d'atteindre ses
objectifs. L'échec de la reconstruction du pays par les entreprises
liées à la famille Bush en est la démonstration.
Plus de 16 mois après la fin de la guerre la plupart des
infrastructures endommagées sont encore en ruine, seuls 50% des
foyers irakiens sont alimentés en eau potable, les coupures de
courant atteignent un niveau record, l'approvisionnement en essence
est sévèrement rationné et le système de santé est en pleine
déliquescence.
Confrontée à la guérilla et incapable de relancer l'activité dans un
pays où le taux de chômage a dépassé les 50% parmi la population en
âge de travailler (Le Monde du 29 juin 2004), l'administration Bush
est donc en passe de subir un échec cuisant, non seulement sur le
plan militaire mais aussi sur le plan économique et commercial.
De plus, la recherche d'un profit maximal dans un pays exsangue a
rapidement suscité le rejet par la population de la politique
d'exploitation exercée par les entreprises américaines, lesquelles,
au lieu de recruter parmi les chômeurs irakiens qualifiés, préfèrent
l'emploi d'une main d'œuvre immigrée bon marché. Selon le quotidien
Al Bayan du 1er août 2004, 5000 immigrés indiens sont ainsi soumis à
des conditions de travail inhumaines sur les bases et chantiers
américains en Irak.
Face à cette politique de spoliation, les Irakiens n'ont d'autre
choix que de s'opposer à l'occupation par tous les moyens.
L'opposition mobilise aujourd'hui autant les jeunes privés d'avenir,
les chômeurs, les anciens militaires, que les nouveaux exclus
(l'ancienne élite irakienne écartée car soupçonnée d'allégeance à
l'ancien régime et tous ceux ne répondant pas aux critères de
formation anglo-saxonne).
La destruction de 80% des Instituts d'études supérieures et la
fermeture de 134 sections d'enseignement universitaire faute de
financement (déclaration du nouveau ministre de l'Enseignement
supérieur au journal Al Charq Al Awsat du 1er août 2004) augmentent
le taux de chômage parmi les jeunes et viennent nourrir le mouvement
de lutte contre l'occupation.
Les pillages
Sous l'occupation, les revenus de l'Irak, censés contribuer au bien-
être de la population, ont été estimés à 20 milliards de dollars et
se composent comme suit : les revenus pétroliers, les sommes
accordées par les pays donateurs, ainsi que les fonds irakiens
libérés par les différents pays en vue de financer la reconstruction.
86% des contrats de reconstruction ont été confiés aux entreprises
américaines et une grande partie des fonds alloués a été dilapidée
frauduleusement. Selon le journal saoudien Al Charq Al Awsat du 5
août, les bénéfices de l'entreprise Haliberton pour une année
d'activité en Irak s'élèvent à 3,6 milliards de dollars, dont une
partie a été réalisée en majorant de 50% le prix du carburant acheté
au Koweït pour le compte de l'autorité d'occupation.
M. Al-Aulum, membre de l'ancien Conseil provisoire installé par
l'administration Bush, a accusé publiquement le gouverneur civil M.
Bremer de malversations, de détournements de fonds, et
d'attributions illégales de contrats. Il a indiqué également qu'une
grande quantité de mercure irakien a été acheminée clandestinement
vers les Etats-Unis (Al-Watan, journal saoudien du 16 juillet 2004).
Un rapport officiel, publié dans le Los Angeles Times du 29 juillet
2004, fait état de dizaines de cas de détournements commis par
l'autorité d'occupation (achat de matériels fictifs, paiement de
travaux non effectués.). L'inspecteur général de cette autorité a
déclaré à la chaîne d'information américaine CNN, le 30 juillet
2004, qu'il n'était pas en mesure de justifier des dépenses portant
sur un milliard de dollars.
Un membre du cabinet du Ministère du commerce, placé sous la tutelle
de M. Bremer, a été condamné pour complicité de vol de 24 millions
de dollars.
La juge irakienne Madame Ismaël Haqui vient de demander l'ouverture
d'une enquête sur les millions de dollars détournés par Robert
Cross, ancien conseiller du même P.Bremer au Ministère des Affaires
sociales en Irak (journal Al-Arab du 15 juillet 2004).
Le rejet massif de ces crimes et pillages organisés constitue donc
les vrais motifs d'une résistance qui a acculé M. Bush à recourir à
un transfert précipité de l'autorité à des Irakiens qui ne sont
guère que des supplétifs locaux.
Le transfert du pouvoir.
Par le transfert de l'autorité au tandem Negroponte-Allaoui,
l'administration Bush cherche à alimenter la peur en provoquant une
guerre entre Irakiens.
Du reste, le président américain ne cache pas ses intentions en
répétant à l'envi qu'il n'envisage aucun changement de politique.
La désignation de J. Negroponte en qualité d'ambassadeur à Bagdad
confirme cette volonté. Ce nouvel homme fort de l'Irak s'est, en
effet, rendu célèbre en organisant les escadrons de la mort en
Amérique centrale dans les années 80.
Il en va de même pour le nouveau premier ministre irakien M.
Allaoui, recruté par la CIA dans les années 90 pour déstabiliser le
régime de Saddam, en fomentant des attentats à la voiture piégée
(New York Times du 9 juin 2004).
M. Allaoui, en signe de fermeté face à la résistance, a procédé
personnellement le 27 juin 2004 à l'exécution de six prisonniers
dans un commissariat de Bagdad (selon le journal australien Sydney
Morning Herald du 17 juillet 2004).
Dès sa nomination au poste de chef du gouvernement le 28 juin 2004,
M. Allaoui a décrété la loi martiale, le rétablissement de la peine
de mort, la censure et légitimé le bombardement des villes jugées
rebelles.
Pour asseoir son autorité par la terreur, le gouvernement
transitoire, appuyé par l'armée américaine, organise des attaques
sanglantes en bombardant des villes. A ce jour, le bilan de ces
actions se chiffre à des centaines de morts et des milliers de
blessés.
Ces massacres sont perpétrés avec le concours de la plus grande
agence d'espionnage américaine à l'étranger. Les 500 officiers de la
CIA installés en Irak sont chargés de conseiller les nouveaux
responsables et de créer un service de renseignement capable de
manipuler les groupes politiques (cf. les déclarations de l'ancien
membre du Conseil provisoire, Ahmad Chalabi, au journal saoudien Al
Hayat du 23 juillet 2004).
En procédant à un « transfert » de pouvoir, l'administration Bush
cherche certes à minimiser les pertes américaines à la veille des
élections américaines de novembre, mais aussi à élargir le soutien
international nécessaire à leur maintien dans le pays.
Les néo-conservateurs s'imaginaient coloniser l'Irak avec
l'assentiment des populations. Après avoir essuyé leur premier échec
face à la résistance, ils espèrent encore parvenir à leur fin avec
l'aide de l'ONU.
Devant la détermination des Irakiens qui luttent pour la libération
de leur pays, il sera difficile de légitimer un pouvoir pro-
américain en Irak et d'assurer la victoire de Bush., et ce quelque
soit le moyen utilisé : aide de l'OTAN ou parodie d'élections sur
des bases ethniques et confessionnelles.
Par la seule volonté d'un peuple face à une armée d'occupation de
200 000 soldats et de dizaines de milliers de mercenaires, des
villes irakiennes comme Falouja et Sammara ont été libérées ; les
batailles quotidiennes à Bagdad, Mossoul, Najaf, et Bassorah,
témoignent d'un vaste mouvement de révolte et condamnent le
gouvernement provisoire à un isolement sans équivoque.
Dans ces conditions, et pour contribuer efficacement au règlement de
la question irakienne, la communauté internationale, au lieu de se
fourvoyer dans un éventuel soutien à M. Bush, doit agir pour faire
respecter les droits des peuples à disposer d'eux-mêmes, exiger la
décolonisation et le départ rapide des troupes étrangères.
S.TOMA
04/08/2004
---
Notiziario del Circolo PRC "25 Aprile" Parigi
Per contatti: rifondazione. paris@libertysurf .fr
Sito WEB:
http://rifondazione75.samizdat.net
Per iscriverti o annullare l'iscrizione a questo gruppo, manda una mail
all'indirizzo:
info_prc_paris-[un]Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.
ripercorre i meccanismi da guerra psicologica che hanno accompagnato il
conflitto fratricida (1992-1995), con particolare riferimento al ruolo
della disinformazione strategica (il ruolo della Ruder&Finn, la
campagna su Srebrenica,...) ed allo stragismo interno nell'ambito della
strategia della tensione perseguita dalla NATO (stragi di Sarajevo,
eccetera)... ]
Lice i nalicje gradanskog rata u BiH
http://www.artel.co.yu/sr/izbor/yu_kriza/2004-08-20.html
Beograd, 20. avgust 2004. godine
Pise: Milovan Milutinovic
SAMOTERORIZMOM SUNARODNIKA BOŠNJACKO RUKOVODSTVO GRADILO POZICIJU ŽRTVE
Autor Milovan Milutinovic, novinar i publicist, pukovnik u penziji je
tokom sukoba u BiH bio nacelnik Informativne službe Glavnog štaba VRS
da bi zbog sukoba vojnog i politickog rukovodstva oko zloupotrebe
naroda i vojske dva puta penzionisan (prvo od Radovana Karaxica 1995. i
Biljane Plavšic 1996.) a potom protjeran iz RS. Nakon toga, autor je
1997. godine objavio knjigu "Vojska Republike Srpske izmedu politike i
rata", 1998. godine knjigu "Kako sam vodio medijski rat" a novembra
2003. godine knjigu "MEDIJSKE MANIPULACIJE U JUZNOSLOVENSKOM SUKOBU".
Na situaciju u SFRJ, pocetkom devedesetih, uticalo je produbljavanje
krize, na ekonomskom, politickom i ustavnom planu. Duboku ekonomsku
krizu karakterišu dugovi, velika nezaposlenost, slabo korišcenje
kapaciteta, povecana inflacija i nemogucnost zajednickog usaglašavanja
programa razvoja i stabilizacije što je stvarilo uvjerenje nekih
jugoslovenskih naroda da je bolja svaka opcija od ostajanja u
Jugoslaviji. To je usložilo politicku krizu jer se republicke
oligarhije nisu mogle dogovoriti oko koncepta preuredenja zemlje.
Jugoslovenski politicki vrh nije znao ili nije mogao realno procijeniti
razvoj situacije u svijetu i Evropi nakon završetka bipolarizma i
ujedinjenja Njemacke. Ispoljene nacionalisticke strasti vecine
republickih rukovodstava ukazivale su na neizvjesnost opstanka
zajednicke države. Sastanci pokretnog Predsjedništva SFRJ sa
republickim rukovodstvima bili su jalovi i bez dogovora. Svako je
udarao u svoj klin, iako su analiticari upozoravali na opasnost sukoba
nacionalnih snaga. Dobro je poznato, da je Stipe Mesic izabran za
predsjednika Predsjedništava SFRJ uz pritisak Evropske unije i americke
administracije i tada izjavio kako je njegova zadaca razbijanje
Jugoslavije. Nije nepoznato da su pojedinci iz najvišeg rukovodstva
igrali prema uputama stranih mentora. Zbog takvog djelovanja državnih
organa i nepopustljivosti nacionalnih oligarhija stvarala se situaciju
po onoj narodnoj, što gore to bolje. JNA, kao zajednicka oružana sila
je obezglavljena i prepuštena sebi, odnosno njenim celnim ljudima, koji
najcešce nisu znali šta da rade.
Politika naroda rješavala se u uskim krugovima, gdje su se
najodgovorniji okruživali politickim slijepcima. Usled takve
zaslijepljenosti nije bilo realne procjene razvoja situacije i
ispoljenih srpskih zabluda oko pomoci Rusije koja je stenjala u
problemima tranzicije. Uostalom, svako išcekivanje pomoci Rusije
poslednjih stotinu godina završavalo se krvavo po srpski narod . Ovaj
tekst je pokušaj da se na jedan specifican nacin ukaže na lice i
nalicje proteklog gradanskog rata u BiH u kojem je istina bila prva
žrtva, kako je to još 1917. godine, istakao americki senator Hajram
Džonson.
Pripreme za oružani sukob
Sve nacionalne snage imale su neke svoje politick programe i ciljeve.
Medutim, svojom specificnošcu isticala se politicka i propagandna
orijentacija bošnjackog rukovodstva definisana "Islamskom deklaracijom
" predsjednika SDA Alije Izetbegovica. Njome je data vizija
islamizacije BiH u cijem je ishodištu islamski fundamentalizam.
Politika Alije Izetbegovica je od pocetka rata dobila podršku islamskog
svijeta, a kasnije zbog pritiska islamskog kapitala, neke zemlje Zapada
otvoreno su se stavile u njihovu u podršku. Ministar inostranih poslova
BiH Haris Silajdžic ucestvovao je avgusta 1991. godine na ministarskom
sastanku OIK u Islamabadu a potom decembra 1991. godine u Dakaru, gdje
je dogovorio pomoc i saradnju. Turski list "Dejli njuz" prenio je
decembra 1992. godine stavove generalnog sekretara OIK Hamida al Gariba
da je sa Alijom Izetbegovicem, tokom Razmazana (februar 1992) u Džedi
dogovorio akciju na pomoci islamskog svijeta BiH .
U stotom broju sarajevskog"Ljiljana " 1994. godine objavljen je
razgovor sa Alijom Izetbegovicem, u tekstu "Hiljade ljudi nose našu
zastavu i nastavice da je nose", gdje se odslikava suština priprema za
oružane sukobe na prostoru BiH: "SDA je 10. juna 1991. godine, održala
veliki skup odgovornih ljudi iz citave Bosne, na kojem je formiran
Savjet za nacionalnu odbranu. To je bio onaj cuveni sastanak u Domu
milicije u Sarajevu. Formirani Savjet je rukovodio "Patritskom ligom" i
pripremama naroda za odbranu, ukljucujuci njegovo naoružavanje. Da toga
nije bilo, Bosna bi šutke pala, a ovako se grmljavina našeg otpora cuje
do neba."
Sve su brojnije potvrde aktivnosti muslimanskih krugova, više godine
prije pocetka oružanih sukoba u BiH, na pripremama za rat. U knjizi
"Lukava strategija" nacelnik Štaba Armije BiH Sefer Halilovic navodi da
je "Patriotska liga pocetkom 1992. godine brojala oko 120.000 ljudi, od
kojih je 60-70.000 bilo naoružanih." i dalje navodi da je 2. decembra
1991. godine u Hrasnici informisao Aliju Izetbegovica o razvoju
Patriotske lige. Zajednicki je 25. februara 1992. godine usvojena
direktiva za odbrani BiH u kojoj je definisan neprijatelj: "SDS sa JNA
i ekstrtemno krilo HDZ-a su naši neprijatelji " i shodno tome utvrdeni
ciljevi i zadaci musimanskih snaga u narednom periodu.
Uslijedili su sukobi u Sloveniji i Hrvatskoj a potom njihovo
jednostrano priznavanje od strane Vatikana i Evropske unije cime je
izvršeno nasilje nad medunarodnim pravom i zakljuccima Badenterove
komisije razbijena jedna suverena zemlja. Da bi se sprijecio ratni
sukob u BiH, za kojeg su se strane pripremale, u Lisabonu je 23.
februara 1992. godine održana Konferencija o BiH u organizaciji
portugalskog ministra Žoze Kutiljera. Na konferenciji su dogovoreni
principi odnosa u BiH i okviri za formiranje nacionalnih kantona. Popis
na dokument, kasnije nazvan Kutiljerov plan, stavili su Radovan
Karadžic, Alija Izetbegovic i Mate Boban. Ocekivao se iskorak ka miru.
Medutim, Izetbegovic je po nagovoru americkog ambasadora Vorena
Cimermana iz Beograda povukao svoj potpis. Suština je u poznatoj
Izetbegovicevoj izjavi: "Zbog mira ne bih žrtvovao samostalnost BiH,
ali bih zbog samostalnosti žrtvovao mir", koja pokazuje opredjeljenost
bošnjackog rukovodstva za oružanu borbu u ocuvanju BiH kao jedinstvene
države u kojoj ce se moci putem majorizacije drugih naroda realizovati
vlastiti ciljevi.
Podršku SDA i Aliju Izetbegovica u odbacivanju principa ustavnih
rješenja u BiH portugalskog ministra Žoze Kutiljera, dala je u Sarajevu
27. marta 1992. godine grupa 399 muslimanskih intelektualaca kroz
potpis Deklaracije o buducnosti BiH. Time su odbijeni dalji dogovori i
volja konstitutivnih naroda. Kroz Deklaraciju se nazire ideja
muslimanske države jer se preglasavanjem to moglo provesti posebno uz
podršku snažniju nekih zapadnih i islamskih krugova. Neuspjeh dogovora
u BiH verifikovala je EU 6. aprila 1992. godine odlukom o priznanju BiH
kao nezavisne države.
Francuski ministar inostranih poslova Rolan Dima, je u Kraj Montani
optužio EU za velike greške prema SFRJ: "Prvo, Evropska unija nije
shvatila razmjere krize i bez jasnog cilja organizovala je mirovnu
konferenciju u septembru 1991. godine Drugo, prebrzo je priznala
otcjepljenje republika i time sprijecila opšte rješenje krize i
podstakla rat u BiH i, trece, pogrešno je obrazovala arbitražnu
komisiju na celu sa Robertom Badinterom, cime su dogadaji ubrzani,
suprotno sa mirovnim misijama .." I bivši državni sekretar SAD Henri
Kisindžer istakao je 17. februara 1996. godine da je prevremeno
priznavanje BiH bila greška medunarodne zajednice i americke
administracije što je kasnije dovelo do oružanih sukoba.
Da bi se ubrzao proces osamostaljivanja organizovan je referendum. Za
nezavisnu BiH, organizovanom na prijedlog bošnjacke i hrvatske strane,
29. februara 1992. godine izašlo je 63,4% upisanih biraca. Srbi su ga
bojkotovali smatrajuci da je to u suprotnosti sa njihovim zahtjevima da
BiH ostane u Jugoslaviji. Sutradan, 1. marta 1992. godine ispred
sarajevske pravoslavne crkve, u svadbenoj povorci, ubijen je stari svat
Nikola Gardovic, dok je sveštenik Radenko Mirovic ranjen. Nakon ovog
dogadaja u Sarajevu su otpoceli nemiri. Ubrzo potom, u selu Sijekovac
kod B. Broda, 26. marta 1992. godine izvršen je masakr nad Srbima pri
cemu je ubijeno 21 lice. Time se usložila situacija nagovještavajuci
ratne sukobe.
Nakon toga, Odlukom krnjeg Predsjedništva BiH, jer su iz njega ranije
izašli srpski clanovi, 8. aprila 1992. godine proglašena je neposredna
ratna opasnost. Ubrzo potom, Alija Izetbegovic je 12. aprila 1992.
godine i pored upozorenja Žoze Kutiljera da se izbjegnu sukobi, izdao
direktivu Republickom štabu TO BiH o napadu na jedinice i objekte JNA u
BiH.
Munib Bisic, pomocnik ministra u Vladi RBiH, u listu "Oslobodenje",
iznosi nastanak "Patriotske lige" isticuci da su u Sarajevu 1991.
godine postojale još dvije slicne organizacije: "Zelene beretke" sa
Eminom Švrakicem na celu i "Bosna" sa Kerimom Loncarevicem, koje su
februara 1992. godine ušle u sastav "Patriotske lige": " Svi smo
dijelili mišljenje da je nužno organizovati se za odbranu Republike...
Oslanjali smo se na ljude iz SDA, obilazili smo teren i tražili
istomišljenike... Od septembra 1991. godine bilježimo masovniji pristup
bivših oficira JNA. "
Sarajevski "Naši dani" u tekstu "Valter ponovo brani Sarajevo", donosi
ekskluzivni razgovor sa nacelnikom GŠ Armije BiH, generalom Seferom
Halilovicem (do septembra 1991. bio je visoki oficir JNA). Halilovic u
intervjuu kaže: "Sastanci "Patriotske lige" održavani su na ulicama, u
šumama, xamijama tako da smo prije pocetka dejstava 1992.godine imali 9
regionalnih i 103 opštinska štaba sa 98.000 naoružanih boraca. "
Potvrduje to i komandir jedinice "Bosna 22" Šemso Tutic, da su tokom
godinu dana od njenog formiranja odvijala priprema ljudi za rat. "Od
noci, 5. aprila kada smo pozvani da sprijecimo zauzimanje stanice
milicije Novo Sarajevo i proboj Srba u centar grada stavljeni smo na
raspolaganje MUP-u... a nakon pocetka rata bili smo u direktnoj vezi sa
Predsjedništvom BiH i dijelom MUP-a. "
Šefko Hodžic u knjizi "Bosanski ratnici ", navodi izjavu Hasana
Efendica, prvog komandanta Štaba TO RBiH, da je po ukidanju RŠTO BiH,
8. aprila 1992. godine uslijedila reorganizacija Teritorijalne odbrane
BiH koja je 24. aprila imala 100.000 ljudi oružano spremnih da se po
nalogu Predsjedništva BiH, ukljuce u borbu Na osnovu naredbe komandanta
ŠTO RBiH, 29. aprila 1992. godine na prostoru BiH uslijedila je blokada
kasarni JNA, napadi na vojna skladišta i njihovo zauzimanje i napadi na
kolone vojnika.
Pri napadu "Zelenih beretki" na vojnu kolonu JNA koja se nakon
sporazuma sa Predsjedništvom BiH, izvlacila iz Komande 2. vojne oblasti
u Sarajevu pod komandantom generala Milutina Kukanjca, u Dobrovoljackoj
ulici ubijeno je na stotine vojnika i starješina. Ni poslije deset
godina nisu utvrdeni podaci stradalih pripadnika JNA u ovom napadu.
Isto tako, javnosti su ostali potpuno nepoznate posljedice o napadu
muslimanskih ekstremista na kolonu vojnika JNA u Tuzli, prilikom njenog
izvlacenju iz grada, 15. maja 1992. godine u kojem je stradalo više od
120 vojnika i starješina JNA.
U skladu sa propagandom protiv Srba Alija Izetbegovic ponudio je
cikaškom profesoru prava Frensisu Bojlu da sacini tužbu BiH protiv SRJ
za agresiju i zlocine nad muslimanskim narodom. Bojl je sakupio podatke
i marta 1993. godine podnio Tužbu BiH protiv SRJ za agresiju kod
Medunarodnog suda pravde u Hagu. Nakon toga, SRJ je podnijela
protivtužbu protiv BiH. Tokom 2001. godine Haški tribunal je zatražio
dostavljanje ratne arhive Predsjedništva R BiH. Komisija je nakon
mjesec dana traganja konstatovala da u arhivi nema veceg broja
zapisnika i zakljucaka sa sjednica Predsjedništva RBiH, što znaci da je
Izetbegovcic sam o tome odlucio i da tužba nema legitimitet .
O manipulisanju svjetske javnost govori americki strateg Jozef Bodanski
u studiji "Ofanziva na Balkan" kada konstatuje: "Preko cinicnih
manipulacija zapadnih medija i izdašnog finansiranja informativnih
službi, muslimani i njihovi hrvatski saveznici, bili su u mogucnosti da
satanizuju Srbe i iskrive sliku o borbama u BiH... " Do koje su mjere
mediji manipulisali govori mirovni posrednik EU lord Dejvid Oven,
oktobra 1995. godine u TV emisiji BBC, posvecenoj samitu u Dejtonu. On
je tada otvoreno optužio muslimansku vladu za medijske manipulacije i
americku administraciju koja se na odreden nacin protivila okoncanju
bosanskog gradanskog rata.
Manipulacije istinom i organizovani samoterorizam
Po uputama americke propagandne agencije "Ruder i Fin" i drugih za
snažniju kampanju Zapada, Bošnjaci su morali napravili spektakl krvi i
stradanja sunarodnika kako bi stravicne slike izazvale gnušanje zapadne
javnosti. Ubrzo je u Ulici Vase Miskina, u Sarajevu, 27. maja 1992.
ispaljena granata na gradane u redu za hljeb. Ubijeno je 16, a ranjeno
stotinu ljudi. Za zlocin su bez istrage istog dana optuženi Srbi, koji
su, navodno, sa položaja oko Sarajeva ispalili minobacacku granatu.
UNPROFOR je poveo detaljnu istragu.
Generalni sekretar Butros Butros Gali dobio je Izvještaj UNPROFOR o
masakru u Sarajevu, u kojem je navedena odgovornost bošnjackih snaga za
zlocin. Medutim, Izvještaj je namjerno zagubljen do 30. maja 1992.
godine dok nije donijeta Rezolucija 757. o uvodenju sankcija prema SRJ.
Kasnije izvinjenje Butrosa Galija zbog Izvještaja, bez srpske
odgovornosti, nije promijenilo odnos.
