Informazione

"Commissariamento globale e preventivo"
nel PRC in vista del Congresso / 1: GRIMALDI SOSPESO


NOTA: Il Partito della Rifondazione Comunista (PRC) e' gia' entrato
nel vivo del suo dibattito interno relativo al prossimo Congresso, che
si terra' nella primavera 2005.
Come Coordinamento Nazionale per la Jugoslavia (CNJ) seguiamo
ovviamente sempre con grande interesse il percorso di questo Partito,
come di altre organizzazioni e gruppi anti-imperialisti della sinistra
italiana ed estera. In passato abbiamo seguito e commentato le
posizioni del PRC e del suo quotidiano in politica estera, e molti
aderenti al nostro Coordinamento sono o sono stati iscritti al PRC.
Quest'ultimo e' il caso ad esempio di Fulvio Grimaldi, noto
giornalista, che dopo essere stato cacciato da "Liberazione" e' stato
protagonista della vicenda illustrata nel seguito.
Da parte nostra, cercheremo di seguire nei limiti del possibile il
percorso precongressuale del PRC, ovviamente auspicando l'affermazione,
al prossimo Congresso, di una linea limpidamente anti-imperialista
tanto nel Partito quanto nel suo giornale. CNJ


---

From: "Autoconvocati" <autoconvocatiprc@...>
Date: Fri, 16 Jul 2004 11:37:25 +0200
Subject: GRIMALDI SOSPESO DAL PRC

Care compagne e cari compagni,

è stato recapitato al compagno Fulvio Grimaldi un provvedimento di
sospensione dal partito per nove mesi, motivato dal collegio di
garanzia romano con la sua partecipazione alla manifestazione di
dissenso nei confronti della “Sinistra Europea” e con
un’interpretazione arbitraria di un suo intervento diffuso da vari siti
di movimento.

Contemporaneamente – e con inaudita arroganza – il collegio di garanzia
romano ha “archiviato” la richiesta di intervento presentata dalle
compagne aggredite perché distribuivano un volantino degli
autoconvocati del PRC, sempre in merito alla “Sinistra Europea”;
l’incredibile motivazione dell’archiviazione consiste nel fatto che le
compagne aggredite e i compagni testimoni dell’accaduto (fra i quali
Fulvio Grimaldi) avevano chiesto di anticipare o posticipare la data
dell’audizione fissata dal collegio di garanzia, perché quel giorno (il
2 luglio) erano tutti impossibilitati a partecipare. Anziché fissare
una nuova data, il collegio di garanzia ha disposto l’archiviazione del
caso.

Contro tutti e due i provvedimenti della “garanzia” romana è stato già
proposto appello al Collegio Nazionale di Garanzia.

L’accanimento contro il compagno Grimaldi, già licenziato dal giornale
del partito, è l’ennesima dimostrazione dell’autoritarismo imperante
nel PRC; nell’approssimarsi di un decisivo congresso nazionale, è di
fondamentale importanza difendere la democrazia interna ed il
diritto/dovere all’espressione delle opinioni di ogni compagna ed ogni
compagno. Per questi motivi, e riservandoci ulteriori iniziative,
invitiamo le compagne e i compagni, del partito e del movimento, a far
pervenire da subito ad autoconvocatiprc@... i loro messaggi di
solidarietà, individuali e collettivi, che provvederemo ad inoltrare e
diffondere. Naturalmente, tutti i compagni e le compagne sono invitati
a dare la massima diffusione a questa vicenda ed a sollecitare il
dibattito.


Seguono il testo del provvedimento inviato al compagno Grimaldi e
quello del relativo ricorso al Collegio Nazionale di Garanzia.

 ---

Al compagno Fulvio Grimaldi

Il Collegio di garanzia della Federazione di Roma, riunitosi il giorno
2 luglio 2004 nelle persone di Roberto Catalano, Franco Guerra, Silvio
Messinetti e Rosangela Mura, negli ambiti di competenza previsti
dall’art. 50 dello Statuto del Partito della Rifondazione Comunista,
visto e considerato che il Compagno Fulvio Grimaldi, membro del CPF di
Roma:

in data 7 maggio 2004, ha interrotto la conferenza stampa di
presentazione del congresso fondativi del Partito della Sinistra
Europea con mezzi e con atti, quali la distribuzione di volantini di
attacco al congresso, al Segretario nazionale e ai candidati alle
elezioni europee nonché lo rotolamento di uno striscione con la scritta
“Bertinot in my name” affiancato dal simbolo del PRC, che ha gravemente
nuociuto all’immagine pubblica del Partito, del suo simbolo, del suo
Segretario nazionale ed in piena violazione dello statuto ai sensi
dell’art. 4 comma 4;

in data 6 giugno 2004 ha pubblicato in rete e segnatamente sul sito
www.arcipelago.org un articolo dal titolo “Mondocane Fuorilinea” in
cui, con modi subdoli ed artifizi retorici di dubbio gusto, denigrando
la compagna Luisa Morgantini, candidata per il PRC alle Elezioni
Europee, ha dato implicita indicazione di voto per un candidato di
altra lista, nello specifico Bassam Saleh, mediante una comparazione
arbitraria tra i due, tutto ciò in aperta violazione dello statuto che,
all’art. 4 comma 1, statuisce l’obbligo di ogni iscritto al partito di
votare le liste elettorali;

DISPONE

La sospensione dal partito di Fulvio Grimaldi per la durata di 9 mesi.

Il provvedimento è deliberato all’unanimità dal Collegio di Garanzia e
come tale di immediata e provvisoria esecutività ai sensi dell’art. 52
comma 6.

Si allegano i seguenti documenti:

comunicato stampa del blitz degli autoconvocati del PRC con relativo
volantino;

copia dell’articolo “Mondocane Fuorilinea” del 6 giugno 2004.

2 luglio 2004

La Presidente del Collegio di Garanzia
Rosangela Mura

---
 
Al Collegio Nazionale di Garanzia
Partito della Rifondazione Comunista

Viale del Policlinico 131
00161 ROMA

p.c Rosangela Mura, Collegio Federale di Garanzia, Roma

ALL’ATTENZIONE DEL COMPAGNO FRANCESCO RICCI

Oggetto: ricorso avverso al provvedimento adottato dal Collegio di
Garanzia Federale di Roma nei confronti di Fulvio Grimaldi

Interpongo ricorso contro il provvedimento adottato e comunicato in
data 2 luglio 2004 dal Collegio di Garanzia Federale di Roma nei miei
confronti (in allegato).

Riservandomi di illustrare le ragioni per cui giudico tale
provvedimento iniquo, ingiustificato e in violazione dello Statuto del
partito, allego il mio scritto relativo a Luisa Morgantini, a
dimostrazione della totale infondatezza delle accuse mossemi,
trattandosi di fattuale descrizione di due personaggi, senza il benché
minimo riferimento a un’indicazione di voto (per il quale avrebbe
potuto in teoria risultare anche più accattivante il ritratto della
Morgantini), nonché il volantino distribuito, insieme alla
correttissima esibizione di uno striscione di contestazione del
segretario, in occasione della conferenza stampa di presentazione del
congresso fondativi alle elezioni europee.

A termini di Statuto è impossibile ravvisare la benché minima
violazione, tantomeno un danno all’immagine pubblica del partito ( a
meno che partito e segretario nazionale non siano sinonimi), al suo
simbolo (indebitamente e senza congresso modificato dallo stesso
segretario nazionale in violazione dello statuto, per la quale
violazione è stata inoltrata denuncia al Collegio) e al suo segretario
nazionale (sempre che l’opposizione al segretario nazionale, “anche
all’esterno del partito”, non venga considerata lesa maestà)

Il provvedimento della CGF di Roma è chiaramente un’aberrazione
giuridica e svela un’idea della giustizia interna da tribunale
speciale. Le accuse oltrechè senza fondamento, sono di carattere
paradossale alla luce delle numerosissime denigrazioni e dei ripetuti
danni all’immagine e patrimoniali nei miei confronti, operate dal
segretario nazionale, da dirigenti suoi collaboratori, dalla direzione
del giornale del partito “Liberazione”, episodi per ognuno dei quali è
in preparazione una dettagliata denuncia a codesto Collegio. Resta
infine da chiarire l’incongruenza di un provvedimento riservato
esclusivamente alla mia persona, quando l’intervento alla conferenza
stampa del segretario nazionale era stato compiuto da almeno sei
compagni, con il coinvolgimento di molti altri nella fase di
preparazione e allestimento e l’assunzione di responsabilità
dell’intero Movimento degli Autoconvocati del PCR.

Fulvio Grimaldi

Roma, 13/7/04

Da: "Jugoistrijan" <jugoistrijan @ libero.it>
Data: Lun Lu 26, 2004 9:30 pm
Oggetto: Jugoslavenski glas - Voce jugoslava


Svakog utorka, od 14,00 do 14,30 sati, na Radio Città Aperta, i valu FM
88.9 za regiju "Lazio", emisija "Jugoslavenski glas". Emisija je u
direktnom prijenosu. Moze se pratiti i preko Interneta:
http://www.radiocittaperta.it
Kratke intervencije na telefon (0039) 06 4393512. Emisija je
dvojezicna, po potrebi i vremenu na raspolaganju.
Podrzite taj slobodni i nezavisni glas, kupujuci knjige, video kazete,
brosure, koje imamo na raspolaganju. (Par kopija, "Jugoslavia: Prima
vittima del Nuovo ordine mondiale" -Jugoslavija, prva zrtva "Novog
svjetskog poretka - Robina De Ruitera i "Menzogne di guerra" - Nato
lazi, od J. Elsesera, na talijanskom jeziku. Video "I dannati del
Kosovo", "Da se ne zaboravi" - tri dokunetarca), itd.
Pisite nam na: j u g o c o o r d @ t i s c a l i . i t,
ili fax +39 06 4828957.
Trazimo zainteresirane za usvajanje na daljinu, t.j. djacke stipendije
za djecu prognanika. Odazovite se.

Ogni martedì dalle ore 14,00 alle 14,30, "VOCE JUGOSLAVA" su Radio
Città Aperta, FM 88.9 per il Lazio. La trasmissione si può seguire,
come del resto anche le altre della radio, anche via Internet:
http://www.radiocittaperta.it
La trasmissione è bilingue (a seconda del tempo disponibile e della
necessità) ed in diretta. Brevi interventi allo 06 4393512.
Sostenete questa voce libera e indipendente acquistando video cassette,
libri, bollettini a nostra disposizione (ad esempio: "Jugoslavia: Prima
vittima del Nuovo ordine mondiale" di Robin de Ruiter, "Menzogne di
guerra " di J. Elsasser, video "I dannati del Kosovo" di M.Collon,
etc).Possibili adozioni a distanza (borse di studio). Scriveteci all'
email: j u g o c o o r d @ t i s c a l i . i t, tel/fax 06 4828957.
Contattateci.


Program - programma 27.VII. 2004

1. Jucer, danas sutra, datumi ... da se ne zaboravi.
2. "Od Triglava do Vardara....".
3. Od 1996, nakon bombardovanja Republike Srpske vam govorimo ... o
posljedicama bombardovanja osiromasenim uranijom.
Razgovor sa majkom Marka Milanovica iz Kraljeva koji se vec preko dvije
godine lijeci u Rimu.

1. Ieri, oggi, domani, date da non dimenticare.
2. "Dal monte Triglav al fiume Vardar, dal Danubio al Mare
Adriatico...".
3. E' dal 1996, dopo i bombardamenti sulla Repubblica Srpska di Bosnia,
che vi parliamo.......... delle conseguenze dei bombardamenti
all'uranio impoverito.


Sa ovom emisijom "Jugoslavenski glas" ide na odmor.
Cujemo se poslije 15. septembra.
Mozete nam uvjek telefonirati ili pisati na nase adrese koje se nalaze
ispisane u zaglavlju.
Do slusanja, Ivan

Con l'odierna trasmissione "Voce jugoslava" si concede dai
radioascoltatori e va in vacanza. Ci potete sempre telefonare o
scrivere ai nostri indirizzi. Ci risentiamo a metà settembre. Buone
vacanze! Ivan


Da se podsjetimo - Da ricordare:

"Budemo li ujedinjeni, ne trebamo se nikoga bojati"
"Se saremo uniti non dovremo temere nessuno" (Tito)

--


27 luglio 1941, Giornata dell'insurrezione del popolo di Croazia e di
Bosnia-Erzegovina, contro l'occupatore fascista. Questa data ora viene
ricordata soltanto da alcune organizzazioni, con la deposizione della
corona sui monumenti ai caduti nella guerra di Liberazione.
Nelle Repubbliche ex jugoslave ed ex socialiste, oggi "autonome", si
inventano altre date da festeggiare... Basta che non ricordino la
Jugoslavia socialista.

27. VII. 1941., Dan ustanka naroda Hrvatske i Bosne i Hercegovine
protiv fasistickog okupatora.
Danas taj datum obiljezavaju samo neke organizacije, polaganjem
vijenaca na Spomenicima palim borcima u Oslobodilackom ratu.
U bivsim jugoslavenskim socijalistickim republikama, "samostalnim",
obiljezavaju se drugi datumi... Samo da se ne spominje Socijalisticka
Jugoslavija.


W il 27 luglio, Giornata dell'Insurrezione!
Zivio 27.7., Dan
ustanka!

(da Ivan - contributo per "Voce Jugoslava")

NIENTE DI NUOVO... SU TUTTI I FRONTI


L'Unac denuncia
(Associazione dei Carabinieri)

Dall'Iraq al Celio malati di uranio

Diciannove ricoveri sospetti all'ospedale militare di Roma. Nessuna
smentita
Walter Falgio
Fonte: Liberazione - 30 giugno 2004

http://www.militari.org/rassegna_stampa/
peacelink_liberazione_30062004_03072004.htm

"Ci hanno segnalato che 19 nostri colleghi di ritorno dall'Iraq
sarebbero stati ricoverati al reparto oncologico del policlinico
militare romano del Celio. Alcuni di loro in cura, altri in
osservazione". Antonio Savino, segretario nazionale dell'Unac, Unione
arma dei carabinieri, ha il tono deciso di chi non vuole usare mezze
misure: "E abbiamo il timore che questi ragazzi possano essere stati
colpiti da tumori o gravi patologie a causa di una sospetta
contaminazione da uranio impoverito".

