Informazione


http://www.resistenze.org/sito/te/po/se/poseca25-010369.htm
www.resistenze.org - popoli resistenti - serbia - 25-01-12 - n. 393

da Associazione SOS Kosovo Methoija
 
Una scintilla di speranza a Gracanica, Kosovo Metohija.
 
di Radmila Todic Vulicevic
 
Ci siamo chiusi nel silenzio. sembrerebbe quasi che le cose vadano bene, bene a tal punto da non aver più nulla da dire. 
Siamo immersi nei nostri pensieri. Per chi osserva da fuori, diamo l'impressione di coloro che stando davanti alla propria casa e, quasi canticchiando, lavorano serenamente nel proprio giardino, convinti che la stessa cosa stiano facendo anche i vicini.
 
La verità è che stiamo camminando nelle tenebre e che ci sentiamo impotenti. 
Abbiamo sentito che i team scelti per i negoziati sul Kosovo, si ritroveranno di nuovo a Bruxelles per discutere e negoziare.
 
Le persone sono preoccupate: alcuni sono immersi nei calcoli e preoccupati delle cifre che possono ottenere per la terra che hanno ereditato. Altri sono preoccupati per l'aratura e per la raccolta perché non sanno se riusciranno a raccogliere quello che hanno seminato. 
Le stesse preoccupazioni da oramai dodici anni. E cosa potrebbe succedere se la Serbia dovesse girare le spalle a questa gente? Per tutti questi anni dalla Serbia arrivavano i sussidi per i sementi, per i fertilizzanti e per l'olio... sarà così anche quest'anno?
 
I cittadini di Mitrovica ricevevano aiuto dagli altri Serbi del Kosovo, ma si trattava di singoli oppure di partiti. Era una scommessa: per quanto tempo riusciranno a persistere, come andrà a finire? 
Arriva l'inverno... di riscaldamento non c'è né negli uffici di questi "Serbi Albanesi" né negli uffici dei "Serbi Serbi". Potrebbe andare meglio solo se decidessero di procurarsi la legna da soli e di pagare di tasca propria le spese per gli spazzacamini.
 
È stato annunciato che ci saranno di nuovo i colloqui a Pristina per discutere della proprietà usurpata. Magari qualcuno nominerà, in qualità di usurpatrice, anche Kacusa Jasari, in politica dai tempi di Tito fino ad oggi, che si presa un appartamento di serbi.
 
La stessa cosa è capitata nel centro di Pristina, nella via Ramiz Sadiku, dove Arber Hadri (figlio di Ali Hadri, ex professore ed ex rettore dell'università) si è impossessato d'un appartamento. Per non parlare di Prizren, dove ci sono antiche case delle famiglie serbe che sono letteralmente state spazzate via, eliminate dai documenti catastali. Come se non fossero mai esistite. Penso ai proprietari di queste case che cercano giustizia ricorrendo alle organizzazioni non governative, gente che perde tempo presso i tribunali, esaurendo gradualmente tutte le proprie forze ( materiali e psicofisiche).
 
Penso che ogni centimetro di terra in Metohija significhi dignità, duro lavoro e sudore di un contadino e della sua famiglia. Chissà se i negoziatori si ricorderanno di parlare anche di questo? Anche se bisogna dire che ancora oggi non sono stati contati e registrati ne' i proprietari ne' le proprietà, non sono stati catalogati in alcun posto ettari di fertili terreni agricoli e la stessa cosa vale per le numerose foreste. Per la verità, una volta è successo, presso l'agenzia delle Nazioni Unite per la proprietà, la quale però è stata poi ribattezzata "agenzia per la proprietà del Kosovo". Come conseguenza, la gente doveva nuovamente presentare le prove di ciò che fosse di loro proprietà! Queste persone che una volta vivevano solo dalla propria terra e del proprio lavoro nei campi, oggi passano il loro tempo nei centri profughi collettivi, aspettando che qualcuno più giovane di loro gli offra una sigaretta oppure muoiono lentamente e con discrezione, senza dare spettacolo, "senza corda".
 
Muoiono anche gli Albanesi negli ospedali. Quelli che hanno delle conoscenze riescono ad andare a curarsi a Belgrado, ed a Belgrado, bisbigliando, raccontano i loro guai. Si potrebbero elencare all'infinito le incongruenze della vita che vibra tra le pareti del monastero fondato otto secoli fa.
 
Ma c'è stata una scintilla. In un giorno, qualche settimana fa, proprio nello stesso giorno, sette bambini sono nati nel piccolo ospedale di Gracanica. Questi bambini, esattamente come i loro genitori, non sono stati registrati nel censimento che si stava svolgendo in Serbia, ma sono stati iscritti nel registro delle nascite. Il censimento è stato pubblicizzato come "una nota per il futuro", ma i bambini appena nati hanno rifiutato questo slogan...
 
Essi esistono a dispetto di tutte le politiche e dei politici....
 
*Da Gracanica 
Radmila Todić-Vulićević, dell'Associazione di donne Srecna Porodica – 12-2011. 
Traduzione di Sandra Barbaric ( Ass. Sos YU – Kosovo Metohija )
 
 
Brevi note dal e sul Kosovo Metohija
 
di Enrico Vigna
 
Gennaio 2012
 
Prendendo spunto da questa corrispondenza inviataci da Radmila Vulicevic, presidentessa dell'Associazione di donne vedove e profughe di guerra "Srecna Porodica", con cui abbiamo da anni un Progetto di Solidarietà e con cui siamo gemellati, abbiamo occasione per rompere anche solo per un momento, il muro di silenzio sulla terribile situazione, sia materiale che morale, nella provincia kosovara.
 
