Informazione

(english / italiano)


ESPORTARE L'ECCELLENZA ITALIA ALL'ESTERO


ITALIANIZATION ACCOMPLISHED
Forms and structures of Albanian television’s dependency on Italian media and culture
by Paolo Carelli 
in: Journal of European Television History and Culture Vol. 3, 5, 2014



"Tv in Albania: italianizzazione compiuta"

di Davide Sighele, 21 agosto 2014

Non solo stessi format e forte condizionamento culturale. Ma anche condivisione di programmi, conduttori italiani che si spostano in Albania ed editori dal passaporto italiano.
Per Paolo Carelli, del dipartimento di Scienze della comunicazione dell'Università cattolica di Milano, la completa italianizzazione della tv albanese sarebbe ormai cosa fatta.
Lo scrive in un suo saggio – a disposizione dei lettori in lingua inglese - scritto per la rivista accademica on-line View.
Carelli individua tre fasi che, non necessariamente in ordine cronologico ma a volte sovrapposte, negli ultimi 25 anni hanno portato a quella che viene chiamata, fin dal titolo del saggio, “Italianizzazione compiuta” della tv albanese.
La prima fase è quella dell'“italianizzazione sottile” e riguarda l'adozione di format e linguaggi in voga nella tv italiana, pubblica e privata. Un esempio su tutti, la trasmissione Memgjes i mbar(Buongiorno) su Teuta TV che ricalcava il celebre Unomattina, prodotto dalla RAI.
La seconda fase è chiamata di “italianizzazione condivisa”, ed avviene attraverso programmi di cooperazione televisiva tra le due sponde, che ha incluso sia la trasmissione di prodotti televisivi italiani sottotitolati in lingua albanese che programmi di co-produzione.
Infine la terza fase, detta “italianizzazione quasi-coloniale”, con reti televisive albanesi di proprietà di italiani che hanno iniziato ad arruolare, per i loro programmi, professionisti del settore italiani, quali ad esempio, in tempi recenti, Alessio Vinci.
Se si ritenesse che i media e l'influenza italiana su di loro sia l'unico fattore che possa spiegare i cambiamenti avvenuti in Albania a partire dagli anni'80 si sbaglierebbe di grosso, tiene a precisare Carelli. Anche le forti relazioni con l'Italia hanno origini ben più lontane. Partendo dai romani, passando per le comunità Arbëreshë e continuando con Vittorio Emanuele III re d'Albania.
Ma certo, accendere la tv a Tirana e trovarsi Barbara D'Urso fa un certo effetto.




I Crociati e gli Assassini

0) I Crociati e gli Assassini
1) I nuovi jihadisti vengono dal Kosovo. Le esecuzioni postate su Facebook (L'Espresso, 8 settembre 2014)
2) L'imam Bilal Bosnic: giusto rapire le ragazze italiane / La spirale balcanica minaccia jihadista per l'Italia / Quando l'imam combatteva in Bosnia (Il Giornale, 27/08/2014)
3) Il vero pericolo terrorista arriva dai Balcani. Nel nostro Paese sono albanesi, bosniaci e kosovari il nocciolo duro jihadista (Il Giornale, 21/06/2014)


Vedi anche: 

LA BOSNIA CHE HA VOLUTO ADRIANO SOFRI
Ajša Mekić - jedan od bisera treće godišnjice Škole Kur'ana Časnog
https://www.youtube.com/watch?v=zfaFlKua-G8

EZIO MAURO FA APPELLO PER LA NUOVA CROCIATA CONTRO L'ORIENTE
https://it.groups.yahoo.com/neo/groups/crj-mailinglist/conversations/messages/8101

KOSOVO : DES ISLAMISTES RADICAUX MENACENT DE MORT UN JOURNALISTE (Reporters sans frontière, 3 septembre 2014)
Visar Duriqi, journaliste d’investigation kosovar spécialisé dans l’islamisme radical, a été accusé d’apostasie par une organisation extrémiste. Le journaliste est victime de nombreuses menaces de mort et de décapitation. Reporters sans frontières s’inquiète pour la sécurité physique du journaliste et demande au ministère de l’Intérieur du Kosovo de lui assurer une protection…
http://balkans.courriers.info/article25495.html


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http://contropiano.org/articoli/item/26199

I Crociati e gli Assassini

Democrito, 09 Settembre 2014 

Nel tardo XI secolo gli ismailiti si divisero in due correnti. La minoranza era composta da un gruppuscolo di rivoluzionari in disaccordo con gli sfarzi del califfato fatimida.
Il leader di questo movimento mandarono un loro agente segreto di nome Hassan Sabbah in Persia dove assunse i controllo di una fortezza chiamata Alamut (il nido dell'aquila).
Ad Alamut Sabbah si diede da fare per organizzare gli Assassini.
Sabbah usava l'omicidio quale principale strumento di propaganda. Anche se elaboravano i loro piani nella massima segretezza gli Assassini uccidevano in maniera plateale. Sapevano che sarebbero stati catturato o uccisi nel giro di pochi istanti, ma non facevano nessuno sforzo per evitare questa sorte.
Poco prima dell'inizio delle crociate Hassan Sabbah aveva fondato una seconda base operativa in Siria gestita da un comandante ausiliario che i crociati impararono a conoscere come "il Vecchio della Montagna".
Quando arrivarono i crociati praticamente chiunque non fosse uno di loro odiava con tutto il cuore gli Assassini. Tra i nemici degli Assassini si contavano gli sciiti, i sunniti, i selgiuchidi turchi, i fatimidi egiziani e il califfato abasside.
Gli Assassini e i crociati condividevano gli stessi nemici, per cui era inevitabile che i due eserciti diventassero, di fatto, alleati.
Nel corso del primo secolo delle invasioni dei crociati ogni volta che i musulmani cominciavano a muoversi verso una certa unità, gli assassini uccidevano qualche figura chiave del processo, scatenando nuovi conflitti.
Nel 1113 uccisero il governatore di Mosul che stava organizzando una campagna unificata contro i Crociati.
Nel 1124 e nel 1125 uccisero i due più importanti leader religiosi che predicavano la Jihad contro i Crociati.
Nel 1126 uccisero al-Borsoki, re di Aleppo e di Mosul, che aveva forgiato in Siria il nucleo potenziale di uno stato musulmano unito.
Omicidi di questo tipo avvennero con sorprendente frequenza nel corso delle prime crociate.

Fin qui il primo capitolo, sintetizzato da "Un destino parallelo", di Tamiam Ansary (Fazi Editore)
Il secondo capitolo viene trasmesso ogni giorno su tutte le reti televisive.


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http://espresso.repubblica.it/internazionale/2014/09/05/news/i-nuovi-jihadisti-vengono-dal-kosovo-nei-balcani-ci-sono-20-cellule-terroristiche-1.178937?ref=fbpe

I nuovi jihadisti vengono dal Kosovo
Le esecuzioni postate su Facebook


Centinaia di combattenti partiti per Iraq e Siria. Decine di fondamentalisti arrestati. Sedici vittime accertate. Un kamikaze saltato in aria a Bagdad. E un leader dell’Isis che pubblica sui social le decapitazioni. A sei anni dall’indipendenza, l’ex provincia serba si sta rivelando una fucina di terroristi



DI PAOLO FANTAUZZI

08 settembre 2014


L’ultimo lo hanno fermato la settimana scorsa all’aeroporto di Tirana. Mentor Zejnullahu, 24 anni, residente a Viti, stava per imbarcarsi alla volta di Istanbul, per poi raggiungere la Siria e unirsi ai jihadisti. A inchiodare il reclutatore, gli sms scambiati coi ribelli di al-Nusra, il gruppo affiliato ad al-Qaeda. Sempre da Viti proveniva anche il sedicenne fermato il 5 agosto nello scalo di Pristina, anche lui con la stessa destinazione. E appena tre settimane fa una operazione della polizia del Kosovo ha portato in carcere 40 sospetti jihadisti (altri 17 sono risultati irreperibili), che vanno ad aggiungersi ai tre finiti in manette a giugno e agli 11 arrestati lo scorso novembre: i più giovani sono nati nel 1994 e molti hanno meno di 30 anni.

I massacri e le bombe della Nato sembrano ormai solo un vago ricordo. Nella più giovane repubblica d’Europa, proclamatasi unilateralmente indipendente nel 2008 (e subito riconosciuta da Usa e quasi tutti i Paesi Ue), la nuova frontiera è il radicalismo islamico. E il nuovo nemico non sono più i paramilitari serbi come ai tempi dell’Uck ma gli infedeli. Così in una regione in cui l’Islam, abituato a convivere con le altre religioni, ha sempre mostrato il suo lato più tollerante, ad appena vent’anni dalla guerra che portò alla dissoluzione del mosaico etnico costruito da Tito il fondamentalismo mostra di aver piantato nel profondo le sue radici. Tanto da poter contare, rivelano fonti investigative all’Espresso, su almeno 20 cellule terroristiche attive nel reclutamento e addestramento fra Serbia, Albania, Macedonia, Kosovo, Montenegro e Bosnia, come mostra la retata che ha portato all’arresto di 16 reclutatori, compreso Bilal Bosnic, l’ex predicatore del centro islamico di Cremona considerato uno dei reclutatori di spicco dell'Isis. Finanziate da ong islamiche - dall’Arabia saudita all’Inghilterra fino all’insospettabile Turchia - queste cellule in qualche caso vedono proprio gli ex guerriglieri (in Kosovo quelli dell’Uck) quali inevitabili punti di riferimento locale. Un avamposto in attesa, chissà, di rivolgere verso l’Europa quella guerra finora combattuta sul suolo mediorientale.

IL JIHADISTA È SU FACEBOOK
Le autorità di Pristina cercano di minimizzare: secondo il governo i volontari partiti sarebbero solo 43. Difficile crederlo statisticamente, considerato che le vittime accertate sono già 16. Non a caso diverse fonti ritengono che, fra gli 11 mila stranieri in Siria (dei quali duemila europei), sarebbero 300-400 i combattenti di etnia albanese, prevalentemente kosovari. Grosso modo quanto quelli provenienti dal Regno Unito. Con la significativa differenza che l’ex provincia serba è grande quanto l’Abruzzo e non arriva a due milioni di abitanti.

