Informazione

AH BEH ALLORA...


"Sarebbe tragico per il mondo credere che il petrolio finira' nei
prossimi 10 anni. Esso potrebbe finire piuttosto tra i prossimi 50 ed
80 anni; ed e' cosa ben diversa."

Ali al-Naimi,
Ministro del petrolio e delle risorse minerarie
dell'Arabia Saudita

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"It would be tragic for the world to believe that we're going to be
running out of oil in the next 10 years. We may be running out of oil
from in the next 50 years to in the next 80 years; that's something
else."

Saudi Minister of Petroleum
and Mineral Resources
Ali al-Naimi

(citato sulla lista : http://groups.yahoo.com/group/petrolio/ )

K O S S # # #


"...il comandante del contingente italiano in Kosovo, Brigadiere
Generale Alberto Primicerj, (...) oggi ha ricevuto, al villaggio
Italia di Pec, il presidente emerito della repubblica Francesco
Cossiga..."

"...un breefing [SIC] cui, oltre a Cossiga, ha preso parte anche
Vittorio Sgarbi..."

"...gli albanesi accusano l'amministrazione delle Nazioni Unite di
non aver voluto finora avviare completamente la privatizzazione delle
aziende di Stato jugoslave..."

"...Ogni giorno - dice Primicerj - proteggiamo [SIC] una decina di
chiese e monasteri serbi e altrettante enclave di minoranze. Siamo
impegnati anche in servizi di scorta a convogli di cittadini serbi
per assicurare [SIC] loro la liberta' di movimento nel paese..."

''...qui la nostra presenza e' ancora necessaria, e anche per
parecchio tempo [SIC], se vogliamo riuscire a garantire alle giovani
generazioni del Kosovo, prosperita', democrazia e la speranza di un
futuro migliore...''

''...per restare qui e continuare ad assicurare i compiti che ci
vengono richiesti abbiamo bisogno di un altro battaglione...''



http://www.ansa.it/balcani/kosovo/kosovo.shtml


KOSOVO: GEN. PRIMICERJ, INSTABILITA' ANCORA GRANDE

(ANSA) - PEC (KOSOVO), 12 APR - ''Al momento la situazione e'
apparentemente calma, anche se e' caratterizzata da grande
instabilita' e non sono da escludere attacchi contro i serbi,
militari della Kfor ed edifici di culto e dell' Unmic''. Lo afferma
il comandante del contingente italiano in Kosovo, Brigadiere Generale
Alberto Primicerj, che oggi ha ricevuto, al villaggio Italia di Pec,
il presidente emerito della repubblica Francesco Cossiga che, in
occasione delle festivita' pasquali, ha visitato il contingente
italiano che partecipa alla Kfor della Nato. In un breefing cui,
oltre a Cossiga, ha preso parte anche Vittorio Sgarbi, l'alto
ufficiale ha individuato le cause della instabilita' che regna in
Kosovo, specialmente dopo gli incidenti verificatisi tra il 17 e il
20 marzo. ''Innanzitutto - spiega Primicerj - si percepisce una
diffusa sfiducia, soprattutto da parte degli albanesi, nei confronti
dell' Unmic. Gli albanesi accusano l'amministrazione delle Nazioni
Unite di non aver voluto finora avviare completamente la
privatizzazione delle aziende di Stato jugoslave e, di conseguenza,
non aver dato la spinta allo sviluppo economico nell'area''. Il
generale punta, poi, il dito sulla ''inadeguatezza delle istituzioni
locali, che senza il supporto delle forze della Kfor non dispongono
della necessaria autorevolezza. L'avvicinarsi, poi, delle elezioni
politiche di ottobre potrebbe determinare una ulteriore instabilita'
in questa regione cosi' travagliata''. Il contingente italiano in
Kosovo, composto da circa 3 mila uomini, concentrera' il suo operato
soprattutto sulla protezione della minoranza serba. ''Ogni
giorno - dice Primicerj - proteggiamo una decina di chiese e
monasteri serbi e altrettante enclave di minoranze. Siamo impegnati
anche in servizi di scorta a convogli di cittadini serbi per
assicurare loro la liberta' di movimento nel paese''. Poi, i soldati
italiani controllano i confini con la Macedonia, il Montenegro e la
Serbia e sono concentrati in un' azione di controllo del territorio.
''Stiamo cercando - spiega - i responsabili dei tumulti di marzo e,
perquisendo case sospette, abbiamo trovato parecchie armi''. Il
ricordo dell'alto ufficiale va ai drammatici momenti di marzo, quando
la situazione e' precipitata. L'ufficiale racconta di evacuazioni
di civili serbi, che vengono portati in salvo nell'aeroporto italiano
di Djakovika, di paracadutisti che sparano per difendersi dall'
assalto di una folla inferocita intenzionata a linciare dei civili
ortodossi. E conclude: ''qui la nostra presenza e' ancora necessaria,
e anche per parecchio tempo, se vogliamo riuscire a garantire alle
giovani generazioni del Kosovo, prosperita', democrazia e la speranza
di un futuro migliore''. (ANSA). FLB/ROM 12/04/2004
15:22

KOSOVO: GEN.PRIMICERJ, INSTABILITA' ANCORA GRANDE (2)

(ANSA) - PEC (KOSOVO), 12 APR - Il comandante del contingente
italiano in Kosovo ha, poi, lanciato un appello per il tramite del
sen.Cossiga al Governo italiano: ''per restare qui e continuare ad
assicurare i compiti che ci vengono richiesti abbiamo bisogno di un
altro battaglione''. ''Qui - osserva - per lavorare a pieno regime
sarebbe necessario avere 32 compagnie operative; alla vigilia della
crisi di marzo, invece, di compagnie disponibili ce n' erano
solamente 19, che alla fine, dispiace dirlo, si sono dimostrate
insufficienti. Il nostro impegno qui e' importante, serve a
stabilizzare una regione martoriata che ha bisogno di poter
ricominciare a sperare. Lavoriamo con impegno e speriamo di fare
sempre di piu'''. (ANSA). FLB/ARS 12/04/2004 15:34

Iraq: forze di occupazione scatenate contro la popolazione civile


1. APPELLO DI EMERGENZA IN SOLIDARIETA' COL POPOLO IRACHENO (8 Aprile
2004, Eman Ahmed Khammas, Direttrice, International Occupation Watch
Center)

2. FERMIAMO IL MASSACRO DI FALLUJIA ; FALLUJA COME JENIN ? (Appelli di
"Un Ponte per..." ed altre associazioni)

3. NOTA DELLA SEGRETERIA NAZIONALE FIOM:
Via le truppe italiane dall'Iraq, ORA!

4. TESTIMONIANZE DA FALLUJA: CECCHINI USA E CLUSTER BOMB

5. "PERCHE' CI ODIANO": la denuncia di un soldato Usa e fonti locali di
PeaceReporter portano alla luce lo scandalo degli abusi sessuali dei
militari statunitensi contro le ragazzine irachene e del giro di
prostituzione minorile generato dai comandi americani in Iraq.

6. PRIVATIZZAZIONI DA COMBATTIMENTO: Le chiamano Pmc, "compagnie
militari private". Sono filiali di aziende quotate in borsa, e
ingaggiano mercenari. Da piu' di dieci anni sono attive anche nei
Balcani: Croazia, Bosnia-Erzegovina, Kosovo, Macedonia.


=== 1 ===


CON RICHIESTA DI MASSIMA DIFFUSIONE

APPELLO DI EMERGENZA IN SOLIDARIETA' COL POPOLO IRACHENO
 
8 Aprile 2004
 
Eman Ahmed Khammas
Direttrice, International Occupation Watch Center
 
Baghdad Occupata
 
Ai popoli del mondo e ai loro rappresentanti presso le Nazioni Unite,
 
Il popolo iracheno fa appello alla solidarietà internazionale mentre
resiste agli attacchi delle forze di occupazione guidate dagli Usa. E'
chiaro che l'intenzione di questi attacchi è quella di terrorizzare
intere popolazioni delle città e dei quartieri dell'Iraq.
 
Secondo le notizie che arrivano, nella sola Falluja, oltre 300 iracheni
sono stati uccisi e altre centinaia feriti dall'inizio degli attacchi,
domenica 4 aprile. Si combatte a Baghdad, in particolare nei quartieri
di Sadr City, Adaamiya, Shula, Yarmok, e nelle città di Falluja,
Ramadi, Bassora, Nassiriya, Kerbala, Amara, Kut, Kufa, Najaf, Diwaniya,
Balad, e Baquba. Case, ospedali, moschee e ambulanze che cercano di
trasportare i feriti vengono bombardati e colpiti dai fucili e dai
carriarmati delle forze di occupazione.
 
Falluja e Adaamiya sono attualmente sotto assedio, circondate dalle
forze di occupazione, in violazione della Convenzione di Ginevra che
vieta di tenere sotto assedio comunità di civili. Gli ospedali non
hanno medicinali essenziali, forniture, attrezzature a sufficienza né
scorte di sangue.
A Falluja, gli ospedali sono stati circondati da soldati, costringendo
i medici ad allestire ospedali da campo in abitazioni private. Ai
donatori di sangue non è consentito l'accesso; di conseguenza le
moschee sia a Baghdad che a Falluja stanno raccogliendo sangue per i
feriti. Acqua ed elettricità sono state tagliate da giorni.

A Sadr City, elicotteri Usa hanno lanciato missili su aree
residenziali, distruggendo abitazioni. Anche se non è stato imposto
ufficialmente il coprifuoco, i soldati americani regolarmente sparano
dai carriarmati sulle automobili che circolano per le strade di notte.
Nella sola notte di martedì, almeno 6 persone sono state uccise in
questo modo. Le forze Usa continuano a occupare e a circondare tutte le
stazioni di polizia e gli uffici municipali di Sadr City.
 
Anche se questi attacchi hanno subito una forte escalation nella scorsa
settimana, non sono affatto un fenomeno nuovo nell'Iraq occupato.
L'uccisione indiscriminata di civili e il rifiuto di dare alla gente
sicurezza, elettricità e infrastrutture mediche decenti hanno
caratterizzato la "libertà" che le autorità di occupazione hanno
portato in Iraq.
 
Facciamo appello alla comunità internazionale, alla società civile e ai
movimenti contro la guerra e contro l'occupazione perché rispondano a
questa guerra del terrore guidata dagli Usa con dimostrazioni tangibili
di solidarietà e sostegno per il popolo iracheno che sta affrontando
questa orribile manifestazione dell'occupazione.
 
Per favore scendete in piazza per chiedere la fine dell'aggressione
guidata dagli Usa. Organizzate proteste di fronte alle ambasciate e ai
consolati Usa nel mondo e chiedete: la fine immediata di questo
massacro; la fine immediata dell'assedio delle città e dei quartieri
iracheni; l'accesso immediato alle organizzazioni mediche e umanitarie
che cercano di fornire assistenza alla popolazione irachena che vive
sotto attacco; e la fine dell'occupazione del nostro paese.
 
Fra le città in cui sono già state organizzate manifestazioni ci sono
Milano, Montreal, Parigi, Tokyo, Istanbul, Boston, San Francisco, Los
Angeles, Washington e New York. 
 
Per contattare l' International Occupation Watch Center a Baghdad: tel.
001 914 360-9079 o 001 914 360-9080.
O potete mandare una e-mail a: eman@...


=== 2 ===


FERMIAMO IL MASSACRO DI FALLUJIA

470 morti
1200 feriti, di cui 243 donne e 200 bambini
Questa la prima stima al ribasso degli attacchi

10 Aprile 2004, da Baghdad occupata

Dall'inizio dell'escalation della violenza il popolo iracheno,
specialmente a Fallujia, sta vivendo un disastro umanitario. Le forze
di occupazione hanno messo sotto assedio la citta'. Piu' di 470 morti e
1200 feriti.

Fallujia e' stata bombardata con aerei da combattimento F-16 ed
elicotteri armati con bombe a grappolo e mortai.

Ambulanze sono state prese di mira dai cecchini americani. Molti aiuti
umanitari, destinati soprattutto agli ospedali, sono stati bloccati
dalle truppe di occupazione. Altre macchine cariche di medicinali hanno
dovuto aggirare i blocchi passando per strade secondarie. Una volta
entrati in Fallujia i volontari si sono trovati sotto il fuoco
incrociato.

Nessun corridoio umanitario e' stato concesso.

Un cessate il fuoco e' stato annunciato e la popolazione ha cominciato
ad abbandonare la citta', ma improvvisamente il fuoco e' ricominciato e
molti sono rimasti allo scoperto intrappolati nella citta'. Gli
sfollati - una colonna di 10 km con molte donne e bambini - si sono
visti chiuse le strade per raggiungere i villaggi vicini ed in
centinaia hanno passato la notte nel deserto.

Le migliaia di famiglie che sono rimaste intrappolate in Fallujia sono
alle prese con la mancanza d'acqua, cibo e medicinali. Gli operatori
sanitari continuano a lanciare appelli per avere accesso ad ossigeno,
anestetici, antibiotici e sangue.

La comunita' internazionale, le Nazioni Unite, la Comunita' Europea non
possono rimanere semplici spettatori del massacro di Fallujia e della
repressione che sta terrorizzando la popolazione irachena.

La comunita' internazionale deve prendere una posizione ferma e
chiedere con forza e determinazione di fermare il massacro in Fallujia
e di rispettare le convenzioni internazionali esigendo l'immediata
apertura di un corridoio
umanitario che permetta l'entrata dei soccorsi, l'evaquazione dei
feriti e la fuoriuscita della popolazione.

Un Ponte Per
Consorzio Italiano di Solidarita'
CCIPP Francia
Iraqi Solidarity Project - Canada
Focus on Global South - Filippine

---

COMUNICATO STAMPA

IRAQ: FALLUJA COME JENIN?

Da due giorni l’esercito Usa ha cinto d'assedio la città di Falluja
lanciando quella che ha tutta l’aria di una punizione collettiva per i
fatti della scorsa settimana, quando quattro statunitensi furono
linciati dalla folla.

La città è stata isolata, tutte le via di accesso sono state chiuse già
da domenica e ai 300.000 abitanti è impedito di lasciare l'area. Anche
ai giornalisti è stato vietato l'accesso.

Una ingente forza militare, prima concentrata intorno alla città, ha
iniziato ad entrare trovando forti resistenze da parte della
popolazione e determinando forti combattimenti. Attacchi sono in corso
dal cielo, anche con missili, su zone abitate. Rastrellamenti sarebbero
in corso casa per casa e, dalle poche testimonianze, risulta che decine
di iracheni sono stati uccisi. L’unico ospedale della città non è in
grado di far fronte alla emergenza.

Facciamo appello ad un immediato intervento del Segretario Generale
dell'Onu perché cessi la carneficina e Falluja sia liberata
dall'assedio.

Invitiamo tutte le associazioni, i sindacati, i partiti a prendere
posizione e promuovere iniziative che favoriscano la mobilitazione
della comunità internazionale perché non si ripeta, proprio nei giorni
dell'anniversario, quanto è già successo a Jenin.


Lello Rienzi
responsabile comunicazione
tel. +39 06 44702906
cel +39.338 9110373
fax +39 06 44703172

"Un ponte per..."ONG - piazza Vittorio Emanuele II, 132 00185 ROMA  -
tel.0644702906 -  e-mail: posta@...  - web: www.unponteper.it
Per iscriverti alla mailing list dell'associazione scrivi un' e-mail
vuota all'indirizzo Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.


=== 3 ===


NOTA DELLA SEGRETERIA NAZIONALE FIOM


Articolo 11 della Costituzione italiana:
"L'Italia ripudia la guerra"

Via le truppe italiane dall'Iraq, ORA!

La tragica escalation della guerra e dell'occupazione militare
dell'Iraq, con la repressione armata di manifestazioni popolari contro
l'occupazione, che ha già provocato numerose vittime civili, con
l'assedio alla città di Falluja, dove ci sono centinaia di morti,
richiede la massima assunzione di responsabilità nelle iniziative di
opposizione alla guerra.