Già nella esposizione di Radmila Vulicevic, si può avere un'idea della realtà in cui vive il popolo serbo kosovaro; sono passati quasi 13 anni da quando la "scure umanitaria" della NATO si è abbattuta sulla Serbia e sul Kosovo Metohija, per portare la "democrazia"; dopo 78 giorni di bombardamenti, a cui è seguita l'occupazione militare e la consegna della provincia ai loro fiduciari secessionisti e criminali dell'UCK, ora al governo in giacca e cravatta a Pristina.
 
In questi 12 anni e mezzo, in questa terra, cuore della storia e identità del popolo serbo, sono continuate violenze, omicidi, terrore, umiliazioni... per 12 anni e mezzo, ininterrottamente.
 
Continuano ad esistere le "enclavi", aree protette dalle forze militari internazionali, dove la gente ( serbi e rom soprattutto) vive in uno stato di apartheid, isolata ed intimorita.
 
Non esiste il diritto alla sanità, se non, per casi gravi presso l'ospedale di Mitrovica nord ( Kosovo settentrionale abitato dalla comunità serba), dove i serbi vanno ... quando possono, sotto scorta, a farsi curare.
 
Non esiste il diritto all'istruzione, i bambini serbi studiano nelle enclavi in stanze adattate a classi, spesso senza riscaldamento; i giovani vanno ogni due, tre mesi... quando possono, sotto scorta, a dare gli esami all'università distaccata di Mitrovica nord.
 
Non esiste il diritto al lavoro, tranne la coltivazione di orti all'interno delle enclavi,, non vi è nessuna possibilità di lavorare per ogni serbo del Kosovo; tranne piccole attività marginali per chi vive a Mitrovica nord, dove comunque il tasso di disoccupazione è oltre il 70%.
 
Non esiste il diritto al libero movimento e spostamento, pena il rischio di essere attaccati o peggio assassinati, come successo in questi anni.
 
Una vita da prigionieri, una realtà che ormai non fa più notizia in Occidente; dopo la NATO c'è la democrazia, la pace, ci sono i diritti... così ci dicono; nel Kosovo ci sono gli standard di democrazia hanno stabilito nelle capitali europee della NATO.
 
A chi importa se centinaia di migliaia di uomini, donne, bambini serbo kosovari, non esistono, socialmente, civilmente, politicamente e culturalmente, o sono profughi.
 
A chi importa se da tre mesi sono sulle barricate notte e giorno, se ci sono stati, in questi tre mesi scontri, morti, feriti, centinaia di arresti... solo per gridare al mondo... che esistono. (Vedere Kosovo Metohija Notizie 4 e 5 del FBIt)
 
Enclave di Gracanica
 
Il paese di Gracanica si trova a pochi chilometri da Pristina, sulla strada per Gnjilane. E'la più grande enclave serba del Kosovo, nella quale sopravvivono, con alcuni villaggi vicini, tra i 15.000 e i 20.000 Serbi, Rom e Goranci (Slavi di religione musulmana); la vita della locale comunità del paese, alcune migliaia di persone, si sviluppa intorno al Monastero ortodosso del 1321, che si erge al centro del villaggio sulla strada principale, protetto da militari internazionali con la presenza di poliziotti albanesi.
 
Il paese essendo attraversato dalla strada provinciale non è circondata dal filo spinato, vi sono due check-point posti agli ingressi del villaggio, a seconda dei momenti presidiati, con una presenza di veicoli Unmik ed EULEX, che girano nell'area.
 
Oltre ai profughi del 1999, dopo il 17 marzo 2004, sono arrivati anche molti altri sfollati da villaggi vicini, che vivono in un centro profughi.
 
In un piazzale di cemento dietro gli uffici della comunità locale di Gracanica ci sono una decina di containers, gabbie di metallo di 12 metri quadrati ciascuna, dove ci vivono alcune decine di persone.
 
Dal 10 dicembre 2007, la vecchia Ulica Vidovdanska, la strada principale di Gracanica, sia chiama boulevard Generale Ratko Mladic, questo può far capire in sostanza i sentimenti della gente che vive qui.
 
Non c'è lavoro, non ci sono prospettive, non ci sono diritti di nessun tipo a Gracanica, non c'è nulla se non dolore, sconforto e rassegnazione, ma anche una grande dignità e difesa della propria identità... Come tutte le enclavi, una prigione a cielo aperto.
 
A chi può ancora interessare se la tensione sale di mese in mese e con essa il rischio di nuove violenze e conflittualità generali. A breve ci sarà un Referendum tra la popolazione serba, rom e delle altre minoranze per staccare il Kosovo settentrionale dall'auto nominatosi Kosovo indipendente e albanese, nonostante il rifiuto del governo di Belgrado di sostenerlo; intanto sono quasi quarantamila i cittadini serbo kosovari che hanno richiesto la cittadinanza russa, se venissero accettati, sarebbe la Russia a difendere i diritti di "propri cittadini"; visto che l'attuale governo serbo asservito all'Occidente, ha scambiato il destino della provincia kosovara per entrare nell'Unione Europea e nella NATO.
 
A chi può ancora interessare in Occidente... Certo sarebbe comprensibile se non ci fosse un piccolo enorme fatto: il nostro paese, i nostri governanti e politici (di destra o sinistra, cambia poco...), i nostri aerei con le loro bombe ( 1471 missioni aeree italiane...), hanno fattivamente partecipato e contribuito a distruggere, devastare e immiserire quel paese e quel popolo.
 
In quella terra kosovara, ogni zolla, ogni fiume, ogni pietra è intrisa di storia millenaria, di sangue, di sofferenze, di resistenze grandiose; e, come scrive Radmila, in questo popolo fiero, indomito, dignitoso e malinconico, come il paesaggio loro intorno, ancora vivono, caparbiamente e nonostante tutto, i semi della renitenza e della speranza. Mentre il loro tempo, la loro quotidianità, la loro vita sono alimentate dall'angosciante visione del presente e dall'ancor più angosciante paura degli accadimenti futuri.
 