Una rilevanza dimostrata anche dallo Stato islamico dell’Isis: il discorso con cui il comandante al Bagdadi si è autoproclamato califfo è stato tradotto in inglese, francese, tedesco, turco, russo e albanese. Del resto i jihadisti kosovari stanno dando il loro contributo: a marzo Blerim Heta, nato e cresciuto in Germania ma tornato in patria dopo la guerra, si è fatto esplodere a Baghdad uccidendo 52 ufficiali di polizia.

Mentre sul web impazza la figura di Lavdrim Muhaxheri, indicato come comandante della “brigata balcanica”: dopo aver rivolto ai connazionali un appello alla jihad , in un video dell’Isis che gira in rete ha arringato la folla in arabo fluente brandendo un grosso coltello e bruciato il suo passaporto kosovaro, “documento degli infedeli”: «Io sono solo un musulmano». Infine ha postato su Facebook una foto che la ritrae mentre decapita un ragazzino siriano accusato di essere una spia, mentre in un’altra lo si vede riprendere col cellulare una esecuzione compiuta da un connazionale.
Ed è proprio questa la novità: ormai non solo la guerra santa si svolge anche in rete con video e appelli ma i mujaheddin 2.0, riluttanti all’anonimato, postano senza alcun riserbo le loro azioni sui social network. A suo modo una fortuna, visto che questo consente all’intelligence di risalire alla rete dei loro contatti. In ogni caso, quando torneranno in patria, nessuno potrà contestare loro alcunché. Il Kosovo non ha ancora una legge che punisce il reclutamento di terroristi o chi va a combattere all’estero: il disegno di legge, che prevedeva pene da 5 a 15 anni, non è stato ratificato in tempo prima delle elezioni anticipate di giugno.

POLVERIERA BALCANI
A paradosso si aggiunge paradosso: sia Muhaxheri che Heta avrebbero lavorato nel campo Bondsteel, la principale base americana sotto il comando della Kfor, la missione Nato in Kosovo, che ospita migliaia di soldati. E proprio la città di Ferizaj in cui sorge, vicino al confine con la Macedonia, è diventata un centro nevralgico di reclutamento: oltre al kamikaze, 11 dei 40 terroristi arrestati ad agosto venivano da lì. Forse non a caso: sempre lì (all’hotel Lion, secondo un rapporto dei servizi di Belgrado del 2003) per anni la ong Islamic relief avrebbe reclutato bambini resi orfani dalla guerra per compiere attentati suicidi.

Quello dei volontari «è un problema comune a tutti i paesi democratici sviluppati» ha minimizzato nei giorni scorsi il generale Salvatore Farina, comandante uscente della Kfor, nella sua ultima conferenza stampa. Di certo la concentrazione di terroristi in Kosovo fa paura. E allerta anche gli 007, visto che un informatore della Kia, i servizi segreti di Pristina, sarebbe stato riconosciuto e ucciso in Siria a inizio anno. Il tutto mentre nella piccola repubblica operano ancora cinquemila militari dell’Alleanza atlantica che dovrebbero sostenere lo sviluppo di un Kosovo stabile, democratico, multietnico e pacifico .

Insomma, i Balcani continuano a produrre più storia di quanto ne possono digerire, secondo il caustico aforisma di Churchill. In Albania, dove sono 60 i jihadisti identificati, sono stati arrestati un paio imam di Tirana per incitamento al terrorismo più altri sei miliziani, tornati dalla Siria a farsi medicare le ferite. Dalle province a maggioranza musulmana della Serbia meridionale si stima che siano partiti varie decine di combattenti. La situazione più pericolosa riguarda tuttavia la Bosnia, dove i servizi si sicurezza stimano che siano tremila i radicali islamici pronti a entrare in azione. Intanto anche Sarajevo ha avuto il suo kamikaze in Iraq: Emrah Fojnica, 23 anni, già coinvolto nell’attacco all’ambasciata statunitense del 2011.

LA PENETRAZIONE SILENZIOSA 
Adesso, quando forse è troppo tardi, la polizia sta passando al setaccio le centinaia di ong islamiche sparse per i Balcani fin dalla guerra nella ex Yugoslavia.Organizzazioni per lo più saudite che hanno affiancato il lato umanitario con la costruzione di una miriade di moschee nuove di zecca in cui predicare l’Islam più radicale di ispirazione wahabita, da cui chiamare al martirio. Tanto che nei giorni scorsi perfino il sobrio Financial times ha ironizzato sulla strisciante colonizzazione portata avanti in questo modo da Riad. Una penetrazione silenziosa raccontata profeticamente già cinque anni fa in “Madrasse. Piccoli martiri crescono tra Balcani ed Europa” da Antonio Evangelista, ex capo del contingente di polizia italiana nell'ambito della missione Onu, in cui si occupava di criminalità organizzata e terrorismo.  Soprattutto, consentita da un mix fatale: istituzioni deboli, instabilità politica, corruzione endemica, disoccupazione vertiginosa. Oltre alla sostanziale vacuità della presenza militare e alle promesse tradite dell’Occidente, che ha lasciato gran parte della popolazione del Kosovo (e della Bosnia) in uno stato di povertà non dissimile dal precedente. Spingendo intere fasce nelle braccia del radicalismo islamico.

IN GUERRA CON PAPÀ
Così, se la famiglia è la cosa più importante, molti jihadisti partono per il fronte con mogli e figli al seguito. O, se le consorti non sono d’accordo, solo con la prole. Come ha fatto il bosniaco Ismar Mesinovic, che dal bellunese è andato a combattere in Siria portando con sé il figlioletto di tre anni , scomparso nel nulla dopo la sua morte. E come ha fatto anche il kosovaro Arben Zena, partito col piccolo Erion, di otto anni. «Andiamo un paio di giorni a Rugova» ha detto alla moglie Pranvera all’inizio di luglio. Poi più nulla, tranne un sms la settimana seguente: «Sono in Siria con il ragazzo». Adesso la donna ha aperto una pagina Facebook per raccontare la sua storia e raccogliere segnalazioni.Anche perché i casi simili non sarebbero affatto pochi: una foto mostra il bambino in mezzo a un nugolo di coetanei. Uno dei quali, inconsapevole, sventola l’inquietante bandiera nera dello Stato islamico.


http://espresso.repubblica.it/foto/2014/09/05/galleria/i-tagliatori-di-teste-made-in-kosovo-1.178954

[FOTO] Decapitazione di un ragazzo siriano accusato di essere una spia postata su Facebook da Lavdrim Muhaxheri, capo dei miliziani Isis provenienti dal Kosovo

[FOTO] Decapitazione di un soldato siriano da parte del jihadista kosovaro Saleel Al Sawarim (nome di battaglia). Lavdrim Muhaxheri riprende col telefonino sullo sfondo

[FOTO] Blerim Heta, kamikaze kosovaro. Si è fatto esplodere a marzo a Bagdad provocando la morte di 52 ufficiali di polizia

[FOTO] Vignetta satirica pubblicata sul Financial times il 7 agosto

[FOTO] Bambini con la bandiera dell’Isis. Nel cerchietto Erion Zena, di 8 anni

[FOTO] Lavdrim Muhaxheri con il passaporto [SIC] kosovaro insieme a un connazionale e un commilitone albanese

[FOTO] Idajet Balliu, 24 anni, jihadista albanese di Librazhd ucciso il giorno di Ferragosto in Siria

[FOTO] Emrah Fojnica, kamikaze bosniaco morto in Iraq. Era già stato processato per l’attentato all’ambasciata Usa di Sarajevo del 2011

[FOTO] Erion Zena (8 anni) con il padre Arben, miliziano dell’Isis in Siria



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VIDEO CORRELATO:

Quando l'imam combatteva in Bosnia
L'imam Bilal Bosnic era arruolato nel 1993 nel battaglione El Mujaheddin che combattè in Bosnia nel 1993 nella guerra fratricida contro i croati a Vitez. Si trattava di un'unità di combattenti islamici provenienti da diversi paesi. A cura di Fausto Biloslavo.
VIDEO: http://www.ilgiornale.it/video/mondo/quando-limam-combatteva-bosnia-1046976.html

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http://www.ilgiornale.it/news/politica/cattivo-maestro-dellislam-giusto-rapire-ragazze-italiane-1046964.html

Il cattivo maestro dell'islam: giusto rapire le ragazze italiane

L'imam Bilal Bosnic, che si mostra su Facebook con la bandiera dell'Isis, ha tenuto da noi diversi sermoni: "Greta e Vanessa? In Siria interferivano".


Fausto Biloslavo - Mer, 27/08/2014

Bilal Bosnic, l'imam bosniaco, che è venuto tranquillamente a predicare nel Nord Italia dal 2011 al 2013, giustifica in un'intervista sul sito del Corriere il rapimento di Vanessa Marzullo e Greta Ramelli, innamorate della rivolta contro Damasco, che in Siria si illudevano di fare del bene.

[FOTO: L'imam Bilal Bosnic (vestito di nero e con la barba più lunga) in mezzo ai suoi seguaci. Alle spalle la bandiera del Califfato
http://www.ilgiornale.it/sites/default/files/styles/large/public/foto/2014/08/27/1409115632-ipad-98-0.jpg ]

L'imam estremista è convinto che le due ragazze «interferivano», come chiunque arrivi dall'Occidente. Non solo: per il predicatore jihadista «rapire è una pratica giustificata, una cosa comune per un nemico durante la jihad e qualsiasi altra guerra». Parole che non devono stupire. Sulla sua pagina Facebook Bosnic, fin dal 7 luglio, aveva postato il sermone del Califfo, Abu Bakr al Baghdadi da Mosul, dove ha cacciato i cristiani, con il seguente commento: «Quest'uomo verrà ricordato per secoli (…) Allah continui a ricompensarlo per i suoi meriti». Poi ha cambiato la copertina con la bandiera nera dello Stato islamico dell'Iraq e della Siria. E lunedì si è fatto immortalare assieme a cinque suoi accoliti barbuti con alle spalle lo stendardo del Califfo. Poi ha usato lo scatto come nuova copertina su Facebook.

Quarantuno anni, «salafita» per sua stessa definizione, vive nella Krajina fra Bosnia e Croazia. E non fa mistero di aver combattuto con il battaglione al-Mujaheddin composto da musulmani provenienti da mezzo mondo durante la terribile guerra etnica bosniaca. Con il corriere.it ammette che in Italia ha incontrato «centinaia» di musulmani «veri seguaci» dell'Islam.