La sindrome del Golfo comincerebbe a farsi sentire tra i commilitoni
italiani impegnati sul fronte iracheno ma l'ordine superiore potrebbe
essere quello di mettere tutto a tacere. "Il Celio non ha ancora
smentito questa notizia", continua Savino, "non ha fornito, dietro
nostra richiesta, i nomi dei ricoverati e continua a negare l'accesso
ai rappresentanti dell'associazione. Noi vogliamo sapere se tra i
militari ammalati ci sono anche dei carabinieri e se comunque hanno
bisogno di assistenza". Questa chiusura alimenta i sospetti del
maresciallo Savino che da buon investigatore di professione vuole
vederci chiaro: "Li avrebbero ricoverati al Celio, struttura
sottoposta al controllo militare, per tenerli nascosti?".

Di questa vicenda si è fatto accenno anche al convegno organizzato
sabato scorso a Tempio Pausania in provincia di Sassari dalla sede
sarda dell'Unac. I temi dell'incontro al quale hanno partecipato
anche familiari delle vittime e militari ammalati sono di quelli che
fanno tremare i polsi ai generali: "Libertà di associazionismo,
rappresentativa sindacale nelle Forze armate. Uranio impoverito e
scorie nucleari: problemi di salute per militari e civili contaminati
e conseguenze per l'ambiente".

L'appuntato Michele Garau, organizzatore dell'iniziativa, è il
segretario regionale e responsabile legale dell'associazione dei
carabinieri: "Sono stato al Celio una ventina di giorni fa ma appena
arriviamo noi le porte si chiudono. Ho chiesto di parlare con i
responsabili dall'ospedale, nulla di fatto. Mi hanno tenuto
nell'anticamera". Garau conferma ciò che dice Savino: "Sospettiamo
che in un padiglione speciale dell'ospedale militare siano ricoverati
i militari ammalati di ritorno dall'Iraq.

Diverse segnalazioni sono arrivate al nostro call center dalle
famiglie dei soldati che ci chiedono informazioni. Dobbiamo riuscire
a penetrare questo muro di gomma". Non è da sottovalutare che
stavolta a scendere in campo sia un'associazione di militari che si
autodichiara lontana "dai palazzi del potere e dai titolati che vi
ruotano all'interno" e che rivendica "il diritto di poter liberamente
manifestare il proprio pensiero, di potersi liberamente associare,
difendere anche in forme sindacali e tutelare nella propria
professionalità".

Oltretutto L'Unac ha reso pubbliche anche una serie di fotografie
inedite scattate in Iraq, parte di un dossier di oltre 200 immagini.
Alcune di queste sono presenti in uno speciale sul sito Internet
dell'associazione,
http://www.unionecarabinieri.it , e mostrano militari che si aggirano
attorno a carri armati che potrebbero essere stati colpiti da
munizioni all'uranio impoverito. "Ne abbiamo altre che ritraggono
soldati senza adeguate protezioni vicini a zone bombardate e
residuati bellici", aggiunge Savino. Il problema della tutela delle
forze armate impegnate nelle missioni internazionali è più che mai
attuale, nonostante un documento della Brigata multinazionale West
datato 22 novembre 1999 e diffuso tra gli ufficiali che operavano in
Kosovo dimostri che già da 5 anni i generali sapevano: "L'inalazione
delle polveri insolubili di uranio impoverito è stata associata con
effetti a lungo termine sulla salute, compresi tumori e malformazioni
nei neonati", dichiara la circolare.

Nonostante questo i proiettili al DU non sono stati ancora banditi.
Nonostante l'esposizione alle polveri radioattive delle munizioni
altamente perforanti avrebbe causato la morte di 24 soldati italiani
e la malattia di altri 240. "Da tempo abbiamo denunciato che in Iraq
è stata usata una enorme quantità di proiettili ad uranio impoverito,
che ha lasciato contaminazioni dappertutto", si legge nel sito
dell'Unione carabinieri. "Come può rilevarsi dalle foto inviateci dai
nostri colleghi rientrati dall'Iraq, i rilievi furono fatti. Perché
non sono stati comunicati ai nostri militari che continuano a
passeggiare in Iraq senza alcuna protezione? Quanti morti dobbiamo
ancora vedere prima che ci raccontino la verità?".

http://italy.peacelink.org/disarmo/articles/art_5880.html


Approfondimenti

Uranio impoverito / Consigli e precauzioni / S.O.S. soldati
http://italy.peacelink.org/disarmo/indices/index_20.html

L'uranio impoverito tra le cause della morte di Stefano Melone
http://www.militari.org/2004/melone_stefano_morte_uranio_18072004.htm


SITO URANIO IMPOVERITO
http://www.uranioimpoverito.it/

Gli effetti sanitari dell'uranio impoverito
http://www.uranioimpoverito.it/sanita.htm

I pericoli dell'uranio impoverito
http://www.dica33.it/argomenti/salute_ambiente/radiazioni/
radiazioni1.asp

I pericoli dell'uranio impoverito Questo metallo emette particelle
alfa, beta e raggi gamma. Sia le particelle alfa sia quelle beta non
hanno una grande capacità di penetrazione e, in pratica, possono
essere arrestate già dalla pelle o al massimo dal tessuto delle
uniformi. I raggi gamma no, sono radiazioni ad alta energia ma, come
si è detto, l'emissione dell'uranio impoverito è molto debole.
Inoltre si deve tenere presente che il nucleo di uranio è posto
all'interno del proiettile e, quindi, la radiazione risulta
schermata. Studi condotti dal Dipartimento della Difesa statunitense
avrebbero dimostrato che l'equipaggio dei carri che ospitano l'intero
munizionamento del carro sono esposti a una dose di radiazioni che
non supera i livelli di sicurezza stabiliti per la popolazione.
Con l'uranio impoverito, di conseguenza, i pericoli non sono legati
tanto alla radioattività quanto al fatto che come tutti i metalli
pesanti, a partire dal piombo, è tossico e tende ad accumularsi
nell'organismo (in particolare ossa e reni). Il pericolo di
intossicazione ha origine dal fatto che al momento dell'impatto il
penetratore di uranio impoverito letteralmente si polverizza
bruciando, è quindi si ha dispersione nell'aria, e poi nel terreno e
nell'acqua, di particelle che possono essere inalate, bevute,
introdotte con gli alimenti. In pratica, è come usare un gas tossico
i cui effetti, però, si manifestino con l'andare del tempo e non
immediatamente come avviene con i gas nervini o altre armi chimiche.

Che cosa risulta finora
Per capire gli effetti sull'organismo del metallo è bene distinguere
tra esposizione interna ed esterna. La pericolosità dell'esposizione
esterna dipende dall'emissione di radiazioni: è vero che l'uranio
impoverito e l'uranio naturale sono debolmente radioattivi, ma è
anche vero che oggi si tende a credere che non esistano dosi di
radiazioni innocue. Comunque, a oggi non risulta che l'esposizione
esterna all'uranio impoverito causi direttamente tumori del sangue o
tumori solidi. Vero è che secondo alcuni studiosi aumenta comunque il
rischio di tumori.
Per l'esposizione interna, invece, il discorso cambia e anche la
debole radioattività delle particelle del metallo diviene pericolosa:
infatti queste si arrestano nei polmoni, se riescono a superare lo
sbarramento delle prime vie aeree, e lì restano per parecchi anni
esercitando il loro effetto distruttivo.
Nei polmoni, però, si fermano soltanto le particelle insolubili,
mentre quelle che si sciolgono nei fluidi passano in circolo e vanno
a esercitare una serie di effetti tossici in primo luogo a carico dei
reni, come avviene per il piombo. Non è ancora chiarito se, come per
il piombo, anche per l'uranio impoverito si possano avere effetti
neurologici a livelli inferiori a quelli necessari perché si presenti
la tossicità renale. Secondo alcuni studi, condotti però con un
occhio di riguardo all'establishment militare, il rischio della
contaminazione ambientale è poco più che trascurabile, ma non
esistono indagini serie e controllate al riguardo.
Altre fonti, vicine ai movimenti pacifisti, fanno invece presente che
dopo la guerra del Golfo in Iraq la leucemia è balzata dal settimo al
quarto posto per diffusione tra i tumori. Di certo almeno uno studio,
condotto su reduci americani dal conflitto in Iraq dimostrerebbe
conseguenze sul sistema nervoso, minore efficienza cognitiva, tra
coloro che hanno subito l'esposizione interna, provata dai superiori
livelli di uranio riscontrati nelle urine. Studi in vitro molto
recenti, poi, hanno mostrato che l'uranio impoverito induce la
mutazione degli osteoblasti umani (le cellule che costruiscono le
ossa) nella variante cancerogena, anche se poi gli autori dicono che
questo non significa necessariamente che lo stesso effetto si produca
nell'organismo. Tutti indistintamente proclamano comunque che sono
necessari altri studi. Intanto, senza sapere quali possano essere gli
effetti, si continuano a usare i proiettili incriminati.

Maurizio Imperiali

Fonti

Fetter s, von Hippel N. The hazard posed by depleted uranium
munitions. Science & Global Security 1\999 8:2; 125-161

McDiarmid MA et al. Health effects of depleted uranium on exposed
Gulf War veterans. Environ Res 2000 Feb;82(2):168-80

Durakovic A. Medical effects of internal contamination with uranium.
Croat Med J 1999 Mar;40(1):49-66

Miller AC et al. Transformation of human osteoblast cells to the
tumorigenic phenotype by depleted uranium-uranyl chloride.
Environ Health Perspect 1998 Aug;106(8):465-71

Il rapporto del Dipartimento della Difesa statunitense
sull'esposizione durante la guerra del Golfo
http://www.gulflink.osd.mil/du/


Lo scandalo dell'uranio impoverito

http://www.sapere.it/tca/minisite/storia/guerre_tecnologie/
chimica_07.html

[...] In base ai più recenti studi, quindi, l'uranio è più pericoloso
come
tossico chimico che si insedia nelle ossa che per la sua
radioattività, eppure, quando alla fine del 2000 ci sono stati i sei
decessi per leucemia tra i militari italiani in Bosnia, la stampa ha
subito gridato allo scandalo. Alla fine del 2001 tra i contingenti
NATO si sono contati una quindicina di decessi e parecchi casi di
leucemia ma l'Organizzazione Mondiale della Sanità sostiene che non
ci sono prove certe sul legame tra la radioattività dell'uranio
impoverito e quei decessi dato che la radioattività provoca tumori
solidi di altra natura, oltre alla leucemia, non riscontrati in
questa vicenda; inoltre la leucemia può essere causata anche
dall'inalazione di idrocarburi aromatici o da virus e, di solito,
quella indotta da radiazione ha un lungo periodo di latenza in
contrasto con l'insorgere immediato della malattia nei soldati;
bisognerebbe sapere, con esattezza, a che cosa sono stati esposti i
militari ma mancano notizie certe. In tutta questa faccenda ci si è
dimenticati dei civili della regione balcanica esposti agli stessi
rischi dei contingenti armati. Sembra chiaro che l'esatta valutazione
dei rischi sanitari legati alle operazioni belliche si scontra sempre
con la reticenza delle autorità militari e la difficoltà di reperire
dati scientifici certi.


"L'uranio impoverito resterà in Iraq per generazioni"
http://www.nuovimondimedia.it/
modules.php?op=modload&name=News&file=article&sid=149

L'arroganza della guerra, uranio impoverito e Kuwait
http://www.newmediaexplorer.org/ivaningrilli/2003/10/22/
larroganza_della_guerra_uranio_impoverito_e_kuwait.htm

( Vedi anche:
"Saluto ai nostri amici e alleati Jugoslavi",
da "La nostra lotta", organo del PCI, 13 ottobre 1944 --
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3509 )


La nuova Jugoslavia


Il crollo del fronte nazista nei Balcani, l'entrata dell'Armata Rossa
in Jugoslavia e le vittorie comuni delle armi sovietiche e jugoslave
hanno mostrato ancora una volta -- ed oggi con evidenza inconfutabile
-- il contributo grandioso che il movimento di liberazione jugoslavo ha
portato -- sotto la guida dell'eroe leggendario dei popoli slavi, il
Maresciallo Tito -- alla causa comune dell'umanita' progressiva in
lotta contro la barbarie e l'infamia naziste.

Cio' che era speranza ed augurio di un'avanguardia, il diretto
contributo del popolo sovietico e del popolo jugoslavo alla nostra
liberazione, diviene realta' e oggi ogni italiano vede nell'avanzata
sovietica-jugoslava un valido, decisivo, aiuto allo sforzo degli
Eserciti alleati e del popolo italiano in lotta per la cacciata dei
tedeschi e lo sterminio dei fascisti.
Avanguardia degli eserciti sovietico-jugoslavi, il IX Corpo d'Armata
del NOVJ (Esercito Nazionale della liberazione della Jugoslavia) ha
gia' liberato quasi tutta la Slovenia, costringendo l'occupante a
trincerarsi in qualche capoluogo di provincia e isolandolo colla
distruzione sistematica delle linee di occupazione.
Nel Primorsko (Litorale giuliano) e in tutte le regioni che furono
testimoni dei delitti dell'imperialismo fascista ferve oggi una nuova
democrazia. Nel fuoco della guerra di liberazione, il popolo sloveno
ricostruisce cio' che il fascismo ha distrutto, conquista, alfine, la
sua libera vita nazionale.

