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Croazia: impunita' garantita per i criminali di guerra

1. IL TPI METTE BLASKIC ED ALTRI CRIMINALI IN LIBERTA'

2. Massacres croates : Encore un 'oubli' du TPI
(29/07/2004 - source : Balkans-Info / CBC)

Still on the Blaskic case, just note how IWPR reporters depict the war
criminal as an innocent and a hero:

BLASKIC SENTENCE SLASHED Bosnian Croat general to be released after
eight years in Hague detention. By Rachel S. Taylor in The Hague
http://www.iwpr.net/index.pl?archive/tri/tri_369_1_eng.txt

WRONGED GENERAL TO WALK FREE Tihomir Blaskic was a tolerant man who
was shocked by infamous massacre (sic!). By Alison Freebairn in London
http://www.iwpr.net/index.pl?archive/tri/tri_369_6_eng.txt


=== 1 ===

http://www.ansa.it/balcani/

TPI: PENA DRASTICAMENTE RIDOTTA PER GENERALE BLASKIC

(ANSA) - L'AJA, 29 LUG - La corte d'appello del Tribunale penale
internazionale (Tpi) per la ex Jugoslavia ha ridotto da 45 anni a nove
la condanna inflitta al generale croato di Bosnia Tihomir Blaskic.
Rispetto alla sentenza di primo grado i giudici hanno ora prosciolto
l'imputato dai reati piu' gravi di cui era accusato.(ANSA). VS
29/07/2004 11:09

TPI: PENA DRASTICAMENTE RIDOTTA PER GENERALE BLASKIC (2)

(ANSA) - L'AJA, 29 LUG - Blaskic, 44 anni, era imputato di crimini
contro l'umanita' e in particolare di aver personalmente ordinato il
massacro di 100 civili musulmani commesso all'alba del 16 aprile 1993,
nel villaggio di Ahmici, nella Bosnia centrale, all'inizio del
conflitto tra musulmani e croati di Bosnia. Nell'aprile '93 il generale
si e' consegnato spontaneamente al Tpi. La condanna a 45 anni
pronunciata dal tribunale di prima istanza era tra le piu' gravi fra
quelle inflitte finora dal tribunale dell'Aja. I difensori del
generale, utilizzando nuovi documenti reperiti negli archivi segreti
croati dopo la morte del presidente Franjo Tudjiman, hanno sostenuto
che delle piu' gravi responsabilita' attribuite all'imputato sono in
realta' colpevoli alcuni collaboratori diretti del capo dello stato
dell'epoca. (ANSA). VS
29/07/2004 11:17

TPI:BLASKIC LUNEDI' LIBERO, IN APPELLO RIDOTTA CONDANNA/ANSA

(ANSA) - L'AJA, 29 LUG - Tornera' libero gia' da lunedi' prossimo
Tihomir Blaskic, condannato nel marzo del 2000 dal Tribunale Penale
internazionale per l'ex Jugoslavia (Tpi) a 45 anni di reclusione per
crimini contro l'umanita' commessi fra il maggio 1992 e il gennaio
1994, quando era a capo delle forze croate nella Bosnia centrale. I
giudici di appello del Tpi hanno rovesciato la sentenza di primo grado,
riducendo la condanna a nove anni all'ex generale croato di Bosnia, che
ha gia' scontato otto anni e quattro mesi di detenzione all'Aja. Grazie
alla nuova documentazione contenuta negli archivi segreti croati e resa
disponibile dopo la morte del presidente Franjo Tudjiman nel dicembre
1999, e' caduta, in sede d'appello, l'accusa di avere ordinato una
serie di atrocita' fra le quali il massacro di Ahmici, nel quale
vennero uccisi piu' di cento civili musulmani nell'aprile del 1993. I
giudici d'appello hanno confermato la condanna solo per tre dei 19 capi
d'imputazione riguardanti maltrattamenti a prigionieri. Dopo la
sentenza il presidente della Corte Theodor Meron ha deciso di
accogliere la richiesta di scarcerazione anticipata presentata dagli
avvocati dell'imputato. Lunedi' quindi si apriranno le porte del
carcere per Blaskic, che si consegno' spontaneamente al Tribunale nel
1996. Se Blaksic ha accolto la lettura della sentenza impassibile,
soddisfazione e' stata invece espressa dalla Croazia, impegnata a
rafforzare la sua collaborazione con il Tribunale internazionale alla
vigilia dell'apertura, prevista il prossimo anno, del negoziato di
adesione all'Unione Europea. ''La sentenza di oggi rappresentera' un
contributo storico per stabilire la verita' sui conflitti nella Bosnia
centrale'', e' stato il commento del ministero della giustizia di
Zagabria. I giudici, in particolare, hanno ritenuto che gli atti
processuali non dimostrino, ''oltre il ragionevole dubbio'' che Blaskic
fosse ''responsabile'' di aver ordinato i crimini commessi a Ahmici e
nei villaggi vicini da parte delle milizie croate contro la popolazione
civile musulmana. Cosi' come la Corte d'appello del Tpi ha scagionato
Blaskic dall'accusa di essere stato dietro atti di pulizia etnica.
Secondo i giudici infatti non sono emersi dati tali da far ritenere che
l'imputato ''intendesse provocare il trasferimento forzoso di civili''.
Questa sentenza mette fine ad uno dei casi piu' complessi esaminati
dalla Corte dell'Aja, che proprio oggi ha deciso di sospendere la
liberta' provvisoria concessa solo pochi giorni fa a Jovica Stanisic e
Franko Simatovic, due ex collaboratori dell'ex presidente serbo
Slobodan Milosevic, in attesa dell'apertura del processo per crimini di
guerra e contro l'umanita' in Croazia e in Bosnia Erzegovina.(ANSA). CLG
29/07/2004 19:02

TPI: LIBERTA' PROVVISORIA PER SEI CROATI DI BOSNIA

(ANSA) - L'AJA, 2 AGO - I giudici del Tribunale penale internazionale
per la ex Jugoslavia hanno accordato la liberta' provvisoria a sei
responsabili militari e politici croati di Bosnia. Il Tribunale ha
tuttavia precisato che gli accusati per ora resteranno nel centro di
detenzione del Tpi all'Aja in attesa che siano completate le pratiche
per la loro partenza. I sei - Jandranko Prlic, Bruno Stojic, Slobodan
Praljak, Milivoj Petkovic, Valentin Coric e Berislav Pusic - sono stati
accusati di crimini di guerra contro i musulmani bosniaci durante il
conflitto in Bosnia-Herzegovina dal 1992 al 1995 per aver partecipato
ad una campagna di pulizia etnica con espulsioni, persecuzioni e
carcerazioni illegali di civili. (ANSA). PUC
02/08/2004 16:44

CROAZIA: TPI; BLASKIC RITORNATO A ZAGABRIA

(ANSA) - ZAGABRIA, 02 AGO - L'ex generale croato Tihomir Blaskic e'
ritornato oggi a Zagabria dopo che la sua pena in appello e' stata
ridotta da 45 a 9 anni da parte del Tribunale penale internazionale
dell'Aja (Tpi). Lo ha reso noto l'agenzia di stampa Hina. Blaskic,
arrivato nel pomeriggio con un volo di linea dall'Aja, e' stato accolto
all'aeroporto dai familiari e da alcune centinaia di persone con
striscioni e cartelli di benvenuto. Lo scorso giovedi' i giudici in
appello hanno riconosciuto le nuove prove presentate dalla difesa di
Blaskic ed hanno concluso che il generale non controllava le forze che
hanno commesso l'eccidio di cento civili musulmani del villaggio di
Ahmici in Bosnia centrale, avvenuto nell'aprile 1993, e altri crimini
commessi nella valle della Lasva dal 1992 al 1994. Il tribunale ha
dichiarato Blaskic colpevole solo di trattamento disumano dei
prigionieri, riconoscendo che l'ufficiale aveva tentato di individuare
e punire i responsabili dei crimini. Tra le prove presentate dalla
difesa, dopo la condanna a 45 anni del marzo 2000, c'erano anche
documenti dell'esercito di Sarajevo e soprattutto degli archivi della
presidenza della Repubblica croata che erano indisponibili fino a
quando l'ex presidente Franjo Tudjman era in vita. (ANSA). COR-VD
02/08/2004 17:00

CROAZIA: TPI; BLASKIC RITORNATO A ZAGABRIA

(ANSA) - ZAGABRIA, 02 AGO - L'ex generale croato Tihomir Blaskic e'
ritornato oggi a Zagabria dopo che la sua pena in appello e' stata
ridotta da 45 a 9 anni da parte del Tribunale penale internazionale
dell'Aja (Tpi). Lo ha reso noto l'agenzia di stampa Hina. Blaskic,
arrivato nel pomeriggio con un volo di linea dall'Aja, e' stato accolto
all'aeroporto dai familiari e da alcune centinaia di persone con
striscioni e cartelli di benvenuto. Lo scorso giovedi' i giudici in
appello hanno riconosciuto le nuove prove presentate dalla difesa di
Blaskic ed hanno concluso che il generale non controllava le forze che
hanno commesso l'eccidio di cento civili musulmani del villaggio di
Ahmici in Bosnia centrale, avvenuto nell'aprile 1993, e altri crimini
commessi nella valle della Lasva dal 1992 al 1994. Il tribunale ha
dichiarato Blaskic colpevole solo di trattamento disumano dei
prigionieri, riconoscendo che l'ufficiale aveva tentato di individuare
e punire i responsabili dei crimini. Tra le prove presentate dalla
difesa, dopo la condanna a 45 anni del marzo 2000, c'erano anche
documenti dell'esercito di Sarajevo e soprattutto degli archivi della
presidenza della Repubblica croata che erano indisponibili fino a
quando l'ex presidente Franjo Tudjman era in vita. (ANSA). COR-VD
02/08/2004 17:00


=== 2 ===

Massacres croates : Encore un 'oubli' du TPI

29/07/2004
source : Balkans-Info / CBC

URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/
texte.phtml?section=BBBM&object_id=22900

Des officiers canadiens disent qu'ils se sentent frustrés par le manque
de réaction à l'opération croate de nettoyage ethnique des Serbes en
1995, une opération où les Croates ont probablement été aidés par
l'Occident. Ils détiennent les preuves de nombreuses atrocités
perpétrées durant l'Opération Storm. une campagne de quatre jours
destinée à récupérer un territoire de Croatie centrale et méridionale
tenu pendant quatre ans par les Serbes. Personne n'a été arrêté et
présenté au tribunal de La Haye. Plus de 200.000 Serbes ont été
expulsés, et des milliers massacrés. "C'est ahurissant. On voit même
les trous des balles à l'arrière de la tête", dit le capitaine Gerry
Carron, montrant des photos qu'il a prises de ces tueries. "Nous avons
trouvé des gens dans les puits. Il y avait une vieille femme plongée la
tête la première dans un puits. Pourquoi ont-ils fait ça ?" Des
officiers de haut rang ont déclaré que l'expertise nécessaire à la
planification et à la réalisation de l'Opération Storm prouvait qu'elle
n'avait pu être entreprise par les seuls Croates. On a évoqué le
Military Professional Resources Inc. (MPRI), une société de consultants
américains basée à Alexandria, en Virginie. Le site internet de la
société comporte un article où le gouvernement croate félicite le MPRI
pour son travail, bien que ce dernier nie toute implication dans
l'Opération Storm.

"Les Croates n'ont pas pu faire cela seuls" a déclaré le général Alain
Fourand, qui commandait les forces de l'ONU dans la zone de
l'opération, en ajoutant qu'il soupçonnait le MPRI. Le général Andrew
Leslie, qui doit se rendre en Afghanistan pour prendre la tête des
troupes canadiennes, a dit lui aussi qu'il ne croyait pas que les
Croates aient pu mener seuls l'opération. "Elle a été réalisée par des
gens qui savaient vraiment ce qu'ils faisaient", a-t-il dit, en
précisant qu'à son avis les Croates n'en avaient pas l'expertise.

La Croatie recevait de l'aide d'autres sources. L'Argentine a fourni
de l'artillerie utilisée au cours de l'opération, malgré l'embargo de
l'ONU et le fait que ses propres soldats travaillaient sur place comme
pacificateurs. En se remémorant les faits, Carron a dit que les
pacificateurs ont empiré la situation en désarmant les Serbes pendant
qu'ils réarmaient les Croates.

Les officiers canadiens considèrent que l'accusation traîne les pieds
à cause de l'implication de l'Occident. Ils trouvent aussi que le chef
croate de l'Opération Storm est protégé par des complices dans le
gouvernement croate et qu'on n'exerce pas de pression diplomatique
suffisante pour arriver à un résultat.

Canadian Broadcasting Corporation (CBC), 21 juillet 2003.

"Procés" Milosevic: Une honteuse parodie de justice


SOURCE:
http://www.anti-imperialism.net/lai/index.php?section=BBBL&language_id=1

1. Le Tribunal Pénal de La Haye de moins en moins crédible
(Edward Herman, Balkans-Info, 01/07/2004)

2. Le Tribunal Penal International de La Haye : Deux ans d'efforts
coûteux pour aboutir a un constat d'échec
(Nico Varkevisser, Balkans-Info / Targets, 01/03/2004)

3. L'échec du procès Milosevic
(20/02/2004, source : Réseau Voltaire)

4. Deux ans de procès Milosevic : fiasco à La Haye ?
(Vreme - Le Courrier des Balkans, 19/02/2004)

5. Une honteuse parodie de justice
(Cathrin Schütz, Balkans-Info / Jünge Welt, 19/08/2003)


=== 1 ===


Le Tribunal Pénal de La Haye de moins en moins crédible

Edward Herman    01/07/2004
source : Balkans-Info
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/
texte.phtml?section=BBBL&object_id=22840

Si les chefs d'Etats sont tenus pour responsables des crimes de leurs
armées, pourquoi juge-t-on Milosevic et pas Bush et Blair ?


Les progressistes et une grande partie de la gauche ont été abusés à
propos de l'histoire récente de la Yougoslavie et du rôle du tribunal
pénal international pour l'exYougoslavie, avec l'ex-président serbe
Slobodan Milosevic hyperdiabolisé et l'histoire des Balkans réécrite
pour se conformer à ce que Lenard Cohen appelle le paradigme "paradis
perdu/chefs indignes". Beaucoup d'observateurs sérieux rejettent cette
version, et considèrent les Etats-Unis et les autres puissances de
l'OTAN comme lourdement responsables des désastres depuis 1990.

Le livre de Lord David Owen, "Balkan Odyssey", et son témoignage devant
le TPI confirment clairement que Milosevic cherchait ardemment une
solution à la guerre en Bosnie bien avant les accords de Dayton en
1995, et qu'il avait sans cesse d'importants conflits d'intérêts avec
les Serbes de Bosnie. Il est évident, d'après Owens - et c'est l'avis
de bien d'autres experts - que le gouvernement US a joué un rôle
capital dans les échecs du plan Vance en 1991, du plan Cutileiro en
1992, des plans Vance-Owen et Owen-Stoltenberg en 1993, lorsque
l'administration Clinton a armé les musulmans de Bosnie, et plus tard
l'UCK au Kosovo, en les encourageant à espérer (et à préparer) une
intervention militaire USA-OTAN en leur faveur.

Milosevic n'avait pas été inculpé, avec Mladic et Karadjic, de
nettoyage ethnique en Bosnie au cours des années précédentes, aussi
l'essai tardif, en 2002 à La Haye, de le rendre responsable de ces
massacres suggère que la procureur du TPI Caria del Ponte s'est rendue
compte que les tueries au Kosovo étaient loin de correspondre à ce
qu'elle pouvait présenter comme un "génocide". Même des représentants
de l'establishment comme le général en retraite de l'US Air Force
Charles Boyd et le responsable de l'ONU Cedric Thom-berry ont souligné
que les tueries en Bosnie entre 1991 et 1995 n'étaient en aucune façon
le seul fait des Serbes de Bosnie : les Croates et les musulmans
bosniaques, ces derniers aidés par des milliers de moudjahidin
importés, ont massacré des milliers de leurs ennemis ethniques dans le
secteur. Mais le tribunal, organisé, financé et contrôlé
essentiellement par les USA et la Grande Bretagne, ne s'est intéressé
qu'aux cibles de l'OTAN, et ces dernières étaient presque exclusivement
serbes.

Il y a maintenant une copieuse littérature qui prouve que le TPI n'est
pas seulement un bras grossièrement politisé de l'OTAN, mais aussi un
"tribunal voyou" (Rogue Court). En tant qu'appendice politique, il a
constamment dégagé le terrain pour les opérations militaires de l'OTAN
et, depuis la victoire, il a obstinément œuvré pour prouver que la
guerre de l'OTAN était juste.

Le procès de Milosevic est le pilier principal de la vertu de l'OTAN,
bien qu'il ait été totalement incapable de fonder les accusations et de
présenter une image d'impartialité et de justice. Cet échec a été
illustré par le traitement privilégié réservé au gouvernement US et à
Wesley Clark. Le gouvernement US a eu droit à une session à huis clos
du tribunal et au contrôle rédactionnel du témoignage du général ;
Clark a pu communiquer avec des gens à l'extérieur et obtenir
l'insertion dans le compte rendu d'un aval de Bill Clinton, en
contradiction directe avec les règles établies par le juge May. Les
lecteurs du New York Times ne sauront pas non plus que lorsque William
Walker était à la barre, la déférence du juge May pour "l'ambassadeur"
était risible ; pendant l'interrogatoire des procureurs, il n'y a pas
eu une interruption, alors que le contre-interrogatoire de Milosevic a
été interrompu 70 fois. On n'a pas permis à ce dernier de poser une
question à Walker, l'homme qui s'est tant lamenté sur les morts de
Racak, sur ses piètres excuses pour l'exécution de six responsables
jésuites et de bien d'autres au Salvador.

Un récent exemple du genre d'analyse qui reprend les clichés
conventionnels est un commentaire de Stacey Sullivan, du Institute for
War and Peace Repor-ting (IWPR) intitulé "Milosevic et le génocide :
l'accusation a-t-elle été prouvée ?" (1) L'IWPR est financé par le
Département d'Etat, US AID, le National Endowment for Democracy, le
Open Society Institute (Soros), et une demi-douzaine de gouvernements
occidentaux, et sert depuis longtemps d'instrument de propagande de
l'OTAN. Sullivan est connue pour ses positions républicaines dures en
faveur de la guerre et de la propagande de vengeance.

Sullivan déclare pour commencer que l'accusation a démarré en annonçant
qu'elle "prouverait" la culpabilité de Milosevic en matière de
génocide. Elle omet de mentionner que les accusations concernant la
Bosnie ont été ajoutées tardivement, que Milosevic n'avait pas été
rendu responsable des tueries au moment des faits et, alors que Caria
del Ponte affirmait qu'elle avait la "certitude" de sa culpabilité,
elle avouait ne pas en avoir encore les preuves. Inculper, accuser
publiquement et spectaculairement, et ensuite chercher les preuves, est
depuis longtemps le modus operandi du tribunal.

Sullivan dit ensuite qu'il y a eu "300 témoins", dont "certains, de
très haut niveau, se sont retournés contre leur exmaître", et "des
milliers de documents". Nous sommes sensés être impressionnés par ce
volume de fumée qui doit témoigner de l'existence du feu génocidaire.
Elle ne dit pas que le professeur de droit canadien Michael Mandel a
remis à Caria del Ponte, en avril 1999, des "milliers de pages" de
documents décrivant les crimes de guerre de l'OTAN, qu'elle a bien
entendu ignorées, et que des milliers de pages ont été publiées et
d'innombrables témoins étaient à entendre à propos des milliers de
victimes serbes en Bosnie.

En ce qui concerne les "responsables de haut niveau", l'accusation en a
produit quelques-uns qui se sont montrés coopératifs. Mais un des
principaux, Ratomir Tanic, s'est révélé un escroc, d'un niveau si
"haut" qu'il ne pouvait même pas dire où se trouvait le bureau du
président. De vrais leaders comme l'ex-president yougoslave Zoran Lilic
ou le membre de la présidence Borislav Jovic ont confirmé ce que disait
Milosevic sur pratiquement tous les points importants. Rade Markovic,
l'ex-chef de la sécurité yougoslave, qui avait tout à gagner à dénoncer
son ex-patron, a défendu Milosevic sur tous les points et est revenu
sur un témoignage qu'il a affirmé lui avoir été extorqué par des
menaces et des tortures au cours d'un emprisonnement de 17 mois.
Sullivan néglige évidemment de préciser que de nombreux témoins ont été
achetés ou menacés de lourdes peines s'ils ne consentaient pas à dire
ce qu'il fallait.

Elle indique que de nombreux experts juridiques doutent de l'accusation
de génocide parce que "le tribunal a placé très haut la barre de la
preuve". Il faudrait prouver que Milosevic "avait orchestré
l'éclatement de la Yougoslavie dans l'intention spécifique de détruire
les musulmans bosniaques comme peuple... et prouver de façon non
équivoque cette intention... ayant pour but la liquidation de tous les
musulmans bosniaques." L'idée que Milosevic voulait l'éclatement de la
Yougoslavie est un délire idéologique, qui contredit la version
habituelle qu'il avait attaqué la Slovénie et la Croatie pour essayer
d'empêcher leur sécession. (2)

Comme il y a eu beaucoup de tueries et de nettoyages ethniques de tous
les côtés en Bosnie, et que le célèbre massacre de Srebrenica ne
concernait que les hommes en âge de porter les armes, dont beaucoup
avaient été tués pendant les combats après que les Serbes de Bosnie
aient séparé les femmes et les enfants et les aient mis à l'abri,
l'intention et le plan (pour ne pas mentionner le prétendu contrôle de
Milosevic sur les forces bosno-serbes) semblent des éléments essentiels
de la preuve d'une culpabilité de génocide. Mais quelle est la
définition du génocide selon Caria del Ponte ?

Sullivan n'a aucune idée de la hauteur de la "barre" placée par le
tribunal pour l'accusation de génocide. Cette barre s'est montrée
merveilleusement flexible, et lorsque Sullivan dit qu'elle a été trop
haut placée, son affirmation n'a aucun rapport avec la procédure du
tribunal, mais est plutôt un moyen d'assurer que la barre soit placée
assez bas pour que le procès ait le résultat voulu. Dans le cas du
général bosno-serbe Krstic, le tribunal l'a jugé coupable de génocide
en assimilant le génocide au nettoyage ethnique et en étendant le
concept à la seule élimination d'hommes armés dans une unique petite
ville !

Considérant cela comme un exemple valable de génocide, Sullivan déclare
qu'un "acquittement (de Milosevic) aurait des conséquences sérieuses
sur les efforts de juger les génocides à l'avenir." Si l'accusation de
génocide n'est pas valable, l'acquittement n'aurait aucun effet sur les
poursuites futures. Par contre, s'il s'agit d'une accusation pourrie,
portée par une alliance qui a perpétré le "crime suprême" d'agression
de la Yougoslavie en violation de la Charte des Nations Unies, et qui
s'est servie du tribunal d'abord comme appoint au déclenchement de la
guerre puis comme moyen de justifier l'agression, son rejet serait un
plus pour la légalité internationale. Cela a peu de chances d'arriver,
étant donné que le tribunal est un instrument des puissances de l'OTAN,
bien que l'accusation soit si faible qu'il n'est pas inconcevable que
Milosevic ne soit jugé coupable que de "crimes contre l'humanité".

Ce qui compromettrait les efforts de juger les génocides serait que les
Etats-Unis ou une autre grande puissance s'engage dans un génocide ou
en soutienne un, car il n'existe aucun mécanisme de prévention ou de
sanction de ce genre d'opération dans le Nouvel ordre mondial, les
grandes puissances étant exonérées de poursuites. Ainsi les "sanctions
de destruction massive" imposées à l'Irak par les USA et la Grande
Bretagne entre 1991 et 2002 ont tué quatre ou cinq fois plus de civils
qu'il n'y a eu de victimes en tous genres au cours des guerres
balkaniques des années 1990 et, comme l'ont montré Thomas Nagy et Joy
Gordon (3), ces morts ont été causées délibérément et volontairement.
De même, les opérations de Suharto et de ses successeurs en Indonésie
et au Timor oriental ont été de véritables génocides, perpétrés sous
protection occidentale, principalement américaine et anglaise. Mais
Sullivan ignore ce problème d'impunité.

Elle affirme que "les plus sérieuses conséquences d'un acquittement
pour génocide... seraient de loin les effets sur les victimes en
Bosnie", passant sous silence les victimes croates ou serbes, qui se
comptent par milliers. (Le plus important exemple de nettoyage ethnique
durant les guerres balkaniques a été l'expulsion des Serbes de la
Krajina en août 1995, avec l'assistance de l'Amérique et,
proportionnellement, le plus vaste nettoyage ethnique a été celui des
Serbes et autres minorités, comprenant les Roms, chassés du Kosovo par
l'UCK sous les auspices de l'OTAN après juin 1999.) Mais même à l'aune
étroite des critères de Sullivan, à quel point les victimes bosniaques
se sentent-elles concernées par ce problème ? Comment connaît-elle les
sentiments des victimes ? Un sondage effectué en Bosnie il y a quelques
années a montré que pas plus de 6 % de musulmans, Croates ou Serbes de
Bosnie considéraient comme important déjuger des criminels de guerre.
(4)

De plus, pourquoi les victimes auraient-elles besoin de voir accréditer
une accusation de "génocide" ? Ne se contenteraient pas d'une
culpabilité pour "crimes de guerre" ? Cela dit, si la fonction du
procès est de justifier la guerre de l'OTAN, il faut qu'il y ait
génocide. Et il est plus convenable d'en faire une préoccupation
prioritaire des victimes qu'un satisfecit de l'OTAN.


Edward HERMAN, "Stacey Sullivan on Milosevic and Génocide", Foreign
Policy in Focus, 28 mai 2004.

Herman est un économiste et un analyste des médias. Il tient une
rubrique régulière dans Z Magazine, et est l'auteur, avec Philip
Hammond, de "Degraded Capability, the Media and the Kosovo" (Pluto
2000).

notes

(1) http://www.fpif.org/commentary/2004/0402milose-vic.html
(2) Voir Edward S. Herman, "Diana Johnstone on the Balkan Wars",
http://www.monthlyreview.org/0203herman.html et George Szamuely,
"The Yougoslavian Fairytale",
http://www.fpif.org/commentary/2004/0405fairytale.html
(3) Thomas Nagy, "The Secret behind the Sanctions : How the US
intentionally destroyed Iraq's Water Supply" The Progressive, septembre
2001, et Joy Gordon, "Economie Sanctions as Weapons of Mass
Destruction", Harpers, novembre 2002.
(4) Charles Boyd, "Making Bosnia Work", Foreign Affairs, janvier 1998).