E di aver conosciuto Ismar Mesinovic, l'imbianchino bosniaco di 36 anni che viveva a Longarone ed è morto in Siria, lo scorso gennaio, in nome della guerra santa. Il volontario jihadista era una persona «normale» che ha sposato una cubana, come dimostrano alcune foto in possesso del Giornale . Poi, in altre immagini, salta agli occhi il cambiamento. Mesinovic si è fatto crescere la barba islamica e la sua donna ha messo il velo. Il primo giugno dello scorso anno incontra l'imam Bosnic a Pordenone invitato a tenere un sermone. L'incontro era stato pubblicizzato da un kosovaro che vivrebbe nel Bresciano. Mesinovic decide di partire per la Siria dove trova la morte. Il Viminale è allarmato dalla «spirale balcanica», che attrae combattenti in Siria e non si escludono retate e arresti a breve.

Sulla sua pagina Facebook il predicatore itinerante ha postato le foto dei giovani bosniaci che sono andati a combattere e spesso a morire per il Califfato. Gli «amici» on line di Bosnic sono personaggi come Amir Bajric, che sarebbe in Siria e usa come copertina del suo profilo in rete un convoglio di pick up con i vessilli neri dello Stato islamico. Oppure il turco Nasir Haji, che preferisce il faccione di Osama Bin Laden, come copertina sulla pagina Facebook.

E ieri ha postato la foto di una serie di teste mozzate infilate negli spuntoni di un'inferriata.

L'aspetto incredibile è che Bosnic, cattivo maestro dell'Islam radicale, è venuto più volte a predicare in Italia. Prima di Pordenone, nel 2011 e 2012, è stato invitato tre volte a Cremona. Due sermoni nel vecchio centro islamico ed uno nel luogo di culto di Motta Baluffi. La Digos locale ha monitorato le prediche senza trovarci nulla di pericoloso. Così Bosnic è stato anche a Bergamo, da dove sono partite le due volontarie italiane rapite in Siria ai primi di agosto. L'imam bosniaco e altri predicatori dell'ex Jugoslavia sono le star dell'Islamsko Dzemat di Bergamo, un altro centro islamico di provincia molto legato ai Balcani. I barbuti fedeli bosniaci del centro lo scorso anno hanno tranquillamente affittato una sala comunale per pregare. E Bosnic al corriere.it ha confermato: «Sono stato anche a Bergamo. Un jihadista? Preferisco essere definito musulmano, semplicemente perché ritengo che ogni vero musulmano debba essere jihadista e credere in uno Stato islamico unico».

www.gliocchidellaguerra.it


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http://www.ilgiornale.it/news/mondo/analisi-spirale-balcanica-minaccia-jihadista-litalia-1047004.html

Analisi: La spirale balcanica minaccia jihadista per l'Italia

La presenza nel Nord Est italiano di fedeli e seguaci di predicatori radicali, come a Cremona, Bergamo e Pordenone, è soltanto parte di un fenomeno molto più ampio


Giovanni Giacalone - Mer, 27/08/2014

Il concetto di “spirale balcanica” è molto complesso; la presenza di fedeli di quell’area geografica in Italia, seguaci di predicatori radicali, come nel caso che abbiamo recentemente visto a Cremona, Bergamo e Pordenone, è soltanto parte di un fenomeno molto più ampio.

I focolai li possiamo rintracciare nei primi anni ’90 con la guerra di Bosnia, quando ci fu un vero e proprio flusso di mujahideen provenienti da diversi paesi islamici, tra cui Egitto, Tunisia e Algeria che si recarono nel paese balcanico per andare a combattere a fianco dei musulmani bosniaci, installandosi principalmente nelle città di Mostar, Sarajevo, Zenica e Zepce e formando unità come la ben nota “El-Mujahed”, che venne inglobata del 3° corpo dell’esercito bosniaco.

Dopo gli accordi di Dayton del 1995 molti di loro restarono in Bosnia, dando vita a vere e proprie enclaves, dove oggi non si entra se non si è salafiti. Tutto ciò contribuì all’espansione del radicalismo nei Balcani, quello dottrinario-propagandistico da una parte e quello finanziario dall’altra. Predicatori radicali come Nusret Imamovic, Bilal Bosnic, Bakir Halimi, Muhamed Fadil Porca sono diventati fonte di ispirazione per molti musulmani balcanici, sia in patria che all’estero.

Finanziatori e promulgatori del radicalismo di stampo salafita hanno saputo sfruttare bene il disagio socio- economico giovanile nell’area balcanica, dove speranze e aspettative per le nuove generazioni del periodo post-guerra sono ancora oggi ai minimi termini a causa dell’inflazione e dell’alto tasso di disoccupazione.

Purtroppo gli effetti collaterali di tale fenomeno, sul fronte della sicurezza, non sono tardati ad arrivare; dai primi pericolosi segnali degli anni ’90 con l’attentato alla caserma della polizia di Pola nel 1995 e le perlustrazioni all’ambasciata americana di Tirana nel 1998, fino agli odierni e ripetuti assalti a comunità islamiche non salafite; dagli attentati di Sarajevo e di Francoforte del 2011 alle recenti partenze di jihadisti per la Siria; tutti elementi che hanno dimostrato come il problema del radicalismo islamico nei Balcani meriti la massima attenzione in quanto riguarda da vicino anche l’Italia.

Giovanni Giacalone,
islamologo e analista del radicalismo balcanico


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http://www.ilgiornale.it/news/esteri/vero-pericolo-terrorista-arriva-dai-balcanilallarme-vivono-1030109.html

Ma il vero pericolo terrorista arriva dai Balcani

Vivono qui e sono centinaia. Nel nostro Paese sono albanesi, bosniaci e kosovari il nocciolo duro jihadista


Gian Micalessin - Sab, 21/06/2014

La chiamano «spirale balcanica». Per gli esperti di antiterrorismo del Viminale è la variante più insidiosa di quell'attivismo jihadista che, ha spinto una trentina di «volontari» a lasciare l'Italia per la Siria. Oggi gli integralisti islamici provenienti da Albania, Bosnia e Kosovo rappresentano il nocciolo duro dello jihadismo straniero sul nostro territorio. «Sono l'equivalente dei tunisini e dei marocchini di un tempo, ma mentre i "nordafricani" tendono a rientrare - spiega una fonte de il Il Giornale - gli integralisti balcanici sono oggi la componente più pericolosa. Molti dei volontari partiti per la Siria dal nostro paese o in procinto di farlo sono di origine balcanica». La punta dell'iceberg islamista-balcanico, quello che con la propria morte, ha spinto gli inquirenti a indagare sul fenomeno è Ismar Mesinovic, un imbianchino bosniaco partito da Ponte delle Alpi nel Bellunese per andare a morire, il 4 gennaio scorso, sui campi di battaglia siriani. Una partenza estremamente sospetta perché preceduta, nel giugno 2013, da un incontro con un predicatore salafita bosniaco nella zona di Pordenone. «Il sospetto - spiega la fonte de Il Giornale - è che questi jihadisti balcanici siano un po' meno volontari di altri e siano indotti a partire dalla promessa di denaro o dalle sollecitazioni dei loro capi religiosi». E dietro questi sospetti si cela una grande paura. La rete islamico-balcanica - sorta in Bosnia, Kosovo e Albania grazie alle moschee finanziate dall'Arabia Saudita e dai Paesi del Golfo negli anni 90 - ha portato alla rapida espansione del fenomeno integralista. Oggi centinaia di militanti usciti da quelle moschee si sono trasferiti nel nostro nord-est da Trieste a Belluno, da Trento a Verona. Proprio lì, con il ritorno dei veterani della Siria, minaccia di attecchire un humus proto-terrorista molto simile a quello della moschea di via Jenner a Milano dove, negli anni 90, Al Qaida mise radici grazie ai reduci della guerra di Bosnia.





Un paio di lettere al Ministro Mogherini

1) Rete NO WAR Roma: Richiesta di incontro per consegna documento di proposte
2) Lettera dei rappresentanti della RS Krajina a Tusk e Mogherini


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Da: Vincenzo Brandi

A: <segreteriaministro.mogherini  @esteri.it>

Cc: <nowaroma  @googlegroups.com>, <unsc-nowar  @gmx.com>

Ogg: I: Richiesta di incontro per consegna documento di proposte

All’Alto Rappresentante per gli Affari Esteri della EU (Mrs. PESC)
Dott.ssa Federica Mogherini
Ministero degli Affari Esteri - Roma
 
Oggetto: 1) RICHIESTA DI ATTUAZIONE DI UN’AUTENTICA POLITICA DI PACE NELL’EST EUROPA. 2) CESSAZIONE DEL FINANZIAMENTO DI FORMAZIONI TERRORISTICHE E DI FORNITURA DI ARMAMENTI A FAZIONI COMBATTENTI NEL VICINO ORIENTE. 3) RITIRO DI TUTTE LE MISSIONI MILITARI DI GUERRA ED OCCUPAZIONE. 4) RICONOSCIMENTO DEI DIRITTI DEL POPOLO PALESTINESE E CONDANNA DELLE STRAGI E DELLE OCCUPAZIONI MILITARI ISRAELIANE
 
Il drammatico precipitare della situazione in Iraq e in Ucraina, la perdurante guerra in Siria ed Afghanistan, l’orrenda strage di Gaza, il caos della Libia – tutti episodi su cui pesano i plateali errori, le forzature e le aggressioni militari, le colpevoli omissioni commesse in passato dai paesi della EU, dalla NATO, e dagli USA e dai loro alleati – ci induce a richiederLe una svolta decisa nella politica estera europea, finora asservita ad interessi che sono estranei all’interesse generale per la pace.
 
Le ricordiamo che:
 
-UCRAINA: la pericolosissima crisi in Ucraina – quasi un anticipo di una terza guerra mondiale - ha avuto inizio da una COLPO DI STATO sostenuto dagli USA e alcuni paesi della EU, con l’apporto di manovalanza neo-nazista locale che ha abbattuto un governo democraticamente eletto, con lo scopo finale di spostare i confini della NATO fino al cuore della Russia. E’ necessaria una soluzione negoziata basata sul diritto alla sicurezza della Russia e sul diritto all’autodeterminazione degli abitanti dell’Est dell’Ucraina attraverso forme significative di autonomia.
 