Quando si è là, in mezzo a loro, la sensazione che ti avvolge è di una stanchezza e sconforto profondi come un oceano; talmente profondi che persino l'odio e la rabbia (... che ci sono), sembrano avvolti in un senso di annichilimento; nella consapevolezza dell'essere SOLI, SOLI... SIAMO SOLI è la frase che più ricorre nelle conversazioni. E questa sensazione, può essere, alla lunga, per un popolo... disarmante. Eppure ... anche se su di essi è calato il suono letale del silenzio e dell'indifferenza... per il Kosovo come per l'Iraq, per l'Afghanistan, la Libia, in attesa delle nuove "guerre umanitarie" già in programma... .Eppure, nonostante questa densa coltre di disumanità, di oppressione, di violenze materiali e morali, di ingiustizie storiche, a cui questo popolo è sottoposto da decenni... Eppure la speranza, la dignità, la resistenza, continuano a vivere, nella fierezza e tenacia di chi, a costo della vita continua a restare al proprio posto, nella propria terra; di chi da mesi sale sulle barricate notte e giorno, di chi scende in piazza e resiste alle violenze delle truppe di occupazione NATO e reagisce con fermezza. Di chi continua ostinatamente a restare in trincee fatte con la terra e le pietre insanguinate da 700 anni di storia e di lotta, di dignità e perseveranza, contro invasori e stranieri, ieri come oggi. Di chi, a costo della propria esistenza, continua a volere e chiedere semplicemente giustizia contro l'ingiustizia... Come radici sottoterra in un campo bruciato, come lembi di terra rimasti asciutti dopo una tempesta, come travi bruciate qua e là ma non incenerite, come i ruderi di una casa bombardata ma non distrutta del tutto... il futuro vive. Noi non possiamo fare molto, questo è certo, una cosa però possiamo farla, per loro ma anche per noi, per la nostra dignità: continuare l'impegno di Solidarietà concreta del Progetto SOS Kosovo Metohija e continuare a stare dalla loro parte, come facemmo (...non eravamo molti neanche allora...) con coraggio e lucidità in quel Marzo 1999... fino ad oggi. Ed oggi il nostro compito concreto sarà anche quello di non far morire... la scintilla della speranza di Gracanica.
 
" Il vento non si ferma ... neanche quando gli alberi, sfiniti, vorrebbero riposare..." 
 
Enrico Vigna – Associazione SOS Kosovo Methoija – Gennaio 2012
 
sosyugoslavia@...


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Parma 10 febbraio 2012
presso il Cinema Astra, piazzale Volta

Foibe e fascismo - VII edizione

ore 17:30 - Conferenza: Crimini fascisti in Jugoslavia
con Davide Conti - storico (Fondazione Lelio e Lisli Basso)

ore 18:00 - Proiezione: Pokret!
video-intervista a italiani partigiani in Jugoslavia

con presentazione del regista Giuliano Calisti (ANPI Viterbo)

al termine dell'iniziativa, ore 20.30
cena con i relatori Davide Conti e Giuliano Calisti al circolo ARCI "Solari" (costo 13 euro)

e inoltre:

sabato 11 febbraio 2012 
dalle 11, presidio in via Tito (lato via Budellungo), simbolo della Resistenza Jugoslava

prossimamente, in date da definire
mostra documentaria "Testa per dente" sui crimini fascisti in Jugoslavia

organizza

Comitato antifascista e per la memoria storica di Parma
per info: <comitatoantifasc_pr @ alice.it>

scarica la cartolina in formato PDF: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/ParmaCartolina2012.pdf
scarica il manifesto in formato PDF: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/ParmaManifesto2012.pdf

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Non si cancellano la storia e il valore della Resistenza jugoslava