Costituita alla fine della prima guerra mondiale, la Jugoslavia era il
risultato di un compromesso tra le grandi potenze imperialistiche,
decise ad asservirsi attraverso il ricatto dei territori
incontestabilmente jugoslavi, il nuovo Stato, sulle rovine dell'Impero
asburgico, sorgeva attorno alla vecchia Serbia e al Montenegro. Appena
i due terzi del popolo sloveno venivano aggiudicati al nuovo Stato: fra
gli Stati confinanti veniva diviso il resto; la fetta piu' grossa
veniva assegnata all'imperialismo italiano, cui toccava anche tutto il
popolo croato dell'Istria.
Privati della loro liberta' nazionale, agli sloveni ed ai croati
compresi nello stato italiano rimaneva ancora una precaria autonomia
culturale, di gran lunga inferiore a quella che essi avevano goduto
sotto la vecchia Austria.
Il misero straccio di liberta' elargito dalla democrazia prefascista,
veniva strappato al popolo sloveno dal fascismo. Proibiti i partiti
sloveni e croati, soppressa la fiorente stampa libera cosi' diffusa tra
i contadini sloveni che vantavano una percentuale di analfabeti
inferiore a quella di ogni altro paese europeo, chiuse le scuole
nazionali e reso obbligatorio l'insegnamento nella sola lingua
italiana, contestato ai sacerdoti il diritto di predicare nella lingua
nazionale, sul popolo sloveno e croato si abbatte' lo stuolo fascista
dei funzionari statali, dei podesta', dei segretari comunali, dei
ferrovieri, dei maestri e, come in un paese di occupazione militare,
una quantita' di carabinieri e di militi.
Il ricco patrimonio cooperativo, le banche popolari, le casse
artigianali e le numerose iniziative sociali, caratteristiche
dell'economia piccolo-contadina degli sloveni, venivano saccheggiate e
distrutte, mentre si estendeva sulle campagne istriane e carsiche il
predominio del capitale finanziario che, attraverso le grandi banche
italiane, si sostituiva al piccolo capitale commerciale sloveno e
croato. L'Istria e la Carsia divennero cosi' le regioni sulle quali -
proporzionalmente al reddito - gravava un debito ipotecario piu' forte
che in ogni altra regione italiana. I beni comunali cosi' necessari ad
un'economia in buona parte zootecnica venivano distribuiti secondo i
soliti criteri dell'amministrazione fascista, arricchendo i beni che i
"signori" italiani avevano da lungo tempo usurpato al contadino
istriano.

Chi di noi triestini non ricorda con orrore lo strazio che il fascismo
ha fatto del popolo sloveno e del popolo croato, chi non ricorda la
loro indomita volonta' di liberazione che il regime di terrore non
riusciva a fiaccare, chi non ricorda i martiri di Pola nel 1929, i
martiri di Basovizza nel 1931 e tutti gli altri eroici caduti fino al
compagno Tomasic e a tutti i fucilati di Trieste nel 1941?
Ricordo un villaggio sloveno sulle pendici del Monte Nanos, poche case
in mezzo alla rada boscaglia carsica, sulla cima di una collina; per
arrivarci soltanto una mulattiera e cinque ore di cammino dalla
stazione dell'autocorriera. Miseria nera, nessun commercio, tasse
enormi schiacciano una miserrima economia essenzialmente naturale,
fondata su qualche capo di bestiame e sui magri prodotti di un suolo
sterile, sassoso, dove qui e li sul grigio rosseggia il magro
campicello costruito faticosamente trasportando a spalla un po' di
terriccio.
Ogni tanto un pattuglione di carabinieri o di militi, armato, col
moschetto carico, passava per il paese, davanti alle porte chiuse, nel
silenzio dell'odio generale.
Il governo italiano, il fascismo non ha fatto niente per questo paese,
lo ha soltanto derubato, oppresso, offeso nei piu' elementari
sentimenti di dignita' umana e nazionale. L'unico edificio civile e' la
scuola, una scuola che il fascismo non ha costruito, ma ha rubato al
patrimonio nazionale del popolo sloveno per metterci dentro un maestro
fascista che obbliga i figli del popolo sloveno a compitare in una
lingua che non sarebbe loro mai servita. Municipio non c'e', perche' il
municipio fascista e' chissa' dove in fondo alla vallata. E in uno di
questi paesi la giustizia popolare raggiungeva un giorno un maestro
fascista, un sadico criminale tubercolotico che seviziava i fanciulli
e, con bestialita' orrenda, sputava loro nella bocca la sua saliva
infetta.
Dopo la scuola il servizio militare, con destinazioni speciali, in
formazioni speciali, separati dai commilitoni italiani dalla diffidenza
che l'imperialismo fascista aveva deliberatamente creato tra gli
sloveni e noi. A migliaia i giovani croati e i giovani sloveni pur di
sottrarsi all'ingiuria di un servizio militare odioso, abbandonavano,
tutti gli anni, casa e famiglia, per rifugiarsi in Jugoslavia.
Questa e' stata per vent'anni la vita del popolo sloveno e del popolo
croato oppressi dall'imperialismo fascista.

* * *

Nel 1941, Hitler e Mussolini aggredivano brutalmente il popolo
jugoslavo che gia' cercava nella lotta contro il nazi-fascismo e
nell'alleanza con l'URSS la garanzia della propria indipendenza.

Le colonne corazzate dell'esercito nazista infransero la resistenza del
regio esercito jugoslavo, minato, nei suoi stessi ranghi, dal
tradimento e dalla collaborazione col nemico. Allo sfacelo
dell'esercito regio rispose l'eroica sollevazione di tutti i popoli
della Jugoslavia contro l'occupante. A decine di migliaia gli arditi
combattenti del popolo, a migliaia le coraggiose donne del popolo
jugoslavo venivano massacrati o seppelliti nei campi di concentramento.
Le truppe d'occupazione, ma anche truppe dell'esercito fascista,
italiani vestiti dall'uniforme disonorante dell'aggressione e
dell'infamia, distrussero villaggi, incendiarono case, decimarono
intere regioni: ma per l'eroico popolo jugoslavo la brutalita', la
barbarie scatenata dai nazi-fascisti furono la gran diana per la lotta
di riscossa popolare. Sui resti sconfitti dell'esercito regio si
formarono i primi nuclei dell'esercito partigiano, che prendendo ben
presto il carattere di un vero e proprio Esercito Nazionale Jugoslavo
di Liberazione (NOVJ) getto' le fondamenta incrollabili per la nuova
Jugoslavia, la Jugoslavia del popolo.

Alla base di questo vastissimo anelito di liberta' e di vittoria era il
movimento dell'O.F. (Fronte di Liberazione). Sorto per iniziativa del
Partito comunista, nove giorni dopo l'invasione, esso raggruppo'
all'infuori di ogni distinzione politica o religiosa tutte le forze
sane dei popoli della Jugoslavia. Fu questo vastissimo movimento
popolare a garantire l'incessante sviluppo dell'Esercito di
Liberazione, furono le migliaia di Comitati dell'O.F. che permisero
all'Esercito di Liberazione di superare la prima grande crisi dovuta
alla vasta offensiva nazi-fascista nella primavera del '42.
In ogni villaggio, in ogni borgata della Jugoslavia si costitui' il
Comitato dell'O.F. e, in forme il piu' possibile democratiche, i
migliori figli del popolo furono chiamati a partecipare a questi organi
di potere popolare. Questa colossale organizzazione capillare garanti'
i rifornimenti al NOVJ, forni' i contingenti sempre crescenti che
permisero di superare le sei offensive del nemico e di forgiare un
esercito di 300.000 uomini.

Capo geniale, creatore di un esercito che i Comandi alleati
annoverarono tra i fattori principali nella strategia generale della
guerra, e' stato il Maresciallo Tito. Tito, militante comunista, figlio
di un contadino croato e di madre slovena, simbolo di quell'unione che
sorge dalla comunanza delle libere volonta' di tutti i popoli della
Jugoslavia. E oggi al maresciallo Tito guardano tutti i popoli
dell'Europa balcanica come alla loro guida sulla via dell'indipendenza
e della democrazia popolare.

Nel fuoco della guerra di liberazione i popoli della Jugoslavia
gettano, cosi', le basi della nuova democrazia.
Premessa del movimento dell'O.F. era stata - tre anni fa - la cacciata
dell'occupante, il non riconoscimento del vecchio stato reazionario,
dimostratosi incapace di organizzare la difesa del paese, la lotta per
la democrazia popolare che assicurasse, nell'eguaglianza di tutti i
popoli della Jugoslavia, l'unita' e l'indipendenza nazionale.
Sotto lo stimolo delle esigenze belliche, dopo la vittoriosa resistenza
contro la grande prima offensiva nazi-fascista, si riuniva nell'ottobre
del 1942 il primo congresso dell'O.F., l'AVNOJ, il quale riconosceva
nei Comitati dell'O.F. gli organi fondamentali per la lotta di
liberazione e per il nuovo potere popolare e investiva Tito del Comando
e della guida di tutto il movimento di liberazione. Al consiglio
dell'O.F., all'AVNOJ, spettava la direzione e la rappresentanza
politica dei popoli della Jugoslavia, senza che fosse ancora
sconfessato il governo fuggiasco.
Lo sviluppo della lotta di liberazione e l'acutizzarsi delle condizioni
generali portavano intanto i circoli reazionari raggruppati attorno a
Mihajlovic e attorno ai collaboratori tipo Macek, a posizioni sempre
piu' apertamente collaborazioniste e quindi all'aperto tradimento.
Durante tutto il 1943 obiettivo essenziale della lotta politica per la
chiarificazione della situazione interna, condotta dall'AVNOJ, fu la
definitiva liquidazione di qualsiasi equivoco che intorbidasse la
profonda linea che separava ed opponeva all'occupante nazista i popoli
jugoslavi, liquidazione quindi di ogni forma di autorita' che
rappresentasse un compromesso col vecchio ordine reazionario.
Fu in quell'anno che la guardia bianco-blu dei reazionari sloveni venne
liquidata e fini' collo sparire dopo il crollo dell'alleato e padrone
fascista; fu in quell'anno che divenne chiara a tutto il mondo la
funzione provocatoria che Mihajlovic esercitava per conto
dell'occupante. Aperta venne dichiarata la lotta contro Mihajlovic e i
manutengoli del governo fuoriuscito e le vittoriose affermazioni del
NOVJ, sottolineando il contributo portato alla causa comune delle
Nazioni Unite, portarono al riconoscimento internazionale dell'AVNOJ
come guida politica dell'insurrezione nazionale dei popoli della
Jugoslavia.

Gli organi del movimento dell'O.F. conquistarono quindi sempre nuovi
riconoscimenti in campo internazionale, appoggiati in questa loro
azione dal valido aiuto dell'URSS, protettrice di tutti i popoli in
lotta per la loro liberta' e, in special modo, dei popoli slavi verso
la costruzione di un nuovo mondo nei Balcani tormentati. Fu l'Unione
Sovietica che per prima riconobbe nell'AVNOJ il legittimo governo
jugoslavo e strinse con esso normali rapporti diplomatici.
Sulla base di questi successi, l'AVNOJ, nel suo secondo congresso della
fine del 1943, decise quindi la trasformazione del Comitato jugoslavo
dell'O.F. in Governo, riconoscendo nel popolo organizzato nei comitati
dell'O.F. l'unica fonte di potere per la nuova Jugoslavia.
Espressione della concorde volonta' dei popoli jugoslavi, l'AVNOJ, per
sua formazione federativa, costituisce una prefigurazione del Governo
di domani, Governo popolare di una Jugoslavia, federativa e
democratica. Nella democrazia e nella vita federativa si garantisce
cosi' libera espressione alle caratteristiche sociali e storiche di
ogni popolo della Jugoslavia.

Guida alla costruzione della nuova Jugoslavia e' stato il Partito
Comunista. E' stato possibile, grazie alla sua instancabile attivita'
unitaria e alla sua vasta influenza, di trasformare i primi nuclei nel
NOVJ, di creare in ogni villaggio il Comitato dell'O.F.
Vero Partito bolscevico, esso sa unire, alla decisione ed all'audacia,
la comprensione delle esigenze dei piu' larghi strati popolari e ne e'
prova l'iniziativa presa da esso, per la costituzione di larghe
organizzazioni di masse femminili e giovanili che vengono ad
interessare alla suprema lotta nazionale tutti gli strati popolari.
La crescente influenza del P.C. nell'O.F., la profonda crisi degli
altri Partiti i cui dirigenti si sono in massima parte posti al
servizio dell'occupante, ha determinato i residui gruppi politici non
compromessi a riconoscere in Tito la loro guida nella lotta per la
nuova Jugoslavia popolare.
Alla testa di tutti i popoli della Jugoslavia, il popolo sloveno che ha
realizzato una giusta politica unitaria, combatte per una Slovenia
libera, unita e democratica e getta gia' oggi le fondamenta della
libera vita democratica.
Il movimento dell'O.F. consolidato in efficente organismo di governo ha
promosso vaste consultazioni popolari in tutti i paesi della
Jugoslavia. Anche nel Litorale (Primorsko) si sono svolte, e molto
recentemente, le elezioni generali: tale era l'interesse della
popolazione che i contadini dei paesi ancora occupati facevano
chilometri e chilometri per deporre la loro scheda, per partecipare al
loro comizio elettorale.
Cosi' rivivono a nuova coscienza nazionale e democratica le popolazioni
che il fascismo ha avvilito per vent'anni.

Libera vita democratica, autogoverno delle masse popolari, pieno
riconoscimento degli sforzi che i popoli hanno compiuto per la loro
liberazione: queste sono le direttive che informano l'azione politica
del NOVJ nei territori liberati. E per questo non sono soltanto le
popolazioni slave, ma tutti i popoli a guardare a Tito come a un eroe
leggendario, campione di liberta'. Non soltanto i popoli balcanici
vedono nel NOVJ una grande forza liberatrice, ma tutti i popoli
confinanti e particolarmente le nostre popolazioni del Veneto .
L'Armata Rossa ha raggiunto Budapest, l'Esercito di Tito sta ripulendo
la Jugoslavia dalle truppe di Hitler: grandioso e' l'aiuto che
l'esercito di Tito potra' dare alla nostra lotta di liberazione.
Tendere tutte le forze per aiutare il popolo jugoslavo nella sua epica
impresa; questo e' il dovere di ogni italiano, questa e' la via per
avvicinare il giorno della liberazione, per dimostrare che non sul
popolo italiano, ma solo sul fascismo ricadono le responsabilita' e
l'onta per i delitti commessi contro il libero popolo jugoslavo.
Ed e' su questa chiara coscienza che gia' si fonda l'azione del popolo
jugoslavo e delle sua avanguardia liberatrice. Gli italiani schiavi
hanno ridotto in schiavitu' il popolo sloveno e il popolo croato, ma
gli sloveni e i croati liberi aprono oggi, con ampie liberta'
democratiche, nuovi orizzonti alla vita delle popolazioni che entrano
nel raggio delle operazioni del NOVJ.
Lo spirito che informa le relazioni tra popoli liberi agli interessi
progressivi di tutta l'umanita', e' oggi, deve sempre piu' essere alla
base delle nostre relazioni, della nostra amicizia per il popolo
jugoslavo, araldo di liberta' e costruttore nei Balcani della nuova
Europa.
Dalla marcia sempre piu' rapida degli eserciti sovietici ed jugoslavi,
facile e' trarre l'augurio di prossime grandi operazioni per la
liberazione della Venezia Giulia e dell'Italia nord-orientale dal
nazi-fascismo.
Confidando nell'aiuto sovietico ed jugoslavo alla sua lotta, il popolo
italiano, impegnato nella battaglia insurrezionale, rivolge - oggi, 7
novembre - il suo saluto augurale al popolo jugoslavo che l'U.R.S.S.,
guida dei popoli slavi, cosi' validamente sostiene nella sua lotta per
la riscossa e la liberta'.