-IRAQ: vari paesi della EU, tra cui l’Italia, hanno partecipato direttamente alla Prima Guerra del Golfo (1990-91) ed hanno funzionato come base d’appoggio logistico per la Seconda Guerra (2003) condotta da USA e UK. Queste guerre hanno completamente destabilizzato e disintegrato l’Iraq, oggi diviso in fazioni confessionali ed etniche in lotta tra loro. Qualsiasi soluzione deve partire da una forte autocritica per il passato sostegno – con finanziamenti e fornitura di armi - a fazioni terroristiche e jihadiste che operano sia in Siria ed Iraq, e non può basarsi sulla fornitura di nuovi armamenti ad una singola fazione in lotta (il PDK guidato da Massoud Barzani). Questa soluzione è osteggiata anche da tutte la altre organizzazioni kurde che stanno lottando (con efficacia molto maggiore rispetto al PDK) contro i terroristi dell’ISIS (vedi il PKK-HPG del Nord-Kurdistan e il PYD-YPG del Rojava in Siria) e pone l’organizzazione kurda di Barzani in rotta di collisione con il governo centrale di Baghdad (unico governo riconosciuto a livello internazionale) che paventa l’ulteriore frammentazione del paese con la prevedibile esplosione di nuovi devastanti conflitti.
 
-SIRIA: vari paesi europei, tra cui l’Italia, partecipano tuttora al “gruppo di Londra” (ex “amici della Siria”) che – in alleanza con le peggiori dittature confessionali e petromonarchiche (Arabia Saudita, Qatar, per non parlare della Turchia islamica di Erdogan) rifornisce con finanziamenti ed armi i cosiddetti “ribelli” della Siria egemonizzati dai peggiori gruppi jahadisti. E’ ormai fatto accertato che armi e finanziamenti, per via diretta o indiretta, finiscono nelle mani e vanno a rafforzare gruppi terroristici quali l’ISIS che agiscono sia in Siria che in Iraq. Una soluzione del problema deve passare attraverso una forte autocritica per le politiche passate, la cessazione di ogni finanziamento e fornitura di armi anche alle presunte fazioni ribelli “moderate” come l’ESL (in realtà alleate organicamente con Al Nusra, costola di Al Queda, e di altri gruppi jihadisti), ed il ristabilimento delle relazioni diplomatiche con il governo siriano che da tre anni dimostra di saper lottare efficacemente contro il terrorismo jihadista.
 
-LIBIA: vari paesi della EU aderenti alla NATO, tra cui l’Italia,  hanno contribuito in modo decisivo nel 2011, nell’ambito di un attacco militare condotto insieme agli USA e al Qatar, alla completa destabilizzazione e disintegrazione di un paese prospero come la Libia, oggi nel caos e preda di una lotta intestina tra bande armate di tipo confessionale e tribale. Anche qui una soluzione può partire  solo nell’ambito di una decisa autocritica verso le azioni aggressive del passato, evitando nuove disastrose avventure militari e favorendo ogni iniziativa autoctona tesa al ristabilirsi di tentativi autonomi di nuovi sviluppi democratici.
 
-AFGHANISTAN: vari paesi della EU aderenti alla NATO partecipano insieme agli USA alla guerra in Afghanistan dove i passati interventi occidentali – già a partire dagli anni ’70 e ’80 dello scorso secolo - a favore dei jihadisti (spacciati per “combattenti della libertà”) hanno completamente destabilizzato il paese, e dove si preannuncia una permanenza di militari della UE – sotto sigle diverse - anche dopo la chiusura “ufficiale” dell’attuale missione. Anche in questo caso deve scaturire, nell’ambito di una serrata autocritica, un cambio deciso di politica con il ritiro di tutti i contingenti militari, sotto qualsiasi forma essi si presentino.
 
-PALESTINA/GAZA: vari paesi della EU aderenti alla NATO mantengono strette relazioni economiche e militari con uno stato occupante ed aggressivo quale Israele. Ogni soluzione di pace deve passare attraverso il pieno riconoscimento dei diritti del popolo palestinese. Vanno esercitate pressioni (anche per mezzo di sanzioni economiche ed embargo sulla fornitura di armi come già fatto dalla Spagna) verso Israele perché rispetti tutte le risoluzioni dell’ONU, comprese quelle che prevedono il diritto dei profughi palestinesi al ritorno in Palestina (194/1948) e la fine dell’occupazione militare dei territori palestinesi. Va inoltre smantellato il muro di separazione che accerchia i territori palestinesi, riconosciuto come illegale dal Tribunale internazionale dell’ONU dell’Aja; vanno smantellate le colonie che continuano a crescere su territori palestinesi, posto fine all’osceno assedio di Gaza e riconosciuto il diritto degli abitanti di Gaza alla loro sicurezza ed ad una vita normale; vanno portati di fronte da un tribunale internazionale i responsabili dei crimini contro l’umanità commessi durante il selvaggio bombardamento dell’operazione “Protective Edge” e quelli responsabili dei crimini compiuti durante la precedente operazione “Piombo fuso”, come riconosciuti ufficialmente dal rapporto Goldstone steso dalla apposita commissione dell’ONU.
 
Roma, 5 settembre  2014                               Rete No War Roma  
 
Per informazioni: nowaroma@  googlegroups.com,  unsc-nowar@  gmx.com,  Vincenzo Brandi: brandienzo@  libero.it 


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REPUBBLICA SERBA DI KRAJINA
Governo e Parlamento in Esilio
Zmaj Jovina 15, 11.000 Belgrado
N°1786/14 - Settembre, 7522 (2014)

Sig. Tusk, Sig.ra Mogherini,
state appena iniziando il Vostro mandato in ruoli dell'Unione Europea a cui ci rivolgiamo da molti anni. Il nostro Governo in Esilio della Repubblica Serba di Krajina vuole ricordarvi la nostra vecchia, e a Voi ben nota, situazione al fine di darVi la possibilità di riconsiderare le Vostre politiche.
Nel 1990, prima della guerra in Jugoslavia, la nostra nazione Serba in Krajina votò un referendum che ne sanciva l'indipendenza dalla Croazia. Le Vostre istituzioni, un tempo fondate per diffondere la democrazia, non riconobbero la volontà popolare espressa dal voto delle nostre genti. Ripetemmo la consultazione nel 1991: il 99% dei Serbi della Krajina si espresse ancora per una libera, sovrana e indipendente Krajina. Ancora una volta, le Vostre istituzioni rigettarono la volontà del popolo serbo democraticamente espressa. Nel 1993, abbiamo allora scritto la nostra Costituzione e votato i nostri 84 parlamentari. Tuttavia, le Vostre istituzioni hanno deciso nel 1995 di bombardarci (eravamo un'Area Protetta dalle Nazioni Unite !!!!!!!!!!!!) ed espellerci dalle nostre terre ancestrali. Il nostro esodo dalla Krajina è stato occultato dai mass media di tutto il Mondo. Peggio, i Serbi sono stati demonizzati e accusati di genocidio! 400.000 Serbi tra vecchi, donne e bambini della Krajina sono stati scacciati in 48 ore dalle loro case. In totale, quasi 900.000 Serbi hanno lasciato le loro case in Croazia, 400.000 Serbi hanno lasciato Sarajevo e altre regioni della Bosnia, 400.000 Serbi hanno abbandonato il Kosovo per la Serbia centrale. Contemporaneamente, la bandiera albanese sventolava sul Kosovo, diventato base di affari malavitosi come traffico di armi, droga, di organi e base di mercato di donne per la prostituzione nell'Unione Europea. Ancora una volta, le Vostre istituzioni hanno optato per i "bombardamenti umanitari e intelligenti" che hanno saturato le nostre terre di uranio impoverito. Di crimini contro l'umanità però sono stati accusati i demoni Serbi i cui leaders sono stati inviati al Tribunale dell'Aia dove giudici di parte e imbarazzanti (è sufficiente vedere i filmati delle sedute o leggerne i verbali) si sono fatti beffe della Giustizia e della Verità. I generali croati responsabili del genocidio "Oluja" in Krajina sono stati invece liberati da quasi ogni accusa in quello stesso tribunale mentre i leaders Serbi hanno battuto i record mondiali di più lunga detenzione senza che fossero giudicati e senza che fosse applicato il Regolamento secondo lo Statuto di Roma della Corte Penale Internazionale sulla revisione semestrale della detenzione. Intanto, si dava al Kosovo un riconoscimento da parte di 100 Paesi, spalleggiati dai sempre presenti Usa, configurando così la nascita del secondo Stato albanese oltre all'Albania stessa.
Ad ogni modo, esistiamo ancora, sebbene in esilio e dispersi, sapendo ciò che dipende da noi e ricordando ciò che avete fatto alla nostra Nazione. Abbiamo imparato che i Vostri diritti "all'autodeterminazione dei popoli nella loro madrepatria" non si applicano al popolo serbo, specialmente della Krajina. Lo Stato croato si comporta come quando era un'alleato di Hitler nel 1941. La Croazia non ha mai pagato per 1.000.000 di Serbi uccisi nella Seconda Guerra Mondiale (lager di Jasenovac, Jadovno...) come ha fatto, per esempio, la Germania che si è scusata ed ha pagato, vivendo come una vergogna nazionale, ciò che ha fatto al popolo Ebraico. Ne ha mai pagato per il genocidio degli anni 90 che poi è proseguito silenzioso e strisciante per tutto il decennio successivo. Voi siete responsabili di aver consentito a questa Croazia di unirsi all'Unione Europea! Questa democratica Croazia, membro dell'Unione Europea, che ogni settimana, in spregio ai Diritti Umani relativi alla preservazione della propria cultura e della propria lingua, distrugge ogni traccia di alfabeto cirillico anche laddove è previsto che rimanga. Le Vostre istituzioni europee sono complici di tutto questo odio silenzioso che impedisce alla cultura e alla coscienza nazionale serba espulsa di ritornare alle sue terre d'origine nella Krajina. Comprendiamo la natura di questa Vostra Europa e delle Vostre istituzioni europee che, a dispetto del sogno di coloro che scrissero il Manifesto di Ventotene, sono uno strumento di pochi al servizio di pochi e con l'obiettivo di imporre un modello e un punto di vista unico al Mondo intero. Ma i Serbi della Krajina non possono essere governati dalle Vostre istituzioni nemmeno quando vengono bombardati o quando comperate alcuni loro fratelli come leaders in Serbia quali Kostunica o Nikolic. Siamo sopravvissuti a 500 anni di occupazione ottomana senza mai cambiare la nostra cultura.
A dispetto di tutti gli evidenti crimini contro la nostra sovranità e contro i nostri diritti umani Vi diamo la possibilità di ascoltarci ancora una volta. Chiediamo quindi:
1) il riconoscimento del nostro Stato votato nel 1991 nonchè il riconoscimento dei nostri parlamentari eletti nel 1993 che rappresentano l'attuale Governo ricostituito, per l'ennesima volta, il 26 Febbraio del 2006 nell'esilio di Belgrado con Milorad Buha nella veste di Presidente;
2) aiuto nel ripristino di una Repubblica Serba di Krajina sovrana, indipendente che risolva tutti le questioni legali, politiche e relative ai diritti proprietari;
3) la pulizia dell'area balcanica dalle scorie radioattive da parte dell'Unione Europea e delle forze armate USA, responsabili di secolari possibili contaminazioni;
4) il rispetto della Vostra stessa Carta dei Diritti Umani che garantirebbe molte delle questioni che abbiamo sollevato.
Speranzosi che la Vostra guida delle istituzioni dell'Unione Europea aprirà nuove inedite possibilità di confronto diretto col nostro Governo e con le nostre rappresentanze diplomatiche, attendiamo un Vostro riscontro.