Tale escalation ha coinvolto anche le truppe italiane, confermandone
con drammatica chiarezza la partecipazione alla occupazione e alle
attività belliche, ben lungi dal carattere pacifico e umanitario della
missione, che il governo italiano si ostina a ribadire oltre ogni
evidenza: per questo chiediamo in primo luogo il loro immediato ritiro,
sulla base della Costituzione italiana che prevede al suo articolo 11
il ripudio della guerra, e invitiamo tutte le nostre strutture alla più
forte mobilitazione in questo senso.

Non c'è pace né democrazia possibile attraverso le bombe, in un paese
occupato militarmente e spogliato economicamente, in cui le condizioni
di vita sono in un anno drammaticamente peggiorate, mancando il lavoro,
l'elettricità, l'acqua e le vittime civili continuano ad aumentare.
L'occupazione deve immediatamente cessare e gli eserciti occupanti
devono lasciare il paese, perché l'Onu possa garantire la transizione
nelle condizioni che consentano agli iracheni di decidere liberamente
del proprio futuro.

Denunciamo e respingiamo il tentativo, di cui il bombardamento della
moschea di Falluja è un esempio, di sprofondare l'Iraq e il mondo tutto
in uno scontro di civiltà. Per questo abbiamo partecipato alla
delegazione del Comitato "Fermiamo la guerra" che stamani si è recata
alla Moschea di Roma per un incontro con i rappresentanti del Centro
islamico e culturale, a cui è stata portata, insieme a una bandiera
della pace, la posizione e solidarietà del Comitato, la volontà di
continuare a costruire convivenza e dialogo nel nostro paese, dove c'è
una significativa presenza di migranti di religione musulmana.
Invitiamo a partecipare alle analoghe iniziative che verranno prese in
altre città italiane.

Per i motivi detti, sollecitiamo tutte le strutture a coinvolgere
nella mobilitazione lavoratori e lavoratrici, attraverso l'affissione
della locandina in tutti i luoghi di lavoro e l'assunzione nelle
fabbriche e nei territori di tutte le possibili iniziative di sostegno
alla campagna per l'immediato ritiro delle truppe italiane dall'Iraq.

Invitiamo altresì alla partecipazione alle iniziative che verranno
prese anche in questi giorni pasquali in diverse città e alla
manifestazione che si terrà a Brescia il 17 aprile, prevista
inizialmente contro la fiera delle armi leggere Exa 2004, che assumerà
anche il carattere di manifestazione per la pace e per il ritiro
immediato delle truppe italiane dall'Iraq; invitiamo alla
partecipazione alle manifestazioni del 25 aprile, promosse dall'Anpi,
caratterizzando la celebrazione della festa della Liberazione nazionale
dal fascismo e dal nazismo, anche come momento di manifestazione contro
la guerra e per l'immediato ritiro delle truppe italiane dall'Iraq,
secondo la Costituzione, che ha la sua origine proprio in quella data.

La Segreteria nazionale della Fiom-Cgil
Roma, 9 aprile 2004


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> ----- Original Message -----
> From: lellorienzi
> To: <Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>;
> <Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>;
> <Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>; <Ova adresa el. pošte je zaštićena od spambotova. Omogućite JavaScript da biste je videli.>
> Sent: Monday, April 12, 2004 11:21 PM
> Subject: [fori-sociali] Testimonianza da Falluja
>
>
> TESTIMONIANZE DA FALLUJA: CECCHINI USA E CLUSTER BOMB
>
>
> Fonti verificate hanno segnalato la presenza di tiratori scelti
> americani a Falluja. Da piu' giorni, i cecchini controllano gli
> ingressi della citta' e la strada principale.
> Secondo piu' fonti, tiratori scelti sono appostati anche di fronte
> agli ospedali e ai centri sanitari, mirando ai feriti e ai
> soccorritori che accedono alle strutture sanitarie.
> "Ci sono cecchini americani sui tetti - conferma Joe Wilding,
> giornalista indipendente, entrata a Falluja due giorni fa - In
> ospedale ho incontrato una donna che stava cercando di abbandonare la
> citta'. Viaggiava in macchina e sventolava un fazzoletto bianco per
> essere riconosciuta. Le hanno sparato.
> In ospedale teneva ancora stretto il fazzoletto".
>
> Sono stati inoltre riportati almeno due casi accertati di cecchini che
> hanno aperto il fuoco contro ambulanze. "Sono entrato a Falluja due
> giorni fa - spiega David Martinez, un videoperatore freelance - Ero a
> bordo di una ambulanza con altri colleghi internazionali. Stavamo
> andando a casa di una famiglia irachena. Dovevamo assicurare il
> trasporto fino all'ospedale a una donna incinta che stava per
> partorire. Ci hanno sparato, nonostante stessimo viaggiando su
> un'ambulanza".
> Oltre alla grave violazione delle convenzioni internazionali per la
> protezione delle vittime di guerra, la presenza di cecchini impedisce
> il soccorso e l'evacuazione dei feriti, rendendoli molto rischiosi.
>
> Sia Joe Wilding sia David Martinez hanno raccolto dalla strada il
> corpo di un uomo colpito alle spalle. "Era un anziano, stava
> camminando, non era armato e gli hanno sparato da dietro - spiegano
> Wilding e Martinez - La famiglia,
> terrorizzata, non ha potuto soccorrerlo, per paura di essere colpita".
> "Molti feriti muoiono per la strada perche' non vengono soccorsi in
> tempo", aggiunge David Martinez.
>
> Alcuni testimoni parlano anche di feriti da cluster bomb. L'uso di
> bombe a grappolo, vietato dalle convenzioni internazionali, e' stato
> riportato da piu' fonti presenti a Falluja e dal personale sanitario
> operativo nellacitta'.


=== 5 ===


http://www.peacereporter.net/it

Perché ci odiano

Una foto scioccante, la denuncia anonima di un soldato Usa e fonti
locali di PeaceReporter portano alla luce lo scandalo degli abusi
sessuali dei militari statunitensi contro le ragazzine irachene e del
giro di prostituzione minorile generato dai comandi americani in Iraq


5 aprile 2004 ­ "Il caporale Boudreaux ha ucciso mio padre e ha
ingravidato mia sorella". Il bambino iracheno che tiene in mano il
cartello con questa scritta non ha idea del suo significato. Sorride.
Chissà cosa gli ha detto il caporale Boudreaux, che gli sta accanto con
l¹aria divertita di chi si può permettere di aggiungere al danno la
beffa.
Questa foto, che da qualche giorno gira su Internet, ha scatenato un
putiferio. Non solo sui blog americani
(http://www.peacereporter.net/it/canali/voci/dossier/040405blog), dove
l'ironia cinica e il cattivo gusto stanno superando ogni limite, ma
anche al Pentagono, che per l¹ennesima volta si vede scoperchiare in
faccia il pentolone bollente degli abusi dei soldati Usa contro i
civili iracheni, in
particolare delle violenze sessuali compiute dai militari americani ai
danni di donne e bambine.
La foto, di cui lo stesso Pentagono ha confermato l'autenticità (in un
primo momento messa in dubbio), è arrivata sulla scrivania di Nihad
Awad, direttore del Consiglio per le relazioni islamico-americane (Cair
(http://www.cair-net.org/)) con sede a Washington, che ha
immediatamente denunciato la cosa al Dipartimento della Difesa,
chiedendo di istruire un¹indagine.
"Se gli Stati Uniti hanno intenzione di conquistare i cuori e le menti
degli iracheni, beh, non è certo questo il modo", commenta Awad. "Il
Dipartimento deve prendere provvedimenti per far sapere ai militari Usa
che simili comportamenti danneggiano l¹immagine dell¹America e non
possono essere tollerati".
Awad ha riferito di aver ricevuto anche una lettera anonima da un
soldato appena rientrato dall¹Iraq che, facendo nome e cognome, accusa
un suo superiore non solo di aver abusato di ragazzine irachene, ma di
aver addirittura instaurato un sistema di ricatto verso i locali per
farsene fornire sempre di nuove. Gli anziani dovevano consegnare
ragazzine in età
premestruale se volevano che la loro comunità non diventasse oggetto
delle azioni militari Usa.
L'estensore di questa lettera l¹ha conclusa così: "Pensare a tutto
questo mi fa venire la nausea. E ho paura di denunciare la cosa
all¹esercito, perché non penso che crederanno a quello che dice un
soldato semplice su quanto commesso da un comandante di battaglione".
Fonti locali di PeaceReporter confermano inoltre che, almeno a Baghdad,
è evidente che all¹interno degli ambienti militari Usa si è sviluppato
un grosso giro di prostituzione minorile. "Tante ragazzine, e
ragazzini, bazzicano nelle sedi dei comandi militari e negli alberghi
in cui si trovano gli uffici dell¹Amministrazione provvisoria
statunitense. E¹ normale vedere due o tre bambine che stanno in
compagnia dei soldati americani in giro per la città, o ai checkpoint.
Questo avviene alla luce del giorno".

Enrico Piovesana


Lettera dal fronte

Questa è la lettera arrivata al Cair <http://www.cair-net.org>,
un'associazione che promuove lo sviluppo di relazioni tra la comunità
islamica negli Usa e gli statunitensi. E' la denuncia di un soldato che
ha prestato servizio in Iraq, e che accusa un suo superiore - di cui fa
nome e cognome, ma che PeaceReporter ha scelto di oscurare - di aver
imbastito un
giro di prostituzione infantile facendosi consegnare dalle comunità
locali bambine in cambio della protezione dei militari. Sollecitato dal
Cair, il Pentagono ha aperto un'inchiesta, come ha fatto per la foto
che PeaceReporter ha pubblicato ieri. Qui sotto pubblichiamo la lettera
tradotta

Council on American-Islamic Relations
Mr Nihad Awad
453 New Jersey Ave. S.E
Washington, DC 20003

Caro signor Awad,

le scrivo in forma anonima perché sono un soldato che non ha finito di
prestare servizio nell'esercito e ho paura delle ripercussioni che
potrei essere costretto a subire.
Sono un membro del XXXesimo reggimento paracadutisti, 82esima divisione
aerotrasportata. Sono ritornato recentemente dall'Iraq, dove ho visto
con i miei occhi tanta morte e tristezza. Ma quello che mi preoccupa di
più, riguardo il tempo trascorso laggiù, è la crudeltà e l'umiliazione
che
venivano inflitte a giovani ragazze irachene dal tenente colonnello
XXXXX XXXXXXXXX.
Egli comandava i soldati del XXXXX battaglione del XXXesimo reggimento
a Falluja in modo spietato, infliggendo grandi sofferenze
sull'innocente popolazione della città. Delle sue incredibili azioni,
le più disgustose erano quelle contro le giovani ragazze musulmane.
Il tenente colonnello XXXXXXXXX godeva della compagnia serale di
ragazze che non portavano il velo. Le chiamava "teste non ancora
mestruate" e diceva che il loro stato di fanciulle non sviluppate era
proprio quello che cercava.
Convinceva i leader locali a fornirgli ragazze in età pre-puberale in
cambio della nostra (i soldati nel suo battaglione) protezione.
Il pensiero di tutto questo mi fa venire male allo stomaco. Ho paura di
mostrare questa lettera a chiunque nell'esercito, perché ho i miei
dubbi sul fatto che crederebbero alla voce di un soldato contro quella
di un comandante di battaglione.
Se c'è qualcosa che lei può fare per investigare su questi atti
criminali, le chiederei di farla.

Firmato,
un paracadutista dell'X/XXX


=== 6 ===


Il Manifesto - 6 aprile 2004

Privatizzazioni da combattimento

Dal cibo in scatola e dalle forniture sanitarie, alcune corporation
sono passate al mercato della guerra guerreggiata. Le chiamano Pmc,
"compagnie militari private". Sono filiali di aziende quotate in borsa,
e ingaggiano mercenari. Iracheni, nepalesi, o (costosi) britannici