[ tratto da "La nostra lotta",
organo del Partito Comunista Italiano, novembre 1944 ]

Croazia: apartheid in fabbrica

[ "Rivelazioni" su episodi di alcuni anni fa: all'epoca, nessuno in
Italia osava spiegare che la discriminazione su base nazionale in
Croazia era la regola, e non l'eccezione, sin dalla promulgazione della
"Costituzione di Natale" (1990), e sin dalla dichiarazione di
"indipendenza" (1991). Allora i serbi venivano sistematicamente
cacciati dal posto di lavoro e privati dei diritti civili. E dopo tante
vessazioni, arrivarono la guerra civile e la menzogna mediatica della
"aggressione serba".
Oggi, la separazione etnica si e' cronicizzata - come mostra l'articolo
- oppure, laddove i serbi sono stati semplicemente eliminati, non si
vede piu'... E dunque: ritorniamo in vacanza in Croazia ?!? IS ]

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http://auth.unimondo.org/cfdocs/obportal/
index.cfm?fuseaction=news.notizia&NewsID=3061


Come il governo Tudjman divideva i lavoratori

Diritti diversi ai lavoratori di una stessa fabbrica a seconda della
loro nazionalità. Il caso della ditta “Borovo”, di Vukovar

(06/05/2004) Da Osijek, scrive Drago HEDL


Malgrado il governo del Primo Ministro Ivo Sanader cerchi di riparare
alle ingiustizie commesse dalla Croazia di Franjo Tudjman contro i
cittadini di nazionalità serba, nuovi casi emergono in continuazione da
dietro le quinte.

Circa 4.000 ex lavoratori della fabbrica di gomma e scarpe “Borovo”,
una delle più grandi imprese della ex Jugoslavia, situata a Vukovar,
hanno minacciato la scorsa settimana di organizzare manifestazioni di
piazza se il governo non risponderà alle loro richieste.

I lavoratori cercano senza successo di risolvere una questione che è
già stata risolta molto tempo fa per 1.746 impiegati della stessa
ditta. Poiché la fabbrica è stata distrutta durante la guerra e i
lavoratori hanno perso il proprio lavoro, lo Stato gli ha corrisposto
una indennità in misura di 1.500 kune (circa 200 euri) per ogni anno di
impiego. Questa indennità, tuttavia, è stata assegnata a soli 1.746
operai, mentre più di 4.000 altri lavoratori della “Borovo” non hanno
mai ricevuto un centesimo.

Ci si potrebbe logicamente chiedere quali fossero le differenze tra gli
ex lavoratori della “Borovo”. Per di più, sapendo che i 65 milioni di
kune (poco meno di dieci milioni di euri) spesi per il pagamento delle
indennità sono stati raccolti con la vendita degli immobili e di altre
proprietà della “Borovo”, che erano state prodotte in modo uguale da
tutti i lavoratori. La risposta è semplice: la differenza tra i
lavoratori sta nella loro nazionalità.

La nazionalità dei 1.746 lavoratori che hanno ricevuto l’indennità è
croata, mentre gli altri 4.000 lavoratori impiegati dalla stessa ditta,
che non hanno mai ricevuto alcuna compensazione, sono Serbi. Tuttavia,
per nascondere il fatto che la Croazia discriminava i propri cittadini
in base alla loro nazionalità, il sistema di Tudjman aveva trovato una
soluzione per decidere chi avrebbe ricevuto l’indennità. Quando Vukovar
fu presa e le formazioni paramilitari serbe sono entrate in città
insieme all’Esercito Popolare Jugoslavo (JNA), la direzione della
“Borovo” ha chiesto ai lavoratori, il 3 dicembre 1991, di prendere
contatto con la nuova direzione della fabbrica a Zagabria. La nuova
direzione ha inserito gli impiegati nell’organico, pagato i loro
salari, garantito la assicurazione sanitaria e sociale. In altre
parole, si sono più o meno presi cura di loro.

Questo, tuttavia, è stato il caso per i soli 1.746 lavoratori di
nazionalità croata che hanno lasciato Vukovar prima o dopo la caduta
della città.

Al tempo, era assolutamente impossibile che i lavoratori della “Borovo”
di nazionalità serba andassero a Zagabria a contattare la nuova,
temporanea, direzione della compagnia. Non avrebbero potuto in nessun
modo andare a Zagabria dalla ex “Krajna” – il nome che i ribelli serbi
avevano dato alla propria formazione statale creata dopo la cattura di
Vukovar e della Slavonia orientale. I Serbi rimasero a Vukovar o
trovarono rifugio presso i propri parenti in Jugoslavia o Bosnia
Erzegovina. Dal momento che non presero contatti con Zagabria, tutti e
4.000 furono collettivamente licenziati.

La maggior parte dei lavoratori della “Borovo” di nazionalità serba che
rimasero a Vukovar o nei villaggi vicini, governati dai ribelli serbi,
continuarono a lavorare in quello che rimaneva della “Borovo”. Questo
accadde fino all’inizio della reintegrazione pacifica del 1996,
allorché la lettera di intenti del governo croato promise ai lavoratori
che avrebbero ricevuto un riconoscimento per gli anni di impiego una
volta che la reintegrazione fosse terminata, e che sarebbero stati
messi nella condizione di continuare il proprio lavoro. Quello che
accadde fu invece l’esatto contrario. Il 15 gennaio del 1998, alla fine
del periodo di reintegrazione pacifica, i lavoratori non ricevettero
nulla.

“Malgrado ovviamente non ci siano spiegazioni che dichiarino che il
motivo per il quale l’indennità e altri diritti – attribuiti ai
lavoratori di nazionalità croata – non siano riconosciuti agli altri
perché sono Serbi, tutti capiscono molto bene quello che sta
accadendo”, afferma Petar Miletic, avvocato di Vukovar che rappresenta
i 4.000 lavoratori della “Borovo”. Miletic ha fatto appello alla Corte
Distrettuale di Vukovar, ma la questione non è ancora stata portata in
giudizio per motivi procedurali.

Milan Grahorac, che rappresenta i 4.000 lavoratori che chiedono il
riconoscimento dei propri diritti, ha inviato una lettera al Primo
Ministro Ivo Sanader alla fine di gennaio 2004, nella quale sottolinea
la discriminazione operata nei confronti dei lavoratori della ex
fabbrica di Borovo. In quanto rappresentante dei lavoratori di Borovo,
Grahorac chiede aiuto al Primo Ministro. Se questo non arriva, scrive
Grahorac, i lavoratori dovranno rivolgersi alla Corte Europea per i
Diritti dell’Uomo a Strasburgo.

Sanader ha risposto che in quanto Primo Ministro del Governo ha
l’obbligo di proteggere i diritti di tutti i cittadini della Repubblica
di Croazia, indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa o
nazionale, e ha inoltrato la lettera al Ministro della Giustizia,
chiedendo a lei di risolvere la questione. Sanader ha inoltre aggiunto
di auspicare che la questione venisse risolta in un Tribunale croato, e
che l’intervento di Strasburgo non fosse necessario.

“Malgrado la risposta di Sanader possa rallegrarci - dichiara Petar
Miletic, il legale che rappresenta i lavoratori della “Borovo” -
purtroppo non fa che confermare la discriminazione attuale. Sanader ci
fa andare in Tribunale, e non vuole risolvere il problema nel modo in
cui è stato risolto senza Tribunali, e con l’aiuto del Governo, per
1.746 lavoratori di nazionalità croata.”

Mirko Grahorac afferma che la loro pazienza ha un limite e che
aspetterà ancora poco per vedere se c’è buona volontà per risolvere il
problema. “Se non riceviamo una risposta positiva entro l’inizio di
questa estate organizzeremo manifestazioni e blocchi stradali, come
hanno fatto i 1.746 lavoratori di nazionalità croata prima di ricevere
la loro indennità. Se questo è l’unico modo per ottenere quello che gli
impiegati croati, che hanno lavorato con noi fino al 1991, hanno già
ottenuto – sceglieremo questa possibilità. In questo modo la opinione
pubblica croata, e sfortunatamente anche quella internazionale,
scopriranno che, indipendentemente da quanto lo si voglia negare,
esiste in Croazia una enorme discriminazione su base nazionale”,
conclude Grahorac.


» Fonte: da Osijek, Drago Hedl © Osservatorio sui Balcani

Da Alessandro Di Meo di "UN PONTE PER..." riceviamo questo importante

APPELLO :

Nel 2001 distribuivamo volantini che titolavano: "L'uranio impoverito
fa male ai nostri soldati. E ai bambini jugoslavi?" [vedi sotto]

Ora la Jugoslavia non esiste più, la chiamano Serbia-Montenegro, ma
fra quei bambini che, invece, continuano ad esistere eccome, ce ne
sono sempre di più che si ammalano di malattie del sangue, prima molto
rare. Leucemie, anemie varie. Ce lo raccontano alcuni medici pediatri
che abbiamo invitato a Roma, presso l'università di Tor Vergata. Ma i
dati statistici, quelli proprio non è possibile averli. Perché nessuno
te li da. Anche a Belgrado, all'istituto per la Salute della Madre e
del Bambino, ti fanno capire che questi casi drammatici sono in forte
aumento. Ma un numero proprio no, non possono fornirlo. Perché è un
tema che è meglio nascondere, sottacere, parlarne per metafore, hai
visto mai che poi tagliano quei fondi, qualcuno alla CEE si potrebbe
infastidire, ecc.

La verità è che di quel disastro, di cui è colpevole, purtroppo fra i
principali, anche il nostro paese, si cerca di far sapere poco.
Come si tende a non parlare dei profughi, circa 300 mila. Sono i
serbi, ma non solo, fuggiti dal Kosovo, dopo l'entrata della Nato nel
giugno `99. Profughi che in patria non sono considerati tali, in
quanto il Kosovo, formalmente, ancora è terra serba. E allora il
governo centrale li usa a scopo propagandistico, raccontando loro del
diritto al ritorno, illudendo, non troppo, ormai, quella gente che un
giorno riavranno la propria terra, la propria casa. E invece, non
riavranno un bel niente.
Non la casa, spesso bruciata o distrutta, non la terra, confiscata
dagli albanesi kosovari. Non certo gli affetti perduti, con più di
mille "scomparsi", spesso civili, di cui non si sa più nulla.
A questa gente nemmeno un risarcimento per tutto quello che avevano e
non hanno più. Eppure, molti di loro potrebbero anche dimostrare, con
tanto di documenti, le proprietà perdute.
A loro andrebbe bene anche un semplice risarcimento di ciò che hanno
perso, un indennizzo, perché permetterebbe, specie a coloro che hanno
figli piccoli da crescere, di stabilirsi nei luoghi che li hanno
accolti, rassegnati come sono al fatto che il ritorno tanto
sbandierato è solo una utopia.
E con le utopie, non si crescono i figli. E' gente stanca, che
vorrebbe tornare a vivere in pace. Come è stato per tanto tempo.

Vorremmo far partire una campagna per chiedere un risarcimento alla
comunità internazionale per queste famiglie. Cerchiamo giuristi di
diritto internazionale disposti a darci una mano. Un appello anche a
"il manifesto" e ad altri quotidiani che abbiano a cuore la sorte di
queste persone.
Un risarcimento... che non riuscirebbe certo a chiudere ferite così
gravi, ma che darebbe se non altro il modo a tante persone di provare
a rigiocarsi la vita. Magari con una idea di futuro meno buia.


Alessandro Di Meo (un ponte per... - www.unponteper.it)

PER CONTATTI: Un ponte per...
Associazione Non Governativa di Volontariato per la Solidarietà
Internazionale
Piazza Vittorio Emanuele II 132 - 00185 - ROMA
Tel 06-44702906 oppure 06-44360708 Fax 06-44703172
e-mail: posta@... - web: www.unponteper.it

C/C Postale n° 59927004
C/C Bancario n° 100790 c/o Banca Popolare Etica, ABI 5018, CAB 12100


---


Un ponte per...

L'uranio impoverito fa male ai nostri soldati...

E AI BAMBINI JUGOSLAVI?


Per l'ipocrisia dei mezzi di informazione la vita di un nostro soldato
vale cento, mille vite di uomini, donne, bambini altrui. Possono anche
morire, purché nel silenzio più assoluto, lontani dal nostro mondo,
dalle nostre case, dalle nostre tavole, per non risvegliare in noi
sensi di colpa inattesi e indesiderati. L'elezione di Kostunica e la
consegna di Milosevic all'Aja hanno fatto dimenticare il dramma di
questo popolo. L'embargo è stato tolto in teoria ma, nel quotidiano,
l'inflazione del dinaro è inarrestabile e i prezzi continuano a
salire. La questione del ritorno degli sfollati in Kosovo, come
previsto dagli accordi, ma pure quella del ritorno dei profughi di
Croazia, Krajne e Bosnia nelle loro terre, rimangono irrisolte mentre
grave è la crisi politica con il Montenegro che, evidentemente, non
considerava l'uscita di scena di Milosevic, un fatto prioritario.
Inoltre, il "disciolto" UCK ricostituitosi come UCPMB, pretende, con
continue azioni di guerra nel sud della federazione, sotto gli occhi
bendati della Kfor, l'annessione della valle di Presevo, di Bujanovac,
di Medvedja. La guerra "umanitaria", è servita a poco, dunque! A meno
che, la nuova presidenza jugoslava non si dimostri sempre più servile
e accondiscendente con chi, dopo aver sganciato migliaia di tonnellate
di bombe avvelenate, si autoelegge a giudice e benefattore, fingendo
di preoccuparsi delle sorti del popolo jugoslavo. Nostri amici da
Belgrado ci scrivono che.

