Informazione

(english / italiano)

Iniziative su Rom e Sinti a Brescia e Napoli

1) Napoli 27/1: "A nuie ce dispiace sul’ p’ ’e zoccole"
2) Brescia 26/1-16/2: Rassegna cinematografica sulla storia e cultura di Rom e Sinti
3) VIDEO: The plight of Roma children deported to Kosovo


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Napoli, Centro Culturale «La Città del Sole»

A oltre mezzo secolo dallo sterminio nei campi nazifascisti,

continua la persecuzione verso i “diversi” Rom e Sinti


Venerdì 27 gennaio 2012 - “Giorno della memoria”

alle ore 17,30

nella sede del Centro Culturale «La Città del Sole» 
in vico Giuseppe Maffei a S. Gregorio Armeno, 18


Sergio D’Angelo
Assessore alle politiche sociali del Comune di Napoli

Alex Zanotelli
Missionario comboniano 

Annamaria Di Stefano
Responsabile Ufficio Rom del Comune di Napoli


Marisa Esposito
Vicepresidente N:E.A 

discuteranno, insieme con esponenti

della comunità Rom,
del libro di Marco Nieli

"A nuie ce dispiace sul’ p’ ’e zoccole"

Dieci anni di pogrom ed emergenze umanitarie
tra i Rom di Napoli e della Campania 


Sarà presente l’Autore

Modererà l’editore Sergio Manes

Peppe Lanzetta e Gaetano Di Vaio
leggeranno brani del libro

Saranno proiettati video
sulla condizione dei Rom in Italia

In occasione dell’iniziativa, verrà consegnato simbolicamente al Centro Culturale «La Città del Sole»
il primo nucleo del costituendo Archivio Multimediale “Nanà” per la Storia, la Cultura e l’Attualità del popolo rom e sinti.


EVENTO FACEBOOK: http://www.facebook.com/events/287451457971538/


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Brescia, Rassegna cinematografica sulla storia e cultura di Rom e Sinti

Giovedi 26 gennaio
LIBERTE : regia di Tony Gattlif
Nel 1943, sotto l' occupazione nazista, una carovana di gitani giunge in un piccolo villaggio rurale. Ma il clima e' cambiato e la carovana,per via delle ordinanze emanate dal governo collaborazionista di Vichy, e' ormai assediata da insidie e sospetti. 

Giovedi 2  febbraio
SUSPINO : Documentario
Nella Romania la piu' grande concentrazione Rom in Europa e' considerata " nemico pubblico". In Italia, i Rom sono considerati nomadi e relegati a vivere nei campi, negando loro i diritti umani fondamentali concessi ai rifugiati e ai cittadini stranieri.

Giovedi 9 febbraio
GADJO DILO - LO STRANIERO PAZZO : regia di Tony Gatlif
Stephane e' un parigino che vive in Romania alla ricerca di una cantante Rom. Si imbatte in un vecchio Rom disperato per l' incarcerazione del proprio figlio.

Giovedi  16 febbraio
I LAUTARI di Emil Lotijanu
Magico film di giullari.santi, lupi e "zingari" . Una struggente fiaba, densa di proverbi e cantastorie, che racconta il lungo, tormentato amore del violinista Toma per la nomade Ljanka


Le proiezioni si svolgeranno presso la sede della Confederazione Cobas in via Carolina Bevilacqua 9/11 a Brescia

ore 20.30   ingresso libero

Presentazioni a cura di Luigino Beltrami, attivista di 2osservAzione-onlus" contro la discriminazione di Rom e Sinti


SCARICA LA LOCANDINA: https://www.cnj.it/INIZIATIVE/volantini/brescia2012rom.jpg


=== 3 ===

The plight of Roma children deported to Kosovo


This short and disturbing film was made by Anthony Butts, a dedicated film maker who is committed to raising awareness of the plight of Roma families deported back to Kosovo to a very uncertain and precarious future.

http://vimeo.com/21640878

Latest Information: Anthony Butts is now making a feature length observational documentary on Roma children deported from Germany in conjunction with the Guardian newspaper. Despite numerous media campaigns in Germany, children are still being deported into conditions like in this video. It must be stopped. The aim of this film is to create a powerful advocacy film as well as an emotionally searing documentary to be pitched at channels like ARTE.

The film will follow a family with children who he will meet in Germany and then follow their deportation to Kosovo, filming with the children for a period of about a year. As this will be filmed over a long period of time, this will be the first film to really show how deportation affects the children.



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(sul coinvolgimento di Hass nella strategia della tensione si veda anche: 
http://www.contropiano.org/Documenti/2010/Novembre10/17-11-10SentenzaStrageBrescia.htm )

http://www.contropiano.org/it/cultura/item/6143-italia-e-germania-coprirono-i-criminali-nazisti-nel-dopoguerra

Martedì 17 Gennaio 2012

Italia e Germania coprirono i criminali nazisti


di  Alessandro Avvisato


Il settimanale tedesco Der Spiegel documenta che il governo italiano e quello tedesco sabotarono la possibilità di incriminare i responsabili dell'eccidio nazista delle Fosse Ardeatine il 24 marzo del 1944. Criminali nazisti hanno vissuto liberamente e indisturbati in Italia per anni. Il caso di Karl Hass.

Le accuse documentate dello storico Felix Bohr, sono state rilanciate dal settimanale tedesco Der Spiegel . Stando alla corrispondenza risalente al 1959 tra l'ambasciata tedesca a Roma e il ministero degli Esteri tedesco, ritrovata da Bohr nell'archivio dello stesso ministero (e che sarà pubblicata questa settimana sul sito clio-online.de), tanto Roma quanto Berlino avevano interesse ad “addormentare” la vicenda del massacro alle Fosse Ardeatine, come scrisse il consigliere d'ambasciata Kurt von Tannstein, membro del partito nazista dal 1933. Gli interessi della Germania nel dopoguerra sulle stragi compiute durante l’occupazione nazifascista, sono stati seguiti e curati solo da diplomatici tedeschi dai trascorsi nazisti denuncia lo storico Felix Bohr. Nel caso delle Fosse Ardeatine poi è stato il governo italiano (democristiano) a prendere l'iniziativa dell' insabbiamento. Si volevano evitare clamorose estradizioni, che avrebbero potuto indurre altri paesi a chiedere lo stesso trattamento per i criminali di guerra fascisti, (soprattutto la Jugoslavia) come ha documentato un diplomatico dell'epoca. Roma non intendeva inoltre danneggiare le relazioni con il governo tedesco del cancelliere Konrad Adenauer (Cdu), nè dare argomenti alla propaganda antifascista del PCI.  Iniziò così, nel 1948, l'insabbiamento dei documenti relativi alla vicenda presenti nella procura militare di Roma, un anno prima della riapertura delle indagini da parte dei procuratori, che dopo la condanna, nel 1948, del capo della Gestapo nella capitale, Herbert Kappler, indagavano su altri responsabili. Per l'eccidio due criminali nazisti furono condannati all'ergastolo nel 1998, Karl Hass, deceduto nel 2004 e il 98enne Erich Priebke ancora vivo.