MARCO D'ERAMO

I cadaveri amputati che la settimana scorsa oscillavano dalle travature
di un ponte metallico a Falluja hanno riproposto in tutta la sua orrida
oscenità il problema dei mercenari nella guerra moderna (vedi Oipaz del
21 gennaio 2003). Quei corpi appartenevano infatti a quattro dipendenti
della Blackwater Usa, una delle maggiori "compagnie militari private"
(Pmc) operanti in Iraq. Nessuno sa quanto sia il fatturato mondiale
complessivo delle Pmc, ma già prima dell'invasione dell'Iraq si stimava
che si aggirasse intorno ai 100 miliardi di euro. Non si tratta di un
mero ritorno al passato, ai capitani di ventura; non rivediamo semplici
versioni moderne di Giovanni dalle Bande Nere. I mercenari sono quelli
di sempre, ma sono assolutamente inediti sia il reclutamento, sia la
struttura in cui sono inquadrati. A operare sono infatti vere e proprie
corporations, identiche per dimensioni e funzionamento alle grandi
corporations tradizionali, solo che invece di operare nella sanità o
nel cibo in scatola, queste imprese operano nel mercato della guerra
(sul tema, la Cornell University Press ha pubblicato nel 2003 il libro
Corporate Warriors di Peter W. Singer). Tanto è vero che spesso queste
ditte sono filiali di multinazionali: così Mpri (Military Professional
Resources Increment) è stata comprata dall'industria militare L-3
Communication quotata a Wall Street, mentre Vinnel è una filiale del
gruppo Trw; Logicon è un dipartimento del gruppo di armamento Northrop
Grunman: a Logicon appartenevano tre civili americani tenuti in
ostaggio per più di un anno in Colombia, dove furono catturati mentre
erano in missione per cercare laboratori di cocaina.
La privatizzazione della guerra riguarda anche l'infrastruttura e la
logistica, compiti che una volta erano prerogativa dei genieri e oggi
invece sono appaltati. Così, Kellogg Brown & Root (Kbr) - società del
gruppo Halliburton (di cui il vicepresidente Dick Cheney è stato
amministratore delegato e presidente fino alla sua candidatura nel
2000) - ottenne nel 1999 un contratto quinquennale da 2,2 miliardi di
dollari nei Balcani: Kbr s'impegnava a fornire tra l'altro i servizi
logistici, i cessi portatili per il corpo di spedizione Usa, il
rinforzamento delle strade perché sopportino il passaggio dei mezzi
pesanti, la costruzione del quartiere generale della base americana di
Camp Abel Sentry (in Kossovo, un po' a sud della frontiera serba), la
lavanderia per le divise sporche dei soldati britannici, il catering
per 130.000 rifugiati kossovari. Nel 2002 la Kellogg Brow and Root ha
accettato di pagare una multa di 2 milioni di dollari per aver
"cucinato i conti" al governo americano. Questa ditta opera anche a
Cuba (leggi Guantanamo) e in Asia centrale (Afghanistan ed ex
repubbliche sovietiche). Altre mansioni una volta assolte dall'esercito
sono ora gestite dalla Bechtel (presieduta dall'ex segretario di stato
George Schultz).
Ma naturalmente l'aspetto che colpisce di più nelle Pmc è la
privatizzazione del combattimento, cioè i mercenari. In questo campo,
le ditte dalla tradizione più consolidata sono: sono l'ormai scomparsa
sudafricana Executive Outcomes (Eo), la britannica Sandline
International, la statunitense DynCorp e la belga International Defence
and Security (Idas), mentre l'inglese Defence Systems Limited (Dsl) e
l'americana Mpri non assumono mercenari impegnati in combattimento, ma
forniscono addestramento militare, raccolta d'informazioni, servizi di
comunicazioni militari, armi, e protezione ai clienti. Negli Stati
uniti, oltre a Blackwater, Vinel, Logicon, Mpri e Dyncorp, le Pmc più
importanti sono Saic e Ici of Oregon. La sola Dyn Corp fattura due
miliardi di dollari l'anno (l'anno scorso ha ottenuto l'appalto per la
protezione fisica del presidente dell'Afghanistan. Hamid Karzai).
Ma è a Baghdad che la privatizzazione della guerra avanza
irrefrenabile: sul terreno operano ormai 15.000 mercenari stranieri,
appartenenti a ditte americane, ma anche inglesi. L'emblema della
privatizzazione sta nel fatto che la stessa sicurezza personale del
proconsole americano, Paul Bremer III è assicurata dalla Blackwater:
fra un po' anche i generali saranno protetti da mercenari. Già ora il
palazzo di Bassora dove ha sede il comando meridionale della coalizione
è vigilato da mercenari delle isole Fiji dipendenti della Global Risk
Strategy, una ditta inglese di sicurezza con sede a Londra.
E l'Iraq sta favorendo la nascita e il rigoglio di nuove Pmc, come ha
raccontato l'Economist della scorsa settimana: fino all'invasione
dell'Afgahistan, Global Risks Strategies era costituita da due sole
persone, mentre ora dispone di oltre 1.000 guardie in Iraq ha
l'incarico di pattugliare le barricate della Coalition Provisional
Authority E l'anno scorso aveva vinto un appalto da 27 milioni di
dollari per distribuire la nuova valuta irachena. Un'altra ditta,
Control Risks, provvede scorte armate e ha 500 uomini che fanno da
guardie del corpo ai funzionari civili inglesi. "Gli organici di prima
linea delle compagnie militari private (Pmc) - mercenari in vecchie
parole - sono ora la terza forza militare in ordine di grandezza, dopo
gli Usa e la Gran Bretagna. Secondo David Claridge, direttore centrale
di Janusia, una ditta londinese di sicurezza, l'Iraq ha moltiplicato
gli introiti delle Pmc inglesi da 320 milioni di dollari di prima della
guerra a oltre 1,6 miliardi di dollari, facendo così della sicurezza la
più redditizia esportazione inglese in Iraq".
Secondo l'Economist, nel gergo del settore i mercenari delle Pmc si
suddividono in tre categorie, in iracheni, in "paesi terzi" (per
esempio fijini o gurkha nepalesi) e "internationali" (di solito bianchi
del primo mondo): gli iracheni ricevono 150 dollari al mese, i
dipendenti dei "paesi terzi" 10-20 volte tanto e gli "internazionali"
100 volte tanto. Control Risks ha soprattutto dipendenti occidentali,
mentre la rivale ArmorGroup ha ai suoi ordini 700 gurkha con cui
protegge i funzionari di Bechtel e di Kbr . Invece la ditta inglese
Erinys, che ha vinto un appalto da 100 milioni di dollari per
assicurare la protezione degli oleodotti, gestisce una forza di 14.000
iracheni. All'inizio il costo della vigilanza privata in Iraq era
stimato intorno al 7-10% dei 18,6 miliardi di dollari stanziati dagli
Usa per la ricostruzione irachena, ma ora, secondo Blackwater,
rappresenta il 25% del totale.
La seconda caratteristica innovativa delle nuove corporations della
guerra rispetto alle arcaiche compagnie di ventura è che i loro ranghi
direttivi presentano una densità assolutamente abnorme di ufficiali in
pensione. Blackwater è stata fondata nel 1988 da ex Navy Seals (le
truppe speciali della marina americana, anche se a noi il loro nome non
appare particolarmente bellicoso: seals vuol dire "foche"). Erinys è
stata fondata da Alistair Morrison, ex ufficiale in pensione dei
commandos inglesi di elite Sas (la cui reputazione è uno dei fattori
che hanno contribuito al successo delle Pmc britanniche).
Il caso più eclatante è quello della Mpri (fondata nel 1988): ha come
presidente il generale Carl E. Vuono, già capo di stato maggiore che
diresse la guerra del Golfo e l'invasione di Panama, come capo della
divisione internazionale, il generale Crosbie E. Saint, ex comandante
delle forze Usa in Europa, come portavoce il generale Harry E. Soyster,
già direttore della Defence Intelligence Agency (Dia), e come
supervisore in Macedonia il generale Ron Griffith, già vicecapo di
stato maggiore. Dalla sua sede di Alexandra (suburbio chic di
Washington D. C.), Mpri dirige 900 dipendenti, ma dispone di 10.000 ex
militari, comprese forze d'élite, pronti a partire su chiamata. I
generali che hanno fondato Mpri ci hanno fatto un sacco di soldi (che
si aggiungono alle loro pensioni) perché, pur continuando a dirigerla,
loro e altri 35 azionisti hanno venduto per 40 milioni di dollari la
Mpri a L-3 Communication.
E naturalmente quando questi ex Delta Force, ex Seals, ex Sas devono
assumere, ricorrono di preferenza ai propri commilitoni attratti dalle
altissime paghe. Secondo il New York Times, un BerrettoVerde o un Seal
con 20 anni di anzianità guadagna ora 50.000 dollari come paga base
(cui però vanno aggiunge varie indennità), e può andare in pensione con
23.000 dollari l'anno. Le ditte di sicurezza gli offrono dai 100 ai
200.000 dollari l'anno (che si aggiungono alla pensione militare che
comprende la copertura sanitaria). Oltre tutto, i contatti tra Pmc e
militari sono strutturali. Per esempio, il complesso della Blackwater
in North Carolina, comprende poligoni di tiro per armi ad alta potenza,
edifici per simulare la liberazione di ostaggi e, scrive il New York
Times, "è così moderna e ben equipaggiata che i Navy Seals stanziati
nella Little Creek Naval Amphibious Base di Norfolk (Virginia) la usano
abitualmente; come anche fanno le unità di polizia di tutta la nazione
che vengono da Blackwater per un addestramento specializzato".
Da qui l'emorragia e la richiesta di pensionamento anticipato. Sui 300
membri del Sas, 40 hanno chiesto la pensione anticipata l'anno scorso.
Lo stesso sta avvenendo tra le truppe speciali Usa. Tanto che i
dirigenti militari sono preoccupati perché lo stato finisce per pagare
due volte le Pmc, una volta con i soldi dei contratti, ma un'altra
volta con il denaro speso per addestrare le truppe d'élite. È stato
calcolato che formare un berretto verde richiede 18 mesi di
addestramento (e l'apprendimento di una lingua straniera) per un costo
di 257.000 dollari. Il comando delle operazioni speciali Usa ha oggi un
organico di 49.000 persone (tra combattenti, piloti, e addetti militari
e civili alla logistica, alle comunicazioni e all'infrastruttura), e la
fuga dei veterani avviene proprio quando la dottrina Rumsfeld (esercito
più leggero ma più professionale e più specializzato) prevede di
aumentare gli effettivi delle Operazioni Speciali di 3.900 unità.
Fino a ora la crescita delle Pmc e la privatizzazione della guerra non
hanno suscitato molte proteste. Anche perché i morti delle compagnie
private non vengono conteggiati come perdite militari, e quindi non
colpiscono l'opinione pubblica. Ma proprio il loro statuto privato, in
operazioni di guerra, le rende legalmente irresponsabili. Per ora non
sono infatti regolate da nessuna legge né sottoposte a nessun
controllo. Finiscono perciò per non differire molto dai bounty killers
del Far West, e anche questa loro immunità contribuisce alla guerra
civile quotidiana in Iraq.

PROSTITUZIONE IN LITUANIA : TARIFFE TRIPLE
PER I SOLDATI DELLA NATO


"... La scorsa settimana due soldati della NATO sono stati aggrediti
(...) [percio' e' stato diffuso] un appello per una migliore protezione
dei soldati inviati a difendere [sic] la Lituania ..."


Date: Mon, 12 Apr 2004 09:50:00 +0200
From: anti-imperialiste@...
Subject: [Anti-imperialiste] [alerte_otan]Dévelloppement de la
prostitution en Lituanie dans le sillage de l'OTAN


En passant, cette info qui laisse songeur : "La semaine dernière, deux
soldats de l'OTAN ont été agressés, provoquant (...) un appel à une
meilleure protection des soldats envoyés pour défendre la Lituanie. " :
ceux qui 'protègent' la Lituanie doivent être protégés... Pas d'autre
précision sur cette agression ?

http://permanent.nouvelobs.com/societe/20040411.FAP4284.html?1816

AP, 11 avril 2004

VILNIUS, Lituanie (AP) -- Les soldats de l'OTAN, récemment déployés en
Lituanie, sont victimes de discrimination de la part des prostituées
qui leur font payer leurs services trois fois plus cher que leurs
clients lituaniens, a reconnu le chef de la police de l'Etat balte.

Au cours des derniers jours, plusieurs prostituées sont arrivées dans
la ville de Siauliai, où 100 soldats de l'OTAN sont basés, faisant
partie d'une équipe chargée de parcourir le ciel de la Lituanie, de la
Lettonie et de l'Estonie à bord de F-16 belges, a expliqué vendredi le
préfet Vytautas Grigaravicius aux journalistes.
Il a ajouté que les «travailleuses du sexe» gonflaient les prix pour
les soldats occidentaux, qui viennent de Belgique et de Norvège.

«Les prostituées réclament 100 litas (29 euros) de l'heure pour les
Lituaniens, alors qu'elles demandent aux soldats de l'OTAN de payer 350
litas (101 euros) par heure», a-t-il dit, soulignant qu'il s'agissait
d'un cas clair de discrimination.

Le prostitution est illégale dans ce pays de 3,5 millions d'habitants.

La Lituanie, la Lettonie et l'Estonie ont intégré l'Alliance atlantique
le 29 mars dernier, en même temps que quatre autres anciens pays de
l'ex-bloc soviétique.

La semaine dernière, deux soldats de l'OTAN ont été agressés,
provoquant un tollé à travers le pays et un appel à une meilleure
protection des soldats envoyés pour défendre la Lituanie.

Le préfet Grigaravicius a rencontré jeudi le président Arturas
Paulauskas pour lui proposer d'augmenter le nombre d'agents de police à
Siauliai, une ville située à 200km au nord-ouest de Vilnius. AP

_______________________________________________
Anti-imperialiste mailing list
Anti-imperialiste@...
http://chiffonrouge.org/cgi-bin/mailman/listinfo/anti-imperialiste

Jugoslavia: l'isola che non c'e'.

Strano destino quello della Jugoslavia. Nata per la prima volta dalla
monarchia serbo-montenegrina, una delle piu' antiche monarchie europee,
ed intesa a racchiudere nei confini di un regno unico gli slavi del sud
(da
jug= sud), crollata poi in seguito sotto i feroci bombardamenti
nazifascisti
del 1941 e ancora risorta a nuova e gloriosa esistenza, vincitore della
seconda guerra mondiale a fianco dell'Unione Sovietica grazie al
sacrificio
e coraggio di quella stessa popolazione slava del sud, guidata nella
resistenza partigiana animata da un capo coraggioso e saggio, Tito. Sino
all'anno scorso la Jugoslavia visse come federazione, attiva sul piano
internazionale diede vita al Terzo Blocco, quello dei Paesi
Non-Allineati,
una specie di inter-comunita' nel segno dell'interscambio della
differenza
e della tolleranza, una strana creatura voluta dal suo leader
carismatico,
Tito, strana come la sua Jugoslavia.

Eppure ecco che l'Occidente alla fine degli anni '80 prematuramente ne
decreta nuovamente la fine. Ricordo personalmente lo sdegno e
l'irritazione
che provavo ogni volta che mi capitava di leggere un articolo di
giornale
dove appariva l'etichetta ex-jugoslavia. Ricordo che sfottevo i miei
amici
che credono nella stampa, quando durante i campionati di calcio appariva
questo strano ed inquietante spettro: Jugoslavia - Francia. Eh si, c'e'
ancora, triste realta'. Eppure ovunque anche nei giornali e telegiornali
nazionali italiani (persino quelli della sinistra) si procede dalla fine
degli anni '80 in poi ad un vero e proprio annullamento della
Jugoslavia,
mentre essa ancora esisteva pienamente con legittimo diritto
formalmente
riconosciuta nel consesso delle nazioni. Credo che mai nessuna nazione
prima della Jugoslavia abbia subito il trattamento di diffamazione, di
insulto,
demonizzazione e delegittimazione che le e' stato riservato dalla fine
degli
anni 80 alla fine dei 90 e che tutto sommato non e' mai finito. Poi
ecco,
si procede al criminale bombardamento della popolazione, delle
infrastrutture, dei ponti, delle fabbriche, dei siti militari, si, si
arriva
alla guerra, una guerra sporca, della quale in pochi ancora in Occidente
conoscono chiaramente i dettagli reali sul terreno militare oltreche'
diplomatico.

Ed in questo e' ancora piu' singolare il destino di questa nazione che
racchiude minoranze e religioni ovunque, un miscuglio di popoli e
lingue,
che si riconosce ancora nella fratellanza e unita', che crede nella
propria
comunita' solidale che ha sempre dato loro un discreto benessere e
tranquillita': ecco che da un giorno all'altro si trova annullata per
decreto e demonizzata ed identificata nell'etichetta mass-mediatica
dei "serbi"; il bombardamento mass-mediatico e' potentissimo e dura anni
mentre l'interferenza interna ed il brainwashing della propaganda, teso
ad
evidenziare qualsiasi minima differenza culturale pur di dividere,
smembra
la federazione; ma l'incantesimo e' breve, infine si scopre l'inganno,
nel
momento cruciale, con l'intervento militare NATO contro il cuore della
Jugoslavia, la Serbia, si bombarda tutto e tutti, ospedali e ponti e
persino
gli stessi albanesi del Kosovo in fuga, guarda un po', proprio dalla
NATO.

- Nismo zaboravili sta su radili. (non abbiamo dimenticato quello che
hanno fatto).

Mi dice un uomo, un semplice contadino, della minoranza ungherese, con
accenno ai bombardamenti. Il suo braccio e' teso verso un punto, indica
una
citta' vicina, dove hanno bombardato una raffineria.

Si, la Jugoslavia annullata prima sul piano del diritto internazionale
subisce poi l'intervento fisico, per "mettere le cose a posto", si
procede
al bombardamento, tanto e' il desiderio di annientarla, di eliminarne
ogni
scomoda differenza, ed infine dopo ingerenze e interferenze di ogni
sorta,
un governo dagli strani contorni e avverso a gran parte della
popolazione ne
decreta la fine ufficialmente. La Jugoslavia cessa di esistere e nasce
la
Serbia e Montenegro.

Eppure dicevo, e' strano il destino di questa Jugoslavia che
ufficialmente
non esiste piu' di fatto, e che pure esiste sempre piu' prepotentemente
di
fatto nella realta', nel suo essere coesa e solidale, nel suo resistere
ai
tentativi di imporrle un'altro modello, ad un terribile e potente mostro
neoliberista e neocolonialista che rumoreggia alle sue porte. Che amara
illusione se si e' pensato di incantare un popolo bombardandolo con la
propaganda dopo averlo bombardato con missili e bombe, persino
contaminate da uranio.

E cosi' il destino e' strano dicevo perche' di fatto la Jugoslavia
esiste,
ed esiste nel cuore di ogni uomo che ha a cuore la sua liberta', perche'
questa e' stata la Jugoslavia, un'isola felice e libera, dove
l'industrializzazione e' convissuta pacificamente accanto alle
tradizioni,
ai diversi culti e alla natura, e dove la ricchezza tutto sommato e'
stata
redistribuita tra la gente. Un esempio, un modello per il mondo intero.
Ed
il ricordo e' ancora vivo in tutti coloro che l'hanno vissuta, sloveni,
croati, bosniaci e persino kosovari. Per tutti loro la Jugoslavia e' ora
l'isola che non c'e', un paradiso perduto, ed e' l'isola che non c'e'
per
tutti coloro che di fatto la rendono viva, la popolazione jugoslava, ai
quali non e' stato neanche chiesto con un referendum se cambiare il
nome alla propria nazione.

Ebbene questa isola che non c'e' e' un terreno dove il tessuto sociale
ancora non e' quello del capitalismo, dove la solidarieta' e la
fratellanza
fra i popoli e' eccellente, dove si ha l'amara coscienza che
dall'occidente
spesso, troppo spesso sono arrivate nel corso della storia, promesse
vuote
trasformate repentinamente in proiettili e bombe e campi di
concentramento.
E non parliamo poi dei ghetti. Basti pensare alla popolazione zingara
che
qui vive tranquilla, e che fu ghettizzata e massacrata invece nella
civile
Europa (in Germania i Rom sono stati pressoche' sterminati).

E per questo non deve stupire il risultato delle ultime elezioni.

Non e' il rifiuto dell'Europa, quella liberale e sociale che al
contrario
gode qui di alta reputazione.

No, e' il rifiuto netto e deciso dell'oppressione.