---

L'article d'Herman est loin d'être le seul. Il prend place dans une
critique qui se développe, et qui confirme ce que nous disons depuis
des années. Le TPI, de sa création à ses sentences, en passant par son
financement, sa procédure, son infléchissement politique, ses abus de
pouvoirs et son mépris du droit, est une cour d'injustice, dont le seul
but est d'oblitérer les crimes de l'Occident. Il déshonore le monde qui
se prétend "libre" et doit disparaître. S'il le fallait, l'actualité
souligne encore les raisons d'en réclamer la dissolution. La
transformation d'un épisode de bataille en génocide dans la
condamnation du général Krstic, pour pouvoir ressusciter cette notion
et l'appliquer à Milosevic, alors qu'on a été incapable de l'inculper
pour ce motif, prouve la faiblesse et la fourberie de ses réquisitoires.
La décision de renvoyer les accusés croates devant leurs tribunaux
nationaux , alors que les accusés serbes sont maintenus sous la
soi-disant juridiction internationale, prouve la partialité de ses
responsables.
La prétention de faire remonter à l'ex-chef d'Etat Milosevic la charge
des atrocités qui auraient été commises par ses subordonnés, alors
qu'il n'est pas question d'en faire autant pour Bush et Blair malgré
l'abondance de révélations écœurantes sur le comportement de leurs
troupes, prouve une dualité de poids et de mesures qui n'a rien à voir
avec la justice.
Il faut mettre un terme à cette mascarade, annuler les jugements
infondés et renvoyer tous les présumés coupables à leurs législations
respectives. La crédibilité des démocraties est à ce prix.


=== 2 ===


Le Tribunal Penal International de La Haye :
Deux ans d'efforts coûteux pour aboutir a un constat d'échec

Nico Varkevisser    01/03/2004
source : Balkans-Info / Targets
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/
texte.phtml?section=BBBL&object_id=22901


Le 12 février 2002, les accusateurs du Tribunal pénal international
pour l'ex-Yougoslavie (TPI) ont commencé leur réquisitoire contre
l'ex-président yougoslave Slobodan Milosevic. Ils ont assuré à
l'opinion publique mondiale que leur inculpation était en béton. Ils
ont même affirmé qu'ils avaient de quoi attribuer à Milosevic le pire
crime de tous : celui de génocide. Aujourd'hui, après avoir présenté
leurs arguments pendant deux ans et convoqué 296 témoins, leur
accusation s'est écroulée comme un château de cartes. Les amici curiae,
désignés pour garantir l'équité du procès, ont demandé que de
nombreuses charges soient abandonnées, notamment celle de génocide,
pour absence complète de preuves. En même temps, le président du
tribunal, le juge Richard May, a présenté sa démission. La conviction
des patrons de médias et des prétendus "experts juridiques" que
Milosevic sera condamné à la prison à vie ne peut pas masquer le fait
que ce tribunal est confronté à de sérieux problèmes.

Il n'est pas nécessaire d'être un juriste pour voir que ce procès est
une mascarade. C'est un viol des principes les plus élémentaires d'une
justice impartiale. La procureur en chef, Caria del Ponte, et le
président du tribunal, Richard May, ont voulu se servir de ce prétendu
procès comme d'un forum destiné à lyncher Milosevic, à le dénoncer
comme coupable devant l'opinion publique.

Mais la mise en scène a disparu rapidement des grands médias mondiaux.
A partir du moment où Milosevic a fait sa déclaration préliminaire, les
médias ont réalisé qu'ils auraient du mal à simultanément rendre compte
du procès et cacher la vérité. CNN, qui avait prévu à l'origine de
retransmettre la déclaration de Milosevic en entier, a abrégé son
émission en utilisant le faible prétexte que les images montrées par
Milosevic des victimes des bombardements de l'OTAN de 1999 étaient
"trop réalistes". La raison de cette décision de draper ce soi-disant
procès dans un voile de silence est évidente. Pendant des années, les
politiciens occidentaux et leurs médias aux ordres ont raconté, sans le
moindre égard pour la vérité ou l'objectivité, que Milosevic était le
"boucher des Balkans" et que le peuple serbe était les "nouveaux
fascistes".

Ce sont eux qui ont créé dans l'opinion publique le climat nécessaire
à la prétendue "intervention humanitaire" de l'OTAN qui, en fait, a
pris la forme d'une sanglante campagne de bombardement de 78 jours. Dès
le début, ils ont accusé Milosevic d'avoir été l'artisan des guerres
qui ont détruit l'ex-Yougoslavie, et en I999, le TPI l'a officiellement
inculpé de l'avoir fait. Sur la foi de cette rhétorique, on aurait pu
croire qu'ils avaient des preuves de leurs affirmations. Mais quand le
procès a commencé, l'accusation n'avait même pas achevé la rédaction de
l'inculpation. Cela n'a pas été un problème pour les soi-disant
"juges". Cela n'a pas été un problème non plus que l'extradition de
Milosevic de Yougoslavie s'apparente à un kidnapping ; elle était
illégale, elle était inconstitutionnelle, elle a été réalisée en
contradiction flagrante avec une décision de la Cour constitutionnelle
de Yougoslavie.

Les prétendus "juges" et "accusateurs" se sont rapidement mis d'accord
sur le fait que l'OTAN était au-dessus des lois. Ils ont vite décidé
que les crimes de l'OTAN ne pouvaient faire l'objet d'aucune enquête.

Mener un procès qui a pour but de convaincre l'opinion publique de la
culpabilité de quelqu'un alors qu'on n'en a aucune preuve, est une
affaire délicate. Cela demande un sérieux contrôle. Avec des financiers
comme CNN ou George Soros, le tribunal pouvait en exercer beaucoup,
mais il demeurait un élément d'insécurité : Milosevic, et ce qu'il
pouvait dire. Accuser quelqu'un à tort n'est pas un problème quand on
contrôle les médias, mais il est difficile de les réduire au silence
quand il s'agit d'un procès, surtout si l'on veut donner à ce procès
une apparence d'équité. Dans son effort de censurer Milosevic,
l'accusation a voulu obtenir de la cour qu'elle lui impose un avocat.
Cela a été le combat-clé avant l'ouverture du procès.

Milosevic a été la cible de formidables manipulations ; de tous les
côtés on lui conseillait de prendre un avocat. En novembre 2001,
Milosevic a triomphé de ces pressions et, dans une déclaration au TPI,
il a affirmé en termes dénués de toute ambiguïté qu'il ne désignerait
aucun défenseur.

Il est devenu clair pour l'accusation qu'elle était confrontée à une
complication qu'elle n'avait pas prévue, ou du moins dont elle ne
voulait à aucun prix.

Le fait que Milosevic soit sorti vainqueur de ce premier combat a été
d'une importance capitale pour le déroulement ultérieur du procès. En
refusant de désigner un avocat, il s'est mis en mesure d'influencer
directement le tribunal. En se défendant lui-même, et en menant
lui-même ses contre-interrogatoires, il a empêché qu'on le réduise au
silence.

Dès le début, Milosevic a qualifié l'opération de procès poltique. Il
a ignoré les préoccupations procédurales du tribunal en disant "c'est
votre problème". Il s'est constamment référé à l'accusation comme
"l'autre partie" et le juge-président a du s'accommoder d'être appelé
"Mr May".

Malgré les constants efforts de May de l'empêcher de parler en
débranchant le micro. Milosevic a réussi en de nombreuses occasions à
embarrasser les juges et l'accusation. Le fait qu'il ait si souvent
réussi à le faire explique le manque de couverture médiatique : on ne
peut pas se permettre qu'il soit entendu. Le tribunal a eu recours à
une stratégie visant à épuiser et briser Milosevic. L'accusation a cité
près de 300 témoins, et malgré cela n'a rien prouvé. De nombreux
juristes ont critiqué ce procédé. Ils disent que si une affaire existe,
elle peut se prouver avec moins de 20 témoins. Parce que l'objectif du
procès est d'arriver à une condamnation, et qu'aucune preuve n'existe
pouvant la justifier, la stratégie a consisté à accumuler les
accusations en espérant qu'au moins une parviendrait à coller. Quand
l'accusation a commencé à citer ses témoins et quand le public a vu
comment se déroulaient les auditions, l'affaire est devenue encore plus
embarrassante pour le tribunal. Certains témoins du "premier cercle",
comme Ratomir Tanic, se sont révélés des imposteurs. Tanic a affirmé
avoir été un conseiller au sommet du président du Parti de la nouvelle
démocratie (ND) quand ce dernier était associé au Parti socialiste de
Serbie (SPS) de Milosevic et la Gauche yougoslave (YUL) dans le
gouvernement. Dans sa position au ND, Tanic a affirmé avoir assisté à
des rencontres au sommet entre Milosevic et les chefs de ce parti. Il
s'est avéré que Tanic n'avait aucune position dans le ND. Selon les
archives du ND obtenues par Milosevic, il n'en était même pas membre.
Non seulement Milosevic a réussi à prouver que Tanic était un menteur,
mais il a aussi pu révéler les connexions de Tanic avec les services
secrets anglais.

Il y a eu aussi les "témoins de crimes de la base", comme Bilall
Avdiu, un Bosno-albanais du village de Racak. Il a raconté une
éprouvante histoire selon laquelle il aurait survécu au massacre en se
faisant passer pour mort. Il a affirmé avoir vu lui-même les policiers
serbes découper les cœurs dans les poitrines des cadavres. Ce récit du
prétendu "massacre de Racak" a servi de justification au bombardement
de la Yougoslavie.

Avdiu a déclaré que les policiers avaient tué Ragip Bajrami en
découpant son cœur dans sa poitrine alors qu'il était encore vivant.
"Je l'ai vu de mes yeux, a-t-il dit. Il n'avait aucune blessure par
balles. J'ai vu le couteau et comment ils ont arraché son cœur." Il a
continue en affirmant que Bajrami n'était pas la seule victime à avoir
été mutilée de la sorte. "Cinq ou six ont subi le même sort."

Même Nice, le procureur, a dû admettre que les examens scientifiques
ont prouvé qu'Avdiu, et plusieurs autres témoins, étaient des menteurs.
Un autre "témoin de base" a été Mustafa Draga, un Albanais du Kosovo du
village de Lecina, qui a lui aussi déclaré avoir survécu à un massacre
par la police serbe. Il a raconté que la police avait fait feu sur lui
avec des mitrailleuses lourdes à une distance de huit mètres, mais
qu'il n'avait pas été touché. Et pour prouver son extravagante
allégation, il a apporté sa chemise criblée de trous de balles. Quand
Milosevic lui a demandé comment il était possible qu'il n'ait pas été
touché, il a allégué la divine providence en disant : "J'ai été sauvé
par Dieu pour pouvoir venir ici témoigner." Malgré cette histoire
rocambolesque, la chemise a été acceptée comme pièce à conviction. Une
autre catégorie de témoins a été celle des "experts", comme Renaud de
la Brosse, qui a été cité pour parler de la propagande dans les médias
serbes. Ce soi-disant "expert" ne parlait pas le serbe, ce qui, de
toute évidence, rendait difficile son analyse des médias. Il n'a pu
répondre à aucune des questions de Milosevic sur ce qui s'était passé
pendant la guerre et sur la nature propagandiste de l'information,
parce qu'il ignorait tout des événements. Aucune importance, pour lui,
relation des faits et mensonges étaient tous deux de la propagande. Il
a dénoncé la prétendue propagande en disant : "Quand les réservistes
serbes se sont emparés de Zvornik en Bosnie, les médias serbes ont
annoncé la libération de la ville, sans dire un mot des milliers de
cadavres gisant dans les rues." La source de son information sur des
"milliers de cadavres" était le livre de Florence Hartmann, Milosevic,
la diagonale du fou. Il se trouve que Florence Hartmann est la
porte-parole du bureau du procureur du TPI. Si l'on se conforme à la
logique de M. de la Brosse, on peut conclure que que tout ce qu'affirmé
l'accusation du TPI est une vérité biblique, et que toute personne qui
ne dit pas la même chose fait de la propagande.

Le contre-interrogatoire de Milosevic a ridiculisé de la Brosse.

Pour comble de malheur pour l'accusation, leur témoin suivant a été un
"témoin secret" au nom de code B-1775, un entrepreneur de pompes
funèbres de Zvornik. Son travail était de ramasser les corps et de les
amener à la morgue. Quand Milosevic lui a demandé combien de corps -
serbes et musulmans - il avait trouvés, il a répondu 50. Quand
Milosevic a relevé la contradiction entre les milliers de cadavres de
de la Brosse et de Hartmann, et les 50 de B-1775, le juge a balayé
l'observation en la qualifiant de perte de temps. Le tribunal n'a
laissé aucun doute sur le fait qu'il était un pion de l'OTAN quand il a
cité comme témoin l'ex-chef de l'OTAN, Wesley Clark. Clark a non
seulement été autorisé à témoigner à huis clos, comme cela s'était
produit à plusieurs reprises avec d'autres témoins, mais le
gouvernement américain a eu le droit de récrire les procès verbaux en
cas de besoin - une véritable démonstration de justice impartiale.
Quand l'accusation a appelé à la barre l'ex-chef de la sécurité serbe,
Radomir Markovic, on a découvert que les autorités serbes avaient
essayé de l'acheter pour qu'il témoigne contre Milosevic, en le
menaçant de prison s'il ne le faisait pas.

Dans une vraie cour de justice, le juge aurait réagi au fait qu'un
témoin avait été soumis à des tentatives de corruption assorties de
menaces, mais pas au TPI. Comme si la procédure du tribunal ne
suffisait pas à le discréditer, la façon dont Milosevic est traité par
ces "défenseurs des droits de l'homme et de la justice" devrait
clarifier les choses. Depuis l'arrivée de l'accusé à La Haye, tout a
été tenté pour le briser et rendre sa défense impossible.

En laissant les lumières allumées dans sa cellule 24 heures sur 24, on
a sérieusement compromis son cycle de sommeil. Même en sachant qu'il
était cardiaque, on ne lui a donné que de l'aspirine pendant toute la
première année. Le journal hollandais NRC Handelsblad a dit qu'à
l'automne de 2002, quand on a enfin changé ce traitement, on lui a
prescrit des médicaments qui entraînaient vertiges et insomnie, et
rendaient difficile sa concentration. C'est seulement au printemps
2003, qu'on a consenti à modifier son traitement.

On lui a aussi refusé le droit de recevoir des visiteurs. Au cours des
premiers mois après son kidnapping, l'ambassade des Pays Bas à Belgrade
a accumulé les difficultés d'obtention de visas pour les membres de sa
famille et ses conseillers. Le pouvoir du tribunal s'étendait jusqu'à
contrôler la politique de visas du ministère néerlandais des Affaires
étrangères. L'accusation du TPI dispose de toute la place nécessaire
dans les médias pour attaquer Milosevic. Le tribunal met à leur
disposition une salle spéciale dans laquelle il peut tenir des
conférences de presse. Il est strictement interdit à Milosevic, par
contre, de parler aux médias. On a tellement peur de ce qu'il pourrait
dire qu'on a même étendu la même interdiction aux gens qui le visitent.

Le régime-croupion de Belgrade a lui aussi joué son rôle dans les
brimades destinées à venir à bout de Milosevic en lui refusant la
possibilité de voir sa femme. Il a lancé une chasse aux sorcières
contre elle, en se servant de fausses accusations pour la mettre sur la
liste d'Interpol, ce qui signifie qu'elle serait arrêtée si elle
essayait de rencontrer son mari. On a défendu aux membres du parti de
Milosevic, le SPS, de le voir, sous prétexte qu'ils ont parlé aux
médias. Milosevic a été placé sous une interdiction totale de
communication, sauf avec ses conseillers juridiques, parce qu'il s'est
porté candidat aux élections parlementaires en Serbie.

Milosevic doit affronter la machinerie du tribunal, les milliers de
membres de son personnel et son budget de millions de dollars, avec
seulement un téléphone public. Milosevic n'a pas les moyens de se payer
des assistants pour mettre de l'ordre dans près d'un million de pages
de documents et des milliers d'enregistrements audio et vidéo. Sa
cellule est littéralement bourrée de papiers, et souvent il ne peut
disposer du matériel dont il a besoin qu'à la dernière minute. Le plus
récent exemple, loin d'être le seul, a été le témoignage du général
français Philippe Morillon. En raison de sa position importante de
commandant de l'UNPROFOR en Bosnie-Herzégovine, le tribunal savait
depuis longtemps qu'il serait convoqué, mais il n'a fourni le texte de
son témoignage à Milosevic qu'au dernier moment, compromettant ainsi
son contre-interrogatoire.

Un autre truc fréquemment employé est le changement de l'ordre des
témoins sans prévenir. On espère ainsi prendre Milosevic à
l'improviste, mais cela rate toujours, parce que Milosevic est plus
malin que tous ses accusateurs réunis.

On cherche aussi à saboter sa défense en le maintenant au tribunal,
quelquefois pendant plusieurs heures après la fin de l'audience. On le
garde sur un banc en bois sans nourriture ni boisson, en lui disant
qu'on ne peut pas le ramener à la prison parce qu'on manque de moyen de
transport. En retardant ainsi le retour dans sa cellule, on peut
refuser à ses conseillers juridiques de le rencontrer parce que l'heure
des visites est passée. Personne de sensé ne peut prétendre que le
procès de Milosevic est équitable. L'accusation prépare son dossier
depuis des années, alors qu'on n'a alloué à Milosevic que trois mois
pour préparer sa défense, ses premiers témoins devant être cités le 8
juin. Ce ne sont que quelques-unes des méthodes utilisées par cette
instance illégale pour briser un homme innocent. Il est honteux que les
médias se taisent et que pas un seul membre du parlement à La Haye ne
proteste contre ce flagrant déni de justice qui se déroule aux Pays Bas.

Malgré le traitement auquel il est soumis. Slobodan Milosevic ne cède
pas. Il est vrai qu'il a des problèmes cardiaques, et il est sûr que
son emprisonnement illégal l'a affaibli, mais sa vigueur et son esprit
restent intacts. L'auteur de cet article a eu le privilège de lui
rendre visite trois fois l'année dernière et s'est entretenu avec lui
de nombreuses fois au téléphone. Ce n'est pas un homme vaincu. Il se
battra jusqu'à la fin. A ses yeux, ce n'est pas un combat personnel -
il se bat pour la survie de son pays et de son peuple.

C'est le cœur de l'affaire. Ce procès n'a rien à voir avec le fait de
rendre justice aux victimes des tragédies qui ont eu lieu dans
l'ex-Yougoslavie. Son but est de dissimuler la politique occidentale de
destruction d'un Etat multiethnique qui avait émergé à la suite de la
défaite de l'Allemagne lors de la Première guerre mondiale, à l'aide
des forces les plus réactionnaires : les fascistes en Croatie et les
terroristes musulmans en Bosnie et au Kosovo. Il vise a créer le cadre
légal des futurs pillages et colonisations par l'Occident. La
condamnation de Milosevic servira à désigner le peuple serbe comme
coupable des guerres. La Serbie sera forcée de payer des réparations à
ses soi-disant "victimes", la Croatie et la Bosnie ont déjà réclamé des
milliards de dollars. De plus, si l'ex-chef d'Etat est condamné, son
pays sera tenu pour "légalement responsable" non seulement des morts
causées par les "bombes humanitaires" de l'OTAN, mais de toutes les
dépenses de guerre et de maintien de la paix encourues depuis 1992.

La Serbie, sans argent et dépouillée de ses biens publics, devra
emprunter aux banques occidentales pour payer la Bosnie et la Croatie
qui, à leur tour, se serviront de cet argent pour payer leurs dettes
aux banques occidentales. Le cercle sera bouclé et les Balkans seront
pillés. C'est la "justice" que rend l'OTAN et son tribunal-croupion.

Cela servira aussi d'instrument à une intervention permanente dans les
affaires intérieures de la Serbie, à son maintien sous contrôle, au
soutien de l'indépendance du Kosovo et, si nécessaire, à un nouveau
démembrement de la Serbie en plusieurs protectorats. Slobodan Milosevic
a clairement déclaré qu'il ne se déroberait pas à son procès, tout ce
qu'il veut c'est qu'on lui permette de préparer sa défense dans des
conditions acceptables. Il réclame la liberté d'assurer la défense de
son peuple. Il a dit au tribunal : "Je ne vais pas fuir ce lieu de
force et d'injustice, où l'on calomnie mon peuple et mon pays, parce
que ce sont des accusations d'une gravité extrême." Il a promis de
rester et de combattre l'injustice. "Je ne fuirai pas ce tribunal,
a-t-il dit. Je le détruirai."


Nico Varkevisser
Targets, mensuel hollandais d'affaires internationales,
mars 2004.


=== 3 ===


L'échec du procès Milosevic

20/02/2004
source : Réseau Voltaire
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/
texte.phtml?section=BBBL&object_id=22867

http://www.reseauvoltaire.net/article12604.html


C'est le 29 juin 2001 que Slobodan Milosevic a été transféré de la
République fédérale de Yougoslavie et placé sous la garde du Tribunal
pénal international ad hoc pour l'ex-Yougoslavie(TPIY). Il faisait
l'objet de trois actes d'accusation distincts relatifs aux crimes
commis au Kosovo, en Croatie et en Bosnie-Herzégovine. Les trois
affaires ont finalement été confondues pour ne donner lieu qu'à un seul
méga-procès qui s'est ouvert le 12 février 2002. Il devait clore une
décennie de barbarie et manifester le triomphe des démocraties.

Deux ans plus tard, le procureur, malgré des moyens propres démesurés
(262 millions de dollars de budget pour la période et 1881 salariés)
auxquels s'ajoutent tous les moyens militaires de l'OTAN, et après
l'audition de près de 300 témoins, est dans l'incapacité de démontrer
le bien-fondé de ses accusations. On évoque désormais un possible
acquittement de Slobodan Milosevic, au moins des chefs d'accusation les
plus graves portés à son encontre, notamment celui de génocide.

Le Tribunal pénal international pour l'ex-Yougoslavie a été créé, le
25 mai 1993, par la résolution 827 du Conseil de sécurité. Un second
tribunal fut créé peu après pour le Rwanda (résolution 955 du 8
novembre 1994). Cet effort s'est prolongé plus tard avec la création
d'une Cour pénale internationale (TPI), non pas consacrée à juger les
acteurs d'un conflit particulier, mais avec compétence universelle.
Pour renforcer son autorité, le Conseil de sécurité entendait doter
l'ONU d'une instance judiciaire capable de sanctionner les individus
ayant violé ses résolutions.
Cet objectif paraît simple et évident, mais il est en fait incohérent
car les résolutions du Conseil s'adressent aux États, tandis que les
tribunaux internationaux jugent des individus.
Rapidement ce système hybride a posé plus de problèmes aux membres
permanents du Conseil de sécurité qu'ils n'en a résolu. Au point que
des États-Unis, après avoir joué un rôle actif, ont essayé par tous les
moyens de saboter la création de la Cour pénale internationale.

La résolution 827 fonde le TPIY sur le chapitre VII de la Charte des
Nations unies qui ne porte pas sur le pouvoir judiciaire, mais sur
l'action exécutive de défense de la paix. En droit, le TPIY n'a donc de
tribunal que le nom, puisqu'il est un prolongement de l'exécutif. Il ne
s'appuie pas sur une loi, ni une procédure préexistants dans un traité
international, mais les invente lui-même selon ses besoins. Le
président peut les modifier en cours d'application et n'a besoin pour
cela que de l'approbation des autres juges transmise par fax. D'une
manière générale, le TPIY s'est aligné sur les normes états-uniennes
les plus dures : détention prolongée jusqu'à 90 jours des suspects en
attente d'inculpation, acceptation de témoignages de repentis, voire de
personnes anonymes, acceptation de preuves d'origine secrète et donc
non-soumise à contestation par la défense.

L'activité du TPIY s'est d'abord heurtée à la raison d'État des
grandes puissances dont il est la manifestation. Celles-ci ont refusé
d'exécuter nombre de mandats d'arrêt qui leur étaient transmis. Elles
continuent de protéger certains acteurs du drame ou de craindre leurs
révélations. Dix-huit accusés, dont Radovan Karadzic et Ratko Mladic,
courent toujours.

Juges et parties

Au demeurant, le TPIY ne donne aucun des gages d'impartialité que l'on
attend d'une telle juridiction. Son budget n'est pas seulement abondé
par des États dans le cadre de l'ONU, mais aussi par des donateurs
privés, principalement les Fondations Carnegie, MacArthur, Rockefeller
et Soros. Les procureurs successifs ont été choisis sur proposition des
États-Unis et avaient pris position publiquement, avant leur
nomination, sur la culpabilité de Milosevic. Plusieurs juges
entretiennent des contacts avec des parties au conflit, au vu et au su
de tous.

Surtout, le TPIY souffre de maux anciens, comme ses prédécesseurs, les
tribunaux de Nuremberg et de Tokyo : ils rendent la justice des
vainqueurs. À Nuremberg, le procureur soviétique était l'organisateur
des grandes purges staliniennes, tandis que les juges états-uniens
s'efforçaient de faire oublier les crimes contre l'humanité d'Hiroshima
et Nagasaki. Au TPIY, le procureur a écarté d'emblée toute mise en
accusation des responsables de l'OTAN.

Condamner les vaincus pour justifier l'action des vainqueurs

Au moins, à Nuremberg et à Tokyo, les vainqueurs avaient veillé à
garantir les droits des accusés à se défendre. Il est vrai que cela ne
comportait aucun risque, puisque leur culpabilité était établie. La
justice était sélective, mais ses décisions étaient impartiales. Elle
avait un rôle pédagogique pour les peuples vaincus. Au contraire, le
TPIY ne vise pas à faire connaître a posteriori des crimes à l'opinion
publique, mais à établir l'authenticité de crimes dont l'évocation
avait emporté des décisions politiques. Il doit condamner les vaincus
pour justifier l'action des vainqueurs.

Or, Slobodan Milosevic est poursuivi pour des crimes commis en Croatie
et en Bosnie-Herzégovine, notamment le « génocide » de la population de
Srebrenica, en juillet 1995, alors même que les États-Unis et l'Europe
lui demandèrent d'être le principal garant des Accords de paix de
Dayton, le 21 novembre 1995. En d'autres termes, on lui reproche
aujourd'hui des crimes, y compris le plus grave de tous, le génocide,
dont on le considérait innocent à l'époque. Ce qui a changé, c'est
qu'entre temps, il est devenu l'adversaire de l'OTAN et a perdu la
guerre du Kosovo. On lui reproche donc également des crimes commis au
Kosovo. Mais sachant que l'OTAN a assené pendant des mois que Milosevic
était un nouvel Hitler et qu'il fallait intervenir militairement pour
arrêter le nettoyage ethnique du Kosovo, la barre a été placée beaucoup
trop haute. Que Slobodan Milosevic ait sa part de responsabilité dans
une décennie de barbarie, nul n'en doute. Qu'il ait commis un génocide
et se soit préparé à en perpétrer un second, voilà qui reste à établir
et que le procureur Carla del Ponte ne parvient pas à étayer.

Si les puissances de l'OTAN rechignent à arrêter certains suspects,
ils n'ont pas ménagé leurs efforts pour faire comparaître Slobodan
Milosevic. Au point que les États-Unis ont apporté une aide d'un
million de dollars à la Serbie en échange de sa remise. Or, la Cour
constitutionnelle yougoslave s'étant opposée à son extradition, le
Premier ministre Zoran Djindjic l'a fait enlever et transférer.