La vicenda di Karl Hass

Karl Hass, subito dopo la fine della guerra,  fu reclutato dai servizi segreti statunitensi come collaboratore nella lotta anticomunista e nella guerra fredda. In particolare fu Joseph Luongo a reclutare e riciclare Hass arrivando a farsi fotografare insieme a lui in un matrimonio a molti anni di distanza dalla fine della guerra [ http://cpiano.static.retedeicomunisti.org/media/k2/items/cache/9d170d1d612964fa77133418635e8f56_XL.jpg ]. Joseph Luongo è tra l’altro l’ufficiale dei servizi segreti militari di stanza nella comando Ftase di Verona, che nell’inchiesta del giudice Salvini su Piazza Fontana viene ritenuto responsabile dell’arruolamento dei fascisti e stragisti ritenuti responsabili delle bombe e della strategia delle stragi. Karl Hass nel 1947, con la copertura dei servizi segreti militari statunitensi e del Ministero degli Interni italiano, rientrò a Roma utilizzando documenti falsi a nome Giustini, alloggiando inizialmente in un convento e con l'incarico di svolgere compiti informativi di contrasto alla “minaccia comunista”; in previsione di una vittoria nel 1948 si attivò per mettere in contatto i neofascisti romani con gli americani al fine di preparare un piano di occupazione dei principali edifici pubblici e del trasmettitore radio di Monte Mario. All'inizio degli anni '50 rientrato in Austria continuò a lavorare per i servizi segreti militari statunitensi all'interno di Radio Free Europee sì occupò anche della preparazione di agenti tedeschi presso una scuola di spionaggio statunitense anch'essa sita in Austria.


Nel 1953 grazie a certificazione evidentemente falsa emessa dalle autorità della Germania occidentale riuscì a farsi passare per morto. Negli anni '60 viene interessato in attività informative riguardanti il terrorismo in Alto Adige venendo contemporaneamente tutelato da funzionari dei servizi del Ministero degli Interni (Gesualdo Barletta e Ulderico Caputo). Nel 1962 una sentenza del tribunale militare dava il “non luogo a procedere” per 11 persone coinvolte nell'eccidio delle Fosse Ardeatine, tra cui Karl Hass, ritenendo gli stessi irrintracciabili; nonostante lo stesso vivesse all'epoca in Italia. Le approfondite indagini sul suo conto avviate a seguito del suo coinvolgimento nel processo contro il criminale nazista Erich Priebke nel 1996, stabilirono infatti che Hass non si fosse mai allontanato definitivamente dall'Italia, dove aveva vissuto per decenni quasi indisturbato, utilizzando persino nomi falsi (in un primo tempo Steiner e, successivamente come sopra riportato, Rodolfo Giustini), per poi tornare ad impiegare il suo vero nome, e risiedendo per anni ad Albiate , in provincia di Milano, regolarmente presente nell'elenco telefonico come domiciliato in una villetta in via Antonio Gramsci 9.

Quando, nell'estate del 1996, gli agenti della Digos andarono a prelevarlo presso tale indirizzo, come fu accertato poi, Hass aveva lasciato il suo domicilio da circa tre ore e si era rifugiato usando il treno a Ginevra, presso l'abitazione della figlia Enrica. Dalla città svizzera Hass condusse una lunga trattativa con la Procura militare di Roma sino a che decise di tornare in Italia spontaneamente per deporre in tribunale al processo nel quale era imputato Erich Priebke. Verso fine ottobre 1996, tuttavia, poco prima di rendere la sua testimonianza, Hass tentò di fuggire dalla finestra dell'albergo presso il quale era ospitato, procurandosi serie ferite, per le quali fu ricoverato in una clinica di Grottaferrata. Per conseguenza di questo episodio (Hass aveva trattato il suo rientro al fine di deporre, ma cercava di sfuggire a tale impegno), il procuratore militare Intelisano ne chiese il rinvio a giudizio nell'ambito del medesimo processo nel quale era chiamato a testimoniare. Karl Hass fu processato per l'eccidio delle Fosse Ardeatine e, nel marzo 1998, fu condannato assieme ad Erich Priebke all’ergastolo. Tale sentenza fu confermata nel successivo dalla  Corte di Cassazione. Karl Hass si è spento all'età di 92 anni, il 21 aprile 2004, mentre scontava l'ergastolo agli arresti domiciliari


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(srpskohrvatski / deutsch / italiano / ...)


http://domenicolosurdo.blogspot.com/2012/01/un-appello-contro-i-preparativi-della.html

Un appello contro i preparativi della guerra all'Iran e alla Siria

Sempre più concrete e minacciose si fanno le probabilità che la macchina di morte che ha infierito sulla Jugoslavia, sull'Afghanistan e sull'Iraq e che ha appena finito di devastare la Libia si scagli contro altri paesi sovrani. Paesi riottosi ad allinearsi ai persistenti progetti di Nuovo Ordine Mondiale ma la cui sottomissione è decisiva per rilanciare il dominio geopolitico degli Usa e della Nato in Asia e nel mondo intero. La profonda crisi economica ma anche di consenso sociale che sta attraversando l'Occidente - e la necessità di impedire ad ogni costo un riaggiustamento degli equilibri planetaria favore di nuove forze emergenti - rende ancora più imminente questo pericolo.
La guerra psicologica, multimediale e ideologica è in effetti già cominciata e ha già messo in campo le armi della disinformazione e della criminalizzazione dell'avversario ma ha anche già proiettato sul terreno i primi corpi d'elite. Questo appello, che invitiamo a sottoscrivere, è stato originariamente lanciato ai primi di gennaio in Germania, paese nel quale ha raccolto l'adesione di 5 parlamentari nazionali. Il testo è stato pubblicato e diffuso in molte lingue. Sul blog Freundschaft mit Valjevo e.V. la versione originale e le diverse traduzioni [DL].
 