Francuski general Pjer Mari Galoa u belgijskom listu "La libr Belžik",
kaže: "Srbima je upucen ultimatum da bi bili kažnjeni za masakr..."
Galoa napominje, da su prije masakra na ljude u redu za hljeb,
muslimanske vlasti zatvorile ulicu sa obje strane, a predstavnike
medija držali spremne da zabilježe krvavi spektakl. Novinarka Monika
Ridler istice da je ovaj efekat podstakao Klintonovu administraciju da
Srbe, kao navodne zlocince, kazni.
Obmana svjetske javnosti, bez presedana, su konc-logori u RS, avgusta
1992. godine koju je pokrenuo americki novinar Roj Gatman iz "Njusdeja"
(za tekstove je dobio Pulicerovu nagradu), a podržala ga engleska
novinarka Peni Maršal iz ITN. Srbi su, nakon posjete medunarodnih
predstavnika pustili nekoliko hiljada zarobljenih bošnjackih vojnika i
zatvorili logore, a niko od medunarodnih predstavnika nije obišao
logore u kojima su bili zatvoreni Srbi.
Na manipulacije ukazuje Žak Merlino, u knjizi "Nisu sve jugoslovenske
istine za kazivanje". On u intervjuu sa Džejmsom Harfom, direktorom
americke agencije "Ruder i fin", to opisuje i citira ga: "Pojavili su
se izrazi etnicko cišcenje i koncentracioni logori i emotivni naboj je
bio tako snažan da mu se niko nije mogao suprostaviti." Upitan, da li
shvata odgovornost za to što radi, Harf je odgovorio: "Da nije placen
da morališe i dodao, ako želite dokazati da su Srbi sirote žrtve, samo
naprijed".
Ubrzo je ulijedila nova velika obmana medunarodne javnosti o masovnom
silovanju žena hrvatske i bošnjacke nacionalnosti, koju je lansirao
americki novinar Štefan Švarc, a zdušno prihvatili mnogi mediji.
Najangažovanija novinarka bila je Aleksandra Štiglmajer, koja je
vjerovatno za takve zasluge bila dugogodišnji portparol Visokog
predstavnika u BiH Volfganga Petrica.
Martin Letmajer u listi "Di Vohe" iz Ciriha, marta 1994. godine istakao
je da je Aleksandru Štiglmajer upoznao u Medugorju. Ona se proslavila
kao autor clanaka o masovnim silovanjima Bošnjakinja. Prvi tekst
Aleksandra je objavila u "Veltvohe" 5. novembra 1992. godine pod
naslovom "Poniženje kao oružje: u Bosni i Hercegovini vrše se
sistematska silovanja kako bi se potkopao moral protivnika - totalna
degradacija žene na nivo robe." Potom je dopunila reportažu u Šternu",
"Cajtu" i "Zi dojce cajtungu", i TV što joj je donijelo popularnost a
broj navodno silovanih popeo na stotinu hiljada. Govoreci o
"silovanjima" njemacki general Mahfred Opel, clan SDP, izjavio je da su
samo tri žene u Njemackoj tvrdile da su silovane a brojka se popela na
150.000. "Medutim - kaže Opel - poslije se utvrdilo da su i te tri žene
koje su davale izjave medijima imale njemacke pasoše prije pocetka rata
u BiH".
Bošnjacka strana je na sarajevskoj pijaci Markale 5. februara 1994.
godine iscenirala ekspoloziju granate. Od njenog dejstva ubijeno je 68,
a ranjeno sto ljudi. Dramaticne scene krvi sa pijace prenijeli su
mediji Zapada, cije su ekipe cekale akciju u susjednim ulicama. Glavni
štab VRS je 7. februara predložio specijalnom izaslaniku GS UN Jasuši
Akašiju da formira zajednicku komisiju i ispita zlocin, tvrdeci da ga
nisu pocinili Srbi. Prijedlog je odbijen. Za masakr su bez ikakve
istrage osudeni Srbi i po odluci komandanta UNPROFOR generala Majkla
Rouza, bombardovani.
Agencija "Frans pres" donijela je 8. februara 1994. godine izjavu
vojnog eksperta UNPROFOR sa istrage, koji potvrduje da Srbi nisu
ispaliti granatu niti je ona došla iz minobacacke cijevi. Izraelska
novinarka Pazita Rabina je u listu "Davar" (16. februara 1994)
prenijela zakljucak izraelskih specijalista za terorizam koji su
istakli da je u pitanju bocna inteligentna mina kakve postavljaju
teroristi "Hezbolah" i mudžahedini iz Afganistana. O planskkom
samoterorizmu bošnjackog rukovodstva nad svojim narodom opširno piše
general Majkl Rouz u knjizi "Misija mira ".
General Majkl Rouz, glavnokomandujuci UN u Bosni 1994. godine, iznio je
u jednom intervjuu, pracenom snimljenim materijalom, svoje vidjenje
rata u BiH . Tu se vidi Haris Silajdzic, pred kamerama CNN-a, kako
optužuje Rouza i Akasija za smrt 70.000 Muslimana u Bihacu, pri
jesenjoj (1944.) kontraofanzivi Srba u tom podrucju. Bosnaska vlada je
kasnije te gubitke smanjila na 14.000 (Rouz) a snage UNPROFOR su
verifikovale samo 1.000 žrtava, uglavnom vojnika. Koliko bi žrtava "
masakra " nad Muslimanima imali danas, da je Bihac tom prilikom pao u
srpske ruke bez prisustva Rouza teško je reci ali bi se približile
cifri na desetine hiljada ?
Na istoj pijaci Markale u Sarajevu ponovljena je eksplozija 28. avgusta
1995. godine nazvana Markale - 2. U eksploziji je poginulo 33, a
ranjeno 84 lica. Ruski istražni timovi iz UNPROFOR koji su obišli
Markale utvrdili su da je medu žrtvama bio jedan broj leševa ranije
poginulih. Medunarodni posmatraci su kasnije potvrdili da su timovi
novinara sa kamerama i fotoaparatima cekali u susjednim ulicama spremni
da zabilježe scene masakra mnogo su prije snimali nego što su stigle
ekipe hitne pomoci. Americki obavještajni potpukovnik Džon E. Šraj kaže
"Srbi nisu krivi za masakr na Markalama u Sarajevu".
Da bi zaustavio bombardovanje R. Srpske pukovnik Andrej Demurenko iz
komande UNPROFOR je 2. septembra 1995. godine na konferenciju za štampu
pojasnio dogadaj i pokazao kopiju izvještaja poslatog UN-u za kojeg je
rekao: "Ovaj izvještaj falsifikuje dogadaj". Odmah poslije masakra
državni sekretar SAD Voren Kristofer izjavio je kako "ima utisak da su
to uradili Srbi", a Madlen Olbrajt, ambasador u UN pravdajuci bošnjacko
rukovodstvo, izjavila je "da ne može, da vjeruje, da neko može gadati
svoj narod". Detaljna istraga UN je za zlocin optužila Bošnjake a Srbi
su opet bombardovani.
Na osnovu izjava bivših komandanata UNPROFOR, Mekenzija, Rouza,
Brikmona i drugih, bošnjacko rukovodstvo organizovano je tokom sukoba u
BiH provodilo samoterorizam nad svojim sunarodnicima, kako bi se
predstavili svijetu kao žrtve. Kako se u Sarajevu vršio samoterorizam
nad civilima piše podoficir kanadske vojske Džejms Dejvis, u knjizi:
"Kanadski vojnik u jugoratu": "Nije pucano sa srpske strane.
Ustanovljeno je da su Bošnjaci gadali svoju decu.. Tog jutra sam lako
mogao da ubijem svakog pripadnika vojske bosanskih muslimana. Ovim
ljudima ništa nije bilo sveto. Ponašali su se kao životinje. To nije
bio poslednji put da su bosanski muslimani pobili svoj narod u dobro
izrežiranim napadima. "
Eksperti UN potvrdili da je pri "bombardovanje" ljudi u redu za hljeb
(27. maja 1992) najveci broj stradalih Srbi i da su zlocin pocinili
muslimanski ekstremisti. Utvrdeno je da su "gadanje" Daglasa Herda,
tokom posjete Sarajevu (17. jula 1992) izvršile muslimanske snage. Za
eksploziju na groblju u Sarajevu (4. avgusta 1992) direkto su, prema
izvještaju UN, odgovorni muslimani. Ubistvo americkog reportera,
producenta ABC televizije, Davida Kaplana, u Sarajevu (13. avgusta
1992) bilo je plod aktivnosti muslimanskih ekstremista. Muslimanske
snage su oborile italijanski vojni transportni avion G. 222 na prilazu
Sarajevu (3. septembra 1992.). U svim slucajevima, prema izvještajima
UN, srpske snage bile su izvan dometa, a oružje upotrebljeno protiv
žrtava, nije bilo ono, koje su tvrdili muslimani.
Poziv na džihad
Prisjetimo se da je nakon poziva na "džihad - sveti rat", od strane
Alije Izetbegovica i donošenja fetve od Reis Ul uleme efendije Mustafe
Cerica prema pisanju turskog lista "Sabah" iz Turske u BiH organizovano
su krenule grupa mudžahedina u "sveti rat", napominjuci da grupe po 30
ratnika stižu preko Ljubljane u BiH. Londonski "Tajms" je 1. avgusta
1992. godine napisao: "Ishitrena islamska solidarnost za bosanske
muslimane, otkriva strateški interes bliskoistocnih zemalja da ostvare
islamsko uporište u novom preuredivanju Evrope…muslimani žele nešto i
za sebe na evropskom kontinentu."
"Javna je tajna - piše indijski list "Hindu", krajem oktobra 1992. - da
se na strani muslimana u BiH bori najmanje 2.000 placenika iz islamskog
svijeta." Ministarstvo unutrašnjih poslova Slovenije, oktobra 1992.
godine tražilo je istragu protiv slovenackog avio-prevoznika
"Adrija-ervejs" koji je prevozio mudžahedine iz arapskih zemalja da se
bore u BiH. A sam Alija Izetbegovic dobio je prestižnu nagradu Fonda
"Kralja Fejsala", za doprinos razvoju islama u Evropi. U javnosti je
precutan boravka brojnih mudžahedina (svetih ratnika džihada cije se
brojke krecu oko 10.000) na prostoru BiH i njihovi zlocini sve do
teroristickog napada u SAD 2001. godine.
Predsjednik Turske Tutgut Ozal pozvao je 3. juna 1992. godine, kako je
prijela AFP, medunarodne institucije da vojnom intervencijom riješe
sukob u BiH: "Turska osjeca moralnu odgovornost za stawe u BiH, jer su
Turci tu vladali 500 godina". Mediji su takode prenijeli prijetnje koje
je Ozal uputio na "Mitingu za Bosnu", 13. februara 1993. godine u
Turskoj, kada je istakao da je vrijeme za obnovu Otomanske imperije od
Kine od Beca.
Prema pisanju saudijskog dnevnika "Okaz", pocetkom juna 1992. godine,
saudijski Kralj Fahd poklonio je osam miliona dolara muslimanima u BiH
"kao pomoc svojoj braci da se spasu žrtve od agresije Srba". Iranski
voda Ali Hamnei pozvao je juna 1992. godine islamski svijet da pokrenu
akciju za odbranu muslimana u BiH. On je optužio evropske zemlje "da
sprecavaju rdanje muslimanske države u samom srcu Evrope", prenijela je
AFP. Ucestvujuci na ministarskom zasjedanju Organizacije islamske
konferencije u Islamabadu, septembra 1994. godine premijer Federacije
BiH Haris Silajdžic je istakao: "Mi imamo ilegalno oružje… Mi ilegalnim
putem unosimo oružje u našu zemlju… Mi proizvodimo oružje… Mi cemo
nabavljati oružje gdje god možemo…" To govori da se ilegalno
naoružavale muslimanske snaga i pored sankcija UN jer su islamske
zemlje slale pomoc radi uspostave zelene transferzale od Male Azije.
Londonski mjesecni casopis "Defence Foreign Affairs-strategic Policy"
usprotivio se manipulacijama medija protiv Srba objavivši fotografije
srpskih žrtava genocida po treci put u 20. vijeku. To su fotografije
odsjecenih glava srpskih boraca na Crnom Vrhu kod Teslica, septembra
1992. koje su mudžahedini iz S. Arabije zvjerski mucili i pobili.
Snimke mudžahedina sa odsjecenim glavama slikali su zlocinci i
distribuisani su preko Pres-centra u Banjaluci, ali ih javnost dugo
nije vidjela . Nakon posjete novinara turskog nedjeljnika "Ikibine
dogru" Banjaluci, list je objavio fotografije i optužio Tursku i Zapad
za manipulacije. List je zamjerio svijetu što sprecava da "srpske žrtve
u BiH", kao "fotografije stoljeca", vidi svjetska javnost.
Manipilisanje svjetskom javnošcu od strane bošnjackih krugova pokazuje
sledeci primjer. Francuski listovi su tokom aprila 1994. godine pisali
o napadu Srba i zlocinima u Goraždu. Takve vijesti podgrijao je
portparol Visokog komesarijata za izbjeglice u Sarajevu Piter Kesler
lansirajuci dezinformaciju o 1970 ranjenih i 700 ubijenih Goraždana,
zahtjevajuci hitnu evakuaciju.
I pored upozorenja VRS da Bošnjaci vrše napade iz Goražda, Jasuši
Akaši, specijalni izaslanik GS OUN, je na prijedlog komandanta
UNPROFOR, generala Majkla Rouza, 11. aprila 1994. godine odobrio
bombardovanje srpskih položaja. Prije odobrenja o bombardovanju
predsjednika Bila Klintona, americki casopis "Njusvik" objavio je
clanak o djecaku iz Goražda koga je ranila srpska granata. Novinar nije
rekao da su snage UN ranije uputile 15 oklopnih vozila radi evakuacije
ugroženih ljudi i ranjenika ali su akciju sprijecili bošnjacki
komandanti zadržavajuci svoje sunarodnike, kao živi štit.
Kad su snage UNPROFOR za evakuaciju stigle na lice mjesta, brojke su
bile minimalne. Piter Kesler je priznao da je nasjeo bošnjackim
izvještajima iz Goražda. Po okoncanju opsade Goražda, britanski general
Majkl Rouz rekao je americkom senatoru Džonu P. Muronu, predsjedniku
Potkomiteta za odbranu Kongresa SAD: "Bosanske žrtve oko Goražda su u
velikoj mjeri preuvelicane i bliže su brojci od 200 nego 2000. kako je
obavještena americka javnost. "
Zašticene zone kao zone priprema borbenih jedinica
Obracajuci se ucesnicima Londonske konferencije, novembra 1994. godine
poslije napada 5. korpusa Armije BiH iz Bihaca na srpske teritorije,
kopredsjednik Medunarodne konferencije za Jugoslaviju Dejvid Oven je
upozorio: "Dosadašnji koncept tzv. zašticenih zona UN u BiH je
neodrživ, a jedini nacin da one opstanu je potpuna demilitarizacija.
Medutim, bošnjacke vlasti nastavile su koristiti zaštitu snaga UN za
pripreme napade iz tih zona."..
I generalni seketar UN Butros Butros Gali priznao je to u izvještaju
30. maja 1995. godine: "U posljednjih nekoliko mjeseci snage bosanskih
muslimana podržane izvana su u velikoj mjeri povecale svoju aktivnost u
i oko bezbjednosnih zona, a mnoge od njih, ukljucujuci Sarajevo, Tuzlu,
Bihac, bile su ukljucene u širu vojnu kampanju na strani bosanske
vlade. Glavni štab i logistika Petog korupsa bosanske armije smješteni
su u gradu Bihacu, a Drugog korupusa u Tuzli... Vlada drži odreden broj
trupa u Srebrenici, Goraždu i Žepi cime je povreden sporazum o
demilitarizaciji, dok je u Sarajevu smještena Vrhovna komanda i druge
ustanove a u Goraždu je i fabrika municije..."
Poznato je da je zbog nezadovoljstva pristrasnim odnosom nekih
medunarodnih krugova komandant UNPROFOR, belgijski general Fransis
Brikmon podnio ostavku januara 1994. godine. Tim povodom Brikmon je za
AFP rekao: "Muslimani koriste zone pod zaštitom UN da bi odatle vršili
napade na srpske položaje… Potpuno je evidentno da se Hrvatska direktno
umiješala u bosanske dogadaje." U izjavi "Dejli Telegrafu", 22. januara
1995. godine britanski general Majkl Rouz je po odlasku sa dužnosti
istakao: "NATO nikada nije ni trebalo da ucestvuje u
bosansko-hercegovackom ratu… Muslimani su pretvorili Bihac u bazu za
ofanzive svojih jedinica."
Realnu procjenu stanja u BiH, dao je Karl G. Jakobsen, profesor Karlton
univerziteta u Kanadi: "Postoji obimna dokumentacija o pristrasnosti u
jugoslovenskoj krizi. Trgovinski embargo protiv Srbije je pravdan
umješanošcu jugoslovenske armije u BiH iako je izvještaj UN potvrdio
njeno povlacenje (izvještaj je objavljen tek nakon donošenja
rezolucije). Stalno prisustvo Hrvatske vojske u Bosni nije izazvalo
nikakve proteste.. Veliki dio te industrije se nalazi i u zonama
bezbjednosti koje su odredile UN, cime se objašnjava cinjenica da je
najveci broj ofanziva bosanskih muslimana pokrenut upravo iz tih zona".
"Vašington post" u tekstu bivšeg državnog sekretara SAD Henri
Kisindžera 11. juna 1996. godine kaže: "Rat u Bosni je nastavak
vjekovnog sukoba muslimanskih zavojevaca sa Srbima i Hrvatima. Tamo
nikada nije postojala bosanska nacija. Tamo ne postoji prepoznatljiva
bosanska kultura i jezik. Administracija Xorxa Buša je strašno
pogriješila što je priznala Bosnu kao suverenu državu. Za razliku od
Slovenije i Hrvatske, Bosna ne ispunjava istorijske kriterijume da bi
se smatrala evropskom nacionalnom državom."
Krajem 1991. godine "Muslimansko nacionalno vijece" završilo je
pripreme za pocetak dejstava za osamostaljenje BiH, a podrucje
Srebrenice je imalo veliki znacaj u povezivanju zelene transverzale sa
Sandžakom i Kosovom. Za rukovodenje aktivnostima musklimanskih snaga u
Srebrenici imenovani su Naser Oric, otpušteni pripadnik MUP Srbije kao
komandant i Zulfo Tursanovic, zatvorenik iz zatvora u Zenici, kao
zamjenik komandanta.
Uslijedili su napadi na Srbe. Najbrutalniji napadi muslimanskih
ekstremista dogodili su se u vrijeme pravoslavnih praznika -
Djurdevdana, Vidovdana, Petrovdana i Božica. Tako su na Djurdevdan, 6.
maja 1992. godine ekstremisti, pod komandom Nasera Orica, napali sela u
srebrenickoj i bratunackoj opštini, spalili i pobili brojne ljude. U
dužem vremenu nagrada u Srebrenici je bila 25 kg brašna za ubijenog
Srbina. Svjedoci govore da su se danima pronosile Srebrenicom 12
odsjecenih glava Srba. Ekspert UN, patolog Zoran Stankovic izjavio je
za "Vecenje novosti" 14. jula 1996. "Mi smo u Podrinju tokom 1993 i
1994. poimenicno indentifikovali 1.000 ubijenih Srba..."A potom je na
istom prostoru do 1995. godine ubijeno je još 500 ljudi i spaljeno više
od 100 sela.
Nakon višemjesecnih zlocina nad srpskim stanovništvom uslijedila je
akcija VRS usmjerena na zaštitu stanovništva. Generalni sekretar UN
Butros Gali, primivši vijest o 500 poklanih bošnjackih žena i djece
izjavio je da ne iskljucuje vojnu intervenciju zatraživši od UNPROFOR-a
da zaštiti Srebrenicu. Francuski general Filip Morion, komandant snaga
UN, odmah se uputio u Cersku kako bi provjerio vijest o masakru nad
Bošnjacima ali tamo nije bilo zlocina. Pariski "Mond" je 1993. godine
objavio tekst: "Ni traga od masakra" - kaže general Filip Morion i
navodi: "Ja sam stari vojnik. Meni je dobro poznat miris smrti, ali ga
ovdje u Cerskoj nisam osjetio. Hvala Bogu, izgleda da nije bilo
nikakvog užasa... Naprotiv, srpske oružane snage su jednu trudnu ženu,
koja nije mogla da napusti selo, prebacile u bolnicu... Možemo da
potvrdimo da nije bilo ni traga o masakru, niti smo naišli na neko
tijelo "..
Uz pritisak medunarodnih krugova poslije tri neuspjela pokušaja, na
sarajevskom aerodromu, 17. aprila 1992. godine sastale su se delegacije
VRS i ABiH u organizaciji UNPROFOR radi rješavanja Srebrenice. Poslije
dugih pregovora postignut je "Sporazum o demilitarizaciji Srebrenice"
koju su potpisali komandant GŠ VRS general-potpukovnik Ratko Mladic i
nacelnik GŠ Armije BiH general Sefer Halilovic uz prisustvo
general-potpukovnika Larsa Erika Valgrena, komandanta UNPROFOR. U 4.
tacki Sporazuma precizno je regulisano: "Demilitarizacija Srebrenice ce
se završiti u roku od 72 casa od dolaska UNPROFOR u Srebrenicu (treba
da stigne 18. aprila do 11 casova). Sve oružje, municija, mine,
eksploziv i borbene zalihe unutar Srebrenice ce biti prikupljeno i
predato UNPROFOR uz nadgledanje po tri oficira sa svake strane. Nakon
završetka procesa demilitarizacije u gradu nece ostati ni jedna
naoružana osoba, ni jedinica, osim snaga UNPROFOR.
Snage UN prihvatile su obavezu demilitarizacije Srebrenice koju je
trebao provesti general Morion za 72 casa, ali to nije ucinjeno. To
znaci da do razoružanja muslimanskih snaga nije došlo. Londonski
"Tajms" 1995. godine potvrduje , da mirovne snage nisu izvršile obaveze
demilitarizacije zbog cega su nastavljene oružane aktivnosti i zlocini
muslimanskih snaga. Obzirom da UNPROFOR nije proveo demilitarizaciju
nastavila je djelovati 28. muslimanska divizija pod komandom Nasera
Orica vršeci napade na srpska sela i zlocine nad civilima. Kroz zatvore
u Srebrenici je tokom 1992. i 1993. godine prošlo više stotina Srba i
vecina se vode nestalim. Kasnije je general Morion u knjizi "Reci
vojnika" napisao: "Naser Oric i njegovi ljudi išli su u seriju krvavih
napada na okolne srpske krajeve. Po njegovom licnom priznanju, Naser
Oric je likvidirao sve zarobljenne jer mu drugacije ne dozvoljavaju
zakoni vjere ."
Srebrenica - stvarnost i manipulacije
Po nalogu vlasti iz Sarajeva, napadi muslimanskih ekstremista iz
zašticene zone Srebrenica nastavljeni su i pored upozorenja GŠ VRS
Komandi UNPROFOR . Njihova žestina došla je do izražaja tokom maja i
juna 1995. godine kada je potpuno spaljeno više sela. Zbog slabog
reagovanja UNPROFOR na zaustavljanju zlocina i sprecavanja operacije 2.
korupsa Armije BiH i 28. divizije na prekidu teritorije RS i zauzumanja
puta Zvornik - Vlasenica, jedinice VRS su jula 1995. godine preduzele
operaciju slamanja 28. divizije.
U vecernjim casovima 10. jula 1995. komandant Glavnog štaba VRS general
Ratko Mladic primio je u hotelu "Fontana" u Bratuncu komandanta
holandskog bataljona UNPROFOR, potpukovnika Tomasa Karamansa, koji je
tražio prekid borbenih dejstava i iznio zahtjev stanovništva, da želi
napustiti Srebrenicu. Sutradan je general Mladic primio delegaciju u
sastavu: Nesib Mandžic u ime civilnih vlasti, Ibro Nuhanovic u ime
vojnih vlasti i Džemilu Komanovic u ime udruženja žena, a razgovorima
su prisustvovali predstavnici UNPROFOR. Na sastanku je dogovoreno da
VRS prekine borbena dejstva i stvori uslove za odlazak stanovništva iz
Srebrenice.
General Mladic je odmah naredio obustavu borbenih dejstava VRS i
obezbjedenje cisterni pitke vode, hljeba i drugih prehrambenih artikala
za potrebe stanovništva. Nakon zbrinjavanja oko 30.000 okupljenih, oni
su autobusima i kamionima prebaceni do linije razgranicenja. Da je
operacija u Srebrenici protekla bez problema, potvrduje zahvalnost VRS
od strane holandskog generala Nikolaja, zamjenika komandanta UNPROFOR,
pri odlasku holandskog bataljona iz BiH, augusta 1995. godine.