Le tribunal n'arrive pas à prouver la culpabilité de Milosevic dans
les crimes dont l'accusait l'OTAN
En définitive, Madame Del Ponte et ses 400 enquêteurs n'ont toujours
pas réussi à étayer l'accusation selon laquelle Milosevic aurait
poursuivi un dessein continu, à travers trois guerres successives, pour
créer la Grande Serbie. Pour le moment, les documents et témoignages
ont montré un Milosevic réagissant aux événements au coup par coup,
avec la plus grande brutalité.
Ils n'ont pas non plus étayé qu'il ait été le donneur d'ordre de
différents massacres, y compris celui de Srebrenica. Au contraire, il
est apparu que Milosevic avait une influence, mais pas d'autorité
réelle sur les Serbes de Bosnie et de Croatie.

Pire, les enquêtes du TPIY sur le nettoyage ethnique du Kosovo ont
montré que le massacre de centaines de milliers de Kosovars, évoqué par
le président Bill Clinton dans son discours d'entrée en guerre et
repris à satiété par les médias atlantistes, n'a jamais existé.

À l'issue de deux ans d'audiences, le tribunal a montré que la partie
la plus importante des crimes reprochés à Milosevic n'a pas plus existé
que les armes de destruction massive irakiennes. Et qu'il n'était qu'un
dirigeant de faible envergure, ayant provoqué bien des cataclysmes sans
jamais les maîtriser, et ne pouvant donc qu'avoir une responsabilité
partielle dans la décennie d'atrocités qui a meurtri la Yougoslavie. Le
TPIY qui devait manifester le triomphe des démocraties sur la barbarie
aura surtout démontré que, pour l'OTAN, la justice n'était qu'un alibi
et qu'il n'existe d'autre droit que celui du plus fort.


=== 4 ===


Deux ans de procès Milosevic : fiasco à La Haye ?

19/02/2004
source : Vreme - Le Courrier des Balkans
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/
texte.phtml?section=BBBL&object_id=22888

Traduit Par Persa Aligrudic

Deux ans après le début du « procès du siècle », presque tous les
acteurs sont toujours là, sauf le juge Richard May, malade, qui a jeté
l’éponge. Pourtant, l’atmosphère n’est plus la même qu’au début. Autour
de la salle d’audience, on note beaucoup de nervosité, et ceux qui
prétendent tout savoir à l’avance sont de moins en moins nombreux.

Par le reporter de Vreme à La Haye


La Procureure générale Carla del Ponte ne donnera pas d’interviews aux
médias belgradois jusqu’à nouvel ordre. Sa porte-parole Florence
Hartmann l’a dit ouvertement à ceux qui attendaient dans la file :
« mais que voulez-vous, vous n’avez même pas de gouvernement ! »

Si la formation du gouvernement est une condition pour que Carla donne
une interview aux médias locaux, Vojislav Kostunica pourrait bien
éviter de se presser pour le former. Après la dernière déclaration de
la Procureure, qui a dit que Radovan Karadzic et Ratko Mladic étaient
surement à Belgrade (sans preuves à l’appui), le professeur Vojin
Dimitrijevic fait remarquer que Carla del Ponte ne se calmera pas tant
que Belgrade n’aura pas obtenu un gouvernement de droite qui refusera
toute collaboration avec elle. Donc, pas d’interview en perspective.

Ni pour Belgrade, ni pour le Guardian

Aucune chance non plus pour le Guardian de Londres d’obtenir une
entrevue avec la Procureure de La Haye (même si les Britanniques ont un
gouvernement), car ce journal a estimé d’une manière plutot sévère que
le procès contre l’ancien Président Slobodan Milosevic s’était
transformé en une sorte de « parodie de la justice internationale ».
L’auteur, Neal Clark, qui était défavorable à l’extradition de
Milosevic, reproche à Carla Del Ponte de n’avoir pas bien travaillé :
elle a d’abord accusé Milosevic puis, au cours du procès, elle a essayé
de trouver les preuves à l’appui des 66 points de l’acte d’accusation.
Clark accumule les reproches : trop de faux témoins non convaincants,
insuffisamment de preuves établissant que ce sont les dirigeants de
Belgrade qui ont ordonné le massacre de Srebrenica, l’affront de faire
comparaitre Wesley Clarke comme témoin, le silence sur les crimes
commis par l’OTAN lors des bombardements de 1999... Finalement, selon
lui, le TPI travaille dans l’intérêt des grandes puissances, alors que
l’idéal de la justice internationale qui devrait être la même pour tous
n’a jamais été si éloigné qu’aujourd’hui.

À propos du génocide

Le 12 février dernier, le général français Philippe Morillon
comparaissait comme témoin à l’audience du Tribunal. Il parle en détail
du « cercle infernal du sang et de vengeance », et de la haine et qu‘on
ne voit « qu’entre frères et voisins ». Le général Morillon affirme que
Milosevic avait grandement influencé le général Ratko Mladic en 1993 en
l’empêchant de conquérir la zone protégée autour de Srebrenica. D’après
les allégations du général français, au moment du massacre de
Srebrenica en 1995, Mladic agissait en solitaire et n’obéissait à
personne. En soulignant les mérites de Milosevic pour une « solution
pacifique » de la situation autour de Srebrenica en 1993 et son
influence déterminante sur les Serbes de Bosnie, le parquet a essayé
néanmoins de l’accuser de « complicité de génocide ».

Il semble que le point le plus important, sur les 66 contenus dans
l’acte d’accusation, celui de la responsabilité directe du génocide
imputé à Milosevic et que le Parquet essaie depuis deux ans de mettre
sur son dos, soit assez difficile à tenir à la veille de la deuxième
partie du procès. Même la Procureure Del Ponte, dans un entretien avec
AFP la semaine dernière, se voulant apparemment très satisfaite de
l’avancée du procès, a remarqué qu’elle savait depuis le début qu’il
serait très difficile de prouver le génocide, car « c’est toujours
diablement difficile de prouver l’intention ». Interrogée pour savoir
si elle allait considérer comme une défaite personnelle un éventuel
échec à fournir les preuves sur ce point crucial de l’acte
d’accusation, la Procureure générale a souri en disant que la décision
revenait maintenant aux juges.

Retours sur l’affaire Plavsic

La fin de la première phase du procès contre l’ancien président
yougoslave et l’annonce que des témoins importants comparaitront à
l’audience ont fait revenir à La Haye certains envoyés spéciaux. La
plupart s’attendait à voir apparaître Biljana Plavsic comme témoin à
charge contre Milosevic. Elle était arrivée la semaine dernière de
Suède, où elle purge sa peine de onze années de prison, après avoir
reçu une convocation à témoigner. Au bout de quelques jours, Biljana
Plavsic a eté ramenée en Suède, et la seule explication fournie par
Carla del Ponte a été que l’ancienne Présidente de la Republika Srspka
n’avait pas eu le temps de témoigner car il ne restait que deux jours
pour interroger les témoins de l’accusation.

Il est fort possible que l’accusation ait pensé que le témoignagne de
cette femme pouvait être nuisible sur le cours du procès de Milosevic,
alors qu’on avait compté qu’il serait grandement profitable.. Biljana
Plavsic avit dit dans sa déposition que Milosevic était l’architecte de
la politique de séparation ethnique de la population en
Bosnie-Herzégovine, qu’il avait mise en oeuvre avec Karadzic, Krajisnik
et Mladic. Elle mentionnait aussi la participation du ministère de
l’Intérieur de Serbie (MUP), des dirigeants politiques et de la
direction militaire de Belgrade dans l’accomplissement du plan de
séparation des communautés ethniques et de l’expulsion forcée de la
population non serbe des territoires que les Serbes voulaient garder.
Ces aveux auraient dû faire de Milosevic un coupable, car il était au
centre des agissements mentionnés dans l’acte d’accusation comme « le
plan criminel commun ». En l’absence de comparution de Plavsic, le
texte de ses aveux devient quasiment nul dans le procès de Slobodan
Milosevic, et il ne sera pas classé dans les documents judiciaires.

Quelques jours avant la fin de la première phase du procès, Milosevic
a reçu du renfort. On a de nouveau entendu les membres du Comité
international pour sa défense, dont l’un des membres, le professeur
Velko Valkanov de Bulgarie, a fait remarquer qu’en moins d’un an, 24
personnes avaient été condamnées lors du procès de Nuremberg, alors que
le procès d’un seul homme dure plus de deux ans devant « un tribunal
illégal et faux ». Bien sur, cela ne signifie pas que le procès de
Nuremberg était parfait du point de vue juridique, et encore moins que
Milosevic est innocent, comme l’affirment Valkanov et ceux qui
partagent son avis.

Mais il semble bien que les discussions au sujet de la crédibilité du
TPI soient de plus en plus fréquentes. Les capitales mondiales ont de
plus en plus d’objections sur le travail de la procureure générale de
La Haye, à qui l’on attribue une influence négative sur la stabilité de
la région à cause de ses déclarations. Par exemple, en deux jours,
Carla del Ponte a déclaré que la communauté internationale « avait
certainement la volonté » d’arrêter Karadzic et Mladic, et que cette
même communauté internationale « n’avait pas, semble-t-il,la volonté »
de s’occuper des crimes de guerre des Albanais du Kosovo. Or, il
faudrait que tous se souviennent que jusqu’à une époque récente, la
Procureure générale répétait que les pressions politiques ne
l’intéressaient pas, car elle ne faisait que son travail...

Belgrade aura finalement son gouvernement. Il se pourrait alors que
Carla del Ponte dise enfin quelque chose en première main à notre
opinion. Evidemment si elle en a la volonté.


=== 5 ===


Une honteuse parodie de justice

Cathrin Schütz    19/08/2003
source : Balkans-Info / Jünge Welt
URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/
texte.phtml?section=BBBL&object_id=22899


Selon les déclarations de la chef procureur Caria del Ponte,
l'accusation va se concentrer durant les prochains mois du procès de
Milosevic sur Sarajevo et Srebrenica(l). Certains rapports officiels
affirment que 7 à 8.000 musulmans bosniaques ont été tués en juillet
1995, quand les unités serbes ont lancé l'assaut de la "zone protégée"
de Srebrenica. Mais des doutes continuent à faire surface quant à
l'étendue et la nature de ce prétendu crime parce que la version
officielle de l'affaire manque à beaucoup d'égards de vérification
factuelle (2). Après que del Ponte a dû admettre elle-même que le
chapitre Kosovo (qui a servi à l'origine de base à l'inculpation de
Milosevic, ainsi qu'à son enlèvement et sa livraison au tribunal de La
Haye) ne pouvait étayer la qualification de génocide en l'absence de
toute preuve, l'accusation a produit de nouvelles inculpations pour la
Croatie et la Bosnie en attribuant à Milosevic un génocide en Bosnie,
fondé en majeure partie sur les événements de Srebrenica.

Récemment l'accusation a subi un nouveau déboire quand le prédécesseur
de Milosevic, l'ex-président yougoslave Zoran Lilic, a témoigné à La
Haye le 17 juin. Lilic a déclaré que Milosevic n'avait pas été impliqué
dans le massacre de Srebrenica. Le jour suivant, les titres des médias
affirmaient que Srebrenica avait "indigné" Milosevic.

Mais un jour plus tard, cette information favorable à Milosevic avait
disparu, et la presse internationale titrait sur le contraire, disant
"un document pourrait relier Milosevic au massacre" (4). Le document en
question est un texte officiel fourni à l'accusation par le Institute
for War and Peace Reporting (IWPR) de Londres. C'est un ordre du 10
juillet 1995, signé du ministre de l'Intérieur bosno-serbe Tomislav
Kovac, à une unité de la police serbe de faire mouvement de Sarajevo à
Srebrenica pour "écraser l'offensive ennemie menée à partir de la zone
protégée de Srebrenica" (5).

Mais les commentaires paraissant à propos de la présentation de ce
document semblent être à l'avantage de l'ex-président Milosevic. Des
observations inhabituelles ont paru concernant le manque de toute
preuve de l'implication de Milosevic, à l'exception de cet ordre
opportunément découvert. Le chef du bureau de L'IWPR à La Haye, Stacey
Sullivan, tout en signalant la valeur du document, a déclaré : "Jusqu'à
présent, il était généralement admis qu'il n'y avait aucun lien entre
ce qui est arrivé à Srebrenica et Belgrade." Selon le New York Times du
19 juin 2003, un responsable du bureau du procureur a dit : "Pour le
moment, c'est le premier document se rapportant au massacre de juillet
1995." (6). SFOR News le confirme en déclarant, le 20 juin : "A ce
jour, il était généralement considéré que jusqu'à l'été 1995, la Serbie
avait coupé toutes relations avec la direction bosno-serbe et que les
forces serbes n'avaient pas participé à l'opération militaire de
Srebrenica." (7).

Selon Sullivan, ce document montre pour la première fois que la police
serbe a participé à cette opération. La Coalition for International
Justice de Washington affirme le contraire en disant que ce document ne
prouve en aucune façon l'engagement de ces unités. Et ce qu'on ne sait
pas encore - Sullivan lui-même a dû l'avouer - c'est si Milosevic
connaissait la position de ces troupes. Le New York Times, généralement
d'accord avec les autres grands médias pour préjuger de la culpabilité
de Milosevic, a tout à coup choisi de ne laisser aucun doute sur
l'absence de preuves contre Milosevic dans l'affaire de Srebrenica.
"Des témoins et même des participants au massacre ont décrit au
tribunal le rôle joué dans le bain de sang par l'armée, la police et
les combattants paramilitaires. Mais même pendant le procès du général
Radislav Krstic, un des commandants à Srebrenica qui a été condamné à
46 ans de prison pour génocide, le procureur ne disposait d'aucun
document reliant les atrocités à Belgrade." Au vu des réactions à la
première présentation du nouveau document, il semble aujourd'hui qu'il
ait attiré plus d'attention qu'il n'en méritait. Apparemment il ne
révèle aucune "nouvelle preuve" contre Milosevic. Florence Hartmann, la
porte-parole du procureur, a dit par la suite que le document n'était
qu'"un élément" et a annoncé qu'il y en aurait d'autres, ainsi que des
témoins spéciaux pour Srebrenica. Mais on peut constater que le
document a été sorti au moment exact où le témoignage de Lilic sur
l'innocence de Milosevic était l'information principale, de façon à
détourner l'attention des titres qui pouvaient saper la crédibilité de
l'accusation. L'affirmation de l'IWPR qu'on ne s'était pas aperçu de
son existence est pour le moins douteuse. La probabilité que l'IWPR
(dont le bureau de La Haye est à proximité du tribunal) joue le jeu de
l'accusation, est confirmée par sa propre liste d'organisations
associées et de partenaires. Parmi ceux-ci se trouve l'Open Society
Imtitute du milliardaire américain George Soros, qui finance
directement le tribunal. Par USAID, l'institut reçoit de l'argent du
gouvernement américain. Des soutiens proviennent aussi de
l'organisation américaine International Research & Exchanges Board
(IREX). En même temps, IREX finance une longue liste de journalistes de
l'ex-Yougoslavie qui couvrent le procès de La Haye, leur fournissant
entraînement, appartements, ordinateurs, etc. Selon des informations de
son propre site internet, l'IREX reçoit des fonds du Département d'Etat
US et du géant médiatique CNN-AOL-Time Warner. Ce dernier contribue
aussi financièrement au tribunal (8).

Etant donné que le tribunal ne permet plus à Milosevic de communiquer
avec la presse, Vladimir Krsljanin, un de ses assistants de Belgrade, a
déclaré à Junge Welt ; "Carla del Ponte s'est vantée récemment devant
la presse de pouvoir prouver toutes ses accusations -sauf celle de
génocide qui serait plus difficile. Mais même pour cela, elle a dit
qu'elle réussirait dans les prochains mois. Ce n'était qu'un essai de
dissimuler son échec complet aux yeux du public parce que sa position
de chef-procureur a été mise en question. La culpabilité de Slobodan
Milosevic ne peut pas être prouvée parce qu'elle n'existe pas. Tout le
monde sait qu'il a constamment et publiquement condamné tous les
extrémismes et les crimes. Dans sa déclaration d'ouverture, il a
annoncé qu'il prouverait la complicité des services secrets occidentaux
dans les pires atrocités en Bosnie et Croatie." En effet, cette
entreprise semble promise à plus de succès que la tentative de
l'accusation de prouver un lien entre Milosevic et le prétendu massacre
de Srebrenica. Le rapport de la commission du Dutch Instituts for War
Documentation (NIOD), dirigé par Cees Wiebes, le confirme. "Pendant
cinq ans, le Pr Cees Wiebes, de l'université d'Amsterdam, a eu un accès
illimité aux archives des services de renseignement hollandais et a
arpenté les couloirs des quartiers généraux des services secrets
occidentaux, ainsi que ceux de Bosnie, et a posé des questions." (9).
Le Berliner Zeitung allemand d'avril 2002, se référant au rapport
hollandais, a affirmé qu'il n'y avait "aucune suggestion d'implication
directe de Milosevic ou des autorités serbes de Belgrade dans l'attaque
de Srebrenica." Le même rapport, selon le Guardian, révèle par contre
l'implication de forces extérieures. "Les USA se sont servis
d'islamistes pour armer les musulmans de Bosnie. Le rapport sur
Srebrenica dévoile le rôle du Pentagone dans une sale guerre. L'enquête
officielle des Pays-Bas sur le massacre de Srebrenica en 1995, sortie
la semaine dernière, contient un des comptes rendus jamais publiés sur
les services de renseignement occidentaux. (...) Les armes introduites
par avion pendant le printemps de 1995 ont émergé seulement deux
semaines plus tard dans l'enclave assiégée et démilitarisée de
Srebrenica. Quand on s'est aperçu de ces livraisons, les Américains ont
fait pression sur l'UNPROFOR pour que les rapports soient récrits, et
quand les responsables norvégiens ont protesté à propos des vols, ils
ont été réduits au silence par des menaces répétées." Si Caria del
Ponte veut tenir sa promesse de prouver l'accusation de génocide, elle
devra se livrer à ce qui semble son habitude, c'est-à-dire manipuler
les témoins, comme elle l'a fait pour Rade Markovic. L'ex-chef de la
sécurité d'Etat, prévu comme témoin de l'accusation, a déclaré dans son
témoignage qu'on lui avait proposé un marché pour témoigner contre
Milosevic (10).

La déclaration de del Ponte de la mi-juillet - dans laquelle elle dit
espérer que les responsables politiques et militaires des 13 années du
régime de Milosevic témoigneront contre leur ex-leader (11) - paraît de
plus en plus être l'annonce que de nouvelles tentatives vont être
faites d'incriminer ceux qui oseront faire état de circonstances
atténuantes.


Cathrin Schütz
Junge Welt, "Beweisnot in Den Haag ",
19 août 2003.

(1) In : Arthur Max, "UN Prosecutor to show Milosevic Evidence",
Associated Press. 16 juillet 2003.
(2) Entre beaucoup d'autres, cf. Jürgen Elsässer, "Anatomie einer
Tragödie, der Fall von Srebrenica : Horrorzahlen und seriöse
Untersuchungen", Junge Welt. 10 juillet 2003, et Jürgen Elsässer,
"Srebrenica, kein Völkermord, Jahrestag der Einnahme durch serbische
Truppen : Massakeropfer und Gefechtstote auf beiden Seiten", Junge
Welt. 11 juillet 2003. Cf. aussi George Pumphrey, "Srebrenica, Five
Years Later and still Searching", www.balkanpeace.org
(3) "Srebrenica a indigné Milosevic", The Guardian, 18 juin 2003.
(4) Marlise Simons, "Prosecutors say Document links Milosevic to
Génocide", New York Times, 19 juin 2003.
(5) "Milosevic linked to Srebrenica", Radio Netherlands Wereldomroep,
20 juin 2003.
(6) Marlise Simons, op. cité.
(7) SFOR Main News. 20 juin 2003.
(8) cf. www.irex.org pour les fonds versés au TPI, et Christopher
Black, "An Impartial tribunal, Really ?"
www.swans.com:library:art5:zig036.html
(9) Richard Aidrich, "America used Islamists to arm the Bosnian
Muslims, the Srebrenica Report reveals the Pentagon role in a Dirty
War", The Guardian, 22 avril 2003.
(10) Klaus Hartmann, "Wegshauprozess geht weiter", Junge Welt, 26
septembre 2002.
(11) Arthur Max, op. cité.

CROAZIA: VIETATO ALCOL ALLA GUIDA; PRETI, TOLLERANZA PER NOI


(ANSA) - ZAGABRIA, 12 LUG - La proposta del nuovo codice stradale
croato, che prevede l'introduzione del tasso zero di alcol nel sangue e
pene severissime per i trasgressori, ha creato sconcerto tra i preti
cattolici perche' costretti a ''bere in servizio'', durante la funzione
religiosa, ed hanno chiesto un trattamento privilegiato. La nuova
normativa prevede multe salatissime, ritiro della patente e, in caso di
recidiva, anche il carcere. Lo scrive oggi il quotidiano di Zagabria
'Jutarnji list'. ''Bisogna far notare alle autorita' - ha detto il
teologo Zivko Kustic - che non e' giusto trattare i casi dei sacerdoti
come ebbrezza ordinaria ma come obbligo di lavoro''. ''Succede spesso
che alcuni debbano celebrare anche tre messe di seguito in villaggi
vicini, ed e' chiaro che non possono spostarsi senza sedere al
volante'', ha aggiunto Kustic. La chiesa cattolica non ha preso una
posizione ufficiale, ma secondo il giornale, l'annuncio delle nuove
restrizioni che porta l'attuale limite di 0,5 per mille di alcol
tollerato venga ridotto a zero ha destato preoccupazione tra i
sacerdoti che sostengono che, ad eccezione dei vescovi che hanno a
disposizione un autista, nessuno sara' in grado di rispettare la legge.
''Non vuol dire - ha raccontato uno di loro - che ci debba essere
concesso di guidare in stato di ebbrezza, chiediamo solo un minimo di
tolleranza''. ''Dobbiamo celebrare messe tutti i giorni - ha aggiunto -
e se veramente il nuovo codice verra' introdotto e rigorosamente
applicato c'e' il pericolo che la polizia ci schedi tra i trasgressori
piu' gravi, cioe' tra i recidivi, e allora la meta' del clero croato
finira' dietro le sbarre''. (ANSA). COR-VD
12/07/2004 16:07

http://www.ansa.it/balcani/croazia/20040712160733008663.html

Schroeder in Polonia: "Non bisogna capovolgere la storia"


Si metta a confronto l'onesta' ed il coraggio dimostrati dal
cancelliere tedesco Schroeder - almeno in questa occasione - con il
vigliacco opportunismo, il trasformismo ed il revisionismo storico
degli esponenti del centrosinistra italiano. Secondo Piero Fassino, ad
esempio, l'aggressione fascista alla Jugoslavia non poté giustificare
né "la perdita dei territori" (sic) né l'"esodo degli istriani"
(dichiarazioni rese nel corso della conferenza stampa tenuta a Trieste
il 5 febbraio di quest'anno).
Mentre dunque Schroeder rende omaggio alle vittime del nazifascismo,
Fassino preferisce rendere omaggio alle rivendicazioni irredentiste dei
nazionalisti italiani sul nostro "fronte orientale". (IS)


http://www.ticinonline.ch/common_includes/pagine_comuni/
articolo_interna.asp?idarticolo=176825&idtipo=2

02/08/2004 - 23:49

Germania: è polemica su no indennizzi a espulsi da Polonia

BERLINO - All'indomani del discorso di Gerhard Schroeder a Varsavia,
dove alle celebrazioni del 60/o dell'insurrezione ha ammesso le colpe
del Terzo Reich, è polemica in Germania sul no del cancelliere ai
risarcimenti chiesti a Varsavia dai tedeschi espulsi dalla Polonia nel
1945.

Sul piede di guerra è la Federazione degli espulsi (Bund der
Vetriebenen, BdV), che accusa Schroeder di non fare gli interessi dei
suoi connazionali. Parole molto dure ha espresso in varie interviste
Erika Steinbach, presidente del BdV, che ha definito "indecorosa" la
posizione del cancelliere.

Ieri Schroeder, parlando nella capitale polacca accanto al presidente
Aleksander Kwasniewski e al segretario di stato americano Colin Powell,
si era detto contrario alle richieste di indennizzo dei tedeschi
espulsi. "Non vi può essere più alcuno spazio per pretese di
risarcimento provenienti dalla Germania", aveva detto, schierandosi in
tal modo con la dirigenza di Varsavia. Il ministro degli esteri
Wlodzimierz Cimoszewicz aveva espresso grande soddisfazione per le
parole del cancelliere che, a suo avviso, hanno "un grande significato
per la Polonia".

Erika Steinbach ritiene invece che - se non si vuole tirare in ballo la
Polonia - allora dovrebbe essere il governo tedesco a farsi carico del
problema degli indennizzi. "Se Schroeder avesse voluto tranquillizzare
i polacchi, allora avrebbe dovuto dire: saremo noi a fare una legge che
risolve il contenzioso ancora in piedi con gli espulsi, e ci assumiamo
per questo anche l'onere economico", ha detto la Steinbach alla
televisione pubblica Zdf.

Ma il no del governo di Berlino a una tale ipotesi è subito venuto dal
portavoce della cancelleria. "Non ci sarà una tale soluzione", ha detto
il portavoce Thomas Steg. Gli espulsi hanno certo la possibilità - ha
aggiunto - di rivolgersi singolarmente al tribunale, anche se il
governo non vede "alcun fondamento giuridico" per una tale azione.

Un altro elemento di contrasto fra il BdV e Schroeder è la proposta di
realizzare a Berlino un 'Centro contro le espulsionì, sul quale invece
il cancelliere si è detto nettamente contrario.

Sono questi due problemi del resto - le richieste di risarcimento degli
espulsi e il Centro a Berlino - che continuano a condizionare in
negativo i rapporti tra Germania e Polonia, ora partner alla pari
nell'Unione europea.

"Sappiamo bene chi ha scatenato la guerra e chi sono state le sue prime
vittime", aveva detto fra l'altro Schroeder ieri sera a Varsavia nel
discorso alla cerimonia ufficiale del 60/o dell'insurrezione.

Appoggio al no di Schroeder ai risarcimenti per i tedeschi è venuto
oggi dai Verdi, alleati dei socialdemocratici nel governo federale, e
dal segretario generale della Spd Klaus Uwe Benneter. Quest'ultimo ha
invitato la Cdu a prendere le distanze dalla posizione di Erika
Steinbach (lei stessa della Cdu), la cui critica a Schroeder è per
Benneter "di cattivo gusto".