Fermare i preparativi di guerra! Mettere fine all’embargo!
Solidarietà con il popolo iraniano e siriano!

  
Decine di migliaia di morti, una popolazione traumatizzata, un’infrastruttura largamente distrutta e uno Stato disintegrato: questo il risultato della guerra condotta dagli Usa e dalla Nato per poter saccheggiare la ricchezza della Libia e ricolonizzare questo paese. Ora preparano apertamente la guerra contro l’Iran e la Siria, due paesi strategicamente importanti e ricchi di materie prime che perseguono una politica indipendente, senza sottomettersi al loro diktat. Un attacco della Nato contro la Siria o l’Iran potrebbe provocare un diretto confronto con la Russia e la Cina – con conseguenze inimmaginabili.
Con continue minacce di guerra, con lo schieramento di forze militari ai confini dell’Iran e della Siria, nonché con azioni terroristiche e di sabotaggio da parte di “unità speciali” infiltrate, gli Usa e altri Stati della Nato impongono uno stato d’eccezione ai due paesi al fine di fiaccarli. Gli USA e l’UE cercano in modo cinico e disumano di paralizzare puntualmente con l’embargo il commercio estero e le transazioni finanziarie di questi paesi. In modo deliberato vogliono precipitare l’economia dell’Iran e della Siria in una grave crisi, aumentare il numero dei disoccupati e peggiorare drasticamente la situazione degli approvvigionamenti della loro popolazione. Al fine di procurarsi un pretesto per l’intervento militare da tempo pianificato cercano di acutizzare i conflitti etnici e sociali interni e di provocare una guerra civile. A questa politica dell’embargo e delle minacce di guerra contro l’Iran e la Siria collaborano in misura notevole l’Unione europea e il governo italiano

Facciamo appello a tutti i cittadini, alle chiese, ai partiti, ai sindacati, al movimento pacifista perché si oppongano energicamente a questa politica di guerra.

Chiediamo al governo italiano:

- di revocare senza condizioni e immediatamente le misure di embargo contro l’Iran e la Siria
- di chiarire che non parteciperà in nessun modo a una guerra contro questi Stati e che non consentirà l’uso di siti italiani per un’aggressione da parte degli Usa e della Nato
- di impegnarsi a livello internazionale per porre fine alla politica dei ricatti e delle minacce di guerra contro l’Iran e la Siria.

Il popolo iraniano e siriano hanno il diritto a decidere da soli e in modo sovrano l’organizzazione del loro ordinamento politico e sociale. Il mantenimento della pace richiede che venga rispettato rigorosamente il principio della non-ingerenza negli affari interni di altri Stati.
 

Domenico Losurdo
Gianni Vattimo
Margherita Hack 
Franco Cardini
Giulietto Chiesa
Oliviero Diliberto
Manlio Dinucci
Vladimiro Giacché
Federico Martino
Sergio Ricaldone
Costanzo Preve (filosofo), Massimiliano Ay (Segretario del Partito Comunista della Svizzera italiana), Fosco Giannini (segreteria nazionale PdCI), Guido Oldrini (direttore Marxismo Oggi), Antonino Salerno (Segretario generale SIAM Sindacato Musicisti CGIL), Andrea Fioretti (Comunisti Uniti Roma), Stefano G. Azzarà (Università di Urbino), Fabio Frosini (Università di Urbino), Renato Caputo (Comunisti Uniti Roma), Cristina Carpinelli, Maurizio Musolino (giornalista), Andrea Catone (direttore Marx XXI), Fausto Sorini (responsabile esteri PdCI), Luigi Alberto Sanchi (Cnrs, Parigi), Mauro Gemma (direttore Marx XXI on line), Paola Pellegrini (resp. cultura PdCI), Campo Antimperialista, Umberto Spallotta, Roberta Vespignani, Rosalba Calabretta (Ass. Solidarité Nord-Sud ONLUS), Franco Tomassoni, Mario Ferdinandi, Dmitrij Palagi (Coordinatore regionale Giovani Comunisti della Toscana), Daniele Barillari, Giacomo Cucignatto (Firenze), Luciano Albanese (Università di Roma-La Sapienza), Simone Do, Bassam Saleh, Alexander Hobel (storico), Giuseppe Sini (studente, Sassari), Bruno Settis, Emiliano Alessandroni (dottorando Università di Urbino), Gabriele Repaci (studente di Filosofia Università di Milano), Simone Santini (giornalista), Eleonora Angelini, Antonio Capitanio, Sergio Nessi (coordinatore regionale della Lombardia Associazione Nazionale di Amicizia Italia-Cuba), Maurizio Neri (Editore Rivista Comunismo e Comunità Roma), Redazione di Comunismo e Comunità, Riccardo Di Vito, Diego Angelo Bertozzi (collaboratore Marx21), Paolo Torretta (giornalista freelance, Helsinki, Finlandia), Sarah Latorre (Segreteria Provinciale PdCI Taranto - Coordinamento Nazionale FGCI), Andrea Sonaglioni, Giancarlo Paciello, Giorgio Raccichini (PdCI Federazione prov. di Fermo), Claudio Orlandi, Filomena Crispino, Mattia Nesti (coordinatore provinciale Giovani Comunisti Pistoia), Maurizio Bosco  (Roma), Lino Sturiale (PdCI Torino),  Alessandro Perrone (Comunisti Uniti Monfalcone GO), Virginio Pilò (dipendente Università di Bologna), Giuseppe Zambon (Zambon Verlag, Frankfurt), Odradek edizioni (Roma), Roberta Anconetti, Giuliano Cappellini, Bob Fabiani (Scrittore-Blogger, Roma), Sebastiano Taccola, Paolo Borgognone (storico), Francesco Maiellaro (avvocato Bari), Chiara Catia Carlucci, Giacomo Cappugi (Firenze), Gianmaria Pavan, Ettore Chiorra, Andrea Salutari (coordinatore Giovani Comunisti Torino), Federico Vladimiro Quondamatteo (FGCI-PDCI federazione di Fermo), Sezione "Abdon Mori" di Empoli del PdCI, Susanna Angeleri, Daniel Palladio, Paolo Trinajstic, Giovanni  Baccini (Genova), Massimo Marcori (CPF PDCI Torino), Francesco Dragonetti (Esecutivo Regionale FGCI Emilia-Romagna), Antonino Contiliano, Erman Dovis (operaio), Yuri Dovis (operaio), Claudia Berton (Verona), Rodolfo Santamaria, Rosa Taschin (Ravenna), Yasmina Khamal (insegnante, Bruxelles), Higinio Polo (Profesor y escritor, Barcelona España), Marica Guazzora ...