"Sfollati e Profughi sono le parole più comuni da dieci anni, in
Jugoslavia. Hanno preso il posto di Pane e Latte."

Noi, che insieme a pochi altri, questo popolo l'abbiamo difeso in
tempi decisamente diversi, facendo arrivare solidarietà e aiuti
concreti già sotto le bombe, non ci facciamo incantare dalle sirene
del capitalismo mondiale che, specie nei paesi dell'est Europa
(Europa?.), ha saputo creare soltanto miseria, malavita, terre e
braccia, anche di bambini, da sfruttare.

Restiamo attenti, continuiamo a far sentire tutto il nostro sostegno
ad un popolo bollato come "nemico" e che, invece, ha la sola "colpa"
di non aver scelto il luogo dove nascere.


Sostieni i progetti di " Un Ponte per." in Jugoslavia
a sostegno degli sfollati, dei profughi, della gente in difficoltà


Una scommessa. da vincere!


Noi dell'associazione "Un Ponte per." siamo spesso a Kraljevo,
Jugoslavia (ora Serbia-Montenegro), sia per seguire i numerosi
progetti in solidarietà con le vittime della guerra del 99, sia per
consegnare le rate dei sostegni a distanza a famiglie profughe di
quella guerra, che ancora vivono nei centri di prima accoglienza. Fra
queste, le famiglie che mandano i propri bambini in vacanza a Roma,
ospiti di famiglie di dipendenti dell'università di Tor Vergata.

In una di queste occasioni, a luglio del 2002, arriva una mamma. Non è
profuga, è solo disperata. Suo figlio, Marko, affetto da Anemia
Aplastica, terribile malattia del midollo, sta sempre peggio e i
medici di Belgrado che lo hanno avuto in cura non hanno possibilità di
curarlo. Per via di soldi che non ci sono, per via dei medicinali
introvabili e costosi, per via di mille altre cose che un decennio di
guerre provocherebbe dovunque. Anche in Italia. Anche ai nostri figli.

"Un Ponte per." ha il senso delle proporzioni. "Un Ponte per." non fa
ospedalizzazioni perché è un'associazione piccola, ma di quelle per le
quali ci si onora di spendere tempo.

Però "Un Ponte per." incontra molti occhi di disperati nelle sue missioni.

Disperati particolari, perché le guerre li hanno resi tali. Perché
senza le guerre avrebbero ancora una speranza e un futuro in cui
credere. E una casa, un lavoro, una vacanza, un viaggio da fare.

Al ritorno, quella mamma non può essere dimenticata. E ci si muove,
anche su terreni sconosciuti.

Dopo un primo tentativo presso strutture dell'Università di Roma "Tor
Vergata", la Regione Lazio indica l'Oncologia Pediatrica del Gemelli.
Questa struttura, insieme a poche altre, rientra in un progetto della
Regione sulle ospedalizzazioni di stranieri provenienti da zone disagiate.

Ma dopo qualche mese di cure, anche il Gemelli si è arreso. A Giugno
dello scorso anno il trasferimento al San Camillo dove Marko, ora, fa
day hospital. Dopo una drammatica operazione per una emorragia
cerebrale in Dicembre, che oggi lo costringe ancora su una sedia a
rotelle, lo scorso 5 Febbraio ha finalmente ricevuto il trapianto di
midollo osseo da non consanguineo.

Anemia Aplastica. Marko non è profugo, ma a Kraljevo hanno bombardato
molto. La malattia può insorgere anche per le radiazioni subite. Non
esiste un collegamento diretto dimostrabile e difficilmente verrà mai
dimostrato. Ma questi casi prima rari, ora sono in aumento. Leucemie,
anemie e malattie del sangue in generale. L'uranio impoverito non fa
male solo ai nostri soldati, dunque...

Non sappiamo se riusciremo a salvarlo, Marko.

Lui è solo uno dei tanti, ma è vivo e vorrebbe continuare a vivere. Ad
andare a scuola, a fare passeggiate in bicicletta coi suoi amici, a
fare progetti di vita coi suoi genitori e col piccolo fratellino di 4
anni. Magari, anche a giocare a pallone, con la maglietta di
Stankovic, il suo idolo che ha conosciuto in occasione del suo compleanno.

Marko e sua madre Novka sono in Italia da quasi due anni, ormai. Molte
sono state le spese affrontate. Molti hanno donato sangue e piastrine,
sempre necessarie per le trasfusioni. Ma non basta. Non può bastare
perché ogni giorno è una scommessa. Aiutaci a vincerla.


Un Ponte per. sta portando avanti da tempo numerosi progetti in
Jugoslavia. Dalla fornitura di importanti macchinari alla Neonatologia
di Belgrado all'aggiornamento di medici pediatri in strutture
ospedaliere italiane, dai gemellaggi scolastici con piccole
ristrutturazioni di scuole all'ospitalità di bambini in Italia, dai
corsi di formazione professionale per profughi e non ai campi di
lavoro, dalla promozione dei lavori di ricamo delle donne profughe ai
viaggi di conoscenza, dalla collaborazione fra la Pediatria
dell'università di Tor Vergata a progetti di sistemazione reti
fognarie e idriche. Per aderire, puoi effettuare un versamento
specificando la causale (contatta la nostra sede). Le quote sono
fiscalmente detraibili.

P U N O M O C J E
P R O C U R A


Ja (ime i prezime):
_________________________________________
Io (nome e cognome)


Sa stanom u (mesto, ulica i broj):
_________________________________________
Residente in (localita', via e numero)


Adresa stanovanja na Kosovu (mesto, ulica i broj):
_________________________________________
Indirizzo di residenza in Kosovo (localita', via e numero)


Za osobe koje su proterane sa Kosova, ranija adresa (mesto, ulica i
broj):
_________________________________________
Per le persone profughe dal Kosovo: vecchio indirizzo (localita', via e
numero)


Adresa stanovanja u nekom drugom delu Jugoslavije (mesto, ulica i broj):
_________________________________________
Indirizzo di residenza in altra localita' della Jugoslavia


Ovlascujem gosopodina N.M.P. Steijnen, Advokata iz Holandije da preuzme
sve neophodne pravne mere protiv holandskih medija (sredstava
informisanja), koji su odgovorni za sirenje lazi i neistina o Kosovu,
Srbiji i Srbima.

Con la presente autorizzo il dottor N.M.P. Steijnen, avvocato olandese,
ad intraprendere per mio conto tutte le necessarie azioni legali contro
i mass media olandesi responsabili della divulgazione di menzogne sul
Kosovo, sulla Serbia e sui Serbi.


Potpis davaoca punomocja:
_______________________________________________
Firma del procurante


Mesto: ________________________________________________Luogo


Datum: ________________________________________
Data


Napomena / Nota:

Potpisnici punomocja ne snose nikakve troskove. Ucesce u postukpu je za
njih u celini besplatno. Ucesnici nece biti izlozeni nikakvim
finansijskim rizicima.
I sottoscrittori di questa procura non saranno tenuti ad alcun esborso.
La partecipazione al procedimento e' per loro gratuita. Con questa essi
non si espongono ad alcun rischio finanziario.

Svi koji budu ucestvovali u ovoj akciji protiv falsifikovanja istorije,
bice redovno obavestavani o radu komisije.
Tutti i partecipanti a questa azione contro la falsificazione della
storia, saranno regolarmente informati sul lavoro della commissione.


----------------
Indirizzare la procura, debitamente compilata, a:
----------------


Permanentna Komisija za ratne zlocine, pocinjene od strane Zapada
Commissione permanente sui crimini di guerra compiuti dall'Occidente
Drs. N.M.P. Nico Steijnen – Advokat; Couwenhoven 52-05; 3703; ER Zeist;
Holland;
Tel.: ++ 31(0)30- 695 68 67 (studio) ili ++ 31 (0)30- 691 59 46
(privato); E-mal: sagitar@...

[ Con una importante dichiarazione ufficiale, il Partito Comunista
Sloveno dichiara pubblicamente di non riconoscere il "nuovo ordine"
determinatosi sul territorio della Repubblica Federativa Socialista di
Jugoslavia in seguito alla distruzione di quest'ultima da parte
dell'imperialismo straniero e dei nemici interni. ]


http://komunist.free.fr/arhiva/jun2004/kps.html
Arhiva : : Jun 2004.


Komunistička partija Slovenije ne priznaje razbijanje SFRJ


KPS izjavljuje, da ne priznaje nasilno i protivustavno razbijanje SFRJ,
posebno nezakonito ukidanje organizacija Saveza komunista, bazira i
potvrđuje sve odluke AVNOJ-a te izjavljuje, kao prije i sada, da narodi
Jugoslavije nikada nisu priznali i ne priznaju komadanje Jugoslavije od
strane fašističkih imperialista, a sada ni razbijanje i komadanje SFRJ
od strane udruženih protivsocijalističkih snaga iz inostranstva i
prostora SFRJ. Takođe izjavljuje da će u duhu socijalističkog načela o
pravu naroda na opredeljenje predlagati ponovno ujedinjenje i
obnavljanje SFRJ, u obliku i tipu, za koji će se opredeliti većina
populacije u postupku demokratskog izjašnjavanja.

90-ih godina, udružene protivsocijalističke snage iz inostranstva i
unutar države, tako zvani vanjski i unutrašnji faktor, razbijali su
SFRJ rutinskom propagandom, mahinacijama i lažima i iznudili akutnost
odnosno prednost stvaranja državica sa kapitalističkim, sistemom protiv
samoupravnog socijalističkog sistema SFRJ i vješto izbegli alternativno
opredeljivanje građana za socijalizam ili kapitalistički sistem. U
procesu realizacije razbijanja upotrebili su sredstva i metode u
suprotnosti sa pravnim i etičkim normama te formalno pravno usvojenim i
verificiranim u internacionalnim odnosima i zapisanim u Povelji
Ujedinjenih naroda. Konkretno: zabrana mešanja u unutrašnje poslove
država i planiranje njihovog razbijanja. Organizovali su i upotrebili
pripadnike svrgnute buržoaske vlasti i njihove potomke, oružanih
formacija okupatora iz Drugog svetskog rata, karijeriste, koristoljupce
i kriminalce te različite izdajnike.

Propagandom, koja je nadmašivala izmišljotine fašističke propagande iz
Drugog svetskog rata, lansirali su lažne optužbe o slavenskoj
nacionalnoj neravnopravnosti i pozivali na nacionalističke verske
sukobe sa poznatim posledicarna međusobnog uništavanja.

Vladajuća divlja buržoazija je sa denacionalizacijom i divljom
privatizacijom društvene imovine oduzela radnim ljudima i radnicima,
naravno, stečena prava u socijalizmu, upravljanja i rada sa sredstvima
za proizvodnju, odlučivanja o dohotku, besplatnoj zdravstvenoj zaštiti,
besplatnom školovanju, socialnoj zaštiti i razvoju pojedinca, porodice
i drugih prava te prekinila tokove uspešnog zajedničkog života
stvaranjem državnih granica i prekinula privredne, kulturne, naučne i
druge saradnje razvoja i povezanosti. Pljačka, korupcija, kriminal,
razaranje morala i prezaduživanje kod stranih eksploatatora su bile
perfidna obmana naroda.

Međutim, zastojem nisu uništene ideje bratstva i jedinstva, pravde i
istine, AVNOJ-a, najšire demokratije, najšireg morala, sreće za
pojedince i kolektive, bez kojih neće biti napretka civilizacije.

Eksploatatori organizuju konflikte, krize, kaos, sukobe, ratove i sve
što oni donose.

Pozivamo sve građane radnog naroda odnosno narodnih masa, radničke
klase, seljaka, službenika umnog rada, da se uključe sa svojim snagama,
zajedno sa moralom, za sigurnost slavenskih naroda protiv svih nesreća,
opasnosti koje prete od strane eksploatatora.

30.05.2004

CENTRALNI KOMITET KP SLOVENIJE
PRIMORJE OBALA - SLOVENIJA

[ Quella che segue e' la traduzione del testo di Paolo Teobaldelli:
"Jugoslavia: l'isola che non c'e' "
Pensieri dalla Jugoslavia, 09/04/2004 - vedi:
http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/3410 ]


Jugoslavija: ostrvo koje ne postoji
 

Cudna je ta sudbina Jugoslavije. Rodjena po prvi put kao Kraljevina
Srbije i Crne Gore, jedna od najstarijih evropskih kraljevina, koja je
tezila da u okviru svog kraljevstva obuhvati sve juzne slovene, potom
srusena pod surovim bombardovanjem nacifasista 1941., da bi se ponovo
uzdigla u novom i velicanstvenom postojanju; pobednik Drugog svetskog
rata, rame uz rame sa Sovjetskim Savezom, zahvaljujuci zrtvovanju i
hrabrosti svog slovenskog naroda sa juga, vodjenim otporom partizana,
ohrabrenim svojim hrabrim i mudrim vodjom, Titom.
 
Do prosle godine Jugoslavija je zivela kao federacija, aktivna na
medjunarodnoj sceni; dala je zivot Trecem Bloku, Nesvrstanim zemljama,
jedna vrsta cvrste medjusobne povezanosti u znaku razmene svih
razlicitiosti i tolerancije, cudna tvorevina svog harizmaticnog vodje
Tita, cudna koliko i njegova Jugoslavija.
 
Pa ipak, Zapad krajem 80-tih godina prerano najavljuje njeno ponovno
nestajanje. Secam se gneva i razdrazljivosti koji bi se javljao svaki
put kada bih u nekom novinskom clanku procitao "bivsa Jugoslavija".
Secam se da sam se rugao prijateljima koji su verovali stampi, kad bi
se za vreme fudbalskog prvenstva pojavljivala ona cudna i zacudjujuca
utvara: Jugoslavija-Francuska. E da, jos uvek postoji ta tuzna
stvarnost. Pa ipak se u italijanskim novinama i vestima (pa cak i onim
levicarskim) nastavljalo do kraja 80-tih, pa i dalje, pravo i istinsko
ponistavanje postojanja Jugoslavije, dok je ona jos uvek postojala,
zvanicno priznata zakonskim pravom nacionalnog veca. Verujem da nijedan
narod pre Jugoslavije nije podnosio takve klevete, uvrede,
demonizovanje i obezakonjavanje koje joj je bilo predodredjeno jos od
kraja 80-tih pa sve do kraja 90-tih, i koje, kada se sve uzme u obzir,
nikada nije ni okoncano.
 