ATS


http://www.tradenet.it/pages_95078.html

(AGI) RIVOLTA VARSAVIA: SCHROEDER, NON BISOGNA CAPOVOLGERE STORIA

(AGI) - Varsavia, 1 ago. - Nel suo atteso discorso in occasione della
commemorazione del 60.mo anniversario della rivolta di Varsavia contro
gli occupanti nazisti, il cancelliere Gerhard Schroeder ha reso omaggio
stasera al coraggio del popolo polacco, ed ha invitato con parole ferme
l'associazione dei profughi tedeschi, che rivendicano la restituzione
dei beni perduti o un loro indennizzo, a non capovolgere la storia. "Mi
inchino - ha detto Schroeder - davanti allo spirito di sacrificio ed
all'orgoglio degli uomini e delle donne dell'Armia Krajova", l'armata
patriottica polacca che per 63 giorni condusse la rivolta prima di
venire annientata dai reparti della Wehrmacht e delle SS. Diversamente
da quanto aveva fatto nella stessa occasione 10 anni fa, in un discorso
rimasto storico, l'allora presidente della repubblica Roman Herzog,
Schroeder non ha parlato esplicitamente delle responsabilità dei
tedeschi, ma delle truppe naziste. "Noi ci inchiniamo oggi con vergogna
di fronte ai crimini delle truppe naziste - ha affermato - In questo
luogo dell'orgoglio polacco e della vergogna tedesca speriamo nella
riconciliazione e nella pace". Herzog aveva pronunciato a suo tempo
queste parole: "Mi inchino oggi davanti ai combattenti della rivolta di
Varsavia e davanti a tutte le vittime polacche della guerra: vi chiedo
perdono per quello che i tedeschi vi hanno fatto". Alludendo in modo
particolare alle posizioni del "Bund der Vertriebenen", l'associazione
dei profughi tedeschi, Schroeder e' stato ancora più chiaro nel
definire le responsabilità della tragedia che si abbatte' sulla
Polonia: "Noi tedeschi sappiamo benissimo - ha detto - chi ha iniziato
la guerra e chi ne sono state le prime vittime. Per questo oggi in
Germania non ci puo' essere piu' alcuno spazio per pretese di
restituzione che capovolgono la storia". -

(Sullo stesso tema vedi anche:
Imperialismo umanitario, dalla Jugoslavia al Sudan
Testi di F. Grimaldi, J. Elsaesser, P. Catapano -
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3638 )


CAP ANAMUR, SUDAN, IMPERIALISMO EUROAMERICANO IN AFRICA: COMPLICI,
IGNORANTI, UTILI IDIOTI

MONDOCANE FUORILINEA 3/8/04

di Fulvio Grimaldi

 
“Quel che il popolo americano ha imparato dalla guerra del Golfo è che
è molto più facile andare a prendere a calci in culo la gente del
Medioriente, che non fare sacrifici per limitare la dipendenza
dell’America dal petrolio importato” (James Schlesinger, ministro
dell’energia sotto Jimmy Carter, 1992).

 
Posto che la Destra, la borghesia, il capitalismo colonialista e
imperialista, fanno il loro mestiere, ideologicamente abbastanza
dichiarato e, comunque, autoevidente, la vicenda Cap Anamur-profughi
“sudanesi” è da iscriversi a caratteri di granito negli annali delle
vergogne della sinistra italiana e europea (non statunitense, né,
ovviamente, terzomondiale) e dei suoi mezzi d’informazione, con
citazione per particolare ignominia di “manifesto”, tristemente vista
la sua tradizionale dignità, e, non sorprendentemente, di
“Liberazione”, autoproclamati “giornali comunisti”.
 
A quanto nei primi trenta giorni mi è stato dato di leggere, vedere,
rintracciare in rete (ammetto la possibilità di qualche vocina
trascurata), siamo stati in 2 (DUE!) del mestiere, tra Germania e
Italia, a denunciare un tanto efferato quanto trasparentissimo
complotto imperialista contro il più grande paese arabo-africano,
giocato sulla pelle, non tanto di 37 robusti e sanissimi giovanotti
ghanesi e nigeriani, probabilmente strumenti consapevoli
dell’operazione (le loro storie degli “orrori” visti e subiti in un
Darfur dove non erano mai stati, le loro sceneggiate nevrotiche, la
falsa identità sudanese dichiarata a tutti gli
“umanitari” precipitatisi a bordo), quanto degli autentici disperati
che a frotte sfuggono alle sciagure direttamente o indirettamente
inflitte dal colonialismo e dai suoi eredi, mercenari e sodali. I 37
“sudanesi” e i loro padrini tedeschi sono serviti, venuta alla luce la
megatruffa, a sputtanare gli autentici fuggiaschi e richiedenti asilo.
Per la maggiore agibilità dei Bossi-Fini, Turco-Napoletano e Pisanu.
Proprio come, in un’operazione non dissimile, il perugino rossonero
Campo Antimperialista, attribuendo patente di resistenti a squalificati
e truffaldini personaggi anti-iracheni, da decenni nell’orbita Cia, ha
agevolato la criminalizzazione della Resistenza popolare di quel paese
e, grazie al protagonismo di arnesi del neonazismo stragista e
picchiatore italiano, da decenni nell’orbita dei servizi, la sua
identificazione con quel poco di antisemitismo che, tra quelle schiere,
rigurgita in Europa, al di là delle provocazioni e mitizzazioni
sioniste. Quei due eravamo il sottoscritto e Juergen Elsaesser, già
autore del fondamentale “Menzogne di guerra”, opera incontrovertibile
di smascheramento dell’aggressione “umanitaria” alla Jugoslavia e,
dunque, di svergognamento delle sinistre anche allora conniventi.
Meritiamo medaglie? Neanche per sogno. Il nostro è stato il più
elementare esercizio del dovere-diritto di cronaca e di analisi che
tutti, ma proprio tutti i fatti della vicenda e del suo retroterra
storico e politico, consentivano agevolmente, anzi, imponevano.

La grandiosità della cosa sta nella diserzione di tutti gli altri.
Tutti, proprio tutti, si sono avvolti nei caldi panni dell’indignazione
morale e della commozione umanitaria, tralasciando ogni pur minimo
studio, ogni più elementare considerazione sia del Sudan, di cui
nessuno mostrava di sapere un cazzo, al di là delle decennali balle
comboniane, israeliane e imperialiste in genere, né di voler spedire
qualcuno a vedere, sia della Cap Anamur e dei suoi rintracciabilissimi
trascorsi di provocazione al servizio dell’imperialismo occidentale. A
questa cosiddetta “ONG” navigante, “Liberazione”, confermando una
vocazione consolidata all’incompetenza e alla subalternità alle fonti
del nemico di classe, diretta emanazione della strategia del suo
sovrano partitico, non si è addirittura peritata di dedicare un
altamente elogiativo riquadro in neretto intitolato “La nave della
speranza – Quando la salvezza viene dal mare: in azione di 25 anni”.

Dunque i cronachieri del tabloid cartonato di RC sapevano che 25 anni
fa la Cap Anamur era stata protagonista assoluta (10.000 salvataggi e
assordanti clamori mediatici) della “tragedia” del boat people
vietnamita. Gente che, sollecitata da opportune promesse di bengodi
statunitensi ed europei (il modello erano i migranti cubani verso la
Florida, attratti da posti, case e privilegi sicuri), tentava di
lasciarsi alle spalle un paese devastato e impoverito da vent’anni di
carneficine e distruzioni franco-statunitensi e che, a fatica, provava
a rimettersi in piedi sotto un embargo non meno micidiale dello
stragista “agente orange”alla diossina (a proposito di “armi chimiche
in mano a terroristi”). Era con ogni evidenza il tentativo di rivincita
contro gli irriducibili comunisti vittoriosi, modello e istigazione
rivoluzionaria per le masse del mondo. Ma per “Liberazione”, cioè per
Bertinotti e i suoi corifei scribacchini, si trattò di eroismo
umanitario, lì come poi in Somalia, Angola, Etiopia, Afghanistan,
Cecenia (!), Haiti (!), Iraq(!), Sudan, dove “l’associazione – sempre
rimasta indipendente da qualsiasi organo di governo -ancora oggi
raccoglie disperati e profughi persi fra i flutti”. La fonte?
Un’accurata ricerca in Internet, un’indagine presso compagni tedeschi
della cosiddetta “Sinistra Europea”, una domandina ai governi
interessati? Macchè, solo ed esclusivamente la stessa “ONG”, nella
fattispecie il suo dirigente Bernd Goeken. Affidabilità? Ovvia, l'ha
detto la tv…

Ricapitoliamo. E basterebbe già. Il 20 giugno – dicono il capo della
“ONG”, il tedesco Elias Bierdel, e il suo capitano Stephan Schmidt – i
37, tutti maschi, tutti giovani e gagliardi in piene forze (non s’era
mai visto), sarebbero stati pescati a largo di Malta; il 24 la Cap
Anamur entra in un porto di Malta dove le toccherebbe, per diritto
internazionale, depositare i profughi. Non lo fa, più tardi giustifica
la sosta a Malta con un guasto. Trova che la vicenda susciterebbe
maggiori echi nel mondo se si approdasse in Italia. Gira per altri 5
giorni nel Mediterraneo, stranamente visto che secondo i naviganti e
gli “umanitari” che si sono precipitati a bordo (Legambiente, Arci,
Acli, Caritas, Emergency, l’oscura Medici Senza Frontiere, la
spionistica Reporters Sans Frontieres, l’inquietante ICS “tutto per gli
albanesi, niente per i serbi”, parlamentari sinistri, e tutta la
compagnia di giro già fattasi sostegno alle menzogne Nato in
Jugoslavia) i profughi sarebbero allo stremo, fisico e psicologico,
viste le orrende immagini del “loro” Darfur con stupri, incendi,
massacri, rapimenti, che ancora gli sconvolgono corpo e mente ( e qui
si sono distinti per Gran Guignol strappasinghiozzi soprattutto qualche
padre comboniano e Massimo Serafini, precipitatosi sul posto con la
“Goletta Verde”). Il 29 giugno, dopo ben nove giorni di inspiegabile
girovagare con i “disperati esausti e a corto di acqua a viveri”
(gliene hanno portato da affondare la nave), Bierdel chiede di sbarcare
a Lampedusa. Ottiene di attraccare a Porto Empedocle, da un governo
italiano perfettamente al corrente dell’imbroglio (e che non mancherà
di utilizzarlo contro successivi, autentici profughi), il 12 luglio.
Succede ancora un po’ di trambusto attorno all’arresto dell’equipaggio,
rapidamente azzerato dall’indignazione umanitaria generale, e
all’espulsione dei falsi “sudanesi”, falsi fuggiaschi da falsi orrori,
che, rientrati in Ghana e Nigeria e tirati per le orecchie per aver
rinnegato la patria, tornano tranquillamente ai loro villaggi. Villaggi
da cui chissà chi li aveva estratti.

Dopo aver attirato sul Sudan la riprovazione e la commiserazione di
tutto il mondo, dei delinquenti colonialisti, dei complici travestiti
da samaritani e degli utili idioti, la storia di spie, provocatori e
mercenari, elevata a manifestazione autoesaltante, politically
correct,di tutto il perbenismo cialtrone o ignorante internazionale,
poteva dirsi esaurita, ma vincente. Nei giorni successivi, innescate da
Bierdel e soci, partono le cannonate propagandistiche e di avvertimento
contro il Sudan: Washington, Londra, Berlino, Parigi, ONU e Nato
ventilano sanzioni e interventi. La corsa degli imperialismi verso il
petrolio, gli oleodotti e la sovranità e unità del Sudan, paese che
diversamente da Angola, Nigeria, Senegal, Marocco, Muaritania, Niger,
Ciad, Mali, Uganda, Kenia, Etiopia, Eritrea, non regala i suoi minerali
alle multinazionali e non accetta basi e “istruttori” USA, è partita.
Il Consiglio di Sicurezza, infervorato di umanitarismo non meno che al
tempo dello sbranamento della Jugoslavia e, poi, dell’avallo
all’occupazione e ai suoi fantocci in Iraq, scaglia tuoni, fulmini e
sanzioni. Powell sfanfareggiava ai quattro venti sul “genocidio nel
Darfur”. La scena è pronta, lo spettacolo può iniziare. Grazie Cap
Anapur.

Storia di spie, provocatori e mercenari? Ohibò, non ci andiamo giù un
po’ pesanti? Che diranno mai gli umanitaristi non violenti,
muncipalisti e partecipazionisti della “Sinistra radicale e
innovata”? Dovunque, in passato, colonialisti e imperialisti hanno
cercato di infilare tentacoli, la Cap Anamur era lì, a pescare nel
torbido, esibendo una volta 10.000 vietnamiti, un’altra milioni di
kosovari in fuga e un’altra 37 “sudanesi”. Fondata nel 1979 da Rupert
Neudeck, si è data lustro ripescando i boat peoplevietnamiti “in fuga
verso un occidente prospero e libero”, definitiva “satanizzazione” dei
vietnamiti e dei comunisti. In Congo, a mestare contro Kabila, quando
fu cacciato il dittatore Mobutu, Neudeck si manifesta anche all’assalto
dell’ideologia socialista partecipando dal largo della Corea del Nord
alle pressioni militari e propandistiche statunitensi, per poi dare un
contributo fondamentale all’aggressione, prima tedesco e papalino e poi
di tutto l’Occidente, (ricordare il sergente non pentito D’Alema, in
corsa verso la presidenza della Repubblica sottobraccio al compagno
Bertinotti) alla Jugoslavia, sostenendo le storie-horror del ministro
Rudolf Scharping e di Madeleine Albright (la cannibala di Iraq e
Jugoslavia, recuperata alle guerre giuste e ben fatte da John Kerry).
Entra in campo al suo fianco Elias Bierdel, all’epoca ancora
corrispondente della Tv tedesca ARD, che rafforza l’intento squartatore
con sanguinolenti aneddoti antiserbi e antipalestinesi raccattati qua e
là. Dal 2003 è il successore di Neudeck. Battesimo del fuoco per
ottenere la qualifica di spia e provocatore, i 37 “sudanesi” e la farsa
del Canale di Sicilia.

Sorella e sostenitrice della Cap Anamur è la tedesca Gesellschaft fuer
Bedrohte Voelker (Associazione per i popoli minacciati, APM), che ha
anche una sezione sudtirolese nella quale si è distinto il presunto
“pacifista interetnico” Alex Langer, sudtirolese, sodale del
provocatore e disinformatore Adriano Sofri, allorché invocava
l’intervento bombarolo della Nato contro la perversa etnia serba e si
agitava per agevolare l’aggressione Nato e la fine dell’interetnicità
socialista nei Balcani. Dal compagno Giuseppe Catapano, che ha
effettuato in proposito una ricerca che sarebbe spettata ai ben più
attrezzati giornali di sinistra, apprendiamo che l’APM si è adoperata
più di tutti perché il governo tedesco difendesse e liberasse Bierdel e
compari. Finta di sinistra, come la Cap Anamur, l’APM ha una sezione
anche in Bosnia, che lavora con zelo per la secessione del Kosovo e del
Sangiaccato in Serbia. Per anni ha gestito l’illegale università
parallela albanese di Pristina, etnicamente pulita, finanziata dal
destabilizzatore finanziario George Soros e sostenuta con i fondi del
narcotraffico degli indipendentisti UCK, istruiti dall’amerikana Al
Qaida. Sempre l’APM, non ha fatto mancare il suo sostegno alle
“minoranze oppresse” nel Caucaso, a partire naturalmente dai
filotedeschi terroristi ceceni, pure rinforzati dall’amerikana Al Qaida
(per il “manifesto” e “Liberazione”, prodighi di attribuzioni
terroristiche a palestinesi e iracheni, trattasi di “ribelli” e
“guerriglieri”),per finire con gli analogamente filotedeschi tartari
della Crimea. Massimo appoggio viene poi riservato, non tanto alle
legittime nostalgie, quanto al revanscismo dei tedeschi cacciati dai
Sudeti, dalla Transilvania, dalla Slesia, dal Don e da Danzica.

In Italia il comitato dei garanti dell’APM vede la presenza del noto
medievalista di estrema destra e di Campo Antimperialista, Franco
Cardini, e di Sergio Salvi, autore di un libro intitolato “L’Italia non
esiste” (Camunia, Firenze, 1996). L’associazione del defunto Langer e
soci ha rapporti stretti con le riviste della “nuova” destra radicale
comunitarista (“Frontiere”) e con lo chauvinismo croato attraverso
l’Associazione Culturale Italia-Croazia di Sandro Damiani. Innumerevoli
i proclami per l’autodeterminazione del Kosovo, spesso ospitati da un
–auguriamocelo – inconsapevole “manifesto”, giornale ingannato non di
rado dalle facciate libertarie-ecologiche-sociali-umanitarie di queste
conventicole collateraliste.

Quanto stretto sia il legame tra questa gente e gli ambienti della
riconquista coloniale occidentale è saltato agli occhi in primis grazie
al sincronismo tra l’operazione Cap Anamur e le mosse della cancelleria
tedesca, precipitasi sul boccone petrolifero sudanese prima ancora che
Colin Powell riuscisse a completare davanti al Consiglio di Sicurezza,
dove ha contro una Cina già ampiamente introdotta in Sudan e una
Francia che, invece, vorrebbe la sua fetta, la frase “genocidio nel
Darfur”. Facendo passare per sudanesi i passeggeri della nave, al
ministro degli esteri Joshua Fischer è stata offerta l’occasione di
“dirigere tutti i fari dell’opinione pubblica mondiale sul Sudan”.
Heidemarie Wieczorek-Zeul, ministra per i paesi emergenti, e Gerhard
Baum, ex-ministro degli interni, hanno tempestivamente proposto un
intervento militare. Kerstin Mueller, sottosegretaria agli esteri,
ricupera la “pulizia etnica” e la “guerra di espulsione”, Christa
Nickels, presidente della commissione parlamentare per i diritti umani,
non si avventura nel Darfur – come del resto nessuno dei trombettieri,
dalle cancellerie occidentali a “Liberazione” - ma si dichiara certa
che in Darfur “è in atto, in sostanza, un genocidio”. Dal Darfur, un
capo ribelle, eccheggia, con meravigliosa conoscenza di causa e
effetto: “Questa è la nostra Sebrenica”. Quando si dice le sinergie!

Sullo sfondo, la reale vicenda sudanese, di un paese in cui
ripetutamente ho assistito di persona a come l’imperialismo sionista,
cattolico e statunitense, ora anche europeo, da almeno 40 anni, cioè
dall’indipendenza e dall’ascesa al potere di successivi governi
nazionalisti ed antimperialisti, cerca di sfasciare e ridurre
all’obbedienza, con particolare accanimento da quando, dieci anni fa,
si sono scoperti, accanto all’acqua e alla fertile agricoltura, ricchi
giacimenti di idrocarburi. E’ bastato che il governo centrale di questo
paese, tradizionalmente laico e con un’intellighenzia assai evoluta –
che mai ha tentato di imporre la legge coranica agli animisti e ai
pochissimi cristiani del Sud – riuscisse a combinare una pace con le
varie bande ribelli del Sud, specialiste in stragi reciproche, ma
dall’Occidente armate e pubblicizzate, che subito si è aperta l’altra
morsa della tenaglia attorno alla sovranità e unità del paese: le
divergenze tra musulmani nomadi e contadini musulmani nel Darfur, area
opportunamente piagata da un’avversità ambientale che è in massima
parte responsabilità dello “sviluppo” occidentale e del sottosviluppo
in cui i britannici, cacciati nel 1959, lasciarono, come ovunque, lo
loro colonia. Già qualche anno fa mi ero inoltrato con un ottimo
ambasciatore italiano (altri tempi!) in profondità nel Darfur. Già
allora la siccità provocava carestie spaventose e fughe in massa,
allora, non istigate e mascherate, proprio come in Kosovo, da atrocità
governative, verso il centro Sudan, ma allora la "comunità
internazionale umanitaria" era totalmente assorbita dalla necessità di
destabilizzare il sud dei secessionisti neri e al Darfur non dedicava
nè una pagnotta, nè "forze di liberazione".  

Da lì le versioni del tutto unilaterali e, come nel caso dell’Iraq e
della Jugoslavia, razzisticamente sprezzanti verso le rettifiche delle
autorità statali sudanesi, su “bande di milizie arabe janjawid” che
sterminerebbero e espellerebbero i poveri contadini: leggende orrifiche
di tipo “kosovaro” mai verificate, “milioni” di profughi nel Ciad amico
degli USA (come l’Uganda, da sempre fomentatore della secessione
meridionale), “centinaia di migliaia” di massacrati, gente e villaggi a
gogò bruciati, gli inevitabili stupri, voracemente illustrati da certi
monumenti femministi, fino agli “orrori dipinti negli occhi dei 37
sudanesi” mai stati in Sudan. E, inevitabili, le “forze della
democrazia”, variamente intitolate “Movimento per la giustizia e
l’eguaglianza”, o “Esercito di Liberazione del Sudan” (del Sudan,
capite, mica del solo Darfur!), ontologicamente buone, come l’UCK
kosovaro, o gli stragisti di civili ceceni, con il corollario dei
santuari nel paese “amico” filo-USA, Ciad, e dei mai menzionati
armamenti forniti da misteriosi umanitari a stelle e striscie (ma,
nella vulgata umanitaria, “strappati ai governativi”). Ed ecco l’ esito
pianificato, talmente banale, scontato e ripetitivo da ricordare i
“selvaggi senz’anima” dei missionari (non per nulla la bandiera morale
è agitata dai monaci comboniani che da cent’anni, con il pretesto delle
scuole e delle cliniche private, rompono i coglioni ai sudanesi): la
grandinata degli annunci di “interventi umanitari” delle potenze
occidentali, in gara per sbranare il paese e rapirne le ricchezze nel
quadro della generale “normalizzazione” del Medio Oriente e della
ricattura euro-statunitense dell’Africa, in questo caaso soprattutto
del petrolifero Sahel.

A questo proposito, è opportuno un cenno sulla progressiva
militarizzazione dell’Africa sahariana e subshariana da parte delle
amministrazioni Clinton e Bush e, prima, la vicenda dell’infiltrazione
tedesca in Sudan.

E’ per iniziativa degli USA e dell’UE, quest’ultima sospinta da
Berlino, che il Consiglio di Sicurezza ha licenziato una risoluzione
che, pur non nominandole espressamente, consente sanzioni contro il
Sudan. Nuove sanzioni, visto che sono in vigore dai tempi
dell’indipendenza di quel paese riottoso – e anche in disputa con
l’Egitto, “nostro amico”, per la gestione delle vitali acque del Nilo,
accaparrate in misura sproporzionata dal Cairo - sanzioni, variamente
giustificate, degli USA e, a intermittenza, degli europei. Sono stati i
tedeschi e i britannici a esercitare il massimo della pressione morale
sulla necessità di intervenire militarmente, ricorrendo alla
drammatizzata rappresentazione della disperazione nella provincia
occidentale del Darfur . Pressione denunciata ripetutamente dal
ministro degli esteri sudanese Mustafa Osman Ismail, già artefice
dell’accordo con i secessionisti del Sud, che a costoro concede buona
parte dei proventi del petrolio a scapito della collettività nazionale
(vedi Croazia), nonché un referendum sull’indipendenza tra sei anni. A
nulla è servita questa davvero generosa disponibilità di Khartum,
neanche a impedire che i negoziati con i “ribelli” del Darfur,
ripetutamente avviati dal governo, venissero da costoro ripetutamente
sabotati, nonostante l’impegno del presidente Omar El Bashir ad
adoperarsi per la pacificazione della provincia entro il tempo
impossibile di 30 giorni, arbitrariamente imposto dall'ONU contro il
precedente impegno di 90 giorni concordato con Kofi Annan. 

Per i tedeschi c’è in ballo un grosso affare. Bypassando con
disinvoltura predatrice le legittime istituzioni sudanesi, sotto gli
auspici di Berlino, la multinazionale tedesca di infrastrutture
Thormaehlen Schweisstechnik ha concluso in Kenia un accordo con gli
esponenti del Sud Sudan per la costruzione di un corridoio ferroviario,
stradale e di oleodotti di 2.500 km, tra la capitale della provincia
meridionale Juba, sprofondata in giacimenti di petrolio, oro e uranio,
attraverso il fidato Uganda, fino a Mombasa nel fidato Kenia. Oggi le
vie di comunicazione e di trasporto dal Sud portano tutte al Nord,
verso Port Sudan e rimangono quindi sotto controllo governativo. Un
progetto con cui l’impresa tedesca favorisce oggettivamente lo
smembramento del paese. “Si tratta dell’arteria femorale della nostra
indipendenza”, si è infervorato Costello Garang, leader di una delle
tante bande secessioniste alimentate dall’esterno. Al contrario, a
rafforzare con il governo l’asse sud-nord, che finora ha tenuto insieme
il grande paese multietnico, si sono impegnati paesi come Russia, Cina,
Malaysia. Il loro contributo di 1,7 miliardi di dollari è però poca
cosa rispetto ai 3 miliardi offerti dai tedeschi. Del resto, è da tempo
che il neocolonialismo di Berlino tiene gli occhi puntati su quest’area
dell’Africa, in evidente competizione con quanto gli USA vanno facendo
sul fianco occidentale e nel Sahel: con sostegno tedesco sta per
partire tra Kenia, Uganda e Tanzania un’unione economico-monetaria, cui
dovrebbero associarsi presto i secessionisti del Sud Sudan, con il
risultato di evidenti tensioni diplomatiche tra i filo-occidentali,
oltrechè corrottissimi, regimi di Uganda e Kenia, da un lato, e Khartum
dall’altro.

Non restano fuori dal gioco gli statunitensi che, fin dai tempi del
primo mandato Clinton, hanno intrapreso una massiccia campagna di
penetrazione e militarizzazione soprattutto dei paesi della Costa
Occidentale e del Sahel. La definitiva presenza militare degli USA, in
forma di basi permanenti, truppe e “istruttori” delle forze armate
locali, è stata sancita il 23-24 marzo scorsi a Stoccarda, quando i
capi di stato maggiore di Ciad, Mali, Mauritania, Marocco, Niger,
Senegal e Tunisia hanno partecipato per la prima volta a una riunione
presso la sede del comando europeo dell’esercito statunitense
(Us-Eucom). Tema: “La cooperazione militare nella lotta globale contro
il terrorismo”. L’autoattentato dell’11 settembre 2001 dei golpisti al
potere a Washington è servito anche a questo. E per la prima volta,
forze armate di Washington hanno partecipato nel marzo 2004 a
operazioni militari in quattro paesi del Sahel: Ciad, Mali, Niger e
Algeria, in quell’Algeria che gli USA stanno da anni destabilizzando e
ricattando proprio manipolando il terrorismo, di patronato Al Qaida,
cioè Cia e Mossad, del Gruppo Salafista per la predicazione e il
combattimento.  E’ con l’alibi della lotta a questi agenti
dell’imperialismo, che gli USA hanno fornito armi in particolare al
Ciad, con ogni probabilità per sostenere la ribellione dei movimenti
nel Darfur (dove abitano sei dei 22 milioni di sudanesi). E all’interno
della corsa statunitense al petrolio e ai minerali africani, con
obiettivi Angola, Nigeria, Zambia, il ribelle Zimbabwe di Mugabe, il
Congo, il Senegal, e il Sudan che prendono vita via via mezzi e
strutture colonialiste statunitensi più articolate e potenti, come la
Pan Sahel Iniziative, l’African Crisis Response Iniziative, l’African
Center for Strategic Studies, emanazione diretta del Pentagono,
l’Africa Contingency Operations Training Assistance“per il mantenimento
della pace e per l’aiuto umanitario”.