Il Governo della Repubblica Serba di Krajina

dr. Milorad Buha;
Presidente della Repubblica Serba di Krajina
dr.ssa Jasmina Peev;
Ministro degli Affari Esteri della Repubbluica Serba di Krajina
dr. Aleksandar Bescapè
Ambasciatore Plenipotenziario della Repubblica Serba di Krajina in Italia



(deutsch / italiano)

L'Occidente contro l'Oriente, come sempre

1) Dmitry Sokolow-Mitritsch: Das Russland, was sie Verloren haben
2) Ezio Mauro: L'Occidente da difendere
* Il commento video di Giulietto Chiesa
* L’Occidente psichiatrico di Ezio Mauro (Miguel Martinez)
* Presto, armi a "La Repubblica" ! (Tommaso Di Francesco)
3) I nuovi crociati: Massimiliano Di Pasquale, Gianni Pittella… E La socialdemocrazia in camicia bianca che ci porta alla guerra!


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РОССИЯ, КОТОРУЮ ОНИ ПОТЕРЯЛИ (Дмитрий Соколов-Митрич, 8 сентября 2014 года)

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DAS RUSSLAND, WAS SIE VERLOREN HABEN

Wir haben Amerika geliebt, echt. Ich kann mit genau erinnern, wir liebten Amerika. Als wir Anfang der 90-er Jahre ins Erwachsenenleben traten, gab es für die Mehrheit meiner Altersgenossen nicht mal die Frage, wie man sich zur westlichen Zivilisation verhält. Natürlich gut, wie denn sonst?

Im Unterschied zu unseren Großväter und sogar Vätern betrachteten wir die “größte geopolitische Katastrophe des XX. Jahrhunderts” überhaupt nicht als Katastrophe. Das war für uns der Beginn eines weiten Weges. Endlich ausbrechen, raus aus der sowjetischen Nußschale in die große Welt – die wilde und wirkliche. Endlich können wir unseren Hunger nach Erlebnissen befriedigen. Wir waren vielleicht nicht am besten Platz geboren worden, aber auf jeden Fall zur richtigen Zeit – so dachten wir. Heute ist das schwer zu glauben, aber sogar die von der kommunistischen Aufsicht befreite Kirche stand damals in einer Reihe mit dem Triumph westlicher Werte. Die 1000-Jahr-Feiern der Taufe Russlands und das erste Konzert der Scorpions mit ihrem “Wind of Change” – das waren für uns Sachen ein und derselben Natur.

Der Irakkrieg und sogar Jugoslawien ging irgendwie an uns vorbei. Und das nicht deshalb, weil wir noch zu jung und übermütig waren. Ich arbeitete schon in der “Komsomolka”, in der internationalen Abteilung, saß am englischen Band von Reuters, voll von Izetbegović, Mladic und Karadžić, gab aber all diesen Ereignissen keine ernsthafte Aufmerksamkeit. Das war irgendwo dort, weit weg und nicht in unserem Gebiet. Und, natürlich, ein Krieg im Balkan passte nicht in irgendeine antiwestliche Logik. Was hat Amerika damit zu tun?

In den 1990-er Jahren stimmten wir für “Jabloko”, gingen zum Weißen Haus auf der Seite der demokratischen Kräfte, sahen das neugegründete NTV und hörten “Echo Mosky”. In unseren ersten journalistischen Artikeln bezogen wir uns in allen Fragen auf irgendeine “zivilisierte Welt” und glaubten fest, dass sie auch wirklich zivilisiert sei. Mitte der 1990-er gab es in unseren Reihen schon die ersten Euroskeptiker, aber die liefen eher in der Kategorie Außenseiter. Ich selbst lebte im Internat mit dem Kommunisten Petja und dem Monarchisten Arseni in einem Zimmer. Meine Kumpel aus anderen Zimmern verabschiedeten mich jeden Tag voller Mitleid: “Ok, geh schon in deine Irrenanstalt”.

Der erste ernste Schlag für unsere prowestliche Lebensorientierung wurde der Kosovo. Das war ein Schock, die rosarote Brille zerbrach. Die Bombardierung Belgrads wurde für meine Generation das, was für die Amerikaner die Attacke auf die Zwillingstürme war. Das Bewusstsein drehte sich um 180 Grad, zusammen mit dem Flugzeug des damaligen Premierministers Ewgeni Primakow, der vom Beginn der amerikanischen Aggression über dem Atlantik erfuhr – auf dem Weg von Irland in die USA – und das Kommando zur Rückkehr nach Russland gab.

Damals gab es noch keinerlei Surkowsche Propaganda. Das vertraute NTV erklärte uns jeden Tag, dass Bombenschmeißen auf eine große europäische Stadt schon etwas zuviel ist, aber immerhin wäre Milosevic ja so ein Schurke, wie ihn die Welt noch nicht gesehen hat, macht also nix, hält der schon aus. Das Satireprogramm “Puppen” stellte das Ganze wie einen guten Streit in einer Kommunalwohnung dar, wo der besoffene Nachbar die “Bürgerin Kosova” nervt, und keiner was gegen ihn machen kann außer ihrem Gast und Liebhaber, mit starker Brust und dem Gesicht von Bill Clinton. Wir sahen uns das an, glaubten es aber schon nicht mehr. Wir fanden es nicht mehr lustig. Wir hatten schon verstanden, dass Jugoslawien eine Demoversion dessen ist, was in der nächsten historischen Perspektive auch mit uns passieren kann.

Der zweite Irak, Afghanistan, die endgültige Abtrennung des Kosovo, der “arabische Frühling”, Libyen, Syrien – das alles verwunderte, aber erschreckte schon nicht mehr. Die Illusionen waren schon verloren: Mit wem wir auf einem Planeten leben, war uns mehr oder weniger klar geworden. Aber, ungeachtet all dessen, blieben wir all diese Zeit in einer westlichen Umlaufbahn. Es wirkte noch der Mythos vom bösen Amerika, aber guten Europa, die Kosovo-Angst stumpfte langsam ab, der Kompromiss sah in etwa so aus: Ja, in enger Umarmung mit diesen Jungs befreundet sein kann man natürlich nicht, aber gemeinsame Spiele spielen geht schon. Letzten Endes, mit wem soll man denn sonst spielen?

Sogar die Parade der Farbrevolutionen bis zur letzten schien nur sowas wie kleine Gemeinheiten zu sein. Erst der Euromaidan und der darauf folgende grausame Bürgerkrieg zeigte uns mit aller Deutlichkeit: Dieser völlig von Prozeduren und Regeln befreite “demokratische Prozess”, auf dem Territorium des Gegners losgelassen – das ist kein geopolitisches Spielchen, sondern eine echte, wirkliche Massenvernichtungswaffe. Die einzige Waffe, die anwendbar ist gegen einen Staat, der ein Atomschutzschild hat. Es ist alles ganz einfach: Wenn du auf den Knopf drückst und eine Rakete über den Ozean schießt, kriegst du mit hundertprozentiger Sicherheit genauso eine zurück. Wenn du auf dem Territorium des Gegners eine Kettenreaktion des Chaos erzeugst, kann er dir gar nichts. Aggression? Was ist das für eine Aggression? Das ist ein natürlicher demokratischer Prozess! Das ewige Streben der Völker nach Freiheit.

Wir sehen Blut und Kriegsverbrechen, wir sehen die Leichen von Frauen und Kindern, wir sehen, wie ein ganzes Land in die vierziger Jahre zurückgeworfen wird – und unsere von Kindheit an geliebte westliche Welt erzählt uns, dass wir nur träumen. Nichts davon sehen die Leute, aus denen Jim Morrison Mark Knopfler und die Beatles hervorgingen. Weder die Nachfahren der Woodstock-Teilnehmer noch die Woodstock-Teilnehmer selbst wollen das sehen – die alten Hippies, die tausende Male “all you need is love” gesungen haben. Und auch die nachdenklichen Deutschen aus der Baby-Boom-Generation, die sich die Stirn aufschlagen in der Reue für die Taten ihrer Väter.

Dieser Schock ist stärker als der vom Kosovo. Für mich und viele tausende “Fastvierzigjährige”, die in die Welt mit dem amerikanischen Traum im Schädel aufbrachen, ist der Mythos von der “zivilisierten Welt” endgültig zusammengebrochen. Vor Schrecken tönt es in den Ohren. Es gibt keine “zivilisierte Welt” mehr. Und das ist nicht einfach nur ein bisschen traurig, es ist eine ernste Gefahr. Die Menschheit, die ihre Werte verloren hat, verwandelt sich in einen Haufen von Raubtieren, und ein großer Krieg ist nur noch eine Frage der Zeit.