Samo par dana kasnije Republicki štab za zdravstvo RBiH je 16. jula
1995. saopštio da je 22..853 prognanika iz Srebrenice prihvaceno na
podrucju tuzlansko-podrinjskog kantona uz napomenu da se par hiljada
ljudi nalazi u probijanju preko srpske teritorije. Gradonacelnik Tuzle
Selim Bešlagic potvrdio je radiju "Vrhbosna", 17. jula 1995. godine da
su na tuzlansko podrucje pristigle izbjeglice iz Srebrenice a oko 6.000
ljudi pobjegli su pred Srbima i uz borbu se probijaju prema Tuzli, dok
se jedna grupa probija ka Žepi.
Novinaru AR (11. jula 1995) portparol UNPROFOR u Sarajevu potpukovnik
Geri Kauard potvrdio je da su muslimanske snage koristile zašticenu
zonu Srebrenica za izvodenje napada na Srbe. Povodom pada Srebrenice na
konferenciji SDA u Zenici, 3. avgusta 1995. godine Ismet Grbo izjavio
je da je 1000 do 1600 Bošnjaka, koji nisu evakuisani, prešlo preko
rijeke Drine u Srbiju gdje ih je prihvatio MKCK.
Komandant Armije BiH general Rasim Delic na zasjedanju Skupštine
Republike BiH, 4. avgusta 1995. godine kaže: "Veci dio jedinice 28.
divizije uspio je izaci sa tih prostora i dio stanovništva. Ovih dana
imacete priliku da vidite postrojenu 28. diviziju, tj. jedinice koje su
izašle sa tih prostora. Prevashodno cemo je upotrijebiti tamo gdje je
najveci stepen motivacije. Slicna stvar je sa pripadnicima jedinice iz
Žepe..." Nešto kasnije, izvršena je smotra 28. divizije u Zenici od
strane generala Rasima Delica i najveci dio njenih pripadnika upucen je
na ratišta.
U Srebrenice je u bazi UNPROFOR, ostalo 59 ranjenika. U Tuzlu je stiglo
87 ranjenika iz Srebrenice, kako je 18. juna 1995. godine saopštio
MKCK. Srbi su odbili evakuaciju 18-orici ljudi iz Bratunca, koji su
zadržani kao ratni zarobljenici, jer su osumnjiceni za ratne zlocine,
saopštio je portparol MKCK u Ženevi Toni Burbener. Pripadnik 28.
divizije Samir Fehtic je napisao: "Nakon pada Srebrenice našao sam se u
zarobljeništvu. Prema nama su se ponašali krajnje korektno i humano.
Jedan dan je licno došao komandant general Mladic i pitao da li nas ko
maltretira, dali nam daju vodu i hranu kao i da svi oni koji nisu
zlocinci i ubice bice pušteni da idu. On je svojim ljudima zabranio da
nas bilo ko maltretira... Nešto kasnije sam pušten i uspio sam da oodem
i spojim se sa svojom porodicom u inostranstvu... "
Predstavnik za štampu UNHCR Soren Peterson (u Ženevi) optužio je 15.
jula 1995. godine bošnjacku vladu u Sarajevu da sprecava pružanje
smještaja izbjeglicama iz Srebrenice u Tuzli i "da svjesno manipuliše
brojem ljudi koji su ostali okruženi, što ga navodi na zakljucak da
vlada u Sarajevu od nastale situacije pokušava da pravi spektakl". MKCK
je saopštio da nema podataka za 5000 ljudi koji nisu evakuisani. Pod
pritiskom mocnih krugova, Savjet bezbjednosti je "Rezolucijom 1010",
10. avgusta 1995. godine optužio Srbe za zlocine u Srebrenici.
Uslijedio je odmah potom odlazak predstavnika MKCK i istraživanje
optužbi. Nakon nekog vremena MKCK je prema podacima 1997. godine
izlistao 3.290 osoba koje vodi nestalim.
Prema izještajima Komande holandskog bataljona UNPROFOR, 10. jula 1995.
godine u srebrenickoj enklavi živjelo je izmedu 30.000 - 40.000 ljudi.
Brojka 50.000 bila je plod manipulacija, da bi se dobila veca
humanitarna pomoc, koju su lokalni muslimanski mocnici prodavali. Da se
manipulisalo brojem ljudi potvrduje zahtjev Prelaznog opštinskog vijeca
Srebrenice (objavila muslimanska sredstva informisanja 16. juna 1995.)
koje od vlade BiH u Sarajevu traži da, preko Komiteta za odnose sa UN
obezbijedi "operaciju padobran" radi snabdijevanja 20.000 ugroženih
stanovnika Srebrenice.
U spiskovima nestalih vodi se 500 ljudi koji su umrli ili poginuli
prije jula 1995. godine. Prema saslušanju 460 holandskih vojnika i
pukovnika Tomasa Karamansa iz UNPROFOR od 25.000 okupljenih u bazi
Potocari upisano je 239 vojnosposobnih muškaraca i 60 onih koji se nisu
htjeli dati podatke jer su došli po pozivu na džihad sa drugih
prostora. U izjavama vojnika nisu pominjani zlocini nad muslimana od
strane VRS. Medutim, po nalogu Komande NATO ministar spoljnih poslova
Holandije Hans van Mirlo zatražio je prepravku izvještaja koji je nakon
intervencije 30. oktobra 1995. godine dostavljen Vladi, što je bilo
suprotno od izjava holandskih vojnika i oficira.
List "Di Velt" 12. jula 1996. godine piše o sukobu vojnog i državnog
vrha Holandije zbog pordške NATO verziji i tvrdnji vojnog rukovodstva
da u Srebrenici nije bilo genocida. "General Kuzi javno se uprostavio
ministru odbrane Vorhuveu tvdrnjom da po padu Srebrenice,
srpsko-bosanske trupe nisu pocinile genocid nad Muslimanima", piše
Velt. Slicno iznosi Ibran Mustafic u "Slobodnoj Bosni" da teza o
požudama srpskih osvajaca za ubijenjem nije razumna, jer su oni cak i
njega aktivistu SDA u enklavi ponovo oslobodili .
U skladu sa zahtjevima mocnih i pritiska javnosti, tužilac Ricard
Golston je Medunarodnom krivicnom tribunalu u Hagu, 14. novembra 1995.
godine proslijedio optužni akt kojim su predsjednik RS Radovan Karadžic
i komandant GŠ VRS general Ratko Mladic optuženi za genocid nad
bošnjackim narodom. Samo dva dana kasnije - 16. novembra 1995. godine
pod krivicnim predmetom (Slucaj br. IT/95-18-1) pokrenut je postupka
kojeg je potpisao predsjedavajuci sudija Fuad Rijad. Zaista cudi da je
sudija Rijad za dva dana uspio prouciti opširnu dokumentaciju i
pokrenuo postupak.
Odgovarajuci na pitanje odgovornost za zlocine u Srebrenici koje mu
pripisuje Haški tribunal, general Ratko Mladic je za beogradski NIN,
15. marta 1996. godine rekao: "Haški sud je formiran da bi se po
njihovim aršinima sudilo meni, politickom rukovodstvu i srpskom narodu,
a ne sudilo onima koji su podešavali bombe pa ih istresali na našu
djecu... Htjeli bi da naše generale vezuju ovdje i vode u Hag, a
njihovi da se šepure po RS i dijele srpskoj djeci "demokratiju"...
Vojska RS nije ucestvovala ni u jednom zlocinu. Rat smo vodili u skladu
sa odredbama medunarodnog ratnog prava. Što se tice Srebrenice bili smo
svjesni mogucih manipulacija zlocinima VRS, pa smo u vozilima imali
vojnike UNPROFOR, kako bi oni mogli da svjedoce o našim postupcima ".
U rješavanje situacije oko Žepe ukljucio se komandant UNPROFOR za BiH
general Rupert Smit, koji je dva dana sa generalom Ratkom Mladicem,
nadgledao odlazak muslimanskog stanovništva i tada odao priznanje VRS
za korektan odnos. Komandi UNPROFOR je receno da u Žepi ima 16.000
stanovnika, a ne 20.000 kako su tvrdilili u Sarajevu, jer se dobijala
veca pomoc UNHCR. Palic je priznao da se hiljadu boraca probilo iz
Srebrenice u Goražde. Iz Žepe je medu zadnjima, izašao Avdo Palic, koji
se nakon telefonskog razgovora sa Alijom Izetbegovicem požalio da mu
prijeti vojnim sudom.
Sud za ratne zlocine pocinjene na tlu bivše Jugoslavije, u javnosti
poznatiji kao Haški tribunal, formiran je na izricit zahtjev SAD,
pritisak islamskih krugova i bošnjacke strane. Pored toga, tajne
optužnice Haškog tribunala nisu izraz demokratije, vec totalitarnih
režima, kakvi su bili obilježje inkvizicije, fašizma, staljinizma i
drugih poznatih u istoriji. Tribunal koristi metode srednjeg vijeka, to
jest, da se osumnjiceni hapse a potom godinama drže bez optužnice kaže
Žerar Bodson u tekstu "Stradanje nevinih" o politickom karakteru Haškog
tribunala. Upravo zbog svega, optužni akt Goldstona i zahtjevi za
hapšenje optuženih za "ratne zlocine" je bez realnih osnova, kaže
Bodson.
Stalni zahtjevi tužilaca Luiz Arbur i Karle del Ponte za hapšenje služe
propagandi, "Tribunal za ratne zlocine u Jugoslaviji, sa sjedništem u
Hagu, nema mnogo veze sa pravom. U stvari, on cak i ne slijedi priznato
medunarodno pravo. Osoblje Tribunala su uglavnom namještenici
Vašingtona i služe kao produžena ruka politike SAD u Evropi", napisao
je Dejvid Binder.
Istražni tim UN koji je obišao Srebrenicu po nalogu Generalnog
sekretara izvjestio je 24. jula 1995. godine da nisu pronašli svjedoke
koji bi potvrdili zlocine. Hjubet Viland, licni izaslanik Visoke
komisije UN za ljudska prava, putovao je sa istražnim timom u
Srebrenicu i Tuzlu gdje je razgovarao sa vecim brojem Bošnjaka u
izbjeglickim logorima i kolektivnim smještajima i pri tom nije pronašao
ni jednog svjedoka koji bi potvrdio pocinjene zlocine.
Kofi Anan, generalni sekretar UN, podnio je 15.novembra 1999. godine
izvještaj o " Padu Srebrenice 1995. ", na osnovu naloga Generalne
skupštine, od decembra 1998. godine. Tu se govori o 33 grobnice, sa
izmedu 80 i 180 tijela, kao i o približno 2.000 ekshuminiranih, od
kojih su oko trecine identifikovani (znaci blizu 700) . Broj "
poginulih " se izjednacava sa brojem " nestalih ", uz argument, da je
sudbina ovih riješena samo u 117 slucajeva. Spisak nestalih menja se u
meduvremenu ne samo po broju vec i po imenima! Bilo je i još ima tu i
ranijih pokojnika ili sa spiska onih koji su Srebrenicu napustili prije
jula 1995. godine cija se brojka krece oko 5.000 stanovnika .
Naser Oric je sa svojim drustvom vršio prepade i iz enklave na okolna
srpska sela. Video-snimke svojih akcija (pljacke, masakre, paljevine,
spaljene kuce, mrtva tijela, odsjecene glave itd.) prikazivao je i
stranim novinarima Istraživaci Honig i Bot pišu o više od 1.300
ubijenih Srba do januara 1993. godine . O njegovim zlocinima svjedoci
general Morijon, predhodnik genala Rouza u Bosni u intervju u NIN-u .
General Hadzihasanovic, bivši nacelnik staba Armije BiH, izjavio je kao
svjedok pred Haskim tribunalom, da je od 5.803 pripadnika 28.
muslimanske divizije, stacionirane u Srebrenici, ubijeno 2.628 njenih
pripadnika u probijanju prema Tuzli . Medutim, evidentno je da
bošnjacki krugovi za javnost imaju neke druge brojke o srebrenickim
žrtvama: 7.618 nestalih i 3.745 poginulih izbeglica, ukupno 11.363
žrtava koje navodi "Špigl". U knjizi" Srebrenica ", Holandjani Honig i
Bot govore o 6.546 nestalih, koji su prijavljenih MKCK.
Na osnovu analiza dogadanja u Srebrenici (jul 1995) proizlazi da iz
obruca srpskih snaga sa civilima nije izašlo 5.000 - 6.000 naoružanih
ljudi. Isti izvori potvrduju da se radi o muslimanskim vojnicima, koji
su odbili predati oružje UNPROFOR-u u Potocarima. Po nalogu lokalnih
komandanata oni su krenuli u proboj prema Tuzli, Kaknju i Goraždu pa su
se nakon proboja, kako je rekao general Delic, ukljucili u borbe na
širem prostoru BiH i mnogi na tim ratištima poginuli a potom dodati na
spiskove pobijenih u Srebrenici. To potvrduje i Sefer Halilovic u
knjizi "Lukava strategija" kaže "da je 28. divizija muslimanske vojske
iz Srebrenice reorganizovana posle povlacenja iz Srebrenice i da je
sastavljena od 6.000 vojnika koji su probili liniju Srba." Znaci da je
dio vojnika 28. divizije prebacen na front Treskavice, Trnova i
Goražda, gdje su vodene borbe u kojima je bilo gubitaka a pridodati
stradalim u Srebrenici.
Velika je nepoznanica planski odlazak Nasera Orica sa grupom saradanika
i specijalaca u Tuzlu pred operaciju VRS na Srebrenicu. Uz to, ucestale
su izjave analiticara da je masakr nad Srebrenicanima proveden po
nalogu i instrukcijama stranih obavještajnih službi i odobrenje
bošnjackih vlasti u Sarajevu da se desi masakr nad sunarodnicima. Mnogo
otkriva pismo Nasera Orica upuceno Izetbegovicu: "Nisam se slagao sa
vašom odlukom o predaji Srebrenice koju ste dogovorili sa rancuzima, a
pogotovo ne sa kasnijim dogadajima u njohj, uz toliko žrtvovanje
civila, bez obzira na efekat."
Ibran Mustafic, funkcioner SAD i još nekih ljudi iz Srebrenice u izjavi
za "Ljiljan" istice da je bilo masovnih sukoba i likvidacija medu
muslimanskim grupama, prvenstveno onih koji su se htjeli predati VRS i
onih koji su to zabranjivali i orucano sprecavali. To potvrduje i
Komanda UNPROFOR iz Srebrenice. Upravo zbog neslaganja sa ekstremistima
likvidiran je i predsjednik SDA Azem Bajramovic, kako bi se ucutkao
svjedok, napisao je "Ljiljan".
Izjave predstavnika MKCK i OEBS da su se mnogi vodeni kao nestali iz
Srebrenice javili porodicama i glasali na izborima 1996. i 1998. godine
demantuje bošnjacke brojke. Po saopštenju MUP Srbije u Užicu je 17.
decembra 1995. godine u prisustvu medunarodnih predstavnika
organizovana deportacija 1.000 srebrenickih muslimana, koji su izbjegli
na prostor Srbije iz Srebrenice. Svi oni su odbili povratak u BiH pa su
dobili azil prekookeanskih zemalja pa nije iskljuceno da se i oni vode
medu nestalim?
Holandski Institut za ratnu domumentaciju (NIOD) sacinio je, na zahtjev
Vlade Holandije, Izvještaj o okolnostima koje su dovele do zauzmimanja
zašticene zone UN Srebrenica, pod kontrolom holandskog bataljona
UNPROFOR. Izvještaj se nakon petogodišnjeg istraživanja Instituta
pojavio u javnosti 10. avgusta 2002. i jasno pocrtava da nema dokaza da
su naredbe za pokolj stigle iz Srbije od politickih celnika, niti da je
bilo ranijeg planiranja masakra nad Bošnjacima u Srebrenici. Izvještaj
pokazuje da nisu nadeni dokazi o planiranju i organizovanju genocida sa
kojim se manipuliše. Izvještaj ukazuje da je oko Srebrenice bilo
zlocina, ali su oni pojedinacni i proizvod djelovanja pojedinih grupa a
to se ne može kvalifikovati kao genocid.
Grupa analiticara smatra da je slucaj Srebrenice namjerno podignut na
nivo masovnog zlocina kojeg su pocinili Srbi kako bi se izazvalo
gnušanje javnosti i rat privodio kraju. Srebrenica je za vodenja
zajednicke operacije vojnih snaga protiv RSK i RS. U Splitu je 22. jula
1999. godine tim povodom potpisan Sporazum o upucivanju hitne vojne i
druge pomoci BiH u odbrani od srpskih napada. U skladu sa dogovorima
Snage za brza dejstva NATO pod komandom generala Majkla Džeksona
ukljucile su se u akcije.
U knjizi "Ratni zlocini", njemackog istraživaca i analiticara Jirgena
Elznera potvrduje se manipulisanje brojem žrtava u Srebrenici. On
podsjeca da je do 2002. godine u Podrinju iskopano 1883 leša od kojih
je samo 172 poimenicno indentifikovano. Može se desiti da su to i
srpske žrtve. On podjeca da brojka 4.600 neidentifikovanih u Tuzli ne
može govoriti kao žrtvama Srebrenice vec šireg podrucja: "Broj
muslimanskih žrtava se inflatorno povecava i treba ostaviti vremenu i
strucnim ekipama da to utvrde ."
Slucaj Srebrenica treba cjelovito istražiti i skinuti anatemu
odgovornosti sa Srba za genocid. Nesporno je da su se u Srebrenici
dogodili zlocini i da pocinioce treba privesti pravdi. Medutim, u
Srebrenici nije bilo genocida, što je dokazao i Institut za ratnu
dokumentaciju Holandije navodeci da u vrhu politike i vojske RS nije
bilo planiranja zlocina a navjeci broj stradalih bili su pripadnici 28.
muslimanske divizije u toku proboja . U svakom slucaju bošnjackim
krugovima i dalje odgovara pozicija žrtve jer se time lakše ostvaruju
ciljeve unitarizaciji BiH u kojoj ce imati dominantu ulogu.
Uranio impoverito: animali con otto zampe
1. Bullets with depleted uranium discovered near Vranje (Beta 10/8/2004)
2. "...i smatra da je uništenje strateških nalazišta, pre svega, izvora
vode bio osnovni motiv NATO alijanse da upotrebi municiju sa
osiromašenim uranijumom..." / CONTAMINAZIONE DA U238 NELLE ACQUE DELLA
SERBIA MERIDIONALE: UNA PRECISA STRATEGIA DELLA NATO
3. Uranio impoverito: animali con otto zampe
(Blic News / Slađana Arsić / Osservatorio Balcani)
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http://groups.yahoo.com/group/decani/message/83259
http://www.mfa.gov.yu/Bilteni/Engleski/bVesti_e.html
SERBIA AND MONTENEGRO
MINISTRY OF FOREIGN AFFAIRS
BELGRADE, August 10, 2004
BULLETS WITH DEPLETED URANIUM DISCOVERED NEAR VRANJE
VRANJE, Aug 9 (Beta)-Serbia-Montenegro Army teams for antinuclear,
biological, and chemical operations and an expert team of the Vinca
Nuclear Institute, which is working on the decontamination of
Pljackovica Hill, near Vranje (southern Serbia), have discovered
bullets with depleted uranium. This discovery has confirmed the
findings of the U.N. Environmental Protection Mission that munitions
with depleted uranium had been discharged on Pljackovica Hill during
the NATO air strikes against Yugoslavia in 1999, which NATO has been
denying in its reports.
The decontamination is being performed on 30 acres around a destroyed
transmitter, and should be finalized by the winter. Another three
locations in southern Serbia are contaminated with depleted uranium,
two near the village of Borovac in Bujanovac municipality and one near
Reljane, in the municipality of Presevo.
=== 2 ===
http://www.nin.co.yu/index.php?s=free&a=2799&rid=4&id=2501
> Dejan Dimov, ekolog, primecuje da se uranijumske tacke na zapadnom
> Kosmetu i jugu Srbije poklapaju sa izvorištima vode i smatra da je
> uništenje strateških nalazišta, pre svega, izvora vode bio osnovni
> motiv NATO alijanse da upotrebi municiju sa osiromašenim uranijumom. I
> doktor Radomir Kovacevic, nacelnik sektora za radiološku zaštitu pri
> Institutu za medicinu rada, smatra da uranijumski meci nisu korišceni
> samo u svrhu razbijanja oklopa tenkova i drugih tvrdih materijala. U
> komandnoj strukturi NATO alijanse na trecoj poziciji se nalazi ekolog.
> I oni dobro znaju zašto su gadali te lokacije. Na jugu Srbije nisu
> postojali nikakvi vojni ciljevi. Verujem da je motiv bio da se rasele
> srpska sela i da se dobije etnicki cista teritorija. Jer, recimo, u
> selu Borovac više od 200 kuca se vodom snabdeva iz jednog bunara. A
> prema podacima koje imam, taj bunar je kontaminiran. Slicni su podaci
> i za sela Reljan i Bratoselce.
L'ecologo Dejan Dimov fa notare che i "punti ad uranionel Kosmet
occidentale e nel sud di Serbia, coincidono con le sorgenti d'acqua
potabile, ed e' opinione che la distruzione delle risorse strategiche -
quali, prima di tutte altre, sono rappresentate d'acqua - è stato il
motivo principale della alleanza NATO ad utilizzare munizioni con
uranio impoverito. Anche il dr. Radomir Kovacevic, responsabile del
settore per la protezione radiologica presso l'Istituto per la medicina
del lavoro, afferma che le pallottole ad uranio impoverito non erano
soltanto utilizzate per la penetrazione delle corazze di carri armati
ed altri materiali duri. "Nella struttura di comando dell'alleanza
NATO, la figura professionale dell'ecologo si trova al terzo posto nel
rango. Loro sanno benissimo i loro motivi per i quali abbiano preso di
mira tali luoghi. Nel sud della Serbia non c'erano obiettivi militari.
Credo che il motivo fosse di spopolare i villaggi serbi ed ottenere
territori etnicamente puliti. Per esempio, nel villagio di Borovac, più
di 200 famiglie si riforniscono con l'acqua da un unico pozzo. Mentre,
secondo i miei dati, questo pozzo è contaminato. Dati simili esistono
per i villaggi di Reljan e Bratoselce."
(trad, a cura di DK, revisione a cura di AM)
=== 3 ===
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=3190
Uranio impoverito: animali con otto zampe
L’effetto dell’uranio impoverito si sente per decenni. Un articolo del
settimanale belgradese Blic News parla di animali deformi, aumenti di
malattie, aborti e sterilità. Nostra traduzione
(21/06/2004)
Di Slađana Arsić, pubblicato sul settimanale belgradese “Blic News”,
1 giugno 2004 (titolo nostro)
Traduzione di Nicole Corritore
I banchi degli abitanti di Bratoselce e di Borovac nei giorni di
mercato di Bujanovac vengono regolarmente evitati. Non riescono a
vendere i propri prodotti agricoli, uova, carne e formaggio, anche se
li offrono a prezzi più bassi del normale. Questa disponibilità del
mercato dura già da cinque anni, ma i clienti rifuggono dal mettere a
tavola dei generi alimentari per i quali esiste la possibilità che
siano “arricchiti” con uranio impoverito. Non lontano da Borovac si
trovano due siti dove è registrata la presenza di proiettili all’uranio
impoverito, ed ancora uno vicino a Bratoselce.
Ed esistono ragioni per queste precauzioni. Dagli abitanti intorno ai
villaggi veniamo a sapere che già durante i bombardamenti erano apparse
delle ferite sulle zampe e sul muso degli animali che pascolavano in
questi luoghi. Dopo uno-due anni, al bestiame hanno cominciato ad
apparire con frequenza delle malformazioni genetiche: a Reljan è nato
un agnello senza occhi, a Borovac un capretto con quattro, anziché due,
unghie ad una zampa.
I lavoratori del centro veterinario di Preševo rilevano l’aumento
del numero di aborti nel bestiame, l’aumento della sterilità degli
animali domestici, soprattutto delle vacche, e si è manifestato un
aumento dei casi di anemia acuta. La situazione è simile nella
municipalità di Bujanovac.
“Nel villaggio albanese Norce, due anni fa ho operato una pecora che
con un parto cesareo ha partorito un agnello con otto zampe e due paia
di orecchie. Nello stesso villaggio è nato un vitello con due teste.
Siamo testimoni di tutto questo e possediamo la documentazione
fotografica, proprio perché in questo tipo di parti emergono sempre dei
problemi e i locali ci chiamano”, dice Dragan Nedeljković, del centro
veterinario di Preševo.
Nell’arco dei primi quattro anni, la misurazione della radioattività
nei luoghi bombardati con proiettili all’uranio impoverito era compito
di numerosi team internazionali i quali visitavano questa regione e
raccoglievano campioni di materiale organico e inorganico da
analizzare, ma la municipalità di Bujanovac e i suoi cittadini a
rischio non hanno mai ricevuto alcuna informazione.