Come scrive il giornalista francese Pierre Abramovic, analista
dell’Africa, “Nell’arco dei prossimi dieci anni, il continente africano
diventerà, dopo il Medioriente, la seconda fonte di petrolio, di gas
naturale e di minerali indispensabili degli Stati Uniti”. Due percorsi
strategici sono al centro del pensiero militare americano: a ovest
l’oleodotto Ciad-Camerun verso l’Atlantico e, a est, l’oleodotto
Higleig-Port Sudan. Il Sudan, orgogliosamente indipendente, sta nel
mezzo. Sul posto, in Ciad, ci sono già i mercenari del MPRI, la massima
compagnia USA di assistenza militare al Pentagono, collaudata in
Kosovo, Bosnia, Macedonia e Iraq. L’intera campagna politico-mediatica
del Darfur, cui la Cap Anamur ha fornito pozzi di carburante, e
l’intervento “umanitario” di Bush, Blair, Schroeder e del Consiglio di
Sicurezza sono da collocarsi su questo sfondo. Difficile? No, a
disposizione di tutti. Per la maggiore vergogna dell’informazione
cosiddetta alternativa e di “sinistra radicale”, insieme al suo codazzo
del “volontariato umanitario”.

P.S. Si direbbe che il capo di un partito sedicente comunista dovrebbe
prendere provvedimenti contro quei suoi collaboratori esteri e
giornalisti internazionalisti che di tutto questo al pubblico italiano
non hanno fornito neanche un’ acca, anzi hanno corroborato con
entusiasmo degno di miglior causa l’enorme inganno teso a favorire il
ritorno a ferro e fuoco dell’imperialismo nei confronti dei popoli.
Nulla del genere, come abbiamo visto. Anzi, nei confronti di un modesto
informatore come il sottoscritto, ha "agito" (cambiare l'intransitivo
in transitivo è una di quelle radicali innovazioni che piacciono al
capo) la mannaia inquisizionista del Collegio Federale di Roma, con la
sospensione di nove mesi dal partito per aver difeso Cuba, Milosevic,
la resistenza irachena, l’Intifada palestinese e aver schifato le
piroette liberaldemocratiche ed entriste del vertice (provvedimento la
cui esecutorietà è stata per ora sospesa dal meno obbediente Collegio
Nazionale di Garanzia, “per evidente mancanza di motivi di gravità”).
Intanto il “giornale comunista” “Liberazione” va per la sua strada. Il
29 luglio con un’intera copertina dal- l’agghiacciante titolo “MASSACRO
DI DISOCCUPATI”, dedicato all’operazione della Resistenza irachena a
Bakuba contro l’esercito di collaborazionisti in formazione, addestrato
alla liquidazione e, come provato, alla tortura dei combattenti per la
libertà e la sovranità del paese; con un editoriale di prima pagina del
dirigente per gli esteri dal nome-burla, Migliore, il 3 agosto, in cui
del tutto sprovvisto dell’elementare capacità di classe, ma anche di
semplice mestiere, di distinguere tra atti della resistenza vera e
terrorismi della provocazione eterodiretta (come se in Italia non ci
fossero state le stragi di Stato), si ripete l’anatema contro “gli
attentati alle lunghe file di chi cerca lavoro” ( i partigiani che
colpivano i collaborazionisti dei nazirepubblichini si rivoltano nella
tomba) e, butta insieme le operazioni autentiche della resistenza con
l'assoldato Mossad e Cia e inquinatore della resistenza, Al Zarkawi,
gli attentati alle moschee, universalmente riconosciute come di matrice
israelo-statunitense per frantumare l’unità dello sforzo liberatore
iracheno, e, infine, le bombe contro le chiese cristiane,
evidentissimamente dello stesso stampo, ma dal Migliore definite
“scontro di civiltà”, per la maggiore gloria e soddisfazione di
Huntington, Bush e Berlusconi. 

Terminiamo con una frivolezza femminile. Cercatevi il “commento” di
Ritanna Armeni, una dama che fa la portavoce del leader maximo e,
ohibò, è l'annunciata co-conduttrice della spia Giuliano Ferrara a
“Otto e mezzo”, del 28 luglio. Qui si trascorre felicemente, nella scia
dell’alleanza D’Alema-Bertinotti e Sinistra Europea-UE, dalla donna che
rigetta la rincorsa dell’uomo nella sua scalata maschilista delle
gerarchie borghesi e capitaliste, nientemeno che all’esaltazione di
autentiche emancipate, seppure in un contesto diverso, "tutto da
rispettare" peraltro, come Hillary Clinton, Teresa Heinz Kerry,
Elizabeth Ananaia Edwards. Incrdibile? Troverete questi concetti:
“Superando una visione dell’emancipazione tutta europea”, queste
coniugi si sono emancipate “nella giovane società americana dove altra
è la funzione della famiglia, altro il suo ruolo istituzionale e
religioso” e, dunque, “la via dell’emancipazione e della liberazione
non è univoca né certa. Quella che ci mostra in questi giorni la
convention democratica americana può essere una di queste (sic!). Una
forma nella quale il supporto al ruolo del consorte nulla toglie alle
personali aspirazioni, al personale desiderio di far politica. Del
resto le donne sono abituate a cercare escamotage e scorciatoie”. Così
parlò la First Lady del PRC, che, evidentemente, di “escamotage e
scorciatoie” è ottima intenditrice. Così si inebriò dell’ascesa di
donne nell’ombra e nella collusione con tre uomini che quattro quinti
dell’umanità considerano criminali provati o promessi. Da Rosa
Luxemburg a Hillary Clinton. Bel salto. Mortale.  

Il resto, cari amici, è silenzio. Fino al ritorno dal Venezuela.

SERBIA: ALLARME MOSCHE ASSASSINE, RIBATTEZZATE CLINTONIANE


(ANSA) - BELGRADO, 29 LUG - Una puntura costringe a ricorrere a cure
antiallergiche, due o tre possono essere fatali: e' allarme in Serbia
per uno sconosciuto tipo di mosche particolarmente aggressive, che
secondo gli entomologi locali potrebbe rappresentare una nuova specie,
forse mutata da insetti equatoriali.
I contadini, fra i primi a lanciare l'allarme dopo una sospetta serie
di morie di bestiame, hanno ribattezzato 'clintoniane' le mosche
assassine: perche', spiega il quotidiano Glas, attribuiscono la
comparsa dei misteriosi e pericolosi insetti a fantascientifiche
mutazioni provocate dalle bombe all'uranio impoverito lanciate sul
paese durante i raid della Nato della primavera 1999.
Le 'clintoniane' sono piu' grandi delle mosche normali, completamente
nere, con il corpo allungato e una ampia apertura alare. Il loro morso,
molto doloroso, potrebbe essere scambiato inizialmente per la puntura
di una grossa zanzara. I medici quindi avvertono: se il prurito non
passa entro un'ora, e' bene andare subito in ospedale per un
trattamento contro eventuali shock anafilattici. E rassegnarsi: il
bubbone dovuto al veleno persiste per almeno un mese. (ANSA). OT
29/07/2004 16:51
http://www.ansa.it/balcani/fattidelgiorno/200407291651159814/
200407291651159814.html


[ NOTA: "Fantascientifiche mutazioni" e' il termine adottato dai nostri
disinformatori di regime. Siamo sicuri, comunque, che le colture OGM --
esse pure imposte dalle multinazionali statunitensi, come i
bombardamenti -- in tutto questo non c'entrino? Vedi:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3453 ]

AGGIORNAMENTI SU BOBBY FISHER


Vedi anche:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3654
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3659

SCACCHI: FISHER CHIEDE ASILO IN SERBIA/MONTENEGRO

(ANSA) - BELGRADO, 2 AGO - Bobby Fisher, l'americano ex campione
mondiale di scacchi arrestato nei giorni scorsi in Giappone su mandato
di cattura degli Usa, avrebbe chiesto asilo politico a Serbia e
Montenegro e starebbe negoziando con Tokyo il suo trasferimento a
Belgrado: lo sostiene il presidente della federazione serbomontenegrina
di scacchi Bozidar Ivanovic. Fisher, noto per il carattere insofferente
e i gesti clamorosi, era ricercato dalla giustizia americana per aver
violato nel 1992, nel pieno delle guerre balcaniche, l'embargo
internazionale decretato contro la Jugoslavia di Slobodan Milosevic.
Incurante degli ostracismi diplomatici, l'americano aveva giocato a
Sveti Stefan, in Montenegro, contro l'eterno rivale, quel russo Boris
Spassky al quale aveva tolto nel 1970 il titolo mondiale. La borsa
dell'incontro, ovviamente ben pubblicizzato dal regime di Milosevic,
era stata di un milione di dollari, al quale si era aggiunta la
soddisfazione di una nuova vittoria. A favore dello scacchista
americano e' intervenuto lo stesso presidente montenegrino Filip
Vujanovic, che ha definito un ''obbligo morale'' per Podgorica aiutare
Fisher. Secondo la stampa serbomontenegrina, che cita Ivanovic, il
campione statunitense avrebbe avuto dalle imbarazzate autorita'
giapponesi una scelta di cinque paesi disposti ad accogliere una
richiesta di asilo politico (fra cui Russia e Filippine), e avrebbe
decisamente optato per Serbia e Montenegro. Tanto per non smentire la
sua fama di ribelle: solo qualche anno fa, sarebbe stato enorme lo
scandalo di un vip americano che chiede asilo politico a Belgrado.
(ANSA). OT
02/08/2004 13:21
http://www.ansa.it/balcani/serbiamontenegro/20040802132133030147.html

UN COMITATO PER LA LIBERAZIONE DI BOBBY FISHER

-------- Original Message Minja --------
Subject: BOBBY FISCHER UPDATE
Date: Sat, 31 Jul 2004 06:55:45 -0000
From: John Bosnitch

FOR IMMEDIATE RELEASE July 31, 2004

Bobby Fischer hires a lawyer… Masako

She is a young, attractive Japanese professional. She studied abroad
and
can function well in English in a field dominated by men. Like the
Japanese
Crown Princess Masako, with whom she shares the same first name, this
Masako
is an expert in a field tied to international relations. But Masako
Suzuki
is not giving up her profession - quite the opposite - she has just
taken on
a high-profile legal challenge involving chess legend Bobby Fischer.

Fischer, who has been detained at Narita Airport since July 13 for
allegedly
carrying a revoked U.S. passport, has appointed lawyer Masako Suzuki as
his
legal counsel in his fight against his "kidnapping" by Japanese
Immigration
authorities. Masako studied in the United States and specializes in
immigration-related cases. She will be filing documents in support of
Fischer’s appeal to the Justice Ministry by Monday, after having
successfully negotiated an extension from the original Friday midnight
deadline. Fischer had not wished to appoint counsel, but he acted on
the
advice of his supporters to try to protect his rights in the face of his
continuing "unlawful detention."

The appointment of counsel follows the rejection on Friday of Fischer’s
initial application for a provisional release. Fischer had applied for
release with the backing of Japanese former Vice Foreign Minister Ichiji
Ishii, a friend who came forward to act as his guarantor. Temporary
immigration detention in Tokyo’s Narita Airport can last up to 60 days
and
provisional release in the early part of that period is highly unusual.
Nevertheless, Fischer’s new lawyer is filing another request for a
provisional release and is citing additional grounds, including a
complaint
that the airport jail in which Fischer is confined allows smokers
access to
cigarettes all day, sickening Fischer, who is 61, a nonsmoker, and has
already complained of a lack of fresh air and sunlight.

John Bosnitch, a Tokyo-based Canadian communications consultant who
intervened in the Immigration hearings to try to protect Fischer’s
rights,
said Fischer has not claimed any other citizenship despite the fact
that he
has all the necessary documents to get a German passport. Bosnitch
calls
the deportation a "kidnapping on trumped up charges that constitute
political persecution and violate the UN Charter of Human Rights." He
says
Fischer’s U.S. passport was valid and had three years remaining validity
when it was "illegally seized by Japanese officials on U.S. orders."

Bosnitch, who heads the Tokyo-based Committee to Free Bobby Fischer,
says
the United States has flagrantly violated its own laws and international
treaties in its attack on Bobby Fischer and needs to be told that
"might is
not always right" by the international community. According to Ms.
Miyoko
Watai, the acting president of the Japan Chess Association, Fischer
expects
U.S. officials to soon order Japan to violate its own laws and to simply
hand him over without due process. Masako Suzuki has her work cut out
for her.

- 30 -

(Masako photo available on e-mail request)

Media Contact:
John Bosnitch
Committee to Free Bobby Fischer
+81(90)8119-6679
j o h n . b @ i m c n e w s . c o m
http://www.freebobbyfischer.net

Soldati di ventura / Soldiers of Good Fortune

Sono mercenari del terzo millennio - e' vero - ma mercenari ed
assassini restano: checche' ne dica qualche ministro della Repubblica,
checche' ne dica qualche documentario para-scientifico presentato da
Piero Angela (vedi in fondo, il seguito di una polemica iniziata da
alcune settimane nei confronti di SuperQuark). Stiamo parlando di
personaggi utilizzati per operazioni militari delicate, scabrose, da
effettuare al di fuori di ogni controllo ed all'oscuro dei media e
delle opinioni pubbliche. Come la pulizia etnica delle zone della
Croazia a maggioranza serba.
Ne parla ampiamente anche questo articolo di Barry Yeoman, apparso
sulla rivista progressista statunitense "Mother Jones" un anno fa -
segnalato da Paolo Teobaldelli, che ringraziamo. (IS)


---

http://www.barryyeoman.com/articles/soldiersfortune.html


Soldiers of Good Fortune

They fly helicopters, guard military bases, and provide reconnaissance.
They're private military companies—and they're replacing U.S. soldiers
in the war on terrorism.

By Barry Yeoman

Originally published in Mother Jones, May/June 2003

AT A REMOTE TACTICAL training camp, in a swamp 25 miles from the
world's largest naval base, six U.S. sailors are gearing up for their
part in President Bush's war on terrorism. Dressed in camouflage on a
January afternoon, they wear protective masks and carry nine-millimeter
Berettas that fire non-lethal bullets filled with colored soap. Their
mission: recapture a ship—actually a three-story-high model constructed
of gray steel cargo containers—from armed hijackers.

The men approach the front of the vessel in formation, weapons drawn,
then silently walk the length of the ship. Suddenly, as they turn the
comer, two "terrorists" spring out from behind a plywood barricade and
storm the sailors, guns blazing. The trainees, who have instinctively
crowded together, prove easy pickings: Though they outnumber their
enemy 3-to-1, every one of them gets hit. They return from the ambush
with heads hung, covered in pink dye.

"You had people hiding behind their teammates!" barks their instructor,
Tony Torres, a compact man with freckles and salt-and-pepper hair.
"That's as shameful a thing as I can think of. That's fucked up. That's
just fucked up." When approaching a "bad guy," Torres reminds them, a
unit must move aggressively, fanning out to divert the terrorists'
attention. "You guys need to get your shit together," he scolds.
"There's not a lot of cover in this structure. The only thing to do is
move toward your threat."

The men listen attentively. They know that Torres, a Navy vet, honed
his skills during nine years in the service, performing
search-and-rescue operations and providing nuclear-weapons security.
But Torres no longer works for the military. These days he is an
employee of Blackwater USA, a private company that contracts with the
U.S. armed forces to train soldiers and guard government buildings
around the world. Every day, the Navy sends chartered buses full of
trainees from Naval Station Norfolk to the company's 5,200-acre
facility in Moyock, North Carolina. Last fall, Blackwater signed a
$35.7 million contract with the Pentagon to train more than 10,000
sailors from Virginia, Texas, and California each year in "force
protection." Other contracts are so secret, says Blackwater president
Gary Jackson, that he can't tell one federal agency about the business
he's doing with another.

When Blackwater opened in 1998, the business of war didn't look like
such a sure bet. "This was a roulette, a crapshoot," recalls Jackson, a
former Navy SEAL. During the Gulf War, the Pentagon had begun replacing
soldiers with private contractors, relying on civilian businesses to
provide logistical support to troops on the front lines. Blackwater's
founders were banking on predictions that the military was eager to
speed up the process, privatizing many jobs traditionally reserved for
uniformed troops. Their investment paid off: Since the attacks of
September 11, the company has seen its business boom—enough to warrant
a major expansion of its training facility this year. "To contemplate
outsourcing tactical, strategic, firearms-type training—high-risk
training—is thinking outside the box," Jackson says. "Is this
happening? Yes, this is happening."

As the U.S. military wages the war on terrorism, it is increasingly
relying on for-profit companies like Blackwater to do work normally
performed by soldiers. Defense contractors now do more than simply
build airplanes-they maintain those planes on the battlefield and even
fly them in some of the world's most troubled conflict zones. Private
military companies supply bodyguards for the president of Afghanistan,
construct detention camps to hold suspected terrorists at Guantanamo
Bay, and pilot armed reconnaissance planes and helicopter gunships to
eradicate coca crops in Colombia. They operate the intelligence and
communications systems at the U.S. Northern Command in Colorado, which
is responsible for coordinating a response to any attack on the United
States. And licensed by the State Department, they are contracting with
foreign governments, training soldiers and reorganizing militaries in
Nigeria, Bulgaria, Taiwan, and Equatorial Guinea.

In recent months, private military companies have also played a key
role in preparing for a war with Iraq. They supply essential support to
military bases throughout the Persian Gulf, from operating mess halls
to furnishing security. They provide armed guards at a U.S. Army base
in Qatar, and they use live ammunition to train soldiers at Camp Doha
in Kuwait, where a contractor, whose company ran a computer system that
tracks soldiers in the field, was killed by terrorists last January.
They also maintain an array of weapons systems vital to an invasion of
Iraq, including the B-2 bomber, F-117 stealth fighter, Apache
helicopter, KC-10 refueling tanker, U-2 reconnaissance plane, and the
unmanned Global Hawk reconnaissance unit. In an all-out war against
Saddam Hussein, the military was expected to use as many as 20,000
private contractors in the Persian Gulf That would be 1 civilian for
every 10 soldiers—a 10-fold increase over the first Gulf War.

Indeed, the Bush administration's push to privatize war is swiftly
turning the military-industrial complex of old into something even
more far-reaching: a complex of military industries that do everything
but fire weapons. For-profit military companies now enjoy an estimated
$100 billion in business worldwide each year, with much of the money
going to Fortune 500 firms like Halliburton, DynCorp, Lockheed Martin,
and Raytheon. Secretary of the Army Thomas White, a former vice
chairman of Enron, "has really put a mark on the wall for getting
government employees out of certain functions in the military," says
retired Colonel Tom Sweeney, professor of strategic logistics at the
U.S. Army War College. "It allows you to focus your manpower on the
battlefield kinds of missions."

Private military companies, for their part, are focusing much of their
manpower on Capitol Hill. Many are staffed with retired military
officers who are well connected at the Pentagon—putting them in a prime
position to influence government policy and drive more business to
their firms. In one instance, private contractors successfully
pressured the government to lift a ban on American companies providing
military assistance to Equatorial Guinea, a West African nation accused
of brutal human-rights violations. Because they operate with little
oversight, using contractors also enables the military to skirt troop
limits imposed by Congress and to carry out clandestine operations
without committing U.S. troops or attracting public attention. "Private
military corporations become a way to distance themselves and create
what we used to call 'plausible deniability," says Daniel Nelson, a
former professor of civil-military relations at the Defense
Department's Marshall European Center for Security Studies. "It's
disastrous for democracy."

THE PUSH TO PRIVATIZE WAR got its start during the administration of
the elder President Bush. After the Gulf War ended, the Pentagon, then
headed by Defense Secretary Dick Cheney, paid a Halliburton subsidiary
called Brown & Root Services nearly $9 million to study how private
military companies could provide support for American soldiers in
combat zones. Cheney went on to serve as CEO of Halliburton—and Brown &
Root, now known as Halliburton KBR, has since been awarded at least
$2.5 billion to construct and run military bases, some in secret
locations, as part of the Army's Logistics Civil Augmentation Program.
In March, the Pentagon hired Cheney's former firm to fight fires in
Iraq if Saddam Hussein sabotages oil wells during a U.S. attack.

Pentagon officials say they rely on firms like Halliburton because the
private sector works faster and cheaper than the military. When U.S.
Marines distributed relief supplies in Somalia in 1992, for example,
the military contracted with Brown & Root for logistical support. "They
had laborers and vehicles at the Port of Mogadishu within 11 hours
after we had given them notice," recalls Don Trautner, who runs the
Army logistics program.

The use of private military companies, which gained considerable
momentum under President Clinton, has escalated under the Bush
administration. "There has been a dramatic increase in the military's
reliance on contractor personnel to provide a wide range of support
services for overseas operations," one Washington law firm advises its
defense-company clients in a recent briefing paper. "In addition, the
terrorist attacks of September 11, 2001, resulted in a rapid expansion
of U.S. military activity in many areas of the globe, and President
Bush's ongoing war on terrorism will likely require even greater
contractor support for military operations in the future."

Because the Geneva Convention expressly bans the use of
mercenaries—individual soldiers of fortune who fight solely for
personal gain—private military companies are careful to distance
themselves from any associations with such hired guns. To emphasize
their experience and professionalism, many firms maintain websites
brimming with colorful PR material; the industry even funds an advocacy
group, the International Peace Operations Association, which portrays
military firms as more capable and accountable than the Pentagon.
"These companies want to run a professional operation," says the
group's director, Doug Brooks. "Their incentive is to make money. How
do you make money? You make sure you don't screw up."

When the companies do screw up, however, their status as private
entities often shields them—and the government—from public scrutiny. In
2001, an Alabama-based firm called Aviation Development Corp. that
provided reconnaissance for the CIA in South America misidentified an
errant plane as possibly belonging to cocaine traffickers. Based on the
company's information, the Peruvian air force shot down the aircraft,
killing a U.S. missionary and her seven-month-old daughter. Afterward,
when members of Congress tried to investigate, the State Department and
the CIA refused to provide any information, citing privacy concerns.
"We can't talk about it," administration officials told Congress,
according to a source familiar with the incident. "It's a private
entity. Call the company."

The lack of oversight alarms some members of Congress. "Under a shroud
of secrecy, the United States is carrying out military missions with
people who don't have the same level of accountability," says Rep. Jan
Schakowsky (D-Ill.), a leading congressional critic of privatized war.
"We have individuals who are not obligated to follow orders or follow
the Military Code of Conduct. Their main obligation is to their
employer, not to their country."

Private military companies emphasize their patriotism and expertise,
positioning themselves as a sort of corporate battalion staffed by
ex-soldiers who remain eager to serve their country. Military
Professional Resources Inc., one of the largest and most prestigious
firms, boasts that it can call on 12,500 veterans with expertise in
everything from nuclear operations to submarine attacks. MPRI deploys
its private troops to run Army recruitment centers across the country,
train soldiers to serve as key staff officers in the field, beef up
security at U.S. military bases in Korea, and train foreign armies from
Kuwait to South Africa. At the highest echelons, the Virginia-based
firm is led by retired General Carl Vuono, who served as Army chief of
staff during the Gulf War and the U.S. invasion of Panama. Assisting
him are General Crosbie Saint, former commander of the U.S. Army in
Europe; Lt. General Harry Soyster, former head of the Defense
Intelligence Agency; and General Ron Griffith, former Army vice chief
of staff.

It is precisely this concentration of experience that makes military
firms so politically formidable. Their executives have worked with—and
sometimes commanded—officials in the U.S. military, diplomatic, and
intelligence communities. (Secretary of State Colin Powell describes
General Vuono, his one-time boss, as "one of my dearest friends.")
"Someone at MPRI opens the Defense Department phone book and says, 'Oh,
so-and-so, I served with him,'" explains Nelson, the former Marshall
Center professor. "He picks up the phone: 'Joe, remember me? I'm
working with MPRI now. Hey, listen, bud, we have a real opportunity to
go to Equatorial Guinea.' Nothing more complex than that. It is a
relationship based on years of camaraderie." (MPRI—along with
Halliburton and DynCorp—declined requests for interviews from Mother
Jones.)

The companies don't rely on informal networking alone, though. They
also pour plenty of money into the political system—especially into the
re-election war chests of lawmakers who oversee their business. An
analysis by Mother Jones shows that 17 of the nation's leading private
military firms have invested more than $12.4 million in congressional
and presidential campaigns since 1999. DynCorp, a Virginia-based
military and technology company that receives more than 96 percent of
its $2 billion in annual revenues from the federal government, wrote
more than a dozen checks to the Republican National Committee over the
past three years and made dozens of other contributions to key Capitol
Hill lawmakers on committees that deal with defense issues.

The firms also maintain platoons of Washington lobbyists to help keep
government contracts headed their way. In 2001, according to the most
recent federal disclosure forms, 10 private military companies spent
more than $32 million on lobbying. DynCorp retained two lobbying firms
that year to successfully block a bill that would have forced federal
agencies to justify private contracts on cost-saving grounds. MPRI'S
parent company, L-3 Communications, had more than a dozen lobbyists
working on its behalf, including Linda Daschle, wife of Senate Minority
Leader Tom Daschle. Last year L-3 won $1.7 billion in Defense
Department contracts.

THE CAMPAIGN CASH and personal connections give private military
companies an unusual degree of influence, even by Washington standards.
In at least one case, a company has successfully shifted U.S. foreign
policy to bolster its bottom line. In 1998, the government of
Equatorial Guinea asked MPRI to evaluate its defense systems,
particularly its need for a coast guard to protect its oil reserves. To
do so, MPRI needed a license from the U.S. State Department. But the
Clinton administration flatly rejected the company's request, citing
the West African nation's egregious record of torturing and murdering
political dissidents.

MPRI launched a full-scale blitz to overturn the decision, quietly
dispatching company officials to work the hallways of the Pentagon,
State Department, and Capitol. "This is the kind of lobbying that's
surgically executed," says Rep. Schakowsky. "This is not something they
want a wide discussion on in Congress." MPRI's executives argued that
the United States should be engaging Equatorial Guinea, both to improve
its record on human rights and to ensure access to its oil reserves. It
didn't hurt that the company could effectively pull rank, citing its
extensive military experience. "Remember, these are high-level
four-star generals, who can really make an argument that this is
consistent with foreign policy," says Deborah Avant, an
international-affairs expert at George Washington University.

In 2000, the State Department did an about-face and issued a license to
MPRI. Bennett Freeman, a high-ranking State Department official who
initially opposed the deal, says he changed his mind after meeting with
Lt. General Harry Soyster of MPRI, who convinced him that the company
would include human-rights training in its work. "These private
military companies, if properly directed by U.S. government officials,
can in fact play positive roles," Freeman says. MPRI refuses to reveal
the terms of its contract with Equatorial Guinea.

The United States has a history of dispatching private military
companies to handle the dirtiest foreign assignments. The Pentagon
quietly hired for-profit firms to train Vietnamese troops before
America officially entered the war, and the CIA secretly used private
companies to transport weapons to the Nicaraguan contras during the
1980s after Congress had cut off aid. But as the Bush administration
replaces record numbers of soldiers with contractors, it creates more
opportunities for private firms to carry out clandestine operations
banned by Congress or unpopular with the public. "We can see some merit
in using an outside contractor," Charles Snyder, deputy assistant
secretary of state for African affairs, recently told reporters,
"because then we're not using U.S. uniforms and bodies."

Like the Clinton administration, the Bush administration is relying
heavily on private military companies to wage the war on drugs in South
America. Federal law bans U.S. soldiers from participating in
Colombia's war against left-wing rebels and from training army units
with ties to right-wing paramilitaries infamous for torture and
political killings. There are no such restrictions on for-profit
companies, though, and since the late 1990s, the United States has paid
private military companies an estimated $1.2 billion, both to eradicate
coca crops and to help the Colombian army put down rebels who use the
drug trade to finance their insurgency.