A zatim, pristupa se  zlocinackom bombardovanju naroda, gradjevina,
mostova, fabrika, vojnih utvrdjenja; da, stize se do rata, prljavog
rata, o kojem samo mali broj onih sa Zapada jasno poznaje detalje, kako
na vojnom, tako i na diplomatskom planu.
 
I u svemu ovome, jos je vise jedinstvena sudbina ovog naroda koji u
sebi ujedinjuje manjine i religije, mnogobrojne narode i verovanja,
koji se prepoznaje u bratstvu i jedinstvu, koji veruje u vlastitu
solidarnu zajednicu koja mu je uvek pruzala nenametljivo blagostanje i
mir: i eto, iz dana u dan ostaje ponisten jednim dekretom, satanizovan
i obelezen etiketom mas-medija kao "srbi".
Mocno je mas-medijsko bombardovanje i traje godinama, dok unutrasnji
uticaj i braiwashing propaganda teze da istaknu bilo koju, i najmanju
kulturnu razliku, ne bi li podelili i raskomadali federaciju; ali
opcinjenost kratko traje; na kraju se otkriva obmana, u kljucnom
trenutku, vojnom intervencijom NATO-a, upucenom protiv srca
Jugoslavije, Srbije; bombarduje se sve i svako, bolnice, mostovi pa cak
i oni isti albanci u bekstvu sa Kosova, upravo od strane NATO-a.
 
"Nismo zaboravili sta su radili", kaze mi jedan covek, prosti seljak,
madjarske nacionalnosti, aludirajuci na bombardovanje.
Njegova ruka, usmerena ka jednoj tacki, pokazuje na obliznji grad ge su
bombardovali rafineriju.
 
Da, Jugoslavija, po prvi put ponistena planom medjunarodnog zakona,
podnosi, zatim, fizicke intervencije, ne bi li se "stvari postavile na
svoje mesto"; bombardovanje se nastavlja; tolika je zelja da se unisti,
da se uklanja svaka vrsta odbrane koja se smatra nezgodnom, i na kraju,
nakon uplitanja i posredovanja svake vrste, strane vlasti, protivno
vecem delu populacije, proglasavaju njen zvanican kraj. Prestaje da
postoji Jugoslavija i radja se Srbija i Crna Gora.
 
Ipak, cudna je ta sudbina Jugoslavije, koja zvanicno vise i ne postoji,
a koja ipak i dalje silno zivi u stvarnosti, u tom svom jedinstvanom i
solidarnom postojanju, u svom otporu protiv raznih pokusaja nametanja
nekog drugog uzora, protiv uzasnog i mocnog neoliberalistickog i
neokolonijalistickog cudovista koje urla pred njenim vratima. Gorke li
iluzije da se jedan narod zacara bombardujuci ga propagandom, nakon sto
je vec bombardovan projektilima i bombama, cak i onim zagadjenim
uranijumom.
 
I tako, cudna je sudbina, rekoh, jer zaista Jugoslavija postoji, i
postoji u srcu svakog coveka koji u sebi nosi slobodu, jer takva je
bila Jugoslavija, srecno i slobodno ostrvo, gde je industrijalizacija
zivela u miru sa tradicijama, razlicitim veroispovestima i prirodom,
gde je svo bogatstvo bilo preraspodeljeno medju ljudima - primer, uzor
za ceo svet.
 
A secanje jos uvek zivi u onima koji su u njoj ziveli: slovenci,
hrvati, bosanci, pa cak i kosovari. Za sve njih Jugoslavija je sada
ostrvo koje ne postoji, jedan izgubljeni raj; ostrvo koje ne postoji za
sve one koji je zaista cine zivom, za taj jugoslovenski narod, koji cak
nije ni pitan referendumom da li zeli da promeni ime svoje nacije.
 
Dakle, ovo ostrvo koje ne postoji, zapravo je igraliste gde socijalni
splet jos uvek nije onaj kapitalisticki, gde su solidarnost i bratstvo
medju narodima izvrsni, gde je prisutna gorcina i svest da su sa Zapada
cesto, cak precesto, mesajuci se u tok njene istorije, dolazila prazna
obecanja, hitro preoblicena u projektile i bombe i koncentracione
logore.
 
A da ne govorimo o getima. Dovoljno je samo pomisliti na romsku
populaciju koja ovde zivi mirno, a koja je, naprotiv, bila izolovana i
masakrirana u civilizovanoj i kulturnoj Evropi (u Nemackoj i Rimu
gotovo su istrebljeni).
 
I zbog ovoga se ne treba cuditi rezultatima poslednjih izbora.
 
Nije otpadak Evrope, ovaj njen slobodni i drustveni deo koji naprotiv
ovde uziva visoko postovanje.
Ne, to je cist i nedvosmislen otpadak tlacenja.
 
Ovo ostrvo koje ne postoji, kao sto rekoh, koje je sada zaista "bivse",
uznemirujuce je zivo i uvek ce to i biti u srcu svakog slobodnog coveka
na Balkanu, pa i sire.
 
 
Paolo Teobaldelli
Misli iz Jugoslavije  09.04.2004
 
Prevod: Jelena Lagator

(english)

Chi nasconde cosa sull'11 Settembre ? (2)

1. An abstract from:
"Why aren't they asking the Balkans questions at the 9-11 hearings?"
by T.V. Weber

2. Counterpunch: A Review of
"The New Pearl Harbor: Disturbing Questions
about the Bush Administration and 9/11"


=== 1 ===

http://www.serbianna.com/columns/weber/012.shtml

Why aren't they asking the Balkans questions at the 9-11 hearings?

By T.V. Weber


Recently, retired Canadian General Lewis MacKenzie declared that "we
bombed the wrong side" in the 1999 Kosovo War. MacKenzie's disclosure
followed as a logical conclusion to another recent remark by the
current NATO Commander for Southern Europe, Admiral Gergory Johnson,
who accused the Albanian Muslims of committing "ethnic cleansing"
against the Serbs.

Columnist George Jonas, in his March 22, 2004 National Post (Canadian)
article, even managed to connect the dots from Osama bin Laden's
"financial and logistic" stronghold in Albania and Kosovo to the
U.S./NATO bombing and occupation on behalf of the KLA-a
narcoterrorist/Islamic-extremist organization sponsored by Osama bin
Laden's al-Qaeda.and, from there, to the heinous kamikaze raids against
the Twin Towers.

It has taken five years, but people are finally beginning to notice what
Alida and I have been writing about since March, 1999.

9-11 Hearing Committee

Unfortunately, none of the people who are ready to face facts about the
ongoing catastrophe in the Balkans are on the 9-11 hearing commission.

(...) Let's see what I would be asking Clinton if I were on 9-11 hearing
committee:

Q. Mr. Clinton, isn't true that you were given the opportunity to have
bin
Laden extradited to US custody, but you declined the offer?

After he does his usual song and dance about not being sure whether he
could hold bin Laden, I would ask:

Q. Isn't it true that your administration had already issued two
indictments
against bin Laden?

Q. Isn't it true that, until 1998, the Kosovo Liberation Army, or KLA,
was
on the U.S. State Department's list as a terrorist organization closely
affiliated with bin Laden's al-Qaeda organization?

Q. Isn't it true that you supported the KLA war effort in Kosovo, while
knowing full well that bin Laden was also supporting the KLA?

Q. Isn't it true that, during your entire adminstration, you made it a
point
to support only those persons and organizations who act as though there
is no difference between right and wrong?

Assuming that question survived the predictable objection of Mr.
Clinton's counsel, I would follow up by asking:

Q. Can you give us an example of anyone among your associates-other
than Monica Lewinski-who seemed to know right from wrong?

After drawing everyone's attention to the connection between his amoral
personal life and his equally amoral conduct of public affairs, I would
ask:

Q. So why did you take Osama bin Laden's side in Kosovo?

No doubt, at this point, Clinton would give his song and dance about
"ethnic cleansing." So, my next question would be:

Q. Exactly what do you mean by "ethnic cleansing," and how did you
know it was occurring?

This would leave the former president in a box. He could either back-
pedal by trying to define "ethnic cleansing" broadly enough to include
something benign, and thus implicate himself as starting a senseless
war.

Alternatively, he could try to explain that another Holocaust was
already
in progress, dramatizing it further with his tales of "mass graves."

Likely he would choose the latter, in which case I would ask:

Q. Where are these "mass graves"?

(...) Yet, no investigative committee is asking the right people any
serious
questions about why we supported radical Islam in Bosnia and Kosovo.
Certainly those who decided to commit the power and might of the U.S.
government and military-and its NATO allies-to act on behalf of radical
Islamic terrorism in the Balkans, are far more culpable than those in
the
new administration who may or may not have done all they could to
prevent the 9-11 kamikaze attacks.


=== 2 ===


May 25, 2004

September Song

A Review of "The New Pearl Harbor"

By MARC ESTRIN


The New Pearl Harbor: Disturbing Questions
about the Bush Administration and 9/11
David Ray Griffin
Olive Branch Press, 2004
Paper, 214 pp, $15.00


The official story goes something like this:

With no actionable warning from intelligence
agencies, four planes were hijacked by
terrorists on the morning of September 11, 2001.
Two crashed into the Word Trade Center, which
then collapsed, and shortly thereafter, the
third into the Pentagon. The last plane went
down in Pennsylvania after a struggle between
passengers and hijackers. Air defense arrived
too late to stop the catastrophes. Responding to
this attack on the homeland, the president
declared a global war on terror which may last
for generations until evil is finally
eradicated, the security of America firmly
established, and the world made safe for freedom
and democracy.

In The New Pearl Harbor, David Ray Griffin
compiles the evidence that every single
assertion in the official story is implausible
or impossible, and that something other must
explain the inconsistencies and contra-factual
assertions.

The implications of the accumulated evidence is
that the Bush administration was complicit in
the events of September 11th, and not merely a
victim of structural problems or incompetence onthe part of the
intelligence establishment. In a
nuanced discussion of "complicity", Griffin
distinguishes eight possible levels, from the
lying about events to maximize political ends,
through intentionally allowing expected attacks,
to actual involvement in the planning of them.

Griffin does not make specific accusations, nor
does he hypothesize a "true" version of what
happened. But he does demand unflinching
investigations of all the contradictions, clear
reporting of the results, and most difficult, a
courageous drawing of conclusions, no matter how
"unthinkable" or outrageous they may appear.

In the months since the book was published, we
have been swamped with news from the 9/11
Commission concerning both domestic and foreign
intelligence which indicated a large and
imminent attack on the United States. But the
Commission, its members appointed by President
Bush, is focussing on the future. According to
Vice-Chair Lee Hamilton, "We're not interested
in trying to assess blame..." Their goal is to
understand what happened so as to restructure
intelligence so that such "a breakdown" may not
happen again. Given this limited mandate, almost
none of the contradictions Griffin raises is
likely to be discussed, or its ramifications
analyzed before the case is closed.

The first part of The New Pearl Harbor looks in
detail at the timeline and events of 9/11
itself. How is it, Griffin asks, that even the
first airplane was not intercepted -- given
standard procedures, operating normally many
times a year, for off-course or otherwise
anomalous aircraft? The FAA, NORAD, and the NMCC
(National Military Command Center at the
Pentagon) have a clear and working set of
standard operating procedures which on September
11th, and on that day only, failed to operate.
Griffin lays them out, along with the strange,
and changing official excuses for their "failure".

The story becomes even more bizarre for the
second plane to hit the WTC. By that time, it
was known that three planes had been hijacked,
and were heading back eastward (the fourth plane
was 41 minutes late in taking off, so at this
point was not part of the story). Still there
was no normal scrambling of protective aircraft.
By the time of the Pentagon incident, the
details become grotesque. It was clear to
the entire nation, fixed to the TV, that America
was under a coordinated attack, and that a third
plane was headed towards Washington. Yet though
Cheney and Rice were evacuated to the White
House bunker, still, no protection aircraft
scrambled, and when it finally did, was sent
from a base far from DC, travelling at
half-maximum speed or less, arriving too late to
prevent the attack.

With official statements compared to a detailed
timeline of events, the most likely conclusion
is that on that day, the air defense system was
ordered to stand down from its normal protective
procedures -- even after it was clear to all
what was happening. Who could have ordered such
a stand down?

Much of the material Griffin cites has been long
circulated on the internet. What is less
commonly understood are the strange details of
the WTC collapse, implausibly explained as
"jet-fuel fire melting structural steel." The
pattern of destruction and fall is more
consistent with the air attacks plus controlled
demolitions. Griffin parses the material, with
many notes from firefighting and architectural
sources. Times, temperatures, visual and seismic
evidence simply do not support the melting of
steel as the sole cause of the observed
failures. Further, what but explosions can
account for reports of same from survivors, and
for powdered concrete and building parts being
ejected horizontally three times the width of
the buildings? Steel in both towers was broken
at the joints, and molten steel found at
sub-basement levels -- inconsistent with melting
from top floor fires whose debris crushed the
floors below. The WTC wreckage was spirited away
as quickly as possible and no forensics permitted.

Even more curious was the collapse of WTC
Building 7 -- 355 feet away from the north
tower, and further still from the south -- which
was never hit by a plane or any significant
amount of debris ,and sustained only small
fires. It went down at 5:20PM, collapsing from
the bottom (as in a typical controlled
demolition), with none of the "official"
explanations in play. The steel was removed
quickly from this site as well, although having
been evacuated, there were no survivors to be
searched for. Relegated to a footnote is the
fact that Marvin P. Bush, the president's
younger brother, was a director for a security
company involved in three of the four attacks.
Securacom covered the WTC, United Airlines, --
whose flights hit the WTC and crashed in
Pennsylvania -- and Dulles Airport -- from which
the Pentagon flight took off. What are we to
make of testimony from WTC personnel that five
days before 9/11, heightened security requiring
12-hour days and bomb-sniffing dogs was abruptly
called off? What committee will chase that down?