Non lontano dal villaggio di Borovac si trovano due luoghi bombardati
con proiettili all’uranio impoverito. E’ stata eretta una recinzione di
filo spinato, e da più di cinque anni questa è l’unica protezione dalle
radiazioni. Le aree contaminate, e per le quali si sa essere state
colpite con più di 300 proiettili all’uranio, si trovano ad un
centinaio di metri dalle prime case di Borovac, e proprio da una di
esse proviene l’acqua per l’acquedotto del villaggio. Gli abitanti
sanno che è pericoloso, ma non hanno dove andare. Si sospetta che sul
Pljačkovici, il monte dietro a Vranje, vi sia anche lì un’importante
quantità di proiettili all’uranio. Non si sa nemmeno
approssimativamente quanti, perché la NATO non ammette che in quella
località abbia utilizzato proiettili all’uranio impoverito. Il sospetto
che ci sia dell’uranio impoverito esattamente a sette chilometri da
Vranje è stato confermato dal rapporto dell’UNEP a seguito della visita
sul luogo.
Il più alto pericolo legato all’uranio impoverito è legato al suo
ingresso nella catena alimentare. Per questo serve del tempo. L’aumento
dei casi di anemia, sterilità e malformazioni per ora non si
riscontrano negli uomini. Presso l’Ufficio di tutela della salute di
Vranje per ora non hanno trovato tracce di uranio nei campioni di
acqua, come anche di latte, carne e uova di quest’area. Ma non è detto
che emergano più in là nel tempo.
“In base alle nostre informazioni, tra gli abitanti di quest’area, ma
nemmeno dell’area di Pčinj, non vi è un aumento dei casi e di morti per
malattie tumorali” asserisce Svetlana Stojanović, la responsabile del
Servizio di medicina sociale dell’Ufficio di tutela della salute di
Vranje. Per quest’anno è prevista la bonifica di uno solo di questi
siti, ma non si sa né come né quando verrà concluso. Anche negli anni
passati gli organi competenti avevano comunicato che entro il 2003 si
sarebbe conclusa la decontaminazione di tutte le aree del sud della
Serbia, fatto non avvenuto per diversi motivi. Finora hanno sempre più
spesso ricordato: “non ci sono soldi nel budget”, dopodiché il famoso
“passaggio di competenze dal livello federale a livello della
repubblica” al quale fa seguito “non abbiamo abbastanza uomini esperti”
e “è necessaria un’attività diplomatica per definire con certezza dove
e quanti proiettili all’uranio impoverito ci sono”.
Un membro del team di bonifica del terreno dall’uranio impoverito,
Jagoš Raičević, direttore del Laboratorio per la tutela dell’Istituto
Vinča, dice che l’uranio impoverito è un prodotto della tecnologia e
quindi molto più pericoloso dell’uranio. Ossida, è idrosolubile, e
sicuramente non si doveva permettere che passassero degli anni prima di
fare seri preparativi per la sua rimozione dal terreno. “Ogni anno sarà
sempre più difficile trovare e rimuovere l’uranio impoverito dal
terreno” ammonisce Raičević.
Vedi anche:
- Morire di Zastava
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=3068
- Ancora veleno radioattivo nel distretto di Pcinj
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=2658
- Uranio impoverito alla ribalta della RAI
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=2656
- Sindrome dei Balcani? Accordo governo - regioni per il monitoraggio
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=1698
- Uranio impoverito in BiH
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=1501
- Sud Serbia: radiazioni nell’aria
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=806
- Le Nazioni Unite trovano tracce di uranio impoverito in FRY
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=708
- Uranio impoverito: tra silenzi, morti sospette e nuove ricerche
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=225
- La realtà delle armi all'uranio impoverito
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view2&NewsID=695
- Montenegro: la bonifica di Punta Arza, contaminata dall’uranio
impoverito
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=956
» Fonte: © Osservatorio sui Balcani
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=3319
Mostar oltre il Ponte
La guerra, e la distruzione di Mostar, non sono state causate dalla
follia etnica ma dal tentativo di costruire un nuovo sistema socio
economico. La inaugurazione del Ponte, e la giornata dell'acqua, sono
state occasioni mancate, genericamente buoniste
(20/08/2004) di Claudio BAZZOCCHI
Vorrei cercare di descrivere il mio stato d’animo rispetto a quanto è
stato scritto sui principali quotidiani italiani e sulle pagine
dell’Osservatorio Balcani a commento dell’inaugurazione di Stari Most,
il famoso ponte di Mostar appena ricostruito.
In generale non mi sono piaciuti i vari commenti, troppo improntati ad
una sorta di sentimentalismo buonista che ancora fa leva sulle
differenze etniche e culturali. A Mostar la guerra è finita da dieci
anni e grazie a quella guerra si sono instaurate classi dirigenti che
hanno costruito nuove statualità e nuovi sistemi socio-economici, che
meriterebbero un’analisi più attenta con strumenti diversi da quelli
dell’antropologia culturale, peraltro usati con grande disinvoltura
come spesso capita ai giornalisti o agli attivisti pacifisti in gita
sui luoghi che sono stati attraversati dalla guerra.
Chi scrive ha vissuto e lavorato per quasi tre anni a Mostar, prima
impegnato nei convogli umanitari dall’Italia durante la guerra (l’anno
terribile maggio 1993 – maggio 1994) e poi stabile responsabile di una
grande ONG italiana. Sono quindi in grado di capire i sentimenti di
quanti si sono ritrovati di fronte al Vecchio di Mostar che di nuovo
solca le due rive di Neretva. Anch’io andrò quanto prima a vederlo,
accompagnato da qualche amico mostarino, e probabilmente mi commuoverò,
ma proprio in virtù di quel sentimento non mi accontenterò di qualche
generica battuta ad effetto sull’”incontro fra Oriente e Occidente” o
sulla “follia della guerra etnica”. Insomma, proprio per amore di
quella città io voglio sapere chi comanda oggi a Mostar, quali famiglie
detengono la ricchezza di quella città, quali sono gli intrecci fra
mafia e politica, come si strutturano le relazioni clientelari fra
élites di governo e popolazione, qual è la condizione sociale delle
classi disagiate, che influenza hanno avuto le politiche di
ricostruzione della comunità internazionale sul tessuto sociale ed
economico della città. Credo che siano queste le domande da farsi a
proposito di Mostar, a dieci anni dalla fine della guerra e in
occasione della ricostruzione del suo simbolo. Mi pare allora che le
celebrazioni per l’inaugurazione di Stari Mostar abbiano rappresentato
un’occasione sostanzialmente mancata.
A quelle domande cerco di rispondere da alcuni anni con il mio lavoro
di ricerca e non e questa l’occasione per riprenderle. Vorrei però
sottolineare come ancora oggi si parli della guerra nei Balcani in
termini di scontro tra differenze culturali e religiose, con i toni
della pietà sentimentale fatta di donne che piangono intonando le
sevdalinke tradizionali e con lo stupore a buon mercato
dell’antropologo alle prime armi che si accontenta del poco di esotico
che offrono i Balcani non potendo andare più lontano.
Ha scritto recentemente l’antropologo Marco Aime, in un bel libro
uscito da poco, che
leggere in termini etnici o razziali quelli che talvolta si rivelano
conflitti sociali significa ancora una volta spostare sul piano
culturale il dibattito, evitando di affrontare le radici
socio-economiche. Etnicizzando gruppi o rapporti sociali, si tende in
realtà a mascherare la loro posizione subordinata o marginalizzata in
rapporto alla società globale e, allo stesso tempo, a cancellare le
differenze interne dei gruppi etnicizzati in termini di classe, risorse
e potere.
[...] La competizione per le risorse dà vita a modelli di
organizzazione informale che esprimono, dietro a una veste etnica, le
istanze di un gruppo di interesse. In molti paesi il declino economico
e la conseguente perdita di posti di lavoro ha causato l’indebolimento
dei soggetti politici che tradizionalmente rappresentavano i
lavoratori, e il malcontento di questi ultimi è stato frequentemente
catalizzato da movimenti politici che alla solidarietà di classe ha
sostituito una solidarietà che potremmo definire etnica .
Ho già avuto modo di dire altrove che Le nuove guerre, così come le
abbiamo conosciute nei Balcani, sono conflitti per la costruzione di
nuove forme statuali e di nuovi sistemi politici, in cui cambia il
rapporto fra cittadini e potere, non più mediato dalle regole dello
stato di diritto e dalle garanzie sociali del welfare, ma
dall'appartenenza etno-nazionale e dal paternalismo autoritario delle
élites nazionalistiche, in un quadro economico di creazione della
ricchezza tramite l'instabilità diffusa e grazie a network
affaristico-mafiosi che controllano il commercio transfrontaliero.
Queste guerre non possono così essere considerate né il prodotto di odi
secolari, né il risultato dell'avidità di pochi e corrotti leader
politici. Si ritiene qui che i conflitti delle nuove guerre creino
infatti stati che non possono essere definiti weak o failed in senso
tradizionale, ma adattamenti flessibili e di lungo periodo alla
globalizzazione.
Mi viene allora da chiedere che c’entra in tutto questo un convegno
sull’acqua promosso dal Contratto Mondiale sull’acqua e da varie altre
organizzazioni pacifiste italiane, per celebrare la ricostruzione del
ponte, a cui è intervenuto anche il famoso scrittore bosniaco Predrag
Matvejevic. Pare che il movimento no-global soffra di strabismo e non
riesca mai a confrontarsi con l’analisi socio-economica territorio per
territorio e sappia invece enunciare grandi proclami generici, in
questo caso sull’acqua come bene comune da non privatizzare. Grazie!
E della condizione sociale delle famiglie di Mostar, del capitale
straniero che fra produrre semilavorati agli operai mostarini pagando
loro stipendi da sfruttamento, degli interessi affaristici che tengono
la città soffocata da una cappa di controllo politico-mafioso quando ne
vogliamo parlare?
Voglio allora rivolgermi – per concludere – a Predrag Matvejevic,
grande intellettuale e figlio famoso di Mostar. Caro Matvejevic,
l’acqua e i grandi temi no-global sono oggi certo di moda, ma quando i
tuoi concittadini potranno vederti denunciare le famiglie mafiose che
si sono spartite la città con l’inganno della guerra etnica? Quando
assieme agli altri intellettuali mostarini democratici e alle forze
sindacali e politiche disponibili vorrai denunciare le spaventose
condizioni sociali dei quartieri poveri della tua città?
Ragionar di fiumi e di ponti e di luoghi dove si incontrano Oriente e
Occidente rappresenta certo uno straordinario contributo alla
ricostruzione di una forte identità civile e non etnica. C’è bisogno
però, caro Predrag, di uomini e donne in carne ed ossa che possano
indossare quell’identità, c’è bisogno del popolo di Mostar, a partire
dagli ultimi, ancora sfruttati e indifesi.
» Fonte: © Osservatorio sui Balcani
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=3312
Croazia: monumento a criminale ustascia
Era un criminale di guerra. Ora i cittadini di Sveti Rok, insieme ad
esponenti della diaspora croata, gli hanno dedicato un monumento.
Chiesa e Governo mantengono una posizione ambigua. Presto un monumento
anche ad Ante Pavelić?
(17/08/2004) Da Osijek, scrive Drago HEDL
Mile Budak, importante esponente del regime filo nazista ustascia in
Croazia, già condannato per crimini di guerra, avrà il suo monumento
nel piccolo villaggio di Sveti Rok, vicino a Gospić, circa 150 km a sud
di Zagabria. Budak era uno dei più stretti collaboratori di Ante
Pavelić, il fondatore del cosiddetto Stato Indipendente di Croazia
(NDH), uno stato fantoccio (1941-1945) nel quale vennero commessi gravi
crimini di guerra contro Serbi, Ebrei, Rom e altri non-Croati. Il
governo Pavelić aveva scelto Budak come proprio Ministro della Cultura
e della Religione. Budak è ricordato per le leggi razziali e per il
modello di “soluzione per il problema serbo in Croazia”, secondo il
quale un terzo dei Serbi avrebbero dovuto essere uccisi, un terzo
deportati e un terzo convertiti al Cattolicesimo. Alla fine della
seconda guerra mondiale, Budak fu condannato a morte e giustiziato.
Ora, circa 60 anni più tardi, alcuni emigranti Croati in Canada,
Australia e Stati Uniti, insieme ad alcuni cittadini di Sveti Rok,
hanno deciso di erigere un monumento per celebrare Mile Budak. Per la
verità, affermano di costruire il monumento per i suoi meriti
letterari, e non per le sue gesta di criminale di guerra e di
prominente funzionario del tristemente noto regime ustascia. La
questione è divenuta uno scandalo politico di prim’ordine mettendo il
governo del Primo Ministro Ivo Sanader in una posizione difficile.
Sanader sta cercando di portare la Croazia nell’Unione Europea e di
imprimere nel resto del mondo una immagine positiva del Paese.
Il monumento a Budak sta ora danneggiando seriamente questa immagine
e arriva in un momento molto delicato, quando la Croazia sta già
affrontando le reazioni negative della comunità internazionale per
l’accoglienza euforica riservata al generale Tihomir Blaškić,
recentemente scarcerato dal Tribunale dell’Aja. Al suo ritorno
dall’Aja, dopo che la sentenza originaria a 45 anni era stata ridotta a
9 anni, Blaškić è stato accolto in Croazia in pompa magna come se fosse
stato un eroe nazionale, nonostante il Tribunale Internazionale lo
avesse condannato per crimini di guerra.
Il governo di Zagabria dovrà ora affrontare dei grossi problemi a
causa del monumento a Mile Budak. A causa della propria riluttanza nel
promulgare una legge formale che impedisca la celebrazione del
movimento nazista, Zagabria si trova ora in una posizione nella quale
non può fare praticamente nulla. La costruzione di un monumento è di
responsabilità esclusiva delle autorità locali, mentre le autorità
centrali non hanno alcuna possibilità di fermare tali azioni. Una
situazione simile si era verificata 4 anni fa, quando a Slunj,
cittadina a circa 100 km a sud di Zagabria, era stato eretto un
monumento al criminale ustascia Jure Francetić. Nonostante le forti
reazioni da parte dell’opinione pubblica, dei media e delle
organizzazioni per il mantenimento della pace, il monumento è ancora
lì, a Slunj, così come molte strade oggi nelle città croate portano il
nome di Mile Budak. Il governo non può fare nulla per prevenire tutto
ciò, dato che in Croazia attualmente non esistono leggi che affrontino
la questione.
Tutta la storia della edificazione di un monumento a Budak è ancora
più imbarazzante per la Croazia, dato che il monumento sarà posto sulle
mura della chiesa cattolica di Sveti Rok, e la decisione di metterlo lì
è stata presa con il consenso del comitato ecclesiastico locale. Il
fatto che il governo Sanader sia particolarmente attento a mantenere
buoni rapporti con la Chiesa ha come conseguenza un comportamento
ambiguo da parte del governo. Quando all’inizio di agosto lo scandalo è
venuto alla luce sulle prime pagine dei giornali, provocando la
indignazione di gran parte dell’opinione pubblica, il governo ha
cercato di rispondere in modo tale da poter compiacere sia gli
oppositori che i fautori del monumento.
Inizialmente, il vice Premier e più stretto collaboratore del Primo
Ministro Sanader, Andrija Hebrang, ha dichiarato: “Per quanto riguarda
Mile Budak, conosco la storia della sua vita e so quante cose buone ha
fatto.”
In un secondo momento, il vice presidente del Parlamento, Darko
Milinović, ha condannato la edificazione di un monumento a Budak: “La
nazione croata ha dovuto portare troppo a lungo il peso delle colpe
della NDH (lo Stato ustascia, ndt). Se Budak fosse stato semplicemente
uno scrittore croato, nessuno in questo Paese avrebbe il diritto di
dire alcunché rispetto alla costruzione del monumento. Tuttavia, Budak
è stato anche un Ministro nel governo della NDH.”
Condannando indirettamente il passato nazista di Budak, il vescovo
Mile Begović è riuscito anche a trovare parole per difenderlo: “Non
siamo un Paese così ricco da poterci permettere di buttar via l’opera
letteraria di Budak”, sostenendo praticamente in questo modo l’idea di
edificare un monumento a “Budak lo scrittore”.
“Se le autorità locali vogliono costruire un monumento ad un proprio
concittadino, evidentemente lo considerano come una persona importante.
Ogni luogo ha il diritto di decidere autonomamente. Noi rispettiamo le
decisioni di tutte le autorità locali e crediamo che ogni uomo che
abbia lasciato una traccia importante nella storia debba essere
giudicato dalla storia”, ha dichiarato il portavoce della Conferenza
Episcopale Croata, Antun Šuljić, commentando la iniziativa di erigere
un monumento a Budak.
Ivan Savić, il funzionario ecclesiastico in carica a Sveti Rok fino
all’anno scorso che, insieme al consiglio della chiesa locale, ha
approvato la costruzione di un monumento vicino alla chiesa, non la
considera una questione controversa: “Mile Budak dovrebbe essere
considerato un patriota e un grande scrittore, nato a Sveti Rok. I
cittadini hanno il diritto di serbare un buon ricordo di un eccezionale
scrittore, e di erigere a lui un monumento per i suoi meriti.”
Žarko Puhovski, professore di filosofia all’Università di Zagabria e
presidente della sezione croata del Comitato Helsinki per i diritti
dell’uomo, ha affermato invece che Budak è solamente uno scrittore di
terza categoria, che sfortunatamente è molto più noto come criminale.
“L’opera letteraria di Budak è solo una scusa per quelli che vogliono
fargli il monumento. E’ una disgrazia che anche la Chiesa Cattolica sia
coinvolta in questa azione vergognosa, che dimostra meglio di un lungo
discorso la triste posizione che [questa istituzione, ndt] attualmente
mantiene in Croazia”, ha dichiarato Puhovski.
Insieme ad altri intellettuali indipendenti della Croazia, Puhovski
sostiene la necessità di una risoluta azione di tipo pubblico. Intanto,
afferma Puhovski, si potrebbe pubblicare un pamphlet da distribuire ai
turisti stranieri per avvisarli di evitare posti come Sveti Rok e
Slunj, che celebrano criminali croati. Entrambe queste località sono
situate su importanti autostrade che collegano la parte occidentale
della Croazia con il mare, e sono sulla strada comunemente utilizzata
dai molti turisti che visitano la costa adriatica della Croazia in
estate.
L’unica vera soluzione, tuttavia, sarebbe quella di proibire per
legge la celebrazione dei criminali nazisti. Attualmente non ci sono
tali leggi in Croazia, ed è solo una questione di tempo prima che anche
Ante Pavelić, le cui immagini vengono vendute senza alcun ostacolo,
abbia il proprio monumento in Croazia.
Vedi anche: Croazia: offensiva dell'estrema destra
http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.view1&NewsID=3296
» Fonte: da Osijek, Drago Hedl © Osservatorio
sui Balcani
---
Vedi anche:
Croazia: minacce neonaziste
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3692
Croazia: impunita' garantita per i criminali di guerra
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3694
Operaio di Bosnia-Erzegovina dichiara di non riconoscere l'attuale
ordinamento politico determinatosi nei Balcani attraverso la guerra
fratricida ed imperialista, e di voler ricostituire la Repubblica
Federativa Socialista di Jugoslavia ]
http://komunist.free.fr/arhiva/jun2004/rkp-bih.html
Arhiva : : Jun 2004.
O ujedinjenju jugoslovenskih naroda i republika
Radničko-komunistička partija Bosne i Hercegovine poziva komunističke i
druge partije jugoslovenske orijentacije da podrže izjavu Komunističke
partije Slovenije [ gledaj:
http://komunist.free.fr/arhiva/jun2004/kps.html ] o potrebi
nepriznavanja razbijanja SFRJ i o potrebi njene obnove! Za zajedničku
izjavu partija o potrebi obnove SFRJ!
Poslednjih godina se mnogo priča o evropskim integracijama. Svi žure da
se priključe Evropskoj Uniji, ne bi li od toga vidjeli neke koristi.
Evropske integracije će biti od koristi za bogate evropske države i
vladajuću klasu siromašnih zemalja Istočne i Centralne Evrope i
Balkana. Obični građani od toga neće imati nikakve koristi. Mnogi to
znaju, zato i izražavaju negativan stav prema Evropskoj Uniji.
Poslednja anketa u Hrvatskoj to najbolje potvrđuje. Slično je i u Bosni
i Hercegovini. Kako će se priključenje Uniji odigrati na nedemokratski
način, nezavisno od stvarne volje građana, ankete i rezultati glasanja
nisu ni važni vladajućoj klasi. Neka se za Uniju opredijeli svaki
deseti građanin, integracija će biti ostvarena.
Ali, ako se može govoriti o ovoj integraciji, koja ne odgovara nikome
osim maloj grupi pripadnika vladajuće klase, postoji jedna integracija
o kojoj nije poželjno govoriti, koju zvanični krugovi nikako ne žele, a
mediji i stranački lideri smatraju prevaziđenom i nemogućom. To je
integracija jugoslovenskih republika i naroda. Izjasnite se kao
Jugosloven, recite da se zalažete za obnovu Jugoslavije, pa ćete biti
izloženi lavini podsmijeha. Nakon građanskog rata i neslavnog sloma
druge Jugoslavije, reći će, niko više ne želi obnovu "bivše zajedničke
domovine". Da je tako, moramo sumnjati. Brojne ankete vršene u svim
jugoslovenskim republikama tokom nekoliko poslednjih godina pokazuju da
se građani novih država sa nostalgijom sjećaju bivšeg sistema i
zajedničke države. Dakako, to ne znači da su spremni podržati politički
pokret koji bi se zalagao za obnovu jugoslovenske države. To znači da
nacionalistički antijugoslovenski sentiment nije tako jak kako je bio i
kako se čini da je još uvijek. Ljudi jednostavno misle da je ideja
obnove jugoslovenske države neostvariva, pa se ne žele za nju zalagati.
To još ne znači da mnogima od njih ta ideja još uvijek (i ponovo) nije
bliska.
Često se kaže da je jugoslovenstvo stvar nostalgije. U tome ima istine.
Ali, zar je neprirodno to što se ljudi sjećaju uspješnog perioda svog
života i žele da se on povrati? Što se komunista tiče, oni svoj
jugoslovenski program ne zasnivaju na nostalgiji, mada samu nostalgiju
poštuju kao dio čovjekovih osjećanja i stremljenja. Jasno je da se
politički program ne može zasnivati na nostalgiji i emocijama, ma kakve
one bile. Komunisti to i ne čine. Nama je jasno da se čitav svijet
povezuje. Povezivanje je potrebno iz više razloga, ali ono može imati i
negativne posledice, kao što se može vršiti u različitim oblicima i
između različitih subjekata. Neprihvatljivo je povezivanje sa bogatim
nacijama i državama koje znači ekonomsko, političko i vojno
podređivanje interesima krupnog kapitala. Kod nas je aktuelna upravo ta
vrsta povezivanja. Lišeno je svakog smisla pozivati na čvrsto
povezivanje sa narodima sa kojima jugoslovenski narodi nemaju velikog
kulturnog, istorijskog i ekonomskog dodira, a osuđivati svako
povezivanje sa srodnim narodima. Ne može se tvrditi da bilo koji
jugoslovenski narod ima više zajedničkih interesa i sličnosti sa
ostalim evropskim narodima, nego sa drugim jugoslovenskim narodima.
Stepen ekonomske razvijenosti jugoslovenskih država je sličan, a ovi
prostori su donedavno bili dio istog ekonomskog sistema. Osim toga, tu
su zajednička istorija i etnička srodnost. Najvažnije, jugoslovenski
narodi i države imaju istovjetan položaj u okviru svjetskog
kapitalizma. Pogotovo njihove ekonomije imaju istovjetan, nepovoljan
položaj u okviru svjetske podjele rada i na svjetskom tržištu. Kako
jugoslovenski narodi spadaju u grupu tzv. malih naroda, logično je da
se međusobno povezuju i rade na poboljšanju svog položaja. Trenutno
vlada svojevrsna euforija vezana za pristupanje Evropskoj Uniji i NATO
paktu. Ona neće dugo trajati. Negativni rezultati će se brzo spoznati,
pogotovo oni koji se tiču potpunog gubitka političke samostalnosti,
velikih izdataka za vojsku i podređenosti nacionalnih, manje razvijenih
jugoslovenskih ekonomija na jedinstvenom evropskom tržištu.