The largest beneficiary of this privatized war has been DynCorp, which
is helping Colombia's national police destroy coca crops with aerial
defoliants. But according to experts familiar with the war, the
company's role goes well beyond spraying fields. DynCorp employees "are
engaged in combatant roles, fighting in counterinsurgency operations
against the Colombian rebel groups," says Peter Singer, a
foreign-policy fellow at the Brookings Institution and author of
Corporate Warriors. "Indeed, the DynCorp personnel have a local
reputation for being both arrogant and far too willing to get 'wet,'
going out on frequent combat missions and engaging in firefights."
DynCorp has not responded to the allegation.

Relying on DynCorp and other private military companies has enabled
Washington to circumvent Congress and avoid attention. "If the
narcotraffickers shot American soldiers down, you could see the
headlines: 'U.S. Troops Killed in Colombia,'" says Myles Frechette, the
U.S. ambassador to Colombia during the Clinton administration. By
contrast, the 1992 assassination of three DynCorp employees, whose
helicopter was shot down during an anti-drug mission in Peru, merited
exactly 113 words in the New York Times. (In February, when another
aircraft crashed during a drug operation in Colombia, three employees
of Northrop Grumman were taken hostage.)

Private military companies also played an unheralded role in the
Balkans. After the breakup of the former Yugoslavia, the United Nations
placed an embargo on providing military assistance to either Serbia or
Croatia. Some in the State Department, however, wanted to counter the
dominance of Serbian president Slobodan Milosevic by strengthening
Croatian president Franjo Tudjman, a self-proclaimed Aryan supremacist.
Private military companies once again provided the answer. In 1994, the
State Department issued a license to MPRI to provide military training
to the Croatian army. "It allowed the United States to exert a good
deal of political heft while reserving its official stance of not being
involved," says Avant, the international-affairs expert at George
Washington University.

MPRI insists that it provided no combat training to Croatian troops,
saying it merely instructed the country's military in how to operate in
a Western-style democracy under civilian control. But according to
independent reports, the company taught basic infantry tactics to
Croatian soldiers and explained how to coordinate assaults. In August
1995, after the training ended, the Croatian army launched Operation
Storm, a U.S.-style military operation designed to take back the
disputed Krajina region from the Serbs. The four-day assault was a
bloody episode of ethnic cleansing. Croatian graduates of MPRI's
training carried out summary executions and indiscriminately shelled
civilians, leaving hundreds dead and more than 150,000 homeless.
Afterward, the Croatians expressed their gratitude for MPRI's help.
"They lecture us on tactics and big war operations," one officer told
The Observer of London, "which is why we needed them for Operation
Storm."

SUCH INCIDENTS POINT TO the greatest danger underlying the increasing
push to privatize war. Soldiers who disobey orders or violate standards
of conduct can be court-martialed and incarcerated; their supervisors
can be reassigned or forced to retire. Private companies, by contrast,
are able to operate in almost complete secrecy, with little
accountability to civilian or military authorities. Consider the case
of two DynCorp employees who exposed a sex-trafficking scandal in
Bosnia, where the company was assisting the American military with
peacekeeping operations during the late 1990s. According to court
documents, DynCorp employees bought and sold local Bosnian girls, some
as young as 13, for use as sex slaves, often confiscating the passports
of victims so they couldn't escape. The men were not subjected to local
or U.S. criminal charges; DynCorp simply whisked them home—and fired
the two whistleblowers.

The lack of accountability could have grave consequences in battle. The
Pentagon has become so dependent on private military companies that it
literally cannot wage war without them. Troops already rely on
for-profit contractors to maintain 28 percent of all weapons systems,
and the Bush administration wants to increase that figure to 50
percent. In most cases, private military companies can legally withdraw
their employees if faced with danger in a combat zone—an escape clause
that worries many military officials. If contractors flee when the
shooting starts, it could sever supply lines, ground aircraft, and
leave soldiers to run complex weapons systems they no longer have the
skill or know-how to keep in working order. "There are some weapons
systems that the U.S. military forces do not have the capability to do
their own maintenance on," concedes David Young, a deputy commander at
the Defense Contract Management Agency. "When you take these weapons
systems into a combat zone, is contract support still reliable,
especially if you are facing weapons of mass destruction? It's a source
of worry when you're talking about chemical or biological weapons."

Military insiders, from the Defense Department's inspector general to
the Army War College, echo that concern. "Will using contractors place
our service personnel at greater risk of losing their lives in combat?"
one Air Force military journal has asked. "Are we ultimately trading
their blood to save a relatively insignificant amount in the national
budget?"

Blackwater USA's Gary Jackson, whose company operates in hostile parts
of Africa and southwestern Asia, insists that his employees would
never bolt from a war zone. "They're paying us good money to go to
places that are already ugly," he says. "If it gets real ugly, that's
why they hired us in the first place." Pentagon
officials also insist that private firms have proved reliable so far.
"I've never seen any deficiencies, even under fire," says the Army's
Don Trautner. "I challenge anyone to come up with a situation where a
contractor would run under harsh or hostile conditions."

Brian Boquist doesn't have to come up with a hypothetical scenario.
Boquist is the founder of International Charter Inc., a small private
military company based in Salem, Oregon, that has provided air
transportation for peacekeeping operations in Africa and Haiti. In
1996, Boquist subcontracted with DynCorp to fly helicopters for
international peacekeepers in Liberia. Four months into the contract,
rebels from the countryside spilled into the capital city of Monrovia,
shooting people and burning homes. While black smoke hung over the
city, refugees trying to escape the violence poured into the U.S.
Embassy compound. All around them, corpses lay in the street.

Boquist and his colleagues fled to the embassy from their downtown
hotel—but when they got there, their superiors from DynCorp were
nowhere to be found. "They had left the day before," Boquist says.
"Just disappeared." Boquist tried to contact the company for several
days and finally reached DynCorp's U.S. offices by telephone. "Do the
best you can to get your personnel out," he recalls being told. By
then, though, the airport in Monrovia was closed. Stranded in the
burning city, Boquist and his colleagues armed themselves—buying
weapons on the black market and picking up abandoned guns from the
street—and defended the embassy and the refugees inside until U.S.
military reinforcements arrived. "It's easy to be patriotic when you
don't have anyplace to go," he says.

Boquist hasn't forgiven DynCorp ("it was hell on earth"), but notes
that it's only natural for businesses to be concerned with their bottom
line. "They're worried about liability and being sued, and that takes
precedence," Boquist says. "That's the same problem you're going to
face in any major conflict."

Despite such experiences in the field, the Bush administration is
rapidly deploying private military companies in the Persian Gulf and
other conflict zones. By March, DynCorp alone had 1,000 employees in
the Middle East to assist in a war with Iraq. "The trend is growth,"
says Daniel Nelson, the former professor at the Pentagon's Marshall
Center. "This current president and administration have—in part because
of September 11, but also because of their fundamental ideology—taken
off constraints that somewhat limited the prior administration."
According to some estimates, private military companies will double
their business by the end of the decade, to $200 billion a year.

President Bush only has to look to his father's war to see what the
consequences of this trend could be in a second conflict with Iraq. In
the Gulf War's single deadliest incident, an Iraqi missile hit a
barracks far from the front, killing 28 Army reservists who were
responsible for purifying drinking water. Other troops quickly jumped
in to take their place. "Today, the military relies heavily on
contractors for this support," Colonel Steven Zamparelli, a career
contracting officer, notes in the Air Force Journal of Logistics. "If
death becomes a real threat, there is no doubt that some contractors
will exercise their legal rights to get out of the theater. Not so many
years ago, that may have simply meant no hot food or reduced morale and
welfare activity. Today, it could mean the only people a field
commander has to accomplish a critical 'core competency' task such as
weapons-system maintenance...have left and gone home."

Copyright © 2004 Barry Yeoman


---


Sulla polemica con SUPERQUARK vedi anche:

http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3633


Da: andreamartocchia
Data: Lun 26 Lug 2004 19:34:17 Europe/Rome
A: Pinna Lorenzo, superquark
Oggetto: Sulla risposta della redazione di SuperQuark -- Re: I:
servizio Eserciti Privati

Gentile redazione di SuperQuark,

la vostra risposta alla nostra Lettera ci lascia ulteriormente
sconcertati ed amareggiati.

Il coinvolgimento della MPRI nelle operazioni "Lampo" e "Tempesta" ha
avuto come principale risultato la cacciata di almeno
centocinquantamila persone, ed ha comportato centinaia di morti ed
altrettanti scomparsi. Non si e' dunque affatto trattato di operazioni
mirate a "ristabilire la pace", a meno che per "pace" non si intenda
semplicemente l'annientamento dell'avversario. Questo, di fatto, ha
motivato la nostra lettera di protesta; eppure tutto cio' non viene
nemmeno menzionato nella vostra risposta, la quale contiene invece
valutazioni e commenti di carattere essenzialmente politico, e
nondimeno fortemente superficiali, in merito a quelli che definite
"vecchi stereotipi".

Dove sia l'informazione scientifica, in tutto questo, resta per noi un
mistero! Chi ha diffuso "stereotipi" sulla guerra di squartamento della
Jugoslavia, in tutti questi anni, sono stati innanzitutto i mass-media
occidentali: voi compresi, purtroppo, almeno a partire dalla
trasmissione dello scorso 6 luglio. Questi stereotipi non vengono
diffusi "per caso", bensi' proprio allo scopo di nascondere la verita'
sulle responsabilita' e sulle conseguenze del conflitto. In questo caso
specifico, voi avete scelto di nascondere la pulizia etnica dei Serbi
della Croazia, e di tessere le lodi dei suoi maggiori responsabili,
cioe' certi settori militari degli Stati Uniti d'America. Il vostro
documentario e' stato costruito sulla base di UNA SOLA FONTE, quella da
voi citata nella vostra risposta, e nondimeno con ampio spreco di
denaro pubblico, laddove una semplice ricerchina in internet avrebbe
consentito di trovare informazioni ben piu' accurate, e comunque non
cosi' unilaterali, sullo stesso argomento (vedi ad es. l'articolo "La
privatizzazione della guerra" di Ken Silverstein, pubblicato da "The
Nation" il 28 luglio 1997, e tradotto nel n. 47, marzo 1998 di
"Guerre&Pace").

Questo modo di nascondere i fatti per spostare tendenziosamente le
responsabilita', come sanno tutti gli esperti di strategia militare,
viene definito "disinformazione strategica". Forse il vostro prossimo
documentario potreste dedicarlo proprio a questa ed alle altre tecniche
di guerra psicologica (sulla disinformazione strategica nel caso
jugoslavo e nelle altre guerre contemporanee suggeriamo di partire ad
es. da qualche ricerca Google su: "Ruder&Finn Public Global Affairs",
"Hill&Knowlton", "Office of Strategic Influence", "Fourth Psychological
Operations Group, Fort Bragg, North Carolina", "PsyOps", ...), visto
che pare abbiate scelto di "aprire" SuperQuark alle questioni militari
- in questo purtroppo assecondando la tristissima tendenza che
caratterizza la fase storica in cui viviamo.

Con l'occasione segnaliamo che si sono uniti alla nostra protesta
l'ing. Giacomo Alessandroni, Giancarlo Chieregato, il prof. Mauro
Cristaldi, e, dalla Francia, il generale Pierre-Marie Gallois,
notissimo esperto di geopolitica - che conosce bene la lingua italiana
- e Bogdan Manojlovic, ricercatore all'Université Paris12.

Seguono tutte le adesioni aggiornate:


Giacomo Alessandroni, ingegnere, Associazione PeaceLink

Angelo Baracca, docente di Fisica all'Universita' di Firenze

Vincenzo Brandi, ricercatore presso l'ENEA Casaccia, Roma

Giuseppe Catapano, operatore nel settore delle telecomunicazioni, Roma

Andrea Catone, storico del movimento operaio, Bari

Giancarlo Chieregato, artigiano, Crandola Valsassina (Lecco)

Franco Consalvi, funzionario pubblico, Roma

Mauro Cristaldi, prof.associato, Dip. Biologia Animale e dell'Uomo,
Univ. Roma "La Sapienza"

Olga Daric, traduttrice, Parigi

Pasquale De Sole, Laboratorio di Chimica Clinica del Policlinico
Gemelli (Università Cattolica S.Cuore), Roma

Spartaco Ferri, già partigiano nella Lotta di Liberazione contro il
nazifascismo, Roma

Miriam Pellegrini Ferri, scrittrice e Presidente del Gruppo Atei
Materialisti Dialettici (G.A.MA.DI.), Roma

Maria Fierro, funzionario pubblico, Roma

Pierre-Marie Gallois, géneral de l'air (CR), théoricien de la force de
frappe nucléaire française

Babsi Jones, www.babsijones.org, Milano

Ivana Kerecki, sociologa e collaboratrice editoriale, Milano

Anita Krstic, operatore turistico, Milano

Bogdan Manojlovic, chercher université Paris12, cofondatore della
rivista Balkans Infos e membro della redazione

Serena Marchionni, bibliotecaria, Strasburgo (Francia)

Andrea Martocchia, Osservatorio Astronomico di Strasburgo

Edoardo Nucci, Ass. Internazionale per l'Amicizia e la Solidarieta' tra
i Popoli (AIASP), Roma

Ivan Pavicevac, conduttore della trasmissione radiofonica "Voce
jugoslava" , Roma

Cristiano Roman, lavoratore autonomo, Milano

Fabrizio Rossi, ingegnere industriale, Roma

Libero Vitiello, Dipartimento di Biologia, Universita' di Padova

Gilberto Vlaic, Dipartimento di Scienze Chimiche, Universita' di Trieste

Milica Vukelic, Milano


> Da: Pinna Lorenzo
> Inviato: giovedì 15 luglio 2004 11.18
> Oggetto: servizio Eserciti Privati
>
>
> Roma,15 .7.2004
>
> Gentilissimi,
> Il servizio sulle Imprese Militari Private tentava di spiegare una
> trasformazione in corso nell' organizzazione militare
> dell'Occidente,di cui il caso "Croazia" e' solo uno degli esempi
> citati. Una trasformazione di cui non ci si rendera' conto e che
> quindi non si riuscira' a regolare o a limitare finche' si
> continueranno a dare giudizi morali o a usare vecchi stereotipi come:
> merceneri, avventurieri, manovre oscure, avidi interessi, imperialismo
> americano, etc.
> La base del nostro " disinformato" servizio era il libro di J. Singer
> "Corporate Warriors" Cornell University 2002 e un lungo colloquio di
> circa tre ore con lo stesso autore del libro nel suo ufficio della
> Brookings Institution di Washington.
> Non era nostra intenzione entrare nella storia specifica del complesso
> conflitto jugoslavo, cosa d'altronde impossibile visto il tempo che ci
> era concesso ( circa 7 minuti) per trattare
> questo argomento.
> Grazie per l'attenzione con la quale ci avetre seguiti. I nostri piu'
> cordiali saluti.
>
>
> La Redazione di SuperQuark

Source:
http://www.anti-imperialism.net/lai/index.php?section=BB&language_id=1


Le mensonge de Dubrovnik

John Peter Maher    01/07/2004
source : Balkans-Info

URL :
http://www.anti-imperialism.net/lai/
texte.phtml?section=BB&object_id=22839


I. La propagande

Il y a une douzaine d'années, l'assaut de cette pittoresque ville
fortifiée du Moyen âge sur la mer Adriatique face à l'Italie, a
enflammé la conscience mondiale en rappelant des noms du passé
comme Guernica, Coventry ou Hiroshima. J'ai appris les détails de
l'histoire pendant un voyage d'études le mois dernier sur la côte
dalmate de l'ex-Yougoslavie. Je pense qu'elle intéressera les
importants groupes ethniques croates, serbes et Slovènes de Pittsburgh.

Au début de la visite, nous avons contemplé Dubrovnik des hauteurs à
partir desquelles les Serbes ont bombardé pendant sept mois, en
1991-92, quelques-uns des plus beaux monuments d'Europe au cours de la
soi-disant guerre civile. Pour dire vrai, il a été difficile
d'apprécier l'envergure de l'assaut jusqu'à ce qu'on note la différence
de teinte de rouge entre les tuiles anciennes des dessins des toitures
et les nouvelles tuiles de remplacement. Mais cela n'avait rien à voir
avec les villes écrasées que j'avais vues comme soldat de la Seconde
guerre mondiale. Mais au fur et à mesure des explications des guides
fournis par les organisateurs, l'histoire du siège de Dubrovnik et de
son impact sur l'opinion publique est devenue plus claire.

L'experte en art Kate Bagoje a décrit la sinistre situation de ce
qu'elle a appelé une "agression inattendue" pour laquelle cette ville
touristique méditerranéenne n'était "absolument pas préparée". Elle a
cité un total de 824 bâtiments endommagés, dont 563 directement
frappés, et 9 palais incendiés pour un coût total de 30 millions de
dollars. Plus de 150 personnes ont été tuées, et 1.000 blessées par les
bombardements. La colère de la communauté internationale a été
provoquée par le fait que les forces serbes semblaient prendre pour
cibles les symboles spécifiques de la culture croato-dalmate dans une
ville que l'UNESCO avait désignée comme faisant partie du patrimoine
mondial en 1979. Par exemple, il y a eu 51 frappes sur le célèbre
monastère franciscain. Le cœur de l'histoire de Dubrovnik au XXe siècle
a été la réaction mondiale à l'agression serbe. D'abord, il y a eu un
afflux international d'argent et d'aide technique pour restaurer la
ville. Des contributions sont venues des agences de l'ONU, d'Amérique,
d'Angleterre, d'Allemagne et du Japon, de Croates vivant à l'étranger,
et de fondations de sociétés ou de particuliers. L'argent de l'UNESCO a
servi à réparer les murs épais qui donnent à la cité son caractère. La
France a envoyé des tuiles de remplacement, les USA de l'argent pour
remettre en état les pavés et les fameux "escaliers espagnols" (ainsi
nommés par comparaison avec ceux de la Piazza di Spagna à Rome). Une
équipe allemande de Düsseldorf a restaurée une précieuse fontaine. En
fait, a dit Bagoje, le travail a été si bien fait que les gens ne
réalisent pas l'étendue des dommages ainsi effacés.

Le second résultat majeur a été l'impact sur la politique mondiale.
Quelles qu'aient été les responsabilités de la guerre - Croates et
Serbes ont commis des atrocités - le siège a contribué à tourner
l'opinion publique contre les Serbes. Quand la guerre s'est étendue à
la Bosnie et au Kosovo, l'aboutissement a été le bombardement USA-OTAN
de Belgrade et de restant de la Serbie.

Vjekoslav Vierda, directeur de l'Institut pour la restauration de
Dubrovnik, a expliqué à notre groupe que "tout le monde pensait qu'on
pouvait résoudre les vieux problèmes en s'entretuant." Les difficultés
remontent à des siècles de relations tendues entre les Serbes chrétiens
orthodoxes, les Croates catholiques romains et les Bosniaques
musulmans, exacerbées au cours de la Seconde guerre mondiale quand les
Oustachis croates ont pris le parti de l'Allemagne nazie contre les
Techtniks serbes, avec les partisans de Josip Tito remportant la
victoire à la fin. Après la mort de Tito en 1980, la désintégration de
la Yougoslavie une décennie plus tard a coïncidé avec l'écroulement du
communisme en Europe. Pendant quelque temps, la Serbie a détenu les
meilleures cartes avec l'armée yougoslave, la troisième d'Europe. Mais
les Croates, à travers les marchands d'armes clandestins, sont arrivés
à construire leur armée - en particulier avec des armements en
provenance de l'ex-Allemagne de l'Est - au point de pouvoir reconquérir
des territoires aux dépens des Serbes. Vierda a ajouté la peu
réjouissante conclusion que ces marchands d'armes possèdent aujourd'hui
80 % de la richesse croate - industries, hôtels, etc.

La communauté internationale est finalement arrivée à imposer les
accords de Dayton de 1995. Malheureusement, la démocratie n'a pas pris
pied en Croatie jusqu'à la mort de son leader autocratique, Franjo
Tudjman, en 1999. En Serbie, la situation est encore fragile, bien que
son chef de guerre, Slobodan Milosevic, soit inculpé à La Haye de
crimes de guerre. Une heureuse exception est la Slovénie, qui a si bien
mis en ordre ses affaires qu'elle a rejoint l'Union européenne le 1er
mai. En tous cas, il est clair que la communauté internationale a été
la clef de la paix et du progrès dans les Balkans, à dater du siège de
Dubrovnik.

Clarke THOMAS.
"The Lesson of Dubrovnik", Pittsburgh Post-Gazette, 12 mai 2004.

II. La vérité

Cher Monsieur Thomas.

A première vue, votre rubrique donne l'impression d'être écrite par un
homme correct à l'esprit ouvert. Mais votre article sur Dubrovnik du 12
mai dernier ressort un scénario qui est faux du début à la fin. Je suis
allé à Dubrovnik, pas convaincu par la propagande du genre "armes de
destruction massive" répandue dans les médias à l'époque. J'ai pris
avec moi un cameraman professionnel. Ceci se passait juste trois mois
après la "destruction". La Vieille ville était entière et intacte.
Votre texte ne fait que perpétuer et propager un faux.

Vous avez écrit incidemment que vous aviez du mal à croire les récits
de destruction, car vous n'arriviez pas à discerner des traces de
dommages comparables à ce que vous aviez vu en Allemagne après la
Seconde guerre mondiale, mais vous avez tout de même répété la leçon
mensongère apprise de ceux qui vous ont manipulé. Vous et moi avons à
peine quelques années de différence d'âge. J'avais tout juste 12 ans
lors du jour V de la victoire. J'ai été diplômé en grec et latin à
l'Université catholique d'Amérique de Washington, et j'ai enseigné
l'anglais, le français et le latin en 1956-57. En 1957, je me suis
enrôlé aux USA, et j'ai été volontaire pour apprendre le serbo-croate
dans l'Ecole militaire de langues du Praesidium de Monterey. Puis j'ai
travaillé pendant deux ans au bureau yougoslave d'une unité en Italie
du Nord. Au cours des quarante années qui ont suivi, je me suis
maintenu à jour de mes langues, j'ai enseigné et fait de la recherche
aux USA, en Angleterre, en Irlande, en Allemagne, en Italie, en Suisse,
en Tchécoslovaquie, en Bulgarie et en Yougoslavie. Aujourd'hui, en tant
que retraité, j'ai suivi de près les conflits en Yougoslavie, avec une
attention particulière portée à la propagande de guerre. J'ai voyagé en
Slovénie, Serbie (y compris le Kosovo), Croatie, Bosnie-Herzégovine,
Slavonie et Dalmatie. Venons-en à Dubrovnik. Comme vous devez le
savoir, l'ancienne Raguse a été une ville-Etat pendant 750 ans, jusqu'à
ce que Napoléon la remette à l'Autriche. Les Autrichiens n'ont jamais
incorporé Dubrovnik à la Croatie. La région étroite autour de Zagreb
appartenait au royaume de Hongrie. Ce n'est qu'en 1939, une grande
année pour Hitler, que Dubrovnik a été rattachée à une Croatie
délimitée pour des raisons politiques, en violation des implantations
ethniques et sans le consentement des populations concernées, par le
royaume de Yougoslavie qui craignait les visées allemandes sur
l'Adriatique.

En 1945, Tito a parachevé l'intégration de la vieille république de
Dubrovnik. En 1991, les Allemands et leurs satellites, les fascistes
croates, étaient de retour. Les Croates non-fascistes, les Serbes et
les autres ont été expulsés de la "perle de l'Adriatique". Cela s'est
passé le 1er octobre 1991, et l'exode a été occulté par le rideau de
fumée de la propagande de guerre à laquelle vous participez.

En ce qui me concerne, j'ai rencontré en l'été 1990 une de mes
étudiantes de Chicago, une croato-hongroise qui, l'année précédente,
exultait à l'idée de rentrer comme professeur d'anglais dans sa ville
natale de Subotica, en Serbie, à la frontière hongroise. La ville a une
importante population croate et hongroise. La Serbie est le seul Etat
multiethnique qui subsiste de l'ex-Yougoslavie.

Le projet de mon étudiante était en cendres. "Mes parents reviennent
de vacances près de Dubrovnik, m'a-t-elle raconté. Ils m'ont dit qu'il
ne fallait pas que je revienne à la maison. Il allait arriver des
malheurs... Les fascistes croates s'attaquaient aux voitures avec des
plaques d'immatriculation serbes et les jetaient à la mer."

Plus d'un an avant que la guerre ne fasse la "une" des médias, au
printemps 1990, j'avais lu dans les journaux yougoslaves, au cours d'un
séjour en Slovénie, que les militants croates incendiaient les maisons
de vacances sur l'Adriatique appartenant aux Serbes et aux Slovènes.
L'été suivant, en 1991, les seuls "touristes" à Dubrovnik étaient des
irréguliers croates équipés d'armes fournies en contrebande par
l'Allemagne. Vous pouvez vérifier les registres des hôtels. En août
1991, les irréguliers croates ont attaqué une base militaire yougoslave
à l'entrée de la baie de Kotor, à deux douzaines de km au sud de
Dubrovnik. Les Croates ont massacré les recrues non armées de l'Armée
populaire yougoslave (JNA), une force multiethnique.

La JNA était l'armée légale d'un Etat constitué. C'était une force
multiethnique, ni serbe, ni commandée par des Serbes. Il y avait des
Slovènes, des Albanais, des Macédoniens, des Tchèques, des Slovaques,
des Serbes de toutes les régions de la Serbie... et des Croates.
Beaucoup ont été tués. Le commandant en chef était un Croate, pas
Milosevic. Un officier du renseignement naval m'a dit que l'opération
avait été filmée de bout en bout par le service du contre-espionnage de
la JNA. Celle-ci a observé sans bouger. Les ordres sont les ordres.

D'octobre à décembre 1991, les "militants" croates ont multiplié les
sorties de la vieille ville fortifiée pour attaquer les forces de la
JNA. Celles-ci ont riposté. Voilà vos "150 morts croates". A l'automne
1991, les journaux croates (lisez-les, si vous pouvez) étaient pleins
de nécrologies de leurs tués. Un des héros tombés y a même figuré comme
membre de la "3e escouade génocide". Vous pouvez trouver la référence
dans le quotidien de Zagreb Globus. En voulez-vous une photocopie ?
Tout le monde sait aujourd'hui que les racontars, si souvent martelés
dans nos têtes, sur les armes de destruction massive de Saddam Hussein
étaient des faux, comme la crise du Tonkin de Lyndon Johnson ou les
"atrocités serbes" de Bill Clinton.

La firme de relations publiques de Washington Rudder Finn a orchestré
une campagne qui comprenait un appel "achetez une tuile".
L'hebdomadaire croato-américain Zajednicar a publié des photos montrant
soi-disant Dubrovnik "avant" et "après" la destruction. Quant j'ai
montré le journal à Pippa Smith, elle a dit : "Ce sont deux villes
différentes. Regardez les lignes des toits. J'ai étudié l'architecture."

La fable que l'historienne d'art K. Bagoje vous a racontée est
contredite par la spécialiste croate Lejla Miletic-Vejvozic dans un
article de Spécial Libraries. Elle apporte la preuve que des containers
étanches avaient été fournis par l'Allemagne. Les trésors ont été
embarqués à l'étranger, en premier lieu en Italie. Où sont-ils
maintenant ? Y avait-il parmi eux des icônes orthodoxes serbes ?