Per sottoscrivere l'appello: noguerrasiriairan@...


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http://www.freundschaft-mit-valjevo.de/wordpress/?p=402

Kriegsvorbereitungen stoppen! Embargos beenden! Solidarität mit den Völkern Irans und Syriens!


Veröffentlicht von admin-z am 3. Januar 2012

Zehntausende Tote, eine traumatisierte Bevölkerung, eine weitgehend zerstörte Infrastruktur und ein zerfallener Staat: Das ist das Ergebnis des Krieges, den USA und Nato geführt haben, um den Reichtum Libyens plündern und das Land wieder kolonialisieren zu können. Jetzt bereiten sie offen den Krieg gegen die strategisch wichtigen bzw. rohstoffreichen Länder Syrien und Iran vor, die eine eigenständige Politik verfolgen und sich ihrem Diktat nicht unterordnen. Ein Angriff der Nato auf Syrien oder Iran kann zur direkten Konfrontation mit Russland und China führen – mit unvorstellbaren Konsequenzen.

Mit ständigen Kriegsdrohungen, dem Aufmarsch militärischer Kräfte an den Grenzen zu Iran und Syrien sowie mit Sabotage- und Terroraktionen von eingeschleusten „Spezialeinheiten“ halten die USA gemeinsam mit weiteren Nato-Staaten und Israel die beiden Länder in einem Ausnahmezustand, der sie zermürben soll. Zynisch und menschenverachtend versuchen USA und EU, mit Embargos ihren Außenhandel und Zahlungsverkehr planmäßig lahm zu legen. Die Wirtschaft des Iran und Syriens soll bewusst in eine tiefe Krise gestürzt, ihre Arbeitslosenzahlen erhöht und die Versorgungslage ihrer Bevölkerung drastisch verschlechtert werden. Die inneren sozialen Konflikte sollen ethnisiert und zugespitzt, ein Bürgerkrieg entfacht werden, um einen Vorwand für die längst geplante militärische Intervention zu schaffen. An diesem Embargo gegen Iran und Syrien beteiligt sich auch ganz maßgeblich die deutsche Bundesregierung.

Wir rufen alle Bürger, die Kirchen, Parteien, Gewerkschaften, die Friedensbewegung auf, dieser Kriegspolitik konsequent entgegenzutreten.

Wir fordern, dass die Bundesregierung

  • die Embargomaßnahmen gegen den Iran und Syrien bedingungslos und sofort aufhebt;
  • klarstellt, dass sie sich an einem Krieg gegen diese Staaten in keiner Weise beteiligen und die Nutzung deutscher Einrichtungen für eine Aggression durch USA und Nato nicht gestatten wird;
  • sich auf internationaler Ebene für die Beendigung der Politik der Erpressung und Kriegsdrohung gegen den Iran und Syrien einsetzt.

Das iranische und syrische Volk haben das Recht, über die Gestaltung ihrer politischen und gesellschaftlichen Ordnung allein und souverän zu entscheiden. Die Erhaltung des Friedens verlangt es, dass das Prinzip der Nichteinmischung in die inneren Angelegenheiten anderer Staaten konsequent eingehalten wird.


Bis 13. Januar haben über 2000 Bürgerinnen und Bürger den Aufruf unterzeichnet, knapp 1300 haben wir bisher eingeordnet:
http://www.freundschaft-mit-valjevo.de/wordpress/?p=402

Weitere Unterzeichner wenden sich bitte an Bernd Duschner ( bernd @ freundschaft-mit-valjevo.de ) oder unterzeichnen Sie online auf unserer Seite: http://www.freundschaft-mit-valjevo.de/wordpress/?p=402



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http://www.freundschaft-mit-valjevo.de/wordpress/wp-content/uploads/2012/01/Zaustaviti-pripreme-za-rat.pdf

Zaustaviti pripreme za rat! Prekinuti embarga! Solidarnost sa narodima Irana i Sirije!

Desetine hiljade mrtvih, traumatizovana populacija, u velikoj meri uništena infrastuktura i jedna država u rasulu: to je rezultat rata, kojeg su vodile SAD i Nato, da bi se domogli bogatstva Libije i da bi tu državu mogli ponovo da podvrgnu kolonijalizmu. Sada otvoreno pripremaju rat protiv strateških važnih zemalja, koje su ujedno i bogate prirodnim resursima, Sirije i Irana, zemalja, koje slede sopstvenu politiku i koje neće da se povinuju njihovom diktatu. Napad Nato snaga na Siriju ili na Iran može da dovede do direktnu konfrontaciju sa Rusijom i Kinom - sa nesagledivim posledicama.
Pored stalnih pretnjih ratom, sa grupisanjem vojnih snaga na granicama Irana i Sirije i uz pomoć sabotažnih i terorističkih akcija „specijalni jedinica“, ubačenih u te dve zemlje, SAD zajedno sa drugim članicama Nato pakta i zajedno sa Izraelom drže te dve zemlje u jednom stalnom vanrednom stanju, koji treba da ih izmrcvari. Cinički i nehumano pokušavaju SAD i EU da uz pomoć embarga planski dovedu do prekida njihovog spoljnotržišnog i platnog prometa. Ekonomija kako Irana tako i Sirije na taj način treba namerno da zapadne u duboku krizu, da se poveća porast nezaposlenih i da se drastično pogorša snabdevanje njihovih naroda. Time rezultirajući unutrašnji socijalni konflikti žele da pretvore u etnički obojene konflikte, koje treba dovesti do usijanja, da bi se podupreo građanski rat, i da bi se tako konačno dobio povod za odavno planiranu stranu vojnu intervenciju. U sprovođenju tog embarga u značajnoj meri učestvuje i Savezna Republika Nemačka.
Mi stoga pozivamo sve građane, Crkve, stranke, sindikate i mirovni pokret da se konzekventno usprotive jednoj takvoj ratnohuškačkoj politici.
Mi zahtevamo, da nemačka Savezna vlada
ukine odmah i bezuslovno sve mere embarga protiv Irana i Sirije; • stavi jasno do znanja, da neće ni u kojoj meri učestvovati u ratu protiv ovih dveju
zemalja i da izričito neće dozvoliti upotrebu bilo kojih nemačkih postrojenja u svrhu
agresije na te zemlje od strane SAD i Nato; • i da će se aktivno angažovati na međunarodnom planu za prestanak politike ucena i
pretnji ratom protiv Irana i Sirije.
Narodi Irana i Sirije imaju pravo da sami i suvereno odlučuju o svojoj političkoj sudbini i o društvenom uređenju njihovih zemalja. Očuvanje mira zahteva, da princip nemešanja u unutrašnje probleme drugih zemalja bude konzekventno ispoštovan.