Griffin turns next to the strange story of the
flight that struck the Pentagon. The physical
evidence is simply inconsistent with the claim
that the building was struck by a Boeing 757
travelling at 300+ mph. The hole in the facade
is far too small to accommodate the wings and
tail -- which were supposed to have disappeared
within the hole. The penetration is far too
shallow for the mass and momentum involved. Yet
there is no scorching of the grass on the lawn
outside. There is not the slightest sign of a
burnt-out wreck in any photograph, nor were
there any fuselage fragments recovered within
the building. In the initial story, other then a
beacon and the two black boxes -- these
"discovered" at four the next morning -- every
part of the plane, including the stainless steel
engines, were melted, and vaporized.
Nevertheless, in one version of the original
tale, authorities were able to identify victims
from their fingerprints. But six months later
the story had changed and enough of the plane
had been recovered to make possible "an almost
complete reconstitution." The parts are
supposedly stocked in a warehouse.

According to experienced pilots, the complex
final maneuver of the huge aircraft could not
have been accomplished by an amateur. The choice
of a difficult low flying attack on a side wall,
rather than crashing more easily into the roof
-- for maximum damage -- was most curious. The
plane's being "lost" from all radar contact for
29 minutes, while flying toward Washington is
most improbable, given the network of radar and
other resources covering the area. These
contradictions, along with the failure to
scramble in the most protected area of the
world, make the official story of the Pentagon
attack profoundly suspicious. And though Cheney
and Rice were safely stowed in the White House
bunker, and a plane was known to be heading in
its direction, the Pentagon was never evacuated.

The last of the airplanes to go down was UA
Flight 93, scene of the now famous passenger
revolt: "Let's roll!" Here, the question is no
longer "Why were the planes not shot down?" but
rather "Why might it be the case that this one
was?" CBS reported two F16s tailing the flight.
Phone calls made from the plane during its last
minutes reported possible success in overcoming
the hijackers. One call reported, "I think
they're going to do it. They're forcing their
way into the cockpit...They're doing it! They're
doing it! They're doing it!" Next, screaming in
the background, followed by a "whooshing sound,
a sound like wind." Then contact lost. The
scenario is consistent with a plane being shot
down. A half-ton piece of engine was found over
a mile from the fuselage -- a likely target for
a heat-seeking missile. Burning debris and human
body parts were reported eight miles away, and
confetti-like debris rained down minutes
afterwards. One theory that would explain these
departures from the official story is that
Flight 93, unexpectedly late for departure, and
unexpectedly rescued by its passengers, was
destroyed by a competent military, in this case
ordered to complete a bungled task. The risk of
people left alive to be questioned may have been
too great.

Griffin goes on to examine material that has
been more generally covered -- at least in the
left press and on many websites: the President's
odd behavior on 9/11 given the timeline, and the
evolving stories from the White House Press
Office. He looks at the larger context of the
event: the probable knowledge of possible
attacks; the obstruction of investigations
before and afterwards; the "anti-hunt" for bin
Laden and al-Queda; the connections between Bush
and the Saudi royal family; the flying of bin
Ladens out of the country when no other aircraft
was allowed to fly. We are familiar with much of
this, though the details and citations are
helpful. By now we are familiar, too, with the
neo-con plans, pre-9/11, for projecting US power
across the middle east and throughout central
Asia. Asking the normal forensic question "Who
benefits?", we can see that the Project For A
New American Century" (2000) was well served by
the "new Pearl Harbor" it called for.

After all the suspicious incongruities
collected, we are left with two huge problems.
Griffin leads us through them in a chapter
entitled "Is Complicity by US Officials the Best
Explanation for 9/11?":

1.Beyond showing that official explanations are
implausible or impossible, how shall we
construct a meaningful, alternative narrative
which will contain and explain the known facts?
For example, if it was not a Boeing 757 which
crashed into the Pentagon, but a smaller
military missile, where did the 757 go, and what
happened to its passengers?

2. Most difficult of all, perhaps, is the
question of how the administration -- if indeed
it was complicit in 9/11 at some or several
levels -- could be so incompetent at scripting a
plausible story. Why not punish a few scapegoats
in the intelligence community, instead of
promoting those responsible for "lapses"? Why
the needless, obvious lies, and continuingly
changing statements? Why such massiveness to the
conspiracy, requiring silence from many
individuals in the White House, Justice
Department, FBI, CIA, NSA, and the Pentagon, as
well as in civilian security operations? Why
risk demolition of buildings beyond the flight
attacks? Why bring down WTC 7? Why order
interceptor planes to stand down, and deny SOP
readiness? Why have the president play unconcern
for half an hour? So as not to upset
second-graders? Why claim that human flesh could
withstand temperatures which would vaporize
stainless steel? There are better minds than
Bush's who have been concocting covert
operations for many years. Where were they? Or
was it just this confounding of critics that was
intended?

My one quibble with Griffin's most valuable
compendium of unanswered questions is that the
author nowhere examines and brings his judgement
to bear on the many stories concerning Israeli
and Mossad participation in the 9/11 events. But
the book is a work-in-progress, necessarily incomplete.

Griffin can't put the pieces together. In this,
he is honest, and calls on us to be the same.
All he can do is call for more authentic
investigations -- not the cover-ups currently
underway -- to confront these crucial issues.
And this, too, we must do.

Marc Estrin can be reached at:
mestrin1@earthlink .net

Weekend Edition Features for May 22 / 23, 2004

PSICHIATRIZZARE BOBBY FISHER


Pino Catapano ha raccolto sulla rete un po' di informazioni su Bobby
Fischer: "Uno che, al di là di qualche sua uscita più o meno
condivisibile, merita il massimo rispetto e solidarietà da chi si
dichiara anche soltanto progressista." Si metta a confronto questa Nota
biografica con l'articoletto del "Manifesto" (allegato), che riprende a
pappagallo le veline statunitensi...

 
Nota biografica su Bobby Fisher

Bobby Fischer nasce a Chicago nel 1943. Sua madre è un'ebrea sovietica
emigrata negli USA. Bobby a 6 anni impara a giocare a scacchi e a 15,
nel 1958, diventa il più giovane Gran Maestro nella storia degli
scacchi. Egli allora manifesta l'intenzione di andare in Unione
Sovietica per approfondire ancor di più la sua passione e insieme alla
madre vanno a Mosca per qualche tempo. Siamo nell'epoca del maccartismo
più sfrenato e Bobby entra ufficialmente tra i controllati dall'FBI,
mentre il file sulla madre risale agli anni '40. Addirittura sospettati
di essere spie del Kgb, la cosa non viene mai provata, ma le attenzioni
dell'FBI su Bobby, estremamente critico sulla politica USA, rimangono.

Come molti dei grandi geni, anche Bobby va male a scuola e l'abbandona.
Nel 1972 comunque diventa famoso in tutto il mondo per essere diventato
l'11° campione del mondo di scacchi, il primo non sovietico della
storia. Prima del "match del secolo" con il russo Spassky persino
Kissinger chiama Bobby al telefono.

Ribelle ed eccentrico per natura, tale da sembrare un pazzo squilibrato
ai superficiali, sprezzante verso la politica e la ragion di stato USA,
il suo trionfo non può essere usato dal governo come ci si
aspetterebbe. Nonostante le ripetute minacce, l'amministrazione USA, ad
esempio, non riuscì mai ad impedire che Bobby si recasse a L'Avana per
qualche partitella con Fidel Castro.

Nel 1975 Fischer, per screzi con la Federazione internazionale degli
scacchi sulle regole per l'attribuzione del titolo, viene privato del
titolo mondiale, dopo il rifiuto di Bobby di giocare con Anatoly
Karpov. Qui si spengono i riflettori sul genio americano, che abbandona
il gioco degli scacchi. Nel 1981 Bobby viene scambiato per un
rapinatore di banca e arrestato dalla polizia, a seguito di questo
episodio scrive il pamphlet "I Was Tortured in the Pasadena
Jailhouse!". Nel 1984 Bobby scrive alla "Encyclopaedia Judaica",
intimandoli di cancellare il suo nome dalle loro pubblicazioni per il
fatto che lui non era ebreo, non essendo nemmeno circonciso.

Nel 1992 il "fattaccio". Su invito della federazione Russa e di
Slobodan Milosevic, Bobby Fischer viene chiamato per giocare la
rivincita con Spassky in Jugoslavia, premio in palio 3,5 milioni di
dollari. Bobby allora riceve dalla giustizia americana una lettera di
diffida con un ordine esecutivo firmato George Bush senior, a recarsi
in Jugoslavia, paese sottoposto ad embargo ed al divieto di viaggio ai
cittadini americani. Bobby in una pubblica conferenza stampa sputa
sulla lettera e va in Jugoslavia, vincendo per la seconda volta contro
Spassky. La giustizia USA allora lo condanna in contumacia a 10 anni di
reclusione ed emette contro di lui un mandato di cattura internazionale.

In questi anni di "latitanza" in cui gli è precluso il ritorno negli
USA, Bobby si stabilisce prima in Ungheria e poi in vari paesi
dell'Asia, soprattutto nelle Filippine. Ha il tempo di inventare (con
tanto di brevetto) un nuovo tipo di segnatempo digitale per le partite.
Inoltre, nel '96 egli annuncia da Buenos Aires, una variante del gioco
nota come Fischer Random Chess, che consiste nella possibilità del
giocatore di scegliere la disposizione iniziale dei pezzi, evitando
così di impararsi le aperture a memoria e rendere il gioco più
imprevedibile.

Degna di nota la sua amicizia con il Gran Maestro Eugenio Torre, il più
gran giocatore di scacchi filippino di tutti i tempi, persona che gli
sta vicino e lo aiuta. Tra il '98 e il '99 tutto il patrimonio di Bobby
negli USA viene confiscato e venduto all'asta. Egli si ritiene vittima
di una congiura ordita dall'"ebreo" Bob Ellsworth. Il suo odio per gli
USA e per gli ebrei aumenta.

L'11 settembre del 2001 Bobby si trova nelle Filippine e in una delle
sue tante interviste a "Radio Bombo", quando le notizie sugli attentati
sono ancora frammentarie, dice: "This is all wonderful news,". "I
applaud the act. The U.S. and Israel have been slaughtering the
Palestinians, just slaughtering them for years. Robbing them and
slaughtering them. Nobody gave a shit. Now it's coming back to the U.S.
Fuck the U.S. I want to see the U.S. wiped out.".

Questa cosa ed altri commenti antisionisti più che antisemiti sono le
cause della decisione della Federazione scacchistica USA di radiarlo
nel 2003.

Siamo giunti al 13 luglio 2004, Bobby in possesso di regolare
passaporto USA rilasciato dall'ambasciata di Berna, viene violentemente
arrestato e malmenato dalle autorità nipponiche all'aeroporto di Tokio,
mentre si accingeva a tornare a Manila, in uno dei suoi frequenti
spostamenti tra le due capitali. Sembrerebbe che il passaporto sia
stato revocato dalle autorità USA nel 2003, ma la vicenda ha risvolti
poco chiari, al momento: la pagina internet dedicata a Bobby parla di
aggressione e violente percosse da parte degli agenti giapponesi. Fatti
che paiono francamente eccessivi per un semplice problema di permessi.
La sensazione è che qualche lunga mano si sia mossa dagli Stati Uniti,
visto che non era certo la prima volta che Bobby andava a Tokio.

E' intenzione dei giapponesi estradare Bobby negli USA, dove rischia 10
anni di reclusione, magari in un ospedale psichiatrico, dato che la
stampa USA non ha lesinato certo risorse per dipingerlo come un pazzo.
Le ultime notizie dicono che Bobby sta chiedendo asilo politico verso
un paese terzo disposto a concederglielo.

(a cura di Pino Catapano)


http://www.ilmanifesto.it/Quotidiano-archivio/21-Luglio-2004/art65.html

il manifesto - 21 Luglio 2004

L'ultima mossa di Bobby Fischer

Il campione in attesa di estradizione da Tokyo agli Usa chiede asilo a
qualche «paese amico»
IGOR FIATTI

Altra mossa a sorpresa dell'ex campione di scacchi americano Bobby
Fischer. Arrestato la settimana scorsa dalle autorità giapponesi
all'aeroporto Narita di Tokio per il possesso di un passaporto non
valido, e ricercato dagli Usa per aver violato nel 1992 le sanzioni
internazionali contro la Jugoslavia accettando di disputare nel paese
sotto embargo la rivincita del suo storico match del 1972 contro il
sovietico Boris Spassky, Fischer ha chiesto asilo politico in un paese
terzo per evitare l'estradizione negli Usa. «Bobby Fischer non vuole
rimanere in Giappone, dominato dall'America, corrotto, brutale e
ostile», ha detto la presidente della federazione giapponese di
scacchi, Myoko Watai, amica dello scacchista che vinse la «battaglia
del secolo», come fu allora battezzata la partita metafora della guerra
fredda tra Mosca e Washington. «Né tanto meno tornare negli Stati
Uniti, dove lo aspetta una corte speciale, dieci anni di prigione e
forse anche una morte prematura», ha aggiunto la Watai.

32 anni fa, la partita che metteva in palio il titolo di campione
mondiale di scacchi tra il genio eccentrico americano, Bobby Fischer, e
il detentore, il sovietico Boris Spassky catturò l'attenzione del
pianeta. La sfida fu giocata nella capitale islandese Reykyavik, a metà
strada tra le due superpotenze. Il match del secolo rimase in forse
fino all'ultimo: l'incontro si svolse solo dopo che furono accettate
tutte le pretese dello sfidante; Fischer chiese e ottenne una borsa di
138 mila dollari e si arrivò alla scelta dell'Islanda solo dopo che
l'americano fece fallire i grandi sforzi e sacrifici affrontati dalla
federazione scacchistica jugoslava, che aveva preparato una
organizzazione grandiosa.

Appena arrivato offese gli islandesi, definendo l'Islanda inadeguata
per l'evento perché non aveva un bowling. Poi si lamentò di tutto:
delle telecamere, delle luci, del tavolo, delle sedie. Fischer,
definito dalla stampa squilibrato e paranoico, accettò di giocare solo
dopo che un miliardario inglese raddoppiò il premio partita, portandolo
a 250 mila dollari. Dopo la vittoria, il ragazzo di Brooklyn avrebbe
dovuto sfidare il sovietico Anatolij Karpov nel 1975, ma impose per il
match regole così bizzarre che l'associazione scacchistica
internazionale lo privò del titolo, assegnandolo d'ufficio al
sovietico. Poi Fischer scomparve sino alla rivincita della «battaglia
del secolo» organizzata in Jugoslavia nel 1992.