Le seul bâtiment de la Vieille ville de Dubrovnik qui a été détruit
par un incendie contenait une collection d'icônes orthodoxes serbes. Le
mensonge de "Dubrovnik détruite et reconstruite" a été révélé par le
capitaine Michael Shuttleworth (représentant anglais à l'Union
européenne à l'époque), par les journalistes Stephen Kinzer (New York
Times), Michael Steiner (National Review), Bruno Beloff, par l'écrivain
autrichien Peter Handke, et par moi. Je vous enverrai à Pittsburgh la
chronologie de cette falsification.

John Peter MAHER.
Ph. D. Professeur émérite, Chicago.

TURCHIA: MOSCHEA INTITOLATA AD ALIJA IZETBEGOVIC


Coerentemente con la tradizione di amicizia che lega i separatisti
bosniaco-musulmani alla Turchia -- e che ha legato, mentre era in vita,
Alija Izetbegovic agli islamisti turchi -- e' stata inaugurata pochi
giorni fa ad Istambul una moschea intitolata allo stesso Izetbegovic.

Si veda al sito degli islamisti bosniaci una fotografia e commenti su
questo "evento":
http://www.islambosna.ba/index.php?name=PNphpBB2&file=viewtopic&t=4279

Sulle amicizie internazionali di Alija Izetbegovic vedi:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2906
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2953

Sulle radici naziste della politica di Izetbegovic vedi:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2879
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2881
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2884
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/2897


http://www.islambosna.ba/index.php?name=PNphpBB2&file=viewtopic&t=4279

Dzamija Alija Izetbegovic

IslamBosna.ba Forum Index » BOSANSKI jezik » Vijesti

Posted: Jul 31, 2004 - 02:19 AM

Danas je u Istanbulu, u cetvrti Pendik poznato po velikom broju
Bosnjaka koji u Turskoj zive vise godina, otvorena dzamija "Alije
Izetbegovica"-nazvana po prvom predsjedniku nezavisne BiH...

kako to turcin rece:

today in Istanbul there was a ceremony for opening of a mosque which is
named as "Alija Izzetbegovic Camija". The camija is builded in the
district where Bosnian Turks mostly populated, the name of the district
is "Pendik". The ceremony was just before the Dzuma, and after the
ceremony Dzuma is prayed.

not only for Bosnians, but also for all muslims around the world Alija
Izzetbegovic is a great man. He did his best for Bosnian Muslims'
rights and independence.

there is not only the camija also a library is located at the place
also with the name of our leader.

Head of Greater Municipality of Istanbul Kadir Topbas, Alija
Izetbegovic's son, Bakir Izzetbegovic and his wife Sabiya Izzetegovic,
Head of Turkish Governmental Religion Office Prof. Dr. Ali Bardakoglu,
Head of Bosna-Hersek Religion Office Prof. Dr. Mustafa Ceric,
Bosna-Hersek Istanbul Consulate Yusuf Pusina, District Governor of
Pendik Mustafa Haluk Saygı, Head of Municipality of Pendik Erol Kaya,
Head of Municipality of Tuzla(near district) Mehmet Demir, Assistant
Secretary General of Greater Municipality of Istanbul Saban Erden and
muftis from different districts of Istanbul were in the ceremony.


MORE COMMENTS ON:
http://www.islambosna.ba/
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Dzamija Alija Izetbegovic

Milosevic contre le "tribunal" de l'OTAN à La Haye

1. Appel contre l'imposition d'un conseil juridique à Slobodan Milosevic

2. COURRIER ANTI-IMPÉRIALISTE du Pôle de Renaissance Communiste en
France:
2.1 Avec Slobodan Milosevic, défendons la vérité historique ! Discours
de Klaus Hartmann, le 26 juin 2004 à La Haye
2.2 Pourquoi la cour de La Haye veut-elle faire taire Milosevic ? Par
John Catalinotto, Journal Workers World Nº du 15 juillet 2004

3. INTERVENTION A LA PROTESTATION INTERNATIONALE
DE LA HAYE LE 26 JUIN 2004 par René Georges Lefort, PRCF, Paris


=== 1 ===


Date : Sat, 31 Jul 2004 22:16:06 +0200
De : "Roland Marounek"
A: a l e r t e _ o t a n @ y a h o o g r o u p e s . f r
Objet : [alerte_otan] 50 juristes et avocats de 12 pays lancent un
appel contre l'imposition d'un conseil juridique à Slobodan Milosevic


50 juristes et avocats de 12 pays lancent un appel contre l'imposition
d'un conseil juridique à Slobodan Milosevic

Traduction Jean-Marie Flémal

Communiqué de presse
29 juillet 2004

50 juristes et avocats de 12 pays lancent un appel contre l'imposition
d'un conseil juridique à Slobodan Milosevic

Ramsey Clark (Etats-Unis), Sergei Babourine (vice-président du
Parlement russe), Jacques Vergès (France), les professeurs Paech et
Friedrich Wolf (Allemagne), Jitendra Sharma (Inde, président de
l'Association internationale des Avocats démocratiques) et les
professeurs Avramov et Cavoski de Belgrade figurent au nombre des
personnes convaincues que l'intention du Tribunal de La Haye doit être
contrecarrée, puisqu'elle « menace l'avenir du droit international
ainsi que la vie de l'accusé ».

Une lettre, signée par 50 éminents juristes, professeurs de droits et
avocats criminels internationaux originaires de 12 pays, a été envoyée
aujourd'hui au secrétaire général, au Conseil de sécurité et à
l'Assemblée générale des Nations unies, de même qu'au Tribunal de La
Haye, qui fonctionne sous les auspices de l'ONU. Les signataires
déclarent que « l'imposition d'un conseil juridique telle qu'elle a été
envisagée constitue une violation remarquable des droits juridiques
internationalement reconnus et qu'elle ne servira qu'à aggraver la
maladie de Monsieur Milosevic, laquelle risque de déboucher sur une
issue fatale, et de jeter encore plus le discrédit sur ces façons de
faire. » Dans leur argumentation, les hommes de loi qui ont apposé leur
signature au bas de cette initiative voici quelques jours à peine, font
référence à la Charte internationale des Droits civiques et politiques,
aux décisions de la Cour suprême des Etats-Unis, aux Statuts du
Tribunal de La Haye et aux « procès de Rivonia » de Nelson Mandela.

La lettre, rédigée par les juristes criminels internationaux canadiens
Tiphaine Dickson et Christopher Black, également actifs au sein du
Comité international de Défense de Slobodan Milosevic, fait également
remarquer que le Tribunal évite de considérer avec toute l'attention
qu'elles méritent les requêtes en vue de la libération provisoire de
Slobodan Milosevic sur base de sa santé et qu'il viole les droits de ce
dernier d'une façon qui ne peut que contribuer à aggraver sa maladie.
La pétition met également en garde contre la « réforme radicale » de la
procédure, laquelle est censée amener des « changements de
réglementation au beau milieu du procès et ce, au détriment de l'accusé
». L'attitude du Tribunal, telle qu'elle est décrite, se caractérise
comme étant « une perversion à la fois de la lettre et de l'esprit de
la loi internationale », que « les Nations unies ne devraient en aucun
cas tolérer ».

Les signataires de la pétition invitent instamment leurs collègues et
confrères d'autres pays à rallier la pétition au cours des prochains
jours et ce, dans l'intérêt de la justice et des législations
internationales.

Le texte complet de la pétition, avec la liste complète des
signataires, est reproduit ci-dessous. On peut également le découvrir
sur le website www.icdsm.org. Les nouveaux signataires peuvent adresser
leurs données par mail à l'adresse slobodavk@...

Pour de plus amples informations ou d'autres déclarations, les
représentants des médias peuvent contacter, par téléphone :
Tiphaine Dickson (Montréal) +1 450 263 7974
Christopher Black (Toronto) + 1 416 928 6611
Ramsey Clark (New York) +1 212 475 3232
Vladimir Krsljanin (Belgrade) +381 63 886 2301

OOO

L'imposition d'un conseil juridique à Slobodan Milosevic menace
l'avenir du droit international et l'existence même de l'accusé

A Son Excellence Monsieur Kofi Annan, Secrétaire Général des Nations
unies,
A Son Excellence Monsieur Julian Robert Hunte, Président de la 58e
Session de la Présidence roumaine (russe) du Conseil de sécurité de
l'Assemblée générale des Nations unies,
A tous les membres du Conseil de sécurité des Nations unies,
A tous les membres de la Cour criminelle internationale (sous l'égide
des Nations unies) pour l'ancienne Yougoslavie :

Nous les signataires de la présente, juristes, professeurs de droit et
avocats criminels internationaux, affirmons par la même occasion nos
soucis et inquiétudes du fait que la Cour criminelle internationale
pour l'ancienne Yougoslavie (ICTY) prépare l'imposition d'un conseil
juridique à un accusé qui n'en veut pas, Slobodan Milosevic.

Cette mesure apparemment punitive est contraire à la législation
internationale, incompatible avec le système à deux parties opposées de
justice criminelle adopté par le Conseil de sécurité dans la Résolution
808 et elle ignore l'obligation de la Cour de fournir des soins
médicaux adéquats et la remise en liberté provisoire de l'accusé. Au
lieu de prendre les mesures appropriées destinées à alléger les
problèmes médicaux de Slobodan Milosevic, problèmes qui se manifestent
depuis très longtemps déjà, l'ICTY a ignoré les requêtes répétées de
remise en liberté provisoire, à laquelle toute personne présumée
innocente a droit, elle a imposé à la défense des périodes de
préparation d'une brièveté totalement irréaliste et elle a permis
l'introduction d'une quantité anormale de preuves destinées à étayer
l'accusation, preuves dont la plupart étaient dénuées de la moindre
valeur en tant que telles, augmentant de la sorte le degré de stress de
Monsieur Milosevic, stress qui constitue le principal déclencheur de sa
maladie. La 3e Chambre a été informée de ce dernier problème par les
cardiologues qu'elle a elle-même choisis. L'accusé s'est vu refuser un
examen par son propre médecin, ce qui constitue une autre violation de
ses droits.

Aujourd'hui, après avoir occasionné l'extrême dégradation de l'état de
santé du président Milosevic, dont elle avait néanmoins été prévenue,
l'ICTY cherche à lui imposer un conseil juridique malgré ses
objections, plutôt que de lui accorder la liberté provisoire afin qu'il
reçoive les soins médicaux décents requis par son état, une mesure
raisonnable d'ailleurs reprise dans les lois et jurisprudences
domestiques et internationales. L'imposition envisagée d'un conseil
juridique constitue une violation flagrante des droits judiciaires
reconnus internationalement et elle ne servira qu'à aggraver la maladie
de Monsieur Milosevic, susceptible de lui coûter la vie, et à
discréditer encore plus ces méthodes.

La droit de se défendre contre des accusations criminelles se trouve au
centre à la fois des législations internationales et de la structure
même du système à deux parties opposées. Les droits minimaux et
fondamentaux accordés à un accusé conformément aux Statuts de Rome de
la Cour criminelle internationale et conformément aux Statuts des
Tribunaux criminels internationaux pour le Rwanda et la Yougoslavie,
comprennent le droit à se défendre soi-même. L'usage général de ces
provisions envisage chaque fois la réalité selon laquelle des droits
sont accordés à un accusé, non à un avocat. Le droit accordé est de se
représenter soi-même contre les accusations formulées par le procureur
et, subsidiairement à ce qui précède, de recevoir l'assistance d'un
conseil juridique, si un accusé exprime le vou de recevoir une telle
aide. Toutefois, si, comme dans le cas de Slobodan Milosevic, un accusé
exprime sans équivoque son objection à se faire représenter par un
conseil juridique, son droit à se représenter soi-même prévaut sur la
préférence du tribunal ou du procureur pour la désignation d'un conseil
de défense, comme l'a d'ailleurs stipulé la Cour suprême des
Etats-Unis, en ce qui concerne le Sixième Amendement de la Charte des
Droits, laquelle présente une similitude frappante avec l'Article 21
des Statuts de l'ICTY :

« Il parle de l''assistance' d'un conseil juridique, et un assistant a
beau être un expert, il demeure un assistant. Le langage et l'esprit du
Sixième Amendement envisage que ce conseil juridique, à l'instar de
tous les autres outils de la défense garantis par l'Amendement,
constituera une aide à un accusé qui en exprime le désir - et non un
organe de l'Etat interposé entre un accusé qui n'en veut pas et son
droit à se défendre personnellement. Imposer un conseil juridique à
l'accusé, contre sa volonté considérée, viole donc la logique de
l'Amendement. Dans une telle situation, le conseil juridique n'est
nullement un assistant, mais un maître, et le droit de préparer une
défense est privé de son caractère personnel sur lequel insiste
l'Amendement. » (Faretta v.California, 422 U.S. 806 (1975).)

De la même façon, les Statuts de l'ICTY (de même que ceux de l'ICTR et
de l'ICC) accordent « des outils de défense », tel le droit de se faire
représenter par un conseil juridique, ou le droit à ce que le conseil
juridique soit fourni sans le moindre frais au cas où l'accusé est
indigent. Le fondement du droit à se représenter soi-même est rendu
caduc quand le droit à un conseil juridique se mue en obligation. Comme
il est dit dans Faretta, déjà mentionné plus haut :

« Un conseil juridique non désiré ne 'représente' l'accusé qu'à travers
une fiction légale ténue et inacceptable. A moins que l'accusé ait
donné son consentement à se faire représenter de la sorte, la défense
présentée dans ce cas n'est pas la défense que lui garantit la
Constitution car, dans une acception on ne peut plus réaliste, il ne
s'agit tout simplement pas de sa propre défense. » (Id.)

Pareillement, la défense de Slobodan Milosevic ne serait pas la défense
que lui garantit la législation internationale s'il devait être flanqué
d'un conseil juridique qu'on lui imposerait contre son gré.

La structure générale de l'ICTY est celle d'un système de justice
criminelle à deux parties adverses. D'autres influences légales ont été
intégrées aux Réglementations en matière de procédure et de preuves,
mais la nature des procédures, qui implique un procureur et un accusé
en tant que parties présentant des preuves devant tout un panel dont la
fonction est d'arbitrer, est indubitablement d'une nature à deux
parties adverses. Dans ce système à deux parties adverses, l'histoire a
illustré avec éloquence que l'imposition d'un conseil juridique à un
accusé qui n'en veut pas constitue une pratique habituelle dans les
tribunaux politiques et qu'elle n'a pas sa place dans un système
démocratique de justice, et encore moins devant une institution qui va
engendrer un précédent pour une juridiction criminelle internationale
vraiment légitime, dont l'instauration aura été le fruit d'un
demi-siècle de lutte :

« Au cours de la longue histoire de la jurisprudence criminelle
britannique, il n'y a eu qu'un seul tribunal à avoir jamais adopté la
pratique du conseil juridique imposé contre son gré à un accusé dans
une procédure criminelle. Ce tribunal n'était autre que la Chambre
Etoilée. Cette curieuse institution, qui eut beaucoup de succès à la
fin du 16e et au début du 17e siècles, présentait un caractère mixte,
à la fois exécutif et judiciaire, et s'écartait de façon
caractéristique des traditions du droit commun. Pour ces raisons, et du
fait qu'elle s'était spécialisée dans le jugement des délits
'politiques', la Chambre Etoilée a, des siècles durant, symbolisé le
mépris envers les droits fondamentaux de l'individu. » (Faretta, id.)

Récemment, l'ICTY a commandé au procureur, et à lui seulement, de
fournir un avis à propos de l'imposition d'un conseil juridique dans
l'absence d'instructions ou de coopération de la part de Monsieur
Milosevic. La Chambre a fait référence à plusieurs reprises à son
obligation de mener un procès loyal et a prétendu, lorsqu'elle a
reconnu le droit à l'auto-représentation, en avril 2003, qu'elle « a
naturellement l'obligation de s'assurer qu'un procès soit loyal et
expéditif; qui plus est, lorsque la santé de l'accusé pose problème,
cette obligation revêt une signification particulière ». L'article 21
des Statuts de l'ICTY stipule que la Chambre doit exercer cette
obligation « avec le respect entier des droits de l'accusé ».
Toutefois, le caractère expéditif du procès est devenu apparemment un
souci incontournable pour la Chambre, puisque l'accusé est bien décidé
à présenter des preuves essentielles et potentiellement embarrassantes.

L'imposition d'un conseil juridique, même un conseil juridique « de
réserve », comme il appert que l'ICTY envisage la question
actuellement, n'allègera aucune des difficultés auxquelles est
confrontée le procès : elle ne traitera, et encore moins soignera,
l'hypertension maligne de Slobodan Milosevic, elle ne procurera à
l'accusé ni le temps ni les conditions pour préparer sa défense, elle
ne redressera pas le grossier déséquilibre dans les ressources
accordées au procureur et à la défense, un rééquilibrage requis par le
principe de l'égalité des armes, que la Cour admet volontiers
reconnaître. Si un conseil juridique est imposé, le droit fondamental
de Slobodan Milosevic de se représenter lui-même sera bafoué et il
n'aura disposera plus que de 150 jours pour présenter sa défense,
c'est-à-dire la moitié seulement du temps qu'on a accordé à
l'accusation.

Il est absolument difficile de préciser quel rôle pourrait jouer un
conseil juridique imposé. Quel que ce rôle puisse être, il est certain
qu'il n'y a aucun bénéfice à tirer à aller de l'avant avec cette mesure
sans précédent. Les Statuts de l'ICTY assurent un droit minime à être
présent à son procès. Si l'état médical de Slobodan Milosevic ne lui
permet pas d'assister aux procédures et s'il ne renonce pas à son droit
à être présent, l'ICTY n'a pas la juridiction de tenir des audiences en
son absence. Les ajournements continueront aussi longtemps que des
mesures ne seront pas prises pour traiter l'hypertension maligne de
Monsieur Milosevic, une situation qui ne peut être traitée en
continuant à violer ses droits, en menaçant de l'éloigner du procès ou
en transférant sa défense à quelqu'un qui lui est complètement étranger.

L'ICTY a assigné trois conseils juridiques pour qu'ils agissent en tant
qu'amici curiae et dont le rôle déclaré est d'assurer, entre autres, un
procès équitable. Il est douteux qu'un conseil juridique imposé, même
s'il s'agit d'un conseil « de réserve » puisse fournir une aide
supplémentaire sans faire un enfant dans le dos de la défense de
Monsieur Milosevic ou sans simplement lui imposer le silence. En outre,
toute référence à un précédent en ce qui concerne l'imposition d'un
conseil juridique de réserve est inappropriée ici. Dans le cas du Dr
Seselj, un conseil juridique « de réserve » a été imposé, avant le
début du procès et de façon à empêcher les « trop fréquentes
interruptions » de la procédure.

Le président Slobodan Milosevic ne reconnaît pas l'ICTY. Il affirme son
innocence et critique en long et en large l'ICTY et l'Otan. Il est
innocent jusqu'à preuve du contraire et il a tous les droits de
s'opposer à la légitimité de cette institution. En imposant un conseil
juridique, l'ICTY violerait non seulement son droit à
l'auto-représentation, mais également son droit à présenter des preuves
pertinentes démontrant les violations répétées de la souveraineté
yougoslave durant une décennie entière. Ces violations ont débouché sur
la guerre d'agression illégale de l'Otan et les bombardements en
Yougoslavie - alors qu'au plus fort de cette guerre, des accusations
contre Slobodan Milosevic ont été confirmées par l'ICTY - dans une
tentative transparente de priver le peuple yougoslave d'une voix en vue
de négocier la paix et afin de justifier la continuation de cette
guerre d'agression.

Le procès de Slobodan Milosevic devant l'ICTY a été ajourné jusqu'au 31
août 2004. Le procureur a présenté 295 témoins en autant de jours, tous
ont été contre-interrogés par l'accusé en personne, puisqu'il ne
reconnaît pas l'ICTY en tant que corps juridique et qu'il signale cette
non-reconnaissance en refusant de désigner un conseil juridique.
Slobodan Milosevic est diplômé d'une école de droit, il a été élu trois
fois au poste le plus élevé de la Serbie et du Monténégro et il a, à
tous points de vue, contesté avec une grande compétence l'affaire
intentée contre lui par le procureur. Il est hors de question de mettre
en doute ses compétences mentales et son droit à refuser le droit à un
conseil juridique. L'ICTY peut ne pas apprécier l'attitude critique du
président Milosevic. Néanmoins, les bénéfices publics émanant du
respect de son droit à l'auto-représentation dépassent de loin tout
embarras qui pourrait frapper l'ICTY. La justice exige que Slobodan
Milosevic se voie accorder le droit de prouver que l'institution du
Conseil de sécurité qui le tient emprisonné constitue une arme
politique contre la souveraineté et l'autodétermination du peuple de
Serbie et de tous les peuples de la Yougoslavie.

Nelson Mandela s'était représenté lui-même durant ses infâmes procès de
Rivonia durant les années 60. Mandela construisit une défense politique
contre l'apartheid, et pourtant, le système judiciaire sud-africain
n'alla même pas jusqu'à lui imposer un conseil juridique en vue de le
faire taire. L'ICTY est tout à fait disposé à menacer l'avenir des lois
internationales en faisant ce que même les juges de l'époque de
l'apartheid n'avaient pas osé faire : bâillonner un accusé et réduire
sa capacité à répondre à un procès. Un procès, convient-il de noter,
rendu improductif, inintelligible et inexplicablement long par le
procureur, avec le consentement de la Chambre, et non par Slobodan
Milosevic. En effet, la plupart des observateurs du procès ont noté que
le procureur n'est pas parvenu à présenter des preuves irréfutables en
vue de soutenir la moindre des accusations; plutôt que de mettre un
terme aux procédures, l'ICTY a permis au procureur de présenter des
témoins additionnels, tout en désespérant apparemment d'arriver à
prouver quoi que ce soit.

Le droit de se défendre personnellement figure au cour même de la
Charte internationale des droits civiques et politiques. Les Nations
unies ne devraient pas tolérer ces violations incessantes des lois
internationales au nom de la rapidité des procédures. Se servir de la
maladie improprement traitée d'une personne détenue comme d'une excuse
pour enfreindre ses droits et la réduire au silence, puis s'embarquer
dans une « réforme radicale » des procédures - comme la Chambre
envisage désormais de la faire, en changeant les règles au beau milieu
du procès et au détriment de l'accusé - voilà bien une perversion à la
fois de la lettre et de l'esprit des lois internationales.

En tant que juristes, nous sommes profondément inquiets de ce que
l'imposition prévue d'un conseil juridique constitue un précédent
irrévocable et qu'elle prive potentiellement toute personne accusée du
droit de présenter une défense sensée à l'avenir. Dans le cas de
Slobodan Milosevic, cette mesure ne fera qu'accroître son hypertension
et mettra sa vie en danger.

L'ICTY et le Conseil de sécurité seront tenus pour responsables des
conséquences tragiquement prévisibles de leurs actes.

Signataires :

Professeur Smilja Avramov, ancien président de l'Association du Droit
international, Belgrade, Serbie et Monténégro
Sergei Babourine, docteur en droit, professeur, vice-président du
Parlement de l'Etat de l'Assemblée fédérale de la Fédération russe,
Moscou, Fédération russe
Nicole Bergevin, juriste, Montréal, Québec
Professeur Aldo Bernardini, droit international, Université de Teramo,
Italie
Christopher Black, juriste, Toronto, Canada
Professeur Erich Buchholz, juriste, Berlin, Allemagne
Professeur Kosta Cavoski, Université de Belgrade, Belgrade, Serbie et
Monténégro
Professeur Panayotis G. Charitos, LLD, droit international, procureur à
la Cour suprême, Grèce
Sergei Chtine, juriste, Moscou, Fédération russe
Ramsey Clark, ancien secrétaire d'Etat américain à la Justice, New
York, Etats-Unis
Goran Cvetic, juriste, Belgrade, Serbie et Monténégro
Trendafil Danailov, juriste, ancien président du Tribunal du district
de Sofia, Sofia, Bulgarie
Tiphaine Dickson, juriste, Montréal, Québec, Canada
Bjørn Elmquist, juriste, ancien parlementaire, Copenhague, Danemark
Professeur Peter Erlinder, ancien président de la Guilde nationale des
avocats, New York City, William Mitchell College of Law, St. Paul,
Minnesota, Etats-Unis
Armin Fiand, juriste, Hambourg, Allemagne
Jeff Frazier, juriste, Houston, Texas, Etats-Unis
Dr Mikhail Fomichenko, directeur du Centre des Droits de l'Homme et de
la Protection juridique, Moscou, Fédération russe
Sergei Glotov, docteur en droit, professeur, vice-président de la
Commission des questions administratives et organisationnelles du
Parlement de l'Etat, Moscou, Fédération russe
Dr Heinrich Hannover, juriste, Worpswede, Allemagne
Professeur Youri Ilyine, juriste, Moscou, Fédération russe
Viktor Ilyouchine, conseiller d'Etat à la Justice du Second Echelon,
vice-président de la Commission de Sécurité du Parlement de l'Etat,
Moscou, Fédération russe
Strahinja Kastratovic, juriste, ancien président de la Chambre des
Juristes de Belgrade), Belgrade, Serbie et Monténégro
Professeur Mikhail Kouznetsov, juriste, président du Tribunal des
crimes de l'Otan en Yougoslavie, Moscou, Fédération russe
Jennie Lusk, docteur en droit, juriste, Albuquerque, Nouveau-Mexique,
Etats-Unis
Mikhail Menev, juriste, ancien président du Tribunal de la Ville de
Sofia, Sofia, Bulgarie
Dr Alexander Metsaïev, droit international, directeur adjoint du
Département du Droit constitutionnel et international de l'Académie du
Commerce, Kazan; membre de l'Association russe du Droit international;
membre du Conseil des Experts de l'Ombudsman de la République du
Tatarstan, Kazan, Tatarstan, Fédération russe
Professeur Dimitar Mikhaïlov, droit criminel, ancien membre de la
Commission des Nations unies contre la torture, Sofia, Bulgarie
Oksana Mikhalkina, juriste, présidente de l'Association des Avocats de
Moscou, Moscou, Fédération russe
Oleg Mironov, docteur en droit, professeur, directeur de l'Institut des
Droits de l'Homme, Moscou, Fédération russe
Professeur Claudio Moffa, droit ordinaire, Université de Teramo, Italie
E. Olof, juriste, Zeist, Pays-Bas
Professeur Norman Paech, Université des Sciences économiques et
politiques, Hambourg, Allemagne
Dmitrij Potoski, juriste, Moscou, Fédération russe
Professeur Enyo Savov, droit international, Sofia, Bulgarie
H.E. Schmitt-Lermann, juriste, Munich, Allemagne
Dr Heinz Juergen Schneider, juriste, Hambourg, Allemagne
Elena Semenovna, juriste, Moscou, Fédération russe
David K. Sergi, juriste, San Marcos, Texas, Etats-Unis
Dr Taras Shamba, Moscou, Fédération russe
Jitendra Sharma, avocat principal, Cour suprême de l'Inde, président de
l'Association internationale des avocats démocratiques
Valentina Shtraus, juriste, Rostov, Fédération russe
Professeur Bhim Singh, avocat, Cour suprême de l'Inde, président du
Parti national des Panthères
N.M.P. Steijnen, juriste, Zeist, Pays-Bas
L.P.H. Stibru, juriste, Zeist, Pays-Bas
Dr Milan Tepavac, droit international, Belgrade, Serbie et Monténégro
Professeur André Tremblay, juriste, Montréal, Québec, Canada
Professeur Velko Valkanov, président de la Commission bulgare des
Droits de l'Homme, ancien parlementaire, Sofia, Bulgarie
Jacques Vergès, avocat à la Cour d'Appel, Paris, France
Dr Friedrich Wolff, juriste, Berlin, Allemagne
Professeur Ivan Yatsenko, vice-président du Forum européen pour la
Paix, Moscou, Fédération russe


=== 2 ===


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* C O U R R I E R A N T I - I M P É R I A L I S T E *
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Chers amis et camarades,

Dans ce courrier anti-impérialiste, vous trouverez deux textes informant
de la lutte contre le tribunal de l'OTAN à La Haye, officiellement
dénommé le Tribunal pénal international pour l'ex-Yougoslavie.