Fascisti, leghisti e destre anticomuniste vorrebbero fosse eliminata l’intitolazione a Tito della piccola strada di Parma esistente dagli anni ’80, e in alternativa introdotta “via martiri delle foibe”.
E’ una richiesta grave e assolutamente inaccettabile, espressione di quel “revisionismo storico” mirante a sminuire il valore della Resistenza antifascista, oscurare i crimini fascisti e nazisti, e rivalutare in qualche modo il fascismo.
Morti delle foibe, nel settembre-ottobre ’43 e nel maggio ’45, furono alcune centinaia di italiani (migliaia aggiungendo dispersi e fucilati in guerra, deportati e morti in campi di concentramento jugoslavi, ecc.) in gran parte militari, capi fascisti, dirigenti e funzionari dell’amministrazione italiana occupante la Jugoslavia, collaborazionisti. Morti per atti di giustizia sommaria, vendette ed eccessi, da parte di partigiani jugoslavi, derivanti dall’odio popolare e dalla rivolta nei confronti dell’Italia fascista. Considerare questi morti indistintamente, accomunarli tutti insieme, non rende giustizia a quella parte di loro che furono vittime innocenti. Vittime, non martiri. La stessa legge statale del 2004 istitutiva del “giorno del ricordo delle vittime delle foibe” non usa mai la parola “martiri”.
Violenza di proporzioni di gran lunga superiori, sistematica e pianificata, e precedente, è stata quella del fascismo a partire dal 1920. Azioni delle squadracce contro centri culturali, sedi sindacali, cooperative agricole, giornali operai, politici e cittadini di “razza slava”, poi, nel ventennio, la chiusura delle scuole slovene e croate, il cambiamento della lingua e dei nomi, l’italianizzazione forzata, infine, nell’aprile del ’41, l’aggressione militare, l’invasione della Jugoslavia da parte dell’esercito del re e di Mussolini, pochi giorni dopo quella da parte della Germania nazista. L’Italia si annesse direttamente alcuni territori (come Lubiana e parte della Slovenia), altri tenne sotto controllo, in condizioni di occupazione particolarmente dure e crudeli, non meno di quelle naziste. Distruzione di interi villaggi sloveni e croati, dati alla fiamme, massacro di decine di migliaia di civili, campi di concentramento.
Di qui la rivolta contro l’Italia fascista, lo sviluppo impetuoso del movimento partigiano delle formazioni repubblicane e comuniste guidate da Tito, la grande lotta antifascista e antinazista nei Balcani.
Enorme è stato il tributo jugoslavo alla guerra contro il nazifascismo: su una popolazione di 18 milioni di abitanti dell’intero Paese, furono al comando di Tito 300.000 combattenti alla fine del ’43 e 800.000 al momento finale della liberazione, 1.700.000 furono i morti in totale, sul campo 350.000 i partigiani morti e 400.000 i feriti e dispersi. Da 400.000 a 800.000, ovvero da 34 a 60 divisioni, furono i militari tedeschi e italiani tenuti impegnati nella lotta, con rilevanti perdite inflitte ai nazifascisti. Una lotta partigiana su vasta scala, che paralizzò l’avversario e passò progressivamente all’offensiva, un’autentica guerra, condotta da quello che divenne un vero e proprio esercito popolare e che fece di Tito più di un capo partigiano, un belligerante vero e proprio, riconosciuto e considerato a livello internazionale.
La Resistenza della Jugoslavia è stata di primaria grandezza in Europa e da quella esperienza la Jugoslavia è uscita come il paese più provato e al tempo stesso più trasformato. La Resistenza jugoslava ancor più di altre è stata più di una guerriglia per la liberazione del proprio territorio, è stata empito universale di una nuova società, ansia di superamento delle barriere nazionali, anelito di pace, libertà e giustizia sociale, da parte di tanti uomini e tante donne del secolo scorso.
Ai partigiani jugoslavi si unirono, l’indomani dell’8 settembre ’43, quarantamila soldati italiani, la metà dei quali diedero la vita in quell’epica lotta nei Balcani; essi, col loro sacrificio, riscattarono l’Italia dall’onta in cui il fascismo l’aveva gettata. A questi italiani devono andare il ricordo e la riconoscenza della Repubblica democratica nata dalla Resistenza.

COMITATO ANTIFASCISTA E PER LA MEMORIA STORICA – PARMA
comitatoantifasc_pr@... – c.i.p. via Testi 4, Parma

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ALCUNI MORTI DELLE FOIBE, O RICONOSCIUTI TALI,
NON "VITTIME INNOCENTI" E TANTOMENO "MARTIRI"

- Cossetto Giuseppe, infoibato nel ’43 a Treghelizza, possidente, segretario del fascio a S. Domenica di Visinada, capomanipolo MVSN (Milizia Volontaria Sicurezza Nazionale, sottoposta direttamente ai tedeschi), già squadrista sciarpa Littorio;

- Morassi Giovanni, arrestato a Gorizia nel maggio ’45 e scomparso, Vicepodestà e Presidente della Provincia di Gorizia;

- Muiesan Domenico, ucciso nel ’45 a Trieste, irredentista, legionario fiumano, volontario della guerra d’Africa, squadrista delle squadre d’azione a Pirano;

- Nardini Mario, ucciso nel ’45 a Trieste, capitano della MDT (Milizia Difesa Territoriale, sottoposta direttamente ai tedeschi), già XI Legione MACA (milizia fascista speciale di artiglieria controaerei);

- Patti Egidio, ucciso nel ’45, pare infoibato presso Opicina, vicebrigadiere del 2° Reggimento MDT, già MVSN, GNR (Guardia Nazionale Repubblicana), squadrista;

- Polonio Balbi Michele, scomparso a Fiume il 3 maggio ’45, sottocapo manipolo del 3° Reggimento MDT;

- Ponzo Mario, morto nel ‘45 in prigionia, colonnello del Genio Navale, poi inquadrato nel Corpo Volontari della Libertà del Comitato di Liberazione Nazionale (antifascista) di Trieste, arrestato per spionaggio sul movimento partigiano jugoslavo in favore del fascista Ispettorato Speciale di PS (Pubblica Sicurezza, sottoposta direttamente ai tedeschi);

- Sorrentino Vincenzo, arrestato nel maggio ’45 a Trieste, condannato a morte da tribunale jugoslavo e fucilato nel ’47, ultimo prefetto di Zara italiana, membro del Tribunale Speciale della Dalmazia che comminava condanne a morte con eccessiva facilità secondo gli stessi comandanti militari italiani (“girava per la Dalmazia, e dove si fermava le poche ore strettamente indispensabili per un frettoloso giudizio, pronunciava sentenze di morte; e queste erano senz’altro eseguite”, Procuratore Militare in Dalmazia Umberto Maranghini).

(da Le medaglie per gli infoibati di Claudia Cernigoi, sito «La Nuova Alabarda»)

NO all’intitolazione di una via di Parma ai “martiri delle foibe”
SI all’intitolazione di una via di Parma ai partigiani italiani all’estero

COMITATO ANTIFASCISTA E PER LA MEMORIA STORICA – PARMA
comitatoantifasc_pr@... – c.i.p. via Testi 4 , Parma