Vor zwanzig Jahren hat man uns nicht besiegt. Man hat uns überwältigt. Wir haben nicht im Krieg verloren, sondern in der Kultur. Wir wollten einfach so werden wie sie. Rock’n’Roll hat dafür mehr gemacht als Atomsprengköpfe. Hollywood war stärker als Drohungen und Ultimaten. Das Aufheulen der Harley-Davidson im Kalten Krieg war effektiver als das von Abfangjägern und Bombern.

Amerika, wie dumm bist du doch! Du hättest bloß noch zwanzig Jahre warten müssen, wir wären dein gewesen, ohne Rückkehr. Zwanzig Jahre Vegetarismus – und unsere Politiker hätten dir unsere Atomwaffen geschenkt, und noch lange die Hand gedrückt aus Dankbarkeit dafür, dass du sie nimmst. Was für ein Glück, dass du so dumm warst, Amerika!

Von uns hast du überhaupt keine Ahnung! Das sind, nebenbei bemerkt, Worte, die wir vor zwei Jahren noch in Richtung Kreml geschrien haben. Seitdem, dank dir, Amerika, ist die Zahl derer, die auf diesen Platz gehen wollen, deutlich gesunken. Du erzählst Dummheiten über uns, denkst Dummheiten über uns, und machst im Endergebnis Fehler über Fehler. Früher warst du mal ein tolles Land, Amerika. Du hast dich moralisch über Europa erhoben nach dem ersten Weltkrieg, und gefestigt nach dem zweiten. Ja, du hattest Hiroshima, Vietnam, KuKluxKlan und überhaupt – den Schrank voller Skelette, wie jedes Imperium. Aber über lange Zeit hinweg hat dieser Mist nicht die kritische Masse erreicht, die Wein in Essig verwandelt. Du hast der Welt gezeigt, wie man für Aufbau und schöpferische Freiheit leben kann. Du hast auf dem Planeten viele Wunder der Entwicklung geschaffen: BRD, Japan, Südkorea, Singapur. Aber seitdem hast du dich stark verändert. Du hast schon lange keine Lieder mehr geschrieben, die die ganze Welt singt. Du hast dein wichtigstes Kapital verbraucht – das moralische. Und das hat eine sehr schlechte Eigenschaft: Es kann nicht wiederhergestellt werden.

Du hast begonnen, langsam zu sterben, Amerika. Und wenn du denkst, dass ich schadenfreudig bin, irrst du. Eine große Änderung der Epoche wird begleitet von viel Blut, und ich mag kein Blut. Wir, Menschen, die selbst den Untergang ihres Imperiums erlebt haben, könnten dir sogar erklären, was du falsch machst. Werden wir aber nicht tun. Krieg es selbst raus.

Dmitry Sokolow-Mitritsch


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http://www.repubblica.it/esteri/2014/09/05/news/l_occidente_da_difendere-95037708/

L'Occidente da difendere

di EZIO MAURO, su La Repubblica del 5 settembre 2014

La terza Nato nasce in Galles dopo la prima, figlia della Guerra Fredda e la seconda dell'età di mezzo, quando con la caduta del Muro sembrò aprirsi un secolo lungo senza più nemici per le democrazie che avevano infine riconquistato il Novecento. La guerra di Crimea riporta nel cuore d'Europa, dove sono nate le due guerre mondiali, truppe, missili, carri armati, morti, feriti, aerei abbattuti. Ritorniamo a guardare i nostri cieli e le nostre mappe con quella stessa inquietudine per il futuro dei nostri figli che i nostri padri avevano ben conosciuto, e noi non ancora. E dagli arsenali della politica, della cultura, della diplomazia e della strategia militare rispuntano insieme con vecchie paure i concetti dimenticati delle "zone d'influenza", dei "blocchi", delle "esercitazioni", dei Muri, della frontiera europea tra Occidente e Oriente, con l'Ovest che ritrova il suo Est e il Cremlino fisso nuovamente nella parte del "nemico ereditario".

Misuriamo con uguale inquietudine gli sconfinamenti ucraini di Putin e la sua popolarità crescente in patria, nonostante le sanzioni. Scopriamo quel che dovevamo sapere, e cioè che l'anima imperiale e imperialista della Russia è eterna e insopprimibile, dunque non è una creatura ideologica del sovietismo ma lo precede, lo accompagna e gli sopravvive. Anzi: dopo gli anni di interregno, con il pugno di ferro interno e la spartizione oligarchica del bottino di Stato, l'Oriente russo torna a marcare un'identità forte, una sovranità territoriale e politica che mentre si riprende la Crimea non nasconde velleità su Kiev e tentazioni sui Paesi baltici, come se Mosca si ribellasse alla storia e alla geografia d'inizio secolo, contestandole e impugnandole davanti alla sua ossessione ritrovata: l'Occidente.

Nello stesso momento il Califfato islamista appena proclamato tra Siria e Iraq non ha ancora un vero Stato, una capitale, un sistema di relazioni, ma ha un pugnale puntato alla gola di uomini scelti per simboleggiare nel loro martirio individuale una sorta di sfida universale, che va addirittura oltre lo spettacolo di morte dell'11 settembre. La morte sceneggiata come messaggio estremo alla potenza americana, sotto gli occhi di tutto il mondo, rito primitivo del fanatismo religioso e marketing modernissimo del deserto. Nella sproporzione assoluta tra l'inermità innocente del prigioniero e la potestà totale del suo assassino (uno squilibrio miserabile, che esiste soltanto fuori dallo Stato di diritto, dai tribunali, dalle garanzie e dai diritti) si radunano i simboli e le vendette per la guerra del Kuwait dopo l'invasione di Saddam, la caccia ad Al Qaeda in Afghanistan con la ribellione all'attacco contro le Torri, la guerra in Iraq, l'uccisione di Bin Laden, ma anche la sfida islamista tra ciò che resta di Al Qaeda e l'Is, lo Stato Islamico, una partita aperta per l'egemonia politico-religioso-militare del fanatismo. Costruire sul terrore il Califfato significa soprattutto cancellare ogni rischio di contagio democratico anche parziale nei Paesi islamici, ogni istituto prima ancora di ogni istituzione, in nome di quell'"isolazionismo" che Bin Laden predicava e minacciava per cacciare dalla penisola musulmana "i soldati della croce", con i loro "piedi impuri" sui luoghi sacri. Il nemico definitivo è dunque chiaro: l'Occidente.

Ma nel momento in cui due parti del mondo lo designano contemporaneamente come il nemico finale e l'avversario eterno, l'Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all'altezza della sfida? Ha almeno la consapevolezza che quel pugnale islamista è puntato alla sua gola, mentre Putin sta rialzando un muro politico e diplomatico che fermi l'America, delimiti l'Europa e blocchi la libertà di destino dei popoli? La risposta della politica è inconcludente, quella della diplomazia non va oltre le sanzioni. Resta la Nato, il vertice del Galles, la polemica sulle spese, il progetto di esercito europeo. Ma la domanda si ripropone oltre la meccanica militare: la Nato può funzionare e avere un significato da protagonista delle due crisi senza una soggettività politica chiara dell'Occidente? In sostanza, il nemico (o meglio: colui che ci elegge a nemico) ha una nozione di noi più chiara di quella che noi abbiamo di noi stessi.

Per tutto il breve spazio "di pace" che va dalla caduta del Muro all'11 settembre abbiamo lasciato deperire nelle nostre stesse mani il concetto di Occidente, mentre altri lavoravano per costruirlo come bersaglio immobile. Lo abbiamo svalutato come un reperto della guerra fredda e non come un elemento della nostra identità culturale, istituzionale e politica, quasi che fossimo definiti soltanto dall'avversario sovietico, e solo per lo spazio della sua durata. Anche gli scossoni geografici nell'Europa di mezzo, seguiti alla caduta del blocco sovietico, e le proposte di allargamento dell'Unione sono stati gestiti con parametri più economici, di mercato e di potenza che ideali. Quel pezzo di Occidente che si chiama Europa è sembrato a lungo incapace di avere un'idea di sé che non nascesse per differenza dal confronto con il comunismo orientale, e quando il sovietismo è caduto è parso in difficoltà a definirsi, a concepirsi come la terra dov'è nata la democrazia delle istituzioni e la democrazia dei diritti. Qui sta la ragione della comunità di destino - e non solo dell'alleanza - con gli Stati Uniti, e stanno anche le ragioni specifiche che l'Europa porta in questa intesa, il rispetto degli organismi internazionali di garanzia e delle regole di legalità internazionale, che per un'alleanza democratica (anche quando è guidata da una Superpotenza) valgono sempre, anche quando è sotto attacco: perché la democrazia ha il diritto di difendersi, ma ha il dovere di farlo rimanendo se stessa.

Oggi noi dobbiamo vedere (se non fosse bastato l'11 settembre) che non è l'America soltanto il bersaglio, ma è questo nostro insieme di valori e questo nostro sistema di vita, fatto di libertà, di istituzioni, di controlli, di regole, di parlamenti, di diritti. E contemporaneamente, certo, di nostre inadeguatezze, miserie, errori, abusi e violenze, perché siamo umani e perché la tentazione del potere è l'abuso della forza. Ma la differenza della democrazia è l'oggetto dell'attacco, il potenziale di liberazione e di dignità e di uguaglianza che porta in sé anche coi nostri tradimenti, e proprio per questo il suo carattere universale, che può parlare ad ogni latitudine ogni volta che siamo capaci di comporre le nostre verità con quelle degli altri rinunciando a pretese di assoluto, ogni volta che dividiamo le fedi dallo Stato, ogni volta che dubitiamo del potere - sia pur riconoscendo la sua legittimità - e coltiviamo la libertà del dubbio.

Hanno il terrore di tutto questo, nonostante la nostra testimonianza infedele della democrazia e il cattivo uso delle nostre libertà. Lo ha Putin, con la sua sovranità oligarchica. E lo ha radicalmente l'Is. Ma noi, siamo in grado di difendere questi nostri principi e di credere alla loro universalità almeno potenziale, oppure siamo disponibili ad ammettere che per realpolitik diritti e libertà devono essere proclamati universali in questa parte del mondo, ma possono essere banditi come relativi altrove? In sostanza, siamo disposti a difendere davvero la democrazia sotto attacco?