Le 26 juin dernier a eu lieu à La Haye une manifestation contre ce
"tribunal". Le premier texte est le discours prononcé par Klaus Hartmann
de la section allemande du Comité pour la défense de Slobodan Milosevic.
À la lumière de plusieurs citations, K.H. rappelle le rôle agressif
notamment de l'Allemagne dans la destruction de la Yougoslavie.

Dans le second article sont présentées les dernières manoeuvres de
l'OTAN et de leurs laquais qui consistent à vouloir bâillonner Slobo
alors qu'il devait entamer sa défense le 5 juillet (reportée au 14 puis
au 19 juillet et maintenant au 31 août). Déjà lorsqu'il fut emprisonné à
Belgrade, il y a plus de trois ans, le président présentait des troubles
de santé. Cela n'a pas empêché le "tribunal" de lui infliger un
"traitement" totalement inadéquat à sa condition sanitaire ni d'y
ajouter les sévices psychologiques en lui interdisant les contacts avec
les membres de sa famille. De même les contacts avec l'équipe l'aidant
pour sa défense sont soumis à l'arbitraire total du soit-disant tribunal
(interdits temporairement, non-confidentiels). Maintenant, le "tribunal"
feint de se préoccuper de sa santé dans le but de le faire taire afin
d'empêcher que Slobo ne lance des vérités peu avouables au visage des
agresseurs devant la presse internationale. Lui imposer un avocat
consisterait en une violation supplémentaire majeure de ses droits... La
lutte contre le "tribunal d'exception" continue.

Salutations anti-impérialistes,

Jérôme Schretter

---<1>---

AVEC SLOBODAN MILOSEVIC, DÉFENDONS LA VÉRITÉ HISTORIQUE !

Discours de Klaus Hartmann, le 26 juin 2004 à La Haye

Citoyennes et citoyens, ami(e)s et camarades !

Au début de ce mois, le 1er juin 2004, j'ai rendu visite à Slobodan
Milosevic, ici en prison. Il nous transmet son salut cordial et
solidaire.

Je peux vous garantir que son esprit de lutte et sa détermination à
résister au faux tribunal sont intacts.

Aujourd'hui, demain dimanche ainsi que lundi, se déroulent ou vont se
dérouler à La Haye, Istanbul et Belgrade des manifestations qui
commémorent le Vidovdan, la destruction de la Yougoslavie et la lutte de
Slobodan Milosevic contre la continuation de l'agression à l'aide de ce
tribunal ad hoc.

Ce qui nous unit, c'est le but que les traditions de lutte positives de
ce jour triomphent et l'emportent contre la tradition de la trahison.

La Haye est un centre important de cette bataille, car c'est ici que les
destructeurs de la Yougoslavie veulent juger leurs victimes et
l'Histoire.

C'est pour cette raison que la lutte contre le soi-disant tribunal pénal
pour l'ex-Yougoslavie fait parti du combat pour la défense contre
l'agression et la trahison.

Le soi-disant tribunal n'est pas un véritable tribunal, mais un faux.

Cela n'est pas seulement fondé sur les fautes irréparables de sa
naissance et sur sa création irrégulière. Le soi-disant tribunal est un
enfant illégitime de l'ONU, car il est le résultat d'une violation du
droit international. Ce n'est pas seulement une allégation, le
soi-disant tribunal prouve lui-même qu'il est un bâtard, qu'il n'a pas
de caractère légal, qu'il naquit de l'illégalité et que, constamment, il
ne génère que de l'illégalité.

Déjà le simple fait qu'il s'agisse d'un tribunal ad hoc montre bien
qu'il s'agit d'un tribunal d'exception.

Les anciens fascistes, les nazis allemands, parlaient cyniquement de
traitement d'exception quand ils faisaient référence à leur terreur
contre les communistes, les juifs et ceux qui ne pensaient pas comme
eux.

Un traitement d'exception de même qu'un tribunal d'exception signifient
refus du droit, d'un traitement légal, de droits égaux pour tous. Cela
signifie destruction du droit, arbitraire, assassinat extra-légal,
terreur. Cela mène directement à Guantánamo et aux tortionnaires dans la
prison d'Abou Ghraïb à Bagdad.

Ce ne sont pas des thèses audacieuses. Le soi-disant tribunal à La Haye
dévoile lui-même son caractère illégal par sa propre activité.

Chaque tribunal véritable se doit de respecter quelques bases
élémentaires légales. Parmi celles-ci, on y compte :

- la présomption d'innocence jusqu'à la condamnation légale.
- pas de sentence qui ne soit prévue par la loi.
- arrêt du procès dans le cas d'une accusation sans preuves.
- pas d'interdiction arbitraire de contacts et de restriction des
visites.
- possibilités adaptées pour la défense.
- précautions sanitaires et traitements médicaux adéquats des
prisonniers.
- égalité des armes pour le Parquet et la défense.

Et qu'en est-il de cela dans ce beau tribunal ?

Fausse accusation ! Nema ništa !

Il y a quelques jours, le tribunal dut décider, dans une pré-audience,
de la procédure de la deuxième phase du procès, celle de la défense de
Slobo.

Ainsi, il était déjà clair que malgré l'accusation sans preuves, l'arrêt
du procès n'aurait pas lieu.

Les "amis de la cour" (amici curiae), engagés pour donner, vu de
l'extérieur, l'impression d'un procès objectif, réclamèrent au moins la
suppression de l'accusation de génocide. La représentante du Parquet
Carla del Ponte elle-même s'était montrée indécise jusqu'au dernier
moment dans les interviews si elle pouvait y apporter des preuves.

Cependant, contre le vote d'un des juges, les deux autres décidèrent du
maintien de l'accusation de génocide et l'un d'eux, ce lord qui vient
juste de remplacer Mister May, qui s'est retiré, et qui ne peut, en
aucun cas, maîtriser le contenu des procédures qui ont eu lieu
jusqu'alors.

Mais ici la force de volonté compte plus que la connaissance des faits
et la volonté à condamner est absolue et indépendante de tous les faits.

Ce tribunal organisa l'isolement de Slobodan Milosevic vis-à-vis des
membres proches de sa famille, de ses collaborateurs et amis dans un but
précis : briser sa volonté à résister aux fausses accusations.

En refusant de lui fournir des soins médicaux adéquats, ils menacent sa
santé et sa vie.

Après que le Parquet ait eu le temps, depuis 1999, de formuler ses
accusation, et se référa même à des documents qui furent répertoriés
depuis 1993, la réponse à la demande de Slobodan Milosevic de disposer
de deux ans pour préparer sa défense fut : trois mois suffiront.

Et la sommet de l'inhumanité : les jours de travail qui ne purent être
utilisés du fait de sa maladie sont décomptés ; ils ne sont pas ajoutés
au délai de préparation.

Tous ces actes arbitraires montrent clairement qu'ici, ce qui se passe,
c'est l'inverse de la justice. Tous les artifices légaux de cette
institution se dévoilent comme de piètres camouflages, comme une
mascarade d'une entreprise politique vicieuse.

Sa fausse accusation contre la direction politique et militaire d'un
pays attaqué est celle-ci : entreprise criminelle commune. Cette
entreprise criminelle commune a réellement existé. La destruction de la
Yougoslavie était une entreprise criminelle commune : de la part de
l'Allemagne, de l'Autriche, du Vatican, des USA et de l'OTAN.

Les citations suivantes en témoignent :

L'Allemagne a réglé ses affaires avec l'Histoire. Elle pourra maintenant
assumer ouvertement son rôle de puissance mondiale et devrait encore
l'élargir.
(Helmut Kohl, Chancelier, Déclaration gouvernementale du 30 janvier
1991)

Nous pensons que nous aurions dépassé et maîtrisé les conséquences les
plus importantes de la seconde guerre mondiale. Mais dans d'autres
domaines, nous sommes encore occupés aujourd'hui à maîtriser les
conséquences de la première guerre mondiale. La Yougoslavie est, en tant
que produit de la première guerre mondiale, une construction très
artificielle qui jamais n'a été en accord avec le droit à
l'autodétermination. (...) Il n'est pas permis que certaines nations
soient maintenues dans des organisations étatiques non désirées, contre
nature ou imposées. (Rupert Scholz, Ministre de la Défense 1988-1989, en
septembre 1991 lors du symposium de Fürstenfeldbruck des décideurs de
la Bundeswehr (armée allemande) et de l'économie, organisé par la
Confédération des associations patronales allemandes et la Bundeswehr;
cité dans Die Welt, 12 décembre 1991)

Nous devons mettre la Serbie à genou !
(Klaus Kinkel, Ministre des Affaires étrangères, 24 mai 1992)

Kohl parachève ce que l'empereur Guillaume et Hitler n'ont pas pu
atteindre.
(Edmund Stoiber, ministre-président de Bavière, Fürstenfeldbrucker
Neueste Nachrichten, 5 août 1992)

Il y a deux monnaies dans le monde: la puissance économique et les
moyens militaires pour l'imposer.
(Klaus Naumann, Inspecteur général de la Bundeswehr, Der Spiegel 18
janvier 1993)

D'autres observaient également le rôle actif de l'Allemagne dans la
destruction de la Yougoslavie, comme la revue de politique étrangère et
de défense la plus importante aux États-Unis, Defense & Foreign Affairs
Strategic Policy, qui écrivait le 31 décembre 1992 : "La guerre dans les
anciennes républiques yougoslaves est attisée par un système massif et
complexe de livraisons d'armes par bateau vers la Croatie et la
Bosnie-Herzégovine et qui est financé et organisé par l'Allemagne."

Une dernière citation qui documente le rôle actif du gouvernement
allemand dans le déclenchement des violences au Kosovo :

"Le problème du Kosovo ne peut être résolu par le fait que j'envoie des
troupes en Albanie pour fermer la frontière avec le Kosovo et de cette
manière que j'aide les affaires de M. Milosevic." (Volker Rühe, Ministre
de la Défense, Frankfurter Allgemeine Zeitung, 9 juin 1998)

Ces citations témoignent de la véritable histoire et indiquent les
véritables criminels. Les véritables criminels ne prennent pas place
devant un tribunal mais ils se font eux-mêmes un tribunal. Pour fausser
l'Histoire. Et le slogan, mettre à genou les Serbes, est toujours
valable.

Si le soi-disant tribunal était un véritable organe de l'ONU, il serait
financé uniquement par le budget régulier de l'ONU.

Mais comme ce n'est bien sûr pas un vrai tribunal, il est financé par
les États-Unis et l'Arabie saoudite, par les amis de la démocratie comme
Rockefeller et Soros, par les amateurs de la vérité comme Time Warner et
CNN.

Les militaristes et les va-t-en guerre siègent ainsi dans un tribunal
qui doit attester leur campagne raciste qui dura des années, leur
démonisation des Serbes, leur lavage de cerveaux, leurs mensonges pour
provoquer la guerre, qui doit légitimer leurs crimes et blanchir leurs
crimes de guerre.

Pas avec nous !

C'est pour cela que nous luttons pour la dissolution de cette
administration qui atteste les mensonges, qui falsifie l'Histoire et qui
protège les criminels !

C'est pourquoi nous réclamons : liberté pour tous les prisonniers de
cette administration illégale !

Et dans un même souffle : solidarité avec Slobodan Milosevic !

Notre engagement pour la défense de Slobodan Milosevic est indépendant
de toutes sympathies personnelles et de préférences de partis
politiques.

Slobodan Milosevic est le plus haut représentant d'un peuple
criminalisé, d'un État agressé.

Les médias va-t-en guerre l'ont dépeint pendant des années comme
l'ennemi numéro un.

Sa punition, en temps qu'organisateur le plus important de la résistance
contre l'agression, revêt pour l'OTAN une grande importance : pour
intimider les autres.

C'est pourquoi ils essayent de détruire sa santé et son moral, qu'ils
placent toutes les embûches possibles sur le chemin de sa défense et
qu'ils utilisent les services secrets pour empêcher la collecte de fonds
pour sa défense.

En 1999, nous n'avons pas accepté la condition : Celui qui critique
l'OTAN doit au préalable se distancer de la Yougoslavie. Aujourd'hui,
nous ne nous laissons pas diviser : la lutte contre le faux tribunal,
pour la vérité historique et pour la défense de Slobodan Milosevic forme
un tout.

Et comme nous n'abandonnons pas notre histoire, nous n'abandonnons
pas le Vidovdan à la tradition de la trahison, au vassaux de l'OTAN.

Comme nous n'abandonnons pas notre histoire, nous somme solidaires de
Slobodan Milosevic et de tous ceux qui luttent dans la meilleure
tradition, la tradition héroïque du Vidovdan.

C'est pourquoi nous affirmons, à l'occasion du Vidovdan 2004 :

Longue vie à la Yougoslavie !

Longue vie à Slobodan Milosevic !

---
(*) Klaus Hartmann est vice-président de l'Union mondiale des
libres-penseurs, président de la section allemande de l'Association des
libres-penseurs (Deutscher Freidenker-Verband) et porte-parole de la
section allemande du Comité international pour la défense de Slobodan
Milosevic.

--
Traduction: CAI
Texte en allemand: http://www.free-slobo.de/notes/040628kh.htm

Pour usage équitable uniquement

---<2>---

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Journal Workers World
Nº du 15 juillet 2004
---

Pourquoi la cour de La Haye veut-elle faire taire Milosevic ?

par John Catalinotto

La Cour pénale internationale pour l'ex-Yougoslavie (CPIY) à La Haye, au
service de l'OTAN, a pris d'inquiétantes nouvelles mesures le 5 juillet
afin de limiter le droit de l'ancien président yougoslave Slobodan
Milosevic à se défendre lui-même. Le tribunal utilisa les véritables
problèmes de santé de Milosevic comme excuse pour justifier le fait de
le priver des ses droits.

Le lendemain, la cour décida que son procès recommencerait le 14 juillet
[entretemps repoussé au 31 août, NdT], mais qu'un cardiologue sera
assigné afin d'observer l'état de santé de Milosevic dans le but de le
forcer à accepter un avocat désigné.

Milosevic a maintenant été emprisonné depuis trois ans à La Haye dans
une prison où les nazis enfermèrent les résistants hollandais pendant
l'occupation. Pendant deux ans, il interrogea environ 300 témoins du
Parquet et il allait entamer la phase de la défense. Bien qu'on ait
limité son temps de défense à 150 jours, l'ancien président s'apprêtait
à présenter une défense convaincante en dénonçant les crimes de l'OTAN
et des États-Unis contre sa patrie et à prouver son innocence ainsi que
celle du peuple yougoslave.

Milosevic déclara à la presse et à la cour que jamais il n'accepterait
un avocat désigné et il insista à poursuivre sa propre défense. "Ce
tribunal illégal ose juger des problèmes biologiques et médicaux après
s'être avéré incapable de juger des problèmes légaux et historiques",
déclara-t-il. "Ce tribunal est comme l'Inquisition."

Madeleine Albright, qui était secrétaire d'État pendant la guerre de
l'OTAN contre la Yougoslavie en 1999, fut aperçue à La Haye dans le
bâtiment du tribunal ce 5 juillet. Les supporters de Milosevic pensent
que la présence d'Albright est liée à la décision de la cour de différer
le procès et à la tentative de changement des règles.

Vladimir Krsljanin, l'aide de Milosevic de nombreuses années durant,
annonça depuis Belgrade, le 5 juillet : "Ce que nous avons vu à La Haye
est le pire exemple de mise en scène politique et d'injure légale contre
le président. Slobodan Milosevic a été mis en accusation alors qu'il
souffrait d'une mauvaise santé. Malgré nos appels et nos requêtes et les
pétitions d'experts médicaux adressées au tribunal, celui-ci refusa de
nous accorder plus de temps pour la préparation [de la défense, NdT] et
du repos pour le président Milosevic.

"D'abord, le tribunal créa les conditions qui ont aggravé sa santé et
maintenant ils se servent de sa mauvaise santé pour justifier de le
bâillonner et d'empêcher la présentation de sa défense accablante.

*Changer les règles*

Le tribunal débuta l'accusation [contre Milosevic, NdT] en février 2002
après un an de préparatifs. Le tribunal richement doté de moyens et de
personnel choisit ses propres règles pour le déroulement du procès. Il
autorisa Milosevic à se défendre lui-même comme ce dernier le réclamait.

À cette époque, le tribunal et les médias présentaient le procès contre
Milosevic comme le "procès du siècle". C'était alors que le Parquet
espérait s'en servir comme d'un procès d'opérette pour condamner le
dirigeant yougoslave et pour le rendre lui et le peuple serbe
responsable des guerres dans les Balkans.

En l'espace d'un mois cependant, Milosevic avait présenté son point de
vue politique et légal avec tellement de talent et avait interrogé les
témoins à charge de manière tellement efficacement que beaucoup de
journalistes devaient admettre que l'accusation contre le dirigeant
yougoslave était faible voire inexistante. La publicité autour de ce
procès mettait à mal les justifications de l'OTAN pour la guerre
[d'agression en 1999, NdT].

Tout au long des deux ans que dura l'accusation et qui s'acheva en
février dernier, le président Milosevic souffrait d'une trop haute
tension sanguine et de troubles cardiaques. Des dizaines de médecins
intervinrent en faveur d'un traitement plus humain du président. Le
tribunal différa certaines séances mais refusa de le libérer des
conditions draconiennes en prison et de lui fournir les soins médicaux
de son choix.

Bien que le Parquet ait mis un an pour préparer l'accusation et deux ans
pour la présenter, le tribunal ne donna que 90 jours à Milosevic pour
préparer sa défense et il n'obtint que 150 jours pour la présenter.
Chaque fois qu'il y a un report pour raison de santé, la cour refuse de
lui permettre d'avoir accès à ses papiers et livres ou de discuter avec
des témoins potentiels lorsqu'il se repose. Il perdit ainsi 51 des 90
jours de préparation lorsqu'il fit état de sa mauvaise santé.

Durant sa défense, Milosevic prévoyait de convoquer l'ex-président US
Bill Clinton, le premier ministre de Grande-Bretagne Tony Blair et
d'autres dirigeants de l'OTAN afin de les interroger sur les crimes de
guerre de l'OTAN contre la Yougoslavie.

Il prévoyait également appeler un certain nombre de commentateurs
politiques et d'activistes ayant écrit, parlé et organisé contre
l'intervention de l'OTAN et des États-Unis dans les Balkans. Certains de
ces témoins potentiels ont participé au Tribunal populaire sur la
Yougoslavie organisé par l'International Action Center (IAC) en
1999-2000.

Embarrassé face à la perspective d'une dénonciation politique
convaincante des dirigeants des États-Unis et de l'OTAN, à la manière de
ce caïd de cour de récréation qui ne cesse de se faire battre à son
propre jeu, le tribunal a décidé de changé les règles et de refuser à
Milosevic le droit de se représenter lui-même.

Un témoin potentiel était Sara Flounders, co-directrice de l'IAC et
éditrice du livre paru par l'IAC "Visées secrètes: la prise de pouvoir
de l'OTAN et des USA en Yougoslavie". Flounders devait témoigner tôt,
c'est pourquoi elle rencontra Milosevic à La Haye le 28 juin.

Flounders déclara à Workers World que "la tentative d'empêcher le
président Milosevic d'être son propre avocat est un signe qui témoigne
qu'il est innocent des crimes dont on l'accuse [et qui montre, NdT] la
responsabilité de l'OTAN et des USA dans la préparation et la conduite
d'une guerre de 10 ans qui brisa une fédération yougoslave forte et
heureuse en une demie douzaine de colonies et néocolonies esclaves des
États-Unis et de l'Europe occidentale.

"Comme en Irak, où les armes de destruction massive n'ont jamais été
trouvées", poursuit-elle, "les accusations de massacres, de fosses
communes et de génocide au Kosovo se sont avérées être de la
mystification. Il est essentiel que le président Milosevic ait l'entière
possibilité de dénoncer les crimes de guerre de l'OTAN, de défendre la
Yougoslavie et de répondre à ces accusations contre son gouvernement."

Le fondateur de l'IAC et ancien ministre de la Justice des États-Unis
Ramsey Clark s'exprima clairement sur le droit de Milosevic à se
représenter lui-même : "Le président Milosevic a décidé de se 'défendre
en personne', il s'agit d'un droit de l'Homme fondamental reconnu par le
Pacte international relatif aux droits civils et politiques."

Tiphaine Dickson, une avocate canadienne qui assiste le Comité
international pour la défense de Slobodan Milosevic (ICDSM) déclara que
"[a]ux États-Unis, la Cour suprême a reconnu ceci comme un droit
découlant du sixième amendement à la constitution. Lui refuser ce droit
reviendrait à transformer ce tribunal déjà illégal en un travesti de
justice totalement arbitraire."

-------
Traduction: CAI
Texte original (en anglais) :
http://www.workers.org/ww/2004/milosevic0715.php

(Droits de reproduction Workers World Service: Chacun est autorisé à
reproduire et à distribuer des copies conformes de ce document mais
toute altération est interdite. Pour toute information, contactez
Workers World, 55 W. 17 St., NY, NY 10011; par courrier électronique:
ww@...)

Pour usage équitable uniquement

---FIN---


=== 3 ===


René Georges Lefort, PRCF, Paris

INTERVENTION A LA PROTESTATION INTERNATIONALE
DE LA HAYE LE 26 JUIN 2004

Au nom du Pôle de Renaissance Communiste en France, nous nous
associons à la protestation internationale contre l’arrestation et
l’emprisonnement arbitraires de M. Slobodan Milosevic, ainsi que
d’autres personnalités politiques, et contre leur mise en procès devant
le soi-disant Tribunal Pénal International.
Nous ne reconnaissons aucune légitimité à cette instance judiciaire
supranationale, qui ne procède d’aucune décision démocratique, mais a
été mise en place par les cercles dirigeants de l’impérialisme, aux fins
de dévoyer la justice et de couvrir leurs propres crimes contre
l’humanité par la mise en accusation de dirigeants politiques
essentiellement coupables, à leurs yeux, de s’être opposés aux visées
expansionnistes du grand capital financier monopoliste qui, après la
disparition de l’Union Soviètique et du camp socialiste, prétend
régenter le monde entier.
Qui, en vérité, est responsable des crimes collectifs monstrueux commis
contre l’humanité faisant des dizaines de millions de morts, un nombre
encore plus élevé d’infirmes et de handicapés à vie, d’êtres humains
réduits à la plus extrême misère, de réfugiés arrachés à leurs foyers et
errant sans toit ni abri ?
Le système capitaliste, qui porte aussi le visage de ceux qui le
dirigent et qui en profitent, a été responsable pendant le XXème siècle
des grandes boucheries humaines qu’ont été les deux grandes guerres
inter-impérialistes qui, avec tous les autres conflits de ce siècle, ont
fait au total 110 millions de morts, dont plus de la moitié dans les
populations civiles. Rien que depuis la fin de la seconde guerre
mondiale, dans la deuxième moitié du XXème siècle, 200 conflits armés
ont eu lieu dans le monde, faisant 22 millions de morts, avec des crimes
innombrables perpétrés de sang froid sur l’ordre express des dirigeants
impérialistes.
Qui a ordonné les bombardements massifs des populations civiles avec les
armes les plus meurtrières, bombes à fragmentation ou à uranium
appauvri, les tortures de prisonniers, les exactions violentes et
criminelles contre les populations civiles, femmes, enfants, vieillards,
comme l’ont pratiqué les soldats français en Indochine et en Algérie,
les soldats américains en Corée, au Vietnam, et présentement encore en
Afghanistan et en Irak ?
Ce sont bien les dirigeants impérialistes des Etats-Unis, au plus haut
niveau, qui ont ordonné les bombardements atomiques, dénués de toute
justification militaire, contre les populations japonaises à Hiroshima
et Nagasaki, l’utilisation d’armes chimiques et bactériologiques en
Corée, au Vietnam, et aussi contre Cuba pour propager des maladies dans
la population, détruire les récoltes et les animaux domestiques.
Les tueries génocidaires qui ont eu lieu en Yougoslavie sont d’abord et
essentiellement le résultat des menées et des interventions
impérialistes étrangères, de l’OTAN, dans cette région de l’Europe. Les
bombardements terroristes contre la Serbie ont fait des milliers de
morts et de blessés dans la population civile et détruit des
infrastructures vitales.
Les dirigeants impérialistes n’épargnent d’ailleurs pas davantage les
populations de leurs propres pays, comme le montrent les révélations
selon lesquelles ils ont commandité au sein même de l’armée des
Etats-Unis, de préférence bien évidemment sur des Noirs, des expériences
criminelles d’effet des radiations atomiques sur des êtres humains. Les
hitlériens n’avaient pas fait mieux.
Mais leur responsabilité est encore bien plus vaste, en tant que
représentants et dirigeants d’un système ayant pour finalité
l’accumulation des profits pour une infime minorité, au prix de
l’aggravation constante des conditions d’existence de l’écrasante
majorité de la population du globe.
Près du tiers de cette population vit dans un état d’extrême pauvreté,
30 millions de personnes meurent de faim chaque année, un milliard
d’êtres humains sont privés d’eau potable, ce qui selon l’OMS entraîne
25 000 décès quotidiens. Six millions d’enfants de moins de cinq ans
meurent chaque année dans le monde de malnutrition, et à peu près autant
du fait de l’absence de vaccination, de mesures d’hygiène et de soins
médicaux les plus élémentaires. Une portion infime des plus grandes
fortunes et des budgets militaires colossaux des grandes puissances
suffirait à régler ces problèmes vitaux.
Oui, nous condamnons les crimes abominables commis contre l’humanité.
Mais les véritables criminels ne sont pas ici, derrière les murs de
cette prison, ils siègent à la Maison Blanche et à Downing Street, ils
sont à la tête des gouvernements du monde capitaliste, dans les
états-majors de l’OTAN. Ce sont eux qui auront à répondre un jour devant
les peuples des crimes horribles commis chaque jour par le système
économique et social en place dont ils ont la responsabilité. En
attendant, nous exigeons avec force la dissolution du TPI, la libération
immédiate de Slobodan Milocevic et des autres personnalités traduites
arbitrairement en jugement devant cette instance sans légitimité.

Dobro dosli na J U G O I N F O !

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