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(Ancora sulle responsabilità centrali della Germania nello squartamento della Jugoslavia e nello scoppio della guerra fratricida e imperialista su quel territorio: una intervista a Klaus Hartmann, presidente dell'Associazione tedesca del Libero Pensiero e del comitato internazionale "Slobodan Milosevic". 
Sullo stesso argomento si vedano anche l'articolo e i link al nostro invio precedente: http://it.groups.yahoo.com/group/crj-mailinglist/message/7252 . Come controesempio si veda invece l'intervista reticente e contraddittoria rilasciata da Gianni De Michelis al "Primorski Dnevnik" del 27 gennaio u.s., nella quale l'ex Ministro degli Esteri, testimone diretto del ricatto tedesco a Maastricht, preferisce evadere le domande ed usare - tanto per cambiare - "Milosevic" come mero capro espiatorio per coprire le responsabilità proprie e degli attuali alleati dell'Italia. Un opportunismo ripugnante, di quelli che ci fanno vergognare di essere italiani:
http://www.anvgd.it/notizie/12507-27gen12-de-michelis-ex-esteri-agli-esuli-il-bastoncino-piu-corto.html 
A cura di Italo Slavo)


http://www.jungewelt.de/2012/01-14/001.php

junge Welt (Berlin), 14./15. Jan. 2012


»Wir sind mit der Zerstörung des Völkerrechts konfrontiert«


Gespräch mit Klaus Hartmann. Über die Rolle der Bundesrepublik bei der Zerstörung des ­jugoslawischen Bundesstaates, die völkerrechtliche Anerkennung Sloweniens und Kroatiens vor 20 Jahren und die damit ausgelöste Katastrophe


Interview: Arnold Schölzel

Klaus Hartmann ist Bundesvorsitzender des Deutschen Freidenker-Verbandes und in der Jugoslawien-Solidaritätsbewegung aktiv und ist Vorstandsvorsitzender des Internationalen Komitees »Slobodan Milosevic«.


Am 15. Januar vor 20 Jahren erkannten die Staaten der damaligen Europäischen Gemeinschaft (EG) auf Drängen der Bundesregierung unter Helmut Kohl und Hans-Dietrich Genscher die jugoslawischen Teilrepubliken Slowenien und Kroatien als unabhängige Staaten völkerrechtlich an. Die Bundesregierung hatte das schon am 23. Dezember 1991 vollzogen. Kohl sprach von einem » großen Erfolg der deutschen Diplomatie«, was in Washington, London oder Paris mit »victory – Sieg« übersetzt wurde. Welche Rolle spielte die Bundesrepublik bei den Prozessen, die zum 15. Januar 1992 führten?


Die BRD war die treibende Kraft bei der Zerstörung Jugoslawiens. Sie setze den EU-Partnern beim EU-Außenministertreffen im Dezember 1991 ein Ultimatum, entweder gemeinsame Anerkennung, oder Deutschland macht das alleine. Als »Kompromiß« wurde das gemeinsame Anerkennungsdatum auf den 15. Januar 1992 festgelegt. Seit damals und zuletzt in einem Interview mit der FAZ am 23.12.2011 widerspricht der damalige Außenminister Hans-Dietrich Genscher der These vom »deutschen Alleingang«. Der Erfolg dieser Erpressung ist das einzige »Argument« dafür, daß Deutschland nicht vorgeprescht sei.


Selbst die USA hatten zumindest verbal wiederholt öffentlich erklärt, die Auflösung Jugoslawiens nicht zu akzeptieren. Frankreich und Großbritannien warnten davor zum Teil vehement bis in den Januar 1992 hinein. Die Bundesregierung nahm offiziell im Sommer 1991 ihren Kurswechsel unter dem Schlagwort »Selbstbestimmung« vor und bestimmte in der EG das Geschehen. Besonders engagierte sich FAZ-Herausgeber Johann Georg Reißmüller, der einen deutschen Alleingang forderte, den es mit der Anerkennung Sloweniens und Kroatiens am 23. Dezember 1991 auch gab.


Lord Peter Carrington, früherer Außenminister Großbritanniens und Generalsekretär des Nordatlantikpaktes, wies darauf hin, daß eine frühzeitige Anerkennung »der Funke sein (könnte), der Bosnien-Herzegowina in Brand setzt«.

Auch der Generalsekretär der Vereinten Nationen, Javier Peréz Cuellar, zeigte sich »tief beunruhigt«. Er warnte in einem Brief an Genscher, daß dies zu einer »Ausweitung des derzeitigen Konflikts führen« und eine »explosive Situation insbesonders in Bosnien-Herzegowina und auch in Mazedonien herbeiführen« würde.

Und der damalige US-Außenminister Warren Christopher machte die Bundesrepublik für die Katastrophe in Bosnien-Herzegowina verantwortlich: »Es wurden beim gesamten Anerkennungsprozeß und vor allem bei der zu schnellen Anerkennung schwere Fehler gemacht, und die Deutschen tragen eine besondere Verantwortung dafür.«

Innerhalb seiner Partei brüstete sich Genscher, schon seit Juli 1991 permanent für die Anerkennung der Sezession eingetreten zu sein. Otto Graf Lambsdorff lamentierte am 4.Juli 1991 in Bundestag, »die Spanier haben es mit den Basken zu tun, die Italiener mit den Sarden, die Franzosen mit den Korsen, die Briten mit den Iren«. Deshalb sei die Anerkennungsbereitschaft nicht riesengroß. »Es nutzt ja nichts, wenn der deutsche Außenminister alleine vormarschiert. Er muß die EG-Front schon um sich versammeln.« Und dem vorbestraften Lambsdorff war auch völlig klar, daß das Selbstbestimmungsrecht kein tragfähiges Argument für die Sezession war: »Die liberale Internationale vertritt nicht die legalistische Position, daß das Selbstbestimmungsrecht eines Staates nicht anerkannt werden kann.«

Die Kohl-Genscher-Regierung stand mit ihren völkerrechtswidrigen Umtrieben aber nicht allein. Die Grünen unter Josef Fischer forderten die Anerkennung der Sezessionisten seit August 1991, ebenso und besonders vehement die SPD-Politiker Karsten Voigt und Norbert Gansel.


Kurz nach diesem Datum begannen die Kriege, die zur völligen Auflösung des jugoslawischen Bundesstaates führten und etwa 200000 Menschen das Leben kosteten. Warum konnte sich die Bundesrepublik in einer weltpolitisch wichtigen Frage so durchsetzen – mit katastrophalen Folgen? Wer wollte und warum Jugoslawien spalten?