La sfida è anche all'interno del nostro mondo. Perché nell'allontanamento dalla politica e dalle istituzioni dei cittadini dell'Occidente c'è la sensazione che siano diventate strumentazioni inutili di fronte alla grande crisi economica e alle crisi locali aperte nel mondo. E che la stessa democrazia oggi valga soltanto per i garantiti, lasciando scoperti dalle sue tutele concrete gli esclusi. La somma delle disuguaglianze sta infatti facendo traboccare il nostro vaso: sono sempre esistite, nella storia dei nostri Paesi, ma erano all'interno di un patto di società che prevedeva mobilità sociale, opportunità, libertà di crescita e questo teneva insieme i vincenti e i perdenti del boom, delle varie congiunture, dello sviluppo, della globalizzazione. Oggi si è rotto il tavolo di compensazione dei conflitti, il legame sociale tra il ricco e il povero, la responsabilità comune di società. Tra i precari fino a quarant'anni e licenziati di 50, produciamo esclusi per i quali la democrazia materiale non produce effetti: e perché per loro dovrebbe produrne la democrazia politica, la partecipazione, il voto?

Contemporaneamente, una parte sempre più larga di popolazione ha la sensazione davanti alle crisi che il mondo sia fuori controllo. E cioè che il sistema di governance che ci siamo dati faticosamente e orgogliosamente nel lungo dopoguerra si sia inceppato, e non produca governo dei fenomeni in atto. Per la prima volta si blocca quello scambio tra il cittadino e lo Stato fatto di libertà e diritti in cambio di sicurezza. Ci si sente cittadini dentro lo Stato nazionale, ma si percepisce che lo Stato-nazione non controlla più nessuno dei fenomeni che contano nella nostra epoca, non ha prodotto istituzioni e democrazia in quello spazio sovranazionale dei flussi finanziari e informativi dove non per caso la nostra cittadinanza - il nostro esercizio soggettivo di diritti - è puramente formale. Delle istituzioni sovranazionali a noi più vicine - la Ue - sentiamo nitidamente il deficit di rappresentanza e quindi di democrazia. Portiamo in tasca una moneta comune senza sapere qual è la faccia del sovrano che vi è impressa, senza un'autorità capace di spenderla politicamente nelle grandi crisi del mondo, senza un esercito che la difenda. Alla fine dell'Europa sentiamo il vincolo, certo, ma non la sua legittimità.

La stessa America, che doveva essere la Superpotenza superstite al Novecento e dunque egemone, avverte la crisi della sua governance proprio quando l'elezione di Obama aveva dispiegato tutta l'energia democratica di quel Paese, come se quel voto avesse avvertito la coscienza dell'ultimo limite (la differenza razziale come impedimento ad un pieno dispiegamento dei diritti) e la necessità infine di superarlo. Ma nel momento in cui spezzando l'unilateralismo bushista Obama, dopo aver offerto invano il dialogo all'Islam, porta l'America fuori dalle guerre sul terreno, chiudendo un'epoca, la democrazia americana si scopre disarmata e in difficoltà a tradurre la sua forza in politica, e vede Mosca riarmarsi e Pechino lucrare vantaggi competitivi all'ombra delle crisi che investono direttamente Washington.

È come se stessimo testando il confine della democrazia, quasi non riuscisse più a produrre rappresentanza, governo e istituzioni capaci a rispondere alle esigenze dell'epoca. Come se fosse una costruzione del Novecento, giunta esausta a questo pericoloso inizio di secolo. Non sarebbe la fine di un'ideologia, ma di tutto il fondamento dello Stato moderno, di una cultura politica, di un'identità. Per questo l'Occidente oggi va difeso, con ogni mezzo, da chi lo condanna a morte. Anche Vladimir Putin dovrebbe riflettere sulla sfida islamista, domandandosi per chi suona la campana, magari recuperando negli archivi del Cremlino la lettera che l'ayatollah Khomeini scrisse all'ultimo segretario generale del Pcus nel gennaio del 1989: "È chiaro come il cristallo che l'Islam erediterà le Russie".

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Il commento di Giulietto Chiesa sull'editoriale di Ezio Mauro
VIDEO: http://www.youtube.com/watch?v=Ih4svTAhbN0

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L’Occidente psichiatrico di Ezio Mauro

Posted on 06/09/2014 by Miguel Martinez

Leggo ieri, sul sito di Repubblica, un editoriale di Ezio Mauro che riesce a riassumere due secoli di paranoia in quattro luoghi comuni.

Mauro ci spiega che esiste l’Occidente e che l’Occidente ha un “nemico ereditario“, l’Oriente.

Egli adopera in modo intercambiabile il termine “Occidente” e il pronome “noi“, e già questo è clinicamente interessante.

Il signor Ezio Occidente precisa comunque di non essere paranoico: è il mondo, spiega, che ce l’ha con lui/noi.

Ci rivela che “l’anima imperiale e imperialista della Russia è eterna e insopprimibile” e vuole bloccare “la libertà di destino dei popoli“.

Poi ci sono i musulmani. Ezio Occidente, parlando del cosiddetto califfato islamico a cavallo tra Siria e Iraq, si chiede se l’Occidente (anzi “la comunità del destino”) abbia

“almeno la consapevolezza che quel pugnale islamista è puntato alla sua gola“.

E si pone l’eterna domanda di tutti coloro che temono la Decadenza dell’Occidente:

“Ma nel momento in cui due parti del mondo lo designano contemporaneamente come il nemico finale e l’avversario eterno, l’Occidente ha una nozione e una coscienza di sé all’altezza della sfida?”

la risposta, per lui è chiara:

” Per questo l’Occidente oggi va difeso, con ogni mezzo, da chi lo condanna a morte.”

Ragionare con i matti, in particolare con quelli paranoici, non è sempre facile, perché richiede che si applichi una regola di di buon senso, che si può riassumere così:

1) Se qualcuno dice che Jack lo Squartatore fu colpevole di alcuni omicidi avvenuti nella Belle Epoque londinese, se ne può discutere.

2) Se qualcuno dice che Jack lo Squartatore lanciò la bomba atomica su Hiroshima, ho il diritto di esprimere i miei dubbi, senza per questo diventare necessariamente un difensore del personaggio.

Quindi, premetto che la parte antirussa degli ucraini ha tanti validi motivi per non voler restare nella sfera di Mosca, e non ho particolari simpatie per l’attuale governo russo (e nemmeno per altri governi, se è per questo).

Però constato che nessuno sta cercando di conquistare né l’Ucraina, né l’Occidente: c’è la parte di ucraini – diciamo un terzo della popolazione – che si sente russa che non ha intenzione di farsi sottomettere o cacciare dalla parte antirussa, e in questo godono del sostegno del governo russo.

Il signor Ezio Occidente sappia quindi che i russi non vogliono far abbeverare i loro cavalli nella fontana di San Pietro, al massimo faranno abbeverare le loro Ferrari dai benzinai della Versilia.

Per quanto riguarda l’ISIS [1], non si tratta di una “parte del mondo” – come scrive Ezio Occidente – che ha come “nemico definitivo” l’Occidente. Si tratta piuttosto dell’ennesima tegola in testa agli iracheni, da quando hanno scoperto il petrolio da quelle parti.

Mettere i fatti in ordine cronologico è istruttivo.

A giugno l’ISIS si è vantato di aver fucilato in un solo giorno tra 600 e 3.000 prigionieri iracheni (accusati di appartenere al “criminale esercito safavide“, un termine che mette insieme i concetti di sciita e di iraniano) catturati nell’ex-base statunitense di Camp Speicher.

Tutto in video,  ovviamente; e devo dire che è il video più terrificante che mi sia mai capitato di guardare. Lo so che ogni battaglia della Rivoluzione Messicana finiva con la fucilazione finale dei soldatini/contadini prigionieri; e più o meno lo stesso capitava durante tutti i grandi eventi del Novecento, però questa volta i media non hanno la scusa che non ci sono le immagini.

Che cosa ne avrà pensato Ezio Occidente?

Vado su Google: Nessun risultato trovato per “camp speicher” “ezio mauro”.[2]

Evidentemente i soldatini sciiti non fanno Occidente Minacciato.

Per sostenere il governo che avevano installato in Iraq, e perché una nuova guerra ogni tanto ci vuole, gli Stati Uniti hanno in seguito bombardato alcune basi dell’ISIS. Basi, ricordiamo, messe in piedi grazie alla lunga accondiscendenza del governo turco.

Infatti, l’ISIS è il nemico più agguerrito e capace del governo siriano, un governo da anni ormai sotto sanzioni e minacce di ogni sorta proprio da parte dell’Occidente: lo scorso giugno, Obama ha proposto di dare 500 milioni di dollari per addestrare e armare chi sta combattendo contro il governo siriano.

Anche il governo siriano avrà le sue pecche, ma non ha certo mai minacciato l’Occidente.

Solo dopo i bombardamenti statunitensi, è avvenuto il video-omicidio del giornalista Sotloff: il decapitatore ha spiegato chiaramente il messaggio“un’occasione per avvertire i governi che entrano in questa malvagia alleanza con l’America contro lo Stato Islamico: si tirino indietro e lascino il nostro popolo in pace; e rivolto a Obama,“Fintanto che i tuoi missili continueranno a colpire il nostro popolo, i nostri coltelli continueranno a colpire il collo del tuo popolo”.

Non esiste, insomma, nessun pugnale puntato alla gola dell’Occidente.

Non escludo che se l’aeronautica americana bombardasse di nuovo una città controllata dall’ISIS, a qualche giovane esaltato potrebbe venire in mente di farsi saltare in aria in un supermercato di Parigi, e sarebbe una cosa sicuramente orribile.

Ma il punto è che l’Occidente non salta per un supermercato che chiude (ne hanno chiuso uno dietro casa mia l’altra giorno, e ti assicuro che l’Occidente respira uguale).

L’Occidente salterebbe, casomai, se non arrivasse più petrolio. Ma anche lì, non c’è da preoccuparsi.

L’ISIS, infatti, pare che viva del petrolio che riesce a vendere. Come tutto ciò che riguarda il Medio Oriente, sarà una cifra un po’ a caso, ma qualcuno calcola che l’ISIS guadagni tre milioni di dollari al giorno grazie proprio al petrolio  (e vendono pure l’energia elettrica prodotta dalla diga di Raqqa, che si sono ben guardati dal danneggiare).