Questa isola che non c'e' dicevo, che e' adesso veramente ex, e'
sorprendentemente viva e sempre lo sara' nel cuore di ogni uomo libero
nei Balcani, e ovunque.


Paolo Teobaldelli
Pensieri dalla Jugoslavia 09/04/2004

[ Salutiamo e ringraziamo l'autore per il suo significativo contributo.
CNJ ]

“FOTO RICORDO”

cortometraggio di Tamara Bellone e Piera Tacchino

breve presentazione di Boris Bellone al valsusa filmfest il 6 aprile
2004


Diviso in episodi, volutamente confusi tra loro, e ambientato in luoghi
e tempi diversi, "Foto ricordo" parla della Jugoslavia, a partire dalla
resistenza agli occupanti tedeschi e italiani. La resistenza iniziata
proprio il 6 aprile (come oggi) 1941, quando Hitler ordinò il
bombardamento di Belgrado. La canzone che si sente all’inizio, ricorda
quel giorno. È indicativo che sia cantata dagli tzigani, le prime
vittime della brutalità nazista in terra jugoslava. L’olocausto dei rom
è poco conosciuto e ancor meno è conosciuta la loro lotta di
liberazione a fianco dei partigiani di Tito. Si è visto anche
recentemente che in Kosovo gli unici a difendere i serbi sono stati, a
loro spese, gli tzigani. Gli tzigani che non hanno mai chiesto un loro
territorio e un loro esercito. Stavano benissimo nella Jugoslavia di
Tito, plurietnica e particolarmente tollerante.
Tornando al film, ricordo che vi hanno partecipato molti ragazzi del
liceo scientifico di Bussoleno, nella parte delle vittime di feroci
esecuzioni naziste.
Vi è stato un episodio che mi ha colpito durante le riprese del film,
nella piazza di San Giorio. Per puro caso gli attori portavano ancora
le divise tedesche della Wehrmacht e alcuni anziani di San Giorio le
hanno riconosciute subito e hanno reagito con un sussulto di stupore e
un attimo di panico, sembrava cercassero in tasca un’arma per
difendersi.
Ecco in Jugoslavia anche le divise dei soldati italiani fanno ancora lo
stesso effetto.
Questo filmato vuole proprio ricordare che in Jugoslavia oltre
all’occupazione tedesca, vi è stata anche quella italiana che è stata
particolarmente crudele.
Questo film quindi vuole essere una risposta a chi vorrebbe far credere
ai giovani che in Jugoslavia, in Africa, in Grecia, in Russia, gli
italiani si sono trovati per caso, e al massimo hanno amato troppe
donne e reso cornuto qualche slavo.
Con la recente decisione di dedicare il giorno della memoria all’esodo
degli italiani dall’Istria e alle vittime delle cosiddette foibe di
Tito, si conclude un indecente progetto di revisionismo storico dove le
vittime jugoslave vengono trasformate in carnefici del popolo italiano.
Se è vero che vi sono stati episodi di violenza con circa duemila morti
tra gli italiani, pare enorme paragonare questo episodio all’olocausto
di centinaia di migliaia di jugoslavi ad opera dei soli italiani. In
questo modo si tenta di cancellare, con squallida leggerezza, dalla
propria memoria storica quanto non piace.
Non stupisce che a destra vi sia soddisfazione, quasi una rivalutazione
silenziosa del fascismo, ma a sinistra è quanto mai strano e fa
sospettare che sia la prima rata, pagata, per entrare nel cosiddetto
club dei ricchi che, come dice il grande Noam Chomsky, non ancora
accusato di comunismo, esige totale obbedienza a Washington.
Il tema principale di questo film è anche quello delle vittime di una
forza d'aggressione, che muoiono con dignità, resistono, si ribellano.
E perdendo la vita con coraggio e dignità, condannano i loro carnefici
e nel martirio si trasformano da vinti in vincitori. Ai carnefici non
resta altro che tentare di cancellare la memoria storica. Compito dei
giusti è impedire questo orrendo progetto.
Dopo il film sono intervenuti: il filosofo torinese Costanzo Preve, il
sindacalista Fulvio Perini, il giornalista e scrittore tedesco Elsässer
(interprete Marija Zˇivkovic´), il sindacalista Maurizio Poletto,
l’artista Rom Stojan Stojanovic´.
Ha cantato il baritono jugoslavo Dzemil Regepi, che ha trasformato la
serata ipnotizzando tutti con la sua voce.
Ha infine salutato i presenti, il partigiano Vincenzo Giuglar, Vinko,
della Brigata Garibaldi che ha combattuto fianco a fianco con i
partigiani di Tito.


[ Per informazioni, proiezioni, e per acquistare copie del
cortometraggio FOTO RICORDO rivolgersi a:
Tamara Bellone - bellone@... - 338-5069093 ]



[Sono state eliminare la parti non di testo del messaggio]

 
[ Questo saggio del 1997 descrive per filo e per segno l'operazione
statunitense di sostegno alla tendenza islamista radicale in
Bosnia-Erzegovina in funzione antijugoslava. Si tratta di vicende ed
aspetti da tenere sempre ben presenti, diversamente da quanto
continuano a fare tutta la stampa, le ONG ed enti para-istituzionali
quali l'"Osservatorio Balcani", i quali preferiscono minimizzare sulla
presenza di mujaheddin nei Balcani e continuano a spacciare alla
pubblica opinione la ben nota favoletta manichea su aggrediti ed
aggressori. Fatti da tenere ben presenti anche nella analisi della
"guerra globale" scatenata da Bush e soci - contro l'Afghanistan,
l'Iraq, ed altri Stati a venire - usando lo spauracchio di Al Qaida: ma
Al Qaida altro non e' che uno dei nomi della CIA ... ]

http://www.globalresearch.ca/articles/DCH109A.print.html

Centre for Research on Globalisation


Clinton Administration supported the "Militant Islamic Base"


Editorial note

Posted at globalresearch.ca 21 September 2001

Since the Soviet-Afghan war, recruiting Mujahedin ("holy warriors") to
fight covert wars on Washington's behest has become an integral part of
US foreign policy. A 1997 document of the US Congress reveals how the
Clinton administration --under advice from the National Security
Council headed by Anthony Lake-- had "helped turn Bosnia into a
militant Islamic base" leading to the recruitment through the so-called
"Militant Islamic Network," of thousands of Mujahedin from the Muslim
world.

The "Bosnian pattern" has since been replicated in Kosovo, Southern
Serbia and Macedonia. Among the foreign mercenaries now fighting with
the Kosovo Liberation Army(KLA) in Macedonia are Mujahedin from the
Middle East and the Central Asian republics of the former Soviet Union.
Also within the ranks of the Kosovo Liberation Army are senior US
military advisers from a private mercenary outfit on contract to the
Pentagon as well as "soldiers of fortune" from Britain, Holland and
Germany.

"Americans have many questions tonight. Americans are asking, 'Who
attacked our country?'" said George W. Bush in his address to the US
Congress on 20 September. "This group and its leader, a person named
Osama bin Laden are linked to many other organizations in different
countries."

What the President fails to mention in his speech is the complicity of
agencies of the US government in supporting and abetting Osama bin
Laden.

The Bush Administration has misled the American people. What is the
hidden agenda? The largest military operation since the Vietnam War is
being launched against Osama bin Laden and the al Qaeda network, when
the evidence amply confirms that Osama has been "harbored" since the
Soviet-Afghan war by agencies of the US government.

We are reproducing below the 1997 Congressional Press release, which
provides detailed evidence from official sources of the links between
the Islamic Jihad and the US government during the Clinton
Adminstration. The CRG does not necessarily share or endorse the
conclusions of the document which emanates from the Republican Party.

Michel Chossudovsky, 21 September 2001


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Clinton-Approved Iranian Arms Transfers Help Turn Bosnia into Militant
Islamic Base


Congressional Press Release, US Congress, 16 January 1997 Posted at
globalresearch.ca 21 September 2001

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Help Turn Bosnia into Militant Islamic Base "'There is no question
that the policy of getting arms into Bosnia was of great assistance in
allowing the Iranians to dig in and create good relations with the
Bosnian government,' a senior CIA officer told Congress in a classified
deposition. 'And it is a thing we will live to regret because when
they blow up some Americans, as they no doubt will before this ...
thing is over, it will be in part because the Iranians were able to
have the time and contacts to establish themselves well in Bosnia."'
"Iran Gave Bosnia Leader $ ["Iran Gave Bosnia Leader $ 500,000, CIA
Alleges: Classified Report Says Izetbegovic Has Been 'Co-Opted,'
Contradicting U.S. Public Assertion of Rift," Los Angeles Times,
12/31/96. Ellipses in original. Alija Izetbegovic is the Muslim
president of Bosnia.] "'If you read President Izetbegovk's writings, as
I have, there is no doubt that he is an Islamic fundamentalist,' said a
senior Western diplomat with long experience in the region. 'He is a
very nice fundamentalist, but he is still a fundamentalist. This has
not changed. His goal is to establish a Muslim state in Bosnia, and
the Serbs and Croats understand this better than the rest of us."'
["Bosnian Leader Hails Islam at Election Rallies," New York Times,
9/2/96]

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Introduction and Summary

In late 1995, President Bill Clinton dispatched some 20,000 U.S. troops
to Bosnia-Hercegovina as part of a NATO-led "implementation force"
(IFOR) to ensure that the warning Muslim, Serbian, and Croatian
factions complied with provisions of the Dayton peace plan. [NOTE:
This paper assumes the reader is acquainted with the basic facts of the
Bosnian war leading to the IFOR deployment. For background, see RPC's
"Clinton Administration Ready to Send U.S. Troops to Bosnia, "9/28/95,"
and Legislative Notice No. 60, "Senate to Consider Several Resolutions
on Bosnia," 12/12/95] Through statements by Administration spokesmen,
notably Defense Secretary Perry and Joint Chiefs Chairman General
Shalikashvili, the president firmly assured Congress and the American
people that U S. personnel would be out of Bosnia at the end of one
year. Predictably, as soon as the November 1996 election was safely
behind him, President Clinton announced that approximately 8,5 00 U.S.
troops would be remaining for another 18 months as part of a
restructured and scaled down contingent, the "stabilization force"
(SFOR), officially established on December 20, 1996.

SFOR begins its mission in Bosnia under a serious cloud both as to the
nature of its mission and the dangers it will face. While IFOR had
successfully accomplished its basic military task - separating the
factions' armed forces - there has been very little progress toward
other stated goals of the Dayton agreement, including political and
economic reintegration of Bosnia, return of refugees to their homes,
and apprehension and prosecution of accused war criminals. It is far
from certain that the cease-fire that has held through the past year
will continue for much longer, in light of such unresolved issues as
the status of the cities of Brcko (claimed by Muslims but held by the
Serbs) and Mostar (divided between nominal Muslim and Croat allies,
both of which are currently being armed by the Clinton Administration).
Moreover, at a strength approximately one-third that of its
predecessor, SFOR may not be in as strong a position to deter attacks
by one or another of the Bosnian factions or to avoid attempts to
involve it in renewed fighting: "IFOR forces, despite having suffered
few casualties, have been vulnerable to attacks from all of the
contending sides over the year of the Dayton mandate. As a second
mandate [Dayton mandate. As a second mandate [i.e., SFOR] evolves,
presumably maintaining a smaller force on the ground, the deterrent
effect which has existed may well become less compelling and
vulnerabilities of the troops will increase." ["Military Security in
Bosnia-Herzegovina: Present and Future," Bulletin of the Atlantic
Council of the United States, 12/18/96]

The Iranian Connection

Perhaps most threatening to the SFOR mission - and more importantly, to
the safety of the American personnel serving in Bosnia - is the
unwillingness of the Clinton Administration to come clean with the
Congress and with the American people about its complicity in the
delivery of weapons from Iran to the Muslim government in Sarajevo.
That policy, personally approved by Bill Clinton in April 1994 at the
urging of CIA Director-designate (and then-NSC chief) Anthony Lake and
the U.S. ambassador to Croatia Peter Galbraith, has, according to the
Los Angeles Times (citing classified intelligence community sources),
"played a central role in the dramatic increase in Iranian influence
in Bosnia." Further, according to the Times, in September 1995
National Security Agency analysts contradicted Clinton Administration
claims of declining Iranian influence, insisting instead that "Iranian
Revolutionary Guard personnel remain active throughout Bosnia."
Likewise, "CIA analysts noted that the Iranian presence was expanding
last fall," with some ostensible cultural and humanitarian activities
"known to be fronts" for the Revolutionary Guard and Iran's
intelligence service, known as VEVAK, the Islamic revolutionary
successor to the Shah's SAVAK. [[LAT, 12/31/96] At a time when there is
evidence of increased willingness by pro-Iranian Islamic militants to
target American assets abroad - as illustrated by the June 1996
car-bombing at the Khobar Towers in Dhahran, Saudi Arabia, that killed
19 American airmen, in which the Iranian government or pro-Iranian
terrorist organizations are suspected ["U.S. Focuses Bomb Probe on
Iran, Saudi Dissident," Chicago Tribune, 11/4/96] - it is irresponsible
in the extreme for the Clinton Administration to gloss over the extent
to which its policies have put American personnel in an increasingly
vulnerable position while performing an increasingly questionable
mission.

Three Key Issues for Examination

This paper will examine the Clinton policy of giving the green light to
Iranian arms shipments to the Bosnian Muslims, with serious
implications for the safety of U.S. troops deployed there. (In
addition, RPC will release a general analysis of the SFOR mission and
the Clinton Administration's request for supplemental appropriations to
fund it in the near future.) Specifically, the balance of this paper
will examine in detail the three issues summarized below:

1. The Clinton Green Light to Iranian Arms Shipments (page 3): In April
1995, President Clinton gave the government of Croatia what has been
described by Congressional committees as a "green light" for shipments
of weapons from Iran and other Muslim countries to the Muslim-led
government of Bosnia. The policy was approved at the urging of NSC
chief Anthony Lake and the U.S. ambassador to Croatia Peter Galbraith.
The CIA and the Departments of State and Defense were kept in the dark
until after the decision was made.

2. The Militant Islamic Network (page 5): Along with the weapons,
Iranian Revolutionary Guards and VEVAK intelligence operatives entered
Bosnia in large numbers, along with thousands of mujahedin ("holy
warriors") from across the Muslim world. Also engaged in the effort
were several other Muslim countries (including Brunei, Malaysia,
Pakistan, Saudi Arabia, Sudan, and Turkey) and a number of radical
Muslim organizations. For example, the role of one Sudan-based
"humanitarian organization," called the Third World Relief Agency, has
been well documented. The Clinton Administration's "hands-on"
involvement with the Islamic network's arms pipeline included
inspections of missiles from Iran by U.S. government officials.

3. The Radical Islamic Character of the Sarajevo Regime (page 8):
Underlying the Clinton Administration's misguided green light policy is
a complete misreading of its main beneficiary, the Bosnian Muslim
government of Alija Izetbegovic. Rather than being the tolerant,
multiethnic democratic government it pretends to be, there is clear
evidence that the ruling circle of Izetbegovic's party, the Party of
Democratic Action (SDA), has long been guided by the principles of
radical Islam. This Islamist orientation is illustrated by profiles of
three important officials, including President Izetbegovic himself;
the progressive Islamization of the Bosnian army, including creation of
native Bosnian mujahedin units; credible claims that major atrocities
against civilians in Sarajevo were staged for propaganda purposes by
operatives of the Izetbegovic government; and suppression of enemies,
both non-Muslim and Muslim.

The Clinton Green Light to Iranian Arms Shipments

Both the Senate Intelligence Committee and the House Select
Subcommittee to Investigate the United States Role in Iranian Arms
Transfers to Croatia and Bosnia issued reports late last year. (The
Senate report, dated November 1996, is unclassified. The House report
is classified, with the exception of the final section of conclusions,
which was released on October 8, 1996; a declassified version of the
full report is expected to be released soon.) The reports, consistent
with numerous press accounts, confirm that on April 27, 1994, President
Clinton directed Ambassador Galbraith to inform the government of
Croatia that he had "no instructions" regarding Croatia's decision
whether or not to permit weapons, primarily from Iran, to be
transshipped to Bosnia through Croatia. (The purpose was to facilitate
the acquisition of arms by the Muslim-led government in Sarajevo
despite the arms embargo imposed on Yugoslavia by the U.N. Security
Council.) Clinton Administration officials took that course despite
their awareness of the source of the weapons and despite the fact that
the Croats (who were themselves divided on whether to permit arms
deliveries to the Muslims) would take anything short of a U.S.
statement that they should not facilitate the flow of Iranian arms to
Bosnia as a "green light."