Von der deutschen Bundesregierung wurde das auseinanderbrechende Jugoslawien zum Testfeld der Außen- und Militärpolitik des größer gewordenen Deutschlands erkoren. Daher die deutsche Ermunterung der Sezessionisten. Als Kroatien im Sommer 1991 verfassungswidrig einseitig seine Unabhängigkeit erklärte, begann es militärische Attacken gegen die jugoslawische Nationale Armee (JNA). Der deutsche Außenminister Genscher versprach dem Zagreber Regime: »Mit jedem Schuß rückt die Unabhängigkeit näher«.

Im November 1991 besuchte Genscher den Vatikan als traditionelle Schutzmacht des »unabhängigen, katholischen« Kroatien und gewann die Erkenntnis: »Klarer als manche westliche Regierung erkannte die vatikanische Außenpolitik die Gefahr, die sich aus dem serbischen Vormachtsanspruch … ergeben mußte«. Und Prälat Paul Bocklet, im politischen Bonn eine wichtige Figur, äußerte gegenüber dem kroatischen Botschafter, Kroatien habe »außerordentliches Glück« gehabt, da sowohl der Papst als auch die deutsche Regierung und der liebe Gott auf ihrer Seite« gewesen seien.

Der göttliche Beistand kam nicht von ungefähr – der Vatikan verstand sich schon 1941 bis 1945 als Schutzmacht der kroatischen Ustascha-Faschisten, und die brachten ihre geraubten Schätze vor der heranrückenden Roten Armee in Rom in Sicherheit. Nach US-Geheimdiensterkenntnissen soll der Vatikan damals Gold und Bargeld im Wert von Millionen Schweizer Franken erhalten haben, die kroatische Faschisten von Juden, Sinit und Roma und Serben erpreßt und geraubt hatten. Mit dem Geld wurde u.a. die »Rattenlinie« finanziert, auf der Tausende Nazi-Kriegsverbrecher nach Argentinien und in andere südamerikanische Staaten auswandern konnten. Auch der blutrünstige Faschistenführer Ante Pavelic gelangte mit kirchlicher Hilfe als »Pater Gomez« nach Argentinien und später nach Spanien, wo er 1959, vom Papst gesegnet, starb.

Das »Ustascha-Gold« hat aber noch weitere Zinsen getragen, wovon die kroatischen Separatisten 1991 30 Millionen DM als »Kredit« von »Heiligen Vater« erhielten. Und den kroatischen Schutzheiligen der Faschisten, Kardinal Alojzije Stepinac, sprach Papst Paul II. 1998 »selig«.


Seit dieser Zeit behauptet die deutsche Propaganda vehement, Auslöser der Jugoslawien-Kriege sei ausschließlich Serbien unter dem »Diktator« Slobodan Milosevic. Bis auf wenige Ausnahmen hat sich dieser Standpunkt in den deutschen Medien durchgesetzt und gilt als historisches Faktum. Welche Rolle spielte Serbien damals?


Keine entscheidende. Slobodan Milosevic wies in Den Haag darauf hin: Der bekannte amerikanische Wissenschaftler Stephen John Stedman bemerkte 1993 zurecht in der Monatszeitschrift Foreign Affairs, »daß es zu Beginn des Krieges kein Slowenien und Serbien gab, sondern einen Staat, der Jugoslawien hieß.«

Und auf die bekannte Behauptung, der Staat sei nur die Fassade für serbische Dominanz gewesen: »Dieser Staat wurde zu diesem entscheidenden Zeitpunkt von einem aus der Teilrepublik Kroatien entsandten Mitglied des jugoslawischen Staatspräsidiums, Stjepan Mesi, geführt. Der damalige Premierminister des Landes Ante Markovi kam auch aus Kroatien, und auch der Außenminister Budimir Lonar war Kroate. Was die höchsten militärischen Ränge betrifft, so haben wir es hier schon (von Anklagezeugen – K. H.) gehört: unter den höchsten 16 Generalen waren nur zwei Serben. Die Mehrheit bestand aus Kroaten, Slowenen und Leuten anderer ethnischer Herkunft.«

Zur Entstehung der Auseinandersetzung muß man wissen – und die deutsche Außenpolitik wußte es –, daß schon im Januar 1991 der sogenannte Verteidigungsminister Kroatiens in einem TV-Interview von der »unumgänglichen Ausrottung der Serbenhochburg Knin« gesprochen hat. Er hatte dazu 36000 Maschinengewehre aus Ungarn besorgt. Die so Bedrohten widersetzten sich der Sezession, versuchten sich zu schützen, riegelten ihre Siedlungsgebiete ab und riefen ihrerseits die Autonomie aus. Die kroatischen Separatisten liquidierten nämlichen den Status der Serben als zweitem Staatsvolk neben den Kroaten und machten sie zu einer Minderheit mit eingeschränkten Rechten. Milosevic sagte seinerzeit: »Gleiche Methoden in den gleichen Gebieten, in denen 1941 der Völkermord am serbischen Volk durch die Ustascha-Verbände im so genannten Unabhängigen Staat Kroatien begann.«

Zwei Tage nach der Unabhängigkeitserklärung am 25. Juni 1991 begann die JNA mit der bewaffneten Verteidigung der jugoslawischen Grenzen. Dabei wurden die jugoslawischen Soldaten in ihren eigenen Kasernen von der neuen kroatischen Territorialarmee blockiert. Die ersten Toten des Krieges waren Serben.