Prima di giocare nella città montenegrina di Sveti Stefan, Fischer
ricevette una lettera del dipartimento del tesoro Usa che gli intimava
di rinunciare al match. Il campione sputò sulla lettera durante una
memorabile conferenza stampa. Giocò e vinse di nuovo, diventando un
ricercato. Poi il fece perdere le sue tracce in Asia, tra Giappone e
Filippine. Negli ultimi anni spediva fax dalla sede della federazione
di scacchi giapponese e interveniva sulle frequenze di una radio
filippina, Radio Bombo, con discorsi antisemiti e antiamericani. Le
autorità giapponesi lo hanno arrestato all'aeroporto di Tokio mentre
stava partendo per le Filippine, che intanto gli avevano revocato il
passaporto.

Adesso, il campione aspetta l'eventuale estradizione negli Usa in una
cella giapponese; ma per ribaltare la partita ha ancora una mossa a
disposizione, l'accoglimento della domanda di asilo da parte di qualche
«paese amico».

[ Un esempio del lavoro della (associata della Halliburton di Dick
Cheney)
Kellogg Brown & Root nei Balcani e' Camp Bondsteel... Bondsteel e' la
piu' vasta e costosa base militare edificata dai tempi del Vietnam.
Essa si trova
sul percorso dell'oleodotto trans-balcanico AMBO (Albanian-Macedonian-
Bulgarian Oil), che unisce la regione del Caspio, ricca di petrolio, al
resto del
mondo... ]

"One example of the work KBR did in the Balkans was Camp Bondsteel...
Bondsteel is the largest and most expensive army base since Vietnam. It
also happens to be built in the path of the
Albanian-Macedonian-Bulgarian
Oil (Ambo) Trans-Balkan pipeline, the pipeline connecting the oil-rich
Caspian
Sea region to the rest of the world..."


Profits of war

Halliburton has become a byword for the cosy links between the White
House
and Texan big business. But how did the company run in the 90s by Dick
Cheney secure a deal that guaranteed it millions in profit every time
the
US military saw action? In this exclusive extract from his new book, Dan
Briody reveals how the firm made a killing on the battleground

Thursday July 22, 2004
The Guardian


On January 12 1991, Congress authorised President George HW Bush to
engage
Iraq in war. Just five days later, Operation Desert Storm commenced in
Kuwait. As with the more recent war in the Gulf, it did not take long
for
the US to claim victory - it was all over by the end of February - but
the
clean-up would last longer, and was far more expensive than the military
action itself. In a senseless act of desperation and defeat, Iraqi
troops
set fire to more than 700 Kuwaiti oil wells, resulting in a constant fog
of thick, black smoke that turned day into night.

It was thought the mess would take no less than five years to clean up,
as
lakes of oil surrounding each well blazed out of control, making it
nearly
impossible to approach the burning wells, let alone extinguish them. But
with the fighting over, Halliburton angled its way into the clean-up and
rebuilding effort that was expected to cost around $200bn (£163bn) over
the next 10 years.

The company sent 60 men to help with the firefighting effort. Meanwhile,
its engineering and construction subsidiary Kellogg Brown & Root (KBR)
won
an additional $3m contract to assess the damage that the invasion had
done
to Kuwait's infrastructure - a contract whose value had multiplied seven
times by the end of KBR's involvement. More significantly still, KBR
won a
contract to extract troops from Saudi Arabia after their services were
no
longer needed in the Gulf. Halliburton was back in the army logistics
business in earnest for the first time since Vietnam. The end of the
Gulf
war saw nothing less than the rebirth of the military outsourcing
business.

Military outsourcing was not new. Private firms had been aiding in war
efforts since long before KBR won its first naval shipbuilding contract.
But the nature of military outsourcing has changed dramatically in the
last decade. The trend towards a "downsized" military began because of
the
"peace dividend" at the end of the cold war, and continued throughout
the
1990s. This combination of a reduced military but continued conflict
gave
rise to an unprecedented new industry of private military firms. These
firms would assist the military in everything from weapons procurement
and
maintenance to training of troops and logistics.

In the decade after the first Gulf war, the number of private
contractors
used in and around the battlefield increased tenfold. It has been
estimated that there is now one private contractor for every 10 soldiers
in Iraq. Companies such as Halliburton, which became the fifth largest
defence contractor in the nation during the 1990s, have played a
critical
role in this trend.

The story behind America's "super contract" begins in 1992, when the
department of defence, then headed by Dick Cheney, was impressed with
the
work Halliburton did during its time in Kuwait. Sensing the need to
bolster its forces in the event of further conflicts of a similar
nature,
the Pentagon asked private contractors to bid on a $3.9m contract to
write
a report on how a private firm could provide logistical support to the
army in the case of further military action.

The report was to examine 13 different "hot spots" around the world, and
detail how services as varied as building bases to feeding the troops
could be accomplished. The contractor that would potentially provide the
services detailed in the report would be required to support the
deployment of 20,000 troops over 180 days. It was a massive contingency
plan, the first of its kind for the American military.

Thirty-seven companies tendered for the contract; KBR won it. The
company
was paid another $5m later that year to extend the plan to other
locations
and add detail.

The KBR report, which remains classified to this day, convinced Cheney
that it was indeed possible to create one umbrella contract and award it
to a single firm. The contract became known as the Logistics Civil
Augmentation Programme (Logcap) and has been called "the mother of all
service contracts". It has been used in every American deployment since
its award in 1992 - at a cost of several billion dollars (and counting).
The lucky recipient of the first, five-year Logcap contract was the very
same company hired to draw up the plan in the first place: KBR.

The Logcap contract pulled KBR out of its late 1980s doldrums and
boosted
the bottom line of Halliburton throughout the 1990s. It is,
effectively, a
blank cheque from the government. The contractor makes its money from a
built-in profit percentage, anywhere from 1% to 9%, depending on various
incentive clauses. When your profit is a percentage of the cost, the
more
you spend, the more you make.

Before the ink was dry on the first Logcap contract, the US army was
deployed to Somalia in December 1992 as part of Operation Restore Hope.
KBR employees were there before the army even arrived, and they were the
last to leave. The firm made $109.7m in Somalia. In August 1994, they
earned $6.3m from Operation Support Hope in Rwanda. In September of that
same year, Operation Uphold Democracy in Haiti netted the company $150m.
And in October 1994, Operation Vigilant Warrior made them another $5m.

In the spirit of "refuse no job", the company was building the base
camps,
supplying the troops with food and water, fuel and munitions, cleaning
latrines, even washing their clothes. They attended the staff meetings
and
were kept up to speed on all the activities related to a given mission.
They were becoming another unit in the US army.

The army's growing dependency on the company hit home when, in 1997, KBR
lost the Logcap contract in a competitive rebid to rival Dyncorp. The
army
found it impossible to remove Brown & Root from their work in the
Balkans
- by far the most lucrative part of the contract - and so carved out the
work in that theatre to keep it with KBR. In 2001, the company won the
Logcap contract again, this time for twice the normal term length: 10
years.

To the uninitiated, the appointment of Cheney to the chairman,
president,
and chief executive officer positions at Halliburton in August 1995,
made
little sense. Cheney had almost no business experience, having been a
career politician and bureaucrat. Financial analysts downgraded the
stock
and the business press openly questioned the decision.

Cheney has been described by those who know him as everything from
low-key
to downright bland, but the confidence he inspired and the loyalty he
professed made him an indispensable part of Donald Rumsfeld's rise to
power. In the 1970s, Rumsfeld became Gerald Ford's White House chief of
staff, with Cheney as his deputy. In those days, Cheney was assigned a
codename by the secret service that perfectly summed up his disposition:
"Backseat".

But Halliburton understood Cheney's value. With him as CEO, the company
gained considerable leverage in Washington. Until Cheney's appointment
in
the autumn of 1995, Halliburton's business results had been decent.
After
a loss of $91m in 1993, the company had returned to profitability in
1994
with an operating profit of $236m. With the new revenue coming in from
Logcap, Halliburton and its prize subsidiary, KBR, were back on track.
Though Logcap was producing only modest revenues, it was successful in
reintegrating KBR into the military machine.

The big opportunity came in December 1995, just two months after Cheney
assumed the post of CEO, when the US sent thousands of troops to the
Balkans as a peace-keeping force. As part of Operation Joint Endeavour,
KBR was dispatched to Bosnia and Kosovo to support the army in its
operations in the region. The task was massive in scope and size.

One example of the work KBR did in the Balkans was Camp Bondsteel. The
camp was so large that the US general accounting office (GAO) likened it
to "a small town". The company built roads, power generation, water and
sewage systems, housing, a helicopter airfield, a perimeter fence, guard
towers, and a detention centre. Bondsteel is the largest and most
expensive army base since Vietnam. It also happens to be built in the
path
of the Albanian-Macedonian-Bulgarian Oil (Ambo) Trans-Balkan pipeline,
the
pipeline connecting the oil-rich Caspian Sea region to the rest of the
world. The initial feasibility project for Ambo was done by KBR.

KBR's cash flow from Logcap ballooned under Cheney's tenure, jumping
from
$144m in 1994 to more than $423m in 1996, and the Balkans was the
driving
force. By 1999, the army was spending just under $1bn a year on KBR's
work
in the Balkans. The GAO issued a report in September 2000 charging
serious
cost-control problems in Bosnia, but KBR retains the contract to this
day.

Meanwhile, Cheney was busy developing Halliburton's business in other
parts of the world. "It is a false dichotomy that we have to choose
between our commercial and other interests," he told the [public policy
research foundation] Cato Institute in 1998, speaking out against
economic
sanctions levied by the Clinton administration against countries
suspected
of terrorist activity. "Our government has become sanctions-happy," he
continued.

In particular, Cheney objected to sanctions against Libya and Iran, two
countries with which Halliburton was already doing business regardless.
Even more disconcerting, though, was the work the company did in Iraq.
Between his stints as secretary of defence and vice-president, Cheney
was
in charge of Halliburton when it was circumventing strict UN sanctions,
helping to rebuild Iraq and enriching Saddam Hussein.

In September 1998, Halliburton closed a $7.7bn stock merger with Dresser
Industries (the company that gave George HW Bush his first job). The
merger made Halliburton the largest oilfield services firm in the world.
It also brought with it two foreign subsidiaries that were doing
business
with Iraq via the controversial Oil for Food programme. The two
subsidiaries, Dresser Rand and Ingersoll Dresser Pump Co, signed
$73m-worth of contracts for oil production equipment.

Cheney told the press during his 2000 run for vice-president that he
had a
"firm policy" against doing business with Iraq. He admitted to doing
business with Iran and Libya, but "Iraq's different," he said. Cheney
told
ABC TV: "We've not done any business in Iraq since UN sanctions were
imposed on Iraq in 1990, and I had a standing policy that I wouldn't do
that."

Three weeks later, Cheney was forced to admit the business ties, but
claimed ignorance. He told reporters that he was not aware of Dresser's
business in Iraq, and that besides, Halliburton had divested itself of
both companies by 2000. In the meantime, the companies had done another
$30m-worth of business in Iraq before being sold off.

The Dresser merger was, it appeared, the crowning achievement of the
Cheney years at Halliburton. But Cheney left Halliburton several other
legacies. David Gribbin, Cheney's former chief of staff, became
Halliburton's chief lobbyist in Washington. Admiral Joe Lopez, a former
commander of the sixth fleet, was hired to be KBR's governmental
operations expert. Together, Cheney's team made Halliburton one of the
top
government contractors in the country. KBR had nearly doubled its
government contracts, from $1.2bn in the five years prior to his
arrival,
to $2.3bn during his five years as CEO. Halliburton soared from 73rd to
18th on the Pentagon's list of top contractors.

After 9/11, KBR went to work on the war on terrorism, building the 1,000
detention cells at Guantanamo Bay, Cuba, for terrorist suspects, at a
cost
of $52m. The work had to feel familiar to KBR: it had done the exact
same
job 35 years earlier in Vietnam. When troops were deployed to
Afghanistan,
so was KBR. It built US bases in Bagram and Kandahar for $157m. As it
had
done in the past, KBR had men on the ground before the first troops even
arrived in most locations. They readied the camps, fed the troops, and
hauled away the waste. And they did it like the military would have done
it: fast, efficient, and effective. It was good work, solid revenues,
but
nothing like the windfall the company had experienced in the Balkans.

In addition, Halliburton won the contract for restoring the Iraqi oil
infrastructure - a contract that was not competitively bid. It was given
to Halliburton out of convenience, because it had developed the plan for
fighting oil fires (all, by this time, extinguished). Despite the new
business, the fortunes of Halliburton and its subsidiary have not
prospered. The stock that Cheney cashed in near its peak, when he
renewed
his political career in 2000, has since plummeted. The main culprit was
the 1998 merger with Dresser, which saddled the company with asbestos
liabilities that ultimately led to two Halliburton subsidiaries - one of
them KBR - having to file for bankruptcy.

When Cheney left to become Bush's running mate, he took a golden
parachute
package - in addition to the stock options he was obliged to sell for
$30m. In September 2003, Cheney insisted: "Since I've left Halliburton
to
become George Bush's vice-president, I've severed all my ties with the
company, gotten rid of all my financial interests. I have no financial
interest in Halliburton of any kind and haven't now for over three
years."

The Congressional Research Service (CRS), a non-partisan agency that
investigates political issues at the request of elected officials, says
otherwise. Cheney has been receiving a deferred salary from Halliburton
in
the years since he left the company. In 2001, he received $205,298. In
2002, he drew $162,392. He is scheduled to receive similar payments
through 2005, and has an insurance policy in place to protect the
payments
in the event that Halliburton should fold. In addition, Cheney still
holds
433,333 unexercised stock options in Halliburton. He has agreed to
donate
any profits to charity.


"The Halliburton Agenda" by Dan Briody is published by John Wiley and
Sons Ltd at £16.99. To order a copy for £14.99 plus p&p, call Guardian
Book Service on 0870 836 0875.