Passiamo a guardare la filosofia sottostante alla costruzione di Ezio Occidente.

Lui che scrive e il lettore formano un “noi”, unito dal nemico che ci odia perché il nemico è intrinsecamente perverso: odia la libertà, la pace e probabilmente anche i bambini.

Questa condivisione paranoica permette di spazzare sotto il tappeto tutto ciò che in realtà “ci” divide, a partire dal fatto che lui ha alle spalle Benetton, e io no, ad esempio.

Il nemico viene ingigantito oltre ogni misura: stendiamo un velo pietoso sui disastrati villaggi polverosi da cui il Califfato emana i suoi video, sgozza i suoi sciiti e vende il suo petrolio. Ma anche il PIL di tutta la vasta Russia rimane inferiore a quello della nostra piccola Italia.

La comunità paranoica non è mai dichiaratamente aggressiva: il suo motto è dobbiamo difenderci – dagli slavi, dagli sciiti, dagli ebrei, dagli arabi, dai cristiani, dai serbi, dai musulmani, dai neri che violentano le nostre donne, dagli Invasori di Lampedusa, dagli alieni di Zeta Reticuli… Il “bersaglio“, scrive il direttore di Repubblica“è questo nostro insieme di valori e questo nostro sistema di vita”.

Una difesa da condurre, come scrive in tono sinistro il nostro (ricordiamo che sta parlando di un vertice della NATO, cioè della massima organizzazione armata del pianeta), “con ogni mezzo”. Ma dietro le parole difensive, Ezio Occidente si lascia sfuggire un concetto interessante. Eggli accusa infatti Putin di voler che si  “fermi l’America, delimiti l’Europa“. Nessuno osi delimitarci.[3]

Anzi, “la democrazia” (ricordiamo che per il nostro autore, i termini “Occidente”, “Ezio Mauro”, “democrazia” e “noi” sono tutti sinonimi perfettamente intercambiabili) ha un “carattere universale che può parlare a ogni latitudine“. Che è all’incirca ciò che sostengono alcuni a proposito dell’Islam.

I difensori paranoici non sono mai contenti. Lo scarto tra le loro fantasie di trionfo totale e la realtà la attribuiscono in genere a una caduta di morale. Il difensore paranoico vive sempre all’undicesima ora, in cui solo uno scossone potrà risvegliare la Fibra Morale; e quindi cerca avidamente i segni del declino e del pericolo, da agitare confusamente davanti a coloro che vorrebbe appunto risvegliare. E l’articolo di cui parliamo è pieno di preoccupazioni per i dubbi che pervadono un Occidente che invece  dovrebbe pensare solo a combattere.

Qui non ci piace giocare con la parola fascismo. Però nella sequenza filosofica che abbiamo esposto, credo che troverete la chiave per capire tante caratteristiche di movimenti che i media chiamano neofascisti.

La differenza però è sempre quella del vecchio detto su chi rapina una banca e chi la fonda.

Ezio Occidente non è Roberto Fiore perché Roberto Fiore non fa il direttore del principale quotidiano italiano.

Note:

[1] Invitiamo i lettori a ricordare che ISIS in questo caso si riferisce al cosiddetto Islamic State of Iraq and Syria, e non all’Institute for the Secularization of Islamic Society, delle cui bizzarre attività abbiamo già avuto occasione di parlare.

[2] Se poi cerco Speicher sul motore di ricerca interno di Repubblica, trovo un  giocatore di basket di Cremona e un articolo curioso su Michael Speicher, il pilota cui fu dedicata la base.

[3] Possiamo suggerire al signor Ezio Occidente la lettura di qualche breve e semplice testo, alla portata anche di un direttore di quotidiano, come ad esempio questo intitolato Accettare i propri limiti per trovare l’autostima.


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Il mondo caotico di Ezio Mauro. Presto, armi a Repubblica 

Tommaso Di Francesco 

su Il Manifesto del 6.9.14

A chi inviamo armi oggi? Dopo i kurdi, dopo quelle alla Libia e alla Siria (finite irreparabilmente ai jihadisti), dopo aver letto l’editoriale di Ezio Mauro, non abbiamo dubbi: inviare subito armi alla «Repubblica». Difficile, francamente, leggere un editoriale più caotico e sospeso in un vuoto davvero pericoloso. A un certo punto abbiamo temuto che un virus o un copia-incolla sbagliato abbia immesso nella riflessione autorevole una lunga giaculatoria di Oriana Fallaci, l’ennesima lode al «civile» Occidente insidiato dall’inferno barbaro che lo circonderebbe, dall’Islam al resto del mondo. 
Dunque per Mauro sarebbe cominciata la terza era dell’Alleanza, dopo la prima della Guerra Fredda e la seconda, quando con la caduta del Muro «sembrò aprirsi un secolo lungo senza più nemici per le democrazie che avevano infine riconquistato il Novecento». 
Eppure le date non tornano: la prima Nato nasce preventiva nel 1949 (il Patto di Varsavia nascerà solo nel 1951) e la seconda stagione atlantica si avvia nell’aprile del 1999 (dieci anni dopo l’89) a Washington in piena guerra «umanitaria» di 78 giorni di raid sull’ex Jugoslavia. Con una nuova guerra espansiva: altro che alleanza di «difesa». 
Ma la democrazia non aveva vinto? Non era il caso di rivedere quell’Alleanza sciagurata, invece di mantenere l’ideologia del nemico necessario. 
Ma ora la terza fase, quella nata ieri in Galles, è davvero necessaria: guardate il Califfato islamico con la sua morte sceneggiata. Ma chi ha usato questi macellai nei vari teatri di guerra, dall’Afghanistan alla Bosnia, se non l’Occidente e per portare alla vittoria, contro il socialismo realizzato morente e per geostrategie di potenza, l’ideologia atlantica della primazia di civiltà? Che rapporto c’è ora tra pugnale insanguinato islamista e cluster-bomb americane e israeliane? 
Niente dubbi. Anche se la democrazia ormai «esclude», serve solo ai garantiti, «non è più garanzia di governance», saltati gli Stati nazionali, nelle sedi sovranazionali. Il mondo è «fuori controllo» ed è «impossibile» lo scambio tra cittadini e Stato, tra diritti e «sicurezza». Militare, naturalmente. ma allora, si chiede Ezio Mauro siamo comunque disposti a difendere la democrazia sotto attacco? 
Pure se esausto e senza contenuto, per Ezio Mauro l’Occidente va difeso «ad ogni costo». E anche Putin - è il caos - deve rispondere alla sfida islamista (come se avesse dimenticato Beslan a tre giorni dall’anniversario). Quindi nuove guerre «umanitarie» insieme a tante basi della Terza gloriosa fase Tre della Nato, a ridosso della Russia. Un nuovo Muro militare. 
Subito, ad ogni costo, armi a Repubblica. 


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I NUOVI CROCIATI


1) MASSIMILIANO DI PASQUALE

Fonte: profilo facebook "VOGLIAMO RADIOANCHIO E LA RAI SENZA BERLUSCHINI", 2/9/2014

"Scopriamo" che dei sostenitori italioti dei golpisti ucraini, finanziati da Ue e USA, che hanno per idolo uno schifoso collaborazionista nazista come Stepan Bandera quando parlano di questo criminale omettono delle notizie non di poco conto.
Uno di questi "intellettuali" è Massimiliano Di Pasquale, sodale di personaggi del PD come Matteo Cazzulani che insieme con Gianni Pittella si facevano foto con sfondo di bandiere dei nazi ucraini a Kiev durante i disordini che hanno portato al colpo di stato in Ucraina.
Questo Di Pasquale (chiamato anche dalla RAI in varie trasmissioni, tipo Rainews.it a commentare (!!) la situazione in Ucraina) in un suo articoletto postato anche su delle pagine Web dovrebbe spiegarci come mai nel 2014 lui che si considera così tanto esperto della storia Ucraina definisce "accuse NEOSOVIETICHE" le accuse di collaborazionismo con il nazismo di Bandera e i suoi scagnozzi. 
Come mai Di Pasquale nel 2014 nel suo articolo ignora il giudizio ("NAZI COLLABORATOR") che hanno di Stepan Bandera quei giocherelloni del Centro Wiesenthal che probabilmente di criminali nazisti se ne intendono molto più di lui? Ignoranza o malafede?

Che forse anche al Centro Wiesenthal siano imbevuti di "propaganda neosovietica" , eh Di Pasquale, che non riescono a considerarlo come un romantico "eroe nazionale" come lo vedono i golpisti fascistoidi di Kiev e certi sostenitori italioti?

Link alla pagina del Centro Wiesenthal : 
http://www.wiesenthal.com/site/apps/nlnet/content2.aspx?c=lsKWLbPJLnF&b=4441467&ct=7922775#.VAX5QktEOWF
[January 28, 2010: WIESENTHAL CENTER BLASTS UKRAINIAN HONOR FOR NAZI COLLABORATOR]

PS: qui l'articoletto di Di Pasquale dove potrete leggere che - NEL 2014 !!! - non fa assolutamente cenno a come viene considerato quel criminale di Stepan Bandera dal Centro Wiesenthal : http://massimilianodipasquale.wordpress.com/2014/06/19/stepan-bandera-tra-mito-nazionale-e-propaganda-neosovietica/


2) GIANNI PITTELLA

Pittella è vice-presidente del Parlamento europeo.

«Io sono andato giù a Roma... ho parlato con... e poi ho incontrato anche Gianni Pittella... è il presidente del Consiglio europeo (lapsus, ndr )... grande... potere enorme... al posto di parlamentare europeo... nel Pd è considerato potente ecco... io l’ho incontrato... sul piano casa abbiamo parlato parecchio... magari strumenti europei perché...» (Primo Greganti, intercettazioni inchiesta EXPO)

Dalla pagina FB di Gianni Pittella, "Viaggio a Kiev":
«L'Ue non é sorda alla battaglia per la democrazia del popolo ucraino. Sia il popolo ucraino a decidere liberamente se entrare a far parte della grande famiglia europea.»

FOTO: Gianni Pittella arringa la folla di ultranazionalisti sulla piazza di Kiev. In primo piano le bandiere di "Svoboda" e "Pravij Sektor" (dicembre 2013)

Gianni Pittella è il datore di lavoro di