The green light policy was decided upon and implemented with unusual
secrecy, with the CIA and the Departments of State and Defense only
informed after the fact. ["U.S. Had Options to Let Bosnia Get Arms,
Avoid Iran," Los Angeles Times, 7/14/96] Among the key conclusions of
the House Subcommittee were the following (taken from the unclassified
section released on October 8):

- "The President and the American people were poorly served by the
Administration officials who rushed the green light decision without
due deliberation. full information and an adequate consideration of the
consequences." (page 202)

- "The Administration's efforts to keep even senior US officials from
seeing its 'fingerprints' on the green light policy led to confusion
and disarray within the government." (page 203)

- "The Administration repeatedly deceived the American people about its
Iranian green light policy." (page 204)

Clinton, Lake, and Galbraith Responsible

Who is ultimately accountable for the results of his decision - two
Clinton Administration officials bear particular responsibility:
Ambassador Galbraith and then-NSC Director Anthony Lake, against both
of whom the House of Representatives has referred criminal charges to
the Justice Department. Mr. Lake, who personally presented the
proposal to Bill Clinton for approval, played a central role in
preventing the responsible congressional committees from knowing about
the Administration's fateful decision to acquiesce in radical Islamic
Iran's effort to penetrate the European continent through arms
shipments and military cooperation with the Bosnian government." ["'In
Lake We Trust'? Confirmation Make-Over Exacerbates Senate Concerns
About D.C.I.-Desipate's Candor, Reliability," Center for Security
Policy, Washington, D.C., 1/8/97] His responsibility for the operation
is certain to be a major hurdle in his effort to be confirmed as CIA
Director: "The fact that Lake was one of the authors of the duplicitous
policy in Bosnia, which is very controversial and which has probably
helped strengthen the hand of the Iranians, doesn't play well," stated
Senate Intelligence Chairman Richard Shelby. ["Lake to be asked about
donation," Washington Times, 1/2/97]

For his part, Ambassador Galbraith was the key person both in
conceiving the policy and in serving as the link between the Clinton
Administration and the Croatian government; he also met with Imam Sevko
Omerbasic, the top Muslim cleric in Croatia, "who the CIA says was an
intermediary for Iran." ["Fingerprints: Arms to Bosnia, the real
story," The New Republic, 10/28/96; see also LAT 12/23/96] As the House
Subcommittee concluded (page 206): "There is evidence that Ambassador
Galbraith may have engaged in activities that could be characterized
as unauthorized covert action." The Senate Committee (pages 19 and 20
of the report) was unable to agree on the specific legal issue of
whether Galbraith's actions constituted a "covert action" within the
definition of section 503(e) of the National Security Act of 1947 (50
U.S.C. Sec. 413(e)), as amended, defined as "an activity or activities
... to influence political, economic, or military conditions abroad,
where it is intended that the role of the United States Government will
not be apparent or acknowledged publicly."

The Militant Islamic Network

The House Subcommittee report also concluded (page 2): "The
Administration's Iranian green light policy gave Iran an unprecedented
foothold in Europe and has recklessly endangered American lives and US
strategic interests." Further - " ... The Iranian presence and
influence [" ... The Iranian presence and influence [in Bosnia] jumped
radically in the months following the green light. Iranian elements
infiltrated the Bosnian government and established close ties with the
current leadership in Bosnia and the next generation of leaders.
Iranian Revolutionary Guards accompanied Iranian weapons into Bosnia
and soon were integrated in the Bosnian military structure from top to
bottom as well as operating in independent units throughout Bosnia.
The Iranian intelligence service [intelligence service [VEVAK] ran wild
through the area developing intelligence networks, setting up terrorist
support systems, recruiting terrorist 'sleeper' agents and agents of
influence, and insinuating itself with the Bosnian political
leadership to a remarkable degree. The Iranians effectively annexed
large portions of the Bosnian security apparatus [known as the Agency
for Information and Documentation (AID)] to act as their intelligence
and terrorist surrogates. This extended to the point of jointly
planning terrorist activities. The Iranian embassy became the largest
in Bosnia and its officers were given unparalleled privileges and
access at every level of the Bosnian government." (page 201)

Not Just the Iranians

To understand how the Clinton green light would lead to this degree of
Iranian influence, it is necessary to remember that the policy was
adopted in the context of extensive and growing radical Islamic
activity in Bosnia. That is, the Iranians and other Muslim militants
had long been active in Bosnia; the American green light was an
important political signal to both Sarajevo and the militants that the
United States was unable or unwilling to present an obstacle to those
activities - and, to a certain extent, was willing to cooperate with
them. In short, the Clinton Administration's policy of facilitating
the delivery of arms to the Bosnian Muslims made it the de facto
partner of an ongoing international network of governments and
organizations pursuing their own agenda in Bosnia: the promotion of
Islamic revolution in Europe. That network involves not only Iran but
Brunei, Malaysia, Pakistan, Saudi Arabia, Sudan (a key ally of Iran),
and Turkey, together with front groups supposedly pursuing humanitarian
and cultural activities.

For example, one such group about which details have come to light is
the Third World Relief Agency (TWRA), a Sudan-based, phoney
humanitarian organization which has been a major link in the arms
pipeline to Bosnia. ["How Bosnia's Muslims Dodged Arms Embargo: Relief
Agency Brokered Aid From Nations, Radical Groups," Washington Post,
9/22/96; see also "Saudis Funded Weapons For Bosnia, Official Says: $
300 Million Program Had U.S. 'Stealth Cooperation'," Washington Post,
2/2/96] TWA is believed to be connected with such fixtures of the
Islamic terror network as Sheik Omar Abdel Rahman (the convicted
mastermind behind the 1993 World Trade Center bombing) and Osama
Binladen, a wealthy Saudi emigre believed to bankroll numerous militant
groups. [WP, 9/22/96] (Sheik Rahman, a native of Egypt, is currently
in prison in the United States; letter bombs addressed to targets in
Washington and London, apparently from Alexandria, Egypt, are believed
connected with his case. Binladen was a resident in Khartoum, Sudan,
until last year; he is now believed to be in Afghanistan, "where he has
issued statements calling for attacks on U.S. forces in the Persian
Gulf." [on U.S. forces in the Persian Gulf." [WP, 9/22/96])

The Clinton Administration 's "Hands-On " Help

The extent to which Clinton Administration officials, notably
Ambassador Galbraith, knowingly or negligently, cooperated with the
efforts of such front organizations is unclear. For example, according
to one intelligence account seen by an unnamed U.S. official in the
Balkans, "Galbraith 'talked with representatives of Muslim countries on
payment for arms that would be sent to Bosnia,' ... [would be sent to
Bosnia,' ... [T]he dollar amount mentioned in the report was $ 500
million-$ 800 million. The U.S. official said he also saw subsequent
'operational reports' in 1995 on almost weekly arms shipments of
automatic weapons, rocket-propelled grenade launchers, anti-armor
rockets and TOW missiles." [TNR, 10/28/96] The United States played a
disturbingly "hands-on" role, with, according to the Senate report
(page 19), U.S. government personnel twice conducting inspections in
Croatia of missiles en route to Bosnia. Further -- "The U.S. decision
to send personnel to Croatia to inspect rockets bound for Bosnia is ...
subject to varying interpretations. It may have been simply a
straightforward effort to determine whether chemical weapons were
being shipped into Bosnia. It was certainly, at least in part, an
opportunity to examine a rocket in which the United States had some
interest. But it may also have been designed to ensure that Croatia
would not shut down the pipeline." (page 21)

The account in The New Republic points sharply to the latter
explanation: "Enraged at Iran's apparent attempt to slip super weapons
past Croat monitors, the Croatian defense minister nonetheless sent the
missiles on to Bosnia 'just as Peter [i.e., Ambassador Galbraith] told
us to do,' sources familiar with the episode said." [episode said."
[TNR, 10/28/96] In short, the Clinton Administration's connection with
the various players that made up the arms network seems to have been
direct and intimate.

The Mujahedin Threat

In addition to (and working closely with) the Iranian Revolutionary
Guards and VEVAK intelligence are members of numerous radical groups
known for their anti-Western orientation, along with thousands of
volunteer mujahedin ("holy warriors") from across the Islamic world.
From the beginning of the NATO- led deployment, the Clinton
Administration has given insufficient weight to military concerns
regarding the mujahedin presence in Bosnia as well as the danger they
pose to American personnel. Many of the fighters are concentrated in
the so-called "green triangle" (the color green symbolizes Islam)
centered on the town of Zenica in the American IFOR/SFOR zone but are
also found throughout the country.

The Clinton Administration has been willing to accept Sarajevo's
transparently false assurances of the departure of the foreign fighters
based on the contention that they have married Bosnian women and have
acquired Bosnian citizenship --- and thus are no longer "foreign"! or,
having left overt military units to join "humanitarian," "cultural," or
"charitable" organizations, are no longer "fighters." [See "Foreign
Muslims Fighting in Bosnia Considered 'Threat' to U.S. Troops,"
Washington Post, 11/30/95; "Outsiders Bring Islamic Fervor To the
Balkans," New York Times, 9/23/96; "Islamic Alien Fighters Settle in
Bosnia," Pittsburgh PostGazette, 9/23/96; "Mujahideen rule Bosnian
villages: Threaten NATO forces, non-Muslims," Washington Times,
9/23/96; and Yossef Bodansky, Offensive in the Balkans (November 1995)
and Some Call It Peace (August 1996), International Media Corporation,
Ltd., London. Bodansky, an analyst with the House Republican Task
Force on Terrorism and Unconventional Warfare, is an internationally
recognized authority on Islamic terrorism.] The methods employed to
qualify for Bosnian citizenship are themselves problematic: "Islamic
militants from Iran and other foreign countries are employing
techniques such as forced marriages, kidnappings and the occupation of
apartments and houses to remain in Bosnia in violation of the Dayton
peace accord and may be a threat to U.S. forces." ["Mujaheddin
Remaining in Bosnia: Islamic Militants Strongarm Civilians, Defy Dayton
Plan," Washington Post, 7/8/96]

The threat presented by the mujahedin to IFOR (and now, to SFOR) -
contingent only upon the precise time their commanders in Tehran or
Sarajevo should choose to activate them has been evident from the
beginning of the NATO-led deployment. For example, in February 1996
NATO forces raided a terrorist training camp near the town of Fojnica,
taking into custody 11 men (8 Bosnian citizens - two of whom may have
been naturalized foreign mujahedin and three Iranian instructors); also
seized were explosives "built into small children's plastic toys,
including a car, a helicopter and an ice cream cone," plus other
weapons such as handguns, sniper rifles, grenade launchers, etc. The
Sarajevo government denounced the raid, claiming the facility was an
"intelligence service school"; the detainees were released promptly
after NATO turned them over to local authorities. ["NATO Captures
Terrorist Training Camp, Claims Iranian Involvement," Associated Press,
2/16/96; "Bosnian government denies camp was for terrorists," Reuters,
2/16/96; Bodansky Some Call It Peace, page 56] In May 1996, a
previously unknown group called "Bosnian Islamic Jihad" (Jihad means
"holy war",) threatened attacks on NATO troops by suicide bombers,
similar to those that had recently been launched in Israel. ["Jihad
Threat in Bosnia Alarms NATO," The European, 5/9/96]

Stepping-Stone to Europe

The intended targets of the mujahedin network in Bosnia are not limited
to that country but extend to Western Europe. For example, in August
1995, the conservative Paris daily Le Figaro reported that French
security services believe that ,Islamic fundamentalists from Algeria
have set up a security network across Europe with fighters trained in
Afghan gerrilla camps and [[in] southern France while some have been
tested in Bosnia." [[(London) Daily Telegraph, 8/17/95] Also, in April
1996, Beligan security arrested a number of Islamic militants,
including two native Bosnians, smuggling weapons to Algerian
guerrillas active in France. [in France. [Intelligence Newsletter,
Paris, 5/9/96 (No. 287)] Finally, also in April 1996, a meeting of
radicals aligned with HizbAllah ("Party of God"), a pro-Iran group
based in Lebanon, set plans for stepping up attacks on U.S. assets on
all continents; among those participating was an Egyptian, Ayman al-
Zawahiri, who "runs the Islamist terrorist operations in Bosnia-
Herzegovina from a special headquarters in Sofa, Bulgaria. His forces
are already deployed throughout Bosnia, ready to attack US and other
I-FOR (NATO Implementation Force) targets." ["States- Sponsored
Terrorism and The Rise of the HizbAllah International," Defense and
Foreign Affairs and Strategic Policy, London, 8/31/96 Finally, in
December 1996, French and Belgain security arrested several would-be
terrorists trained at Iranian-run camps in Bosnia.["Terrorism: The
Bosnian Connection," (Paris) L'Express, 12/26/96]

The Radical Islamic Character of the Sarajevo Regime

Underlying the Clinton Administration's misguided policy toward Iranian
influence in Bosnia is a fundamental misreading of the true nature of
the Muslim regime that benefited from the Iran/Bosnia arms policy.
"The most dubious of all Bosniac [i.e., Bosnian Muslim] claims pertains
to the self-serving commercial that the government hopes to eventually
establish a multiethnic liberal democratic society. Such ideals may
appeal to a few members of Bosnia's ruling circles as well as to a
generally secular populace, but President Izethbegovic and his cabal
appear to harbor much different private intentions and goals."
["Selling the Bosnia Myth to America: Buyer Beware," Lieutenant Colonel
John E. Sray, USA, U.S. Army Foreign Military Studies Office, Fort
Leavenworth, KS, October 1995]

The evidence that the leadership of the ruling Party of Democratic
Action (SDA), and consequently, the Sarajevo-based government, has long
been motivated by the principles of radical Islam is inescapable. The
following three profiles are instructive:

Alija Izetbegovic: Alija Izetbegovic, current Bosnian president and
head of the SDA, in 1970 authored the radical "Islamic Declaration,"
which calls for "the Islamic movement" to start to take power as soon
as it can Overturn "the existing non- Muslim government...[Muslim
government...[and] build up a new Islamic one," to destroy non-Islamic
institutions ("There can be neither peace nor coexistence between the
Islamic religion and non-Islamic social institutions'), and to create
an international federation of Islamic states. [The Islamic
Declaration: A Programme for the Islamization of Muslims and the Muslim
Peoples, Sarajevo, in English, 19901 Izetbegovic's radical pro-Iran
associations go back decades: "At the center of the Iranian system in
Europe is Bosnia-Hercegovina." President, Alija Izetbegovic, . . . who
is committed to the establishment Of an Islamic Republic in Bosnia-
Hercegovina." ["Iran's European Springboard?", House Republican Task
Force on Terrorism and Unconventional Warfare, 9/1/92 The Task Force
report further describes Izetbegovic's contacts with Iran and Libya in
1991, before the Bosnian war began; he is also noted as a
"fundamentalist Muslim" and a member of the "Fedayeen of Islam"
organization, an Iran-based radical group dating to the 1930s and which
by the late 1960s had recognized the leadership of the Ayatollah
Khomeini (then in exile from the Shah). Following Khomeini's accession
to power in 1979, Izetbegovic stepped-up his efforts to establish
Islamic power in Bosnia and was jailed by the communists in 1983.
Today, he is open and unapologetic about his links to Iran: "Perhaps
the most telling detail of the [detail of the [SDA's September 1, 1996]
campaign rally ... was the presence of the Iranian Ambassador and his
Bosnian and Iranian bodyguards, who sat in the shadow of the huge
birchwood platform.... As the only foreign diplomat [platform.... As
the only foreign diplomat [present], indeed the only foreigner
traveling in the President's [only foreigner traveling in the
President's [i.e., Izetbegovic's] heavily guarded motorcade of bulky
four-wheel drive jeeps, he lent a silent Islamic imprimatur to the
event, one that many American and European supporters of the Bosnian
Government are trying hard to ignore or dismiss." [trying hard to
ignore or dismiss." [NYT, 9/2/96] During the summer 1996 election
campaign, the Iranians delivered to him, in two suitcases, $ 500,000 in
cash; Izetbegovic "is now 'literally on their [on their [i.e., the
Iranians'] payroll,' according to a classified report based on the
CIA's analysis of the issue." LAT, 12/31/96. See also "Iran
Contributed $ [LAT, 12/31/96. See also "Iran Contributed $ 500,000 to
Bosnian President's Election Effort, U.S. Says," New York Times,
1/l/97, and Washington Times, 1/2/97] Adil Zulfikarpasic, a Muslim co-
founder of the SDA, broke with Izetbegovic in late 1990 due to the
increasingly overt fundamentalist and pro-Iranian direction of the
party. [See Milovan Djilas, Bosnjak: Adil Zulfikarpasic, Zurich, 1994]