Radničko-komunistička partija Bosne i Hercegovine se od svog osnivanja
zalaže za obnovu Jugoslavije, u granicama do 1991. i na principima
AVNOJ-a. Jugoslavija se nije raspala, kako se uobičajeno kaže, nego je
razbijena djelovanjem političkih snaga iz zemlje i inostranstva. Da bi
obnova Jugoslavije dobila realne šanse, potrebno je objasniti uzroke
minulih događaja, razvijanja međunacionalne mržnje, izbijanja rata i
razbijanja zemlje. Samo potpunom i na činjenicama zasnovanom analizom
se može spriječiti iracionalno i paušalno ocjenjivanje minulih događaja
u nacionalističkoj izvedbi. Obnova Jugoslavije nije sama sebi cilj,
niti izraz nekakve jugonostalgije. Ona je racionalno političko
razmišljanje, koje se zasniva na uvjerenju da samo čvrsto povezani,
jugoslovenski narodi mogu postići nacionalnu nezavisnost i samostalan
ekonomski i politički razvoj. Nakon razbijanja Jugoslavije, nastale su
nacionalne države koje su formalno bile suverene, ali su u stvarnosti
imale manje samostalnosti nego u okviru SFRJ. Ni danas nije bolje.
Budućnost ne nudi svijetle perspektive za nacionalnu suverenost.
Imajući to na umu, jugoslovenstvo može ponovo postati privlačna ideja.
Obnova Jugoslavije i jugoslovenstva je najviše u interesu radničke
klase, jer nacionalno podijeljena ona ne može igrati ulogu samostalnog
činioca u borbi za svoje interese. Ne radi samo o tome da je radnička
klasa u jugoslovenskim državama pod dominantnim uticajem
nacionalističke ideologije. Možda i više od toga je problem što je
radnička klasa u bilo kojoj pojedinoj jugoslovenskoj državi isuviše
malobrojna da bi se mogla oduprijeti svojim protivnicima na regionalnom
i globalnom planu. Jugoslovenska radnička klasa, objedinjena u jednom
političkom pokretu i oslobođena nacionalističkih predrasuda,
predstavlja respektabilnu političku snagu. Njen otpor globalizovanom
kapitalu će biti uspješniji ako djeluje kao jedinstvena sila.
Socijalizam i Jugoslavija su zato dvije ideje koje teško mogu biti
ostvarene jedna bez druge.
Bosna i Hercegovina i njeni narodi imaju posebnog interesa za obnovu
Jugoslavije. Poznato je da je Bosna i Hercegovina kao država nastala u
toku NOB-a, odlukama zasjedanja AVNOJ-a i ZAVNOBiH-a. Ne može se,
međutim, istorija tumačiti selektivno, kako to ideološki i
dnevno-politički razlozi zahtijevaju. ZAVNOBiH je dio sistema AVNOJ-a i
njegove odluke su formulisane uz čvrsto uvjerenje da će Bosna i
Hercegovina biti u sastavu federativne Jugoslavije. Obzirom na
nacionalni sastav stanovništva, Bosna i Hercegovina ima izgleda da
opstane kao država na bazi čvrstog i trajnog mira, demokratije i
nacionalne ravnopravnosti ako se nalazi u sastavu Jugoslavije.
Legitimno je pravo bošnjačkog naroda da doživljava Bosnu i Hercegovinu
kao svoju domovinu i izražava želju da, kao što je bilo i u prošlosti,
živi na svim njenim dijelovima. Ali, isto tako je legitimno pravo Srba
i Hrvata u Bosni i Hercegovini da žive u jednoj državi sa svojim
sunarodnicima iz Srbije i Hrvatske. Ova prividna protivrječnost se može
riješiti na miran i demokratski način samo ako se obnovi jugoslovenska
država. Time bi bili ostvareni interesi i želje sva tri
bosanskohercegovačka naroda. To se već desilo u vrijeme SFRJ, u kojoj
je nacionalna ravnopravnost važila kao realna činjenica, a ne kao pusti
san jugo-romantičara.
Zauzimajući ovakve stavove, Radničko-komunistička partija Bosne i
Hercegovine u potpunosti podržava izjavu Centralnog komiteta
Komunističke partije Slovenije o nepriznavanju razbijanja SFRJ i o
spremnosti na borbu za obnovu zajedničke domovine. Komunisti Bosne i
Hercegovine pozivaju komunističke i druge partije iz jugoslovenskih
republika da podrže ovu izjavu i kontaktiraju nas kako bismo se
dogovorili o izradi zajedničke izjave kojom bismo izrazili spremnost na
političku borbu za obnovu SFRJ.
U Bijeljini,
juna 2004. godine
Glavni odbor
Radničko-komunističke partije
Bosne i Hercegovine
---
http://komunist.free.fr/arhiva/avg2004/rkp-bih01.html
Arhiva : : Avgust 2004.
Saopštenje za javnost RKP-BIH
povodom predstojećih lokalnih izbora
Poslije petnaest godina prvi put se na izborima u Bosni i Hercegovini
pojavljuje politička stranka koja zastupa siromašne i obespravljene
društvene slojeve. Dosad su mnogi birači bojkotovali izbore, jer nisu
imali za koga glasati, ili su se opredjeljivali "između dva zla". To
vrijeme je konačno prošlo. Na ovim izborima oni mogu glasati za
Radničko-komunističku partiju Bosne i Hercegovine, koja je svojim
programom i sastavom kandidatske liste potvrdila da radnici i ostali
obespravljeni imaju za koga glasati i da narodi Bosne i Hercegovine
imaju partiju sa multinacionalnom listom.
Na izbore za Skupštinu opštine Bijeljina, Radničko-komunistička partija
Bosne i Hercegovine izlazi sa listom od sedam kandidata: četvoro Srba i
troje Bošnjaka, odnosno šest radnika i jednim penzionerom. Svojim
programom komunisti će se zalagati za interese onih slojeva
stanovništva koji su u proteklom periodu osiromašili, opljačkani,
prevareni i obespravljeni. Ali, ne samo da ćemo ih pozivati da glasaju
za naše kandidate, već ćemo im ukazivati da poboljšanja nema i bez
njihove aktivne borbe za društvene promjene. Na izbore za Skupštinu
opštine Bijeljina treba izaći jer Sirotinja ima za koga da glasa! Na
izborima treba glasati za komuniste Da sirotinji bude bolje!
Da sirotinji bude bolje!
U Bijeljini,
5. avgusta 2004. godine
Glavni odbor
Radničko-komunističke partije
Bosne i Hercegovine
---
http://komunist.free.fr/arhiva/avg2004/rkp-bih02.html
Arhiva : : Avgust 2004.
Saopštenje za javnost RKP-BIH
Radničko-komunistička partija Bosne i Hercegovine oštro osuđuje
neprincipijelne rasprave koje se posljednjih dana vode između
najmoćnijih političkih stranaka o problemima poljoprivredne proizvodnje
i uvoza poljoprivrednih proizvoda. Spoljnotrgovinski deficit je problem
sa kojim se Bosna i Hercegovina neprekidno suočava, nezavisno od toga
da li se na vlasti nalaze socijal-demokrati i socijalisti ili
desničarski ekstremisti. To nije problem bilo koje pojedine vladajuće
garniture, već sistema liberalnog kapitalizma kojeg ove stranke žele
učvrstiti.
Bosni i Hercegovini je namijenjena uloga tržišta stranih roba u
regionalnoj i svjetskoj trgovini, zbog čega njene vlade, ni sadašnje ni
buduće, nemaju nikakvu namjeru da zaštite domaću proizvodnju.
Špekulantski i trgovinski kapital, koji vlada Bosnom i Hercegovinom,
nalazi interes u uvozu stranih proizvoda, jer se tako mogu ostvariti
ekstra profiti, za razliku od ulaganja kapitala u industrijsku i
poljoprivrednu proizvodnju, što je neizvjesnije i dugoročnije rješenje.
Tako radnička klasa i sitni poljoprivredni proizvođači postaju taoci
interesa krupnog trgovinskog kapitala i njegovih političkih saveznika.
Izlaz iz takve situacije treba tražiti u intervencionističkoj i
protekcionističkoj carinskoj politici koju bi država vodila u cilju
zaštite domaće proizvodnje. Konkretno, treba preduzimati mjere zabrane
uvoza pojedinih roba i visokih poreza i carina za druge robe, kako bi
se umanjila neravnoteža izvoza i uvoza. Komunisti pozivaju sindikate i
organizacije poljoprivrednih proizvođača da preduzmu mjere snažnog
pritiska na entitetske i državne organe, jer je to jedini način da se
otkloni potpuna i konačna propast domaće privrede.
Sirotinja ima za koga da glasa!
U Bijeljini,
6. avgusta 2004. godine
Glavni odbor
Radničko-komunističke partije
Bosne i Hercegovine
Bobby Fisher rinuncia a cittadinanza USA
Boris Spassky: "Arrestate anche me"
1. L'ultima sfida di Bobby Fischer: «Mai più americano»
2. GIAPPONE: SCACCHISTA FISCHER RINUNCIA A CITTADINANZA USA
3. Fischer renouncing U.S. citizenship
4. BOBI FISER : ZIVOTNI MEC. Intervju sa Dzonom Bosnicem
5. Spassky to Bush: Arrest me!
The Fischer Saga: Farewell to America; Free Fisher in Mainz
6. „Free Bobby Fischer“ on the occasion of the Chess Classic
Mainz 2004
Vedi anche / see also:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3654
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3659
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3685
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3693
http://www.freebobbyfischer.net
=== 1 ===
http://www.liberazione.it/giornale/040807/archdef.asp
Da "Liberazione" del 7 agosto 2004
L'ultima sfida di Bobby Fischer: «Mai più americano»
Scacco all'impero
«Non desidero essere un cittadino americano. Quando è troppo è troppo,
sono un perseguitato politico». Dalla sua cella dell'areoporto di Tokyo
Bobby Fischer, il leggendario ex campione del mondo di scacchi, cerca
una via d'uscita, una mossa che come ai bei tempi metta alle corde il
re avversario.
Per il momento si trova in stato d'arresto: lo hanno fermato quindici
giorni fa i doganieri mentre si stava imbarcando per le Filippine con
un passaporto non valido.
Rischia fino a dieci anni di carcere da scontare sul territorio degli
Stati Uniti, i quali sono in fervida attesa dell'estradizione dal paese
nipponico. I fans, o i semplici ammiratori disseminati in tutto il
mondo sono invece in grande apprensione e sperano che Bobby riesca ad
ottenere quell'agognato asilo politico che Giappone e Filippine gli
hanno finora rifiutato.
Ma il Dipartimento di Stato e l'Fbi (che lo sorveglia da più di 12
anni) vogliono la sua testa, costi quel che costi. Formalmente è
accusato di aver violato l'embargo Onu alla Yugoslavia nel 1992 per
disputare in Montenegro il match di rivincità contro il sovietico Boris
Spassky. Un revival non omologato del celebre incontro disputato a
Reykjavik nel 1972 che fruttò a Fischer, in "pensione" da vent'anni, la
modica cifra di tre milioni di dollari e la tranquillità economica per
il futuro. Al di là del fatto tragicomico che l'amministrazione Bush
accusi un proprio
cittadino di aver violato una direttiva delle Nazioni Unite,
l'accanimento di Washington ha una valenza simbolica, esemplare. Alcuni
mesi dopo 11 settembre 2001, Fischer interruppe infatti anni di
silenzio con un articolo diffuso via internet; una trascrizione di
un'intervista ad una radio di Manila, in cui esprimeva soddisfazione
per gli attentati di Manhattan, congedandosi con un eloquente «Fuck the
U. S». Una provocazione di cattivo gusto, ma pur sempre una
provocazione e non certo un delitto.
Eppure i cacciatori di taglie del governo non la pensano così. Fischer
deve essere estradato, giudicato e condannato. L'onta lavata nel buio
di un penitenziario federale, senza sconti o attenuanti generiche in un
processo di cui già si conosce la sentenza. Poco importa che nel "paese
delle libertà" non esista il reato d'opinione: nell'era della guerra
infinita e del Patriot act le libertà sono solo vigilate e a un
americano non è permesso parlare in questo modo della sua madre patria
impegnata nella crociata contro il feroce Saladino.
Il "rinnegato" Fischer non viveva comunque più da anni negli Stati
Uniti. Dopo la vittoria contro Spassky, avvenuta in piena Guerra Fredda
e quindi cosparsa di prevedibile propaganda, il campione reputò che la
Casa Bianca gli mancò di rispetto non ricevendolo con tutti gli onori.
«Quando ho vinto il campionato del mondo nel '72 l'America era fino a
quel momento era considerata la patria del football e del baseball e
non certo un paese di intellettuali. Io ho cambiato tutto questo. Loro
mi hanno utilizzato nella Guerra Fredda e ora che è finita mi vogliono
arrestare», esclamò nel '92 dopo l'incontro in Montenegro. Negli
anni'80 denunciò di essere stato fermato, interrogato e picchiato dai
federali, episodio che lo spinse a lasciare per sempre l'odiato borgo
natìo. Da allora è stato avvistato a Budapest, poi nelle Filippine da
dove giocava a scacchi on-line sotto pseudonimo, e infine in Giappone,
dove il suo tormentato errare si è concluso al desko di un terminal
areoportuale.
Si è detto e scritto molto riguardo alla controversa personalità di
Fischer, al suo sconfinato talento e al suo panthéon di psicosi;
dichiaratamente antisemita anche se lui stesso ebreo osservante,
maschilista involuto e naif, ma al contempo terrorizzato da qualsiasi
figura femminile (in curioso parallelismo con il filosofo Nietzche).
L'unica donna che frequentò ufficialmente fu infatti la fantomatica
Miss Gremette, una californiana molto più anziana di lui che, secondo
la vulgata psicanalitica, rappresentava l'adorata figura materna.
Quella Regina (sic) Fischer severa poliglotta che i servizi Usa
accusarono addirittura di essere «una spia dei comunisti». Volutamente
sgradevole e immodesto nelle sortite ufiiciali, fuori dalle scacchiere
i suoi colleghi raccontavano, al contrario, di un uomo molto timido,
affabile e cortese con i propri interlocutori. Quando il lettone
Mikhail Tal (l'unico giocatore che Fischer non riuscì mai a battere),
anch'egli ex campione del mondo, si ammalò gravemente, Bobby andava
ogni giorno al suo capezzale per discutere di scacchi, il suo modo di
offrire amorevolmente conforto al rivale.
«Nel gioco degli scacchi ci sono gli eroi e gli antieroi. Fischer è
senza dubbio un eroe» scriveva lo psicologo-giocatore Rueben Fine nel
pregevole La psicologia del giocatore di scacchi (Adelphi) . Gli
antieroi possono raggiungere l'Olimpo dello scacchismo mondiale, ma
come gli eclettici del Rinascimento riescono ad imporsi con successo
anche in altri campi e discipline. Lasker scriveva di filosofia e
teneva una corrispondenza con Einstein, Euwe insegnava la matematica,
Botvinnik era un affermato ingegnere elettronico, Taimanov un
bravissimo violinista. Lo stesso Gary Kasparov passa ormai più tempo a
curare la sua immagine e il suo pingue giro d'affari che a cimentarsi
sulla scacchiera.
Bobby no. Lui pensava, respirava, mangiava, dormiva, viveva solo in
funzione degli scacchi, 24 ore su 24, 365 giorni all'anno. «Non so fare
altro», ha sempre affermato con candore, prestando il fianco alle più
fantasiose speculazioni sulla sua asocialità, sul suo autismo. Ma sul
campo di battaglia delle 64 case era davvero il più bravo di tutti. Fin
dal 1957, quando a soli 14 anni conquistò a mani basse il titolo di
campione degli Stati Uniti, vincendo tutte le partite dell'open contro
gli increduli maestri dello scacchismo d'oltreoceano, ridotti al ruolo
di sparring-partner.
In quale altro destino poteva imbattersi un ragazzino che aveva il più
altro "Qi" mai misurato nella storia moderna e che dedicava tutto il
suo tempo all'arte degli scacchi? L'olandese Elie Agur nell'opera più
completa mai pubblicata sullo stile di Fischer descrive il suo gioco
come «aereo e armonioso», sottolineandone la legerezza, la semplicità e
la chiarezza priva di fronzoli, perfetto contraltare dei suoi
comportamenti stravaganti, dei suoi capricci da prima donna, delle
impossibili e barocche richieste alla Fide (la Federazione scacchistica
mondiale che lo radiò nel 1975 incoronando campione d'ufficio il
sovietico Anatolji Karpov).
Nella kafkiana cella dello scalo di Tokyo in cui oggi Fischer attende
lumi sulla sua sorte, (un po' come lo spielberghiano Tom Hanks del film
The Terminal) si è però aperto uno spiraglio che lascia ben sperare. La
ciambella di salvataggio viene dagli amati Balcani, dove Natasha
Radulovic una nota pittrice serba, si dice disposta persino a sposarlo
per accelerare la richiesta d'asilo: «Se lo merita per quel che ha
fatto per la Serbia e il Montenegro» ha dichiarato l'artista ai
quotidiani locali. Ora si attende la decisione del presidente Filip
Vujanovic, il quale negli scorsi giorni ha fatto capire di essere
pronto ad accogliere il reietto campione. Se così fosse, Bobby avrebbe
vinto anche l'ultima partita, quella più importante. Alla faccia degli
sceriffi federali.
Daniele Zaccaria
=== 2 ===
http://www.ansa.it/fdg02/200408061548160602/200408061548160602.html
GIAPPONE: SCACCHISTA FISCHER RINUNCIA A CITTADINANZA USA
TOKYO - Per scongiurare l'estradizione nel suo paese d'origine, l'ex
campione mondiale di scacchi Bobby Fischer intende ripudiare la propria
nazionalita' statunitense.
Ricercato dagli Stati Uniti per violazione delle sanzioni contro la ex
Jugoslavia e in stato di fermo in Giappone in attesa di espulsione per
possesso di passaporto invalido, Fischer ha deciso di rinunciare alla
cittadinanza americana e di diventare apolide.
Lo ha reso noto il suo avvoccato giapponese, Masako Suzuki, secondo la
quale Fischer, 61 anni, ha telefonato all'ambasciata degli Stati Uniti
a Tokyo, comunicando la sua volonta' di rinuncia alla cittadinanza.
''Tecnicamente Fischer diventera' un apolide. I gruppi che lo
appoggiano in Giappone cercheranno di farlo iscrivere come rifugiato
presso l'Ufficio dell'Alto Commisariato Onu per i rifugiati a Tokyo''
ha precisato l'avvocato.
Fischer, che divenne campione del mondo di scacchi nel 1972 battendo il
detentore del titolo, l'allora sovietico Boris Spassky, sta sfuggendo
alle autorita' americane dal 1992, quando violo' le sanzioni contro la
ex Jugoslavia recandosi nel paese balcanico per un match di rivincita
contro Spassky. Per questo reato, l'estroso scacchista rischia una
condanna fino a dieci anni di carcere.
Arrivato in Giappone lo scorso aprile senza alcun problema con il suo
passaporto americano, l'ex campione del mondo si e' ritrovato a meta'
luglio in una cella dell'aeroporto di Narita mentre cercava di partire
alla volta delle Filippine con lo stesso passaporto, che un solerte
funzionario dell'immigrazione, debitamente avvertito da chi di dovere,
ha trovato illegale in base alle leggi Usa.
Sul caso clamoroso di Fischer in prigione a Tokyo, le autorita' locali
hanno steso una cortina di silenzio. Stampa e tv giapponese ben si
guardano dal parlare della vicenda, l'ufficio immigrazione e' chiuso a
doppia mandata per i cronisti stranieri e nessuno e' disposto a
commentare cio' che trapela dagli ambienti diplomatici, ovvero che il
governo intende estradare Fischer negli Usa.
Di fronte a questa prospettiva assai poco attraente, il campione,
aiutato da tanti amici e dall'associazione di scacchi giapponese, cerca
di guadagnare tempo: ha presentato due ricorsi alle autorita'
giapponesi contro l'ordine di espulsione, entrambi respinti, ed e' in
attesa di risposta ad un terzo appello inoltrato direttamente al
ministro della Giustizia Daizo Nozawa dall'avvocato Suzuki.
L'entourage di Fischer fa sapere che in carcere lo scacchista afferma
di essere trattato ''molto male'' e il presidente del suo comitato di
sostenitori, John Bosnitch, sostiene che molti paesi si sono gia' detti
disponibili a ospitare il campione, se il Giappone decidera' di non
estradarlo negli Usa. L'avvocato Suzuki pero' non si nasconde che
quella che Fischer sta giocando in questo momento e' forse la partita
piu' difficile della sua vita: ''Non e' abituale - ha osservato -
domandare lo statuto di rifugiato contro gli Stati Uniti''.
Il presidente montenegrino, Filip Vujanovic, si e' detto disposto a
offrire asilo politico al campione. Non e' un caso: e' proprio
sull'isola montenegrina di Sveti Stefan, infatti, che Fischer nel '92
gareggio' contro il suo nemico di sempre Boris Spasski, a dispetto
dell'embargo internazionale, intascando per la vittoria 3,35 milioni di
dollari.
06/08/2004 15:48
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=== 3 ===
Fischer renouncing U.S. citizenship
August 06, 2004 17:29 IST
http://www.rediff.com/sports/2004/aug/06chess1.htm
Former world chess champion Bobby Fischer, wanted by Washington for
defying sanctions on Yugoslavia, plans to renounce his U.S.
citizenship, a lawyer working his appeal against deportation from Japan
said on Friday.
Fischer, one of the chess world's great eccentrics, was detained at
Tokyo's Narita airport last month when he tried to leave for Manila on
a passport U.S. officials say was invalid.
Japanese immigration officials rejected Fischer's initial appeal
against deportation and his lawyer, Masako Suzuki, has filed a second
plea to Justice Minister Daizo Nozawa.
In a handwritten note made available to the media, Fischer said the
U.S. government and "U.S.-controlled Japanese government, working in
collusion and in a criminal conspiracy, have illegally confiscated and
illegally physically destroyed my perfectly valid in every way U.S.
passport #27792702.
"As a result of the above-stated criminal act, as well as innumerable
other vicious crimes against me by the U.S. government, I no longer
wish to be an American citizen," said the letter, copies of which were
made available to the media.
Suzuki told a news conference that Fischer, 61, would likely become a
stateless person for some period of time and that his supporters would
try to have the United Nations High Commissioner for Refugees (UNHCR)
register him as a refugee.
The renunciation of his U.S. citizenship does not take effect until he
has met a U.S. consular official and conveyed his intent in person, she
said.
Fischer, who arrived in Japan in April, has been wanted in the United
States since 1992 when he violated U.S. economic sanctions by winning
$3 million for beating old rival Boris Spassky in a match in Yugoslavia.
The elusive chessmaster then vanished, only to resurface after the
September 11, 2001 attacks in the United States to give an interview to
Philippine radio in which he praised the strikes and said he wanted to
see America "wiped out".
Fischer has filed for refugee status in Japan and is also in contact
with other countries that might accept him, according to John Bosnitch,
a Tokyo-based Canadian journalist and communications consultant who has
been advising him.
Japan accepts only political refugees. Fischer's supporters in Japan
say he is being persecuted by the United States.
Fischer's supporters say he renewed his passport in 1997 and never
received a letter issued in December 2003 revoking it.
U.S. State Department officials in Washington have said it took years
for the legal process to catch up with Fischer.
Fischer became world chess champion in 1972 when he beat Spassky of the
Soviet Union in a victory seen as a Cold War propaganda coup for the
United States.
The title was taken from him three years later after his conditions for
a match against Anatoly Karpov, also of the Soviet Union, were rejected
by chess officials.
Karpov became champion by default.
=== 4 ===
BOBI FISER : ZIVOTNI MEC
Intervju sa Dzonom Bosnicem
Ceo intervju sa Dzonom Bosnicem :
http://f2.pg.briefcase.yahoo.com/pertep
Najveci sahovski majstor svih vremena , koji je Americi 1972. godine
doneo titulu svetskog sampiona, posle nekoliko decenija dominacije
Sovjetskog Saveza, Bobi Fiser, je po nalogu americke vlade pritvoren i
nalazi se u zatvoru na aerodromu Narita kod Tokia. Bobia Fisera su
uhapsile japanske vlasti na aerodromu prilikom izlaska iz zemlje, pod
izgovorom da mu je americki pasos nevazeci.
"Americki pasos s kojim je Bobi Fiser putovao je punovazan. Izdat je
1997. godine u americkom konzularnom predstavnistvu u Svajcarskoj. Cak
je pre osam meseci prosiren sa dvedeset dodatnih stranica.", izjavio
je Dzon Bosnic, osnivac Komiteta za oslobadjanje Bobia Fisera.
"Bobi je tek prilikom hapsenja saznao da su mu americke vlasti, tajnom
odlukom, proglasile pasos nevazecim. Sto samo po sebi predstavlja
krsenje americkog zakona. Do tog trenutka Bobi nikad nije imao problema
sa svojim pasosem, niti je bilo medjunarodnih poternica, naloga ili
zahteva za njegovo izrucenje", rekao je Bosnic.
Bobi je dosao u sukob sa americkim vlastima kad je 1992. godine odlucio
da sahovski mec sa Spaskim odigra u Crnoj Gori i time prekrsi ekonomske
sancije uvedene protiv Srbije i Crne Gore. Tako je Amerika postala prva
zemlja u svetu koja i sahovsku igru, ako joj to odgovara, smatra
nezakonitom.