Dazu Milosevic: »Am 10. Juli 1991 verabschiedete das Europäische Parlament eine Resolution, in der nicht die Rebellen, nicht die Separatisten verurteilt wurden, sondern die ordentlichen Streitkräfte, die JNA. Es wurden also die Rollen von Täter und Opfer verkehrt. …. Von Juli 1991 bis August 1992 wurden 193 serbische Dörfer ethnisch gesäubert.«

Das geschah nicht nur mit der deutschen und dann internationalen diplomatischen Unterstützung, sondern auch mit deutschen Waffen. Ehemalige NVA-Waffen, die angeblich verschrottet worden waren, wurden zur Aufrüstung der kroatischen Separatisten geliefert, auch MiG 21-Flugzeuge, die in der DDR mit NVA-Kennung geflogen waren.

Zur weiteren Entwicklung erinnerte Milosevic: »Am 21. Dezember 1991 sagte (der damalige Präsident Bosnien-Herzegowinas – K. H.) Izetbegovi im Parlament von Bosnien-Herzegowina, daß er bereit sei, für die Souveränität Bosnien-Herzegowinas den Frieden zu opfern.« Seinen Erfolg bei der Slowenien- und Bosnien-Anerkennung wollte Deutschland wiederholen: Bundeskanzler Kohl forderte, mit Erfolg, von den westlichen Verbündeten die Anerkennung Bosnien-Herzegowinas bis spätestens 6.April 1992. Historiker Kohl war sich sicher bewußt, daß dies exakt der Jahrestag von Hitlers Angriff auf Jugoslawien 1941 war.


Welche Strategie verfolgten BND und Bonner Außenamt in den 80er Jahren und nach dem Anschluß der DDR 1990?


Dazu lasse ich wieder zuerst Slobodan Milosevic antworten: »Genau im selben Monat, in dem die deutsche Wiedervereinigung stattfand, konnte der militärische Geheimdienst Jugoslawiens durch geheime Abhörmaßnahmen Aktivitäten aufdecken, die dem illegalen Waffenimport nach Kroatien dienten, um die gewaltsame Sezession zu ermöglichen, was soviel bedeutete wie die territoriale Integrität Jugoslawiens zu zerstören. Dieser Waffenimport fand über Ungarn, aber auch über einige deutsche Bundesländer statt, was Helmut Kohls Ankündigung, daß von deutschem Boden nur noch Frieden ausgehen würde, zur Ironie werden ließ.«

Dem gingen aber geheimdienstliche Aktivitäten seit den 1980er Jahren voraus. Der Geheimdienstexperte Erich Schmidt-Eenboom schreibt in seinem Buch »Der Schattenkrieger« über die BND-Aktivitäten des späteren Außenministers und damaligen BND-Chefs Klaus Kinkel, daß schon »unmittelbar vor dem Tode (des früheren Präsidenten Jugoslawiens – K. H.) Titos« in Zagreb »alle Entscheidungen in strategischen Fragen nur noch in Absprache … mit BND-Instanzen und Ustascha-Repräsentanten getroffen wurden«. Das war zu Beginn der 80er Jahre.

Der ehemalige Geheimdienstchef Titos, Antun Duhacek berichtete, daß der BND Ende der 1980er Jahre die direkte operative Führung des kroatischen Auslandsgeheimdienstes zur Zerstörung Jugoslawiens übernahm. Bei einem persönlichen Treffen zwischen Bundesaußenminister Genscher und dem kroatischen Geheimdienstchef Josip Manolic im Februar 1990 hat Genscher 800 Millionen Mark versprochen, die im März 1990 von BND-Leuten in Zagreb übergeben wurden.

Es war der Lohn für ein Geheimabkommen über die Zusammenarbeit des kroatischen Dienstes mit dem BND im Vorgehen gegen Jugoslawien und Serbien. Dafür stellt der BND alle Aufklärungsergebnisse zur Verfügung, die er und befreundete NATO-Dienste in und über Jugoslawien sammelten, zum Beispiel über die Situation in der Jugoslawischen Armee, ihre Truppenbewegungen und anderes. Schließlich unterstellte Manolic einen Teil seiner Informanten und informellen Mitarbeiter, zum Beispiel in Belgrad, direkt dem BND.

Soweit einige Beispiele der Praxis. Was die Strategie betrifft, muß an folgenden Satz erinnert werden: »Deutschland hat mit seiner Geschichte abgeschlossen, es kann sich künftig offen zu seiner Weltmachtrolle bekennen und sollte diese ausweiten«. Das ist keine kommunistische Propaganda, sondern Kohls Regierungserklärung vom 30. Januar 1991.

Klaus Kinkel erklärte 1993: »Zwei Aufgaben gilt es parallel zu meistern: Nach innen müssen wir wieder zu einem Volk werden, nach außen gilt es, etwas zu vollbringen, woran wir zweimal gescheitert sind: Einklang mit unseren Nachbarn zu einer Rolle zu finden, die unseren Wünschen und unserem Potential entspricht. Wir sind aufgrund unserer Mittellage, unserer Größe und unserer traditionellen Beziehungen zu Mittel- und Osteuropa dazu prädestiniert, den Hauptvorteil aus der Rückkehr dieser Staaten nach Europa zu ziehen. »

Seit 1990 erleben wir den Kampf der – sich ungleichmäßig entwickelnden – imperialistischen Hauptmächte um Einflußzonen und die Neuaufteilung der Erde. Diese gesetzmäßige Entwicklung faßte der damalige deutsche Kriegsminister Volker Rühe in die Worte: »Unsere wirtschaftliche, technologische und finanzielle Leistungsfähigkeit lassen eine Selbstbeschränkung deutscher Außenpolitik nach dem alten Muster nicht mehr zu.«


Die USA waren aber damals über den deutschen Alleingang überhaupt nicht erfreut.


Sie waren nur nicht erfreut, daß die deutschen sich anschickten, ihnen die Führungsrolle in Europa streitig zu machen. Ein US-Interesse an der Erhaltung Jugoslawiens ist eine Halluzination. Schon in der zweiten Hälfte der 1980er Jahre hatte der US-Kongreß beschlossen, Handelsbeziehungen nur noch mit den jugoslawischen Teilrepubliken, nicht mehr mit der Bundesrepublik Jugoslawien zu pflegen.