Hassan (or Hasan) Cengic: Until recently, deputy defense minister (and
now cosmetically reassigned to a potentially even more dangerous job in
refugee resettlement at the behest of the Clinton Administration),
Cengic, a member of a powerful clan headed by his father, Halid Cengic,
is an Islamic cleric who has traveled frequently to Tehran and is
deeply involved in the arms pipeline. ["Bosnian Officials Involved in
Arms Trade Tied to Radical States," Washington Post, 9/22/96] Cengic
was identified by Austrian police as a member of TWRA's supervisory
board, "a fact confirmed by its Sudanese director, Elfatih Hassanein,
in a 1994 interview with (lazi Husrev Beg, an Islamic affairs magazine.
Cengic later became the key Bosnian official involved in setting up a
weapons pipeline from Iran.... Cengic ... is a longtime associate of
Izetbegovic's. He was one of the co- defendants in Izetbegovic's 1983
trial for fomenting Muslim nationalism in what was then Yugoslavia.
Cengic was given a 10- year prison term, most of which he did not
serve. In trial testimony Cengic was said to have been traveling to
Iran since 1983. Cengic lived in Tehran and Istanbul during much of
the war, arranging for weapons to be smuggled into Bosnia." [WP,
9/22/961 According to a Bosnian Croat radio profile: "Hasan's father,
Halid Cengic ... is the main logistic expert in the Muslim army. All
petrodollar donations from the Islamic world and the procurement of
arms and military technology for Muslim units went through him. He
made so much money out of this business that he is one of the richest
Muslims today. Halid Cengic and his two sons, of whom Hasan has been
more in the public spotlight, also control the Islamic wing of the
intelligence agency AID [Agency for Information and Documentation].
Well informed sources in Sarajevo claim that only Hasan addresses
Izetbegovic with 'ti' [second person singular, used as an informal form
of address] while all the others address him as 'Mr. President,"' a
sign of his extraordinary degree of intimacy with the president. [BBC
Summary of World Broadcasts, 10/28/96, "Radio elaborates on Iranian
connection of Bosnian deputy defense minister," from Croat Radio
Herceg-Bosna, Mostar, in Serbo-Croatian, 10/25/96, bracketed text in
original] In late 1996, at the insistence of the Clinton
Administration, Hassan Cengic was reassigned to refugee affairs.
However, in his new capacity he may present an even greater hazard to
NATO forces in Bosnia, in light of past incidents such as the one that
took place near the village of Celic in November 1996. At that time,
in what NATO officers called part of a pattern of "military operations
in disguise," American and Russian IFOR troops were caught between
Muslims and Serbs as the Muslims, some of them armed, attempted to
encroach on the cease-fire line established by Dayton; commented a NATO
spokesman: "We believe this to be a deliberate, orchestrated and
provocative move to circumvent established procedures for the return of
refugees." ["Gunfire Erupts as Muslims Return Home," Washington Post,
11/13/96]

Dzemal Merdan: "The office of Brig. Gen. Dzemal Merdan is an ornate
affair, equipped with an elaborately carved wooden gazebo ringed with
red velvet couches and slippers for his guests. A sheepskin prayer mat
lies in the comer, pointing toward Mecca. The most striking thing in
the chamber is a large flag. It is not the flag of Bosnia, but of
Iran. Pinned with a button of the Ayatollah Ruhollah Khomeini, Iran's
late Islamic leader, the flag occupies pride of place in Merdan's digs
-- displayed in the middle of the gazebo for every visitor to see. Next
to it hangs another pennant that of the Democratic Action Party, the
increasingly nationalist Islamic organization of President Alija
Izetbegovic that dominates Bosnia's Muslim region.... Merdan's position
highlights the American dilemma. As head of the office of training and
development of the Bosnian army, he is a key liaison figure in the U.S.
[liaison figure in the U.S. [arm and train] program.... But Merdan,
Western sources say, also has another job -- as liaison with foreign
Islamic fighters here since 1992 and promoter of the Islamic faith
among Bosnia's recruits. Sources identified Merdan as being
instrumental in the creation of a brigade of Bosnian soldiers, called
the 7th Muslim Brigade, that is heavily influenced by Islam and trained
by fighters from Iran's Revolutionary Guards. He has also launched a
program, these sources say, to build mosques on military training
grounds to teach Islam to Bosnian recruits. In addition, he helped
establish training camps in Bosnia where Revolutionary Guards carried
out their work." ["Arming the Bosnians: U.S. Program Would Aid Force
Increasingly Linked to Iran," Washington Post, 1/26/96, emphasis
added] General Merdan is a close associate of both Izetbegovic and
Cengic; the central region around Zenica, which was "completely
militarized in the first two years of the war" under the control of
Merdan's mujahedin, is "under total control of the Cengic family."
["Who Rules Bosnia and Which Way," (Sarajevo) Slobodna Bosna, 11/17/96,
FBIS translation; Slobodna Bosna is one of the few publications in
Muslim-held areas that dares to criticize the policies and personal
corruption of the ruling SDA clique.] Merdan's mujahedin were accused
by their erstwhile Croat allies of massacring more than 100 Croats near
Zenica in late 1993. ["Bosnian Croats vow to probe war crimes by
Moslems," Agence France Presse, 5/12/95]

The Islamization of the Bosnian Army

In cooperation with the foreign Islamic presence, the Izetbegovic
regime has revamped its security and military apparatus to reflect its
Islamic revolutionary outlook, including the creation of mujahedin
units throughout the army; some members of these units have assumed
the guise of a shaheed (a "martyr," the Arabic term commonly used to
describe suicide bombers), marked by their white garb, representing a
shroud. While these units include foreign fighters naturalized in
Bosnia, most of the personnel are now Bosnian Muslims trained and
indoctrinated by Iranian and other foreign militants - which also makes
it easier for the Clinton Administration to minimize the mujahedin
threat, because few of them are "foreigners."

Prior to 1996, there were three principal mujahedin units in the
Bosnian army, the first two of which are headquartered in the American
IFOR/SFOR zone: (1) the 7th Muslim Liberation Brigade of the 3rd Corps,
headquartered in Zenica; (2) the 9th Muslim Liberation Brigade of the
2nd Corps, headquartered in Travnik (the 2nd Corps is based in Tuzla);
and (3) the 4th Muslim Liberation Brigade of the 4th Corps,
headquartered in Konjic (in the French zone). [Bodansky, Some Call It
Peace, page 401 Particularly ominous, many members of these units have
donned the guise of martyrs, indicating their willingness to sacrifice
themselves in the cause of Islam. Commenting on an appearance of
soldiers from the 7th Liberation Brigade, in Zenica in December 1995,
Bodansky writes: "Many of the fighters ... were dressed in white
coveralls over their uniforms. Officially, these were 'white winter
camouflage,' but the green headbands [bearing Koranic verses] these
warriors were wearing left no doubt that these were actually Shaheeds'
shrouds." [Some Call It Peace, page 12] The same demonstration was
staged before the admiring Iranian ambassador and President
Izethbegovic in September 1996, when white winter garb could only be
symbolic, not functional. [[NYT, 9/2/96] By June 1996, ten more
mujahedin brigades had been established, along with numerous smaller
"special units' dedicated to covert and terrorist operations; while
foreigners are present in all of these units, most of the soldiers are
now native Bosnian Muslims. [native Bosnian Muslims. [Some Call It
Peace, pages 42-46]

In addition to these units, there exists another group known as the
Handzar ("dagger" or 94 scimitar") Division, described by Bodansky as a
"praetorian guard" for President Izetbegovic. "Up to 6000-strong, the
Handzar division glories in a fascist culture. They see themselves as
the heirs of the SS Handzar division, formed by Bosnian Muslims in 1943
to fight for the Nazis. Their spiritual model was Mohammed Amin
al-Husseini, the Grand Mufti of Jerusalem who sided with Hitler.
According to LJN officers, surprisingly few of those in charge of the
Handzars ... seem to speak good Serbo-Croatian. 'Many of them are
Albanian, whether from Kosovo [the Serb province where Albanians are
the majority] or from Albania itself.' They are trained and led by
veterans from Afghanistan and Pakistan, say LTN sources." ["Albanians
and Afghans fight for the heirs to Bosnia's SS past," (London) Daily
Telegraph, 12/29/93, bracketed text in original]

Self-Inflicted Atrocities

Almost since the beginning of the Bosnian war in the spring of 1992,
there have been persistent reports -- readily found in the European
media but little reported in the United States -- that civilian deaths
in Muslim-held Sarajevo attributed to the Bosnian Serb Army were in
some cases actually inflicted by operatives of the Izetbegovic regime
in an (ultimately successful) effort to secure American intervention on
Sarajevo's behalf. These allegations include instances of sniping at
civilians as well as three major explosions, attributed to Serbian
mortar fire, that claimed the lives of dozens of people and, in each
case, resulted in the international community's taking measures against
the Muslims' Serb enemies. (The three explosions were: (1) the May 27,
1992, "breadline massacre." which was reported to have killed 16 people
and which resulted in economic sanctions on the Bosnian Serbs and rump
Yugoslavia; (2) the February 5, 1994, Markale "market massacre,"
killing 68 and resulting in selective NATO air strikes and an ultimatum
to the Serbs to withdraw their heavy weapons from the area near
Sarajevo; and (3) the August 28, 1995 "second market massacre,"
killing 37 and resulting in large-scale NATO air strikes, eventually
leading to the Dayton agreement and the deployment of IFOR.) When she
was asked about such allegations (with respect to the February 1994
explosion) then-U.N. Ambassador and current Secretary of
State-designate Madeleine Albright, in a stunning non sequitur, said:
"It's very hard to believe any country would do this to their own
people, and therefore, although we do not exactly know what the facts
are, it would seem to us that the Serbs are the ones that probably have
a great deal of responsibility." ["Senior official admits to secret
U.N. report on Sarajevo massacre," Deutsch Presse-Agentur, 6/6/96,
emphasis added]

The fact that such a contention is difficult to believe does not mean
it is not true. Not only did the incidents lead to the result desired
by Sarajevo (Western action against the Bosnian Serbs), their staging
by the Muslims would be entirely in keeping with the moral outlook of
Islamic radicalism, which has long accepted the deaths of innocent
(including Muslim) bystanders killed in terrorist actions. According
to a noted analyst: "The dictum that the end justifies the means is
adopted by all fundamentalist organizations in their strategies for
achieving political power and imposing on society their own view of
Islam. What is important in every action is its niy 'yah, its motive.
No means need be spared in the service of Islam as long as one takes
action with a pure niy' Yah." [Amir Taheri, Holy Terror, Bethesda, MD,
1987] With the evidence that the Sarajevo leadership does in fact have
a fundamentalist outlook, it is unwarranted to dismiss cavaliery the
possibility of Muslim responsibility. Among some of the reports:

Sniping: "French peacekeeping troops in the United Nations unit trying
to curtail Bosnian Serb sniping at civilians in Sarajevo have concluded
that until mid-June some gunfire also came from Government soldiers
deliberately shooting at their own civilians. After what it called a
'definitive' investigation, a French marine unit that patrols against
snipers said it traced sniper fire to a building normally occupied by
Bosnian [i.e., Muslim] soldiers and other security forces. A senior
French officer said, 'We find it almost impossible to believe, but we
are sure that it is true."' ["Investigation Concludes Bosnian
Government Snipers Shot at Civilians," New York Times, 8/l/951

The 1992 "Breadline Massacre": "United Nations officials and senior
Western military officers believe some of the worst killings in
Sarajevo, including the massacre of at least 16 people in a bread
queue, were carried out by the city's mainly Muslim defenders -- not
Serb besiegers -- as a propaganda ploy to win world sympathy and
military intervention.... Classified reports to the UN force
commander, General Satish Nambiar, concluded ... that Bosnian forces
loyal to President Alija Izetbegovic may have detonated a bomb. 'We
believe it was a command-detonated explosion, probably in a can,' a UN
official said then. 'The large impact which is there now is not
necessarily similar or anywhere near as large as we came to expect with
a mortar round landing on a paved surface." ["Muslims 'slaughter their
own people'," (London) The Independent, 8/22/92] "Our people tell us
there were a number of things that didn't fit. The street had been
blocked off just before the incident. Once the crowd was let in and
had lined up, the media appeared but kept their distance. The attack
took place, and the media were immediately on the scene." [Major
General Lewis MacKenzie, Peacekeeper: The Road to Sarajevo, Vancouver,
BC, 1993, pages 193-4; Gen. MacKenzie, a Canadian, had been commander
of the U.N. peacekeeping force in Sarajevo.]

The 1994 Markale "Market Massacre": "French television reported last
night that the United Nations investigation into the market-place
bombing in Sarajevo two weeks ago had established beyond doubt that
the mortar shell that killed 68 people was fired from inside Bosnian
[Muslim lines." [people was fired from inside Bosnian [Muslim] lines."
["UN tracks source of fatal shell," (London) The Times, 2/19/94] "For
the first time, a senior U.N. official has admitted the existence of a
secret U.N. report that blames the Bosnian Moslems for the February
1994 massacre of Moslems at a Sarajevo market.... After studying the
crater left by the mortar shell and the distribution of shrapnel, the
report concluded that the shell was fired from behind Moslem lines."
The report, however, was kept secret; the context of the wire story
implies that U.S. Ambasador Albright may have been involved in its
suppression. [DPA, 6/6/961 For a fuller discussion of the conflicting
claims, see "Anatomy of a massacre," Foreign Policy, 12/22/94, by David
Binder; Binder, a veteran New York Times reporter in Yugoslavia, had
access to the suppressed report. Bodansky categorically states that
the bomb "was actually a special charge designed and built with help
from HizbAllah ["Party of God," a Beirut-based pro-Iranian terror
group] experts and then most likely dropped from a nearby rooftop onto
the crowd of shoppers. Video cameras at the ready recorded this
expertly-staged spectacle of gore, while dozens of corpses of Bosnian
Muslim troops killed in action (exchanged the day before in a 'body
swap' with the Serbs) were paraded in front of cameras to raise the
casualty counts." [Offensive in the Balkans, page 62]

The 1995 "Second Market Massacre": "British ammunition experts serving
with the United Nations in Sarajevo have challenged key 'evidence' of
the Serbian atrocity that triggered the devastating Nato bombing
campaign which turned the tide of the Bosnian war." The Britons'
analysis was confirmed by French analysts but their findings were
"dismissed" by "a senior American officer" at U.N. headquarters in
Sarajevo. ["Serbs 'not guilty' of massacre: Experts warned US that
mortar was Bosnian," (London) The Times, 10/i/95 A "crucial U.N. report
[(London) The Times, 10/i/95] A "crucial U.N. report [stating Serb
responsibility for] the market massacre is a classified secret, but
four specialists - a Russian, a Canadian and two Americans - have
raised serious doubts about its conclusion, suggesting instead that the
mortar was fired not by the Serbs but by Bosnian government forces." A
Canadian officer "added that he and fellow Canadian officers in Bosnia
were 'convinced that the Muslim government dropped both the February 5,
1994, and the August 28, 1995, mortar shells on the Sarajevo markets."'
An unidentified U.S. official "contends that the available evidence
suggests either 'the shell was fired at a very low trajectory, which
means a range of a few hundred yards - therefore under [a range of a
few hundred yards - therefore under [Sarajevo] government control,' or
'a mortar shell converted into a bomb was dropped from a nearby roof
into the crowd."' ["Bosnia's bombers," The Nation, 10/2/95 ]. At least
some high-ranking French and perhaps other Western officials believed
the Muslims responsible; after having received that account from
government ministers and two generals, French magazine editor Jean
Daniel put the question directly to Prime Minister Edouard Balladur:
"'They [i.e., the Muslims] have committed this carnage on their own
people?' I exclaimed in consternation. 'Yes,' confirmed the Prime
Minister without hesitation, 'but at least they have forced NATO to
intervene. "' ["No more lies about Bosnia," Le Nouvel Observateur,
8/31/95, translated in Chronicles - A Magazine of American Culture,
January 1997]