"Amerikanci su sve vreme pratili Bobia i cekali da dodje u njima
prijateljsku zemlju da bi ga uhapsili."
Zbog ovako nezakonitih postupaka americkih vlasti, Bobi Fiser je
odlucio da se odrekne americkog drzavljanstva i da potrazi utociste u
nekoj drugoj, prijateljskoj zemlji. On ne zeli da se vraca u SAD jer
veruje da je hapsenje politicki motivisano i da bi sudski proces protiv
njega bio farsa.
Komitet za oslobodjenje Bobi Fisera ima tri cilja da Bobia sto pre
oslobode iz zatvora; da mu obezbede pasos ili putni dokument; i da
nadju zemlju koja bi mu pruzila utociste. Gospodin Bosnic, iako srpskog
porekla, nije krio svoje razocarenje zbog nezainteresovanosti vlasti u
Srbiji i Crnoj Gori da pomognu Bobiu Fiseru.
"Americke vlasti su proganjale Bobia od 1992. godine samo zbog toga sto
je imao hrabrosti da kaze da su sankcije protiv Srbije i Crne Gore
nepravedne i nezakonite. Odlucni mec sa Spskim je mogao da odigra u
bilo kojoj drugoj zemlji sveta, ali Bobi je odlucio da ga odigra u
Jugoslaviji. Dobijao je pozive sa svih strana , ali on se odlucio za
Jugoslaviju. A kako mu mi vracamo? Cutnjom i nezaintersovanoscu! Treba
da nas je sve stramota."
Vreme je trenutno najvazniji faktor u trci za iznalazenjem resenja za
izbavljenje Bobia Fisera. Ukoliko ne uspeju da nadju zemlju koja bi mu
pruzila izbeglicko utociste Bobi Fiser bi mogao da bude isporucen
Americi, kaznjen sa deset godina zatvora i znatnom novcanom kaznom.
Ukoliko zelite da kontaktirate Bobia Fisera , kliknite na stranicu:
http://www.freebobbyfischer.net
Boba Borojevic, urednik
Srpski radio program
"Susreti Ponedeljkom"
Otava, Kanada
ckcuboba@...
Ceo intervju sa Dzonom Bosnicem :
http://f2.pg.briefcase.yahoo.com/pertep
=== 5 ===
http://chessbase.com/newsdetail.asp?newsid=1843
Spassky to Bush: Arrest me!
10.08.2004 Boris Spassky, who played the contentious return match
against Bobby Fischer in Yugoslavia 1992, for which the latter is
currently facing deportation and incarceration in the US, has appealed
to President Bush to show mercy and charity for his tormented
successor. If for some reason that should be impossible, Spassky
suggests a very imaginative alternative...
Appeal to President Bush from Boris Spassky
Mr. President,
In 1972 Bobby Fischer became national hero. He smashed me in the match
in Reykjavik. The Soviet chess hegemony collapsed. One man won
against a whole army. Soon after that Fischer stopped playing. He
repeated the sad story of Paul Morphy. At the age of 21, legendary
Paul had beaten all leading European masters and became unofficial
champion. He stopped playing and finished his tragic life at the age
of 47 in New Orleans in 1884.
In 1992, twenty years after Reykjavik, there was a miracle. Bobby
resuscitated and we played a match in Yugoslavia. But at that time
there were sanctions against Yugoslavia forbidding American citizens
any sort of activity on the territory of Yugoslavia. Bobby violated
the instructions of the State Department. He became the subject of a
warrant for arrest issued on December 15, 1992 by the US District
Court. As for me, as a French citizen since 1978, I did not get any
sanctions from the French government.
Since July 13, 2004, Bobby has been detained at Narita airport on
immigration violations. Further events have been described by media.
It is clear that the law is the law. But Fischer’s case is not usual.
I am an old friend of Bobby since 1960 when we played in Mar-del-Plata
and shared 1-2 places. Bobby is a tragic personality. I realized
this at that time. He is an honest and good natured man. Absolutely
not social. He is not adaptable to everybody’s standards of life. He
has a very high sense of justice and is unwilling to compromise as
well as with his own conscience as with surrounding people. He is a
person who is doing almost everything against himself.
I would not like to defend or justify Bobby Fischer. He is what he is.
I am asking only for one thing. For mercy, charity.
If for some reason it is impossible, I would like to ask you the
following: Please correct the mistake of President François
Mitterand in 1992. Bobby and myself committed the same crime. Put
sanctions against me also. Arrest me. And put me in the same cell
with Bobby Fischer. And give us a chess set.
Boris Spassky
10-th Chess World Champion
08.07.2004
The Fischer Saga: Farewell to America
Meanwhile the news is that the greatest hero of American chess no
longer wants to be an American. Having finally hired a lawyer,
Fischer released through her a statement saying, "I no longer wish
to be an American citizen. Enough is enough. I hereby authorize my
attorney Masako Suzuki to contact the U.S. embassy in Tokyo, Japan,
immediately so I can officially renounce my U.S. citizenship at
once."
Fischer's attempt to renounce his US citizenship will not enable him to
escape the charges he is wanted for in the United States. It may,
however, affect his status with the Japanese government. (Slate
Magazine has a handy explanation of how exactly an American can
renounce citizenship.)
Fischer is still in detention in the Narita Airport and is waiting for
the result of his appeal of Japan's rejection to stay his
deportation and to seek asylum in Japan. Technically this could take
up to 60 days, but it is very unlikely to take that long. Another
twist is that Fischer has been offered asylum in Serbia and
Montenegro (the artist formerly known as Yugoslavia).
The case is hitting the editorial pages. The NY Daily News tabloid took
a few shots, calling Fischer a "chess master and famous foaming
maniac" and adds " Swell! So long, Bob! Sayonara!" to the news that
Fischer doesn't want to return to the USA.
Free Fischer in Mainz
The organisers of the Chess Classic in Mainz started a Free
Fischer action, with the main organiser Hans-Walter Schmitt
writing to the The Minister of the Interior (and honorary Chess
Grandmaster) Otto Schily: "We regard what Mr. Fischer has done for
chess and his brilliant ideas on how to develop chess further as
much more important than his mistakes and his unacceptable
remarks in relation to the events of September 11," Schmitt
writes. "We dissociate ourselves from these mistakes and focus
on the chess genius Bobby Fischer.
Bobby Fischer’s biological roots can indeed be connected to
Germany. We would therefore like to ask you to see if there is
anything that you can do for Bobby Fischer using diplomatic channels.
If asylum in Germany can be granted to Bobby Fischer, it would
not be a problem for us to provide permanent housing and
subsistence to him in the Rhein-Main area."
=== 6 ===
http://www.chesstigers.de/cc/2004/e/home/artikel_04-07-
29_free_fischer_e.htm
Free Bobby Fischer
The Minister of the Interior
and honorary Chess Grandmaster
Otto Schily
Platz der Republik 1
D-11011 Berlin
„Free Bobby Fischer“ on the occasion of the Chess Classic
Mainz 2004
Dear Mr. Schily,
as somebody who is very familiar with chess and its history, we would
like to bring to your attention the case of former World Chess
Champion Robert James Fischer. We regard his arrest and
custody in a Japanese prison and the demands of the US for
his deportation due to a violation of the US embargo during
the Kosovo war as excessive.
We would like to point out that to our knowledge, it is not even
certain that Bobby Fischer actually received the money that
was promised to him for playing the match against Boris
Spassky. And even if the US embargo was violated, this does
not constitute a violation of any law of the United States
(the embargo was based on an executive order of the US
president at the time). In addition, Bobby Fischer’s opponent
in this match, Boris Spassky, was not charged with any wrongdoing in
connection with the match. We regard what Mr. Fischer has done
for chess and his brilliant ideas on how to develop chess
further as much more important than his mistakes and his
unacceptable remarks in relation to the events of September
11. We dissociate ourselves from these mistakes and focus on
the chess genius Bobby Fischer.
Bobby Fischer’s biological roots can indeed be connected to Germany.
We would therefore like to ask you to see if there is anything
that you can do for Bobby Fischer using diplomatic channels.
If asylum in Germany can be granted to Bobby Fischer, it
would not be a problem for us to provide permanent housing
and subsistence to him in the Rhein-Main area.
At the Chess Classic in Mainz, we are trying to use the innovation
“Chess960”, which is based on “Fischer Random Chess”,
to create an alternative for people with little time and to combine
this with traditional chess. The challenging goals that we have
set ourselves as the Frankfurt Chess Tigers e.V. are to
bring together the history and the future of chess, and to
combine creativity and media attention with sport and
entertainment. One of the undisputed highlights in the
German tournament scene is the second World Championship in Rapid
Chess960 between current Chess960 World Champion Peter Svidler and
his challenger Levon Aronian, winner of the Chess960 Open of
2003.
You can find additional information about the event on our homepage
www.chesstigers.de.
We hope that you will be able to respond to us quickly.
Best Regards,
Hans-Walter Schmitt
Give us your option or collect signatures in support for
Bobby Fischer :
http://www.chesstigers.de/cc/2004/e/home/artikel_04-07-
29_free_fischer_e.htm
Data: Mar 17 Ago 2004 19:04:41 Europe/Rome
A: i c d s m - i t a l i a @yahoogroups.com
Oggetto: [icdsm-italia] John Laughland and John Steppling
John Laughland and John Steppling
[ Due salaci, interessantissimi articoli sulla violazione del diritto
all'autodifesa di Slobodan Milosevic. Nei quali si sottolinea
soprattutto l'imbarazzato silenzio dei media e di tanti autoproclamati
"difensori dei diritti umani", "paladini del diritto" e militanti della
sinistra internazionalista, i quali sembrano aver perso la parola in
merito a quanto sta accadendo - da ormai quattro anni! - nella galera
di Sheveningen. Ma come: il "processo a Milosevic" non doveva essere
l'occasione per accertare circostanze e responsabilita' sui terribili
crimini commessi in Jugoslavia dal 1991 in poi? E allora, perche'
nessuno lo segue, quel processo?... ]
1. Let Slobo speak for himself (by John Laughland)
2. The Debacle At The Hague (by John Steppling)
---( 1 )---
http://www.spectator.co.uk/
article.php?table=old§ion=current&issue=2004-07-10&id=4796
Let Slobo speak for himself
The Spectator (UK) - July 10, 2004
John Laughland says that the case against Milosevic has all but
collapsed for lack of evidence
For a few hours on Monday, the world’s human rights establishment was
seized by terror. Slobodan Milosevic had been due to begin his defence
at the International Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY)
in The Hague, but instead discussion focused on the former president’s
fragile health, which has been made worse by the rigours of the trial.
When the presiding judge, Patrick Robinson, said that a ‘radical
review’ of the proceedings would now be necessary, many do-gooders
feared that their worst nightmare was about to be realised — that the
international community’s main trophy in its crusade for morality
might, if only on medical grounds, be allowed to walk free.
Few human rights activists had ever contemplated such an outcome, still
less an acquittal. The presumption of innocence has never counted for
much in the highly politicised world of international humanitarian law.
One war crimes expert, James Gow, said on Channel 4 on Monday that it
would be better if Milosevic died in the dock, because if the trial ran
its course he might be sentenced for only relatively minor charges.
That ought to be awfully embarrassing for those like Gow who have
assured us that he is as guilty as hell. Fortunately for them, the ICTY
is not really in the business of acquittal. As one academic specialist
on the ICTY, Professor Michael Scharf, has noted approvingly, the
ICTY’s rules were designed ‘to minimise the possibility of a charge
being dismissed for lack of evidence’, a sentiment of which the Queen
of Hearts would have been proud.
As it stands, the judges seem poised to impose a defence counsel on
Milosevic. Far from helping him, of course, the intention here is to
weaken his defence by requiring him to be represented by a lawyer who
knows the issues far less well than he does. Such a move would fly in
the face of the judges’ earlier rulings against this idea — and the new
presiding judge himself was, in the past, especially firm that this
would be contrary to the defendant’s rights. It would at least provide
comfort to the beleaguered prosecution. When he is not trying to get
the court to force Milosevic to give up smoking — a certain death
sentence for any Serb — Geoffrey Nice QC, the lead prosecutor, has
repeatedly sought to accomplish this switch, not least because the
two-year prosecution case has been a nearly unmitigated disaster.
Since the trial started in February 2002, the prosecution has wheeled
out more than 100 witnesses, and it has produced 600,000 pages of
evidence. Not a single person has testified that Milosevic ordered war
crimes. Whole swaths of the indictment on Kosovo have been left
unsubstantiated, even though Milosevic’s command responsibility here is
clearest. And when the prosecution did try to substantiate its charges,
the result was often farce. Highlights include the Serbian ‘insider’
who claimed to have worked in the presidential administration but who
did not know what floor Milosevic’s office was on; ‘Arkan’s secretary’,
who turned out to have worked only as a temp for a few months in the
same building as the notorious paramilitary; the testimony of the
former federal prime minister, Ante Markovic, dramatically rumbled by
Milosevic, who produced Markovic’s own diary for the days when he
claimed to have had meetings with him; the Kosovo Albanian peasant who
said he had never heard of the KLA even though there is a monument to
that terrorist organisation in his own village; and the former head of
the Yugoslav secret services, Radomir Markovic, who not only claimed
that he had been tortured by the new democratic government in Belgrade
to testify against his former boss, but who also agreed, under
cross-examination by Milosevic, that no orders had been given to expel
the Kosovo Albanians and that, on the contrary, Milosevic had
instructed the police and army to protect civilians. And these, note,
were the prosecution witnesses.
Serious doubt has also been cast on some of the most famous atrocity
stories. Remember the refrigerator truck whose discovery in the Danube
in 1999, full of bodies, was gleefully reported as Milosevic was
transferred to The Hague in June 2001? The truck had allegedly been
retrieved from the river and then driven to the outskirts of Belgrade,
where its contents were interred in a mass grave. But cross-examination
showed that there is no proof that the bodies exhumed were the ones in
the truck, nor that any of them came from Kosovo. Instead, it is quite
possible that the Batajnica mass grave dated from the second world war,
while the refrigerator truck may have contained Kurds being smuggled to
Western Europe, the victims of a grisly traffic accident. The
realisation is now dawning that lies were peddled to justify the Kosovo
war just as earnestly as they were to justify the attack on Iraq.
The weakness of the prosecution case was underlined by the fact that
its triumphant conclusion in February was to broadcast a TV documentary
made several years ago. This suggests that its two-year marathon has
not served to advance knowledge of the truth beyond the tall stories
peddled by telly hacks at the time. Even professional supporters of the
ICTY now admit that the only ‘proof’ of Milosevic’s guilt has been
General Sir Rupert Smith’s stated ‘impression’ that Milosevic
controlled the Bosnian Serbs, and Paddy Ashdown’s statement that he
‘warned’ the former Yugoslav head of state that war crimes were being
committed in Kosovo. In February, the chief prosecutor herself, Carla
del Ponte, admitted that she did not have enough evidence to convict
Milosevic on the most serious charges.
The supposedly impartial judges have been deeply complicit in this
prosecution bungling. The ICTY has long been characterised by an
unhealthy community of interests between the judges and the
prosecutors; I have myself heard the first president of the ICTY, Judge
Antonio Cassese, boast that he encouraged the prosecutor to issue
indictments against the Bosnian Serb leaders, a statement which should
disqualify him from serving as a judge ever again. In the Milosevic
trial, the judges have admitted a tawdry parade of ‘expert witnesses’
who are not, in fact, witnesses to anything. In Britain, the role of
experts is rightly under the spotlight after the convictions of some
250 parents found guilty of killing their babies have been thrown into
doubt precisely because they relied on this kind of testimony; but in
the ICTY you can be a ‘witness’ without ever having set foot in
Yugoslavia.
Numerous other judicial abuses have been legitimised by the ICTY. The
use of hearsay evidence is now so out of control that people are often
allowed to testify that they heard someone say something about someone
else. It is common for the ICTY to offer reduced sentences (five years
in one case) to men convicted of hideous crimes, mass murder for
instance, if they agree to testify against Milosevic. The use of
anonymous witnesses is now very widespread, as is the frequency of the
‘closed sessions’: a glance at the ICTY transcripts shows pages and
pages blanked out because sensitive issues have been discussed in court
— sensitive, that is, to the security interests of the Great Powers
which control it, the USA in first place. The ICTY’s nadir came last
December, when the former supreme commander of Nato, Wesley Clark,
testified in the Milosevic trial; the court agreed to let the Pentagon
censor its proceedings, and the transcripts were not released until
Washington had given the green light. So much for the ICTY’s
transparency and independence.
Ironically, Slobbo has one objective ally: the British prime minister.
The possibility is now real that a conviction of Milosevic can be
secured only on the widest possible interpretation of the doctrine of
command responsibility: for instance, that he knew about atrocities
committed by the Bosnian Serbs and did nothing to stop them. But if
Milosevic can be convicted for complicity in crimes committed by people
in a foreign country, over whom he had no formal control, how much
greater is the complicity of the British government in crimes committed
by the US in Iraq, a country with which the UK is in an official
coalition? This is not just a cheap political jibe but a serious
judicial conundrum: the UK is a signatory to the new International
Criminal Court, and so Tony Blair is subject to the jurisdiction of the
new Hague-based body whose jurisprudence will be modelled on that of
the ICTY. So if Slobbo goes down for ten years in Scheveningen jail
because of abuses committed by his policemen, then by rights his
cell-mate should, in time, be Tony.
John Laughland’s latest book is Le Tribunal pénal international:
gardien du nouvel ordre mondial, published by François-Xavier de
Guibert, Paris, 2003.
© 2004 The Spectator
Posted for Fair Use only.
---( 2 )---
http://www.swans.com/library/art10/johns03.html
SWANS, Monday, August 16, 2004
The Debacle At The Hague
by John Steppling
(Swans - August 16, 2004) It's interesting to note how most reasonable
people I know accept the duplicity of corporate mainstream media. The
run up to the invasion of Iraq was rightly seen as crass propaganda by
most right thinking humans. However, these same people have a much
harder time questioning the assumptions behind, and the statistics
about, what is happening in the Sudan now, or Rwanda, and especially
what took place in the former Yugoslavia.
Why is this? Well, looking at Yugoslavia, perhaps it's the liberal
tendency to believe Democrats wouldn't really fabricate a crisis, or
create one, or distort all the information about one. They tend to
think a Democrat wouldn't drop tons of Depleted Uranium (DU) tipped
ordnance on a country unless there was a darn good reason for it -- a
reason of humanitarian resonance. The bombing of Belgrade, under Bill
Clinton, and carried out by Supreme Allied Commander Wesley Clark, is
still widely seen as the way, the only way, to stop the genocide
orchestrated by crazed Serbian killers. Now, I suppose it's time to
look more closely at this word "genocide." The propaganda mill that
Washington drives non-stop has created over the last twenty-some years
a sort of index of buzzwords that it trots out, with appropriate visual
reinforcement, to convince the liberal left (it doesn't have to
convince the right) that sending in the Marines is actually a noble and
compassionate act. Genocide is at the top of this buzzword list. It's a
word that was rarely used after WWII out of a sense for the specialness
of the Holocaust. It has, of late, however been used for almost all
international crises, raising bizarre issues of body counts vs.
varieties of atrocity; the new Olympics of comparative ethical mayhem.
When one needs to focus attention on a particular issue, those running
the show just cry genocide. It is now a shorthand for armchair debate
about intervention (by the colonial West) and about when it should
start; now, or a bit later. In any case, sending in the Marines has
never been, nor will it ever be, a compassionate act. Armies are
created, as are states for that matter, to protect the ruling class and
their interests. The question is always framed with a "how can we stand
by while this happens." sort of formatting (cue visual aids, scene of
refugee camp, hungry children, interview with caring NGO workers). Such
framing creates the atmosphere in which guilt will grow most quickly,
and modern guilt is intimately linked to self-loathing, doubt, and
feelings of alienation. To alleviate this alienation the narcotized
public must be given symbolic acts of compassion and caring... and such
symbolism can be found (in a kind of weird Freudian/Biblical vortex) by
spilling more blood... by symbolic sacrifice in the cloak of
humanitarian intervention. The transgression is erased through the
proof found in the symbolic slaughter. Exploring the underlying causes
of such crises is simply too much work for most citizens. Such is the
modern dysfunctional Empire.
My intention is not to go over the entire history of this complex
region, but to focus on the propaganda surrounding the trial of
Slobodan Milosevic, and especially the current state of his defense and
the collapse of the prosecution's case. I find a great many people who
otherwise might question an illegal institution like the International
Criminal Tribunal for the Former Yugoslavia (ICTY), willing to accept
this one's dodgy foundations and lack of international credibility
because they have been so convinced of the "evil" of Milosevic. Just a
quick rewind here: Milosevic was kidnapped (illegally, as most kidnaps
are) by Zoran Djindic, former President of Serbia, in exchange for a
promise of one billion in aid (which never came, because the U.S.
decided there was the matter of a debt incurred by Tito that needed to
be made right). Imagine Ariel Sharon being kidnapped -- a genuine
criminal, blood soaked and pathological -- or Henry Kissinger, or John
Negroponte, and carried off to The Hague and tossed in a cell. Imagine
the response of the media. Yet hardly a word of complaint was heard in
the West when Milosevic was snatched. Why? The obvious answer has to do
with the business interests and agenda of the U.S. (and its desire to
further co-opt NATO) to break up the Yugoslav Republic. Since these
same interests control the media, one isn't likely to hear much of a
critique from ABC, CBS, NBC or CNN or FOX, or even The New York Times.
America is a force for good, after all. We only kidnap those who
deserve kidnapping, and Milosevic, by the time he was taken, had been
sufficiently demonized that there seemed little to do except take him
to prison and throw away the key.
The prosecution has spent two years (and called 295 witnesses!) on this
case, and for anyone who has bothered to look hard enough, this
prosecution has utterly failed to prove a single of its accusations.
Neil Clark (in The Guardian), back in February, pointed out that
nothing has been proven and then added, "the nature and extent of the
atrocities themselves have been called into question." I remember CNN
full of the odious Christiane Amanpour (not coincidently the wife of
Albright's errand boy Jamie Rubin, who also not coincidently was Wesley
Clark's assistant during Clark's closed door testimony -- a hearing
that even Milosevic's legal associates were not permitted to attend)
blathering on about how important a trial this was, how international
justice was on the threshold of a great breakthrough, yada yada yada.
Funny, I don't see Christiane, or anyone, talking about this
"important" case anymore. From daily updates to nothing. Why? Again,
the answer lies in the total breakdown of the US/NATO scenario.
Milosevic defended himself, while refusing to acknowledge the
legitimacy of the court. This wasn't how it was supposed to go. The
delusional Carla Del Ponte was possibly, in retrospect for the Empire,
a bad choice to head the prosecution. A dwarfish, churlish, and
unpleasant Swiss woman of seemingly limited intelligence, Del Ponte has
carried on with little prosecutorial skill and even less self-control
when facing a journalist's microphone. Beyond that, the endless list of
witnesses has been revealed (often by deft questioning from Milosevic)
as liars, frauds, and accomplices of US interests. The transcript runs
to 50,000 pages (all materials run to 500,000 pages, and additionally
some 5,000 video cassettes). Milosevic has had to read it all himself
and has been denied visits from family and friends. Even with this head
start the prosecution couldn't mount a coherent case for any of its
charges. Even those who cling to the arguments of journalists like
Timothy Garton Ash, Misha Glenny, or Marlise Simons will be forced to
face the fact that this trial has been a fiasco from its inception.
This, however, brings us to the current situation; now that the
prosecution has rested and that it's Milosevic's turn to defend
himself, the Court is worried (yeah, right) that his health may not
allow him to continue to act as his own counsel. The intention of the
Tribunal is to impose a counsel, to force Milosevic to stop defending
himself. This desperate eleventh-hour measure is a naked reminder, if
any were really needed, of just how far off track this entire
proceeding has gone. The absurdity of using an untreated medical
condition as an excuse to abridge basic rights and silence a defendant
is, possibly, a new low point in modern international law.