Schon 1984 hatte die Administration von US-Präsident Ronald Reagan die jugoslawische Wirtschaft in der Geheimdirektive NSDD 133 ins Visier genommen. Ihr Titel lautete schlicht: »Die Politik der USA in Bezug auf Jugoslawien«. Sie forderte unter anderem fortgesetzte Anstrengungen zur Entfachung von »stillen Revolutionen«, mit dem Ziel der Überwindung kommunistischer Regierungen und Parteien, während die Länder Osteuropas wieder dem Wirkungskreis des Weltmarktes unterworfen werden sollten.

Die USA beeilten sich, die Deutschen auf dem Balkan auszubremsen, und sandten »Militärberater« und Waffen nach Kroatien und an die bosnischen Muslime, sie erzwangen 1994 den Zusammenschluß der »Kroatisch-bosnischen Föderation« als antiserbische Militärformation.

Harilaos Florakis, damals Vorsitzender der Kommunistischen Partei Griechenlands KKE, kommentierte das mit den Worten: » Dieser Krieg ist ein Ergebnis der imperialistischen Strategie des Teilens und Herrschens. Er hat auch mit Widersprüchen zwischen den USA und Deutschland zu tun, Widersprüchen, die jetzt aufgebrochen sind, weil der gemeinsame Gegner von der Weltbühne verschwunden ist.«


Was folgt daraus für die Einschätzung der Gefährlichkeit des deutschen und des US-Imperialismus? Ist die Losung »Der Hauptfeind steht im eigenen Land!« heute noch richtig? Und schließlich: Die Ereignisse liegen zehn bis 20 Jahre zurück. Sind sie heute noch von Bedeutung?


Das Tragische ist, daß die Bedeutung der Zerstörung Jugoslawiens damals von vielen Linken nicht erkannt wurde, und heute auch nicht in den Kontext der Kriege eingeordnet wird, die danach und aktuell geführt werden. Wir haben damals gewarnt, daß die Aggression gegen Jugoslawien einen »Türöffnerkrieg« für folgende Feldzüge darstellt.

Fünf Tage nach der Kroatien-Anerkennung legte die Bundesregierung dem Verteidigungsausschuß erstmals die neue Marsch­richtung der Bundeswehr vor: »Aufrechterhaltung des freien Welthandels und des Zugangs zu strategischen Rohstoffen«.

Noch während des Bombenkrieges 1999 verabschiedete die NATO neue Richtlinien, in denen sie sich auf Kriege festlegt, die gegen ihren Gründungsvertrag verstoßen, nämlich auf Kriege außerhalb des Bündnisgebiets. Genau dies konnten wir in Afghanistan 2001, im Irak 2003 und in Libyen 2011 erleben.

Und mit der Aggression gegen Jugoslawien wurde massiv gegen das Völkerrecht verstoßen, völkerrechtswidrige Angriffskriege sind seitdem auf der Tagesordnung. Wir sind mit einer fortschreitenden Zerstörung des Völkerrechts konfrontiert, das mit Propagandaformeln wie der »humanitären Intervention« oder neuerdings der »Schutzpflicht« aus den Angeln gehoben werden soll. Manche Völkerrechtler schrecken nicht davor zurück, sich zu prostituieren, indem sie dabei von einer »Fortentwicklung des Völkerrechts« phantasieren. Das ist gerade so, als wenn Sie und ich beschließen, ab sofort wöchentlich Banken zu überfallen und darauf zu setzen, daß mit der Zeit Bankraub als Straftatbestand gestrichen wird. Der Völkerrechtsnihilismus kennzeichnet die zunehmende Faschisierung der Außenpolitik und ist Teil der grundsätzlichen Tendenz der Barbarisierung des imperialistischen Systems.

Schließlich wurden im Falle Jugoslawiens die Mechanismen der Meinungsmanipulation eingeübt, die inzwischen ständig angewandt werden. Die Behauptung, für unterdrückte Minderheiten und Völker in den Krieg zu ziehen, benutzte zwar schon Adolf Hitler. Inzwischen wurde die Methode perfektioniert, das zum Angriff ausersehene Land zu delegitimieren. Es wird als »gescheiterter« oder »Schurkenstaat« bezeichnet, die politischen Repräsentanten werden als »Diktatoren«, »Machthaber« und »Schlächter« dämonisiert, außerhalb des Rechts gestellt und zum Abschuß freigegeben. Genau das geschieht ja gerade im Moment wieder in den Reaktionen einiger Politiker und Medien auf den Aufruf zur Solidarität mit den Völkern Syriens und Irans (siehe Randspalte), der sich gegen die westliche Kriegsvorbereitung wendet.
 


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ANGHIARI (AR)
domenica 5 febbraio 2012 ore 17.30
Sala Audiovisivi, Piazza del Popolo


CRIMINI DI GUERRA DELL'ITALIA FASCISTA

ne parliamo con

DAVIDE CONTI
Storico della Fondazione Lelio Basso
Autore del libro: CRIMINALI DI GUERRA ITALIANI. ACCUSE, PROCESSI E IMPUNITA' NEL SECONDO DOPOGUERRA

Durante l'iniziativa:
Esposizione della mostra "Testa per Dente"
Proiezione della mostra sul libro "Criminali di guerra italiani"

Promuovono:
ANPI AREZZO
COMUNE DI ANGHIARI
COORDINAMENTO NAZIONALE PER LA JUGOSLAVIA - ONLUS
COORDINAMENTO ANTIFASCISTA ANTIRAZZISTA ARETINO

scarica la locandina: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/anghiari050212.jpg
evento facebook: http://www.facebook.com/events/288896397834389/


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