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Aufruf in englisch herunterladen: Stop the preparations for war!
http://www.freundschaft-mit-valjevo.de/wordpress/wp-content/uploads/2012/01/Stop_the_preparations_for_war.pdf

Aufruf in persisch herunterladen: Iran Syrien Aufruf in Persisch!
http://www.freundschaft-mit-valjevo.de/wordpress/wp-content/uploads/2012/01/Iran-Syrien-Aufruf-Persich-08012012.pdf

Aufruf in französisch herunterladen: Arrêtez les préparatifs de guerre!
http://www.freundschaft-mit-valjevo.de/wordpress/wp-content/uploads/2012/01/Arrêtez-les-préparatifs-de-guerre.pdf

Aufruf in schwedisch herunterladen: Stoppa krigsförberedelser!
http://www.freundschaft-mit-valjevo.de/wordpress/wp-content/uploads/2012/01/Stoppa-krigsförberedelser.pdf


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[Tra le organizzazioni della galassia "nazionalitaria" (völkisch) che affiancano e sostengono l'imperialismo tedesco, fornendogli quel substrato ideologico che mira alla disgregazione di tutto lo spazio europeo non-germanico in nome delle "autodeterminazionI", l'articolo seguente ne esamina una nata ben 95 anni fa e tuttora attiva con il nome di Institut für Auslandsbeziehungen (Istituto per i rapporti con l'estero). 
Su questi temi si veda anche la documentazione raccolta alla nostra pagina tematica:



junge Welt (Berlin), 9.01.2012 / Thema / Seite 10

Völkischer Thinktank


Geschichte. Vor 95 Jahren entstand mit dem Deutschen Ausland-Institut die einflußreichste Organisation für den Mißbrauch deutscher Minderheiten in aller Welt. Seit 1949 betreibt es als Institut für Auslandsbeziehungen wieder »Deutschtumsarbeit«


Von Martin Seckendorf

Am 10. Januar 1917 versammelten sich im Stuttgarter Linden-Museum etwa 150 Personen zu einer pompösen Veranstaltung. Frack und Uniform bestimmten das Bild. Vertreter des regierenden Hochadels im Reich und in den deutschen Bundesstaaten, des Finanzkapitals und hohe Militärs, begleitet von einigen Universitätsprofessoren, gründeten das »Museum und Institut zur Kunde des Auslanddeutschtums und zur Förderung deutscher Interessen im Ausland«.

Der deutsche Kaiser schickte eine Grußadresse (und eine ansehnliche Summe aus dem Reichshaushalt), der württembergische König übernahm die Schirmherrschaft. In den Ehrenausschuß traten der deutsche Kronprinz und die Chefs aller in den Bundesstaaten herrschenden Adelsfamilien. Den Ehrenvorsitz im Verwaltungsrat übernahm Reichskanzler Theobald von Bethmann Hollweg. Mitglieder dieses Gre­miums wurden mehrere Reichsminister – u.a. die Kolonial-, Außen- und Innenminister – sowie Ressortchefs aller Bundesländer.

Noch 1917 legte die Neugründung den etwas sperrigen Geburtsnamen ab. Bis 1945 nannte sie sich Deutsches Ausland-Institut (DAI), ab 1949 Institut für Auslandsbeziehungen (IfA).

Organ der Herrschenden


Die enge Verbindung zu den maßgebenden Einfluß- und Machteliten ist bis heute ein Grundzug der Stuttgarter Einrichtung. Sie sichert Renommee und auch in politischen oder wirtschaftlichen Krisen eine üppige Finanzierung. Unter allen Regierungsformen wurden hochrangige Vertreter der herrschenden Schichten in Aufsichts- und Beratungsorgane oder in Ehrengremien gewählt und durch Auszeichnungen an das Institut gebunden. So erhielten u.a. Reichspräsident Paul von Hindenburg und Adolf Hitler die höchste Auszeichnung des Instituts, den Deutschen Ring.


Die Gründung in schwierigen Kriegszeiten, die herausgestellte Verbundenheit mit der wilhelminischen Oberschicht und die reichliche finanzielle Ausstattung des Instituts lösten in der Öffentlichkeit Erstaunen aus. Immerhin waren seit den mörderischen Schlachten des Jahres 1916 an der Somme und vor Verdun gerade einige Monate vergangen. Das Weltwirtschaftliche Archiv meinte 1917, in Stuttgart sei »eine in ihrer Großzügigkeit durchaus neuartige Organisation«, eine »Zentralstelle« von gesamtnationalem Rang entstanden. Die Frankfurter Zeitung schrieb am 11. Januar 1917, das Institut sei als »Mittelpunkt der Beziehungen Deutschlands zu seinen Landeskindern« im Ausland konzipiert worden.

Die Gründung des DAI war Ausdruck dafür, daß die Herrschenden in Deutschland nach neuen Expansionsmethoden suchten. Bis dahin setzen sie bei dem Drang nach einem »Platz an der Sonne« auf eine expandierende Wirtschaft und aggressionsbereite Streitkräfte. »Die feineren Mittel«, wie Reichskanzler Bethmann Hollweg 1913 subtilere Methoden der Einflußgewinnung nannte, spielten bis in die Zeit des Ersten Weltkrieges kaum eine Rolle.

Anfang 1917 war deutlich geworden, daß der Krieg nicht mit dem »Siegfrieden« enden werde. Die Erringung der »deutschen Weltgeltung« gegen die britische Weltmacht nur durch Waffengewalt war offenkundig nicht möglich. Neue, flexiblere Wege wurden gesucht.

Neue Expansionsmethode


Ein Vorreiter dieser Auffassungen war Reichskanzler Bethmann Hollweg, der nicht zufällig eine herausgehobene Rolle bei der Gründung des DAI spielte. Schon im Juni 1913 hatte er in einem Brief an den Historiker Karl Lamprecht bedauert, daß die Deutschen noch allzuviel »den naiven Glauben an die Gewalt« hätten und nicht wüßten, »daß, was die Gewalt erwirbt, die Gewalt allein niemals erhalten« könne. Bethmann Hollweg hatte darauf verwiesen, daß verstreut in allen Erdteilen Millionen Deutsche lebten. Nur Großbritannien hätte noch mehr »Landeskinder« im Ausland. Diese Möglichkeiten zur Beeinflussung der »Wirtsvölker« und zur Förderung der deutschen Außen- und Expansionspolitik sei bisher »sträflich« vernachlässigt worden.