Suppression of Enemies

As might be expected, one manifestation of the radical Islamic
orientation of the Izetbegovic government is increasing curtailment of
the freedoms of the remaining non-Muslims (Croats and Serbs) in the
Muslim-held zone. While there are similar pressures on minorities in
the Serb- and Croat-held parts of Bosnia, in the Muslim zone they have
a distinct Islamic flavor. For example, during the 1996-1997 Christmas
and New Year holiday season, Muslim militants attempted to intimidate
not only Muslims but Christians from engaging in what had become common
holiday practices, such as gift-giving, putting up Christmas or New
Year's trees, and playing the local Santa Claus figure, Grandfather
Frost (Deda Mraz). ["The Holiday, All Wrapped Up; Bosnian Muslims Take
Sides Over Santa," Washington Post, 12/26/96] hi general: "Even in
Sarajevo itself, always portrayed as the most prominent multi-national
community in Bosnia, pressure, both psychological and real, is
impelling non-Bosniaks [i.e., non- Muslims] to leave. Some measures
are indirect, such as attempts to ban the sale of pork and the growing
predominance of [to ban the sale of pork and the growing predominance
of [Bosniak] street names. Other measures are deliberate efforts to
apply pressure. Examples include various means to make nonBosniaks
leave the city. Similar pressures, often with more violent expression
and occasionally with overt official participation, are being used
throughout Bosnia." ["Bosnia's Security and U.S. Policy in the Next
Phase A Policy Paper, International Research and Exchanges Board,
November 1996]

In addition, President Izetbegovic's party, the SDA, has launched
politically-motivated attacks on moderate Muslims both within the SDA
and in rival parties. For example, in the summer of 1996 former Prime
Minister Haris Silajdzic. (a Muslim, and son of the former imam at the
main Sarajevo mosque) was set upon and beaten by SDA militants.
Silajdzic claimed Izetbegovic himself was behind the attacks. [was
behind the attacks. [NYT, 9/2/96] h-fan Mustafic, a Muslim who
cofounded the SDA, is a member of the Bosnian parliament and was
president of the SDA's executive council in Srebrenica when it fell to
Bosnian Serb forces; he was taken prisoner but later released. Because
of several policy disagreements with Izetbegovic and his close
associates, Mustafic was shot and seriously wounded in Srebrenica by
Izetbegovic loyalists. [[(Sarajevo) Slobodna Bosna, 7/14/96] Finally,
one incident sums up both the ruthlessness of the Sarajevo
establishment in dealing with their enemies as well as their
international radical links: "A special Bosnian army unit headed by
Bakir Izetbegovic, the Bosnian president's son, murdered a Bosnian
general found shot to death in Belgium last week, a Croatian newspaper
reported ... citing well-informed sources. The Vjesnik newspaper,
controlled by the government, said the assassination of Yusuf Prazina
was carried out by five members of a commando unit called 'Delta' and
headed by Ismet Bajramovic also known as Celo. The paper said that
three members of the Syrian-backed Palestinian movement Saika had
Prazina under surveillance for three weeks before one of them, acting
as an arms dealer, lured him into a trap in a car park along the main
highway between Liege in eastern Belgium and the German border town of
Aachen. Prazina, 30, nicknamed Yuka, went missing early last month.
He was found Saturday with two bullet holes to the head. 'The
necessary logistical means to carry out the operation were provided by
Bakir Izetbegovic, son of Alija Izetbegovic,, who left Sarajevo more
than six months ago,' Vjesnik said. It added that Bakir Izetbegovic
'often travels between Brussels, Paris, Frankfurt, Baghdad, Tehran and
Ankara, by using Iraqi and Pakistani passports,' and was in Belgium at
the time of the assassination. Hasan Cengic, head of logistics for the
army in Bosnia- Hercegovina, was 'personally involved in the
assassination of Yuka Prazina,' the paper said." [Yuka Prazina,' the
paper said." [Agence France Presse, 1/5/94]

Conclusion

The Clinton Administration's blunder in giving the green light to the
Iranian arms pipeline was based, among other errors, on a gross
misreading of the true nature and goals of the Izetbegovic regime in
Sarajevo. It calls to mind the similar mistake of the Carter
Administration, which in 1979 began lavish aid to the new Sandinista
government in Nicaragua in the hopes that (if the United States were
friendly enough) the nine comandantes would turn out to be democrats,
not communists, despite abundant evidence to the contrary. By the time
the Reagan Administration finally cut off the dollar spigot in 198 1,
the comandantes -- or the "nine little Castros," as they were known
locally -- had fully entrenched themselves in power.

To state that the Clinton Administration erred in facilitating the
penetration of the Iranians and other radical elements into Europe
would be a breathtaking understatement. A thorough reexamination of
U.S. policy and goals in the region is essential. In particular,
addressing the immediate threat to U.S. troops in Bosnia, exacerbated
by the extention of the IFOR/SFOR mission, should be a major priority
of the of the 105th Congress.


RPC staff contact: Jim Jatras, 224-2946

The URL of this article is:
http://globalresearch.ca/articles/DCH109A.html

Copyright, Federal Document Clearing House,
Congressional Press Releases, 1997. For fair use only.

Intervista con l'ex ministro degli esteri della Jugoslavia

http://www.artel.co.yu/en/izbor/jugoslavija/2004-04-07.html

Giornalista: Noah Tucker
Venerdi', 26 Marzo 2004


Zivadin Jovanovic, ex ministro degli esteri della Jugoslavia
(nel governo Milosevic) intervistato da Noah Tucker


Perche' la Jugoslavia fu scelta ed isolata, con un trattamento
particolare da parte dell'Occidente?

Principalmente a causa degli interessi geopolitici della NATO e
specialmente degli USA. La ex-Jugoslavia e' situata in una posizione
estremamente importante in Europa. E' sul crocevia tra Medio Oriente e
regioni del Caspio. Non penso di dover spiegare perche' sia cosi'
importante.
Credo che la NATO considerava la Jugoslavia un ostacolo alla sua
espansione verso est per il controllo strategico dell'Eurasia. Quindi
era nei loro interessi indebolire e frammentare la Jugoslavia cosi' da
avere un piu' facile accesso
e controllo. Inoltre, cambiamenti globali in Europa hanno reso le
truppe americane e le basi NATO non necessarie nell'Europa Centrale.
Non ci sono piu' pericoli dal patto di Varsavia e dalla Russia e cosi'
era comprensibile che la NATO provasse a trovare un nuovo ruolo, e in
cerca di nuove basi piu' in linea con la nuova situazione e con gli
obiettivi
strategici.
Ora hanno Camp Bondsteel in Kosovo e Metohija, Krivolak in
Macedonia, e Tuzla in Bosnia, vicino al confine con la Serbia. Gli
americani vorrebbero anche avere basi dentro la Serbia, inclusa una
sulla nostra montagna piu' alta, il Kopaonik.
Gli USA hanno costruito una rete di basi nei Balcani - cosi' come in
Grecia - e hanno la Romania, la Croazia e l'Albania, che sono membri
della "Partnership per la Pace" e candidati membri della NATO.


Perche' la Jugoslavia era fuori dalla NATO? La Serbia chiedera' di
entrare a far parte della NATO?

La Jugoslavia non e' mai stata come le altre nazioni dell'est europeo.
Sin dall'inizio della II Guerra Mondiale fummo parte delle forze
alleate, e non come l'Ungheria, la Romania, la Bulgaria e l'Albania che
non si unirono agli alleati se non alla fine della guerra. Noi ci
liberammo da soli, piuttosto che essere liberati dall'Armata Rossa. E
resistemmo anche a Stalin. Avevamo una posizione che era fra Varsavia e
Bruxelles, indipendenti da Mosca e Washington. Cosi', per ragioni
storiche, siamo differenti dal resto, e siamo stati trattati
diversamente.
Dobbiamo avere un dialogo e persino una qualche co-operazione con la
NATO. Ma siamo stati vittime solo 5 anni fa dell'aggressione della
NATO, che ha avuto conseguenze terribili sulla nostra economia, la
nostra societa' e la salute del nostro popolo.
Ci sono due punti a mio avviso.
Primo: ogni cambiamento strategico, per esempio l'entrata nella
"Partnership per la Pace" o nella NATO, potrebbe essere deciso solo
tramite un referendum.
Secondo: Serbia e Montenegro dovrebbe curarsi della propria sicurezza
nel quadro del concetto di sicurezza europea, o cercare di garantirsi
una posizione riconosciuta di neutralita'.


Potrebbe spiegare le due decisioni tattiche del governo di cui fu
membro - l'accordo per il cessate il fuoco in Kosovo nell'Ottobre del
1998, con il quale l'UCK rafforzo' la sua posizione con l'assistenza
americana, e l'accordo con la NATO nel giugno 1999 che permise alla
NATO di rivendicare la vittoria anche se le forze armate jugoslave
erano apparentemente ancora capaci di combattere?

Nella cosiddetta tregua del 1998, il governo jugoslavo cerco' sempre di
essere cooperativo, alla ricerca di stabilita'. Nell'accettare la
richiesta di una tregua in Kosovo e Metohija, la Jugoslavia tenne conto
del fatto che gli USA avevano influenza sull'UCK. Il loro terrorismo
era come un cancro per la Serbia. Il governo sperava che gli Stati
Uniti avrebbero esercitato un controllo su di loro.


Non fu ingenuo?

Avevamo l'esperienza degli accordi di Dayton. La pace fu raggiunta in
Bosnia, sebbene con condizioni sfavorevoli ai serbi, e risulto' in una
qualche stabilita'. Cosi' nel 1998, il governo jugoslavo conto' su una
ragionevole possibilita' che gli USA potessero attenersi alla loro
parte di accordo. Alla fine del bombardamento del 1999 - e' un fatto
storico che la NATO e l'America calcolarono male la forza della difesa
jugoslava. Ricordate le dichiarazioni secondo cui in tre o sette o
quattordici giorni la Serbia avrebbe capitolato... Questo e' quanto,
nonostante che il potere militare della NATO fosse senza paragoni
rispetto al potenziale ed all'equipaggiamento militare jugoslavo.
La guerra doveva essere conclusa ad un qualche stadio. Fini' ad un
punto in cui l'esercito e l'equipaggiamento jugoslavo non erano stati
troppo afflitti dai 78 giorni di bombardamento continuo. Ma la NATO
aveva oramai iniziato ampiamente e massicciamente ad attaccare
obiettivi civili, citta', televisioni, stazioni, mercati, treni,
ospedali, scuole, ponti, impianti di energia elettrica, e cosi via. Il
bombardamento fini con un accordo che poneva la responsibilita' sul
Kosovo e Metohija nelle mani del consiglio di sicurezza dell'ONU
piuttosto che della NATO - tralasciando gli abusi del consiglio di
Sicurezza... Stiamo parlando del momento giusto per raggiungere un
accordo.
Ed infine, e' comprensibile che le nostre riserve militari, di
petrolio, di munizioni, ecc. fossero piuttosto esauste. Le sanzioni, la
mancanza di valuta straniera e la pressoche' totale cortina di ferro
erettaci intorno dai paesi vicini sotto incredibili pressioni
americane, ci resero difficile, quasi impossibile rifornire le nostre
riserve. Il governo Eltsin in Russia invece di aiutarci a sostenere le
pressioni, ci trasmise le pressioni americane.


Puo' spiegarci qualcosa del passaggio di potere in Jugoslavia ed in
Serbia nell'anno 2000?

Ebbe molte delle caratteristiche dell'interferenza e della pressione
americana, incluse le interferenze nel processo elettorale. E cio'
contrariamente ai principi internazionali di base e alle risoluzioni
ONU.
Secondo dati ufficiali del congresso USA, gli USA hanno speso 100
milioni di dollari per la 'democratizzazione' della Serbia. Essi sono
andati alla DOS, la 'coalizione democratica' di alcuni partiti, media
di opposizione e qualche ONG. Per non menzionare poi i soldi che sono
arrivati da George Soros. Questo livello di interferenza,
inimmaginabile in qualsiasi paese occidentale, porto' alla deformazione
della volonta' dell'elettorato nelle elezioni del settembre e dicembre
del 2000.
Personalmente penso che le conseguenze di questo cambio - che fu
essenzialmente il risultato degli interessi occidentali piuttosto che
il risultato di una reale liberta' dei cittadini - si sentano ancora in
Serbia. Tutti sono rimasti sorpresi da come i Radicali abbiano ottenuto
una cosi alta popolarita' in Serbia. La spiegazione e' che i risultati
delle recenti elezioni, del 28 Dicembre 2003, sono stati il frutto
della reazione contro i risultati artificiali del 2000.


E il partito Socialista?

Il partito Socialista ha sofferto terribilmente perche' fu considerato
il solo pericolo reale dalla DOS. Cosi' la pressione combinata da fuori
e da dentro ha portato al frazionamento del partito, con una parte di
esso che partecipa oggi alla coalizione [di governo]. Queste pressioni
continuano. Gli Americani vorrebbero che il partito socialista
divenisse anti-Milosevic. Ma io penso che cio' potrebbe essere
addirittura controproducente, e sicuramente non utile alla stabilita'
politica e alle relazioni con l'Occidente.
In un paese con simili problemi economici, in una situazione sociale
esplosiva, in uno stato indefinito, urge un partito socialista molto
forte, e non ci sono chance di inventare un partito socialista migliore
di quello che gia' esiste. Cosi' le prossime elezioni generali
potrebbero rappresentare una ulteriore prova di disapprovazione verso
l'Occidente, ancora maggiore di quella avuta con i risultati del
Dicembre 2003.


[ Sulla base delle traduzioni pervenute da PT e DK, che ringraziamo di
cuore.
Revisione a cura del CNJ ]

http://www.antiwar.com/malic/

Imperial Relapse

Kosovo Pogrom Forgotten

by Nebojsa Malic

April 8, 2004

After the mid-March pogrom against Serbs in Kosovo, which clearly aimed
at their physical destruction, Empire's propaganda machine went into
full spin trying to cover up the extent of the occupiers' failure to
prevent such aggression. Albanian partisans in the West launched
passionate tirades about the necessity of giving the "Kosovars"
independence now, and helping them overcome the frustration with evil
Serbs that has provoked them into entirely justifiable – if not exactly
humanitarian – violence. The Serbian leadership once again demonstrated
ineptitude at dealing with a coordinated hostile media campaign,
mounting feeble and ineffective challenges to the onslaught of Albanian
advocacy. Meanwhile, the Empire escalated the issue of "war crimes,"
thus making sure that any news from the Balkans – if it gets past the
headlines about the meltdown in Mesopotamia – would deal with a topic
whose tone and targets it can easily dictate.

On Paper, Violence Continues

A wave of editorials supporting the Albanian cause began appearing in
leading Western papers on the second day of the pogrom, and has
continued unabated since. Though differing in tone and angle, the
commentaries overlap on several salient points: Albanians are the
majority in Kosovo, have been
oppressed by Serbs, and would never accept anything but independence,
therefore it is the only option; partition is also unacceptable to
Albanians, as Kosovo's borders are sacred; what caused the "violence"
in mid-March was fear of Serbs and frustration with uncertainty about
future, so the obvious way to solve the problem would be removing the
fear (by implication, removing Serbs?) by giving Albanians
independence. As days go by and the pogrom recedes in people's memories
– thanks to the widespread reluctance to publish graphic images of
Albanian destruction – the screeds get bolder in their assertions, and
more brazen in their denial of what has been happening for years.