Fifty international lawyers have signed a petition sent to the UN
Security General, the Security Council, and the General Assembly
(signed by, among others, Ramsey Clark, USA; Jacques Verges, France;
Sergei Baburin, VP of the Russian Duma; Jitendra Sharma, India; and
drafted by Tiphaine Dickson, Canada). The main thrust is that an
imposition of counsel constitutes a violation of all recognized
judicial rights (and will further aggravate Milosevic's health, rather
than alleviate his medical condition). The International Covenant of
Civil and Political Rights, US Supreme Court decisions, and the Rivonia
Trials (where Mandela defended himself!) are cited as precedent. The
right to defend oneself is central to all international law and the
very structure of adversarial justice. In fact, the only precedent for
imposition of counsel can be found in the Star Chamber, which since the
17th century has stood as symbolic of egregious disregard for basic
defendant's rights. The ICTY now resembles nothing so much as Judge Roy
Bean or the inner chambers of Torqemada, such is the devolution of due
process in our era of Empire. The entire process has been tilted to
favor the prosecution -- Milosevic gets only 150 days to prepare his
defense (the prosecution has had at least since 1999 to prepare
material, and from another perspective has had almost ten years) and
has had no access to the media, something which the prosecution has
been playing to endlessly, voicing their perspective and commentary...
including the creepy appearance of Wesley Clark following his censored
testimony. Notwithstanding the obvious bias, the average citizen of the
West (and certainly of the U.S.) would get the impression (as a
Harper's valentine article to The Hague indicated) that the ICTY has
bent over backwards to accommodate Mr. Milosevic. Such distortion is
typical of the new corporate spin that is lapped up by liberals and
conservatives alike. In The London Times of July 31, 2004, in a review
of Chris Stephen's book "Judgement Day: The Trial of Slobodan
Milosevic," Janine Di Giovanni points out that "if Judgement Day were
read with no prior knowledge, it would be possible to believe Milosevic
had already been tried and convicted." Stephen's book is the usual
gloss on this subject. It's telling to note that that other Chalabi,
who now runs the Saddam trial, has put an end (after one preliminary
hearing) to any journalists or media inside the courtroom, fearing no
doubt, exactly what has taken place at the ICTY. Clearly, they have
learned their lesson; simply don't allow any kind of due process and
keep it all secret.
Tiphaine Dickson, an international lawyer practicing before the UN
tribunals since 1997, spoke to me about the steady and Orwellian
deterioration of internationally recognized basic rights by the very
bodies whose stated purpose is to enforce respect for human rights.
"The precedents set by the Rwanda and Yugoslav courts are shocking for
defense lawyers who arrive to defend a client at The Hague or Arusha.
Indictments with little or no evidence, disregard for extradition
procedures, piecemeal disclosure, third hand hearsay, drastically
limited cross examination, and modification of rules by judges in
collaboration with the prosecution as trials go along, not to mention
US pressure to speed up the process; all of it is just par for the
course in these Security Council Institutions. I was once asked by a
journalist why I became a political lawyer. My answer was because these
courts insisted on carrying out political trials."
I can't really speak for exactly why otherwise open-minded people feel
so intractable about this subject. Perhaps it's just the Clinton aspect
to the bombing, or more likely, it's just the infantile response one
has in the face of all authority, and the attendant submission to the
illusion of protection that all authority figures provide. Seeking
consensus is part of this childhood fear, the need for the father
figure to be given respect and from which, in return, one will receive
rational security. The sense of hopelessness most people feel today
makes such submission, such yearning for agreement, seem like (and feel
like) the only choice left. This is how propaganda works. One sees it
in the hysteria for Kerry, even though people know protest was silenced
and protesters were stuck in cages outside Fleet Center, and one sees
it in the refusal to look more deeply at the show trials of figures
like Milosevic, who has become a poster boy (along with Saddam, Castro
and all of FARC) for evil and despotism and, of course, terror (never
mind Islam Karamov of Uzbekistan, for instance, is a boon ally, nor
Colombian President Uribe, our partner in the war on drugs, is and was
a known narco-trafficker). The notion of spreading "our" values lies
behind not just Iraq, but behind the destruction of Yugoslavia as well.
An examination of who profits from these exercises in neo-liberal
do-gooding is rarely taken (Camp Bondsteel was built by Kellogg, Brown
and Root... as a quick example). The American force for good has to go
in and save people by killing more of them. Few question the
assumptions behind buzzwords like Srebrenica or ethnic cleansing (get
Sharon on the phone again, OK?) or mass rape or death squads. Evidence
seems unnecessary and increasingly due process seems simply an
irritant, to be done away with, if at all possible. Presumption of
guilt seems no obstacle to a "fair" trial. From Guantánamo Bay or Abu
Ghraib to The Hague is not such a leap. From the Star Chamber or the
Texas Death House, to the irrationality of Carla Del Ponte, Jeffrey
Nice, or the late Richard May (who died of brain cancer mid-trial) is
also but a small step. Crises occur and few ask for what or who created
them. Just send in the UN, or the Marines, and kick some ass, dump some
munitions, and then call in the World Bank and the IMF. A favorite
argument of the liberal left starts with the opening giveaway that
history not be exhumed, and that one should only ask "what is to be
done now?" As if that is the new reality principle, the new
realpolitik. History is increasingly to be ignored or taken on faith
from State Department memos, and that the difficult and often nearly
impossible task of sifting through the remains of cultures and peoples
and villages is just too complicated and time consuming, and often
(most importantly) yields only partial results. Real history is not
made of the whole-cloth (invented) truisms so beloved by the new
liberal journalists that serve as hagiographers for our Imperial class.
It's as if to question the veracity of major magazines and newspapers;
to question the possible agenda of journalists (clinging to jobs where
the paycheck comes from a corporation with a vested interest in the
matter) is too large a leap -- it threatens too much of the bedrock
trust in societal institutions. Without that trust the sense of our
place and role would be threatened, and without that sense, people tend
to reach psychic fail-safe.
The script for the ICTY was to blame Serbian aggression for the wars in
the Balkans. The Serbs must then accept guilt and voilà, history will
be re-written to accommodate the US strategic and business interests.
The destruction of legality evident at the ICTY is important for other
reasons as well. If such kangaroo courts are given credibility and
accepted, then one can pretty well expect a similar erosion of due
process when the courts are prosecuting junkies and homeless people,
black teenagers and Latino gang members. They can all expect to have to
adhere to even more stringent standards of innocence, while Poindexter,
Negroponte or Elliot Abrams can continue to find work in high places
and sleep comfortable in the knowledge that their privileges are
guaranteed. The same folks who lied about WMD previously lied about
Yugoslavia. The National Endowment for Democracy and the co-opted US
media trotted out all manner of myth and fiction, most now roundly
discredited, and yet those myths stuck. Everything from disguising the
identity of the narco-gangsters of the KLA as plucky freedom fighting
underdogs (with help from Paul Wolfowitz and the Balkan Action Council,
and Bob Dole, for whom Albanian-Americans raised over a million dollars
to assist his election campaign -- Diana Johnstone is particularly good
on this subject), to the negative labeling of Milosevic as a
hyper-Nationalist (we all know Bush and Kerry are nothing of the sort)
and a fascist. All managed to find traction in the popular
consciousness on the Balkans. The fundamental illegality and outright
criminality of The Hague is obvious even if one insists on buying into
the rest of the US story on Milosevic. At the very least I would hope
the naked and blatant lack of fairness involved at the ICTY will be
acknowledged, for it is the starting point for a re-examination of this
entire shabby chunk of revisionist history. I hope that at the least,
the biases and contradictions of the jingoistic press will be
denounced; for to continue to accept the glaring lack of impartiality
of this Tribunal, and its coverage, is to accept another step in the
police state's death grip on our existence.
• • • • • •
John Steppling is a LA playwright (Rockefeller fellow, NEA recipient,
and PEN-West winner) and screenwriter (most recent was Animal Factory
directed by Steve Buscemi). He is currently living in Poland where he
teaches at the National Film School in Lodz.
Please, feel free to insert a link to this work on your Web site or to
disseminate its URL on your favorite lists, quoting the first paragraph
or providing a summary. However, please DO NOT steal, scavenge or
repost this work on the Web without the expressed written authorization
of Swans. This material is copyrighted, © John Steppling 2004. All
rights reserved.
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c/o GAMADI, Via L. Da Vinci 27
00043 Ciampino (Roma)
tel/fax +39-06-4828957
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Conto Corrente Postale numero 86557006
intestato ad Adolfo Amoroso, ROMA
causale: DIFESA MILOSEVIC
sito internet:
http://www.pasti.org/linkmilo.htm
foreign capitalists
[ Le importanti acciaierie di Zenica, in Bosnia-Erzegovina, sono oggi
"finalmente" nelle mani del capitale straniero (51% agli inglesi della
LNM, il secondo monopolio piu' grande del mondo, 41% ai kuwaitiani
della KIA, e solo il restante 8% nelle mani del cosiddetto "Stato".
Ecco a che cosa e' servita la "guerra per l'indipendenza" di
Izetbegovic, ed ecco perche' l'Occidente l'ha calorosamente
appoggiata... Sull'argomento vedi anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3640 ]
http://news.yahoo.com/news?tmpl=story&u=/afp/20040816/bs_afp/
bosnia_steel_company_040816215134
Business - AFP
LNM Holdings buys majority stake in Bosnia's biggest steelworks
Mon Aug 16, 5:51 PM ET
ZENICA, Bosnia-Hercegovina (AFP) - The world's second-largest steel
producer, LNM Holdings, bought a 51-percent stake in Bosnia's biggest
steelworks, BH Steel, for 80 million dollars (65 million euros).
Under the deal signed here by the LNM head, India-born Lakshmi Mittal,
and Bosnia's Muslim-Croat entity's Prime Minister Ahmed Hadzipasic, the
group is to invest at least another 135 million dollars over the next
ten years in modernizing the work process.
It is the biggest single investment in Bosnia following the 1992-95 war
that ruined the Balkans country's communist-style economy.
LNM Holdings was selected in June for negotiations on the purchase,
after the owners rejected another bid submitted by ISPAT Group of India.
LNM is obliged to activate integral production of the steelworks until
the 2007 raising it from the current 150,000 tonnes of steel per year
to between two and 2.5 million tonnes.
The group is to keep all 2,850 BH Steel workers, and plans to increase
the number of employees to 4,000 or 4,500 over the next few years.
BH Steel was set up in 1999 as a joint venture owned by the government
of Bosnia's Muslim-Croat part and The Kuwaiti Investment Agency (KIA).
KIA, which has invested 95 million dollars (75 million euros) in BH
Steel, is to keep 41-percent stake in the company, while the remaining
eight percent will remain in the hands of the goverment.
The steelworks, located in the central town of Zenica, was the main
producer in the former Yugoslavia, but it was devastated during the
country's war.
In April this year, LNM bought a majority stake in the Ljubija iron
mine in the northwest of the country, for 15.1 million dollars.
The mine is planning to produce one million tonnes of iron ore in 2005
and 1.5 million tonnes in 2006, which would be further processed by the
BH steel.
LNM has assets producing about 14 million tonnes of iron in central and
eastern Europe, including acquired operations in the Czech Republic,
Poland, Romania and Macedonia.
1. L'état désolé des droits de l'homme au Kosovo (Beta 12/7)
2. Plan pour le Kosovo à l'agenda de l'UE (Beta 12/7)
3. L'OTAN et les Nations unies n'ont pas su protéger les minorités au
Kosovo, selon Human Rights Watch (AP 26/7)
4. "Voyage d'inspection citoyenne" au Kosovo : premiers jours (13 août
2004)
5. Un nouveau responsable de l'Onu au Kosovo
(NOUVELOBS.COM, 16.08.04)
=== 1 ===
Beta, 12 juillet 2004
L'état désolé des droits de l'homme au Kosovo
L'ombudsman pour le Kosovo Marek Anthony Novicki a déclaré que l'état
des droits de l'homme au Kosovo était en dessous de tous les standards
minimaux
Selon Novicki, c'est particulièrement vrai pour les non albanais vivant
dans la région.
«Même après 5 années d'occupation par les organisations
internationales, les droits fondamentaux à vivre, à travailler et à se
déplacer librement, ne sont toujours pas garantis pour les Serbes et
les Roms» a-t-il dit lors d'une conférence de presse à Pristina.
Il estime que la raison de cela, c'était la corruption largement
répandue à l'intérieure des institutions du Kosovo, et le fait qu'un
petit nombre d'individus avaient la plus grande partie du pouvoir dans
cette région.
Novicki a également déclaré que de plus en plus de gens quittaient le
Kosovo depuis les émeutes de mars, et peu y revenaient
Selon lui, les rapports des émeutes de mars que son organisation avait
fait, aboutissaient à des conclusions complètement différentes de
celles de la KFOR et de la MINUK, qu'il estime très peu claires et
exaspérantes [? unnerving].
=== 2 ===
Beta, 12 juillet 2004
Plan pour le Kosovo à l'agenda de l'UE
Les ministres des affaires étrangères de l'Union européenne sont réunis
pour examiner un plan préparé par les fonctionnaires autrichiens pour
résoudre la crise au Kosovo.
Selon ce plan, le gouvernement du Kosovo devrait recevoir d'avantage de
prérogatives sur les questions locales, tandis que la communauté serbe
de la région recevrait d'avantage d'autonomie.
La ministre autrichienne des affaires étrangères, Benita
Ferrero-Waldner, a déclaré que le rapport devrait être discuté
publiquement, avant qu'on aboutisse à une décision finale sur son
contenu. Elle dit que la situation de cette région du sud-est de
l'Europe est très importante pour l'Autriche.
«Il est vital de créer une atmosphère de sûreté.La sécurité et le
respect des minorités ethniques est également une priorité, cela peut
être atteint avec un certain niveau de décentralisation» a-t-elle dit.
Le président serbe Boris Tadic a également parlé de la situation au
Kosovo hier dans son discours inaugural [11 juillet].
«La sécurité de tous les citoyens de Serbie est une priorité pour le
Kosovo, de même que le retour de toutes les personnes déplacées de
cette région, et la reconstruction de toutes les maisons et églises
détruites, et le respect des droits de l'homme. Ce sont les facteurs
qui détermineront la paix et la stabilité dans les Balkans», a-t-il dit.
Tadic a déclaré que la coopération avec l'Union Européenne, les Nations
Unies et les USA est nécessaire pour apporter la stabilité au Kosovo.
=== 3 ===
lundi 26 juillet 2004, 17h44
L'OTAN et les Nations unies n'ont pas su protéger les minorités au
Kosovo, selon Human Rights Watch
PRISTINA (AP) - L'OTAN et les Nations unies ont manqué "de façon
catastrophique" à leur devoir de protéger les minorités au Kosovo lors
des violences ethniques qui ont frappé la province en mars dernier,
accuse Human Rights Watch dans un rapport publié lundi.
L'organisation indépendante, basée à New York, reproche notamment aux
soldats de la KFOR d'avoir verrouillé leurs portes à au moins quatre
reprises, alors que des incendies ravageaient plusieurs maisons serbes
à proximité de leurs bases lors des émeutes qui ont fait 19 morts et
900 blessés mi-mars.
"La KFOR et la police internationale de l'ONU ont manqué de façon
catastrophique à leur devoir de protéger les minorités lors de ces
émeutes", dénonce Human Rights Watch dans ce rapport de 66 pages, qui
accuse également la communauté internationale de nier "ses propres
échecs au Kosovo".
Pour un porte-parole de la KFOR, le colonel Horst Pieper, ce rapport ne
montre pas les soldats de maintien de la paix à leur juste valeur. "Ces
rapports, écrits depuis une position confortable, ne rendent pas
hommage aux efforts des soldats". Ces derniers "ont rapidement
stabilisé la situation en quelques heures lors des émeutes et empêché
(...) une guerre civile", a-t-il rappelé. "Ils ont fait de leur mieux
pour (...) sauver de nombreuses vies".
Quelque 800 maisons et églises orthodoxes avaient été démolies et
environ 4.000 personnes, essentiellement des Serbes, déplacées, lors de
ces violences albanophones à l'encontre de la communauté serbe. Il
s'agissait des pires violences ethniques depuis la fin du conflit au
Kosovo en 1999.
La KFOR avait à l'époque expliqué avoir préféré sauver des vies, plutôt
que des bâtiments. Plus de 1.200 personnes avaient trouvé refuge dans
les bases militaires de la force de l'OTAN. Ces événements a soulevé
des questions sur sa capacité à prévenir ou réprimer de telles
violences. AP
=== 4 ===
"Voyage d'inspection citoyenne" au Kosovo : premiers jours
13 août 2004
Nous quittons Belgrade à une douzaine de personnes, originaires de
Belgique, France, Suisse et États-Unis, repartis dans 4 véhicules.
Notre première étape est la petite ville de Pozega, dans l'ouest de la
Serbie.
Reçus chaleureusement par la Croix-Rouge locale, notre principale
activité est la visite d'un camp de réfugiés serbes du Kosovo. Le camp
abrite, depuis près de 5 ans, une bonne centaine de personnes toutes
provenant du village de Drsnik, dans la commune de Klina, comptant
alors également une minorité d'Albanais catholiques avec lesquels les
Serbes se sont toujours bien entendu. Ils ont été expulsés le 17 juin
1999, lors de l'arrivée des forces de l'OTAN, suivies des hordes de
l'Armée de libération du Kosovo (UCK). L armée italienne leur donna 2
heures pour quitter leur village, sans même leur fournir d'escorte.
Apres une nuit épouvantable sous les tirs de l'UCK, les Serbes finirent
par être escortés par l'armée française pour sortir du Kosovo.
Ils survivent depuis grâce à une allocation fournie par la Croix-Rouge
serbe et une aide en nature provenant du Secours Populaire français.
Ils vivent jusqu'à 7 par pièce dans des pavillons loués par une
entreprise. Ils se disent bien intégrés et acceptés par la population
locale, mais ne parviennent pas à trouver d'emploi dans une Serbie
frappée par un chômage de plus en plus massif. Leur souhait le plus vif
est de rentrer chez eux, à condition de pouvoir bénéficier d'un minimum
de sécurité et de liberté de mouvement. "Nous n'avons besoin de rien,
seulement de la liberté", nous déclare une femme en guise de conclusion.
14 août 2004
Dès notre arrivée au Kosovo, nous rendons visite aux réfugiés roms
installes dans un hangar à Leposavic, en zone serbe. Ils proviennent de
diverses villes du Kosovo et sont près de 200 à subsister dans ce camp
à l'extrême nord du Kosovo. Certains espèrent encore revenir un jour
chez eux, mais d'autres ne pensent qu'à trouver un pays tiers qui
acceptera de leur donner l'asile.
Plusieurs familles sont originaires de ce qui était le plus grand
quartier rom (``mahala``) du Kosovo, a Mitrovica. Pillée et incendiée
par l'UCK peu après l'arrivée des soldats français de l'OTAN, qui leur
avait donné 5 minutes pour partir, la mahala n est plus qu'un champ de
ruines d'un Km de long sur la rive sud de la rivière Ibar a Mitrovica.
Ils disent être bien acceptés par la population et les autorités serbes
locales et, outre une aide mensuelle de quelques dizaines d'euros par
famille, ils subsistent en faisant les marches et d'autres petits jobs.
Leurs conditions de vie, dans un hangar découpé en chambres au moyen de
cloisons en bois, restent néanmoins précaires, en particulier pour ceux
ayant besoin de soins médicaux qu'aucune organisation humanitaires ne
veut financer.
En soirée, à Mitrovica, nous rencontrons Oliver Ivanovic, un des
principaux leaders serbes du Kosovo, élu au parlement du Kosovo, dont
il est un des vice-présidents.
Relativement optimiste, convaincu que, depuis les pogroms de mars, les
Albanais ont perdu l'auréole de martyrs dont les avait affublé la
communauté internationale, il espère et se battra pour qu'un moratoire
d'au moins 10 ans précède toute décision sur le statut final du Kosovo.
Les négociations devraient commencer l'an prochain, mais les positions
serbe et albanaise sont tellement irréconciliables (l'indépendance tout
de suite pour les Albanais, tout sauf indépendance pour les Serbes) que
seule une telle solution pourrait aboutir à un semblant d'accord. Il
prône la participation aux élections législatives d'octobre prochain,
alors que de nombreux Serbes, au Kosovo comme à Belgrade, sont en
faveur de leur boycott.
=== 5 ===
Un nouveau responsable de l'Onu au Kosovo
NOUVELOBS.COM | 16.08.04 | 17:27
Le diplomate danois Soeren Jessen-Petersen a pris officiellement lundi
16 août ses fonctions de nouveau chef de l'Onu au Kosovo dans un
contexte difficile, la minorité serbe restant traumatisée par les
violences de mars dernier pour lesquelles l'Otan et l'Onu ont été
vivement critiquées.
A près de premières rencontres avec le président et le Premier ministre
de la province(les Albanais Ibrahim Rugova et Bajram Rexhepia), Soeren
Jessen-Petersen a déclaré : "Nous devons injecter une nouvelle énergie
dans un contexte d'urgence pour faire face ensemble à l'important ordre
du jour qui est devant nous".
Cinquième chef de la Mission de l'Onu (Minuk), Soeren Jessen-Petersen
succède au Finlandais Harri Holkeri qui a démissionné en mai dernier. A
son arrivée dimanche à Pristina, Soeren Jessen-Petersen, a placé la
question du Kosovo, où des élections législatives sont prévues le 23
octobre prochain, au coeur de la problématique des Balkans.
"Il n'y aura pas de stabilité ni de retour à la normale dans les
Balkans occidentaux tant que la question du Kosovo n'est pas résolue",
a-t-il déclaré. "Je crois fermement que le Kosovo est la dernière pièce
du puzzle qui va faire sortir les Balkans occidentaux du conflit des
années 1990 pour les mener vers la voie de la normalisation, de la
stabilité et de l'intégration européenne", a-t-il ajouté.
Le Kosovo, placé en 1999 sous protectorat international, est
formellement une province de Serbie-Monténégro mais les Albanais qui y
sont majoritaires veulent l'indépendance et réclament des pouvoirs
accrus.
Traumatisme des violences de mars dernier
Pour Soeren Jessen-Petersen la situation est d'autant plus délicate que
la minorité serbe --environ 80.000 personnes-- reste traumatisée par
des violences qui, en mars dernier, ont fait 19 morts et plus de 900
blessés.
L'Otan et l'Onu avaient été vivement critiquées par l'organisation
humanitaire Human Rights Watch pour n'être pas parvenues à protéger les
Serbes en mars dernier.
Les violences ont représenté un échec "catastrophique" pour la Mission
de l'Onu au Kosovo (Minuk) et l'Otan, avait estimé Human Rights Watch
dans un rapport.
"Il reste beaucoup à faire pour réparer les dommages physiques et
psychologiques résultant des affrontements" de mars, a souligné de son
côté le secrétaire général de l'Onu, Kofi Annan, dans un récent rapport
sur la situation au Kosovo.
Risque de boycott
Ces violences ont conforté Belgrade dans l'idée que les Serbes ne
devaient pas participer aux législatives d'octobre, leur sécurité
n'étant pas garantie.
Le boycott serbe, s'il persiste, aura pour conséquence la formation au
Kosovo d'un parlement albanais éthniquement homogène et face à ce
risque, Soeren Jessen-Petersen a, dès son entrée en fonction, appelé
les Serbes à revenir sur leur décision.
"Les élections seront un nouveau test pour les institutions et les
habitants du Kosovo", a-t-il dit, qualifiant d'"extrêmement important"
la participation de toutes les communautés.
Cet appel est intervenu alors que l'Otan a renforcé récemment les
mesures de sécurité au Kosovo, en particulier autour des enclaves
serbes, les soldats de l'Otan ayant notamment reçu l'autorisation
d'ouvrir le feu sur d'éventuels assaillants.
Data: Mar 17 Ago 2004 15:05:16 Europe/Rome
A: icdsm-italia@ yahoogroups. com
Oggetto: [icdsm-italia] Scott Taylor and Sarah Flounders
Scott Taylor and Sarah Flounders
1. Behind Bars with Slobodan Milosevic (By Scott Taylor)
Scott Taylor, saggista e giornalista canadese con una lunga esperienza
di cose balcaniche, e' tra le persone che hanno gia' accettato di
presentarsi all'Aia per testimoniare in favore di Slobodan Milosevic
alla ripresa del "processo". In questo articolo egli descrive sei ore
passate in una stanza del carcere dell'Aia insieme a Milosevic e ad una
macchinetta di caffe'...
2. Hague court tries to silence Milosevic (By Sara Flounders)
Sara Flounders - nota attivista dello statunitense International Action
Center di Ramsey Clark e co-autrice dell'eccezionale libro: 'Hidden
Agenda--the U.S.-NATO takeover of Yugoslavia' - commenta i vergognosi
tentativi, da parte del "Tribunale ad hoc" dell'Aia, di impedire che
Milosevic si autodifenda dalle accuse mossegli...
---( 1 )---
http://www.espritdecorps.ca/new_page_231.htm
http://www.artel.co.yu/en/izbor/jugoslavija/2004-08-17.html
Behind Bars with Slobodan Milosevic
By Scott Taylor
ESPRIT DE CORPS - August 16, 2004
Esprit de Corps publisher and military author Scott Taylor has agreed
to testify at The Hague War Crime Tribunal at the request of former
Serbian President Slobodan Milosevic. In preparation for his upcoming
court appearance, Taylor spent six hours behind bars with the indicted
war criminal who serves as his own legal counsel. Taylor writes of his
experience.