Die Gründung – und die weitere Tätigkeit des DAI – waren nicht von der in der Öffentlichkeit allenthalben beschworenen Sorge um die »Brüder und Schwestern jenseits der Grenze«, wie es hieß, bestimmt. Das »Auslanddeutschtum« sollte Instrument der »Reichspolitik« sein.

In diesem Sinne war die Rede des Königs von Württemberg auf der Gründungsfeier des DAI abgefaßt. Das Institut sei ein Werk »des künftigen (Kompromiß)friedens mitten im gewaltigen Kriege«. Es gehe »um außerordentlich wichtige Fragen, die die Zukunft unseres Vaterlandes bewegen«, stellte er auf der Verwaltungsratssitzung des Instituts kurze Zeit später klar und hob hervor, die im Ausland lebenden Deutschen können helfen, »zurückzuerobern, was uns durch der Feinde Tücken verloren gegangen ist«.

Totale Erfassung


Über das Potential des »Auslanddeutschtums« bestanden indes nur vage Vorstellungen.


Vorrangige Aufgabe des DAI sei, »Verbreitung, Kultur und Wirtschaftsstellung des Deutschtums im Ausland« zu erforschen, heißt es in einer Programmschrift von 1917.

Das Institut sollte die genaue Zahl und die geographische Verteilung der im Ausland lebenden Deutschen sowie deren Beziehungs- und Wirkungsgeflecht in ihrer andersnationalen und natürlichen Umwelt erkunden.

In differenzierten Karteien waren jeder im Ausland lebende Deutsche und alle Organisationen der Auslanddeutschen – vom Kirchenchor bis zur politischen Partei – zu erfassen. Diese Kartothek, so das Institut in einer Notiz vom Juni 1919, sei »für den künftigen Wiederaufbau deutscher Interessen im Ausland von hohem Wert«. Außerdem begann die Etablierung eines weltumspannenden Systems von V-Leuten, die regelmäßig oder auf Anfrage nach Stuttgart berichteten.

Ein zweiter Arbeitszweig des DAI bestand darin, Verbindungen zu den Deutschen im Ausland anzubahnen und Einfluß auf die politische Haltung der Auslandsdeutschen gegenüber Deutschland zu nehmen.

Mit intensiver Indoktrination, flankiert von materieller Unterstützung und der »Entsendung« von Beauftragten des Instituts in die deutschen Siedlungsgebiete, sollte eine enge Bindung zu Deutschland aufgebaut werden. Dabei ging es auch darum, Assimilation, ja selbst Integration der Auslanddeutschen in ihre gesellschaftliche Umwelt zu verhindern. Durch »Wiedererweckung des Deutschbewußtseins« und des »Sinns für deutsche Sonderart« wollte man assimilierte, ins »fremde Volkstum abgeglittene« Deutsche dem »deutschen Volkstum« zurückgewinnen, regermanisieren. Schon 1913 hatte Bethmann Hollweg beklagt, »daß nicht jeder Deutsche im Auslande seine Heimat in sich abbildet«.

Ein dritter Arbeitsschwerpunkt war die Propaganda in die deutsche Gesellschaft hinein. Die über die Deutschen im Ausland gewonnenen Erkenntnisse sollten schnell verbreitet werden, um in Deutschland »die Kenntnis der Bedeutung des Auslanddeutschtums« zu vertiefen, heißt es in der Satzung von 1917. Damit wollte man den Entscheidungsträgern das Potential des »Deutschtums im Ausland« vermitteln. Dabei ging es auch um eine breitere Akzeptanz der noch jungen Disziplin »Deutschtumspolitik« in den Macht- und Einflußeliten.

Andererseits versuchte man, mit nationalistischer Deutschtumspropaganda die Instrumentalisierung der deutschen Minderheiten im Ausland für die Politik der Herrschenden in Deutschland zu verschleiern, aber einen innenpolitischen Resonanzboden für die »Deutschtumspolitik« zu schaffen. Mit der oft in chauvinistische Hetze gegen andere Völker ausartenden »Deutschtums­propaganda« sollte politischer Einfluß in breiten Massen der deutschen Gesellschaft gewonnen werden. Die Arbeit für das »schwer ringende Deutschtum im Ausland« wurde als partei- und klassenübergreifende, gesamtnationale Pflicht dargestellt, wofür notfalls auch Opfer zu bringen waren. Mit der »Nationalisierung« der Volksmassen wollte man Feindbilder gegen ausländische Mächte verfestigen und die Massen von einer revolutionären Lösung der durch die herrschenden Klassen geschaffenen gravierenden politischen und sozialen Probleme in Deutschland abhalten, denn nur ein einiges und starkes Mutterland könne den »Brüdern und Schwestern draußen« helfen, so die Argumentation des DAI. Eine weltumspannende »Volksgemeinschaft aller Deutschen« wurde propagiert. In der Ausgabe der Institutszeitschrift vom Januar 1918 heißt es: »Der deutsche Gedanke in der Welt verlangt ein enges Zusammenstehen aller Volksgenossen in der Heimat, vom ersten Minister bis zum letzten Arbeiter. Er fordert auch einen innigen Zusammenhalt der Auslanddeutschen untereinander und mit der Heimat.« Der erste Vorsitzende des Instituts, Theodor Wanner, verlangte die Herstellung der »volklichen Einheit« aller Deutschen. Reichsaußenminister Gustav Stresemann sprach 1927 im DAI von der »Kultur- und Blutgemeinschaft« aller Deutschen weltweit, die sich durch kulturell-zivilisatorische Höherwertigkeit von anderen Völkern unterscheide.

Der Tenor der Deutschtumspropaganda klingt in einem Bericht über die Gründungsversammlung des DAI an. Die Zeitung Export schrieb 1917, in »dieser für das Deutschtum schwierigen Zeit (…) durch den gegen uns gerichteten Mordkrieg« sei »das eherne Gebot klargeworden, uns über den ganzen Erdball fest und fester aneinander zu schließen, damit wir nicht vereinzelt der nach unserem Leben gierenden Meute zum Opfer fallen«.

Die bei der Gründung dem DAI gestellten Aufgaben bestimmten die gesamte weitere Tätigkeit des Instituts.