Paul Williams and Bruce Hitchner co-authored an editorial advocating an
independent, Albanian Kosovo on March 23, in the Baltimore Sun. They
clamor that "the United States must reassert its leadership in the
region" by leading efforts to "provide for the emergence of an
independent Kosovo by fall."

Williams's claim to infamy is his role as the "legal advisor" to both
the Izetbegovic regime in Bosnia and the KLA, and involvement in both
the Dayton blackmail and the Rambouillet charade. Hitchner chairs a
"Dayton Peace Accords Project," and has advocated Kosovo independence
before, also in tandem with Williams.

Clinton's point-man in Kosovo James Dobbins claimed in the
International Herald Tribune on April 1 that "there are really only two
viable options for Kosovo, both involving independence." Of those, the
one that would avoid partition would be "most consistent with existing
U.S. and EU policies in the region, and provides the less bad
precedent."

The very same day, journalist Tim Judah "analyzed" the pogrom for BBC
by saying that "The problem, then, is how this province will ever be
reabsorbed into Serbia – and the likelihood is that it will not. In
that case, the problem is how to separate it." He further insinuated
that the Serbian government was willing to give up Kosovo, claiming
that a US envoy visiting
Belgrade "was reportedly stunned when a top Serbian officially proposed
that everyone simply dispense with the niceties and Kosovo be
partitioned sooner rather than later."

Perhaps forced to atone for his earlier sincerity, Nicholas Wood of the
New York Times produced a piece on April 3 describing the barbarous
destruction of medieval churches as a "cycle of revenge," invoking as
excuses the alleged Serb destruction of mosques during the war and the
attacks on mosques in Belgrade, Nis and Novi Sad during the pogrom.

Finally, on April 5, a former "media commissioner" and "political
adviser to the UN Kosovo protection corps coordinator" in occupied
Kosovo wrote the most overtly formulaic case for the Albanian cause in
The Guardian. Not only did Anna Di Lellio dispute the description of
the pogrom as "ethnic cleansing," she blamed it on the Serbs, much like
Hashim Taqi some ten days prior.

No Fighting Back?

Response to this media onslaught has been largely muted. Ivan Vujacic,
the hapless Serbian Ambassador to Washington, tried to answer Morton
Abramowitz's March 19 editorial with a "Yes, but" approach. One Serbian
parliamentarian even tried to present a pragmatic case for Serb
"minority self-rule" in Kosovo to the rabidly Serbophobic IWPR, which
sounded reasonable but appeared downright foolish in the medium's
context.

It fell to Western commentators – two Canadians and a Brit, with
Americans predictably absent – to offer a counter-argument, after a
fashion. On the pages of the National Post on March 22, George Jonas
described NATO's Kosovo intervention as an "ethnic cleansing… project
sponsored by the West." In the April 3 edition of the Spectator,
diplomatic correspondent Tom Walker describes how while "Kosovo goes to
Hell," he receives "regular emails from Albanian agencies in Pristina
arguing that when a Serb village is wiped from the map, it is somehow
Belgrade's fault." And former peacekeeper and retired General Lewis
MacKenzie opined on April 6 (in the National Post, again) that "We
bombed the wrong side," exposing the Albanians' goals and a deliberate
cover-up of information about the recent pogrom:

"The Kosovo-Albanians have played us like a Stradivarius. We have
subsidized and indirectly supported their violent campaign for an
ethnically pure and independent Kosovo. We have never blamed them for
being the perpetrators of the violence in the early '90s and we
continue to portray them as the designated victim today in spite of
evidence to the contrary."

Changing the Subject

The Empire is also trying hard to change the subject from the
uncomfortable topic of Kosovo. News from the Balkans over the past week
have been dominated by the "war crimes" issue, given a higher profile
by a set of new Inquisition indictments, a renewed hunt for Radovan
Karadzic, and escalation of Washington's pressure on Serbia.

A SFOR raid on a church in eastern Bosnia early last Wednesday did not
find Karadzic. It did result in severe injuries to the priest and his
son, who are still in a coma. NATO claims the two were injured by the
explosion used to demolish the church door, and claims the injuries
were "completely unintended and an unfortunate consequence," even as US
officials blamed the Bosnian Serbs for NATO's aggressive behavior and
presented the raid as "resolve".

But according to the head of the Serbian Orthodox Church, who protested
to the NATO commander in Bosnia, SFOR troops "savagely beat [Fr.
Jeremija and his son] using rifle butts, boots and whatever else they
had on hand."
Adding to the mystery is the fact that the two men were airlifted to a
hospital in Tuzla (where the US has a major military base), rather than
the much closer capital, Sarajevo.

Amidst public outcry over the attack, Bosnia's viceroy Ashdown launched
another assault on the Bosnian Serb republic, cutting off all
government compensation to the ruling SDS party, until it can submit a
financial report to "prove the claims [of somehow aiding Karadzic] were
false."

It is logically impossible to prove a negative, but Ashdown really
doesn't care even if they do; he has absolute power, and has conducted
a campaign to undermine the Serb Republic pretty much since he arrived
in office. One regional newspaper mentions him giving a statement
accusing the Serb Republic of "obstructing reform," after meeting with
its Croat and Muslim vice-presidents (but no Serbs).

On the other hand, Serbia was officially cut off from US foreign aid as
of March 31, having refused to submit to demands of the Hague
Inquisition. Previously touted as $100 million, the actual value of the
aid is closer to $26 million, most of which is going to Kosovo,
"democracy-building" and "humanitarian aid" anyway. That's right, the
supposedly "badly needed" aid to Serbia is nothing of the sort, as it
actually funds Albanian separatism, pays the missionary intellectuals,
and lines the pockets of American NGOs. Its withholding is more a
symbol of Washington's displeasure than anything else.

Wastelands Called Peace

Though it looked for a moment that the sheer vileness of the terror
unleashed in Kosovo might shake the pillars of perception, Empire's
aggressive relapse into the usual bullying patterns suggests that
impression was deceptive. Two weeks after their policies were burned to
cinders, Balkans' western occupiers are back on their hobbyhorse.

Outside powers have meddled in Balkans issues for centuries, with
increasingly disastrous consequences. Even if one stipulates that the
most recent meddling (in the 1990s) had a benevolent intent – for the
sake of argument, as this is obviously not true – the "problems" it
supposedly attempted to solve were by and large the symptoms of the
crisis, not its causes. Those causes have been so thoroughly
misidentified (often on purpose) that instead of resolving issues, the
intervention only made them worse.

By way of example: Bosnia was not a case of "external aggression," but
a conflict over centralized power that would enable one ethnic group to
dominate others. The problem in Kosovo was not one of "repression" or
"human rights violations," but of separatism based on ethnic cleansing.
The same applies to Macedonia.

Balkans interventions then paved the way to an invasion in the Middle
East.
Now Iraq has exploded – entirely predictably – just as the Balkans has
been imploding for years. In the war-torn leftovers of what was once
Yugoslavia, most people are reluctant to start a new war, with the
memories still fresh. But their children are growing up schooled not
just in hatred, but in the "value" of coercion. They will be the ones
fighting the next war, which the
Empire's insistence on imposing and perpetuating fiction is making just
about inevitable.

Nearly two millennia ago, in his Life of Agricola, Roman historian
Tacitus put these words in the mouth of a Germanic chieftain; Calgacus
describes the Romans thus: "Ubi solitudinem faciunt, pacem appellant."
They create a wasteland, and call it peace.

For a nation that fancies itself the heir to Rome, this is entirely
fitting.

[ The original text - in english:
We bombed the wrong side? (by Lewis MacKenzie)

http://www.canada.com/national/nationalpost/news/comment/
story.html?id=46d92
5b4-8d36-470a-accd-34642b09c5bf ]


Objavljeno u dnevnim novinama Nasenal Post (The National Post), Kanada
- 6. aprila, 2004. godine

BOMBARDOVALI SMO POGRESNU STRANU ?
Luis Mekenzi

Nasim televizijskim ekranima su tokom proteklih pet godina dominirale
slike albanskih izbeglica sa Kosova koji su bezali u sklonista preko
granice u Makedoniju i Albaniju. Izvestaji su govorili da su
bezbednosne snage Slobodana Milosevica sprovodile genocid i da je
najmanje 100.000 Albanaca sa Kosova poubijano i pokopano u masovnim
grobnicama po Srbiji. NATO se odlucio za akciju mada nijedna clanica
NATO alijanse nije bila u opasnosti. Odluceno je da se bombarduje ne
samo Kosovo vec i infrstruktura i narod Srbije - i to bez rezolucije
Ujedinjenih Nacija, suprotno od onog na cemu kanadske vodje, prosle i
sadasnje, uvek insistiraju.

Mi koji smo opominjali da se Zapad stavlja na stranu eksrtremista,
nezavisnog militantnog pokreta Albanaca sa Kosova, smo bili odgurnuti
na stranu kao pristrasni. Ignorisano je da je Oslobodilacka vojska
Kosova (OVK) koja se predstavljala da se bori za nezavisnost Kosova,
oznacena kao teroristicka organizacija za koju se znalo da je dobijala
pomoc od Al Kaide Osama bin Ladena.

Nedostatak vesti u medijima Severne Amerike o povecanom nasilju na
Kosovu, u poredjenju sa obimnim javljanjima evropskih medijskih kuca
jasno pokazuje da mi, Kanadjani ne volimo da priznamo da nismo u pravu.
Uprkos tome, vodeca medija na ovoj strani Atlantika nastavljaju sa
predstavljanjem slike o "uzasnim" Srbima i njihovim nedelima.
U zizi interesovanja je bio slucaj koji se peretvorio u krizu koja je
eksplodirala 15. marta. Medije su javljale da su dva Srbina uz pomoc
psa (cija etnicka pripadnost nije navedena) nagnala cetiri albanaska
decaka u reku Ibar kod Mitrovice. Trojica decaka su se udavila a jedan
je uspeo da prebegne na drugu stranu. U tren oka hiljade Albanaca je
krenulo prema centru podeljenog grada. Poceli su napadi na Srbe u celoj
pokrajini.
Rezultat tih napada se procenjuje na 30 ubijenih i 600 povredjenih.
Trideset srpskih pravoslavnih crkava i manastira je unisteno, vise od
300 kuca popaljeno i sest srpskih sela ocisceno od svojih stanovnika.
Sto pedeset medjunarodnih mirovnjaka je povredjeno. Severna Amerika je
ignorisala vesti
iz nezavisnih izvora da se nije desio incident izmedju Srba, psa i
albanskih decaka.

Derek Cepel, port-parol NATO policije je izjavio 16.marta da "nije
istina" da su Srbi naterali decu u reku. Cepel je izjavio da je
preziveli decak rekao svojim roditeljima da su usli sami u reku i da je
vodena struja odnela njegova tri druga. Admiral Gregori Dzonson,
komandant NATO snaga na Kosovu, je izjavio da su sukobi koji su
usledili predstavljali "unapred organizovanu akciju etnickog ciscenja"
od strane Albanaca sa Kosova. Od pocetka "humanitarne akcije" NATO-a
1999. godine [Albanci su] sa Kosova sa proterali vise od 200.000 Srba
. "Isterni" su postali vrlo efikasni "isterivaci".

Iste nedelje nekoliko osoba, pozirajuci kao Srbi, su sacekali u zamki i
ubili jednog pripadnika UN i njegovog lokalnog policijskog kolegu. U
toku borbe jedan od napadaca je bio ranjen zbog cega su odmah presli sa
srpskog na albanski - pogodjeni je na albanskom viknuo : "Pogodjen
sam!". Traganje za napadacima je dovelo UN do jedne albanske farme gde
su pronasli oruzije i ranjenog Albanca, koji je umro od zadobijenih
rana. Cetiri Albanca je uhapseno.

Ovoga puta Amerika je obavestavala o napadu ali ne i o detaljima, sto
jos jednom ukazuje na organizovanu provokaciju od strane albanskih
terorista.

Ujedinjene Nacije vladaju Kosovom. Ista ona organizacija za koju mnogi
Kanadjani milse da bi bila najadekvatnija da vlada Irakom umesto
Sjedinjenih Americkih Drzava. Cinjenica da UN ne mogu da narede svojim
zaposlenima da bilo kuda idu ili ostanu -- oni sami moraju da
volontiraju -- kombinovano sa
nedavnim napustanjem Iraka posle samo prvog brutalnog napada na njihov
centar u Bagdadu i realnosti na terenu u Kosovu, pod rukovodstvom
administracije ove organizacije , diskvalifikuje je za takvu ulogu.

Posle intervencije NATO/UN 1999. godine Kosovo je postalo centar
kriminala u Evropi. Cveta trgovina belim robljem. Pokrajina je postala
centar za kriumcarenje droge na putu ka [Zapadnoj] Evropi i Severnoj
Americi. Ironija je da najvece kolicine droge dolaze iz druge zemlje
koju je Zapad "oslobodio", Avganistana. Clanovi demobilisane, ali ne i
eliminisane OVK su u vladi a i licno su umasani u organizovani
kriminal. Policija UN uhapsi mali procenat onih koji su umesani u
kriminalne aktivnosti i preda ih sudskim organima, koji su podmitljivi
i skloni prinudi.

Cilj Albanaca je da iz Kosova isteraju sve ne Albance, zajedno sa
predstavnicima medjunarodne zajednice. Da Kosovo povezu sa majkom
Albanijom i time ostavre cilj - "Veliku Albaniju". Kampanja je pocela
sa napadima na srpske bezbednosne snage ranih 90-tih godina.
Milosevicev ostar odgovor na te napade Albanci su uspeli da iskoriste
da pridobiju simpatije sveta za svoje ciljeve. Suprotno tvrdnji Zapada,
genocid se nije desio - od navodno 100.000 sahranjenih u masovne
grobnice pronadjeno je oko 2.000, pripadnika svih etnickih grupa
ukljucujuci i one koji su poginuli u ratu.

Albanci sa Kosova su se poigravali sa nama kao maestro sa violinom. Mi
smo pomogli i indirektno podrzavali njihovu nasilnicku kampanju za
etnicki cisto i nezavisno Kosovo. Nikada ih nismo okrivili za nasilje
iz devedestih godina. I dalje ih predstavljamo kao zrtve iako cinjenice
govore suprotno.

Zamislite kakva ce to biti poruka ohrabrenja drugim teroristickim
pokretima u svetu koji traze nezavisnost, ako [Albanci] postignu
nezavisnost [Kosova] uz pomoc nasih poreskih dolara i onih od Bin
Ladenove Al-Kaide.

Prosto je smesno kako sami sebi kopamo rupu ispod nogu!


General-major Luis Mekenzi, u penziji. Komandant UN trupa za vreme
gradjanskog rata u Bosni 1992. godine.

Prevela: Boba Borojevic

ANSIOSI DI ANDARE A FARSI MASSACRARE
PER SERVIRE IL PADRONE OCCIDENTALE


IRAQ: SARA' TRIPLICATO IL CONTINGENTE ALBANESE
(AGI) - Tirana, 6 apr. - L'Albania ha accettato di aumentare il suo
contingente in Iraq. La notizia, anticipata dall'Ufficio di
collegamento delle Forze Armate albanesi presso la Nato, e' stata
confermata dal Capo di Stato Maggiore, generale Pellumb Qazimi.
Il numero dei soldati albanesi, schierati a Mosul, nel nord, passera'
da 73 a 200. L'Albania e' stato il primo paese a mettere a disposizione
le sue truppe in risposta alla richiesta americana, durante il
conflitto. (AGI) Cle/Sec 061318 APR 04 .
061407 APR 04
COPYRIGHTS 2002-2003 AGI S.p.A.


http://www.seeurope.net/en/Story.php?StoryID=49672&LangID=1
Seeurope.net - April 7, 2004

Albania To Expand Military Presence in Iraq

Albania is contemplating the idea of increasing its
military presence in Iraq, Chief of General
Headquarters of Army Pellumb Qazimi told daily Gazeta
Shqiptare on Tuesday.
"We are examining the possibilities of expanding the
presence of Albanian commandos in Iraq," he said.
Qazimi did not mention any figure but confirmed that
the 73 commandos who are actually serving in Iraq
mission would be returned to Albania early next week
to be replaced by others.