“How would you like your coffee?” Even as I answered, the whole
situation was so surreal. Here was Slobodan Milosevic, the former
President of Serbia and an indicted war criminal, making me a Nescafe
in a plastic cup. Having reported on the Balkan wars for the past 12
years, Mr. Milosevic had, for me, always been a somewhat larger than
life figure throughout that period. Whether he was loved by the
million-plus crowd that chanted “Slobo! Slobo!” in June 1989, or hated
by the similar-size angry mob that ousted him from power in October
2000.
Now I was suddenly face to face with the man in a prison cell. The
whole experience was surprisingly casual. It was definitely unnerving,
almost like seeing the curtain pulled back on the wizard of Oz. To be
fair, I must point out that I was not there to interview Mr Milosevic,
rather, I was the one being questioned.
Under the terms of his incarceration, the former Serbian president is
not allowed to meet with media or make public statements. In order for
me to have access to the prisoner I had to sign a very strict
non-disclosure agreement that prevents me from describing any aspect of
the actual detention facility in which Mr. Milosevic is being detained
nor can I speak of “The health of the accused, including his mental
health and physical appearance.”
While I obviously cannot describe in detail the actual set of security
measures at the detention facility, I would simply advise any future
witnesses to be sure to wear clean underwear on the day of their visit.
While not intrusive the searches were thorough.
As for his person, I believe that I can safely mention that Mr.
Milosevic wore a plaid shirt buttoned to the top and casual slacks, but
I cannot reveal any detail that would describe his mood or emotions
during our six-hour meeting.
Another rule forbids me from disclosing “Any other information relating
to … any detainee other than the accused.” However, I do not think that
it would be a violation of these guidelines to point out that when Mr.
Milosevic came into contact with other Serbian prisoners he was greeted
cordially as “Slobo” and was introduced respectfully to their visiting
family members.
I also don’t think I’m violating the spirit of the signed agreement by
stating that Mr. Milosevic speaks excellent if somewhat accented
English. The only confusion we had during our conversation was when he
discussed Canadian Justice Louise Arbour’s indictment of Milosevic on
26 May 1999. I mentioned that at that time I was actually in Belgrade
reporting on the NATO air strikes. As chief prosecutor for the newly
formed was crimes tribunal, Arbour had startled the world with her
surprise mid-war announcement of the Serbian President’s indictment.
“That was funny.” I heard him say, but when I questioned his response
Milosevic corrected himself. “Phoney” he said and after a moment’s
hesitation, he added “and funny too.”
There is also a strict guideline whereby The Hague Tribunal can deny
access to a visitor if they believe their purpose is “to obtain
information which may be subsequently only reported in the media.”
However, I am not prevented from discussing my personal experience and
potential testimony, which was the reason for my visit to The Hague.
The genesis of this trip began when I received a telephone call from
Belgrade in mid-July. The caller, Branko Rakic, identified himself as a
legal assistant to Slobodan Milosevic. He advised me that three of my
books- Tested Mettle, Inat and Diary of an Uncivil War had been
obtained by the defense team and submitted to The Hague’s International
Criminal Tribunal for the former Yugoslavia (ICTY) as evidence. Mr.
Rakic also told me that Mr. Milosevic wished to interview me as a
potential witness and I was told upfront that I would not be compelled
to testify. My cooperation would have to be voluntary.
From a personal standpoint, I naturally had reservations about
appearing before such a tribunal, particularly as I have frequently
questioned the impartiality and legitimacy of such a post-war judicial
process –established and funded by the victors to determine the guilt
of the defeated. However, as a journalist and author, having spent so
many years covering the complex Balkan conflict, the prospect of
meeting one of the central figures was too powerful a lure to decline.
The entire administration process of becoming a Tribunal witness was
also fascinating. Following the formal request for an interview by
Milosevic’s team, the travel arrangements were then processed by the
ICTY’s Witness and Victims Section. Approximately 34 clerks and field
workers are assigned to facilitate such visits to The Hague. While the
cloak-and-dagger precautions – from coded signs held by the airport
guide to the anonymous hotel registration –seemed somewhat excessive,
they served to remind me of the magnitude of the crimes committed and
of the far-reaching power of many of the accused. Many of the witnesses
actually appear under the condition of Tribunal protection. While this
option was offered to me, given that my books are public documents I
declined.
As the Tribunal is technically in recess throughout the month of
August, I happened to be the only witness called during this particular
72 hour period. When the cases are being heard the Witness and Victims
Section handles as many as 30-40 individuals a day. For privacy and
security reasons they are housed in a number of different hotels
located throughout the city.
My hotel happened to be located very close to the detention center and
only meters from The Hague’s beaches. As one of northern Europe’s most
popular seaside resorts, there were thousands of topless bathers making
the most of the mid-summer heat wave just a half kilometre from the war
crimes prison. Perhaps fortunately for the inmates, the packed beaches
cannot be seen over the red bricked walls of their confines.
Judging from the volumes of documents and books cluttering his desk and
bookshelves, Mr. Milosevic would have little time for such
distractions. He has only until August 31 to prepare and finalize his
defence, and he plans to call several hundred witnesses. Included in
his wish list are a number of potentially ‘hostile’ witnesses such as;
Bill Clinton, Tony Blair and former NATO spokeperson Jamie Shea. While
there is little chance that any of them would willingly agree to
testify, the request to compel their attendance will be a difficult
challenge to the prosecutors. Not that there is any shortage of legal
expertise arrayed to contest such a challenge. The number of lawyers
and researchers on the prosecution team is estimated to consist of
several hundred personnel – a large percentage of whom are Canadians.
Although he is representing himself in this case, Mr. Milosevic is
being assisted by a very small team of legal supporters and
researchers. They operate with only a minimum of financial assistance
from the Tribunal, and most of their financial support comes from
private donations-mostly by Serbian expatriates, including several
Canadians.
Researcher Cathrin Schuetz accompanied me when I met with Mr.
Milosevic. The 33-year-old German political science graduate commutes
by train from her hometown near Frankfurt-a five-hour trip to The Hague
– to process potential witnesses. “We operate on a shoestring budget,”
she explained, “but we believe that everything must be done to try and
achieve a fair trial.”
One of the things most disconcerting to the small defence team is that
the Tribunal is once again trying to impose its own legal counsel on
Mr. Milosevic. “They say that it is for health reasons, but that is not
true,” said Ms. Schuetz.
“They told him ten days before his defence was supposed to begin that
the trial was postponed. He stopped his preparations of their orders,
but the Tribunal did not inform the media,” continued Ms. Schuetz. “
Instead, they allowed foreign journalists to register and then brought
Mr. Milosevic to the trial chamber on the original date. When he
explained that he was not prepared because of the health restriction,
the Tribunal used this as further proof that they must impose counsel
on him. It was courtroom theatrics.”
In addition, members of his defence team allege that events are being
orchestrated to deliberately isolate Mr. Milosevic with the aim of
heightening his stress levels.
“Following the indictment of Mira [Markovic] in Serbia last year,
Slobodan has not been allowed to see his wife,” said Ms. Schuetz. “This
only further isolated him and denied him personal support.” In most
published accounts concerning the Milosevics, they were always
described a “inseparable” and considered “soul mates.” While she
conducted her own political career, her Party was always seen as an
extension of her husband’s Socialists. When Slobodan was first handed
over to The Hague, Mira would make frequent trips to visit him in jail
and to attend the tribunal hearings.
Next week, on 20 August, Mr. Milosevic will mark his 63rd birthday
alone in his cell. This will be his fourth such non-celebration since
his handover to The Hague on June 28, 2001.
The hundreds of witnesses Mr. Milosevic intends to call also includes a
large number of Canadians. While I cannot disclose any information as
to their identities or potential testimony, Mr. Milosevic will be
tabling evidence in his defence from all aspects of the Balkan wars-
dating back to the breakup of Yugoslavia in 1990.
For my part, the evidence cited from my books concerns a number of
issues pertaining to the atrocities witnessed by Canadian troops
serving in Bosnia and Croatia between 1992 and 1995. One incident of
particular interest to Mr. Milosevic was the September 1993
confrontation in the Medak Pocket. Although Canadian soldiers had
engaged Croatian troops and officially recorded the atrocities the
Croats had committed against Serbian villagers, many of the key
participants were never brought to justice before The Hague.
Furthermore, one of those responsible in the massacre ended up playing
a lead role –with NATO’s blessing –in the 1999 conflict in Kosovo.
The Milosevic defence team recognized my role in first breaking the
previously untold story of the Medak (with David Pugliese of the Ottawa
Citizen) in the fall of 1996. The events of the Medak Pocket were also
detailed in my books Tested Mettle: Canada’s Peacekeepers at War (1998)
and Inat: Images of Serbia and the Kosovo Conflict (2001).
While some of my peers have already questioned me as to why I would
take the stand to defend an alleged war criminal, when I discovered the
nature of my intended testimony I realized that I would simply be
defending the stories I had already written. I believe it would
undermine any journalist’s credibility if he or she was to refuse to
stand by their reports under such circumstances.
When I was finally ushered out of the detention center at the
conclusion of our meeting, Slobodan Milosevic was taken by the guards
back to his private cell. In addition to making coffee for witnesses,
the ex-president in now apparently responsible for preparing his own
meals.
Esprit de Corps © 2002-2004
---( 2 )---
http://www.iacenter.org/milos_ctsilence.htm
Hague court tries to silence Milosevic
By Sara Flounders
6 July 2004
As powerful defense case is about to open - Hague court tries to stop
Milosevic from representing himself at trial.
Despite objections from former Yugoslav President Slobodan Milosevic,
the NATO-created International Criminal Tribunal for the Former
Yugoslavia (ICTY) at The Hague stopped him on July 5 from presenting
the defense half of his trial based on Milosevic's medical problems.
Milosevic's supporters call this an attempt to use his medical
condition to "silence the truth."
Tiphaine Dickson, an attorney from Canada who is assisting Milosevic's
supporters, said, "The Prosecutor is attempting, yet again, to force
President Milosevic to accept legal counsel to represent him, using his
poor health as an excuse. President Milosevic has insisted that he
represent himself from the onset. Within the U.S., the Supreme Court
has recognized this as a right under the Sixth Amendment to the
Constitution. To refuse to allow him this right would turn the already
illegal ICTY hearings into a star-chamber proceeding."
In a conversation with his aide Vladimir Krsljanin regarding the latest
developments, Milosevic said, "This illegal court is daring to judge
biological and medical issues after they have proven incapable of
judging legal and historical issues. This court is like the
Inquisition."
The defense was finally set to open after two years of prosecution
testimony that included some 300 witnesses hostile to President
Milosevic. Many observers believe that the prosecution has failed to
present credible witnesses who can connect the defendant with the
crimes with which he has been charged.
Madeleine Albright, who was U.S. secretary of state during the 1999
U.S.-NATO war against Yugoslavia, was seen in The Hague at the ICTY
building on July 5. Supporters of Milosevic believe that her presence
is connected with the court's decision to postpone the trial and its
attempt to change the rules.
Milosevic’s long-time aide, Vladimir Krsljanin, speaking from Belgrade
on July 5, said, "What we have seen at The Hague is the worse kind of
political theater. It is a legal outrage directed at the president.
Slobodan Milosevic was brought to trial while he was suffering bad
health conditions. Despite our pleas and complaints and the petitions
of medical experts to the ICTY, it refused our demands for more time
for preparation and rest for President Milosevic."
"First the court created conditions that worsened his health and now
they are using his ill health to justify stifling his presentation of
his powerful defense case," said Krsljanin.
In a recent document, former U.S. Attorney General Ramsey Clark has
made himself clear on the issue of Milosevic’s right to defend himself:
"President Milosevic chose to 'defend himself in person,' a fundamental
human right recognized by the International Covenant on Civil and
Political Rights."
On the prisoner's health and the ICTY's responsibility, Clark wrote in
a recent document: 'In the interest of truth, fairness in fact and
appearance, justice and respect for international law and
organizations, Slobodan Milosevic must be afforded medical and health
care, living conditions that protect his well being, require
presentation of prosecution evidence through witness testimony and
provide the time and means necessary to present his defense in a fair
trial in the absence of the abolition of the ICTY."
Prosecution case: Two years long -
The ICTY opened the prosecution case in February 2002 after a year of
preparation. At that time, the ICTY and the media presented the
Milosevic case as "the trial of the century." That's when the
prosecution hoped to use it as a show trial to convict the Yugoslav
leader and blame him and the entire Serb people for the wars in the
Balkans.
Within the first month, however, Milosevic had so ably handled his
political and legal presentation, and had so effectively cross-examined
hostile witnesses that many reporters had to admit that publicity on
the case damaging NATO’s justification for the war.
Throughout the two years of prosecution that ended last February,
President Milosevic was plagued by high blood pressure and a heart
ailment. The court delayed proceedings, but refused to release him from
the harsh prison conditions or to give him the medical care of his
choice.
The ICTY allowed Milosevic only 90 days to prepare his defense and was
to allow only 150 days for him to present it, half the time the court
took for the prosecution. Any time there is a delay for his health, the
court refuses to allow him access to any papers or books or to
interview potential witnesses at leisure. He even lost 50 of the 90
days preparation for this reason.
As part of his defense case, Milosevic was preparing to call as
witnesses a number of political analysts and activists who have
written, spoken and organized against U.S. and NATO intervention in the
Balkans. Some of these potential witnesses have contributed articles to
'Hidden Agenda--the U.S.-NATO takeover of Yugoslavia,' edited by John
Catalinotto and Sara Flounders and published in 2002 by the
International Action Center (IAC).
Flounders, who is a co-director of the IAC, was among those scheduled
to be among the early witnesses and met with Milosevic in The Hague on
June 28. She said that, "The attempt to remove Milosevic as his own
attorney is an admission of President Milosevic's innocence of the
war-crimes charges and of the U.S. and NATO guilt in planning,
executing and carrying out a 10-year war that broke a strong and
successful Yugoslav Federation up into a half-dozen weak colonies and
neo-colonies subservient to the United States and Western Europe.
“Just as the weapons of mass destruction have never been found in
Iraq,” Flounders continued, "the charge of massacres, mass graves and
genocide proved to be an utter fabrication in Kosovo. It is essential
that President Milosevic have a full opportunity expose NATO's war
crimes and to defend Yugoslavia and to answer these charges against his
government."
Contact numbers:
Sara Flounders International Action Center
(212) 633-6646 x 27,
Maitre Tiphaine Dickson of Canada, assisting the
International Committee for the Defense of Slobodan
Milosevic, is ready to deliver press statements:
450-263-7974,
Vladimir Krsljanin, who is Milosevic’s closest aide and
head of the Sloboda (Freedom) organization:
381-63-886-2301 (Belgrade),
Distributed by:
International Action Center
39 West 14th St., #206, New York, NY, 10011
Tel: 212-633-6646, Fax: 212-633-2889, www.iacenter.org
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DOMINATRICE DEI MARI
Da: i s t c o m @yahoogroups.com
Data: Dom 8 Ago 2004 12:18:55 Europe/Rome
A: i s t c o m @yahoogroups.com
Oggetto: [istcom] la porta...erei italiana
Un commento a questa storia della portaerei italiana.
La cosa in sé è ridicola, una classica buffonata italiana, simile a
quella mussoliniana dei sommergibili.
Ve la racconto.
Fino al 30. aprile. 1940 la marina italiana era la più potente marina
militare del mondo, aveva infatti 100 sommergibili: nessun'altra
potenza aveva un cosi possente schieramento di sommergibili.
All'indomani dell'ingresso in guerra si rivelò appieno tutta la
inconsistenza di questi 100 sommergibili: nel Mediterraneo essi sono
assai poco efficaci e non avevano alcuno strumento di rilevazione a
bordo, per cui al pari della marina militare italiana - corazzate,
incrociatori, ecc. erano perfettamente in grado di individuare il
nemico anche nella notte più profonda non appena la bordata nemica la
centrava.
Furono così annientati decine di sommergibili, quaranta se li prese poi
Hitler, ma non assolsero ad un ruolo nel corso della guerra, mentre la
marina militare inglese nel giro di alcuni giorni affondò nei porti
italiani - Taranto, Napoli, Genova - la flotta militare italiana,
dimostrando di avere già nel 1940 il controllo assoluto e totale del
Mediterraneo.
La portaerei italiana è della stessa razza.
La portaerei in sé non riveste una importanza strategica, se non vi è
tutto il resto - incrociatori, corazzate, fregate, ecc. - e richiede
inoltre tutto un apparato di rifornimento, quindi navi cisterne in
grado di fornire sia gli aerei, che la portaerei stessa.
La portaerei italiana, bello aspectu sed cerebrum non habet, non è che
una media portaerei, giacché ha un limitato trasporto di aerei e per
quanto attiene gli aerei stessi sono di media potenza e quindi una
assai limitata capacità offensiva.
Una portaerei simile ha un senso solo come supporto alle grandi
portaerei, per azioni di medio raggio, di avanscoperta o
retroguardia ad una task force principale. Per intenderci.
Unitamente alla elaborazione di una nuova strategia militare basata
sulle truppe corazzate e la combinata carro armato-aereo per quanto
attiene la guerra terrestre, viene elaborata la combinata aereo-nave
per quanto attiene la guerra sui mari, il cui teorico è il generale
Nimitz. La portaerei diviene quindi un potente strumento di guerra solo
se in combinata con l'aereo e con tutte le altre navi da guerra assieme
alle quali costituisce la task force marina. Diversamente è solo un
pezzo di ferro che galleggia.
E' come avere possenti carri armati e poi avere il trasporto tramite
cavalli e muli, ossia l'ippotraino.
La marina militare italiana non è in grado di costituire una task
force. La portaerei quindi è solo uno spreco - o regalo - di soldi ed
una stupida, e mussoliniana, mi si conceda il termine, mostrata di
muscoli. Diviene regalo e non spreco se e solo se la portaerei italiana
si integra con la task force statunitense, che di recente ha ritirato
dal Mediterraneo alcune portaerei e nella prospettiva dello spostamento
della base navale in Germania nel Mediterraneo con ampliamento della
base militare Nato a Napoli.
Ma fermarsi qui sarebbe ingeneroso verso l'intelligenza e la
genialità italiana, che ha dato prova di sé in maniera superlativa in
questa occasione, superando veramente se stessa: cosa assai difficile.
Ma come si sa il genio italico non ha limiti e confini.
In tutta la storia degli uomini, mai una nave è stata varata ed
inaugurata non ancora pronta.
Ed infatti tale portaerei non è finita e sarà consegnata nel 2007 ed è
stata inaugurata con la parte posteriore non completata, aperta, e dove
l'italica bandiera tricolore è stata chiamata a coprire tale vergogna.
Una inaugurazione con tanto di Capo di Stato, ministri e Stato
Maggiore (*) ma fasulla.
Certo, bisogna proprio stare a corto assai di argomenti, per
prestarsi a simili funzioni di coperchio!
istcom
06. 08. 2004
(*) Ed anche preti e vescovi: vedi sotto (ndCNJ)
http://www.liberazione.it/
Da "Liberazione" del 3 agosto 2004
L'arcivescovo di Genova al varo della nuova portaerei "Cavour",
strumento di morte
Quella benedizione e' una bestemmia
Quello che segue è l'articolo che don Tonio Dell'Olio, coordinatore
nazionale di Pax Christi, ha scritto in occasione del varo della nuova
portaerei italiana "Cavour", avvenuto a Genova lo scorso 20 luglio,
alla presenza del capo dello Stato.
Con in testa il presidente della Repubblica, e a seguire il ministro
della Difesa e il capo di Stato Maggiore della marina, oggi a Genova
inaugurano la nuova e più grande portaerei della Marina militare
italiana. La presenza del presidente della Repubblica dice da sola
della solennità che si vuole conferire al momento. Dice anche
dell'importanza e del significato di questa scelta che farà spendere
all'Italia un bel mucchio di soldi: 900 milioni di euro solo per il
momento. La portaerei infatti viene varata ma non ancora consegnata
alla Marina militare. La consegna avverrà nel 2007 allorquando la nave
sarà attrezzata di tutto punto dei suoi temibili strumenti di morte e
potrà solcare i mari per «essere impiegata in importanti missioni
all'estero» dice laconicamente il dispaccio del ministero. D'ora in poi
anche la Marina italiana potrà vantarsi di «poter finalmente puntare a
missioni internazionali a largo raggio». Aggiungendo poco dopo che la
portaerei «sarà in grado di ospitare anche i velivoli a decollo
orizzontale, come i nuovissimi Joint strike fighters (…) e un
sottosistema missilistico Saam-It Aster 15, due cannoni 76/62 "Davide"
per difesa a corto raggio, tre mitragliere da 25 millimetri Oto-Breda
(…)».
Come si vede si tratta di armamenti che sono molto lontani persino dal
normale impiego nelle cosiddette "missioni di pace" e che non
potrebbero in nessun modo essere considerate armi di difesa del
territorio, quanto di attacco. Il "pregio" di una portaerei infatti
consiste proprio nella possibilità di avvicinarsi all'obiettivo
permettendo l'operatività degli strumenti aeronautici giudicati
insostituibili per le guerre moderne e quelle del futuro. Il capo di
Stato Maggiore della Marina, l'ammiraglio Sergio Braghi, dopo aver
descritto le particolari tecnologie ultrasofisticate dell'imbarcazione
(velocità, capacità di alloggio, adattabilità alle diverse condizioni…)
ha esemplificato dicendo che «può raggiungere velocemente le coste del
Golfo Persico senza bisogno di rifornimento lungo il tragitto e
spendendo solo il 50% del carburante a sua disposizione».
Ma tutto questo rientra nella più classica della retorica militare. Se
rivedessimo oggi i filmati del Duce che inaugura i "temibili" armamenti
dell'epoca in dotazione al nostro esercito, rideremmo. Noi speriamo
sinceramente che anche i nostri nipoti un giorno potranno ridere
amaramente di noi commiserandoci.
Fin qui la retorica che speravamo definitivamente superata e che invece
ritroviamo puntuale e aggiornata. Una grande bandiera tricolore da
record avvolgerà lo scafo al momento del varo che vedrà come madrina di
eccezione una nobildonna discendente di Cavour.
Ma al di là della retorica il cerimoniale compassato prevedeo anche la
presenza dell'arcivescovo di Genova, il cardinal Tarcisio Bertone, già
presidente della commissione Cei Giustizia e Pace. Avrei sperato fosse
lì costretto esclusivamente dal dovere istituzionale dell'ospitalità
nei confronti del presidente della Repubblica e invece ancora il rigido
cerimoniale prevede la benedizione della portaerei.
Ho il vantaggio di scrivere quando l'evento non si è ancora consumato e
per questo lasciate che per un attimo mi lasci andare al sogno, al
desiderio di vedere finalmente i segni tangibili di una Chiesa che vive
per intero la profezia della pace.
Lasciate che pensi che il presule possa avere uno scatto di fierezza
evangelica e rifiutarsi di compiere quel gesto perché non si benedicono
mai gli strumenti di morte in nome del Dio vivente.
Il varo di una portaerei che sarà armata di tutto punto non è un segno
di fiducia e di speranza nel domani. E' una minaccia verso i popoli del
Mediterraneo e verso tutte le nazioni alle quali dovremmo piuttosto
aprirci con fiducia e senso di amicizia.
Non si benedice una portaerei perché è destinata a portare distruzione
e morte esattamente come Sua Eminenza si rifiuterebbe certo di benedire
la sala ospedaliera in cui si praticheranno le interruzioni di
gravidanza. Il comandamento tu non uccidere non ammette deroghe o
cedimenti perché sarebbe la negazione stessa della vita in cui splende
la presenza di Dio. In questo caso quella benedizione suonerebbe come
una bestemmia!
Non si benedice uno strumento di morte che ha già ucciso tutti coloro
che sarebbero stati salvati dalla morte per fame o malattia se quei 900
milioni di euro fossero stati investiti in programmi di sviluppo.
La benedizione cristiana poi in questo senso sarebbe di certo una
contraddizione più grande di una portaerei.
Nel nome del Padre che è il creatore si benedirebbe forse un simbolo
tanto potente della de-creazione?
Nel nome del Figlio che ci salva dalla morte offrendo se stesso alla
morte e perdonando i suoi uccisori, si benedice uno strumento che
pretende di salvarci arrecando la morte agli altri?
Nel nome dello Spirito Santo che vivifica e sostiene il mondo intero,
si può mai benedire ciò che sopprime ogni alito di vita?
Per queste ragioni voglio continuare a sperare e a pregare affinché il
cardinal Bertone scelga piuttosto di pronunciare un discorso e una
preghiera a favore della pace, della comprensione tra i popoli, del
rispetto dei diritti e della giustizia, della promozione e del
riconoscimento della dignità di ciascuna donna e ciascun uomo che
abitano questo pianeta. Questa vita, delle donne e degli uomini che
lavorano, sperano, si affaticano, amano, sorridono, danzano e cadono,
il Signore si degna ancora di ricolmare di benedizioni.
Tonio Dell'Olio