Revisionspolitik


Der Erste Weltkrieg endete mit der totalen Niederlage Deutschlands. Der deutsche Imperialismus mußte erhebliche politische, wirtschaftliche und militärische Beschränkungen und Gebietsabtretungen hinnehmen.


Angesichts der Machtlosigkeit setzte sich in den herrschenden Klassen endgültig die Erkenntnis durch, daß »Deutschtumspolitik«, die oft als unverdächtige auswärtige Kulturpolitik firmierte, ein wirkungsvolles Mittel für die Außen- und Innenpolitik sei.

Man war davon überzeugt, mit Kultur- und Minderheitenpolitik die politische Stimmung des Auslandes derart zugunsten Deutschlands zu verändern, um die Beseitigung der auferlegten Beschränkungen als wichtigen Schritt auf dem Weg zur Wiederaufrichtung der »deutschen Weltgeltung« erreichen zu können. Außerdem wollte man mit nationalistischer, auf »Volksgemeinschaft« ausgerichteter Deutschtumspropaganda die gerade nach dem Ende des Ersten Weltkriegs wankende Macht der Eliten stabilisieren.

In Deutschland entstand ein gewaltiger »Deutschtumsapparat«. Tausende Vereine und ungezählte »volkswissenschaftliche« Forschungs-und Bildungseinrichtungen wurden gegründet. Steuerung und weitgehend die Finanzierung des gewaltigen Apparats oblag oft getarnt agierenden staatlichen Behörden.

Aus diesem Geflecht ragte das DAI wegen der Breite seines Arbeitsgegenstands und seiner engen Verbindungen zu den Macht- und Einflußeliten heraus. Das Institut war eine Kombination von Deutschtumsverband, »volkswissenschaftlicher« Lehr- und Forschungseinrichtung, Propagandazentrale, Gutachter- und Auswandererberatungsstelle, auslandskundlichem Informationszentrum, Archiv und Museum.

Mit dem Ende des Ersten Weltkriegs begann der Aufstieg des DAI zur wichtigsten Deutschtumsorganisation. 1922 schrieb der sozialdemokratische Reichsinnenminister Adolf Köster, das DAI sei »die wissenschaftlich und politisch bedeutungsvollste Organisation zum Wiederaufbau des Auslandsdeutschtums wie zur Verbreitung von Auslandskunde«. Die Mehrzahl der Neugründungen hatte innenpolitische Propaganda zu betreiben, damit der »Gedanke des Deutschtums im Ausland von einer starken Stimmung im Volk« getragen werde, schrieb das Auswärtige Amt 1922. Die »Deutschtumsarbeit« sei für den »politischen Wiederaufbau Deutschlands« nach dem Krieg »besonders dringend« gewesen, heißt es in einem Bericht des Rechnungshofes.

Das DAI bediente beide Arbeitsfelder: Erfassung und Steuerung der deutschen Minderheiten im Ausland und Deutschtumspropaganda nach innen.

Nach der Novemberrevolution stellte sich das DAI auf die veränderte innenpolitische Situation ein. Die Vertreter der Fürstenhäuser verschwanden aus den Institutsgremien. Ihre Stellen nahmen die Repräsentanten der Weimarer Republik ein.

Den Ehrenvorsitz bildeten der Reichskanzler, die Reichsminister des Innern und des Äußeren sowie Repräsentanten großer deutscher Bundesstaaten.

Weltweite »Blutsgemeinschaft«


Auf politisch und finanziell gesicherter Grundlage konnte sich das DAI zügig entwickeln. In der Propaganda des Instituts bildete die These von der »Bluts- und Kulturgemeinschaft« aller Deutschen in der Welt den Kernpunkt. Auf der Grundlage der »Blutsgemeinschaft« hätten sich die »volkliche Einheit« und die Schicksalsverbundenheit des weltweit zerstreuten »Deutschtums«, die »deutsche Sonderart« entwickelt. Das »Deutschtum in aller Welt« sei eine soziale, biologische und daher auch »gesinnungsmäßig« homogene, von anderen Völkern streng geschiedene Schicksalsgemeinschaft.


Die massenhaft verbreitete Volksgemeinschaftsideologie führte bald in die Nähe faschistischer »Volkstums«-Auffassungen. Der Leiter der Presseabteilung des Instituts bewertete eine programmatische Publikation der NSDAP über das »Grenz- und Auslandsdeutschtum« als weitgehend identisch mit den Auffassungen des DAI. Der als »liberales Urgestein« geltende Vorsitzende Theodor Wanner äußerte 1927, die Deutschen seien ein »Volk ohne Raum«. Er forderte die Ansiedlung deutscher Bauern in den »entvölkerten Ostgegenden und Ödgebieten« auch, um »zunächst einmal gegen die andrängende slawische Flut im Osten einen neuen Menschen- und Bauernwall zu setzen«. Die Mitarbeiter des DAI gehörten nach dem Zeugnis von Wahrhold Drascher, seit 1924 Länderreferent, »so gut wie ausschließlich seit langem der nationalen Erneuerungsbewegung« an. Drascher war nach 1945 Professor in Tübingen.

Zu Beginn der faschistischen Herrschaft versuchten Führer konkurrierender »Deutschtumsverbände«, die herausgehobene Stellung des DAI im Netzwerk der »Deutschtumspolitik« zu beseitigen und sich das Institut einzuverleiben. Naziführer in Württemberg und auf Reichsebene machten schnell deutlich, daß dieses für jede Außenpolitik und revanchistische Propaganda so wertvolle Instrument unangetastet bleibt.

Sie drängten aber auf Faschisierung. Die mit dem von den Nazis verfemten Weimarer System eng verbundenen Personen an der Institutsspitze wurden entfernt und durch Nazigrößen und nazistische »Volkstumskämpfer« ersetzt. Im Dezember 1934 stellte der Reichsrechnungshof fest: »Das Deutsche Ausland-Institut ist die größte zentrale Arbeitsstätte für das Auslanddeutschtum im Reich und als solche von den Auslanddeutschen, den Reichsbehörden und den Organen der NSDAP anerkannt.«

Die Hinwendung zu den neuen, faschistischen Machthabern führte dazu, daß das DAI schnell wuchs. Die Zuwendungen des Staates, der Naziorganisationen und der Großwirtschaft stiegen bis 1943, gemessen am Stand von 1933, auf das Zwanzigfache. Die Zahl der hauptamtlichen Mitarbeiter wurde im selben Zeitraum mehr als verdreifacht. Alle Arbeitsfelder konnten erheblich ausgebaut werden. Die Zahl der weltweit tätigen V-Leute stieg auf weit über 4000. Sie wurden zunehmend dazu angehalten, militärische, kriegswichtige Informationen zu liefern. 1943 wurde das DAI schließlich vollständig in den Spionagedienst der SS eingegliedert.

Formierung der fünften Kolonne


1933/34 erlangte das Institut für die Außenpolitik der Naziregierung besondere Bedeutung. Wegen der terroristischen Innenpolitik und der ersten Schritte bei der Judenverfolgung erhob sich im Ausland ein Proteststurm. Deutschland war international isoliert. Das Regime startete eine Propagandaoffensive, in der das DAI eine führende Rolle übernahm. Es sollte seine Verbindungen zu den deutschen Minderheiten ausnutzen, um diese für die Nazipropaganda im Ausland einzuspannen. Es ging darum, über die Auslandsdeutschen in deren »Wirtsstaaten« außenpolitisch verwertbaren Einfluß zu gewinnen.


Die »auslanddeutschen Volksgenossen« wurden aufgefordert, alles zu tun, »um das deutsche Volk in seinem Daseinskampf zu unterstützen, daß sie den Hetzversuchen entgegentreten und ihre andersstämmigen Mitbürger aufklären über die wahre Lage in Deutschland«, heißt es in Aufrufen des Instituts.

Gleichzeitig nutzte das DAI sein Renommee, nazistische Ideologie unter den Deutschen im Ausland zu verbreiten. Die ideologische Indoktrination der Auslanddeutschen und die Faschisierung aller Organisationen der deutschen Minderheiten war die wichtigste Voraussetzung dafür, die »Volksguppen« zu willfährigen Instrumenten der »Reichspolitik«, zur fünften Kolonne der deutschen Eroberungspolitik zu machen.

Seit 1933 strebte das DAI zusammen mit der Deutschen Akademie, deren Goethe-Institut heute zu den wichtigsten »Mittlerorganisationen« der bundesdeutschen auswärtigen Kulturpolitik gehört, eine führende Rolle in der »Volkswissenschaft« an. In Stuttgart sollte eine gesamtnationale »Planungs- und Generalstabsstelle der Volksgruppenforschung« entstehen. Vor allem die europäischen »Volksgruppen« und ihre »Wirtsvölker« sollten auf der Grundlage von Rassen- und Erbbiologie bewertet und kategorisiert werden, um sie gemäß der faschistischen Rassenideologie als Verfügungsmasse für die Germanisierung zu erobernder Gebiete festlegen zu können. Germanisierung durch Beseitigung der Einheimischen und Ansiedlung »arischer« Menschen galt den Faschisten als die sicherste Methode zur Beherrschung besetzter Gebiete.

1938/39 begann die Überführung der »volkswissenschaftlichen« Forschungsergebnisse in die mörderische Germanisierungspraxis. An die Stelle der deportierten, mitunter sofort umgebrachten Einwohner kamen rassisch und politisch überprüfte »germanische Ansiedler«. Experten des DAI gelangten in Leitungsfunktionen der entsprechenden SS-Einrichtungen. Das Institut lieferte Expertisen als Planungsgrundlagen für Um- und Ansiedlungsmaßnahmen.

Während des Krieges wurden die Arbeitsergebnisse, die personellen und sachlichen Möglichkeiten des Instituts vollkommen und unmittelbarer als je zuvor für die Politik und Kriegsführung des Naziregimes eingesetzt. Das DAI galt der deutschen Führung als »kriegswichtig«.

Kontinuität


1945 mußte das DAI vorübergehend seine Tätigkeit weitgehend einstellen. 1949 wurde es unter maßgeblichem Einfluß des Bonner Auswärtigen Amtes als Institut für Auslandsbeziehungen (IfA) in Stuttgart wiedereröffnet. Es wird von Staat und Großkapital finanziert. Das IfA trat mit erstaunlicher Selbstverständlichkeit in die Tradition des DAI ein. Es gibt keine kritische Aufarbeitung der Gesamtgeschichte des DAI/IfA durch das Institut. Auch fehlen zusammenfassende Untersuchungen darüber, in welchem Umfang leitende Mitarbeiter des DAI oder andere braune Kader in das IfA übernommen worden waren und die Tätigkeit des neuen Instituts beeinflußten.


Heute ist das Institut die wohl bedeutendste »Mittlerorganisation« der auswärtigen Kulturpolitik und betreibt, wie es im Jahresbericht des Instituts für 1998 heißt, » (p)olitische Öffentlichkeitsarbeit für die Bundesrepublik Deutschland (…) im Ausland (…) in Zusammenarbeit mit dem Presse- und Informationsamt der Bundesregierung«. Die »politische Öffentlichkeitsarbeit Ausland« sei ein Instrument der deutschen Außenpolitik«, wird betont.

Unter Einsatz beträchtlicher Mittel und einer großen Anzahl von Experten betreibt das IfA auch wieder »Deutschtumspflege« im Ausland. Territoriale Schwerpunkte der unter dem Etikett »Kulturelle Förderung deutscher Minderheiten« laufenden Arbeit sind neben Lateinamerika vor allem die deutschen Minderheiten in jenen Ländern Ost- und Südosteuropas, die sich um 1990 vom Sozialismus abgewandt hatten. Auf der Website des IfA heißt es unter der Überschrift »Entsendung von Mitarbeitern«: Das Institut entsende jährlich »zu Verbänden und Redaktionen der deutschen Minderheiten in Mittel-, Ost- und Südosteuropa (…) Kulturmanager, Redakteure, Medienwirte«. Aber auch »Kindergartenfachberater und Erzieher« werden zu den deutschen Minderheiten geschickt.

Ein Blick auf die Geschichte des DAI/IfA enthüllt bemerkenswerte sachliche Kontinuitätslinien: Mit Kulturpropaganda und dem Einsatz der deutschen Minderheiten im Ausland ein den Herrschenden genehmes »Deutschlandbild« zu erzeugen, im Grunde außenpolitisch verwertbaren Einfluß in fremden Ländern zu erreichen, ist von 1917 bis heute die Hauptaufgabe des Deutschen Ausland-Instituts und seines Nachfolgers Institut für Auslandsbeziehungen.

Dr. Martin Seckendorf ist Historiker und Mitglied der Berliner Gesellschaft für Faschismus- und Weltkriegsforschung e.V. Weitere Beiträge von ihm finden sich in der jW-Broschüre »Barbarossa. Raubkrieg im Osten«, Berlin 2011, 5,80 Euro, im jW-Shop erhältlich, Bestellungen an ni@...

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